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Un’ipotesi alternativa per la lettura del ruolo di consigliere di fiducia.
Ovvero l’oscuro rapporto con il capro espiatorio
Università degli Studi di Verona Facoltà di Giurisprudenza
a.a. 2008/2009
Manuela Pierotti
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Indice
� Premessa
� Il capro espiatorio nella storia
� Il capro espiatorio nella letteratura
� Il capro espiatorio nell’organizzazione
� Il conflitto
� Un esempio
� Conclusioni
� Bibliografia
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“Un buon osservatore deve saper riconoscere la differenza tra
cambiare punto di vista entro un contesto dato per scontato, e
cambiare quel contesto.”
Gregory Bateson1
Premessa
Che il fenomeno del mobbing abbia dimensioni sempre più diffuse e
preoccupanti, è ormai riconosciuto, che la vittima del fenomeno possa talvolta
fungere da capro espiatorio all’interno dell’organizzazione è anche una lettura
interpretativa possibile, ma che la figura di chi è tenuto istituzionalmente ad
intervenire per contrastare il fenomeno, il/la consigliere di fiducia, possa
talvolta prestarsi inconsapevolmente al ruolo di capro espiatorio, è una
suggestione assai meno frequente ma certamente stimolante. Questa è
l’ipotesi, vuoi anche provocatoria, ma, a mio parere, di indubbio interesse
soprattutto per chi opera concretamente in tale funzione, su cui intendo in tale
sede soffermarmi, ripercorrendo a tratti anche un cammino a ritroso nella
storia e nella letteratura.
Una parte della trattazione sará poi dedicata alla tematica del conflitto, tema
con cui il consigliere è tenuto quotidianamente ad interrogarsi e confrontarsi
(più ancora , in base alla mia esperienza, che con il mobbing);talvolta può
intrecciarsi con traiettorie di genere o di etnia, ma, “per quanto paradossale
possa sembrare, le molestie che contengono un’aggressione di tipo sessuale o
etnico si possono identificare e combattere più facilmente rispetto alla violenza
morale, che è un morbo più subdolo e silenzioso”.2 Si tenderà quindi ad
evidenziare l’aspetto più complesso ed emblematico, la sfida più incerta a cui è
chiamato il consigliere di fiducia, l’accesso al conflitto stesso.
1 U. Morelli “Conflitto.Identità,Interessi ,Culture.Ed.Meltemi 2006” 2 A.R.Gilioli “Cattivi capi cattivi colleghi” Mondadori 2000
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Grafico tratto da http://it.wikipedia.org/wiki/Capro_espiatorio (19.08.2011)
Il capro espiatorio nella storia
Il capro espiatorio è stata certamente una delle modalità più diffuse nelle
società antiche per risolvere i problemi di conflittualità interna. Il tema del
capro espiatorio, che consiste nell’indirizzare tutta la conflittualità in un’unica
direzione, è esemplificato in modo chiarissimo dalla frase del sommo sacerdote
Caifa durante il processo a Gesù Nazareno “meglio che muoia un solo uomo
per il popolo e non perisca la nazione intera.3
“Letteralmente il capro espiatorio era una capra che veniva allontanata dalla
natura selvaggia, come parte delle cerimonie ebraiche dello Yom Kippur, il
giorno dell’Espiazione, all’epoca del tempio di Gerusalemme.
Il rito viene descritto nella Bibbia.4.
“Due capri venivano portati, assieme ad un toro, sul luogo del sacrificio. Il
sacerdote compiva un’estrazione a sorte tra i due capri. Uno veniva bruciato
sull’altare sacrificale insieme al toro, il secondo diventava capro espiatorio. Il
sacerdote poneva le sue mani sulla testa del capro e confessava i peccati del
popolo di Israele. Il capro veniva quindi allontanato nella natura selvaggia,
portando con sé i peccati del popolo ebraico, per essere poi precipitato da una
rupe a circa 10 chilometri da Gerusalemme.
