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 · Cari colleghi, Orthonews di Ovindoli IV edizione 2007 ha i suoi abstract. La loro lettura fa...

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www.balestraviaggi.com www.balestracongressi.com

Piazza Roberto Malatesta, 16 - 00176 RomaTel. 0039-062148065/8 Fax 0039-062753790

email: [email protected]

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Cari colleghi,

Orthonews di Ovindoli IV edizione 2007 ha i suoi abstract.

La loro lettura fa dire al Presidente della S.I.O.T. che le

giornate di Ovindoli sono state segnate da un successo di

tipo scientifico veramente encomiabile.

Le relazioni hanno spaziato su quattro grossi ed importanti

capitoli della patologia ortopedica e traumatologica dimo-

strando e non ce ne sarebbe bisogno, quanto il nostro Paese

in questa branca chirurgica primeggi in campo internazio-

nale.

Ringrazio l'amico Paolo Palombi per tutto l'impegno che

sempre profonde sia dal punto di vista organizzativo che

scientifico.

Con l'auspicio che le giornate di Ovindoli del febbraio

2008 siano un ulteriore successo invio a tutti i soci un

saluto anche a nome di tutto il Consiglio Direttivo.

Il Presidente S.I.O.T

Professore Dottore Lanfranco Del Sasso

Prof. Lanfranco Del Sasso

3Cari colleghi,

Ho il piacere di presentare i lavori scientifici della

IV edizione di “Orthonews” Ovindoli 2007.

Le relazioni sono state apprezzate per l’alto conte-

nuto scientifico che hanno contribuito ad elevare ulterior-

mente la tradizione ormai consolidata di questo evento.

Sono orgoglioso di aver avuto il consenso di tanti

illustri Colleghi nonostante le gravi difficoltà organizzative

che quest’anno abbiamo tutti subito per le note vicende

collegate alle nuove normative imposte dalla ultima

legge finanziaria.

In questo numero sono raccolti gli atti delle quattro

giornate dedicate alla chirurgia dell’anca, del ginocchio,

della spalla e della traumatologia.

Con l’occasione ho il piacere di comunicarVi

la data della V edizione di Orthonews che si terrà

dal 13-02-2008 al 16-02-2008 sulle nevi di Ovindoli, con

la novità, particolarmente gradita ai giovani Colleghi, che

l’iscrizione al congresso sarà gratuita.

Un caloroso abbraccio

Paolo Palombi

Prof. Paolo Palombi

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Edge Wear e Lydia: i nuovi limiti del metallo-metallo? F. Randelli, P. Randelli, O. Visentin, E. Caldarella, M. Monteleone, G.Randelli

Utilizzo dei wedge di tantalio per la ricostituzione del centro di rotazione nelle revisioni di cotile. S. Luziatelli, V. Piccinni , G. L. Polce

Cotili a presa iliaca. N. Pace, D. Aucone

La conservazione del collo nella chirurgia protesica dell’anca.A. Carfagni, F. D’Imperio, M. Rendine

Displasia grave nell’adulto: protesizzazione con teste di grande diametro. M. I. Gusso, R. Civinini, M. Villano

La mininvasività nelle protesi d’anca. S. Giannini, A. Moroni, M. Romagnoli, M. Cadossi

Fratture mediali, a quale età la protesi totale?N. Russo, V. Galloppi

Mininvasività: quali i problemi tecnici maggiori nella esecuzione?V. Francione, S. Rapali, M. Partenza

Stelo retto versus stelo anatomico.V. Sessa, P. L. Beatrice

Quale disegno più idoneo per uno stelo corto?A. Passa, M. Bisignani

Quale l’accesso più idoneo per una ripresa funzionale più rapida?M. Stopponi, A. U. Minniti de Simeonibus

Un caso di riprotesizzazione difficile dell’ancaC. Varese

Nostra esperienza nel trattamento delle condropatie di ginocchio con trapianto di condrociti autologhi. E. Somma, G. La Cava, F. Grasso

Protesi monocompartimentale a menisco mobile: 5 anni di esperienza. A. Scarchilli, G. Franceschini

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ginocchio

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indice

6Le ossificazioni eterotopiche dopo artroprotesi di ginocchioS. Ripanti, S. Marin, A. Campi

L’artoprotesi di ginocchio negli esiti di osteotomia valgizzante di tibia. G. Gasparini, S. Cerciello, M. Vasso

La ricostruzione del legamento crociato anteriore con tecnica retro drill.G. Cerullo, G. Puddu

Quale il modello protesico più corrispondente alla cinematica articolare del ginocchio?M. Manili, A. Vitullo, N. Fredella, F. Muratori

Quale modello protesico più corrispondente alla cinematica articolare di ginocchio?F. Rodia, A. Ventura

Protesizzazione mono-bi-compartimentale: dove finisce l’indicazionedell’una ed inizia l’indicazione delle altre?G. Cerciello, G. Conte, A. Laudati, D. Rossetti

Ginocchio: quale il limite delle protesi di rivestimento?R. Barbabella, A. Masini

SESSIONE RIABILITAZIONE:Riabilitazione nelle protesi di ginocchio dopo resezione oncologica.M. Celestini, M. L. Nicodemo, R. Capanna

Nuove frontiere e presupposti sull’utilizzo delle protesi inverse di spalla.F. Laurenza, A. Lispi

Le fratture articolari del III prossimale d’omero. A. Carfagni ,C.F. De Biase, F. D’Imperio, M. Rendine

Le neoplasie del cingolo claveo-scapolo-omerale. M. A. Rosa, D. Lo Vano

Instabilità di spalla e lesioni massive della cuffia.G. Merolla, F. Campi, F. Fauci, P. Paladini, G. Porcellini

Humerus neck fractures treatment, a new method (TGF™).J. Costa Martins

Lesioni massive ed irreparabili della cuffia dei rotatori.S. Gumina, F. Postacchini

Le fratture complesse delle epifisi prossimali di omero: quali soluzioni?F. Rodia, A. Ventura

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7Quali soluzioni nelle fratture complesse dell’epifisi prossimale omerale?G. Logroscino, G. Milano, M. Venosa, E. Pagano, C. Fabbriciani

Quale atteggiamento dopo la prima lussazione di spalla?F. Fauci, G. Porcellini, F. Campi, P. Paladini, G. Merolla

Lussazione anteriore di spalla: il primo episodio.A. De Carli, L. Frate, A. Vadalà, L. Mossa, A. Ferretti

SLAP e lesioni di cuffia.F. Cerza

Caso Clinico: condrosarcoma della scapola.D. Perugia, A. De Carli, M. Ciurluini, A. Vadalà, A. Ferretti

Un caso anomalo.S. Ruzzini

Frattura complessa di omero da arma da fuoco.G. Parente, A. Rea, R. Speciale, V. Venditti, C. Cedrone

SESSIONE RIABILITAZIONE:Linee guida riabilitative per il low back pain.V. Santilli

L’applicazione del Fissatore esterno radiotrasparente Xcaliber Meta-diafisario nelle fratture metafisarie prossimali complesse di tibia.S. Flamini, A. Di Francesco, P. Cerulli, C. Fricano, P. P. Mariani, R. Pizzoferrato

Il trattamento dei crolli vertebrali con VESSELPLASTY. V. F. Paliotta, F. Rodia, P .Palombi

Nostra esperienza nella riduzione intraoperatoria delle fratture di tibia con dispositivo “STORM”. C. Latte, C. Fattore

Strategie ricostruttive nelle lesioni complesse dell’avambraccio. M. Rampoldi

L’utilizzo dei fattori di crescita con trapianti massivi negli esiti di frattura: nostra esperienza. P. Palombi, F. Rodia, A. Piccioli, A. Ventura

Le fratture di collo femore dell’anziano osteoporotico. U. Tarantino, I. Riccardo, L. Domenico

Impiego della fissazione esterna nelle fratture di bacino. S. Pappalardo, P. Braidotti

Pseudo artrosi infette: quale la procedura più affidabile? M. Rosa, L. Aloise, M. M. Marini

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introduzioneLa nuova ondata di protesi di superficieportata avanti da D.McMinn e H.Amstutzha rinnovato l’interesse dei chirurghiortopedici nell’accoppiamento metallo-metallo (Fig.1). Anzi lo ha portatoall’estremo: teste metalliche con diame-tro fino a ben oltre i 50 mm. Nelle pro-tesi di superficie l’utilizzo di diametridella testa di tali dimensioni è in realtàuna necessità dettata dalle dimensionidella testa femorale da preservare.Differente è l’utilizzo dell’accoppiamentometallo-metallo con teste protesiche digrandi dimensioni (teste grandi) con steliconvenzionali. Di fatto lo stesso McMinndi fronte ai primi fallimenti a livellofemorale delle protesi di superficie si eraspesso trovato in una situazione imba-razzante: un cotile metallico di grandidimensioni perfettamente posizionato eosteointegrato e un bone stock acetabo-lare ridotto, a causa del noto ingombroacetabolare delle coppe delle protesi disuperficie. Da qui la nascita di testemetalliche grandi, dello stesso diametrodelle protesi di superficie, capaci di per-mettere una revisione parziale del fallitoprimo impianto. Ci volle poi pochissimoperché i vantaggi dell’utilizzo di diametridi così grandi dimensioni venissero rico-nosciuti da tutti e si passasse ad unaprotesizzazione d’amblèe con testonimetallici. L’aumentata articolarità e ilridotto rischio di lussazione sono argo-menti allettanti per chi ogni giorno com-

batte con casi difficili. Se poi si aggiun-ge che il metallo-metallo possiedeun’usura molto bassa il gioco è fatto.D’altronde in molti ortopedici era ed èancora vivo il ricordo delle protesi diMcKee-Farrar con teste metalliche da40 mm di diametro.Assistiamo quindi ad un diffondersi rapi-dissimo di questo tipo di accoppiamen-to. Ma come sempre avviene in chirur-gia, aumentando i numeri, aumentano lecomplicazioni e, perché no, si scopronoi limiti e le giuste indicazioni.Due possibili ma rari fenomeni negativicolpiscono l’immaginario ortopedico incampo di accoppiamento metallo-metal-lo: l’edge wear e la LYDIA.

edge wearSi tratta di un tipo caratteristico di usurache avviene quando il movimento e il cari-co di una neo articolazione protesica ven-gono concentrati solo su una piccola areadi superficie, spesso il bordo della coppaprotesica. È determinato, soprattutto, daun mal posizionamento della protesi, piùspesso della componente acetabolare.L’entità e l’effetto biologico dei materiali diusura derivanti è anche chiaramente det-tato dal tipo e dalle caratteristiche tribolo-giche dei materiali. Un esempio caratteri-stico di edge wear è una coppa protesicaposizionata in modo troppo verticale. Maperché le teste grandi di metallo metallosarebbero così soggette all’edge wear?Le spiegazioni a questa domanda potreb-

bero essere multiple. Potrebbe trattarsisia della caratteristica forma di questotipo di protesi sia del tipo di materialemetallico con cui sono create. In effetti imetalli utilizzati per queste protesi differi-scono molto tra loro: la maggior partesono leghe di metallo ottenute per “fusio-ne” e quindi in parte più soggette adusura. In realtà grazie ad accorgimentiquali clearance ottimale e svasaturaequatoriale, a questi diametri e conaccoppiamento metallo-metallo, sidovrebbe produrre una lubrificazione con-tinua della neoarticolazione tale da rende-re inutile una lega forgiata di metallo, pro-babilmente più costosa. Ma se la coppa èposizionata troppo verticalmente allora lalubrificazione fluida potrebbe non essercie la qualità del metallo diventare di gran-de importanza. I metalli utilizzati differi-scono anche per contenuto di carbonio etipo di levigatura.Altro aspetto da considerare è la facilitàcon cui anche chirurghi esperti possonoposizionare questo tipo di coppe metalli-che troppo verticalmente rispetto a quan-to concesso dalla forma protesica. Ineffetti si tratta di coppe protesiche noncompletamente emisferiche (180°) ma inmedia di 170° e talune ancora meno(Fig.2). Questo porta ad avere una super-ficie a disposizione del carico minore equindi alla necessità di coprire maggior-mente. Inoltre trattandosi di coppe apress-fit, è possibile un movimento invo-lontario verso la verticalizzazione della

Edge Wear e Lydia:i nuovi limiti del metallo-metallo?F. Randelli, P. Randelli, O. Visentin, E. Caldarella, M. Monteleone, G. Randelli

CENTRO DI CHIRURGIA DELL’ANCA, U.O. DI ORTOPEDIA E TRAUMATOLOGIAIRCCS POLICLINICO SAN DONATO - SAN DONATO MILANESE (MILANO)Dott. F. Randelli

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coppa durante l’impattazione (Fig.3).Altra peculiarità di queste coppe è rappre-sentata dal limitato spessore. In effetti, aspessori troppo limitati, se si sottodimen-siona la fresatura o non la si esegue inmodo perfettamente sferico in un osso“scelorico”, è possibile che, durante l’inse-rimento, si abbia una deformazione plasti-ca della coppa con conseguente effettotorchio della coppa sulla testa metallica.

lydiaSebbene sia un’attraente nome femmi-nile in realtà si tratta di una temibile eancora poco inquadrata complicanza ditipo allergico nei confronti delle particel-le di metallo derivate dall’usura. Unprimo report su caratteristici quadri isto-logici dei tessuti periprotesici in caso direvisione di protesi metallo-metallodolorose viene riportato da H-G Willertsu Osteologie nel 2000. Il pattern è, adetta degli autori, caratteristico: diffusiinfiltrati perivascolari linfocitari T, B eplasmacellule, essudato massivo difibrina, accumuli di macrofagi con inclu-sioni a goccia (Droplike), infiltrati di gra-nulociti eosinofili e necrosi. Viene quindidescritta dagli stessi autori nel 2005 sulJBJS una vera e propria reazione aller-gica di tipo cellulare denominata LYDIA(Lymphocyte-Dominated ImmunologicalAnswer - Risposta ImmunologicaLinfocito Dominata). Una sorta di iper-sensibilità ritardata. Viene comunquedescritta come evenienza molto rara. Ineffetti vengono analizzati i tessuti peri-protesici di 19 pazienti sottoposti a revi-sione di protesi totale metallo-metallodolorosa e vengono riscontrate grandis-

sime similitudini. Dato molto importante:in questo gruppo di 19 protesi non c’ècorrelazione tra quantità di particellemetalliche (usura) e reazione tissutale.Gli autori concludono che si debba trat-tare di una reazione allergica di tipo IV,cellulare, alle particelle metallo. A con-valida della loro tesi il fatto che dei 19pazienti con diagnosi istologica di Lydia,5 subirono una revisione con un nuovoaccoppiamento metallo-metallo conti-nuando a lamentare una persistenza deisintomi. Altri studi riguardanti accoppia-menti metallo-metallo, tra l’altro didiversa fattura e composizione, hannoriportato esami istologici dei tessutiperioperatori con caratteristiche simili aquelle descritte inizialmente da Willert.In realtà però oltre a essere un evenien-za rara la LYDIA viene definita un ele-mento circostanziale e cioè che siriscontra in caso di fallimento di protesimetallo-metallo ma non è ancora statotrovato nessun convincente nesso diret-to di causa effetto.Un mio caso personale emblematico, aconfondere le idee, è quello di una gio-vane donna con coppa verticale e chia-ra metallosi (Cobalto nel sangue 60Ìg/dL) in cui, dopo la revisione avvenutaa 7 mesi dall’intervento, l’esame istolo-gico ha riprodotto fedelmente i canonidella ipersensibilità ritardata.

conclusioniLe teste metallo-metallo di grandediametro sono protesi molto affasci-nanti e con indubbi vantaggi in quan-to a “range of motion”, ridottà lussa-bilità e usura (teorica). I risultati cli-

nici sono spesso strabilianti con otti-mo feeling dei pazienti.Si tratta però di protesi ancora da stu-diare e che richiedono una perfetta tec-nica chirurgica. La possibile usura dacontatto è un evento reale e deve esse-re un monito per il chirurgo perché con-trolli con precisione gli angoli di inclina-zione e antiversione della coppa.L’inclinazione non dovrebbe mai supera-re i 45°, meglio se minore. Taluni chi-rurghi pensano che una testa grandepermetta di ovviare a errori di posiziona-mento del chirurgo dovuti sia a imperiziasia ad alterazioni anatomiche (displasiaetc.) e lasciano coppe metallo-metalloverticali al loro destino. Nessun peggiorerrore può essere commesso.Il metallo-metallo fin dalla sua nascitaha scaturito paure e forse pregiudiziverso il suo utilizzo. Di fatto al momentoattuale non esistono prove della nocivitàdegli ioni metallici in circolo. La reazioneda ipersensibilità è forse l’unica realecomplicazione metallo correlata. Nellanostra esperienza di più di 2200 casi dimetallo metallo gli scollamenti asetticiimputabili a un’ipotetica LYDIA sono stati3 (Fig.4). Di fatto però non è stato anco-ra dimostrato un chiaro nesso di causa-lità tra metallo-metallo, dolore e mobiliz-zazione e repereti istologici in tutti i casianalizzati. Non è chiaro neanche, neicasi analizzati in leteratura, se sia unareazione immunitaria (LYDIA) a contri-buire allo sviluppo dell’osteolisi o siastata l’osteolisi, in taluni casi da metal-losi, a scatenare una reazione immuni-taria che sensibilizza il paziente almetallo superando un determinato livel-

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lo di tolleranza antigenica. Potrebbequindi essere uno scenario diverso daquello ipotizzato. Inoltre in agguatorestano le infezioni da batteri capaci diprodurre Biofilm quale possibile primummovens di questa terribile spirale.A nostro avviso il metallo-metallo rima-ne un ottimo accoppiamento e le testegrandi rispondono a tante delle nostrerichieste. Se ben utilizzate possonoveramente essere la soluzione in molticasi complessi, a rischio di lussazione oad alta richiesta funzionale (Fig.5).Il consiglio finale è comunque di, in casodi fallimento di una protesi metallo-metallo, non sostituire la protesi con unaltro metallo-metallo. La stessa cosadovrebbe comunque essere fatta conaccoppiamento ceramica-ceramica.

Fig.1: anca sinistra di una giovane donna

sottoposta 1 anno prima a

protesi di superficie ASR (Depuy, USA).

Fig.4: esempio di osteolisi asettica di una

protesi metallo metallo. Su 2200 casi di

protesi metallo-metallo abbiamo avuto

solo 3 casi con questo tipo di osteolisi.

Nel nostro campione, non è stato possibile

escludere una possible infezione subdola

(batteri produttori di Biofilm) come casua

di questa rara evenienza.

Fig. 3: schematizzazione grafica di come

una coppa a press fit possa verticalizzarsi

durante il suo inserimento.

Fig.5: rx di una giovane donna affetta da

gravissima lussazione congenita alta

risolta brillantemente da una protesi

conus (Zimmer, USA) abbinata a testone

e coppa metallici di grandi dimensioni

(ASR e XL, Depuy, USA).

Fig.2: differenza tra coppe convenzionali e

coppe metalliche di grande diametro.

Da notare come una coppa a sezione

di sfera (circa 160°) riduca la superficie

teorica per l ‘accoppiamento e favorisca

un possibile edge wear.

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Il numero delle revisioni protesiche negliultimi vent’anni è andato progressivamen-te aumentando in ragione del numerosempre crescente di impianti protesicitotali d’anca (PTA) e del parallelo incre-mento della vita media. Nei Paesi Europeie negli Stati Uniti l’incidenza di revisioni diPTA impiantate nelle ultime due decadi èstimata intorno al 16%. Gli interventi dichirurgia protesica di revisione sonodovuti in gran parte ad allentamento aset-tico (76%), seguito dall’allentamento set-tico (8%), dalla frattura (5%), dalla lussa-zione (5%) e da altre cause (7%).L’efficacia della fissazione acetabolare ènotevolmente migliorata nella chirurgiaprotesica di revisione e dei primi impianti.

Per questo l’incidenza di allentamentoasettico e di osteolisi periprotesica rimanela complicazione, soprattutto a medio-lungo termine, di più frequente riscontro.Le finalità del trattamento della revisionesono: il recupero della perdita ossea, l’ot-tenere una buona stabilità primaria, ilripristino di una corretta biomeccanicaarticolare e quindi il centro di rotazione.Proprio per questo motivo sono nati diver-si dispositivi acetabolari che permettonoal chirurgo di scegliere il trattamento piùidoneo per ogni singolo caso. Le variesoluzioni a disposizione dell’operatorepossono essere utilizzate ricorrendo omeno ad innesti ossei morselizzati e/ostrutturati a cui si associano componenti

acetabolari cementate, non cementate(cotili emisferici a press-fit, cotili in tanta-lio (TMT), cotili ovali e bilobati, cotili diMcMinn) o anelli di rinforzo in associazio-ne o meno al cemento (modulari e non).Tra tutti questi dispositivi, presso ilDipartimento Osteo-articolare del Policlini-co Militare Celio nel 2006, abbiamo usatoin 6 pazienti il sistema di Revisione in TMT,composto, oltre al cotile, da Wedge/Augment e Restrictor, quest’ultimi utilizza-ti anche in associazione con cotili cemen-tati per difetti, anche marcati, di tipo seg-mentario, cavitario e combinato. Scopo diquesto lavoro è mostrare la nostra espe-rienza con questo tipo di impianto al fine diripristinare un corretto centro di rotazione.

Utilizzo dei Wedge di tantalio perla ricostituzione del centro dirotazione nelle revisioni di cotiliS. Luziatelli, V. Piccinni, G. L. Polce

DIPARTIMENTO OSTEO-ARTICOLARE - POLICLINICO MILITARE DI ROMA - CELIODott. S. Luziatelli

Donna 85 aa PTA 1998

Controllo post-operatorio

CASO 1

Donna 73 aa PTA 1995

Controllo post-operatorio

CASO 2

Donna 83 aa PTA 1994

Controllo post-operatorio

CASO 3

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Cotili a presa iliacaN. Pace, D. Aucone

OSPEDALE CIVILE DI JESI - DIPARTIMENTO APPARATO LOCOMOTORE

Dott. N. Pace

Presso l’U.O. di Ortopedia e Trauma-tologia dell’Ospedale Civile di Jesi (An),tra il 1996 e 2006, sono stati effettuati2200 interventi di protesi d’anca: 1913protesizzazioni primarie e 287 riprote-sizzazioni: nel 47% di queste ultime(134 casi) si è proceduto alla sostituzio-ne della componente acetabolare, nel13% (134 casi) di quella femorale e nel40% (114 casi), di entrambe le compo-nenti. Tra il 2002 e il 2006, sono statieffettuati 51 interventi di revisione dellacomponente acetabolare, con impiego dicotili a stelo iliaco (McMinn 22 casi ePedestal 29 casi).I dati raccolti nel corso di questi annidimostrano, ad un follow-up a breve ter-mine, la maggiore efficacia clinica e sta-bilità primaria del Pedestal Cup in corsodi revisioni acetabolari con presenza dideficit ossei di tipo G.I.R. II, III e IV.La tecnica è complessa, ma lo strumen-tario dedicato appare più preciso rispet-to a quello in dotazione con il cotileMcMinn. L’impianto richiede un’accura-ta tecnica e garantisce una stabilità pri-maria in grado di permettere una rapida

mobilizzazione del paziente.Al sistema Pedestal, in particolare, rico-nosciamo:1) la disponibilità di uno strumentariodedicato più preciso

2) la possibilità di ricostruire il correttocentro di rotazione

3) il rispetto del bone stock “superstite4) l’ottima stabilità primaria e seconda-ria dello stelo

5) la ripetitività nella tecnica chirurgica enel posizionamento spaziale

6) la disponibilità di componenti modulari

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Il concetto di mininvasività in chirurgiaprotesica dell’anca da alcuni anni èoggetto di discussione accesa tra i chi-rurghi ortopedici di tutto il mondo.La ricerca della preservazione dei tessu-ti molli e del tessuto osseo ha portatoallo sviluppo di accessi chirurgici, tecni-che operatorie e impianti protesici didiversa concezione rispetto al passato.Gli Autori negli ultimi anni hanno focaliz-zato la loro attenzione sul concetto dirisparmio di tessuto osseo, sia sul ver-sante femorale che acetabolare, piutto-sto che sulla ricerca di accessi chirurgi-ci con cicatrici cutanee di dimensionisempre più piccole.Vengono nel seguente lavoro riportati irisultati e l’esperienza degli Autori nel-l’utilizzo di steli protesici a conservazio-ne della testa e del collo femorale(resurfacing) e di steli a sola conserva-zione del collo. In tutti i pazienti sottopo-

sti ad intervento di artroprotesi a con-servazione del collo femorale è stataimpiantata la protesi CFP (Link °), men-tre per i pazienti con protesi di ricoper-tura sono state utilizzate le protesiBHR(Smith & Nephew) e ASR(De Puy°).Per tutti i pazienti sono stati effettuaticontrolli nel tempo a 1 mese, 3 mesi, 6mesi e dopo ogni anno dall’interventochirurgico. Tutti i pazienti sono stativalutati nel pre e post operatorio con lascheda di valutazione Harris Hip Score.Sono stati quindi valutati i risultati e leeventuali complicanze precoci e tardivedelle due serie, cercando anche di chia-rire la tecnica chirurgica, le indicazioni ele controindicazioni all’utilizzo di taliimpianti.