3 Gv 11,509 4 Levitico, 16
4
Nella teologia cristiana la storia del capro espiatorio nel Levitico è stata
interpretata come una prefigurazione simbolica dell’auto-sacrificio di Gesù, che
si accolla i peccati dell’umanità.”5
Ma anche la tragedia greca ci fornisce esempi illustri di capro espiatorio, quali
Edipo Re. “Re e capro espiatorio, e due personaggi simmetrici responsabili
della salvezza collettiva del gruppo.
Il re divino, purificatore e salvatore del suo popolo, si congiunge col criminale
macchiato che bisogna espellere come un pharmacòs, un capro espiatorio,
perché la città, ritornata pura, sia salva.”6
Anche la storia più recente non ha mancato purtroppo di mostrare tristi esempi
di tale meccanismo, contro gruppi o minoranze, utili al mantenimento
strutturale della società, quali la caccia alle streghe o la persecuzione degli
ebrei, ma le pagine di questa storia potrebbero essere quasi infinte, a
dimostrare come questo antichissimo escamotage fosse, unitamente alla
sacralità, parte fondante della società stessa.
5 da Wikipedia 27/3/2009 6 J.P.Vernant “Mito e tragedia nell’antica Grecia” Ed.Einaudi pag.110 e segg.
5
Il capro espiatorio nella letteratura
Chi ha teorizzato in modo analitico e trasversale la tematica del capro
espiatorio e le sue dimensioni antropologiche, filosofiche è sicuramente Renè
Girard 7nei suoi testi, in primis “Il capro espiatorio” e “ La violenza e il sacro”.
Ma in tale sede l’attenzione andrà soprattutto ad un personaggio famoso della
letteratura, Monsieur Malaussene di Danniel Pennac, personaggio che si presta
in modo superbo a rappresentare in modo speculare a quello dei consigliere di
fiducia, rischi e opportunità del capro espiatorio.
Benjamin Malaussene, il protagonista dei romanzi di Pennac, svolge di
professione il capro espiatorio. ”Proprio questo l’inconfessabile e assurdo
mestiere del povero Ben, che ufficialmente veste ad es. l’abito del controllore
tecnico in un grande magazzino parigino, ma ufficiosamente non controlla
proprio niente. Quando arriva un cliente lamentando un cattivo funzionamento
di un prodotto acquistato, Malaussene è immediatamente convocato a recitare
la sua parte: subire una valanga di umiliazioni, attribuendosi ogni
responsabilità e rischiando inizialmente non solo di risarcire personalmente il
cliente, ma anche di perdere all’istante il lavoro. Ma la padronanza dell’attore,
consolidata da uno studio assiduo della parte, ottiene l’effetto desiderato, e la
vittima Ben diventa carnefice: il cliente commosso preferisce rinunciare alla
propria garanzia, piuttosto che vedere sulla strada l’unico sostegno di una
famiglia numerosa”.8
Su di lui ricadono inevitabilmente le colpe dei suoi colleghi d’azienda. Ma anche
in città, qualunque cosa accada, se si cerca un responsabile, una vittima, un
capro espiatorio, insomma, Malaussene ha tutte le chances di essere il
prescelto.
Il capro espiatorio di Pennac emerge come una tremenda necessita' sociale,
che nasce nel momento stesso in cui un qualunque gruppo si costituisce. Se
Malaussene accetta di giocare come capro espiatorio è perche' è sicuro di non
7 Renè Girard “La violenza e il sacro” Adelphi 2000; “Il capro espiatorio”Adelphi 1987 8 N.V.Scognamiglio “Daniel Pennac” “Letture” 1998-
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cadere nel ruolo ma di potersi difendere egregiamente sostenuto dalla sua cara
amica: l'ironia. E’ l’ironia che gli permette il distacco, il coinvolgimento
controllato, assecondando in apparenza tutti ma conservando la lucidita' della
propria opinione. La maschera del capro espiatorio, è in Pennac l'abito della
vittima indifesa: pronto a difendersi dagli altri e apparentemente privo di
protezione, ma in realtà attento e scaltro.