La conservazione ossea nellachirurgia protesica dell’ancaA. Carfagni, F. D’Imperio, M. Rendine

OSPEDALE S. CARLO DI NANCY (ROMA)Dott. F. D’Imperio

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La protesi totale d’anca in un pazienteaffetto da coxartrosi secondaria a displa-sia rappresenta un intervento complessoche spesso richiede non solo specificiaccorgimenti di tecnica chirurgica, maanche strumentari ed impianti dedicati.Attualmente l’intervento di protesizza-zione delle forme lievi di displasia Crowe1, tecnicamente non si discosta da quel-lo per una “normale” coxartrosi; nei casiCrowe 2 con sublussazione tra il 50 edil 74% vi è un ragionevole risparmio delbone stock acetabolare e il posiziona-mento della coppa nel paleocotile è disolito possibile senza ulteriori accorgi-menti chirurgici.Nei casi di tipo III e IV sono tuttavianecessari specifiche tecniche chirurgi-che per risolvere le due problematicheprincipali: il posizionamento della coppanel paleocotile con la possibilita’ di otte-nere un valido ancoraggio osseo; lagestione dell’allungamento necessarioad ottenere il ripristino del fisiologicocentro di rotazione.Il posizionamento del cotile nel neocotile,oltre alle problematiche dell’allungamen-to, necessita una buona stabilità in unosso che spesso è gravemente ipoplasico,svasato orizzontalmente, antiverso, conun bone stock fortemente ridotto.Gli interventi classici sono rappresentatiin primo luogo dall’utilizzo di innestiossei autologhi strutturati, e quindi datecniche alternative come la medializ-zazione della componente acetabolare,

“l’high hip center”, l’utilizzo di anelli egabbie antiprotrusione, l’utilizzo di com-ponenti di piccole dimensioni.Gli ultimi anni hanno tuttavia visto lo svi-luppo di nuovi biomaterali e di nuovecomponenti protesiche ed in particolarelo sviluppo tribologico ha permesso direalizzare accoppiamenti “duri” conteste di grande diametro e cioè sopra i32 mm; questo ha aperto nuove pro-spettive anche nella chirurgia protesicadell’anca displasica.Scopo di questo studio è quello di valuta-re i risultati di una serie di pazienti condisplasia congenita grave, tipo III e IVsecondo Crowe, trattati con protesi metal-lo-metallo con teste di grande diametroaccoppiate a cotili di piccolo diametroeseguite in un unico tempo.Dal 2002 al 2004 presso la II ClinicaOrtopedica Dell’Università di Firenze sonostati sottoposti ad intervento di artroprote-si totale d’anca 22 casi di coxartrosisecondaria a displasia congenita gravedell’anca.Sono state ricontrollate 18 anche in 11pazienti con un follow up minimo di 2anni, massimo di 4 medio di 3,3; si trat-tava di 9 donne, 2 uomini. L’età’ mediaall’intervento è stata 39.5 anni (min 30max 49 aa). La gravità della displasia èstata classificata secondo il metodo diCrowe et al.(1978)Il tipo I identifica una lussazione prossi-male e laterale minore del 50%; il tipo IIdal 50 al 74%, il tipo III dal 75 al 100%, il

tipo IV lussazione completa.I criteri di inclusione di questo studioerano appunto i casi displasia grave ecioè tipo III e IV secondo Crowe ed appun-to secondo tale classificazione nellanostra serie vi erano 8 casi di Crowe III(55.6%), 10 casi di Crowe IV (44.4%).In 13 casi erano stati eseguiti preceden-ti atti chirugici di questi in 3 casi eranostati precedentemente sottoposti aosteotomia correttiva.L’indicazione all’intervento è stata datadalla presenza di dolore e di importantelimitazione funzionale.In tutti i casi abbiamo cercato di riportareil cotile nel paleocotile, questo è statodeterminato pre-operatoriamente media-nte il diagramma di Pagnano (Pagnano etal., 1996).Per quanto riguarda la tecnica chirurgicain 11 casi abbiamo utilizzato un accessolaterale diretto standard, in 7 casi perottenere l’abbassamento abbiamo utiliz-zato una via ileo femorale modificata cherappresenta l’estensione prossimalelungo la cresta iliaca del convenzionaleaccesso ileo-femorale, in 2 casi abbiamoinoltre eseguito una osteotomia sottotro-canterica derotativa e di accorciamento.In tutti i casi abbiamo utilizzato articolazio-ni metal-on-metal: cotili a basso profilocon teste grandi. Non abbiamo mai utiliz-zato componenti cementate o innestiossei strutturati.La componente acetabolare utilizzata èstata in 7 casi (38.8%) il cotile Durom

Displasia grave nell’adulto:protesizzazione con testedi grande diametroM.I. Gusso, R. Civinini, M. Villano

DIPARTIMENTO DI ORTOPEDIA E TRAUMATOLOGIA, CHIRURGIA PLASTICA E RIABILITAZIONEDELL’UNIVERSITÀ DI FIRENZE - DIRETTORE: PROF. MARCO ITALO GUSSO

Prof. M. I. Gusso

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(Zimmer), in 8 (44.4%) il cotile M2a(Biomet); in 2 casi (11.2%) il cotile ARS(De Puy), in 1 caso (5.6%) cotileConserve Plus (Wright). Per quantoriguarda la componente femorale 8 casi(44.4%) lo stelo Conus (Zimmer), 6 casi(33.3%) lo stelo PPF (Biomet), 1 caso(5.6%) stelo Alloclassic (Zimmer), in 2casi (11.2%) lo stelo S-Rom (De Puy), 1caso (5.6%) lo stelo Wagner (Zimmer). In2 casi (11.2%) è stata necessaria unaosteotomia femorale.A tutti i pazienti è stato chiesto di ritorna-re per un controllo clinico e radiografico a1 mese, 12, 18, 24 e 36 mesi.Dal punto di vista clinico i pazienti sonostati valutati secondo l’HHS pre-opera-torio, post-operatorio ed al più recentecontrollo.La valutazione radiografica pre-operato-ria, post-operatoria ed al follow up èstata eseguita con radiografie standardantero posteriore di bacino ed ascellarein tutti i casi; in 7 casi (38.8%) è stataeseguita una Tc preoperatoria con rico-struzioni 3D; in 1 caso (5.6%) è stataeseguita una arteriografia.Dal punto di vista clinico abbiamo valuta-to i risultati secondo il punteggio HarrisHip Score: tale punteggio è incrementatoda 63.6 punti pre-operatorio a 95.2 puntipost operatorio (range 77-100).Più in particolare i risultati sono statiottimi in 8 pazienti (72.3%), buoni in 2pazienti (18.2%), insufficienti in 1paziente (9.1%).La dismetria media prima dell’interventoera 5 cm (1-7). L’incremento della lun-ghezza dell’arto è stato in media 4.6 cm(2.5-6.0 cm), la dismetria all’ultimo con-

trollo varia da 0 a 2 cm.Dal punto di vista di radiografico l’inclina-zione media del cotile è stata 55° (min40°- max 70°), la copertura media erastata del 95%.Il cotile risultava posizionato in 16 casinella zona 1 (infero-mediale) in 2 casi inzona 2 (supero-mediale) secondo il dia-gramma a 4 zone descritto da Pagnano.All’ultimo controllo radiografico in nes-sun caso sono state notate osteolisi némigrazione della componente acetabola-re e femorale; tutte le componenti sonostate definite radiograficamente e clini-camente stabili.Inoltre, l’impiego di componenti acetabo-lari a basso profilo ci ha consentito diottenere un valido ancoraggio anche inun osso insufficiente fornendo una buonastabilità primaria.L’utilizzo di teste grandi consente diavere un maggiore ROM ed una migliorestabilità articolare con un minore rischiodi lussazione;infatti in nessun caso dellanostra serie abbiamo avuto lussazionianche se dobbiamo precisare che in 8casi (44.4%) abbiamo utilizzato una con-tenzione in apparecchio gessato pelvipodalico per 30 giorni. Il ROM medio èincrementato da 48° a 105° per la fles-so-estensione, da 10° a 40° per addu-zione/abduzione e da 5.0° a 25° per l’in-tra-extrarotazione.Questa tipologia di impianto consentequindi una aumentata tolleranza al gradodi antiversione ed inclinazione della coppa,con posizionamenti anche più verticali.Riteniamo sulla base dei nostri risultati,considerata comunque la brevità del fol-low up, che la tecnica utilizzata, anche se

non scevra di rischi e complicanze, possarappresentare una valida alternativa allecomuni procedure utilizzate nella prote-sizzazione dell’anca displasica, fornendouna buona stabilità articolare e soprattut-to un buon recupero dell’articolarità, ele-mento di non poco conto trattandosimolto spesso di pazienti giovani con alterischieste funzionali.I risultati delle protesi con componentiacetabolari di piccole dimensioni accop-piate con teste grandi metallo-metallo,associate quando necessario ad unaparticolare via chirurgica che consente inun tempo solo l’abbassamento e l’im-pianto, ci sembrano incoraggianti e cispingono a continuare con questa meto-dica quando dobbiamo confrontarci concasi di displasia grave.

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Il trattamento delle patologie dell’anca inpazienti giovani e attivi rappresenta unadifficile scelta, prevalentemente a causadei risultati non soddisfacenti a lungo ter-mine che si ottengono con le sostituzioniprotesiche totali. I risultati dell’artroplasti-ca convenzionale dell’anca sono infattimolto positivi nei pazienti anziani, mentrenei pazienti giovani non sono altrettantosoddisfacenti. Questi scarsi risultati clinicidipendono dall’elevata attività funzionaledei pazienti giovani che determina un’ele-vata usura dei materiali con conseguenteaumento dei fallimenti per mobilizzazionedell’impianto protesico. Per migliorare irisultati funzionali e la durata delle artro-protesi d’anca nei pazienti giovani e/oattivi sono state proposte diverse soluzio-ni come l’accoppiamento ceramica-cera-mica, l’accoppiamento metallo-metallo,l’uso di impianti poco invasivi che conser-vino al massimo il “bone stock” e le pro-tesi di rivestimento. Queste ultime in par-ticolare, dopo essere state abbandonatenegli anni 80 per l’alta percentuale di fal-limenti negli ultimi anni hanno subito un

nuovo impulso con lo sviluppo dei bioma-teriali e il miglioramento delle conoscenzetribologiche tanto che oggi, sulla basedegli ottimi risultati pubblicati in letteratu-ra, si può oggi affermare che che la pro-tesi di rivestimento dell’anca è un inter-vento che rappresenta il trattamento discelta nei pazienti giovani e/o attivi conpatologie dell’anca.

La mininvasività nelle protesi d’ancaS. Giannini, A. Moroni, M. Romagnoli, M. Cadossi

CLINICA ORTOPEDICA UNIVERSITARIA DEGLI STUDI DI BOLOGNAISTITUTI ORTOPEDICI RIZZOLI (BOLOGNA)

Prof. S. Giannini

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riassuntoLe fratture mediali di femore sono unevento casuale che coinvolge soprattuttogli anziani con un rapporto maschi /fem-mine di 1:3. Costituiscono un importanteproblema sanitario nei Paesi industrializ-zati che sta assumendo proporzioni espo-nenziali dato il prolungameto della vitamedia della popolazione con un aumentodegli ultra settantacinquenni con costisociali elevatissimi. La terapia è essen-zialmente chirurgica mediante osteosinte-si o artroplastica. Presentiamo la nostraesperienza su 120 casi di fratture media-li di femore presso l’ICOT di latina.

introduzioneLe fratture mediali sono lesioni intracap-sulari che coinvolgono una ristretta zonadel collo femorale caratterizzata da scarsotessuto spongioso e periostio sottile oassente. In questi tipi di fratture la vasco-larizzazione del frammento distale è nor-malmente conservata mentre l’apportoematico al frammento prossimale è ridot-to o, in caso di scomposizione, assente;per questa ragione la necrosi avascolaredella testa ed il ritardo di consolidazionesono complicanze frequenti. (Fig. 1)Le fratture mediali di femore vengonoclassificate in base a diversi criteri.Classificazione per localizzazione anatomi-

ca: indicazione del sito di frattura (Fig.2).La Classificazione A.O. sec. Muller chedà indicazione del sito di frattura e dellasua complessità ed è sicuramente il rife-rimento per eccellenza per il chirurgoortopedico (Fig 3).Una classificazione che può dare un’ideadell’evoluzione della guarigione della frat-tura anche dopo la sintesi chirurgica è laclassificazione secondo Garden che utiliz-za un concetto anatomo-patologico-radio-grafico ed è basata sul grado di disloca-zione della testa rispetto all’orientamentodelle trabecole mediali di compressionedella testa e del collo (Fig 4).

Fratture mediali di femore:a quale età la protesi totale.N. Russo, V. Galloppi

ISTITUTO CHIRURGICO ORTOPEDICO TRAUMATOLOGICO LATINADIRETTORE: PROF. G. COSTANZODott. N. Russo

Fig. 1: vascolarizzazione estremo prossimale di femore

Fig. 3: classificazione AssociazioneOsteosintesi sec. MullerFig. 2: a) Fratture sottocapitate b) Fratture mediocervicali c) Fratture basicervicali

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Queste fratture avvengono generalmen-te per una caduta accidentale sull’anca.Sono più comuni tra gli anziani con unrapporto maschio/femnmine 1:3Costituiscono un importante problemasanitario nei Paesi industrializzati didimensioni imponenti: ogni anno inEuropa si registrano circa 500.000nuovi casi, con un onere economico sti-mato in oltre 4 miliardi di EURO per lesole spese relative all’ospedalizzazione;è stato valutato, inoltre, che i costisociali, nell’anno successivo all’inter-vento, vengono raddoppiati a causadelle spese per la fisioterapia, le terapiemediche, le visite ortopediche e l’invali-dità sociale. Per i prossimi decenni èprevisto un cospicuo aumento dell’inci-denza delle fratture dell’epifisi prossi-male del femore; si valuta che in Europa

nel 2030 vi saranno circa 750.000nuovi casi per anno, e che tale numeroraggiungerà il 1.000.000 nel 2050.Il fenomeno è di indubbio interesseanche sotto il profilo sanitario, in quantola frattura del femore si accompagnaspesso ad un peggioramento della qua-lità della vita e ad un incremento dellamortalità. Fattori di incidenza sono sicu-ramente: osteoporosi, diminuzione dellaacuità visiva, attività fisica ridotta, mal-nutrizione, deficit neurologici, riflessialterati, disequilibrio, astenia.Numerosi ricercatori hanno infatti dimo-strato che, nonostante i progressi nel-l’anestesia, nelle tecniche chirurgiche enell’assistenza, ancora oggi il tasso dimortalità nei mesi successivi all’eventotraumatico risulta notevolmente elevato.Sono state inoltre svolte indagini per

stabilire quali siano i principali fattoriche si associano a tale eccesso di mor-talità, ma i risultati ottenuti hanno porta-to a conclusioni spesso discordanti.

Mortalità precoce dopo frattura dell’estre-mità prossimale del femore:studio prospettico su 2600 pz

-Mortalità a 30 gg.: 9%-Mortalità a 90 gg.: 19%-Mortalità a 1 anno: 30%

-Mortalità pz operati entro 1 giorno: 8,7%-Mortalità pz operati tra 1 e 4 gg: 7,3%-Mortalità pz operati oltre i 4 gg.: 10,7%

Moran C.G. et Al., J.B.J.S. Mar 2005

Fig. 4: a) Garden tipo I – Incomplete o ingranate con testa ruotata in valgo. Sono stabili.b) Garden tipo II – Complete o senza spostamento con testa in modico varismo. Sono stabili.c) Garden tipo III - Scomposte con risalita ed extrarotazione del moncone distale – testa ruotata in varo. Sono più o meno stabili.d) Garden tipo IV - Scomposta con risalita ed extrarotazione del moncone distale- testa ruotata in valgo o nessuna rotazione. Instabili.

a) b) c) d)

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materiali e metodiNel solo anno 2005 abbiamo trattatopresso l’Istituto Chirurgico OrtopedicoTraumatologico (I.C.O.T.) di Latina 120fratture mediali di femore in 85 pazientifemmine e 35 maschi con una età com-presa tra 49 e 97 anni.La Tabella 1 mostra il numero e la tipolo-gia delle fratture trattate, divise in trefasce di età (Tab. 1).In tutti i casi è stato adottato un tratta-mento chirurgico di Osteosintesi con vitio chiodi (20 casi) e di Artroplastica (100casi), (Tab. 2).

discussioneLa terapia delle fratture mediali di femoreè essenzialmente chirurgica e basata su:1) Osteosintesi con chiodi, viti o placche -nei pazienti giovani con fratture compo-ste o scomposte o negli anziani confratture ingranate. Questa metodicanon consente il carico precoce dato chetraumi ripetuti, anche se modesti pos-sono far crollare un’epifisi ischemicache sta rivascolarizzando. La mortedella testa può manifestarsi anche tar-divamente, 1-2 anni, nonostante che ilcollo si sia ricostituito e consolidato. Aquesta evenienza giungono fino al 33%dei pazienti apparentemente guariti.

2) Sostituzione protesica - è l’intervento dielezione nei pazienti anziani artroprote-si totale nei pz tra 65 e 80 anniendoprotesi nei pz oltre 85 anni.

Si possono utilizzare così come riportatoin letteratura varie tipologie di impianti:a - PROTESI PARZIALI: protesi con steloendomidollare e testa metallica che siarticolano a contatto diretto col cotile

senza interposizione di altri materiali.b - PROTESI BIARTICOLARE: stelo cemen-tato, testina e cupola mobile in polieti-lene blindata da un rivestimento metal-lico. Due livelli di mobilità, testina/cupo-la/acetabolo

c - PROTESI TOTALE DI ANCA: stelomidollare cementato e non, testina ecomponente acetabolare solidale conl’osso del bacino

Gli impianti protesici consentono di met-tere in piedi velocemente il paziente ridu-cendo rischi secondari.Da queste considerazioni generali dettate

dagli orientamenti internazionali è scaturi-ta la nostra strategia chirurgica.Abbiamo lasciato il sistema dell’Osteo-sin-tesi con viti o chiodi nei pazienti molto gio-vani che se sottoposti ad una artroplasticanel futuro dovrebbero essere sottoposti a 2o più interventi di riprotesizzazione. Lametodica l’abbiamo, inoltre, riservata apazienti molto anziani con molteplici pro-blematiche mediche (ASA III – IV), patologiecroniche che inficiano la deambulazione ocon breve attesa di vita. Pazienti di qualun-que età con fratture ingranate (Fig. 5).

Tab. 1 - NUMERO E TIPOLOGIA DELLE FRATTURE PER ETÀ

N° < 65 ANNI 65<>85 ANNI > 85 ANNI

SOTTOCAPITATE 64 9 37 18

MEDIOCERVICALI 20 3 13 4

BASICERVICALI 36 6 20 10

Tab. 2 - NUMERO E TIPOLOGIA DI IMPIANTI PER ETÀ

< 65 ANNI 65<>85 ANNI > 85 ANNI

ENDOPROTESI 0 0 6

BIARTICOLARI 6 12 10

PROTESI TOTALI 20 36 10

Fig. 5: a) osteosintesi con viti cannulate in pz.di 72 aa., b) osteosintesi con chiodi di Galluccioin pz. di 64 aa. ASA IV. c) osteosintesi con viti cannule in pz di 15 anni.

a b c

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La sostituzione protesica è secondo noila terapia di elezione tenendo conto, del-l’età, delle condizioni generali e locali (es.coxartrosi) del soggetto, dello stile di vita edell’attesa di vita.La seguente tabella mostra il numero e latipologia di impianti e la distribuzione peretà (Tab. 2).Abbiamo impiantato pochissime endo-protesi cementate e solo in pazienti ultraottantacinquenni. Riteniamo la sceltadella cementazione da procrastinare ilpiù possibile.Pertanto l’utilizzo di determinati tipi di pro-tesi (Moore, Thompson) lo riteniamo scon-sigliabile per i seguenti motivi: complican-ze quali le cotiloiditi da grandi teste metal-liche e gli scollamenti asettici nei pazientiosteoporotici che portano ad un aumentodei casi di revisione con tutte le implicazio-ni anche di ordine medico legale.Riteniamo pertanto d’elezione l’utilizzo diprotesi totale di anca (Fig.6) nei pazientiche hanno maggiori esigenze funzionali,malattie croniche (artrite reumatoide),osteoporosi, fallimenti della fissazioneinterna con viti e chiodi (necrosi avascola-re, pseudoartrosi), mentre l’indicazione adun impianto di protesi bipolare cementata

(Fig. 7) lo riserviamo ai pazienti di qualsia-si età con gravi malattie croniche, bassarichiesta di funzionalità e limitate aspetta-tive in lunghezza e qualità della vita.Studi comparativi tra questi due sistemidi impianto, confortano la nostra strate-gia chirurgica(Am. J. Pub. Healt. 1994 - J.B.J.S. Am.1994 - Clin. Orthop Relat Res. 2001 -Orthopedics 2003 - Acta Orthop.2005)• Percentuale di lussazioni - emiartro-plastica 2-3% - VS - PTA 11%

• Percentuale di revisione chirurgica –emiartroplastica 6-18% - VS - PTA 4%

• Percentuale di TVP/ Edema Polmo-nare/Mortalità - nessuna differenza

• Dolore/Funzione/Sopravvivenza/Costo-beneficio - PTA migliore - VS - emiar-troplstica

conclusioniDato l’allungamento e il miglioramentodella qualità della vita nel paziente anzia-no, principale attore nelle fratture medialidi femore, l’artroprotesi totale d’anca noncementata è a tutt’oggi secondo il nostroorientamento l’intervento di elezionequando le richieste funzionali del pazientesono elevate quale che sia l’età, esclu-

dendo i pazienti molto giovani per cui lepossibilità di guarigione con osteosintesisono buone, minori le complicanze tardivequali necrosi avascolare o pseudoartrosi.Le protesi bipolari cementate le riservia-mo ai pazienti ultraottantacinquenni o congravi malattie croniche, bassa richiesta difunzionalità e limitate aspettative in lun-ghezza e qualità della vita.

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anca

L’artroprotesi totale d’anca è tra gliinterventi maggiormente eseguiti nellachirurgia ortopedica. Abbiamo assistitonegli anni a una evoluzione degliimpianti protesici modificati nel Design enei Biomateriali mentre gli accessi chi-rurgici utilizzati sono rimasti sostanzial-mente gli stessi.Di recente anche nella chirurgia ortope-dica vi è stato un crescente interesseper la chirurgia mininvasiva. Il concettodi mininvasività in chirurgia protesicanon è solo la riduzione del danno chirur-gico ai tessuti molli mediante lo sviluppodi miniaccessi chirurgici ma anche esoprattutto la conservazione del patri-monio osseo utilizzando impianti prote-sici di dimensioni ridotte.Il miniaccesso chirurgico, per noi, non èstata una scelta ma il risultato dell’espe-rienza maturata negli anni ed il rendersiconto che “tanta” incisione non servivaTra i classici accessi chirurgici, perscuola abbiamo sempre utilizzato la vialaterale diretta di Hardige, modificatanelle dimensioni dell’accesso sia cuta-neo che dei tessuti molli periarticolari.Lavia tradizionale è stata ridotta e l’incisio-ne raggiunge circa gli 8 cm.

Alcuni accorgimenti sono necessari perrealizzare questa via.L’utilizzo di un divaricatore prossimalepermette una più ampia visione lascian-do libera la mano di un assistente.Un Homan curvo con una garza di prote-zione permette di non ledere il collofemorale nella preparazione del cotile.La preparazione del cotile mediantefrese acetabolari curve e il posiziona-mento tramite impattatori dedicati allaMIS rendono possibile l’impianto senzadanneggiare il femore.L’utilizzo di un manico potabrocce eporta stelo curvi rendono più agevole lapreparazione del canale femorale e l’im-pianto dello stelo.Questa tecnica non è sicuramente senzadifficoltà.La preparazione del cotile può risultarenon agevole nelle osteotomie molto alte,soprattutto nei pazienti obesi, in pazien-ti con teste di grandi dimensioni e spe-cialmente quando si utilizzano cotili daResurfacing e teste di grande diametro,che possono creare qualche difficoltàsia nella riduzione di prova che in quelladefinitiva.Siamo convinti che nella mininvasività

sia molto più importante la mininvasivitàprotesica.Stiamo utilizzando da circa due anni lostelo Proxima senz’altro più conservati-vo rispetto a steli tradizionali.I vantaggi con la tecnica minivasiva sonomolteplici, necessita però di un trainingadeguato e di uno strumentario dedica-to, al fine di ridurre i problemi tecnicinell’esecuzione.

Mininvasività: quali i problemitecnici maggiori nell’esecuzione?V. Francione, S. Rapali, M. Partenza

U.O. ORTOPEDIA E TRAUMATOLOGIA - OSPEDALE “G. MAZZINI” (TERAMO)Dott. V. Francione

26

anca

L’evoluzione dei materiali a livello dell’arti-colazione, quali polietilene ad alto pesomolecolare, superfici metallo-metallo, oceramica-ceramica, ha comportato la dra-stica riduzione dell’osteolisi secondariaall’usura dei materiali d’impianto, spostan-do l’attenzione sulla geometria dello stelo.La scelta di quest’ultimo non può prescin-dere dall’anatomia del femore, per cui ilprimo criterio da seguire è quello di privile-giare lo stelo protesico che meglio si adattaal femore. A questo riguardo si fa riferimen-to al canal flare index introdotto da Noblenel 1988 (Fig. 1) che permette di distingue-re tra femore cilindrico, femore normocon-formato e femore a coppa di champagne.In caso di femore del 1° tipo (Fig. 2)risulta controindicato uno stelo anatomi-

co, così come nel trattamento delleanche displasiche.L’altro criterio di scelta si basa sui risulta-ti e sull’esperienza del passato. A questoproposito i risultati sono praticamentesovrapponibili. L’unica differenza vieneriportata dall’analisi del riassorbimentoosseo che può essere validamente studia-to mediante DEXA.Il riassorbimento, anche a fronte di risul-tati clinici ottimi a distanza, è inopinata-mente elevato in entrambi i tipi di stelo,con percentuali comprese fra il 60 ed il70%, anche se con delle differenze.Lo stelo anatomico, (Fig. 3 a e b), cheassicura un miglior riempimento metafi-sario (fill), determina a livello metafisario

un riassorbimento minore rispetto a quel-lo retto, (Fig. 4 a e b), laddove quest’ulti-mo, in grado di garantire una migliore fis-sazione (fit), con presa in 3 punti, induceinvece un minor riassorbimento a livellodiafisario rispetto allo stelo anatomico.La soluzione potrebbe essere rappresenta-ta dalle protesi a conservazione di collo(Fig. 5, 6) che non solo non causano rias-sorbimento, ma addirittura determinano unaumento della densità ossea metafisaria.Inoltre, le protesi a conservazione di collo,possono rappresentare una risposta effi-cace nel trattamento di femori difficili.In conclusione riteniamo preferibile l’impie-go dello stelo retto, da una parte, per gli otti-mi risultati, ormai a 20 anni, riportati danumerose casistiche, dall’altra, sia per unamaggiore semplicità d’impianto che per unamigliore adattabilità alle varie situazioni.

Stelo retto versus stelo anatomicoV. Sessa, P. Beatrice

UOC ORTOPEDIA E TRAUMATOLOGIA

OSPEDALE S. GIOVANNI CALIBITA FATEBENEFRATELLI - ISOLA TIBERINA (ROMA)

Dott. V. Sessa

Fig. 1

Fig. 2

Fig. 3 - a) b)

Fig. 4 - a) b)

Fig. 5

Fig. 6

27

anca

Nel corso degli anni la nostra scelta si è indi-rizzata verso un progressivo utilizzo di stelifemorali che consentissero un ancoraggioprossimale e, ove possibile, in base all’età equalità dell’osso, una fissazione metaepifi-saria. Lo stelo Eska Cut, che impiantiamodal 2002, è uno stelo di piccole dimensioni,di forma conica, con finitura esterna trabe-colare aperta, e consente una fissazionemetaepifisaria, quindi, con conservazionedel collo femorale. La superficie medialedello stelo si integra perfettamente nel siste-ma trabecolare di pressione, poggiandosulla corticale mediale del collo femorale,mentre la superficie laterale si adatta alleforze anche di trazione e la punta ha uncontatto diretto con la corticale laterale.

Nella nostra casistica l’impianto è statoeffettuato sia in casi di coxartrosi primariasia in casi di displasia e di necrosi dellatesta femorale. Abbiamo impiantato 39componenti femorali Eska Cut associate aCotile Eska con accoppiamento ceramica-ceramica (22 casi coxartrosi primaria, 9casi displasia, 2 casi necrosi asettica, 1caso esiti frattura-lussazione), 5 casi artro-protesi bilaterale in tempi differenti; etàmedia 49 anni (29 - 65). Inizio della cine-siterapia in II giornata, carico sfiorante per45 giorni, poi carico progressivo con caricocompleto a 90 giorni.Il disegno dello stelo Cut presenta molteplici

vantaggi: consente un ancoraggio mininva-sivo permettendo una fissazione metaepifi-saria con risparmio del collo femorale e,quindi, conservazione della bioarchitetturacoxofemorale; consente una versatilità diutilizzo con possibilità di adattamento allediverse morfologie del collo femorale e pos-sibilità di impianto anche in femori displasicie in necrosi della testa femorale; non è sot-toposto a forze di torsione ma segue fisiolo-gicamente l’intra ed extrarotazione dellatesta femorale; permette una riduzione dellaperdita ematica in quanto viene rispettato ilcanale midollare; in caso di revisione si puòpassare ad un impianto tradizionale.

Quale disegno più idoneoper uno stelo più corto?A. Passa, M. Bisignani

I DIVISIONE CTO (ROMA)Dott. A. Passa

Fig. 1: controllo intraoperatorio.Posizionamento non soddisfacente dellaraspa (a); “valgizzazione” dello stelo.Si noti il maggior affondamento lateraledella raspa. (b)

Fig. 2: displasia in donna di 34 anni (a);Controllo post operatorio (b).

Fig. 5 : coxoartrosi in donna di 50 anni (a). Controllo post-operatorio (b).

Fig. 3: displasia in donna di 47 anni (a,b), con quasi totale assenza del collo femorale, cheviene ricavato dalla osteotomia della testa. Controllo post-operatorio (c).

Fig. 4: necrosi della testa femorale in maschio di 54 aa. obeso (130Kg) (a,b). Controllo a 4mesi (c) e a 2 anni (d).

Fig. 6: scintigrafia ossea a 5mesi dall’impianto (caso fig.5)Minimo accumulo periprotesico

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anca

Negli ultimi anni sono state propostenovità rilevanti nell’ambito della chirurgiaprotesica dell’anca. Vi sono stati pro-gressi nel campo dei materiali e degliaccoppiamenti protesici, nella geometriadegli impianti (protesi di rivestimento,protesi a conservazione del collo) e nellevie d’accesso. L’intento è di garantire laripresa funzionale più rapida, traumatiz-zando al minimo i tessuti molli ed utiliz-zando accessi sempre più ristretti, senzacompromettere l’accuratezza dell’im-pianto e l’orientamento delle componen-ti a causa di una ridotta visuale chirurgi-ca, e quindi influenzare negativamente ilrisultato a distanza.Non vi sono chiare evidenze se una viad’accesso sia superiore alle altre comerisultato funzionale e come incidenza dicomplicazioni. La via posteriore, secondola metaanalisi di Masonis (2002), provo-cherebbe meno zoppia e Trendelenburgrispetto alla laterale diretta. Ciò potrebbeessere dovuto al rispetto del medio glu-teo, che viene invece diviso in due partidurante la via laterale diretta, con un piùche potenziale rischio di lesione del nervogluteo superiore, che risulta danneggiatonel 23% di 81 pazienti operati e poi stu-diati mediante emg (Ramesh 1996).L’alta percentuale di lussazioni riportatanegli operati tramite via posteriore(4.36%) si riduce decisamente se vieneeffettuata una riparazione della capsulaarticolare posteriore e degli extraruotato-ri (1.01%, da Kwon 2006).Agli inizi del nuovo millennio alcuni pio-

nieri si sono dedicati con grande impe-gno all’impianto di protesi utilizzando lacosiddetta chirurgia miniinvasiva.Abbiamo già accennato alle problemati-che strettamente legate al ristrettocampo chirurgico e quindi alle difficoltànel corretto posizionamento degliimpianti. Questa tematica fondamentaleesula dall’argomento di questa relazione,che riguarda essenzialmente il recuperofunzionale, per cui non verrà approfondi-ta in questa sede.La prima vera bomba che ha fatto pen-sare che potesse aprirsi una nuova eranel campo della protesica è stato ilreport di Berger (2004), che ha presen-tato dei formidabili risultati in una seriedi 100 pazienti selezionati, operati in dayhospital tramite una doppia mini via diaccesso, con nessuna lussazione o riam-missione ospedaliera. La doppia via con-siste in un accesso di 4-5 cm utilizzandol’intervallo di Smith-Petersen per il coti-le, e un accesso trans-gluteo per lostelo, così come si fa per l’impianto di unchiodo endomidollare.Alcuni hanno però ipotizzato che questisuccessi precoci non siano dovuti esclu-sivamente ad un minore trauma sui tes-suti molli correlato con l’incisione limita-ta e la via d’accesso, ma anche (osoprattutto) a:1) selezione dei pazienti e preparazionepreoperatoria

2) nuovi protocolli anestesiologici3) protocolli di trattamento del dolore4) protocolli di riabilitazione precoce.

In uno studio su pazienti non selezionatii risultati di Berger non sono stati confer-mati (Pagnano 2005).In un altro studio non si sono registratedifferenze significative nelle tappe dellariabilitazione di pazienti operati attraver-so via d’accesso laterale standard emini-laterale (Asayama 2006).In uno studio su cadaveri si è rilevato chela via con doppia incisione non era inrealtà più lesiva sulle strutture muscolo-tendinee rispetto alla mini posterior(Mardones 2005). I muscoli medio e pic-colo gluteo venivano danneggiati signifi-cativamente dal passaggio delle raspe edello stelo durante la preparazione el’impianto, rispettivamente per il 15.4%e il 17.37% della massa muscolare.In uno studio analogo si effettuava unconfronto tra la mini-anterior, senzaquindi l’incisione trans glutea, accusatadi provocare il danno sui glutei, e la mini-posterior (Meneghini 2006). Il piccologluteo veniva danneggiato maggiormen-te nella miniposterior, così come gliextraruotatori, sezionati durante la viaposteriore (nella mini anterior sezionatinel 50% durante il release capsulare). Sirilevava tuttavia che nella mini-anteriorveniva provocato un danno al tensoredella fascia lata pari al 31.32% delmuscolo, e al retto femorale per un 12%,con conseguenze funzionali da chiarire.In pazienti con protesi bilaterale impian-tata attraverso vie differenti, mini-poste-rior e 2-incision, si rilevava un recuperopiù rapido nelle anche operate per via

Qual’è l’accesso più idoneo per unaripresa funzionale più rapida?M.Stopponi, A. U. Minniti de Simeonibus

II DIVISIONE ORTOPEDIA E TRAUMATOLOGIA - OSPEDALE S. GIOVANNI (ROMA)PRIMARIO PROF. A.U. MINNITI DE SIMEONIBUS

Prof. A. U. Minnitide Simeonibus

29

anca

mini-posterior e una preferenza deipazienti per l’anca operata per via poste-riore (Pagnano 2006).Molto interessante anche il recentissimoreport di Nuelle et al (2007), che, aven-do impiantato 50 protesi per via lateralestandard, utilizzavano in 25 di essi imedesimi protocolli anestesiologico,antidolorifico e riabilitativo impiegati daBerger, e nei rimanenti 25 il protocollostandard. Nei pazienti trattati con proto-collo “mini” la riabilitazione ha seguitotempi e modi similari agli standard mini-invasivi, pur essendo stata utilizzata unavia convenzionale.Si può sintetizzare che gli studi successivia quello di Berger non hanno ripetuto irisultati funzionali di questo autore e hannodimostrato la lesività dell’accesso con dop-pia incisione nei confronti delle strutturemuscolo-tendinee, ben oltre quanto soste-nuto dai perfezionatori della via.L’influenza dei nuovi protocolli anestesiolo-gici, di controllo del dolore e riabilitativisembra essere molto importante per ilrecupero degli operati per via miniinvasiva.

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30

anca

Caso clinico di re-revisione dello stelocementato e di sostituzione primaria dellacomponente acetabolare cementata.

caso clinicoMobilizzazione asettica di stelo protesicolungo cementato con estesa perditaossea, in donna di anni 71.Componente acetabolare cementata.Già precedentemente operata di revisionedello stelo.

via di accesso chirurgica posterolateralecon approccio transfemorale

N.B.: è fondamentale per la consolidazio-ne della finestra ossea la preservazionedelle inserzioni muscolari che non debbo-no essere distaccate.

STELO FEMORALE DA REVISIONEDI WAGNER

• Stelo diritto, monoblocco e di profiloconico con 8 alette longitudinali.

• In lega di titanio Protasul-100 consuperficie irruvidita a getto macrogra-nulare.

Un caso di riprotesizzazionedifficile dell’ancaC. Varese

ASL RME U.O.C. ORTOPEDIA - TRAUMATOLOGIA - PRESIDIO OSPEDALIERO VILLA BETANIADott. C. Varese

31

anca

risultatiControllo Rx postoperatorio

Controllo Rx a 2 anni

33ginocchio

35

ginocchio

Riportiamo la nostra esperienza di unanno nel trattamento delle lesioni con-drali di origine traumatica e degenerati-va, con l’impianto di condrociti autolo-ghi su matrice 3D (BioSeed ®-C).Abbiamo trattato 20 casi di lesioni car-tilaginee focali, singole o multiple, consuperficie superiore a 1-1,5 cm2, loca-lizzate nei condili femorali, piatto tibialee rotula, di III e IV grado della classifica-zione di Outerbridge; in alcuni casi èstata associata anche la ricostruzionedel legamento crociato anteriore.Il trattamento prevede il prelievo artro-scopico di un modesto campione di car-tilagine da una zona sana del ginocchionon sottoposta a carico ed il prelievo dicirca 100 ml di sangue necessario perla coltura dei condrociti in laboratorio.Le cellule vengono coltivate in vitro percirca tre settimane e poi disposte su unamatrice polimerica tridimensionale rias-sorbibile. Nella seconda fase del tratta-mento si esegue l’impianto della matri-ce con i condrociti, con tecnica a cieloaperto (mini-open) e fissazione dellastessa con pin riassorbibili o con filiriassorbibili passati attraverso tunnel

trans-ossei eseguiti con fili di Kirschner.Nel post-operatorio si impone particola-re attenzione nella gestione della flesso-estensione attiva e passiva. Il caricocompleto è vietato per sei settimane.Dalla terza settimana consentiamo uncarico parziale del 15%, con progressio-ne fino al carico completo dopo la sestasettimana.Il nostro follow-up attuale è ad un anno;con i colleghi franco-svizzeri (Prof.Rhenter - Prof. Ergelet) è a cinque annie sei mesi con risultati clinico radiogra-fici eccellenti.

Nostra esperienza nel trattamentodelle condropatie con trapianto dicondrociti autologhi.E. Somma, G. La Cava, F. Grasso

COMANDO GENERALE ARMA DEI CARABINIERI (ROMA)Dott. F. Grasso

36

ginocchio

introduzioneDa circa 5 anni utilizziamo in caso diartrosi della femoro-tibiale una protesimonocompartimentale (pmc) modelloOxford III a menisco mobile(11) . Infattinonostante la positiva esperienza matura-ta negli anni ’90 con altri modelli (conpiatto totalmente in polietilene o a meni-sco fisso) ci ha “ intrigato” l’alta percen-tuale di risultati positivi riportati daGodfellow e numerosi altri Autori a medioe lungo termine e degli studi di biomecca-nica che documentano l’esiguità di con-sumo del polietilene (1 mm in 10 anni) incaso di menisco mobile sulle pmc.Inoltre da 3 anni con questo modello stia-mo utilizzando l’accesso mid-vastus cheha sicuramente dei vantaggi in termine difacilità nel recupero articolare, perditeematiche e tempi di ospedalizzazione.Stiamo infine dedicando maggiore atten-zione a casi di artrosi combinata dellafemoro-rotulea (F-R) e della femoro tibia-le (F-T) in quanto non è così infrequente.Secondo Casscells(4) infatti su 130 cada-veri di età compresa tra i 50 anni ed i 69anni la percentuale di soggetti in preva-lenza donne (77%), che presentava unaartrosi della femoro-rotuelea era del 63%.In uno lavoro Chrisman(5) invece ipotizzavache l’interessamento della F-R e F-T ètipico del ginocchio varo in quanto ad unaprima insorgenza di artrosi del comparti-mento mediale segue una produzione dienzimi litici e quindi di prodotti di degra-dazione della cartilagine che possonocondurre ad un interessamento anche

della F-R. ma più che in tema di mini-invasività riferendosi al Tissue Sparing,cosa fare in caso di coesistenza di unaartrosi della (F-R) ?Chiaramente il problema non si pone perun paziente di età avanzata sopra i 60anni, ove a nostro avviso trova ancora indi-cazione una protesi totale ma in quelle, sepur rare situazioni di soggetti più giovani,ove la preservazione del bone–stock rap-presenta un obiettivo primario.Sono stati così proposti associati alla pro-tesi monocompartimentale diversi tratta-menti per la rotula:a) biologici (replicazione e reimpianto dicartilagine)

b) interventi di “minima” (spongiosizza-zione o cheiloplastica)(6)

c) protesizzazione(9)

d) altri(1)

Il problema come riportato da alcuni auto-ri è abbastanza pressante.Argenson(2) (2002) 40 % di fallimenti inmono per una preesistente artrosi femo-ro-rotulea non trattata e Berger (3) 10% diinsuccesso ad un f.u. di 10 anni inpazienti protesizzati con mono persopraggiunta artrosi della F-R inizial-mente asintomatica.Per una attenta valutazione clinica-stru-mentale ci affidiamo così oltre alla radio-logia tradizionale per lo studio della F-Ranche ad una T.C. (per la valutazione T.A.- G.T) e qualora questa non dirimessedubbi, ad una artroscopia prima di ese-guire la protesizzazione. Nella nostraesperienza la percentuale di una artrosi

femoro-rotulea eccentrica sintomatica inpazienti “non di età avanzata” età (com-presa tra i 50 ed i 60 anni) con indicazio-ne alla protesizzazione del compartimentomediale non è sicuramente elevata (infe-riore al 10 %) , ma tale da essere degnadi nota così che abbiamo iniziato ad ese-guire come gesto chirurgico associato allapmc la trasposizione della tuberositàtibiale con la tecnica indicata da Elmslie -Trillat finalizzata ad evitare una ulterioreinvoluzione artrosica della rotula, graziealla nota capacità di ridurre le forze dicompressione che agiscono sulla femoro-rotulea.Di questo intervento abbiamo esperienzadecennale e ha dato a noi(10) e ad altri AA(8,12)

in passato, con le esatte indicazioni, buonirisultati anche ad un follow-up a distanza.La protesi del compartimento mediale conmetal back con chiglia (Oxford III ) ci dàmaggiore affidabilità per un eventualeindebolimento della corticale anterioredella tibia in considerazione della tecni-ca chirurgica relativa alla patologia rotu-lea che descriviamo di seguito in “pillole:1) distacco della tuberosità tibiale per unalunghezza di circa 8 cm

2) sollevamento e applicazione della por-zione ossea rimossa dall’emipiattotibiale mediale, chiaramente courettatadella cartilagine, posta a secondo lanecessità di ridurre le forze di compres-sione femoro-rotulea

3) non poniamo sintesi purché stabile ilcontatto frammento- tuberosità tibiale

4) a sutura terminata, saggiamo il R.O.M.

Protesi monocompartimentale amenisco mobile: 5 anni di esperienzaA. Scarchilli, G. Franceschini

6° DIVISIONE I.C.O.T. (LATINA)Dott. A. Scarchilli

37

ginocchio

e la stabilità rotulea per una eventualelisi del legamento alare esterno

Sostanzialmente immutato invece il proto-collo riabilitativo fatta eccezione per ladeambulazione protetta da tutore in esten-sione per circa 20 giorni nel post-op.Con questa tecnica abbiamo trattato 8pazienti (7 femmine ed 1 maschio) di etàcompresa tra i 51 ed i 62 anni.

risultati e considerazioniIl follow-up (1-4 anni) della casistica com-plessiva 90 pazienti è ancora tale da nonci far trarre delle conclusioni, anche se irisultati sono incoraggianti.(vedi valutazio-ne secondo scheda GIUM Tabella 1 )

Per quanto riguarda gli 8 casi trattati conla tecnica menzionata (Maquet + pmc )non abbiamo avuto alcuna complicanzane immediata ne tardiva nei pazienti chestiamo controllando con esami radiogra-fici e clinici ogni 6 mesi.La consolidazione radiografica dell’osteo-tomia della T.T.A. è avvenuta in cerca 1mese e nei controlli a distanza (fig. 1) nonabbiamo notato rispetto ai controlli ese-guiti con pazienti che avevano eseguito la“sola” pmc abbassamento della rotula.Mentre nelle proiezioni assiali di rotuladedicate l’interlinea articolare dellafemoro-rotulea è conservata rispetto alpre-operatorio ed in alcuni casi aumen-tata (fig. 2).Anche la clinica nei controlli a distanza cista soddisfacendo, la femoro-rotulea èasintomatica non sono osservabili rilevan-

ti deficit di forza rispetto al controlatera-le, è chiaro che questa nostra esperienzaconsiderato l’esiguo numero di casi trat-tati e lo scarso f.u. è da considerarsi soloquale contributo ad un problema (la femo-ro-rotulea) negli anni addietro probabil-mente sottostimato.

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Tab. 1

ECCELLENTI 55 %

BUONI 26 %

SODDISFACENTI 15%

INSUFFICIENTI 4 %

Fig. 1: Rdx in LL f.u. 3 anni

Fig. 2: la radiografia in assiale di rotula evi-

denzia: la tuberosità tibiale anteriore

trasposta, nel comparto mediale la pmc,

l’aumento dell’interlinea tra superficie

articolare rotulea e condilo femorale laterale

38

ginocchio

introduzioneLe ossificazioni eterotopiche sono unacomplicanza comune dopo interventi diartroprotesi di anca ed esiste un’ampialetteratura riguardante la descrizione e laprofilassi di tale complicanza.Al contrario le ossificazioni eterotopichedopo artroprotesi di ginocchio sono piùrare con un’incidenza variabile tra l’ 1% eil 42%; sono spesso reperti radiograficioccasionali e raramente associati ad unasintomatologia clinica tale da influenzaresia il risultato a distanza che la sopravvi-venza dell’impianto o tali da richiedere unintervento di escissione chirurgica.I fattori predisponenti possono esserepregressi interventi chirurgici, traumi,manipolazioni postoperatorie, artrosi iper-produttive, spondiliti anchilosanti ed ilgrado di articolarità pre e postoperatoria.Estesi ematomi, l’interruzione della cor-ticale anteriore del femore, una signifi-cativa esposizione del femore distalecon danno periostale ed all’apparatoestensore, sono considerati potenzialifattori di rischio per lo sviluppo di ossifi-cazioni eterotopiche.Lo scopo di questo lavoro è di analizza-re l’incidenza, la tipologia, gli eventualifattori predisponenti oltre alla rilevanzaclinica delle ossificazioni eterotopichedopo artroprotesi di ginocchio, valutan-done i risutati.

materiali e metodiTrecentododici artroprotesi di ginocchio in282 pazienti impiantate tra il 1999 e il

2003 sono state osservate con un followup variabile tra uno e cinque anni.Il gruppo di studio è costituito da 183donne e 99 uomini con un’età media di 70anni (range 47-87); il peso medio è di 80Kg (range 65-115) con il BMI 28,1 (range22,5-35,9) per il sesso maschile; di 71,9Kg (range 47-107) con il BMI di 28,2(range 20,9-39,5) per il sesso femminile.L’ osteoartrosi è la diagnosi più comune(92%), meno rappresentate sono la necro-si avascolare (1%), le forme postraumati-che (5%) e l’artrite reumatoide (2%).Sono state impiantate 248 protesi a con-servazione del legamento crociato ante-riore e 64 a stabilizzazione posteriore;tutte le componenti tibiali sono statecementate, mentre la componente femo-rale è stata cementata in 206 ginocchia.La rotula è stata sostituita in soli 13 casi(sempre cementata) ed, ove necessaria, èstata eseguita una toilette con asportazio-ne degli osteofiti. In 67 casi vi erano statidegli interventi chirurgici antecedenti allaprotesizzazione del ginocchio, in partico-lare 40 osteotomie tibiali alte valgizzanti,15 meniscectomie, 10 interventi per frat-ture del piatto tibiale e 2 per frattura dirotula.La via di accesso è sempre stata la para-rotulea mediale, è stato utilizzato unostrumentario standard per tutte le protesiimpiantate, affidandoci sempre ad unaguida intramidollare per il femore edextramidollare per la tibia; in tutti i casi lafascia ischemica è stata applicata con untempo medio di 55 minuti (range 50-85)

ed allentata prima dell’inizio della suturaper consentire una emostasi accurata. Lasinoviectomia è sempre stata minima,solo in tre dei casi di artrite reumatoide èstata più estesa. Il drenaggio è statoapplicato in tutti i pazienti e rimosso dopo24 ore, contestualmente all’inizio dellamobilizzazione assistita dal fisioterapista.La fisioterapia è proseguita fino alladimissione e continuata domiciliarmenteod in un centro di riabilitazione per circasei settimane; il carico con l’ausilio di duebastoni canadesi è iniziato alla secondagiornata postoperatoria.Nel gruppo studiato, nessun paziente hafatto uso di indometacina; una profilassi“short term” antibiotica è stata eseguita intutti i casi così come la profilassi trombo-embolica con eparina a basso peso mole-colare per 25 giorni nel postoperatorio.Tutti i pazienti sono stati valutati oggetti-vamente soggettivamente nel preoperato-rio e post con il Knee ed il Function scoredella Knee Society e con il Womac; inoltrecontrolli clinici e radiografici sono statieseguiti nel postoperatorio, a 6 settimane(solo clinico), tre, sei, 12 mesi ed annual-mente, selezionando i casi che presenta-vano ossificazioni eterotopche.Le ossificazioni sono state valutate tenen-do conto della classificazione morfologicadescritta da Harwin sulla proiezione radio-grafica laterale; grado I.

risultatiSegni radiografici di ossificazioni eteroto-piche sono stati ritrovati (proiezione radio-

Le ossificazioni eterotopichedopo artroprotesi di ginocchioS. Ripanti, S. Marin, A. Campi

U.O. ORTOPEDIA E TRAUMATOLOGIA - OSP. S.GIACOMO, ROMA - DIR. PROF. A. CAMPIProf. A. Campi

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ginocchio

grafica laterale) in 22 (7%) ginocchia suun totale di 312, di cui quindici eranodonne e sette uomini con un’età media di70,4 aa (min 53, max 81 ), il peso mediodi 73,4 kg (min 57, max 90 ) e il BMI di27,9 ( min 21,7, max 33,2 ). La diagnosipreoperatoria era di osteoartrosi in tutti ipazienti, tranne in uno con una necrosiampia del condilo femorale interno; soloun caso aveva subito un intervento pre-gresso (osteotomia tibiale alta valgizzantesintetizzata con cambre). Cinque di que-sto gruppo di pazienti aveva un’ artropro-tesi di ginocchio bilaterale senza segni diossificazioni eterotopiche e cinque eranoportatori di artroprotesi di anca; un esameradiografico della colonna lombosacraleevidenziava in 10 pazienti una spondiloartrosi diffusa ed iperproduttiva.Non vi era stato alcun bisogno di manipo-lazioni postoperatorie.Tutte le componenti in ogni impianto sonostate cementate tranne in quattro casi incui è stata cementata solo la componentetibiale e solo in due pazienti è stataimpiantata una protesi PS; non è maistata sostituita la rotula.I tempi di chirurgici medi sono stati di 90minuti (min 80, max 120) e quelli di fasciaischemica di 60 minuti (min. 50, max 80).Il “notching” femorale anteriore definitocome interruzione della corticale anterioredel femore con profondità maggiore di 1mm dovuta alla resezione femorale visibi-le sulla radiografia in proiezione laterale, èstata trovata solo in un caso di grado IIIa.Ad un follow up medio di 38 mesi (min 13mesi, max 58 mesi ), i valori medi delKnee e Function Score pre e postoperato-rio erano di 104 (range 60-157) e di 175

rispettivamente (range 133-195); ilWOMAC (WOMAC ridotto) postoperatorioaveva un valore medio di 5,2 (range 19-0)(preoperatorio 27, range 48-5).L’articolarità media raggiunta al followup di studio era stata di 0°-108° (preope-ratoriamente 5°-96°).Seguendo la classificazione di Harwin, leossificazioni eterotopiche sono state defini-te di grado I in sette casi, di grado II in undi-ci, di grado IIIa in tre e di grado IIIb in uno.Le radiografie pre e postoperatorie sonostate comparate con quelle a tre mesi econ quelle dell’ultimo follow-up disponibi-le per determinare la comparsa e l’even-tuale evoluzione delle ossificazioni che intutti i casi erano presenti al terzo mese enon nel postoperatorio con un gradualeaumento delle dimensioni fino al controlloa 1 anno in 18 casi; nella radiografia del-l’ultimo follow-up disponibile in tutti i casile ossificazioni erano ancora presenti.

discussioneNel nostro studio l’incidenza di ossifica-zioni eterotopiche dopo intervento diartroprotesi di ginocchio è del 7% (22 casisu trecentododici artroprotesi esaminate),valore che rientra nelle percentuali ripor-tate in altre serie. Infatti Furia e Pellegrinihanno descritto una percentuale del 26%, Figgie et al., del 32 % , BarracK et al. el23% (31/135) con un aumento importan-te di tale percentuale (56%) dopo inter-venti di revisione, ponendo l’infezionecome rischio per lo sviluppo delle ossifi-cazioni. Le percentuali più basse sonostate descritte da Lovelock et al. (4,5%,),Hasegawa et al. (5%,), Rader et al. (9%,),Daluri et al. (15%,); quest’ultimo lavoro

rappresenta la più grande serie studiatadi artroprotesi di ginocchio (600) in fun-zione dello sviluppo di ossificazioni. Neilavori citati la presenza di casi sintomaticiè irrilevante. Austin et al e Freedman et alriportano due “case report” di casi sinto-matici, risolti dopo escissione chirurgica esuccessiva profilassi con indometacina; inentrambi i casi descritti vi era una storia dimolteplici interventi precedenti.In questi lavori non sono stati ben deli-neati gli eventuali fattori di rischio.Harwin et al, che ha riportato un’inciden-za del 3,8%, identifica come potenzialifattori di rischio il sesso femminile, unadeformità preoperatoria > 15°e l’artrosipostraumatica. Anche nella nostra casisti-ca il sesso femminile è prevalente nelgruppo delle ossificazioni eterotopiche,ma difficilmente identificabile come fatto-re predisponente dato il campione esiguo.Riguardo al ruolo di sesso e peso, Daluryha riportato una prevalenza di pazienti disesso maschile ed in sovrappeso, seppuranche in questo studio il gruppo analizza-to era troppo piccolo.Molti autori (Toyoda, Harwin, Rader) ripor-tano una maggiore incidenza di ossifica-zioni eterotopiche in pazienti affetti daosteoartrosi rispetto a quelli affetti daartrite reumatoide, ed il ruolo di fattore dirischio dell’osteoartrosi produttiva.Toyoda ha descritto una significativa cor-relazione tra la presenza cospicua diosteofiti e l’incidenza postoperatoria diossificazioni eterotopiche.Nel nostro studio dei vari potenziali fattoridi rischio per lo sviluppo di ossificazionieterotopiche, troviamo solo la presenza diartrosi diffusa e produttiva. nessuno dei

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casi da noi riportati presenta ossificazioniin altri distretti scheletrici, non ha ricevutomanipolazioni postoperatorie, non hasubito release eccessivi e solo un casopresenta un'interruzione della corticaleanteriore del femore e un altro un pre-gresso intervento chirurgico.Lo scarso significato clinico delle presen-za di ossificazioni, così come riportato daaltri autori, era dimostrato dai risultatiottenuti del tutto sovrapponibile al gruppoche non aveva sviluppato ossificazioni.L'eziologia e l’eventuale determinazionedei fattori di rischio per lo sviluppo di ossi-ficazioni eterotopiche rimane incerta.Nonostante ci sia una correlazione conalcuni dei fattori di rischio descritti in lette-ratura non possiamo arrivare ad una con-clusione precisa in quanto il nostro gruppodi studio è limitato numericamente.