Come dice Stefano Nobile a proposito del tema del mobbing, “Pennac sembra
avere partorito una soluzione apparentemente grottesca ma forse non così
peregrina di un problema, quello del mobbing, che con ogni probabilità sarebbe
oggetto di una maggiore attenzione qualora le aziende o qualsiasi altra forma
di organizzazione lavorativa si dotasse di un capro espiatorio.” 9
9 S.Nobile, F.Mancini “Mobbing in area sanitaria” 2003 Istituto Affari Sociali
7
Il capro espiatorio nell’organizzazione
La ricerca di un capro espiatorio all’interno di ogni contesto sociale o
organizzazione, in particolare durante i momenti di crisi o cambiamento, è un
modo storico per canalizzare la violenza umana.
Rapportato in termini aziendali è interessante il contributo di L.M.Sguazzi , la
responsabile di un centro di ascolto, che ribadisce la lettura del meccanismo
del capro espiatorio per la vittima di mobbing.
“Nell’azienda nella quale un dipendente richiede un intervento di tipo
psicologico perché subisce le violente tensioni dell’ ambiente ed al suo interno
ricopre il ruolo di capro-espiatorio e tutto questo lo porta al limite
dell’esasperazione, il disagio si propaga in tutte le direzioni e i problemi
sembrano avere le loro origini nell’azienda stessa. Quando si cerca di isolare il
lavoratore dalla vera origine delle sue difficoltà, si sta collaborando, senza
saperlo, con il processo di formazione del capro espiatorio nell’ azienda.
Per leggere il comportamento di mobbing in termini di sistema, e non di
singolo lavoratore, e per fare diagnosi di mobbing, dobbiamo svolgere un
intervento efficace che parta dall’analisi dell’intero sistema coinvolto e
successivamente passi alle persone. Nel tentativo di chiarire ciò che non va o
che è disfunzionale o inutile dobbiamo imparare a riconoscere la struttura
organizzativa dell’azienda, le sue regole ‘implicite’, i suoi modelli di
comunicazione , e tante altre cose.
Va esaminato un nuovo modello concettuale e le influenze esercitate
dall’ambiente aziendale sull’individuo. Mentre rimane un importante problema:
cosa fare del ‘capro-espiatorio’-ossia della persona che con i suoi disagi ha
richiamato l’attenzione sui problemi dell’azienda? Qual è il ruolo che ha questa
persona nell’azienda? Come fare ad aiutare questa persona ad uscire dal
condizionamento e dalla suggestione in cui è caduta col senso di ingiustizia e di
colpa che sente e con l’ambiguità delle parole e del non detto che ha avuto
intorno? La soluzione più semplice è quella di definire senz’altro questa
persona come vittima’delle tensioni aziendali e delle manipolazioni perverse, in
8
altri termini il capro-espiatorio dell’azienda che deve essere sacrificato e che
accetta di farsi carico, davanti a tutti, delle tensioni dell’intera azienda per
poterne conservare l’equilibrio.”10 In altri termini alla strategia sottile e lenta
del mobbing ricorre una organizzazione non-OK o un subsistema non-OK di
una organizzazione al fine di non alterare il pregresso range omeostatico (= al
fine di mantenersi tale e quale a prima) e, in termini di Analisi Transazionale,
mantenere il copione organizzativo.11
Come infatti anche proposto nel materiale fornito da E.Bortolani, nel
corso della quarta giornata del corso, l’ipotesi di Zapf12 vede, tra le quattro
potenziali concause nell’escalation conflittuale “le tensioni nel gruppo di lavoro,
per le quali un capro espiatorio è un buon mitigatore” (il sistema sociale come
causa di mobbing).