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ginocchio

La conversione di un’osteotomia tibialeprossimale in artroprotesi totale di ginoc-chio è indicata quando l’esame clinico eradiografico documentano una ripresa delprocesso degenerativo artrosico. Esistonoalcune difficoltà tecniche legate al prece-dente intervento di osteotomia tibiale;esse sono legate al tipo ed all’entità del-l’osteotomia, alla via di accesso, al mezzodi sintesi impiegato ed al momento dellasua rimozione. Le alterazioni anatomicheindotte da una pregressa osteotomiacomprendono: gradi variabili di deformitàossea sia sul piano frontale che su quellosagittale, perdita di sostanza ossea, rotu-la bassa, compromissione dei tessuti mollicon problematiche legate alla ferita chi-rurgica ed al bilanciamento legamentosodel ginocchio.Una tecnica chirurgica adeguata prevedeuna accorta pianificazione dell’incisionecutanea, una cauta gestione dell’apparatoestensore per prevenire la disinserzionedel tendine rotuleo, eventualmente prati-cando la lisi del retinacolo laterale, lasezione del legamento femororotuleo eduno “snip” del quadricipite, una progressi-va esposizione dell’articolazione, soprat-tutto sul versante laterale, dove la capsu-la diviene fibrotica, retratta e strettamenteadesa all’epifisi. Particolare cura andràriservata alla pianificazione del tagliotibiale, ricostruendo una pendenza poste-riore adeguata; eventuali perdite di

sostanza ossea saranno compensate coni blocchi metallici previsti dai sistemi pro-tesici da revisione. Il bilanciamento lega-mentoso dovrà essere progressivo e pre-vedere in ogni caso il sacrificio del lega-mento crociato posteriore; nell’evenienzadi lesione iatrogena dei collaterali dovràessere disponibile un sistema protesico amaggior grado di vincolo. Il frequenteriscontro di malallineamento rotuleorichiederà una ulteriore lisi laterale.In letteratura i risultati delle artroprotesitotali dopo osteotomia tibiale prossimalesono discordanti sia in termini di funzionesia per la durata: mentre alcuni Autoririportano risultati sovrapponibili a quellidelle artroprotesi primarie, altri descrivonorisultati meno buoni, sovrapponibili aquelli delle revisioni; in ogni caso è ripor-tata una maggiore percentuale di compli-canze, in particolare problemi di guarigio-ne della ferita ed infezioni, perdite emati-che elevate, disinserzione del tendinerotuleo e sublussazione della rotula.

L’artroprotesi di ginocchio negli esitidi osteotomia valgizzante di tibiaG. Gasparini, S. Cerciello, M. Vasso

CLINICA ORTOPEDICA - UNIVERSITÀ CATTOLICA (ROMA)Prof. G. Gasparini

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ginocchio

La tecnica “Retro-Drill” è un sistema chepermette, nelle ricostruzioni artroscopichedel legamento crociato anteriore (LCA), dieseguire i tunnel per via retrograda, graziead una particolare fresa che viene assem-blata intraarticolarmente su di un pin, filet-tato in punta (Fig. 1), introdotto in articola-zione per via “Out-In”. Ampia scelta vienelasciata al chirurgo sul tipo di trapianto, sulposizionamento dei fori, sul numero dei forie sul tipo di fissazione. Tale tecnica per-mette inoltre le cosiddette ricostruzioni“All-Inside”. Noi la stiamo utilizzando consuccesso nella preparazione del solo tun-nel femorale dal novembre 2004 nelle rico-struzioni del LCA con utilizzazione dei ten-dini gracile e semitendinoso (70 casi). Ilreale vantaggio consiste nel fatto che il filo

guida per la preparazione del tunnel femo-rale viene inserito dall’esterno con unaguida, permettendo un posizionamentoanatomico del neo-LCA, non costringendoquindi il chirurgo ad un posizionamentotroppo verticale, come accade inserendo ilfilo guida con tecnica “In-Out” passandoobbligatoriamente attraverso il tunnel tibia-le eseguito precedentemente e che neobbliga l’orientamento. La nostra tecnica(1)

pertanto prevede un mini accesso cutaneolaterale di circa 3 cm con caricamento delmuscolo vasto laterale, il posizionamentodel pin dall’esterno verso l’interno median-te guida femorale (Fig. 2), l’assemblaggiointrarticolare della fresa retrograda sul pin(Fig. 3), l’esecuzione retrograda dall’internoverso l’esterno del tunnel femorale incom-

pleto (circa 3 cm.) (Figg. 4 e 5), il disas-semblaggio della fresa, l’esecuzione deltunnel tibiale completo con tecnica tradi-zionale, il passaggio del trapianto (gracile esemitendinoso liberi duplicati montati con2 fili N° 5 di Fiberwire sul lato femorale) ela fissazione: bottone metallico a 4 fori cheviene assicurato sul femore annodando i 2fili di Fiberwire (Fig. 6) e vite ad interferen-za metallica nel tunnel tibiale con cambrametallica a cavaliere del trapianto subitodistalmente all’emergenza del tunnel.

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TECHNIQUES IN ORTHOPAEDICS. 20,3. 224-227, 2005.

La ricostruzione del legamento crociatoanteriore con tecnica “Retro-Drill”G. Cerullo, G. Puddu

CLINICA VALLE GIULIA (ROMA)Dott. G. Cerullo

Fig. 1 Fig. 2 Fig. 3

Fig. 4 Fig. 5 Fig. 6

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ginocchio

introduzioneAccuratezza, bassa aggressività chirurgi-ca e semplicità di applicazione sono lacombinazione per uno strumentario chepossa creare i presupposti per un risulta-to ottimale dopo impianto di una artro-protesi totale di ginocchio.L’allineamento intramidollare presentavantaggi ben conosciuti, ma anche alcunipotenziali svantaggi. Per tali motivazioni lanavigazione chirurgica(1,2,3), di relativarecente introduzione, ha come punto diforza il superamento di tali svantaggicome ad esempio la mancata penetrazio-ne del canale midollare, ma anche laintroduzione di altre difficoltà che ne limi-tano una vasta espansione.Per le ragioni su esposte gli Autori pre-sentano una nuova metodica di allinea-mento totalmente extramidollare in gradodi controllare il posizionamento sui trepiani dello spazio sia della componentefemorale che tibiale di una protesi diginocchio.Gli Autori riportano la descrizione dellametodica, dello strumentario e dei princi-pi ispiratori; riportano inoltre la loro inizia-le esperienza clinico e radiografica susette casi trattati .

materiali e metodiLa procedura descritta di seguito vieneeseguita con l’articolazione del ginocchioin completa estensione.Questa nuova tecnica prevede, dopo laesecuzione dei release legamentosi con-testuali all’accesso chirurgico (mediale

per il ginocchio varo e laterale per ilginocchio valgo), si valuta mediante laprocedura sottodescritta la sufficienzadella apertura della emirima mediale olaterale, rispettivamente.Lo strumentario viene allineato sull’assemeccanico reale dell’arto inferiore, utiliz-zando l’amplificatore di brillanza per lacentratura dello strumentario sulla testafemorale. Con un “lamina spreader” posi-zionato in apertura sulla emirima sottopo-sta a release si corregge progressivamen-te la deformità fino ad allineare sullo stes-so asse meccanico il centro del collopiede, del ginocchio (ambedue visibilidirettamente sul campo operatorio) edella testa del femore (visibile grazieall’amplificatore di brillanza) (Fig 1a,b) .In tale posizione di correzione il “laminaspreader” viene bloccato in maniera daconsentire la progressione della procedu-ra chirurgica. Lo strumentario prevede lafissazione dei blocchi di taglio indipen-dentemente tra di loro e nel rispetto deipunti di repere ossei sia femorale chetibiale. Il controllo del posizionamento sulpiano è affidato ad un’asta da applicare etenere parallela alla corticale anteriore delfemore distale (Fig 2 a,b).Muovendosi poi sulla stessa asta di alli-neamento lo spazio rimarrà obbligatoria-mente rettangolare.Dopo liberazione dei blocchi di taglio dal-l’asta di allineamento vengono eseguiti leresezioni del femore distale e della tibiaprossimale a ginocchio flesso come nelletecnica chirurgica classica.

Eseguita la resezione del femore distale,in base al riferimento anteriore per il posi-zionamento sul piano sagittale e alla lineadi Whiteside per il posizionamento inextrarotazione, viene applicato il blocco ditaglio femorale 4 in 1, precedentementescelto con un template intraoperatoria-mente ed eseguiti i tagli definitivi.In ultimo viene preparata la tibia e rimos-si gli eventuali osteofiti posteriori.Da dicembre 2005 abbiamo eseguitol’impianto protesico totale di ginocchio in7 pazienti utilizzando l’allineamento extra-midollare. Tutti i pazienti sono stati valuta-ti clinicamente e nelle due proiezioniradiografiche standard a 1, 3 e 6 mesi didistanza dall’intervento.

risultatiI risultati clinici si sono dimostrati soddi-sfacenti. Non abbiamo osservato compli-canze funzionali. I controlli radiograficihanno documentato il buon posiziona-mento delle componenti femorali e tibiali,senza deviazioni in varo o in valgo dellaprotesi impiantata, con un ottimale ripri-stino dell’asse meccanico e dell’asse del-l’arto inferiore sul piano sagittale.

discussioneIl mal-allineamento in una protesi totale diginocchio è frequentemente associato afallimenti precoci e scarsi risultati clinici.Da qui nasce l’esigenza della continuaricerca da parte dei chirurghi ortopediciper ridurre al minimo il rischio di fallimen-ti. Sono già noti i vantaggi e gli svantaggi

Quale è il modello protesico piùcorrispondente alla cinematicaarticolare di ginocchio?M. Manili, A. Vitullo, N. Fredella, F. Muratori

I DIVISIONE DI ORTOPEDIA E TRAUMATOLOGIA - OSPEDALE S. PIETRO - FATEBENEFRATELLI (ROMA)Dott. N. Fredella

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ginocchio

delle diverse metodiche di allineamentointramidollare ed extramidollare; l’allinea-mento intramidollare infatti permette sicu-ramente una maggiore accuratezza eriproducibilità, ma espone il paziente amaggiori complicanze in particolare ditipo embolico oltre alla necessità di unamaggiore aggressività sulle parti molli.L’allineamento extramidollare in particola-re mediante l’utilizzo del navigatore, se dauna parte permette una maggiore accura-tezza, dall’altra comporta un allungamen-to dei tempi chirurgici, una maggiorecomplessità chirurgica unita poi ad alticosti(1,2,3).

Per tale motivi gli Autori si sono propostidi studiare un nuovo strumentario perl’impianto di una protesi totale di ginoc-chio, che unisse i vantaggi di un sistemadi allineamento completamente extrami-dollare che superasse gli svantaggi che,ad esempio, il sistema di navigazionecomporta.I primi risultati sembrerebbero conferma-re la validità delle metodica oggetto delpresente lavoro (Fig 3).In particolare analizzando i risultati radio-grafici in termini di ripristino dell’assemeccanico e del posizionamento dellecomponenti sia tibiale che femorale si evi-

denziano valori sovrapponibili a quelliottenuti con sistemi tradizionali intrami-dollare e a quelli ottenuti mediante l’utiliz-zo dei sistemi di navigazione.

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Fig 1 a,b: le immagini in scopia mostrano

l’apertura con un “lamina spreader”

dell’emirima sottoposta a release e il

corretto posizionamento dell’allineamento

sulla testa del femore

Fig. 1a

Fig. 1b

Fig 2 a,b: il controllo del posizionamento sul

piano è affidato ad una asta da applicare e

tenere parallela alla corticale anteriore del

femore distale.

Fig. 2a

Fig. 2b

Fig 3: Rx postoperatorio nelle due

proiezioni (AP e Laterale) documenta

il corretto posizionamento delle

componenti protesiche

Fig. 3

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ginocchio

Il numero di interventi chirurgici eseguiti perl’impianto di protesi di ginocchio ha avutonegli ultimi anni un aumento esponenziale:e questo perché tale chirurgia presenta unaelevata percentuale di successo (90% disopravvivenza degli impianti a 10-15 anni) eperché rappresenta il sistema più immedia-to per togliere la sintomatologia dolorosa eridare funzionalità ad una articolazione gra-vemente compromessa, quando trattamen-ti conservativi o interventi chirurgici menoimpegnativi non hanno dato risultati signifi-cativi. Il ginocchio candidato all’intervento diprotesi presenta alterazioni di vario gradodelle sue strutture: alterazioni della cartilagi-ne che interessano una o più compartimen-ti ed in genere alquanto estese, vari gradi diinsufficienza e/o retrazione dei legamentiintra ed extra articolari, alterazione angolarie/o rotazionali degli assi che l’interventodeve correggere. Questi e molti altri ele-menti saranno da considerare nel deciderequale tipo di impianto protesico è quello piùindicato. Sono infatti al momento disponibilisistemi di protesi monocompartimentali,totali a scivolamento, con o senza conserva-zione del legamento crociato posteriore, avincolo elevato; protesi con menischi fissi omobili; infine rimane la possibilità di prote-sizzare o meno della rotula. Ognuna di que-ste soluzioni offre vantaggi e svantaggi teo-rici e sono pochi gli studi in letteratura checonfrontano ognuna di queste possibilitàcon risultati finali chiari e certi.Quando non ricorrono le condizioni limitateper l’utilizzo di una protesi monocomparti-

mentali, la nostra scelta è ricaduta su pro-tesi totali bicompartimentali, in quanto nonriteniamo mai opportuno ricorrere alla pro-tesizzazione della rotula.La scelta di utilizzo delle protesi totali a pivotmediale non può prescindere da alcunecondizioni di carattere biomeccanico.Gli studi di Blaha su ginocchia da cadaveree su vivo con evidenziazione della cinemati-ca visualizzata in scopia e con RMN, hannodimostrato con precisione la sequenzialitàdella biomeccanica articolare della articola-rità del ginocchio sia del compartimentomediale che di quello laterale.Dalla interpretazione di tale meccanismoarticolare, si evince la soluzione di un dise-gno protesico più vicino possibile a quellodel ginocchio umano con il rispetto di tutti imovimenti che avvengono nel compartomediale e in quello laterale.Il concetto del “roll back asimmetrico” sirealizza grazie alle caratteristiche dei profiliossei condilari, alla contenzione che eserci-tano le strutture meniscali, alla guida dellaescursione condilica condizionata dai lega-menti crociati e collaterali e controllata dal-l’apparato muscolare.E’ ovvia la partecipazione dei ligamenti oltreche meccanica, ma anche e soprattuttopropriocettiva.Nel compartimento mediale abbiamo unagran parte del condilo che risulta avere rag-gio di curvatura costante, pertanto, tranneche negli ultimi gradi della estensione, lafase di scivolamento del condilo sull’emi-piatto tibiale avviene con una traslazione di

pochi millimetri e solo da 0 a 5° dallaescursione estensoria.Non così nel compartimento laterale dove lafase di rotolamento avviene con uno spo-stamento di oltre un centimetro. Ne conse-gue un angolo di rotazione tibiale internaprogressiva che accompagna la flessionedel ginocchio da – 5° fino a 120° di flessio-ne massima con un rotolamento condilareche porta la superficie posteriore del condi-lo femorale fino a restare in contatto con laporzione terminale posteriore dell’emipiattotibiale laterale.Schematizzando quindi il movimento arti-colare, potremmo comparare lo scivola-mento condilare mediale simile a quello diuna sfera ben centrata in una sua conca-vità congruente che non ne determina latraslazione.Viceversa la sfera nel comparto lateralecompie una traslazione antero-posterioreleggermente curvilinea condizionando cosìil movimento di rotazione della tibia sul suoasse longitudinale.Alla luce di queste considerazioni, risultaevidente che il disegno di una protesi debbaessere rispettoso della normale biomecca-nica articolare con il profilo condilico carat-terizzato da una porzione di sfera a raggiocostante e l’inserto tibiale con profilo media-le a congruenza totale e profilo laterale conlibertà di movimento tale da consentire unaescursione che permette 15° di rotazionealla tibia sul suo asse longitudinale.La superficie di contatto rimane ampia ecostante permettendo così una minore sol-

Quale modello protesico piùcorrispondente alla cinematicaarticolare di ginocchio?F. Rodia, A. Ventura

II U.O.C. ORTOPEDIA E TRAUMATOLOGIA - C.T.O. “A. ALESINI”ASL RMC - DIRETTORE: PROF. P. PALOMBI

Dott. F. Rodia

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ginocchio

lecitazione pressoria e conseguente minoreusura del polietilene. Il raggio costante evitagli stress ligamentosi (come avviene invecenelle protesi a disegno “rettangolare”) conmigliore mobilità e assenza di dolore ante-riore. Nelle protesi a disegno “rettangolare”avremo una escursione in alto e basso chestressa i legamenti olari, ma anche il L.C.P.che vede mettersi in tensione o lassità aseconda dell’angolo di flessione (distanza x-y). Noi preferiamo sacrificare il L.C.P. perchépuò condizionare una cinematica“Costretta”, a tale fine il disegno protesicoin questione consente una perfetta stabilitàposteriore anche in estensione.Da molti anni si è dibattuto se protesizzareo meno la rotula. Infatti a fronte di risultatiriferiti inizialmente migliori nei pazienti pro-tesizzati, soprattutto per quanto riguarda ildolore anteriore del ginocchio, vi era unapercentuale significativa di revisione dellaprotesi proprio per problemi legati alla com-ponente rotulea. I motivi dei fallimenti erano

le delle componente femorale e tibiale, haportato ad un netto miglioramento delloscorrimento della rotula nella gola femora-le con una riduzione dei casi in cui si èdovuto ricorrere al lateral release.

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Fig. 1: grave gonartrosi destra. Controllo post-op a 1 anno dall’intervento

Fig. 2: gonartrosi destra in esiti di pregressa osteotomia. Controllo a 2 anni

47

ginocchio

Il trattamento chirurgico della gonartrosi-primitiva può attualmente basarsi su treinterventi principali:- l’osteotomia;- la protesi monocompartimantale;- la protesi totale.

L’opzione monocompartimentale offresoluzioni brillanti, ma il rilevante numerodi complicanze obbliga ad una analisimolto rigorosa dei casi.Si è visto infatti che i migliori risultati siottengono con selezioni rigide dei pazien-ti, delle patologie, delle caratteristicheanatomiche del ginocchio.1)Selezione in relazione al paziente :- età inferiore a 70 anni;- stile di vita piuttosto sedentario;- sesso preferibilmente maschile (noosteoporosi).

2) Selezione in relazione alla patologia:i migliori candidati sono quelli affetti daartrosi monocompartimentale o daosteonecrosi subcondrale del condilofemorale o del piatto tibiale.In ogni caso va valutata l’estensionedella lacuna ossea in relazione alla pos-sibilità di stabilizzare l’impianto protesi-co e l’eventualità che una simile pato-logia non sia secondaria a prolungatitrattamenti cortisonici.E’ evidente l’esclusione di casi affetti dapatologie sistemiche reumatiche siste-miche ed artropatie microcristalline.

3)Selezione in relazione al ginocchio:l’interessamento deve essere mono-compartimentale sia in senso clinicoche radiologico.La femoro-rotulea conseguentementedeve essere indenne.Tuttavia possono sono tollerati rimodel-lamenti radiologici ed una positivita’clinica minore.Una patologia femoro-rotulea evidenterappresenta una controindicazione.Per quanto riguarda il patrimonio lega-mentoso, il pivot centrale deve essereintegro.La valutazione della efficacia meccani-ca del legamento crociato anteriore èaffidata alla clinica, agli esami radiolo-gici (Lachman radiologico) ed allaR.M.N.Anche i legamenti collaterali devonoessere normali anch’essi. La lassitàdella concavità, secondaria all’usura,deve essere corretta solo parzialmentedall’intervento. Infatti l’“over stretching“provoca dolori da distrazione lega-mentosa e sovraccarico del comparti-mento controlaterale.E’ tollerabile un flexum moderato (5°)dovuto ad un osteofita tibiale anteriore.Deficit di estensione più marcati rap-presentano una controindicazione .La flessione deve essere libera.La deformità frontale deve essere clini-camente riducibile ed in caso dubbio vaconfermata da uno studio radiologico in

stress che ne documenti la riducibilità.Nella gonartrosi in varo va valutata lacomponente intraossea tibiale delladeformità. Infatti questo intervento con-sente la correzione della sola compo-nente articolare del varismo. Pertantoun varo osseo tibiale maggiore di 5°-6° rappresenta una controindicazioneall’intervento.L’usura articolare deve essere contenu-ta al grado 2 - 3 di Ahlbak.

I pazienti che non presentano i requisitiper essere trattati con una osteotomia oun impianto monocompartimentale, sonoeccellenti candidati ad una protesi totaledi ginocchio.La scelta in questo settore è molto com-plessa perchè offre la possibilità di unimpianto a scivolamento, con o senzaconservazione del legamento crociatoposteriore, con o senza sostituzione dellarotula. Nei casi più gravi con deformità edusure maggiori e danni all’apparato lega-mentoso periferico, trovano indicazione leprotesi vincolate a pivot centrale rotatorioattualmente disponibili e che rappresen-tano una brillante soluzione a problemati-che multifattoriali intricate .

La conservazione del L.C.P. è direttamete legata alla analisi di due fattori :-la componente articolare della deformità;-la componente extra-articolare delladeformità.

Protesizzazione mono-bi-tricompartimentale:dove finisce l’indicazione dell’una ed inizial’indicazione delle altre?G. Cerciello, G. Conte, A. Laudati, D. Rossetti

A.S.L. RM “E” - PRESIDIO OSPEDALIERO “VILLA BETANIA”U.O.C. “CHIRURGIA DELLA SPALLAE DEL GINOCCHIO” - DIRETTORE: GIULIANO CERCIELLO

Dott. G. Cerciello

48

ginocchio

Quando è predominante la componentearticolare il rilasciamento della concavitàè molto limitato e le resezioni osseehanno un asimmetria minima dovuta alvarismo osseo tibiale ed al valgismoosseo femorale normali (3°). In questocaso il livello dell’interlinea articolare pro-tesica non cambia rispetto al livello origi-nario ed il L.C.P. non rappresenta un osta-colo all’impianto.Tuttavia la protesi va impiantata senza crea-re una distrazione articolare eccessiva pernon verticalizzare il L.C.P. Questo evento èdannoso per la sopravvivenza dei materialie per la loro stabilità in quanto genera uneccesso di sollecitazioni posteriori.Se la componente ossea della deformità èimportante (ipoplasia del condilo femoraleesterno nel valgo, varismo tibiale costitu-zionale nel varo) le resezioni ossee rimuo-veranno una quantità di osso fortementeasimmetrica. Infatti l’osso resecato sarà diforma triangolare, con un lato rappresen-tato dalla superficie articolare, l’altro dallasuperficie resettiva e la base a livello dellaconvessità della deformità, che sarà tantomaggiore quanto maggiore sarà la compo-nente ossea della deformità.Questa situazione diventa da un latoincompatibile con la conservazione delL.C.P., che ostacola il bilanciamento epertanto va resecato, e dall’altro obbligaad un “release” molto marcato dei lega-menti retratti della concavità. (Fig. 1)Alla fine dei “tagli” e del rilasciamentolegamentoso si ottiene un incremento inaltezza dello spazio rettangolare cheandrà riempito con la protesi .

Ci troveremo così a dover scegliere fra

due opzioni :1-Aumentare lo spessore del polietilene.Questa scelta produrrà inevitabilmenteun innalzamento dell’interlinea articola-re, una rotula bassa secondaria ed unariduzione dell’efficienza del sistemaestensore.

2-Utilizzare un distrattore che consentiràdi abbassare il livello di resezionefemorale .Questa scelta consentirà diimpiegare un polietilene di spessoreminore, di mantenere un livello correttodell’articolazione, dI conservare unarotula di fronte alla troclea e di miglio-rare l’efficienza dell’apparato estenso-re. Di contro l’arto può risultare piùlungo di qualche millimetro.

La fisiologia della femoro-rotulea è moltocomplessa e riposa sul principio anato-mo-fisiologico dell’asimmetria del ginoc-chio, ossea, legamentosa, meniscale edell’involucro muscolare (specie dell’ap-parato estensore).Tale condizione non è attualmente riprodu-cibile con un impianto protesico. Per que-sto la nuova femoro-rotulea si integreràall’impianto con un corredo di rischi, ove laconservazione o la sostituzione della rotu-la rappresentano una ulteriore variabile.

Sappiamo che la protesizzazione rotuleaespone a svariate complicanze riportatein letteratura:- mobilizzazione del bottone;- usura del polietilene;- frattura della rotula;- rottura dell’apparato estensore.

Questi rischi, associati alle difficoltà della

ripresa chirurgica, rendono molti ortope-dici scettici sui reali vantaggi dell’opzionesostitutiva.Tuttavia un recente studio di revisionedella letteratura ci informa che il tasso direinterventi è:- 6,5% nelle rotule non protesizzate- 2,3% nelle rotule protesizzate

Ciononostante se la rotula è stabile ai testdinamici, si impegna bene all’inizio dellaflessione e la sua cartilagine è di buonaqualità, la protesizzazione è sconsigliabile,così come per pazienti giovani ed obesi.“La rotula è il termometro del ginocchio”.Con questa frase Gilles Bousquet volevasignificare che la condizione dinamicadella rotula è in stretta relazione con ilposizionamento della componente femo-ro-tibiale.Infatti risente nel piano frontale dell’altez-za della rima articolare, nel piano sagitta-le della posizione (flessa o estesa) e dellospessore del carter femorale e nel pianotrasverso dell’impianto in torsione interna(nefasta per la rotula) o esterna.Il successo dell’opzione sostitutiva nonpuò dunque prescindere, da un lato dalcorretto impianto protesico e dall’altra dauna riproduzione di uno spessore rotuleonormale. (Fig.2)Nei casi estremi, ove l’entità dell’usuraosteocartilaginea, la gravità della defor-mità articolare ed intraossea sono tali darichiedere gesti di riequilibrio articolarecon “release” dei legamenti della conca-vità oltre la loro lunghezza naturale, trovaindicazione la protesi vincolata a pivotrotatorio.Questi impianti, ormai molto evoluta, pre-

49

ginocchio

scindono dall’involucro capsulo-legamen-toso che viene sacrificato.La stabilità infatti è affidata alla protesiche consente una rotazione assiale permezzo di un pivot centrale.La stabilità intrinseca dell’impianto gene-ra, come corollario, una forte sollecitazio-ne dell’ancoraggio osseo. Per questo i fit-toni sono molto invasivi, occupando unaconsiderevole parte endomidollare delfemore e della tibia.Quindi, se da un lato i risultati immediatidi queste soluzioni sono eccellenti, speciein relazione a casi clinici che vivono unacondizione di reale handicap, dall’altroesistono riserve a lungo termine.Per questo l’opzione vincolata va riserva-ta a casi selezionati che non possonobeneficiare di impianti a scivolamento.

Fig 1: grave usura femoro-tibiale interna.

L’asimmetria della resezione ossea tibiale

creerà una ulteriore lassità laterale, dovuta

proprio alla resezione. Ciò aumenterà lo

spazio che andrà riempito dall’impianto

protesico.

Fig 2: opzione sostitutiva in una rotula

gravemente danneggiata dal processo

artrosico.

50

ginocchio

Gli Autori, dopo la necessaria premessasulle possibilità di trattamento dellaartrosi monocompartimentale di ginoc-chio, esaminano le casistiche relative aiprimi anni di uso della protesi monocom-partimentale di ginocchio (PMC), ripor-tando giudizi non troppo entusiastici diMarmor (1979), Insall e Walker (1976),Insall e Aglietti (1980), Laskin (1978),Swank et Al (1993).Si trattava tuttavia delle prime esperien-ze, seguite da un progressivo affinamen-to dei materiali da impianto e delle tecni-che chirurgiche che hanno progressiva-mente migliorato l’affidabilità e la duratadegli impianti.Viene quindi preso in esame un lavoro diScott (2006) nel quale si riporta la “sto-ria” di questo tipo di protesi ed importan-ti “report” di molti AA quali Kozinn, White,Goodfellow, Levine ed altri, nonchél’esperienza di tre decenni di impianti diPMC, dal quale scaturiscono fondamen-tali considerazioni su indicazioni, con-troindicazioni e limiti.Da tale esperienza sono scaturite leseguenti conclusioni: la presenza di artri-ti infiammatorie (AR), è una sicura con-troindicazione. Una scarsa economianelle resezioni ossee crea problemi nellerevisioni. Una scarsa accuratezza nellaselezione del paziente porta spesso afallimento. Un LCM lasso nelle patologiedel comparto mediale e laterale è causadi persistente instabilità. L’obesità puòportare a fallimento a causa degli eleva-ti sovraccarichi focali. E’osservabile una

costante degenerazione artrosica delcomparto controlaterale se il ginocchioviene ipercorretto.Nel corso di questi trenta anni le compo-nenti protesiche hanno avuto una evolu-zione nel design: la componete femoraleè stata dapprima ampliata nel suoappoggio di circa 5 mm per evitane la“subsidence”, quindi sono stati aggiuntiperni e lamine per aumentarne la stabili-tà primaria; la componente tibiale è statadapprima resa più spessa (almeno 8mm) e ne è stata aumentata la con-gruenza, ma solo a patto di disporre diun emipiatto mobile, per evitare precocimobilizzazioni.Si sono stabiliti inoltre dei princìpi di tec-nica chirurgica che possono essere cosìsintetizzati: fondamentale la valutazionedell’integrità del L.C.A, che deve esseresempre preservato, e delle articolazionifemoro-tibiale controlaterale e femoro-rotulea che devono essere asintomatichee non coinvolte da processi artrosicisuperiori al 2° di Ahlback. Gli osteofitidella gola intercondiloidea devono esse-re asportati per prevenire fenomeni diimpingement con il massiccio tibiale. Lacorrezione deve essere neutra (0°) sul-l’asse anatomico o lievemente ipocorret-ta sull’asse meccanico. Le resezionifemorale e tibiale devono rimuovere ilminimo necessario a correggere even-tuali deformità sul piano frontale, alloscopo di preservare al massimo il bone-stock e di evitare l’ipercorrezione, ma nelcontempo consentire l’uso di PE > 6 mm

(minimo raccomandato 8 mm).La PMC presenta degli indubbi vantaggi:minore invasività con rispetto dellestrutture capsulo-legamentose e conse-guenti migliori risultati funzionali emigliore propriocettività; non necessitastrumentario intramidollare; garantisceun ROM 0°-120°; inoltre si osservanominor dolore e minori complicazioni(TVP, sepsi), garantisce tempi di ricoveropiù brevi, minori perdite ematiche, lapossibilità di una revisione più sempliceed infine un costo minore (-57%) rispet-to alla PTG.Ancor oggi tuttavia la PTG dimostra diessere più valida della PMC per quantoconcerne: una maggior durata negli studia medio/lungo termine, una maggioreriproducibilità della tecnica chirurgica,indicazioni molto elastiche, una tecnicachirurgica più semplice e quindi unacurva di apprendimento più breve ed unminor numero di insuccessi.Pertanto i veri limiti della PMC sonoessenzialmente rappresentati da due fat-tori: l’esperienza del chirurgo e le indica-zioni ristrette.Il chirurgo deve essere padrone delletecniche chirurgiche miniinvasive ecomunque deve percorrere un camminotecnico caratterizzato da una lunga curvadi apprendimento e da inevitabili errori.Per quanto concerne le indicazioni, sonostate riportate da molti Autori - ScottR.D., (1981), Kozinn S.C., (1989),Goutallier D., (1991), Stern S.H. e InsallJ., (1993), Voss E. e Galante J., (1995),

Ginocchio: quale il limitedelle protesi di rivestimentoA. Masini, R. Barbabella

OSPEDALE GENERALE “CRISTO RE” (ROMA)Dott. A. Masini

51

ginocchio

Grelsamer R.P., (1995), ecc.Le indicazioni ad oggi ritenute come fon-damentali sono le seguenti:

Sono state inoltre individuate le controin-dicazioni assolute:

Le considerazioni conclusive degli Autorisono quindi le seguenti:- Il rispetto assoluto delle indicazioni edelle relative controindicazioni, riduce il

• Età compresa tra 60 e 75 anni• Artrosi o osteonecrosimonocompartimentale

• Ginocchio stabile(integrità LCA/LCP)

• Deformità in varo/valgo < a 10°riducibile (Rx sotto stress)

• Articolazione F/R indenneo comunque asintomatica

• Comparto controlaterale - 1°/2°stadio di Ahlback

• Deformità in flessione < 10°• ROM > 90°/100°

• “Triade infausta”Obesità + Varismo + Osteoporosi

• Reumatismo infiammatorio(>> danno 3 comp.)

• Artrosi F/R grave e soprattuttosintomatica

• Lassità legamentosacombinata grave

• Rigidità in flessione > 10° onon riducibile

• ROM < 90°/100°• esiti osteotomie ipercorrette• 3°/4° stadio di Ahlbackcontrolaterale

numero dei casi diOA di ginocchio che possono essere trat-tati con tale metodica, ma rappresenta labase fondamentale per poter ottenere unbuon risultato.- I risultati nella letteratura più recentesono assai incoraggianti. Molti AAriportano infatti “sopravvivenza” dellaprotesi dall’ 84% al 98% da 10 a 12anni.

- La PMC di ginocchio si è conquistatain questi ultimi anni una identità chi-rurgica di successo, ma a patto dirispettarne indicazioni e limiti.

Ogni insuccesso deriva infatti da erroritecnici o da errata indicazione, in quantonon bisogna mai dimenticare che non cisi trova di fronte ad una alternativa allaPTG o all’osteotomia correttiva

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52

ginocchio

I progressi della chirurgia ricostruttivaortopedica, in campo oncologico, graziealle tecniche di “Limb Salvage”, hannocreato nuovi orizzonti nel settore riabilita-tivo. Per ciò che concerne la sostituzioneprotesica, si ricorda come prima procedu-ra la megaprotesi “custom made”, la cuievoluzione è rappresentata dalla mega-protesi modulare; con questi tipi di inter-venti, le problematiche riabilitative sonolegate alla inefficienza del reinserimentomuscolare, tendineo e legamentoso, sulmetallo protesico; a tale proposito alcuniAutori documentano rischi di necrosimuscolare e conseguente distacco tendi-neo nei tentativi di sutura diretta sulla pro-tesi. L’evoluzione delle tecniche chirurgi-che ha consentito oggi di sostituire l’inte-ra articolazione con un innesto massivoosteo-articolare prelevato da cadavere,che permette la reinserzione tendinea conun discreto ripristino della funzionalitàarticolare. Tale metodica non è scevra dacomplicanze; infatti spesso si verificanofratture a carico dell’innesto stesso.Un’ulteriore evoluzione chirurgica è rap-presentata dalla protesi composita, l’as-sociazione tra una protesi convenzionale oda revisione e un innesto massivo meta-diafisario (sempre prelevato da cadavere),con le sue inserzioni tendinee.Quest’ultima soluzione ha la caratteristicadi avere una buona stabilità meccanica e

quindi una discreta funzione, anche inragione del fatto che la protesi compositaconsente la verticalizzazione e il caricosfiorante già in trentesima giornata post-operatoria.Lo scopo di questo lavoro è quello didescrivere il programma riabilitativo nelleprotesi di ginocchio dopo resezione onco-logica, illustrarne i problemi ad esso lega-ti e documentare i risultati funzionali,valutati mediante scheda di Enneking.

SESSIONE RIABILITAZIONERiabilitazione nelle protesi diginocchio dopo resezione oncologicaM. Celestini, M. L. Nicodemo, R. Capanna

OSPEDALE S. SPIRITO (ROMA)Prof. R. Capanna

spalla 53

55

spalla

La protesi inversa di spalla è stata svilup-pata oltre 15 anni fa dal Prof. Grammont.Da allora, questo approccio chirurgico èstato largamente accettato come il tratta-mento di elezione per le artrosi scapolo-omerali eccentriche con grave lesionedella cuffia dei rotatori, adatta per pazientianziani, complessi e difficile da trattare. E'questa una chirurgia difficile, alla qualebisogna avvicinarsi con già una buonaesperienza di impianti protesici su fratturerecenti o su artrosi primaria. I problemi chesono insorti infatti durante la nostra attivi-tà chirurgica e i risultati ottenuti sono talida considerare utile ed elettivo l'interventodi protesizzazione solo se esistono dellecondizioni cliniche non altrimenti trattabili.La geometria della protesi inversa di spal-la inverte il rapporto normale tra i compo-nenti scapolare e omerale. Sposta il cen-tro di rotazione omerale medialmente edistalmente, con conseguente aumentodel braccio di leva del M. Deltoide.Gli studi biomeccanici dimostrano che que-sto aumento del braccio di leva consente aifasci anteriore, posteriore e mediale del

deltoide di compensare la deficienza dellacuffia dei rotatori. Si ha quindi una articola-zione stabile con una articolarità quasi nor-male per le attività quotidiane.Il gruppo metaglena della protesi inversa dispalla Delta è stato progettato per fornoirestabilità a lungo termine. Il centro di rota-zione, la direzione delle viti il sistema dibloccaggio e di assemblaggio della glenahanno dimostrato di avere una fissazione dieccellente resistenza durante vari testmeccanici effettuati in studi internazionali.La via di accesso chirurgica, che noi con-sigliamo, è l’approccio supero-lateraletransdeltoideo; permette alcuni vantaggi:- buona esposizione della cavità glenoi-dea, conservazione dell’inserzioneacromiale delle fibre del m. deltoide(Area III Fick),

- dissociazione f.musc.deltoide fino a 5cm. dal bordo acromiale , per evitarelesioni dei rami del n. ascellare.

Nei pazienti operati di protersi inversa dispalla la funzionalità e l’articolarità post-operatoria risulta notevolmente migliora-ta, il dolore è ridotto e il livello di attività è

aumentato. La riabilitazione di solito pro-cede senza difficoltà, con risultati funzio-nali precoci incoraggianti. Tuttavia, sebbe-ne anche i risultati a medio termine sianoeccellenti, sono frequentemente descritteerosioni sulla scapola per attrito con lacomponente omerale, che potrebberocausare mobilizzazione, a lungo termine,della componente glenoidea.Studi clinici hanno dimostrato un aumen-to del 142% (da 10.75 a 26.0) e del185% (da 2.7 a 7.7) rispetto alle condi-zioni pre-operatorie, usando il punteggiodi Constant - Murley per valutare mobilitàdella spalla e forza muscolare (Valenti2000, Jacobs 2001)

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SEP;88 SUPPL 1 PT 2:178-90.

Nuove frontiere e presuppostisull’utilizzo delle protesiinverse di spallaF. Laurenza, A. Lispi

AZ.OSPEDALIERA S.GIOVANNI - ADDOLORATA - U.O.C. ORTOPEDIA E TRAUMATOLOGIA (ROMA)Dott. A. Lispi

Fig.1: donna di 76aa

Omoartrosi eccentrica con

lesione massiva cuffia rotatori

56

spalla

Le fratture scomposte del terzo prossima-le dell’omero, tanto più se associate allalussazione dell’articolazione gleno-omera-le, propongono all’ortopedico-traumatolo-go notevoli difficoltà nella scelta del tratta-mento più idoneo.La scelta fra le diverse metodiche diosteosintesi è tutt’ora motivo di dibattitofra i chirurghi traumatologi di tutto ilmondo.Gli Autori propongono una revisione dellaLetteratura più recente e i loro risultaticlinici e radiografici a distanza nei casi difratture del terzo prossimale dell’omerotrattate chirurgicamente.Nella loro casistica gli Autori hanno sceltola riduzione incruenta o chirurgica segui-ta dall’utilizzo di diverse tecniche di osteo-sintesi (pinninig percutaneo, placche,inchiodamento endomidollare) ricorrendoall’utilizzo della sostituzione protesica soloin casi di fratture-lussazioni a 3-4 fram-menti in soggetti anziani o nei casi di falli-mento dell’osteosintesi.

Vengono riportate le indicazioni, i vantaggie gli svantaggi nell’utilizzo delle diversetecniche chirurgiche, evidenziando i buonirisultati ottenuti con le placche a stabilitàangolare di ultima generazione. In casiselezionati inoltre, gli Autori propongo diprendere in considerazione l’impianto diprotesi di spalla inversa.

Il trattamento delle fratture articolaridel terzo prossimale dell’omero.A. Carfagni, C. F. De Biase, F. D’Imperio, M. Rendine

IDI, OSPEDALE S. CARLO (ROMA)Dott. F. D’Imperio

57

spalla

L’inquadramento istogenetico delle neo-plasie dello scheletro rende possibile unaclassificazione che consente di stabilire iprotocolli diagnostici e terapeutici neces-sari per risolvere, quando possibile, il pro-blema neoplastico.La sede anatomica del cingolo claveo-sca-polo-omerale, come qualsiasi altro distret-to scheletrico, può andare incontro a pato-logie neoplastiche, le quali necessitanodella terapia chirurgica, da sola o in asso-ciazione con la chemio e la radioterapia.Gli autori presentano la loro esperienza,che si basa sugli istotipi riportati nellaTabella 1, con le relative localizzazioniriscontrate.

È evidente che le neoplasie benigne e lecondizioni simil-tumorali dell’osso posso-no raggiungere la guarigione con la solaterapia chirurgica, o con l’associazione deitrattamenti infiltrativi che consentono unareazione osteogenica e conseguentemen-te la riduzione, fino alla scomparsa, dellalesione osteolitica.A questo proposito, per la cisti ossea gio-vanile e per il granuloma eosinofilo, dob-biamo ricordare l’importanza terapeuticadell’infiltrazione con metil-prednisolone-acetato (Fig.1).

Nella Tabella 2 gli autori riportano le per-centuali di guarigione della loro casistica.

Le neoplasie delcingolo claveo-scapolo-omeraleM. A. Rosa, D. Lo Vano

DIPARTIMENTO SPECIALITÁ CHIRURGICHE - SEZIONE DI ORTOPEDIA - UNIVERSITÁ DI MESSINA

SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE IN ORTOPEDIA E TRAUMATOLOGIAProf. M. A. Rosa

Tabella 1

Fig. 1

Tabella 2

58

spalla

Per quanto riguarda la cisti ossea, nei raricasi in cui l’infiltrazione con metil-predni-solone-acetato non consenta di raggiun-gere la guarigione, è riportata dagli autorila necessità di ricorrere all’infiltrazionedella lesione con midollo osseo autologo,le cui cellule mesenchimali totipotentivengono stimolate, una volta inoculate nelcontesto della lesione, a differenziarsiselettivamente secondo la linea osteobla-stica (Fig.2).

Per le neoplasie ossee benigne la solu-zione chirurgica consente di raggiungerela guarigione con diverse metodiche, chevanno dal courettage alla resezione inblocco “marginale”. È evidente che pertali patologie a volte l’indicazione all’in-tervento chirurgico dipende solo dallepossibili complicanze, che vanno dallarecidiva locale alla trasformazione mali-gna o a semplici danni da compressione,nervosa o vascolare, che in quest’ultimaevenienza sono causa di sofferenza, percui l’atto chirurgico si rende indispensa-bile (Fig. 3).

Diversa è la problematica per le neoplasieossee maligne, primitive o metastatiche(Figg. 4 e 5), per le quali la terapia chirur-

Fig. 2

Fig. 3

Fig. 5

Fig. 4

59

spalla

gica, in base all’istotipo individuatomediante preventiva biopsia diagnostica,deve essere necessariamente associataad una chemioterapia mirata, a voltecompletata da una ormonoterapia e/o dauna radioterapia locale.È sempre l’istotipo che condiziona il tipodi “trattamento multidisciplinare” daattuare, che con i nuovi protocolli consen-ta il più lungo periodo di sopravvivenza, a5 e a 10 anni.

Nella Tabella 3 gli autori riportano le per-centuali di sopravvivenza a 5 anni dellaloro casistica.

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Tabella 3

60

spalla

introduzioneLa lussazione gleno-omerale può causareuna lesione della cuffia dei rotatori conmaggiore frequenza nei pazienti oltre i 40anni, probabilmente indotta da alterazionidel collageno legata all’età. Non risultaancora chiaro se sia l’instabilità di spalla acausare una lesione della cuffia durante iltrauma oppure una lesione di uno o piùtendini della cuffia dei rotatori può altera-re la normale coordinazione della spalladeterminando instabilità. D’altro canto unalesione della cuffia potrebbe essere causa-ta da un movimento ripetuto alla stregua diquello che accade negli atleti agonisti“overhead” nei quali la contrattura dellacapsula posteriore potrebbe favorire lesioniarticolari come una SLAP. Il reperto piùcomunemente osservato dopo i 40 anni èuna lesione capsulare associata ad unalesione completa di cuffia. Vari autori rac-comandano il trattamento a cielo apertodella instabilità ed eventuali trasferimentitendinei in caso di rotture massive del sot-toscapolare. In questo studio riportiamo irisultati del trattamento artroscopico inpazienti tra i 40 e 60 anni, con lesioni dicuffia, instabilità di spalla o coesistenza dientrambe le lesioni, mettendo in relazionelesione capsulo-labrale, lesione di cuffia,numero di lussazioni ed età dei pazienti.

pazienti e metodiTattasi di uno studio osservazionale conanalisi retrospettiva dei risultati del tratta-mento artroscopico. Dal gennaio 2000 ipazienti di età compresa tra 40-60 annisottoposti a trattamento artroscopico per

instabilità (I), lesioni di cuffia (C) o asso-ciazione di instabilità e rottura di cuffia (IC)sono stati divisi in 3 gruppi. Esclusi ipazienti con altre lesioni associate, dalmaggio 2002 sono stati individuati 50pazienti per gruppo. Per la valutazione deirisultati abbiamo utilizzato il Rowe scoreed il Constant score confrontando i valoripre e post-operatori. L’analisi statisticaper la significatività dei risultati ha inclusoil PCC, test chi quadro e test t di Student.

tecnica chirurgicaArto in abduzione a 70° con portali poste-riore, antero-superiore e antero-inferiore.Le lesioni capsulari con labbro intatto sonostate chiuse con PDS o suture all’osso; lelesioni HAGL e le Bankart sono state ripa-rate con ancore a singolo filo. In presenzadi una lesione di cuffia abbiamo posiziona-to l’arto a 30° e siamo passati nello spaziosub-acromiale riparando il tendine conancore a doppio filo o ricorrendo a punti“side-to-side” per le rotture irreparabili.

trattamento post-operatorio- Immobilizzazione con tutore in abduzio-ne a 20° per 21 gg.

- Mobilizzazioni passive per 5 settimaneescludendo la rotazione esterna

- Esercizi attivi in piscina su tutti i pianiper 3 settimane

- Esercizi di forza dopo 8 settimane

risultatiConfrontando il punteggio del Constant eRowe, pre e post-operatori, abbiamoriscontrato risultati significativi nei 3 grup-

pi (P < 0.01). Nei pazienti del gruppo IC ilRowe è passato da 39.47 a 78.49.Analizzando il parametro stabilità delRowe score, emerge un incremento di +28.8 rispetto ai valori del preoperatorio.

conclusioniNon appare possibile stabilire se una lesio-ne capsulo-labrale o di cuffia causi o seguaad una lussazione, tuttavia abbiamo osser-vato che i pazienti con associata lesionecapsulare con storia di recente lussazioneavevano una lesione del labbro e dei lega-menti che non dipendeva dal numero dilussazioni mentre lesioni di cuffia postero-inferiore sono sembrate influenzate dalnumero di lussazioni, con rischio elevatoquando si superavano i 7 episodi.