A questo punto s’impone la lettura, forse più forzata, che vede come
anche il ruolo di chi opera l’aiuto si presti a divenire capro espiatorio
10 L. M.Sguazzi, Relazione al convegno: - L’esperienza triennale del Punto Ascolto Mobbing- 11A. Miglionico “Manuale di comunicazione e counselling” Centro Sc.Ed.2000 12 D.Zapf “Organizational, work group related and personal causes of mobbing/bullying at work” 1999
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Il conflitto, ovvero come accedere al conflitto e non negarlo
Mi appresto ad affrontare la tematica del conflitto, facendo mio l’assunto
fondamentale di Morelli a questo proposito, e cioè che il conflitto è una
proprietà costitutiva della relazione (se non c’è conflitto non c’è relazione). ”Il
conflitto è in ogni incontro ed è incontro” (la parola stessa etimologicamente
richiama l’incontro e la combinazione della differenza). Ed è quindi
l’elaborazione del conflitto che genera la qualità della relazione; ma è difficile
accedere al conflitto; si preferisce spesso il quieto vivere o l’esclusione: il
primo rinvia e tranquillizza, la seconda rinvia all’esterno e all’altro le
responsabilità.13
I conflitti permangono; anche nelle organizzazioni possono essere
modificati, riformulati, ma non dissolti. ‘E per questo importante conoscerli.
Per lo più i conflitti che si vivono non si conoscono, non sono oggetto di
apprendimento (da esplorare, per entrare nelle posizioni altre), è invece
affannosa, soprattutto nelle organizzazioni, la ricerca di soluzioni “E se non
sono disponibili le soluzioni, sono sempre reperibili dei colpevoli, con effetti
comunque rassicuranti. .Quanto risulta difficile investire nell’esplorazione e
nella comprensione!”(F.Olivetti “Ri-conoscere i conflitti nelle organizzazioni di
lavoro” Educazione sentimentale n.2 2003)
Ecco che si delinea una delle prime e più significative competenze di chi
opera l’ascolto in caso di conflitto o mobbing, in tal caso il consigliere di fiducia,
e intende ricostruire il caso e la biografia della persona che a lui si è rivolta:
accedere al conflitto, non negarlo, ma esplorarlo, e non solo nelle dimensioni
della sofferenza ma in tutte le sue potenzialità.
A questo proposito ‘Stefano Tomelleri14 propone non solo un’inedita
lettura teorica del conflitto, ma soprattutto fornisce un’interessante ipotesi per
la comprensione del ruolo di capro espiatorio nelle professioni di ascolto o
13 U.Morelli “Educazione Sentimentale” n.2 2003) 14 S.Tomelleri “La società del risentimento” Meltemi Roma
10
anche di consiglieri di fiducia. Egli individua tre livelli nel conflitto, che
riassumerò brevemente:
I) LIVELLO RELAZIONALE
Il livello caratterizzato dall’ ascolto, dal riconoscimento e dall’affettività
(dolore), mentre la violenza rappresenta il non-ascolto e non-riconoscimento.
La sofferenza è un indicatore della situazione che può evolvere in una
opportunità.
Tomelleri analizza la dinamica competizione/collaborazione che si
insatura a quello livello e che le società arcaiche spesso governavano
attraverso il sacro. La questione, per quanto riguarda le nostre società e le
nostre organizzazioni, è il tentativo di costruire sistemi collaborativi per
contenere la competizione; costruire pensieri capaci di pensare la relazione. La
cultura è appunto il tentativo umano di gestire le dinamiche relazionali.
II) LIVELLO CULTURALE/GRUPPALE
A questo livello entra la dinamica noi/loro, di un”noi-buoni” che si forma
in contrapposizione a un “loro-cattivi”. Questa contrapposizione “noi-loro” non
è in sé del tutto negativa. E’ lo straniero, per esempio, che mi palesa la mia
cultura; è grazie all’altro, che posso vedere e riconoscere ciò che ho. C’è un
uso funzionale e sistemico della dinamica noi/loro che è importante e aiuta la
formazione del noi. Il problema è mantenere la pluralità del “noi”. Il concetto di
“noi” è un concetto plurale, non esiste un noi identico, all’interno del “noi” si
situano molteplici differenze. Vi è poi un altro aspetto che è bene considerare
nella dinamica noi/loro. Se si esaspera il concetto di noi, e se ne assolutizza
l’identità, aumenta la spinta distruttiva. Se noi siamo tutti uguali, tutti uniti,
tutti “bianchi”, allora chi non è come noi “è contro di noi”, è “nero”, è “cattivo”
e quindi deve essere eliminato.
Se la cultura organizzativa esaspera un noi identico e non plurale, allora
la persona come soggetto non conta nulla e questo diventa fonte di grandi
sofferenze.