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Instabilità di spalla e lesioni massivedella cuffia dei rotatoriG. Merolla, F. Campi, F. Fauci, P. Paladini, G. Porcellini

U.O DI CHIRURGIA DELLA SPALLA E DEL GOMITO, OSPEDALE “D. CERVESI”- CATTOLICA (RN)Dott. G. Porcellini

61

spalla

introductionThe humerus neck fractures (HNF) are afrequent pathology in the 6th decade oflife. Until now the manipulation and mostof the traditional surgeries (including pro-sthesis) haven’t showed satisfactoryresults.

materialBy using the TGF system, a minimal inva-sive technique, we have the advantage ofimmediate mobility of the articulation. TheTGF system is a mixed fixator that createsa new concept in osteotaxis. This newconcept, using tension-guides, allows usto look at HNF as a non invasive andeffective way of treatment.

methodsWe used the Neer classification, acceptedworldwide to classify the HNF. Followingthis classification we have operated suc-cessfully 5 HNF Neer II, 16 HNF Neer IIIand 9 HNF Neer IV.The cinetical lesion’s energy was dividedin : Hight energy - 4 case, Medial energy- 5 cases and Low energy ( with ostheo-porosis ) - 21 cases.Based on the Three Supports Principle forthe reduction of fractures, the tension-

guide is introduced in the head of theHumerus after that in the medullar chan-nel and posteriorly the pins of Schanz areset into place. The system is completedwith the union or compression bars, beinglater bounded by union cubes.

discussionBecause of the complexity of these type offractures, the conservative and theKapandji methods or the osteosynthesiswith a plate tend to have a low rate ofsuccess.The anatomic results were very good, with100% of consolidation and a correct finalalignment.The functional results are divided in : Verygood, with 100% of mobilization and nopain in 4 cases - 13.3%; Good, with 80%to 100% of mobilization and some timespain in 23 cases - 76.7%; Regular, with50% to 80% of mobilization and pain witheffort in 3 cases - 10%; Bad, with lessthan 50% of mobilization and constantpain in 0 cases - 0%.As complications we reported only 4 pintrack superficial infections, that stoppedwhen we took off the Schanz pins.In what concerns the humerus prosthesisperformance, this approach has worst

results when compared with the TGFsystem, because this last system is amore physiological technique, less invasi-ve, with a faster and less risky surgery, it’scheaper and offers better results in theHNF.

conclusionThe TGF method, apart from it’s short timeof follow-up, has proved, as we showedabove, attending it’s safety ness and effi-cacy, to be the best method for the treat-ment of HNF.

Humerus Neck Fractures TreatmentA New Method (TGF™)J. Costa Martins, MD

INFANTE D. PEDRO HOSPITAL - AVEIRO PORTUGALDott. J. Costa Martins

62

spalla

La rottura della cuffia dei rotatori è massi-va quando i tendini coinvolti sono almenodue. Più frequentemente, i tendini lesio-nati sono il sopraspinoso ed il sottospino-so. La rottura massiva è irreparabilequando i margini di rottura sono retratti(mediali al profilo anteriore della glenoide)e scarsamente mobilizzabili. Usualmente,tale alterazione si accompagna ad unaatrofia grassa da non uso dei muscoli deitendini coinvolti.Il trattamento delle rotture massive edirreparabili dipende dai sintomi e dall’etàdel paziente e dalla presenza, o meno, diun’artropatia gleno-omerale (artropatiada cuffia).Se la mobilità della spalla è conservata edil paziente ha un dolore lieve e saltuario, iltrattamento proposto è quello conservativo.In assenza di artropatia, ma in presenza diuna ridotta mobilità e dolore, il trattamen-to è in funzione dell’età del paziente. Neisoggetti di età inferiore a 70 anni, conflessione pre-operatoria superiore a 90° econ una valida funzionalità del tendine delsottoscapolare, noi proponiamo la traspo-sizione del tendine del grande dorsale.Dopo l’intervento di trasposizione, tutti ipazienti della nostra serie hanno avutouna regressione del dolore. L’incrementomedio della flessione, abduzione ed extra-rotazione attiva è stato, rispettivamente, di57°, 43° e 13°. Il Constant score è statodel 70%, con un incremento di 26 puntirispetto alla valutazione pre-operatoria.Criteri prognostici favorevoli aggiuntivi

sono anche l’assenza pre-operatoria diuna instabilità statica della spalla edun’elevata motivazione del pazientedurante il programma di riabilitazione.Se il paziente è ultrasettantenne, conscarsa propensione alla lunga immobiliz-zazione ed al programma riabilitativo,può essere indicato un trattamentoartroscopico (debridement). Con questo,il chirurgo può limitarsi ad effettuare lasinoviectomia, la tenotomia del capolungo del bicipite e la regolarizzazionedei margini della rottura. In questi casi, laborsa sottoacromiale è, di solito, assen-te. L’acromioplastica non deve essereeseguita per non ledere il legamentocoraco acromiale che rappresenta l’uni-co baluardo che si oppone alla traslazio-ne superiore della testa omerale. Dopo iltrattamento, il paziente può ottenere unmiglioramento in termini di dolore emobilità attiva. Tuttavia, deve essereinformato che il risultato può deteriorarsinel tempo e ritornare ad essere sovrap-ponibile a quello pre-operatorio dopo unperiodo medio di 5 anni.Se lo spessore del tendine retratto è con-sistente ed i muscoli della cuffia hanno ungrado di degenerazione grassa I o II, puòessere tentata una riparazione parzialedella cuffia dei rotatori. Con una forbiceartroscopica, si seziona l’intervallo deirotatori e si mobilizza il tendine del sopra-spinoso. Quest’ultimo, od una parte diesso, può essere reinserito in prossimitàdel collo anatomico precedentemente

cruentato. Nel caso in cui il tendine delpiccolo rotondo fosse sano, tale procedu-ra chirurgica può ripristinare una brigliafunzionale biomeccanicamente valida ingrado di alleviare il dolore e migliorare lamobilità attiva della spalla.Nel caso di pazienti anziani e con artropa-tia da cuffia, noi proponiamo l’impianto diuna protesi inversa. Biomeccanicamente,questa protesi medializza il centro di rota-zione ed incrementa il braccio di leva deldeltoide. Usualmente, il paziente ottieneun incremento della mobilità attiva, eccet-to che per la extrarotazione. Per migliora-re quest’ultima, all’impianto della protesipuò essere associata la trasposizione delgrande dorsale.La protesi inversa è stata proposta ancheper pazienti molto anziani con rotturamassiva irreparabile, marcato dolore,scarsa mobilità e senza artropatia. Poichéin questi casi l’articolazione gleno omera-le verrebbe sacrificata, pur essendo sana,appare più giustificato un intervento diminore morbilità chirurgica come il debri-dement artroscopico.

Lesioni massive ed irreparabili dellacuffia dei rotatoriS. Gumina, F. Postacchini

DIP. SCIENZE DELL’APPARATO LOCOMOTORE.CLINICA ORTOPEDICA E TRAUMATOLOGICA UNIVERSITÀ “LA SAPIENZA” (ROMA)Dott. S. Gumina

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spalla

introduzioneL’attuale incidenza di fratture dell’epifisiprossimale di omero è di105/100.000/anno, con una distribuzionebimodale: il 25% è rappresentato da lesioniad alta energia con coinvolgimento dipazienti giovani under 40, mentre il rima-nente 75% è dovuto a lesioni a bassa ener-gia ed interessa in modo elettivoanziani,debilitati ed infermi. Tale patologiaviene frequentemente sottovalutata,ma è dirilevante interesse perché può avere unesito può essere altamente disabilitante confrequente perdita del ROM della spalla finoad un possibile esito in m. di Sudek (c.dShoulder- Hand Syndrome). Questo partico-lare tipo di fratture ha registrato un rilevan-te aumento statistico di ca. 3 volte nel corsodegli ultimi 30 anni. Tale incremento epide-miologico ha conseguentemente introdottonuovi sistemi di classificazione e innovatisistemi di osteosintesi.Lo scopo del presente studio è stata lavalutazione prospettica della efficaciaclinica di un nuovo sistema specifico uti-lizzato per le fratture scomposte del-l’omero prossimale.

materiali e metodiNel biennio 2005 -2006 sono state sot-toposte ad intervento chirurgico di ridu-zione e sintesi 32 fratture dell’epifisiprossimale dell’omero, utilizzando unasistema di placca e viti a stabilità ango-lare (Hand Innovations, Myrmex, Italia).L’età dei nostri casi variava da 38 a 62

anni (età media pari a 50 anni e media-na pari a 56 anni), con 30 pazienti fem-mine e 2 maschi. Tali fratture sono stateclassificate secondo Neer in 18 casicome fratture a 2 parti, 10 in fratture a 3parti 4 in fratture a quattro parti. E’ statoutilizzato un acesso deltoideo-pettoralestandard, che ha previsto la retrazionelaterale della vena cefalica, l’incisionedella fascia clavipettorale, la retrazionedel deltoide e del tendine congiunto. Neicasi indicati è stata eseguita la suturadella tuberosità aiuta la riduzione dellafrattura, sono stati eseguiti eventuali tra-pianti ossei e la placca è stata posiziona-ta sempre a ca. 5 cm distali dalla gran-de tuberosità, appena laterali alla docciabicipitale. La chinesi passiva è stata ini-ziata a partire dalla 3/4° settimana post-op con movimenti pendolari sec.Codman, per poi proseguire con esercizidi chinesi attiva progressiva attiva edassistita dalla 4° settimana in poi. Il fol-low-up medio è stato di 19 mesi (11-38). L’outcome è stato valutato utilizzan-do radiografie nelle due proiezioni stan-dard, il punteggio dell’ AmericanShoulder and Elbow Surgeons (ASES) equello dell’ Hospital for Special Surgery(HSS). Tutore per 3 settimane

risultatiLa consolidazione ossea radiografica èstata ottenuta in 8 settimane in 28pazienti. Il punteggio mediano cumulati-vo delle attività del daily living della ASES

era di 25,6/30 (18-29). Secondo l’ HSS,21 pazienti hanno raggiunto u punteggiodi eccellente, 9 buono, 2 sufficiente enessun negativo. Due pazienti hannoregistrato una mobilizzazione parzialedella sintesi e nessuno ha sviluppato unanecrosi avascolare. Non sono stati regi-strati casi di infezione. Sulla base dellanotevole stabilità della osteosintesi intutti i pazienti è stato instaurato un pro-tocollo di riabilitazione precoce dallaterza settimana. I due casi di mobilizza-zione della sintesi sono stati rivisti chi-rurgicamente a causa di collasso osseoulteriore con ottimo risultato finale.

discussioneLe fratture dell’omero prossimale si pre-stano a numerose soluzioni chirurgicheortopediche. In caso di fratture compo-ste, il trattamento conservativo producegeneralmente risultati soddisfacenti. Lefratture scomposte, invece, sono comu-nemente trattate con la riduzione e lasintesi chirurgiche, mentre il trattamentoprotesico è riservato per le fratture 4frammenti o in caso di insufficiente qua-lità dell’osso per osteoporosi. Lo scopodella riduzione e sintesi a cielo aperto èquello di promuovere la consolidazionepermettendo al tempo stesso la mobiliz-zazione attiva dell’articolazione per ridur-re il rischio di rigidità. Per raggiungeretale scopo sono disponibili vari sistemi disintesi, quali placche a T, placche a qua-drifoglio, semitubulari, e sistemi di

Le fratture complesse delle epifisiprossimali di omero: quali soluzioni?F. Rodia, A. Ventura

II U.O.C. ORTOPEDIA E TRAUMATOLOGIA - C.T.O. “A. ALESINI”ASL RMC - DIRETTORE: P. PALOMBI

Dott. A. Ventura

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spalla

inchiodamento fino a sistemi di inchioda-mento per la porzione prossimale del-l’omero. Invia del tutto speculativa unimpianto ideale dovrebbe garantire unasintesi rigida, non dovrebbe creareimpingement ed al tempo stesso offrireuna sintesi divergente e subcondrale delframmento cefalico. Tale sintesi dovreb-be essere con bloccata (“locking”) manon aggressiva a livello cefalico e rigidaa livello diafisario. Dovrebbe essere ver-satile ed adattabile intra-operatoriamen-te e permettere infine la riparazione dellacuffia e/o della tuberosità con fori di diancoraggio. I chiodi endomidollari, d’al-tro canto presentano difficoltà a ridurrele fratture tuberositarie con un rischio diesitare in varo cefalico tale da dover con-vertire in alcun casi il fallimento dellasintesi in artoprotesi. Il tipo di sintesi uti-lizzato in questo studio rientra tra gli

impianti di 2° generazione. I vantaggi diquesti sistemi sono rappresentati dallapossibilità di un supporto stabile per latesta omerale, di una stabile sintesi dia-fisaria, dalla possibilità di riparazionedelle tuberosità. Inoltre, esiste in talimezzi un profilo anatomico vero (Destroe Sinistro), con una retroversione prede-finita della placca. Questi sistemi devonoessere alloggiati in posizione inferiorerispetto alla testa omerale, e per talemotivi si verifica un auto-alloggiamentofisiologico della placca. Infine la presen-za di viti parzialmente filettate crea unadistribuzione uniforme delle forze sul-l’osso subcondrale. L’insieme di questecaratteristiche crea tutte quelle condizio-ni per cui è possibile permettere unamobilizzazione ed funzionalità precoci, avantaggio del pieno recupero funzionale.

conclusioniIl tipo di osteosintesiscopo del presentestudio ha permesso,tramite le peculiaritàsovraesposte, di per-mettere una riabilita-zione precoce uni-taad una ostesosintesistabile con risultatifinali, di conseguen-za, da buoni adeccellenti.

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OCT;36(10):1190-6. EPUB 2005 SEP 26Fig. 1 - Esempio di ORIF con placca S3 Hand Innovation.

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spalla

Il trattamento delle fratture dell’omeroprossimale prevede diverse metodiche.Oltre al quello conservativo e ricostruttivosi sta sempre più affermando la sostitu-zione protesica, grazie anche all’affina-mento delle tecnice chirurgiche, deimateriali e del design, appositamenti stu-diati per la traumatologia della spalla.Un corretto inquadramento preoperatorioè fondamentale per definire la miglioresoluzione trattamento e garantire il migliorrisultato funzionale. I parametri di riferi-mento che identificano la complessitàdella frattura e suggeriscono quindi lacura più idonea sono: numero di fram-menti, grado di scomposizione, tempointercorso dal trauma, rischio di necrosiavascolare, interposizione di tessuti mollie perdita di sostanza. E’ importante tene-re conto delle caratteristiche del pazien-te:età, condizioni generali, livello di attivi-tà, aspettative funzionali, compliance.Da una casistica di 61 pazienti trattatipresso l’Istituto di Clinica Ortopedicadell’Università Cattolica del Sacro Cuore,sono stati selezionati 44 casi complessi,definiti tali in base a specifici criteri divalutazione clinici, radiografici, (Rx, TC 3D,e in alcuni casi Angio-TC) ed intraoperato-ri diretti. In 32 pazienti sulla base di talicriteri si è optato per una ricostruzionemediante osteosintesi (viti cannulate, fili diK., sistema misto fili di K. + viti, placche)mentre in 12 casi si è posta indicazione atrattamento endoprotesico di spalla(Univers-Trauma, Arthrex). Tutti i pazienti

sono stati valutati clinicamente (Constant,Vas, SF-12) e radiograficamente con unfollow-up minimo di 3 mesi e massimo di2 anni.Nell’ambito del primo gruppo il tempomedio di guarigione è stato di 8 settima-ne con un discreto o buon ripristino dellafunzionalità in assenza di sintomatologiadolorosa. Nei pazienti sottoposti a inter-vento di endoprotesi i risultati sono statibuoni nei 2/3 dei casi (buona mobilità eassente o scarso dolore. L’incidenza dicomplicanze, quali lesioni neurovascolari,osteonecrosi e rottura dei mezzi di sintesi,è stata del 18% nei casi trattati conosteosintesi, con un incremento percen-tuale all’aumentare della complessitàdella frattura; nei pazienti sottoposti atrattamento protesico l’incidenza di com-plicanze è stata del 25% (2 infezionisuperficiali risolte con terapia antibiotica e1 lesione neurologica pre-operatoriaesclusa dallo studio).In conclusione i migliori risultati si rag-giungono grazie ad un’adeguata valuta-zione preoperatoria e alla presenza diequipe multisciplinari che consentono diridurre i rischi e migliorare la prognosi.Il trattamento conservativo, pur presen-tando indicazioni sempre più limitate, rap-presenta comunque un’opzione terapeuti-ca valida in determinate tipologie di frat-tura e di paziente.Il trattamento con osteosintesi è un’opzio-ne valida nei pazienti giovani (<60 anni)anche se a rischio di necrosi avascolare.

Il trattamento protesico, è risultato indi-spensabile nei pazienti più anziani ad ele-vato rischio di necrosi, ed ha evidenziatobuoni risultati.L’ulteriore evoluzione delle componentiprotesiche e l’utilizzo di suture ad elevataresistenza permettono di migliorare ilrisultato clinico definitivo riducendo ilrischio di mobilizzazione delle tuberosità.Il consistente rischio di complicanze e diparziale perdita funzionale rispetto al nor-male richiede una corretta informazionedel paziente.

Quali soluzioni nelle fratturecomplesse dell’epifisiprossimale omerale?G. Logroscino, G. Milano, M. Venosa, E. Pagano, C. Fabbriciani

ISTITUTO DI CLINICA ORTOPEDICA - UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE (ROMA)Dott. G. Logroscino

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spalla

La lussazione anteriore post-traumaticopresenta un’incidenza variabile tra l’1% eil 2% nella popolazione.La probabilità di una recidiva dopo unprimo episodio di lussazione presenta unapercentuale variabile tra il 17% e il 96%dei casi. L’età e l’attività sportiva sonofattori prognostici nel determinare ilrischio di recidiva dopo il primo episodio.Nell’adolescente questa è un’ evenienzamolto frequente4 (Arciero et al; 1994).Generalmente la recidiva si verifica a 1-2anni di distanza dal primo episodio6(Simonet et al; 1994).Un singolo episodiopuò provocare una lesione capsulare, unalesione di Bankart o una frattura: BonyBankart.(Fig. 1-2)Più raramente, in individui sopra i 40 anni,può associarsi ad una lesione completadella cuffia dei rotatori nel 31,7% deicasi(2) (Porcellini et al; 2005).Il trattamento adeguato della prima lussa-zione gleno-omerale rimane discusso.

Dopo una prima lussazione, in assenza dilesioni ossee glenoidee, il trattamento con-servativo è rappresentato dall’ immobilizza-zione per un periodo variabile di circa tresettimane. Il principio dell’immobilizzazioneè stato rivoluzionato dagli studi di Itoi, che haintrodotto il principio dell’immobilizzazione inrotazione esterna, secondo i quale, in questaposizione la trazione del sottoscapolarefavorisce un ottimale accollamento del cer-cine glenoideo alla glena(1). (Itoi et al; 2001)All’immobilizzazione segue un protocolloriabilitativo di potenziamento e proprioce-zione della spalla.Negli ultimi anni moltistudi, in particolare, quelli del gruppo diWheeler e Arciero hanno dimostrato unariduzione del 13% di rischio di recidiva inpazienti affetti da AFASD (acute first timeshoulder dislocation) dopo la stabilizzazio-ne artroscopica(4,5) (Wheeler et al; 1989,Arciero et al. 1994).Le indicazioni rimangono controverse neldefinire quale tipologia di lesione tragga

beneficio da un trattamento chirurgico.In casi selezionati, pazienti atleti agonisti,in presenza di lesioni anatomiche, comela lesione Bony Bankart(3)(Porcellini et al;2002), la lesione di cuffia, a seguito diuna diagnosi strumentale adeguata (Tac,Rmn) può essere indicato un trattamentochirurgico artroscopico (Fig. 3-4).

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Quale atteggiamento dopo la primalussazione di spalla?F. Fauci, G. Porcellini, F. Campi, P. Paladini, G. Merolla

U.O. CHIRURGIA DELLA SPALLA E DEL GOMITO - OSPEDALE CERVESI CATTOLICA (RN)Dott. G. Porcellini

Fig. 1 Fig. 2

Fig. 3 Fig. 4

67

spalla

Lussazione anteriore di spalla: strategieterapeutiche nel primo episodioA. De Carli, L. Frate, A. Vadalà, L. Mossa, A. Ferretti

U.O.C. ORTOPEDIA E TRAUMATOLOGIA, AZIENDA OSPEDALIERA “S. ANDREA” (ROMA)Dott. A. Ferretti

introduzioneLa lussazione traumatica gleno-omeraleanteriore è il tipo più comune di instabili-tà di spalla. Dopo il primo episodio, spe-cialmente nei soggetti giovani e attivi, vi èun aumento della probabilità di recidiva.E’ tuttora molto dibattuto l’approccioterapeutico più adeguato ad un primoepisodio di lussazione anteriore di spal-la nei pazienti più giovani.Abbiamo effettuato una revisione dellaletteratura per verificare quali siano gliorientamenti terapeutici attuali nel primoepisodio di lussazione anteriore di spal-la, tenendo in considerazione i vantaggie gli svantaggi connessi al trattamentoconservativo e chirurgico.

fattori che condiziona-no il rischio di recidivaLa più comune complicanza di una lus-sazione anteriore traumatica della spallaè una recidiva dell’instabilità, il cuirischio è legato fattori strutturali, funzio-nali e, soprattutto, all’età del soggetto.

Alterazioni strutturaliNel 1923 Bankart (6) descrisse il distaccodel labbro anteriore come una lesioneessenziale nella instabilità traumaticaanteriore (“lesione di Bankart”)La lesione di Bankart e la deformazioneplastica della capsula e del complessolegamentoso gleno-omerale inferiore (4)

contribuiscono ad aumentare la trasla-zione omerale anteriore (10), predisponen-

do al rischio di una nuova lussazione.In pazienti con una instabilità anterioretraumatica di spalla, in assenza di unalesione di Bankart dimostrabile, puòessere raramente presente una lesione“HAGHL” (Humeral Avulsion of Gleno-Humeral Ligaments)(13), riconoscibileartroscopicamente, meno facilmenteidentificabile a cielo aperto.La più comune lesione ossea associataad una instabilità glenoomerale trauma-tica è una frattura da compressione sulversante postero-laterale della testaomerale. Questa si verifica quando latesta dell’omero al momento della lus-sazione impatta contro il margine gle-noideo ed è stata chiamata “lesione diHill Sachs”(9).Artroscopicamente è possibile distin-guere una instabilità anteriore con lesio-ne di Hill Sachs “engaging” (che cioè siincastra anteriormente sulla glena) o“non engaging” (5)

Età del pazienteIn letteratura esistono pareri unanimicirca il fatto che il rischio di recidiva diuna lussazione anteriore di spalla siastrettamente correlato all’età in cuiinsorge il primo episodio di lussazione.L’incidenza di ricorrenza può essere altafino al 90% nella popolazione atletica ela giovane età del paziente al momentodella prima lussazione sembra essere ilfattore più significativo nel rischio di unanuova lussazione (1).

trattamentoconservativoIn un paziente giovane, la gestione di unprimo episodio di lussazione anteriore dispalla dopo la riduzione può rappresen-tare un importante dilemma per l’orto-pedico, non esistendo un preciso orien-tamento terapeutico condiviso da tuttigli autori. Le forme di trattamentoincruento, che prevedono l’immobilizza-zione della spalla, il riposo funzionale egli esercizi di riabilitazione, sono asso-ciate ad un basso rischio di recidiva neipazienti meno giovani, mentre dannorisultati decisamente meno buoni neipazienti di 20 anni o meno.

Immobilizzazione della spallaAttualmente la maggioranza dei pazienticon una prima lussazione anteriore trau-matica di spalla viene trattata inizial-mente con un congruo periodo di immo-bilizzazione (3-4 settimane), seguito daun programma riabilitativo.Quale sia il tipo di immobilizzazionemigliore è oggi un argomento controver-so: tradizionalmente viene utilizzato unbendaggio o un tutore (tipo “sling andswathe”) che mantengono la spalla inposizione addotta ed intraruotata, tutta-via recenti studi dimostrerebbero cheuna immobilizzazione in rotazione ester-na (tutore extra-sling) potrebbe fareguarire meglio la lesione di Bankart,causa della recidiva. (12)

68

spalla

Riposo funzionaleStando ai risultati di alcuni studi, unprimo episodio di lussazione dovrebbeessere trattato col semplice riposo fun-zionale, essendo poco proficua se noninutile l’immobilizzazione della spalla.Vari autori sostengono che il rischio direcidiva non sia influenzato dalla duratadell’immobilizzazione, probabilmenteproprio a causa della persistente man-canza di contatto capsulo-labrale e gle-noideo (12).

Esercizi di riabilitazioneSono stati effettuati pochi studi sui risul-tati degli esercizi di riabilitazione, gene-ralmente finalizzati al rinforzo deimuscoli stabilizzatori e al recupero dellasincronia del movimento scapolo-ome-rale e dei meccanismi propriocettivi,come unica forma di trattamento di unprimo episodio di lussazione traumaticaanteriore di spalla.In uno studio prospettico (2) su 20 pazien-ti maschi di età compresa fra 18 e 22anni seguiti in media per 35.8 mesi,Aronen e Regan hanno riportato il ritor-no allo sport senza una nuova lussazio-ne nel 75% dei soggetti trattati attraver-so un rinforzo dei muscoli adduttori edintraruotatori della spalla.Invece, in uno studio prospettico (6) su 29spalle che avevano già avuto nuove lus-sazioni dopo il primo episodio, un pro-gramma di rinforzo della cuffia dei ruo-tatori, del deltoide e dei muscoli stabiliz-zatori della scapola (follow up medio di46 mesi) ha prodotto risultati buoni oeccellenti solo nel 7% dei casi, dimo-strando un ruolo minore nel trattamentodelle lussazioni recidivanti.

trattamento chirurgicoE’ attualmente assai dibattuto il ruolodella chirurgia, in particolare della stabi-lizzazione artroscopica, in pazienti di etàinferiore a 30 anni che abbiano subitouna singola lussazione anteriore trau-matica.

Stabilizzazione artroscopica ea cielo apertoAlcuni chirurghi (16), considerando che ilrischio di recidiva in questo gruppo d’etàè particolarmente alto, con un tassoanche del 92% in una popolazione mili-tare in attività, hanno raccomandato unastabilizzazione artroscopica dopo unaprima lussazione nei pazienti giovani eattivi. La riparazione a cielo aperto dellalesione di Bankart è senza dubbio piùinvasiva rispetto alla riparazione artro-scopica: inoltre è associata alla perditamedia di 12° di rotazione esterna dellaspalla, probabilmente secondaria all’ac-corciamento del sottoscapolare dopo ladisinserzione-reinserzione (8).