11
III) LIVELLO POLITICO
Entriamo quindi nel terzo livello, quello politico, che è il livello del
progetto che indica l’orizzonte, il futuro. Non è il livello tecnico, il livello del
compito (secondo livello), ma il livello decisionale, strategico.
Il fatto di confondere i livelli è fonte di conflitti e di sofferenze a livello
organizzativo. Tomelleri approfondisce quindi la teoria del capro espiatorio che
rappresenta la stessa logica che governa il noi/loro. Noi buoni, loro (o lui)
cattivo.
Il problema, secondo lui, è che oggi il capro espiatorio non ha più
valenza. Il capro espiatorio funziona perché è sacro. Tutta la comunità mette le
mani sul capro, riversa il male su di lui e quando il capro si allontana tutto il
male viene allontanato. Questo funziona se crediamo veramente che il capro
sia colpevole e allora sia possibile l’espiazione dei peccati e del male.
Ora sono numerose le modalità di gestione dei conflitti che ricordano
quelle del capro espiatorio: su una persona o un gruppo o una minoranza,
attraverso un meccanismo di proiezione, vengono scaricate colpe da attribuire
a sé o ad altri, e la si allontana. La modalità dell’esclusione è quella del capro
espiatorio, ma manca l’espiazione. Manca la dimensione sacra che è
fondamentale per raggiungere l’espiazione. Il capro espiatorio funziona se
esiste la dimensione inconsapevole, se vi è consapevolezza non vi è
l’espiazione. E´ sufficiente che uno solo nel gruppo metta in dubbio che il capro
sia veramente colpevole, che se lo si allontana, si allontani anche il male, e
allora il meccanismo non funziona più. Rimane quindi l’esclusione, ma senza
espiazione.
Quando si aiutano le persone escluse dalla realtà organizzativa, o che
sono oggetto di mobbing, cosa succede?. Il problema, secondo Tomelleri, è
rappresentato dal fatto che si vive una situazione di grande impotenza, perché
si può spesso affrontare e gestire la situazione solo al livello I, il livello
relazionale, mentre le cause di questo disagio potrebbero essere affrontate
solo agendo al livello III, il livello politico, di governo dell’istituzione.
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Per meglio definire il proprio ruolo e il proprio lavoro, per chi lavora in
tale ambito, si potrebbe affermare che ci si occupa della gestione dei capri,
dato che le persone che vengono a chiedere aiuto sono veri e propri capri
espiatori, ma come abbiamo detto, mancando l’aspetto dell’espiazione nelle
società contemporanee, hanno perso rispetto al passato la dimensione della
sacralità (espiazione).
Il sentimento di impotenza che spesso si vive potrebbe essere
modificato, suggerisce Tomelleri, se il ruolo di chi si occupa della “gestione dei
capri” diventasse un “osservatorio critico dei rapporti organizzativi”. Il ruolo
allora non consisterebbe in un semplice luogo di accoglienza che al massimo
tenta di far diminuire il livello di sofferenza, ma un luogo privilegiato di
osservazione della realtà, che può fornire al livello politico preziose
informazioni per modificare e orientare nuovi progetti di sviluppo organizzativo.
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Un esempio
In un istituto scolastico dell’Alto Adige si protraeva da tempo una
situazione fortemente conflittuale tra il direttore ed un gruppo di insegnanti,
che si manifestava in comportamenti scorretti da ambo le parti, dispetti,
incomprensioni... La richiesta di aiuto all’ufficio sviluppo personale (l’ufficio
competente per tali situazioni) è stata formulata direttamente dal direttore,
che ipotizzava di essere vittima di mobbing nella gestione di un caso
particolare con un singolo insegnante, ma ovviamente rappresentava solo la
punta di un iceberg. La mediazione con intervento esterno non ottenne
risultati. Un collaboratore dell’ufficio sviluppo personale, dichiaratosi disponibile
ad effettuare una supervisione, dopo aver svolto parecchi colloqui singoli e di
gruppo, e constatando quanto fosse compromessa ormai la situazione, ha
proposto la separazione fisica dei due gruppi (spostamento degli insegnanti o
del direttore in altra struttura scolastica). Si è creato un fortissimo meccanismo
di rabbia e aggressività contro questa persona dell’ufficio, ma al contempo la
situazione si è parzialmente tranquillizzata, di fronte al “cattivo”, e al pericolo
che rappresentava per il mantenimento dello status quo. Il ruolo del capro
espiatorio è stato quindi ricoperto in modo magistrale da questo collaboratore,
che è diventato bersaglio paradossale di una serie di critiche.