Tecniche artroscopicheSono state proposte nel tempo diversesoluzioni artroscopiche per trattare l’in-stabilità di spalla.-Cambre metalliche artroscopiche;-Suture trans-glenoidee (7);-Chiodino riassorbibile (15);-Ancore munite di sutura (17);-Ritensionamento capsulare termico(14).

orientamento terapeutico

-Trattamento cruento e incruentoNell’algoritmo terapeutico dopo unprimo episodio di lussazione traumaticaanteriore di spalla, l’età del paziente è difondamentale importanza, in quanto fat-tore cruciale nella valutazione del rischiodi una recidiva e nella scelta fra tratta-mento cruento e incruento.Nei pazienti più adulti, considerando ilbasso tasso di recidiva, non appare giusti-ficato, alla luce delle attuali conoscenze,un intervento chirurgico, che li esporreb-be ad un inutile rischio di complicazioniintraoperatorie o postoperatorie.La decisione terapeutica va maggior-mente meditata nei pazienti più giovani,sotto i 25 o al massimo sotto i 30 annidi età ed esposti ad attività a rischio, neiquali potrebbe essere presa in conside-razione la soluzione chirurgica per ridur-re in maniera concreta l’elevata possibi-lità di una nuova lussazione. Tale opzio-ne terapeutica è consistentemente moti-vata dall’elevato livello sportivo, e ancordi più dalla dominanza dell’arto in unadisciplina overhead.

-Tecnica a cielo aperto e a cielo chiusoNel caso si opti per l’intervento chirurgi-co, occorre scegliere tra la tecnica acielo aperto e quella a cielo chiuso.In tale scelta, se si accerta la presenzadi una semplice lesione di Bankart edeventualmente di una lesione di HillSachs “non engaging” senza altresignificative alterazioni, è importantevalutare soprattutto la tipologia dipaziente e la sua attività: in un soggettoche pratichi uno sport ad elevato rischio

69

spalla

(es.football americano, rugby, etc.)appare più adeguata la capsulo-plasticaa cielo aperto, in quanto la stabilità fina-le è di fondamentale importanza In unsoggetto che, per quanto giovane, nonsia invece esposto ad attività a rischio enon abbia una instabilità bilaterale, lasoluzione artroscopica appare più ade-guata: benché gravata da tassi di recidi-va mediamente più elevati (anche se neilavori più recenti i risultati appaiono pra-ticamente sovrapponibili nella chirurgiaaperta ed artroscopica) la chirurgiaartroscopica ha senza dubbio il vantag-gio di un minore danneggiamento deitessuti anteriori e una minore perditadell’extrarotazione, con minore dolore econ più probabilità di essere effettuatain chirurgia ambulatoriale. Consenteinoltre una migliore visualizzazione dellabbro e delle strutture legamentose emigliora l’accuratezza nell’identificareed eventualmente trattare altre lesioniintra-articolari associate.Più ardua appare la scelta tra chirurgiaartoscopica e a cielo aperto se le altera-zioni anatomo-patologiche, valutate pre-operatoriamente e anche intra-operato-riamente, non si limitano ad una lesionedi Bankart e ad una lesione di Hill Sachsnon engaging.Una lesione di Hill-Sachs “engaging”rappresenta un’altra potenziale limita-zione all’indicazione artroscopica (5). Lapresenza di una lesione di “Bankartossea” è oggetto di particolari contro-versie: da alcuni viene considerata unacontroindicazione alla stabilizzazione pervia artroscopica a causa delle alte per-centuali di recidiva, mentre altri sosten-gono che l’artroscopia possa essere uti-

lizzata nelle lesioni della glenoide ante-ro-inferiore, purché non superiori al25% dell’intera superficie.

conclusioniSe nei pazienti più adulti il nostroapproccio terapeutico ad un primo epi-sodio di lussazione traumatica anterioreacuta è sicuramente conservativo, neipazienti più giovani, sotto i 25 o al mas-simo sotto i 30 anni di età ed esposti adattività a rischio, riteniamo particolar-mente importante nel processo decisio-nale una attenta valutazione pre-opera-toria del paziente, sia dal punto di vistaclinico e che strumentale (RMN): in par-ticolare, in presenza di una lesione diBankart ed in assenza di lesioni difficil-mente trattabili a cielo chiuso apparepiù opportuna la soluzione artroscopica,in quanto gli strumenti e le tecnicheattuali ci consentono di riaccollare inmaniera adeguata il cercine anteriorealla glenoide, ritensionando al tempostesso il complesso capsulo-legamento-so anteriore.Riserviamo invece il trattamentoincruento, basato sulla immobilizzazionee sugli esercizi di riabilitazione, ai casi dilussazione traumatica anteriore acuta incui non sia chiaramente dimostrata unalesione di Bankart.Ricorriamo infine alla chirurgia a cieloaperto solo in casi eccezionali, quandosia improbabile una risposta al tratta-mento conservativo e, al contempo,siano presenti lesioni non trattabili artro-scopicamente.E’ utile ricordare che nell’algoritmodecisionale del trattamento del primoepisodio di lussazione anteriore trauma-

tica deve essere ritenuto decisivo ilparere del paziente; dopo aver ampia-mente illustrato le varie opzioni terapeu-tiche, sono infatti le sue aspettative, illivello sportivo, il lato affetto (dominanteo non dominante) a condizionare lanostra scelta.

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71

spalla

L’associazione tra slap lesioni e lesioni dicuffia è ritenuta da molti Autori relativa-mente frequente.Abbiamo ritenuto di poter classificare inbase all’eziologia tre differenti forme dilesioni combinate slap-cuffia: la formadegenerativa , la forma microtraumaticae la forma traumatica.Nella degenerativa la sintomatologia èlegata prevalentemente alla lesione dicuffia che andrà obbligatoriamente ripa-rata, mentre consigliamo di non ripararela slap che potrà essere convertita intenotomia o tenodesi.Diversamente nelle forme microtraumati-che, appannaggio prevalentemente disportivi “over head” consigliamo di ripara-re sia la slap che la lesione di cuffia, spes-so parziale.

Nelle lesioni traumatiche, legate a traumiin trazione o compressione, se il pazienteè in giovane età il trattamento è equipara-to alle forme microtraumatiche mentre neipazienti anziani possiamo comportarcicome fossimo di fronte ad una formadegenerativa.

Slap e lesioni di cuffia

F. Cerza

DIRETTORE U.O. ORTOPEDIA OSPEDALE “P.COLOMBO” (VELLETRI)Dott. F. Cerza

72

spalla

introduzioneIl condrosarcoma è, per frequenza, ilsecondo tumore osseo primitivo maligno.È più frequente negli uomini tra i 30 ed i70 anni. Il trattamento prevede una rese-zione ampia o radicale della lesione, ol’amputazione. La prognosi dipendesoprattutto dalle dimensioni, dal grado edalla localizzazione del tumore. Le meta-stasi si osservano più frequentemente alivello polmonare; pertanto, è necessarioun attento follow-up.

caso clinicoRiportiamo il caso clinico di un uomo di75 anni giunto alla nostra osservazioneper la comparsa di una tumefazione nondolente in sede scapolare sinistra che siera accresciuta rapidamente alterando ilprofilo della scapola. All’esame obiettivoera possibile osservare una tumefazioneovalare di circa 7 cm (Fig.1), di consisten-za duro-elastica, fissa rispetto ai piani cir-costanti, non dolente e ricoperta da cuteeutrofica. All’esame radiografico non si

apprezzavano lesioni ossee. La RMNmostrava una neoformazione di circa 10cm (Fig.2) con apparente interessamentoelettivo della loggia infraspinata e para-vertebrale, mentre l’esame TAC (Fig.3)evidenziava una lesione espansiva condensità di tipo fluido e quota ossea intra-lesionale con erosione del marginalemediale della scapola. La scintigrafia evi-denziava la ipercaptazione del tracciantein corrispondenza della lesione. Il pazien-te veniva sottoposto ad esame bioptico(Fig.4). L’esame istologico (Fig.5) mostra-va un condrosarcoma di tipo IIB (G2T2M0secondo la classificazione di Enneking).Il paziente è stato sottoposto ad una sca-polectomia subtotale (Fig.6), con asporta-zione del tumore con ampi margini disicurezza e risparmio del margine antero-laterale dell’acromion e la glena (Fig.7). Alfollow up di 16 mesi il paziente non pre-sentava recidive locali né metastasi einoltre, a fronte di una ripresa funzionaleparziale (Fig.8), mostrava una completaripresa delle attività della vita quotidiana.

discussionePer la scelta del trattamento chirurgico cisiamo basati prevalentemente sulla loca-lizzazione del tumore (extarticolare coninteressamento del margione medialedella scapola) e sulle sue caratteristicheistologiche. La scapolectomia subtotale ciha permesso di ottenere l’eradicazionedel tumore con una funzionalità residuamigliore rispetto ad interventi di resezionepiù ampia, grazie al risparmio della artico-lazione gleno-omerale e dell’inserzioneacromiale del deltoide. Da non sottovalu-tare, inoltre, la migliore cosmesi dovutaalla conservazione del profilo deltoideo.

Caso clinico: condrosarcomadella scapolaD. Perugia, A. De Carli, M. Ciurluini, A. Vadalà, A. Ferretti

UOC ORTOPEDIA E TRAUMATOLOGIA - II FACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIAUNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA “LA SAPIENZA”Prof. D. Perugia

73

spalla

Fig. 1: quadro clinico pre-operatorio, tumefazione in

regione scapolare sinistra.

Fig. 2: RMN neoformazione di circa 10 cm con

apparente interessamento elettivo della loggia infra-

spinata e paravertebrale,

Fig.4: biopsia

Fig 3.: TAC lesione espansiva con densità di tipo flui-

do e quota ossea intralesionale con erosione del

marginale mediale della scapola.

Fig.5: reperto istologico

Fig. 7: RDX post-operatoriaFig. 8: quadro clinico post-operatorio, conservazione

del profilo deltoideo.

Fig. 6: scapolectomia subtotale

74

spalla

ECOGRAFIA AVAMBRACCIO…grossolana formazione ipoecogenadisomogenea, vascolarizzata prevalente-mente in periferia, di cm. 4x3x2 all’inter-no delle fibre muscolari profonde dellaregione antero-laterale avambracciosin…adesa al periostio del radio che sipresenta irregolarmente ispessito.

T.C. TORACEPresenza di adenopatie mediastiniche....grossolano pacchetto linfonodale a livellodell’ilo di sinistra, parzialmente colliquatodi mm. 26 che si estende a colata interes-sando la scissura interlobare fino a rag-giungere la parete toracica.

T.C. ADDOME…formazione espansiva disomogenea-mente ipodensa a livello del muscolo ileo-psoas dx. del diametro max. di mm.10 ditipo verosimilmente secondario…almenodue formazioni nodulari parete addomina-le in prossimita del fegato…

SCINTIGRAFIA OSSEA TOTAL BODYNeo formazione avambraccio sinistro conlesioni secondarie

BIOPSIA ENDOBRONCHIALEAdenocarcinoma

BIOPSIA PARTI MOLLILocalizzazione neoplastica di adenocarci-noma a verosimile sede secondaria.

Un caso anomaloS. Ruzzini

DIVISIONE DI ORTOPEDIA E TRAUMATOLOGIA OSPEDALE DI FRASCATI - DIRETTORE A. DE FABRITIIS

Dott. S. Ruzzini

Fig.1: Rx di P.S.

Fig.2: Rx di P.S.

Fig. 3: T.C. Arto Superiore

Fig. 5: T.C. Ricostruzione Tridimensionale

Fig. 4: T.C. Arto Superiore

75

spalla

riassuntoGli Autori riportano un caso di ferita daarma da fuoco del braccio in pazientegiovane di 25 aa, con frattura comples-sa di omero sin, ritenzione massiva dipallini, perdita di tessuto osseo e arischio di numerose complicanze: infe-zione, lesione iatrogena nervosa evascolare e ritardo di consolidazione-pseudoartrosi. Descrivono il trattamentochirurgico e medico al quale è stato sot-toposto e le relative problematiche.

introduzioneSottoponiamo alla vostra attenzione, perstimolare una eventuale discussione sultrattamento che abbiamo effettuato oche si poteva effettuare, il caso di unpaziente di 25 aa, con ferita da arma dafuoco al braccio sin associata a fratturapluriframmentata scomposta e comples-sa dell’omero sin. Le ferite da arma dafuoco, infatti, hanno caratteristichepeculiari di natura balistica e biologica,che le differenziano dalle altre lesioni.Fortunatamente in questo caso il ritardodi consolidazione-pseudoartrosi, è statol’unico problema che ha richiesto unulteriore intervento, nonostante il qualesi è ottenuto un buon risultato.

caso clinicoD.S.P. ,di aa 25, alle ore 2.00 del 01-11-05 (notte di Halloween), mentre sitrovava all’interno della propria autovet-tura con la fidanzata, nel napoletano eper motivi imprecisati, veniva affiancato

da un’altra auto con persone a bordo,che gli esplodevano contro un colpo difucile. Il paziente, che si era accorto del-l’azione dei malintenzionati, alzava l’artosuperiore sinistro a protezione del voltoe veniva colpito sulla superficie latero-posteriore e media del braccio sinistro.Nonostante la ferita ed il terrore delmomento, riusciva a seminare gliaggressori e raggiungeva un Ospedaledove gli venivano prestate le prime cure.(Fig. 1).

Il paziente trasferitosi presso la nostraU.O. a distanza di 48 ore dal trauma, dalpunto di vista clinico presentava un forod’entrata di alcuni centimetri di formairregolare, con perdita di tessuti molli eduna ferita penetrante a fondo cieco. Losparo a corta distanza, con la carica dipallini ancora ammassata, aveva deter-minato un trauma da scoppio con frattu-ra pluriframmentata dell’omero, disper-sione e ritenzione locale massiva di pal-lini (Fig 2), assenza apparente di lesionivascolari e nervose.Il tipo di lesione (ferita da arma da fuocoda noi di raro riscontro), le possibili

complicanze associate al trattamento(lesioni vasculonervose iatrogene, infe-zione, pseudoartrosi e viziosa consolida-zione) e i tempi e modi del trattamento,a questo punto costituivano le nostre

perplessità, per le quali ci siamo rivoltiall’esperienza di un nostro amico, il DrLuziatelli.Il 09-11-05, con il paziente in tratta-mento antibiotico (Glazidim 2 g fl x 3 eval di e Targosid 400 mg fl x 2 ev al di) eprofilassi TVP, è stato effettuato il tratta-mento chirurgico consistente in toilettedei tessuti contusi, infiltrati di sangue enecrotici con rimozione per quanto pos-sibile dei pallini e a sorpresa dellaBORRA della cartuccia (Fig. 3), lavaggiodel focolaio, sistemazione dei frammen-

Frattura complessa di omeroda arma da fuocoG. Parente, A. Rea, R. Speciale, V. Venditti, C. Cedrone

OSPEDALE DI SORA (FR) - U.O. DI ORTOPEDIA E TRAUMATOLOGIA

DIR. DR GINO PARENTEDott. R. Speciale

Fig. 1

Fig. 2

Fig. 3

76

spalla

ti ossei nello spazio interframmentario,stabilizzazione dell’omero con fissatoreesterno, drenaggio e sutura parzialedella ferita (Fig. 4 con esame rdx intrao-peratorio).Scongiurate le possibili complicanzeiatrogene, vascolari e nervose, si temeva

il pericolo infezione: si sostituiva ilGlazidim con il Merrem 1 g fl x 3 ev al diassociato a Targosid 400 mg fl ev die; sicontrollavano la funzionalità renale (nor-male) e gli indici di flogosi (i valori dellaVES oscillavano intorno a 40 e quellidella Proteina C Reattiva intorno a 70);assenza di temperatura febbrile. Quindidimissione con terapia antibiotica orale adomicilio: Augmentin cpr (1 cpr x 3 al di)e Ciproxin 750 mg cpr (1 cpr x 2 al di).I controlli successivi confermavano da unlato la guarigione della ferita, l’assenza

dell’infezione (Fig. 4) e i progressi delpaziente (Fig. 5), dall’altro il timore di unritardo di consolidazione-pseudoartrosi.A tre mesi di distanza, dopo un decorsoregolare, stante la scarsità di calloosseo e la permanenza di zone di iper-diafania ossea lungo il profilo laterale

omerale, si decideva di proseguire iltrattamento con FEA e di sottoporre ilfocolaio di frattura a terapia con Cemp.A cinque mesi, Maggio 06, con pazientecon ferita completamente guarita, cuterosea, asciutta, non tumefatta, articola-rità nella norma con esclusione di unamodica limitazione dell’abduzione delbraccio, ma in presenza di mobilitàinterframmentaria alla rimozionemomentanea del FEA, si concretizzavala necessità di un reintervento per pseu-doartrosi (Fig. 6).

Il paziente, informato sin dall’inizio sulleproblematiche del caso, si rivolgevapresso altra struttura, pur continuando afarsi seguire da noi ed in data 31-05-06si sottoponeva ad un esame TC delbraccio sin (Fig. 7).Dopo ulteriori due mesi, in data 27-07-06, veniva sottoposto ad intervento:Rimozione FEA, Regolarizzazione eCruentazione del focolaio di Pseudo-artrosi, Spaziatore cilindrico in idrossia-patite bagnato in gel piastrinico e cellu-le mesenchimali (da prelievo midollaredalla cresta iliaca) e sintesi con Chiodoendomidollare retrogrado bloccato (Fig.8). Trascorso un postoperatorio e unaconvalescenza tranquilla, al pazientevenivano concessi dapprima una motili-tà della spalla per 1/3 e piccoli movi-menti del gomito,poi, dopo 50 giorni,esercizi di mobilizzazione del gomito edella spalla con esclusione dell’intra-extrarotazione dell’omero e infineabbandono progressivo del reggibraccioe riabilitazione associando il nuoto allaterapia fisica.

Fig. 4

Fig. 5

Fig. 6

Fig. 7

Fig. 8

77

spalla

Il paziente ha effettuato ulteriori control-li clinici e radiografici che hanno eviden-ziato al momento attuale l’avvenuta con-solidazione della frattura, gli esiti cicatri-ziali (Fig.9) e la ripresa funzionale (Fig.10 e 11)

conclusioniCon il caso clinico presentato abbiamovoluto approfondire gli aspetti clinici eterapeutici relativi ad una lesione da armada fuoco in un giovane.Queste, infatti, si diversificano dalle altrelesioni per:- perdita di tessuti molli e ossei;- ritenzione di corpi estranei, quali pallinidi piombo, borra, frammenti ditessuti,etc;

- ustione dei tessuti circostanti la lesio-ne;

- impossibilità di debridement completoper la difficoltà di riconoscere il tessutosano, per la profondità della lesionetraumatica, etc;

- l’estrema difficoltà di guarigione chequeste lesioni presentano e la loro faci-lità ad esitare in osteomielite, pseudo-artrosi, etc.

e per la loro relativa ridotta frequenza pon-gono problematiche che il chirurgo ortope-dico talvolta è chiamato a risolvere.

Fig. 9

Fig.10

Fig.11

78

spalla

Il low back pain rappresenta la quintacausa più comune di richieste di visitemediche (Hert et al, Spine 1995). È il prin-cipale motivo di visite specialistiche fisia-triche, ortopediche e neurochirurgiche(Atlas et al, Muscle&Nerve 2003). È inol-tre il principale motivo per il quale ipazienti si rivolgono a cure “alternative”(Eisenberg et al, JAMA 1998). In genera-le la lombalgia può essere distinta in“lombalgia specifica”, quando la sintoma-tologia è causata da meccanismi fisiopa-tologici specifici, quali ernia del disco,infezioni, osteoporosi, artrite reumatoide,fratture vertebrali o neoplasie, e “lombal-gia non specifica”. Quest’ultima è definitacome una lombalgia senza specificacausa, ovvero dolore lombare di originesconosciuta. La grande maggioranza deipazienti con dolore lombare hanno unalombalgia aspecifica, che è sostanzial-mente diagnosi basata sull’esclusione diuna patologia specifica. Il dolore lombareaspecifico viene solitamente classificato inbase alla durata del dolore in acuto se per-siste per meno di 6 settimane, subacutose persiste tra sei settimane e tre mesi ecronico quando dura più di tre mesi.Il 75-90% dai pazienti riferisce migliora-mento entro un mese (Deyo et al, Spine1996) sintomi lievi o episodi ricorrenti nelcorso dell’anno sono presenti nel 25-50%dei casi (Croft et al, BMJ 1998 van derHoogen et al, Ann Rheum Dis 1998), men-tre nel 6-10% dei casi è presente una sin-tomatologia cronica ricorrente. (Carey et

al, Spine 2000 van der Hoogen et al, AnnRheum Dis 1998; Klenerman et al, Spine1995). Per molto tempo, l’approccio dia-gnostico terapeutico è stato caratterizzatoda notevole variabilità sia a livello naziona-le che internazionale.In epoca recente sono stati condottinumerosi studi clinici randomizzati edeffettuate revisioni sistematiche chehanno prodotto linee-guida. Le linee guida(LG) sono procedure che contengonodelle raccomandazioni diagnostico tera-peutiche. La letteratura scientifica rappre-senta il motore che produce queste rac-comandazioni. Attraverso le linee guidamigliorerà molto la prospettiva di unagestione del dolore lombare basata suprove di efficacia.La letteratura scientifica e le LG che daessa discendono, consente di affermareche la maggior parte degli episodi di dolo-re lombare acuto hanno un prognosi favo-revole, ma le recidive entro un anno sonocomuni. L’iter diagnostico deve mirare adescludere condizioni patologiche specifi-che ed il dolore radicolare.Tutte le LG concordano nell’affermareche le procedure diagnostiche debbanoin primo luogo escludere la presenza dei“bandiere rosse” che indicano possibilipatologie sottostanti: se non è presentealcuno di questi segnali, si ritiene che ilpaziente abbia un dolore lombare nonspecifico.Le bandiere rosse “red flags” per il sospet-to di forme specifiche sono: età di esordio

<20 o >55 anni, traumi significativi inanamnesi, dolore toracico, deficit neurolo-gici estesi (parestesie, deficit forza),disfun-zioni vescicali o intestinali, perdita di peso,febbre persistente, anamnesi positiva perneoplasie e/o malattie metaboliche.Gran parte delle LG concordano nel daregrande importanza all’esame obiettivoneurologico, principalmente basato sullaricerca del segno di Lasègue. (RoyalCollege of General Practitioners; UnitedKingdom, 1996 (updates 1999, 2001).Indicatori specifici di dolori radicolari sono:dolore unilaterale ad un arto inferioremaggiore del dolore lombare, irradiazioneal piede o alle dita del piede, ipoestesiacutanea o parestesie nello stesso territoriodi distribuzione, segni neurologici localiz-zati (limitati ad una sola radice nervosa).Le LG concordano nel ritenere che gliesami radiografici vadano riservati aipazienti con sospetto di lombalgia specifi-ca. Gli esami radiografici dovrebberoessere prescritti in caso di lombalgia chepersista da almeno 4-6 settimane. (RoyalCollege of General Practitioners; UnitedKingdom, 1996 (updates 1999, 2001;Danish Institute for Health TechnologyAssessment; Denmark, 2000)In caso di lombalgia acuta gli esami radio-grafici non sono indicati, anzi in questicasi vengono sconsigliati. (Royal Collegeof General Practitioners; United Kingdom,1996 (updates 1999, 2001).Non sembra sussistere un elevato gradodi correlazione fra anomalie radiografiche

SESSIONE RIABILITAZIONELinee guida riabilitativeper il low back pain.V. Santilli

DIRETTORE DELLA CATTEDRA E DELLA SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE DI MEDICINA FISICA E RIABILITATIVAUNIVERSITÀ “LA SAPIENZA” (ROMA)

Dott. V. Santilli

79

spalla

o alla risonanza magnetica e l’insorgenzadi dolore lombare non specifico, essendo-ne la prevalenza simile fra pazienti con esenza lombalgia. Poiché anomalie radio-grafiche si riscontrano in una in una per-centuale dell’ordine del 40-50 % dipazienti senza lombalgia è stato suggeritoche i radiologi includano nei referti questodato epidemiologico. (B.W Koese, M.W.van Tulder, et al. “Diagnosis and Treatmentof low back pain”. British Medical Journal2006; 332 : 1430 -1434 )È stato dimostrato che TC ed RMN hannola stessa accuratezza nella diagnosi diernia discale e stenosi del canale lomba-re non specifico condizioni che possonoentrambe essere differenziate dal dolorelombare non-specifico mediante redflags. La RMN è probabilmente più accu-rata nella diagnosi di infezioni e tumorimaligni, ma la prevalenza di queste speci-fiche patologie è bassa. (B.W Koese, M.W.van Tulder, et al. “Diagnosis and Treatmentof low back pain”. British Medical journal2006; 332 : 1430 -1434 ).Tutte le LG concordano nel ritenere che ipazienti vadano: rassicurati sulla naturanon grave della loro malattia e sulla pro-gnosi generalmente favorevole, informatisull’utilità del mantenere un adeguatolivello di attività fisica, esortati a non inter-rompere l’attività lavorativa o assumerecomportamenti “da malati” (DanishInstitute for Health TechnologyAssessment; Denmark, 2000; RoyalCollege of General Practitioners; UnitedKingdom, 1996 (updates 1999, 2001);National Health and Medical ResearchCouncil; Australia, 2000).Esistono più linee guida internazionali (LG

UK 1996, LG Danesi 2000) relative lagestione farmacologica della lombalgiaacuta e cronica. Paracetamolo (2-3 g /die) e FANS sono di prima scelta, maquando si rivelano inefficaci, miorilassantied oppiodi possono essere utilmenteimpiegati in associazione.Esistono LG che sottolineano l’inutilità del-l’esercizio in fase acuta (LG australiane2000), mentre in fase subacuta o cronical’esercizio terapeutico (stretching, rinforzomuscolare unitamente ad attività di tipoaerobico) appare di maggior efficacia (LGUK 2001.) Le LG, in generale, non evado-no in modo esaustivo la risposta relativa iltipo e l’intensità dell’ esercizio terapeutico.Con l’eccezione delle LG danesi, le racco-mandazioni riguardo il tipo e l’intensitàdell’esercizio terapeutico non sono ingenere consistenti. Le LG danesi sono leuniche a dare indicazioni sul tipo di eser-cizio terapeutico raccomandato chesecondo questi autori dovrebbe seguire latecnica McKenzie.Tra i trattamenti aventi probabile efficacianella gestione del dolore lombare acuto ecronico occorre citare le manipolazionivertebrali “utili in caso di dolore acutonelle prime 4-6 settimane” (Council onTechnology Assessment in Health Care;Sweden, 2000 Danish Institute for HealthTechnology Assessment; Denmark, 2000)“da considerare nei pazienti in cui il dolo-re impedisce il ritorno al lavoro ed alleattività della vita quotidiana” (RoyalCollege of General Practitioners; UnitedKingdom, 1996 (updates 1999, 2001).Non risulta di accertata utilità l’uso di pre-sidi ortopedici quali corsetti e lombostati(M.W.Van Tulder, et al. “ Diagnosis and

Treatment of low back pain”. BritishMedical Journal 2006; 332: 1430 -1434). Nell’ambito delle terapie con mezzifisici più trials clinici riportano della nonevidenza d’efficacia dell’ elettroterapiaantalgica tramite TENS nel trattamento deldolore lombare cronico (CochraneDatabase Syst Rev. 2001;(2):Transcutaneous electrical nerve stimula-tion (TENS) for chronic low back pain.(Milne S, Welch V, Brosseau L, Saginur M,Shea B, Tugwell P, Wells G). Questa meta-nalisi di condanna delle TENS però nonspecifica alcuni dati quali: il tipo di appli-cazione, i siti di applicazione, la durata deitrattamenti, l’intensità e le frequenze concui è stata effettuata questo tipo di elet-troterapia antalgica.Di probabile efficacia, nel trattamento deldolore lombare cronico è la Back School(Cochrane Database Syst Rev. 2004 Oct18; (4): Back schools for non-specificlow-back pain Heymans M, Tulder M,Esmail R, Bombardier C, Koes B).Disporre di linee guida per la gestione delproblema dolore lombare, è di grande uti-lità ed è incentrato sulla distinzione traforme di lombalgia aspecifica, di granlunga più comune, e forme di lombalgiadeterminata da cause specifiche, ma ana-loghe considerazioni valgono per le scelteterapeutiche, consigliare interventi effica-ci consente di ridurre la spesa sanitaria.In conclusione è possibile dire che le LGnon devono costituire una scorciatoiacognitiva o una sinossi applicativa per ilsingolo medico tuttavia rappresentano unriferimento importante riguardo l’efficaciadelle pratiche diagnostico-terapeutiche inambito riabilitativo.