A questo punto sorgono spontanee alcune domande:
L’ attacco esterno ha aiutato il sistema a trovare un equilibrio?
Se sì, quanto è stato consapevole o inconsapevole il meccanismo del capro
espiatorio?
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Conclusioni
Una delle prime slides proposte agli inizi di questo percorso formativo
poneva il dilemma (con il compito di rivederlo alla fine del corso) “Che
consigliera pensate di diventare?”
con alcune ironiche soluzioni caricaturali :
WONDER WOMAN - SUPER MAN
L’AMICONE E L’AMICONA
IL FUNZIONARIO E LA FUNZIONARIA
IL/LA COLLABORAZIONISTA
L’ATTENDISTA
MONSIEUR/MADAME MALUSSENE
Ovvero la vita difficile del capro espiatorio!
Credo con questo elaborato di aver condiviso, anche se per sommi capi,
l’ipotesi che possa effettivamente sussistere il rischio, in talune condizioni, che
si possa diventare Madame o Monsieur Malussene della situazione.
Allora che fare?Alcune riflessioni...metodologiche
� La consapevolezza
Già la consapevolezza del rischio del ruolo connesso alla figura del
consigliere di fiducia può essere un valido ausilio in questo operare. La
dinamica del capro espiatorio è molto più diffusa di quanto si possa pensare,
attribuire ad un esterno colpe non sue, per esprimere la rabbia e ritrovare una
qualche forma di equilibrio, è , anche se a vari livelli di intensità, comune nella
dimensione sociale, lavorativa, privata.
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� Leggere l’organizzazione
Leggere e riconoscere i segnali, anche più nascosti, dell’organizzazione in
cui si è chiamati ad operare come consigliera, a maggior ragione se si è esterni
all’organizzazione. Riconoscerne la cultura organizzativa, ma ancor più la
tolleranza dell’organizzazione nei confronti di casi di molestie o mobbing,
comprendere quale sia il modello di leadership prevalente, la sottocultura
diffusa…. Ma soprattutto cercare di valutare quale spazio di azione
l’organizzazione riconosce e garantisce alla figura del consigliere di fiducia,
quale legittimità gli è data per operare.
� Usare la bussola del conflitto
Ritagliarsi uno spazio di riflessione per comprendere a che livello del
conflitto, secondo la scansione di Tomelleri citata precedentemente, si sta
operando.
Va letto, d’altro canto, in termini quasi paradossali il dualismo
connaturato al ruolo: se da una parte il consigliere di fiducia, agendo
soprattutto con la procedura informale (livello I) non detiene reale potere di
cambiamento, dall’altra è proprio in questa “impotenza” che risiede parte del
suo potere persuasivo sulle persone che a lui si rivolgono. Similmente a
Monsieur Malaussene.
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Bibliografia
J.P.Vernant “Mito e tragedia nell’antica Grecia”, Einaudi, 1976
Renè Girard “Il capro espiatorio”, Adelphi Milano, 1987
Renè Girard “Il capro espiatorio”, Adelphi Milano, 1987
D.Pennac “Signor Malaussene”, Feltrinelli, 1995
Renè Girard “La violenza e il sacro”, Adelphi, 2000
A.R.Gilioli “Cattivi capi cattivi colleghi”, Mondadori, 2000
Ugo Morelli “Educazione sentimentale. Conflitti intra e interpsichici”,
Guerini, 2003
Stefano Tomelleri “La società del risentimento”, Meltemi, 2004
Ugo Morelli “Conflitto.Identità,Interessi,Culture”, Meltemi, 2006