Movimento perpetuo*smith&nephew

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81trauma

83

trauma

oggettoLo studio riguarda i possibili vantaggiderivati dall’impiego del Fissatore esternoradiotrasparente X-Caliber con tecnicachirurgica mini-invasiva nelle fratturemetafisarie prossimali di tibia tipo A e Csecondo la classificazione AO rispetto allatradizionale metodica ORIF.

materiali e metodiSono stati trattati 16 pazienti, 11 maschi e5 femmine di età media 49,7 anni, con 1frattura tipo A1, 2 fratture tipo A3, 4 frattu-re tipo C1, 3 tipo C2 e 6 tipo C3. I pazientihanno eseguito intenso programma riabili-tativo dal giorno seguente l’intervento. Ilcarico parziale è stato concesso media-mente dopo 8 settimane mentre la rimozio-ne del fissatore è avvenuta mediamentedopo 16 settimane. Il carico completo èstato concesso dopo circa 16 settimane.

risultatiI risultati sono stati ottenuti attraverso lavalutazione clinica e funzionale del KneeSociety Score con un follow-up minimo di4 mesi e massimo di 18 mesi realizzandoun punteggio medio di 189,5 con minimodi 178 e massimo di 200.

discussioneNonostante la tradizionale tecnica ORIFrestituisca un’integrità anatomica al seg-mento scheletrico si registrano un altotasso di complicanze spesso severe chehanno portato negli ultimi tempi a conside-rare con maggiore interesse tecniche chi-rurgiche mini-invasive che rispettano labiologia del callo osseo ed evitano ulterioritraumi ai tessuti molli riducendo in manie-ra considerevole il tasso di complicanze.

conclusioniIl trattamento delle fratture complesse delterzo prossimale di tibia con il fissatoreesterno ibrido ha dato risultati clinici efunzionali ottimi mostrando una buonariduzione della frattura, un minor tempo diospedalizzazione, un minor numero e gra-vità di complicanze e un più rapido ritornoalle attività rivelandosi una valida alterna-tiva alla tradizionale tecnica ORIF.

L’applicazione del Fissatore esternoradiotrasparente XCaliber Meta-diafisario nellefratture metafisarie prossimali complesse di tibia.S. Flamini, A. Di Francesco, C. Fricano*, P. Cerulli Mariani, R. Pizzoferrato

U.O.DI ORTOPEDIA E TRAUMATOLOGIA OSPEDALE S. SALVATORE (L’AQUILA)* UNIVERSITÀ DEGLI STUDI L’AQUILA. SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE ORTOPEDIA E TRAUMATOLOGIA

Dott. A. Di Francesco

Fig. 1: paziente di 50 anni, frattura tipo

C3, inseguito a trauma da sci.

Fig. 2: controllo radiologico dopo posizio-

namento del Fissatore esterno ibrido X-

caliber e di vite canulata“a mensola” a

sostegno del piatto tibiale.

Fig. 3: controllo radiologico ad 1 anno.

84

trauma

materiali e metodiLa Vesselplastica è una nuova metodicautilizzata nel trattamento delle fratturevertebrali da compressione che prevedel’uso di un palloncino realizzato in telefta-lato, materiale biocompatibile e poroso,che viene inserito sgonfio e quindi pro-gressivamente riempito con PMMA asso-ciato a solfato di calcio (Osteo-G).

risultatiGli Autori discutono e illustrano i primi13 casi trattati presso l’Ospedale CTO- eS. Eugenio di Roma: 7 crolli vertebraliosteoporotici e 6 localizzazioni da mie-loma; 8 donne e 5 uomini, età media72 anni, follow-up medio 9 mesi. Non sisono osservate complicanze degne dinota.

conclusioniLa “Vesselplasty” si è dimostrata in con-clusione particolarmente vantaggiosa neltrattamento delle fratture vertebrali dacompressione. Il dispositivo utilizzato hafunzione di spaziatore, consentendo direalizzare una buona riduzione delladeformità a cuneo del corpo vertebrale edi contenitore del cemento annullandocosì i potenziali rischi di spargimentolocale di PMMA. La presenza del solfa-to di calcio, riducendo a 35° la tempe-ratura di polimerizzazione del PMMA con-tribuisce a rendere particolarmente sicu-ra e affidabile la metodica. La porosità delteleftalato, con pori di 80-100 microndi diametro, consente inoltre una lenta evalida interdigitazione del cemento conl’osso favorendone l’osteointegrazione.

Il trattamento dei crolli vertebrali con vesselplastyV. F. Paliotta, F. Rodia, P. Palombi

OSPEDALE CTO - S. EUGENIO - ASL RMC (ROMA)Dott. V. F. Paliotta

Fig. 1: donna di 80 anni, crollo vertebrale L2 (A: RMN preoperato-

ria, B eD: TAC preoperatoria; C:RMN postoperatoria, E: TAC posto-

peratoria). La presenza del palloncino in teleftalato cosente una

migliore correzione del crollo e una maggiore sicurezza con

ridotto rischio di spargimento locale di PMAA

Fig. 2: D.L, 62 anni crolli vertebrali da osteoporosi D10, D 11,

L2 (A). La paziente è stata trattata altrove con vertebroplastica

a livello D10 e D11 e in seguito da noi con Vessellastica a

livello L2

a

d e

b c

a b c d

85

trauma

Gli Autori, dopo una disamina delle pro-blematiche relative alla riduzione incruen-ta intraoperatoria delle fratture di gamba,illustrano la tecnica operatoria ed i van-taggi dell’utilizzo del dispositivo STORM(Staffordshire Orthopaedic ReductionMachine) nel trattamento chirurgico dellefratture di tibia con fissatore esterno e,come da loro per primi sperimentato, nel-l’inchiodamento endomidollare.Tale dispositivo, costituito da un materialemedico riutilizzabile di classe I, è statorecentemente progettato per aiutare ilchirurgo ortopedico nella riduzioneincruenta delle fratture instabili di tibiaprima della fissazione esterna.Nella U.O.S.C. di Orto-traumatologiaS.Maria di Loreto Mare di Napoli, la meto-dica, applicata inizialmente per le indica-zioni per cui era nata, con ampio grado disoddisfazione, è stata poi sperimentataanche nell’inchiodamento endomidollare,apportando una piccola modifica alla tec-nica originaria nell’introduzione del filo diancoraggio prossimale, con risultati rite-nuti eccellenti dagli autori.Sono stati trattati 15 pazienti da marzo aluglio 2006, tutti affetti da fratture diafisa-rie di tibia chiuse o con esposizione pun-tiforme, condizioni tutte che controindica-vano una esposizione chirurgica del foco-laio di frattura.Lo STORM, in tutte le applicazioni, haconsentito di ottenere riduzioni stabili edi estrema precisione senza esporre il

focolaio di frattura, in tempi operatoriridotti, ed in particolare, ed è questa lanovità, l’applicazione è sorprendenteanche nell’ inchiodamento endomidolla-re, esponendo a minori dosi di radiazionisia gli operatori che il paziente, e con-sentendo una introduzione più anatomi-ca e meno traumatica del chiodo, sia neicasi di alesaggio che non, del canalediafisario tibiale, migliorando la precisio-ne della sintesi e diminuendo il rischio diinfezione chirurgica.Nei 15 casi trattati, non si sono verificatecomplicanze infettive o di altra natura, lacurva di apprendimento è bassissima ed itempi chirurgici di applicazione dell’appa-rato sono abbondantemente recuperatidalla diminuzione complessiva dei tempidi fissazione, così come indicato nellebrochure, e risultano notevolmente dimi-nuiti anche nell’ inchiodamento della frat-tura, così come sperimentato dagli autori.È allo studio, da parte degli stessi autori,una semplice modifica allo strumentario,che consentirà una estensione delle indi-cazioni anche ad altre sedi anatomiche,con la finalità di effettuare una riduzione acielo chiuso di tutte le fratture delle ossalunghe, cosa che fino ad oggi non sempreera consentita applicando tecniche chi-rurgiche convenzionali.

Nostra esperienza nella riduzioneintraoperatoria delle fratture di tibiacon dispositivo “STORM”C. Latte, C. Fattore.

PRESIDIO OSPEDALIERO S. MARIA DI LORETO MARE. U.O.S.C. DI ORTOPEDIA E TRAUMATOLOGIA

DIRETTORE: DR. ANGELO ARGENZIO

Dott. C. Latte

86

trauma

22 lesioni complesse dell’avambraccio –fratture tipo III di Gustilo e Anderson – sonostate trattate nel periodo 2002 – 2006presso la ns. UOC. La tecnica di ricostruzio-ne raccomandata prevede un trattamentoprimario immediato, in cui dopo un genero-so debridment vengano riparate in una solasoluzione chirurgica tutte le strutture lesio-nate. La stabilizzazione scheletrica è labase per tutte le procedure ricostruttive. Ilsistema di fissazione ideale dovrebbe esse-re sufficientemente stabile da evitare trazio-ni e micro-movimenti sulle suture vascolari

e nervose, consentire una rapida mobilizza-zione articolare, dovrebbe evitare interfe-renze allo scorrimento muscolo-tendineo,dovrebbe esser il meno invasivo possibile.Nella nostra esperienza la scelta del mezzodi sintesi è condizionata dal tipo di frattura,ed in particolare dall’entità della comminu-zione, e dalla qualità della copertura cuta-nea. Una sintesi con placca e viti è stataimpiegata in 9 casi, un’osteosintesi endo-midollare con fili di K in 8, una sintesi“mista” (placca e fissazione endomidollare)in 5 casi. In presenza di una coperturacutanea di buona qualità la sintesi internarigida garantisce risultati eccellenti e si èdimostrata assolutamente sicura nonessendosi verificate complicanze infettive epseudoartrosi. La sintesi endomidollare èstata impiegata in fratture particolarmentecomminute, in presenza di una coperturacutanea non adeguata o nei reimpianti per

la rapidità della procedura. In quasi tuttiquesti casi, peraltro, si è dovuto passaresuccessivamente ad una sintesi con plac-che per ottenere la consolidazione. La fissa-zione esterna a nostro avviso trova indica-zioni molto limitate, e comunque tempora-nee, nel trattamento di queste lesioni.

Strategie ricostruttive nellelesioni complesse dell’avambraccioM. Rampoldi

UOC CHIRURGIA DELLA MANO, MICROCHIRURGIA E REIMPIANTO ARTI

C.T.O. DI ROMA - ASL RMCDott. M. Rampoldi

1a

1b 1c 1d

1e

87

trauma

introduzioneIl trattamento degli esiti di frattura quali lepseudoartrosi, siano esse atrofiche o iper-trofiche, prevede la resezione o la bonifi-ca del focolaio di non consolidazione,l’utilizzo di innesti ossei, sia autologhi cheeterologhi omoplastici di banca, ed unasintesi rigida. Recentemente, gli studi discienza base hanno introdotto nella prati-ca clinica l’utilizzo delle BoneMorphogenetic Proteins (BMPs), specie laBMP 7 e la BMP 2 nel trattamento degliesiti di interventi di osteosintesi. Talisostanze, definite fattori di crescita, sicaratterizzano per l’abilità a trasformare lecellule del tessuto connettivale in celluleosteoprogenitrici; pertanto, non sonosemplici mitogeni per la stimolazionedelle cellule connettivale ma agiscono,unici, anche come morfogeni, a differen-za di altri fattori di crescita come TGF-beta, VEGF e PDGF che inducono la mol-tiplicazione ma non la trasformazione cel-lulare da un citotipo ad un altro. Lo scopo del presente lavoro è stato lostudio prospettico dell’impiego di questametodica presso la 2° UOC del C.T.O. diRoma.

materiali e metodiNel periodo compreso tra il 2003 ed il2006 sono stati trattati 12 casi di pseudo-artrosi di diversi segmenti scheletrici. Lacomposizione della coorte di studio era di5 donne e 7 uomini con età media di 34,2

anni; il tempo medio dalla frattura di 13,2mesi. I segmenti scheletrici interessatierano: anca in 2 casi, femore in 3 casi,omero in 3 casi ed avambraccio in 4 casi.In tutti i casi si è provveduto ad una modi-fica del tipo di osteosintesi, optando peruna sintesi interna: rigida con placca e vitio una sintesi intra-midollare con bloccag-gio statico. L’indicazione al tipo di nuovaosteosintesi è stata dettata dalla anatomiapatologica della pseudoartrosi (trofica odatrofica) e dal distretto anatomico interes-sato, preferendo, di norma, una sintesiendomidollare statica nelle ossa lunghedegli arti inferiori e lasciando la sintesirigida per le pseudoartosi di avambraccio.In tutti i casi è stata utilizzata una dose diBMP 7 / OP 1 Osigraft 3,5 mg. In aggiun-ta a tale farmaco, sono stati utilizzatianche innesti ossei che sono stati impie-gati secondo il presente razionale: in casodi deficit osseo maggiore di 0,5 cm eminore di 5 cm o in caso di scarsa vitali-tà del tessuto, verificata in sede intra-operatoria, sono stati impiegati innestiomoplastici autologhi in 11 casi; in uncaso di deficit osseo maggiore di 5 cmconcomitante a pseudoartosi resistente aoltre 2 interventi chirurgici è stato utilizza-to un innesto omoplastico eterologo dibanca. I pazienti sono stati seguiti concontrolli clinico radiografici mensili.

risultatiTutti i casi di pseudoartrosi da noi trattati

hanno raggiunto la guarigione, definitacome la comparsa radiografica di calloosseo, in un tempo medio di 2,6 mesi. Inogni caso trattato è stata utilizzata 1 con-fezione di Osigraft. Per la intrinseca diver-sità dei casi studiati sia per diagnosi cheper trattamento non è possibile a nostroavviso delineare una valutazione statisticadei risultati. Riteniamo che l’utilizzo dellaBMP 7 sia giustificato di fronte ad unapatologia estremamente frustrante sia peril chirurgo che per il paziente. L’impiegodi tale metodica non deve però prescinde-re dall’utilizzo dei principi base per il trat-tamento delle pseudoartrosi: un ambientemeccanico stabile, la presenza di tessutovitale, una valida copertura dei tessutimolli sufficiente e l’assenza di infezione

discussioneIl tessuto osseo presenta peculiari carat-teristiche. Possiede, infatti, capacità rige-nerative che partendo dalla embriogenesisi mantengono costanti, da un punto divista di biologia cellulare, fino all’età adul-ta sia per qanto riguarda la riparazione deltessuto osseo che per quanto riguarda ilmodellamento. Inoltre, il tessuto osseo,possiede due ulteriori spcecificità: laosteoconduzione e l’osteoinduzione. Laprima è una proprietà della matrice mine-rale dell’osso che permette la formazionedi tessuto osseo a partire da substrati bio-logici e/o substrati sintetici. Si dipanaattraverso le quattro fasi dell’ematoma

L’utilizzo dei fattori di crescita con trapianti massivi negli esiti di frattura:nostra esperienzaP. Palombi, F. Rodia, A. Piccioli, A. Ventura

II U.O.C. ORTOPEDIA E TRAUMATOLOGIA - C.T.O. “A. ALESINI”ASL RMC - DIRETTORE: PROF. P. PALOMBI

Prof. P. Palombi

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trauma

post-chirurgico, della granulazione, delriassorbimento osteoclastico e della diffe-renziazione osteoblastica per concludersi-nella neo-angiogenesi e nella colonizza-zione. L’osetoinduzione è invece la pro-prietà della matrice ossea demineralizzata(DBM) di essere autoinduttiva e di attivareuna mitogenesi pro-osso per la presenzadi citochine, proteine difuse sia nello spaziextracellulare che in quello intracellulraeche nello spazio transmembrana.Numerose sono le citochine presenti edattive a livello del tessuto osseo: BMPs,PDGF, TGF ‚, IGF SI & SII, EGF, FGF, VEGF,TNF. L’importanza di queste proteinediventa poi primaria qualora sia necessa-rio attivare la proprietà di osteogenesi deltessuto osseo, quando, in altri termini, lecellule osteoblastiche o le cellule stami-nali mesenchimali osseo debbano attivareprocessi di mitogenesi pro-osso. Nontutte le citochine sono ugualmente effica-ci, ed anzi nella super-famiglia delleBMPs (Bone Morphogenetic Proteins) solole BMP 2 e 7 si sono dimostrate osteoin-duttive e solo queste due sono state intro-dotte per il trattamento delle pseudoartro-si. Il ruolo dell’impiego di queste citochineè comunque dibattuto. Nonostante larazionalità e l’efficacia documentale diquesta innovazione bio-tecnologica,rimangono un costo elevato per il tratta-mento ed una letteratura avversa al suoimpiego. Infatti, alcuni sono ancora fauto-ri della semplice revisione dell’osteosinte-si o dell’utilizzo di derivati plasmatici neltrattamento delle pseudoartrosi. Se nelprimo caso il confronto tra 2 sistemi concasistiche al loro interno estremamentedisomogenee diventa arduo, nel secondo

caso la disponibilità di servizi e di struttu-re per l’utilizzo di fattori plasmatici non èsempre possibile, ed anzi in letteratura irisultati non sono sempre univoci, ancheper i differenti sistemi ulizzati (es. pappepiastriniche o gel piastrinico).

conclusioniNonostante i limiti intrinseci di casisticalimitata e difficile da standardizzare pre-senti nel presente studio, l’impiego delle

BMPs si è quindi dimostrato positivo siaper la rapidità della guarigione biologicache di quella clinica del Paziente. Talemetodica è in grado di offrire una soluzio-ne efficace in quei casi dove il fallimentodel trattamento è di sicuro disagio ancheper il chirurgo. Rimane ampio spazio peruna possibile raccolta multicentrica cosìcome deve essere ancora indagatomeglio il confronto con i derivati piastrini-ci omologhi.

Fig. 1: paziente donna di 62 anni. A dx primo trattamento con FEA per frattura

diafisaria di omero classificabile second l’AO come 12-B2 2. A sx, secondo

intervento di nuova osteosintesi con placca e viti e cerchiaggio. Dopo tale

trattamento la Paz. giunge alla nostra osservazione.

Fig. 2: strategia di trattamento - 1. Rimozione dei mezzi di sintesi, posiziona-

mento di spacer di cemento / antibiotici e sintesi temporanea con nuovo FEA.

89

trauma

Fig. 3: strategia di trattamento - 2. A distanza di 6 mesi, rimozione del FEA e

dello spacer antibiotato e sintesi con placca e viti ed innesto massivo di banca.

Fig. 4: controllo clinico a 4 mesi

Fig. 5: controllo radiografico a 1 anno dall’ultimo intervento. Fig. 6: controllo clinico a 1 anno dall’ultimo intervento.

90

trauma

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91

trauma

L’osteoporosi è un disordine scheletricocaratterizzato da una riduzione della resi-stenza ossea che riflette l’integrazione tradensità e qualità dell’osso (1).

I cambiamenti della qualità ossea chemaggiormente si ripercuotono sulle pro-prietà meccaniche dell’osso e quindi sullasua resistenza riguardano la mineralizza-zione, la microstruttura e la porosità.Durante l’invecchiamento il grado dimineralizzazione della matrice extracel-lulare ossea aumenta generando un ossocorticale più rigido ma con caratteristi-che meccaniche di maggior fragilità (2). Atal proposito gli aspetti che maggiormen-te influiscono sulla resistenza dell’ossosono la discontinuità e l’impoverimentotrabecolare legati appunto all’invecchia-mento. La perdita più cospicua della tra-becolatura orizzontale priva le trabecoleverticali del proprio sostegno: in questecondizioni l’osso è incapace di svolgerela propria funzione principale (portante)cosicchè la competenza meccanica,ossia la capacità di resistere al carico,diminuisce provocando l’aumento delrischio di frattura (in individui osteoporo-tici la competenza meccanica può ridur-si del 50% nell’osso corticale e fino al70% nell’osso trabecolare) (3,4).La principale causa delle fratture nell’an-ziano è rappresentata dalle cadute, infat-ti circa l’ 1-2% delle cadute provoca unafrattura di femore e più del 90% dellefratture di femore sono associate ad unacaduta. Il 75% delle cadute avviene dalla

stazione eretta, il 7% dalla sedia o dalletto (5,6). Ciò dimostra come la maggiorparte di queste fratture siano fratture dafragilità ossia “fratture conseguenti acaduta dalla posizione eretta o da un’al-tezza inferiore” o “fratture che si presen-tano in assenza di un trauma evidente” (7).

Nei soggetti ultrasessantacinquenni ilrischio di frattura aumenta anche in baseall’indice di massa corporea ( se <22) eallo stato cognitivo (Mini-Mental StateExamination score <21) (8).Dall’analisi dei dati forniti dalle Schede

di Dimissione Ospedaliera del 2003 (leultime attualmente a disposizione) sievince che in Italia, su una popolazionedi 13.379.341 persone con più di 65anni (6.662.171 donne e 4.717.170uomini) sono state riportate 82.609 frat-ture di collo femore (il 92% di tutte lefratture femorali della medesima fasciadi età) di cui 64.378 donne (78% deltotale) e 18.231 uomini (22% del totale);di queste fratture il 55% (circa 45.500)erano fratture laterali di collo femorementre il restante 45% (circa 37.000)erano fratture mediali, sottoposte asostituzione protesica nell’80% circa deicasi (Fig. 1).Lo scopo del trattamento chirurgico deveessere la mobilizzazione precoce conripresa del carico, cercare di ripristinarele condizioni precedenti la frattura,migliorando la sopravvivenza e la qualitàdella vita al fine di ridurre le complican-ze e l’inabilità (9).

Per le fratture laterali di collo femore(Fig.2) la scelta chirurgica si divide tramezzi di sintesi extramidollari (placca evite a scivolamento) ed endomidollari(l’inchiodamento con fissazione cefalica).La placca e vite a scivolamento (Fig. 3)attualmente è il mezzo di sintesi più uti-lizzato nella metodica “open” e nei sog-getti più “giovani”; nelle fratture stabiligarantisce una buona fissazione macausa un maggiore sanguinamentointraoperatorio associato ad un’ampiadeperiostizzazione ed un aumentatorischio di infezione; non tralasciando ilfatto che non consente la precoce con-cessione del carico.L’inchiodamento endomidollare (conpossibilità di bloccaggio cefalico ad unao due viti a seconda del mezzo di sinte-si) soddisfa il concetto di mini-invasivitàlimitando la deperiostizzazione, riducen-do i tempi chirurgici ed il sanguinamen-to intraoperatorio; tale metodica permet-te l’immediata o precoce concessionedel carico sull’arto operato (Fig. 4).La letteratura internazionale non mostradifferenze statistiche significative neirisultati clinici tra placca e vite a scivo-lamento e inchiodamento endomidollarema sottolinea il fatto che la prima è atuttoggi un mezzo di sintesi valido (buoncompromesso costo-beneficio) nellefratture stabili, mentre l’inchiodamentoendomidollare è da raccomandarsi nellefratture pluriframmentarie e obliqueinverse (fratture instabili) (10,11).

Le fratture di collo femoredell’anziano osteoporotico.U. Tarantino, I. Riccardo, L. Domenico

DIVISIONE DI ORTOPEDIA E TRAUMATOLOGIA,AZIENDA OSPEDALIERA UNIVERSITARIA “POLICLINICO TOR VERGATA” (ROMA)Prof. U. Tarantino

92

trauma

Altra opzione chirurgica per le fratturelaterali del collo femore, seppur menofrequente, è l’utilizzo dell’endoprotesicementata (metodica chirurgica moltopiù aggressiva delle precedenti) che peròva limitata a casi superselezionati: etàsuperiore ai 75 anni, grave osteoporosi,grave coxartrosi, frattura instabile ebuone condizioni generali (12).Per le fratture mediali di collo femore(Fig.5) la scelta chirurgica è tra sintesiinterna e sostituzione protesica: anchein questo caso il tipo di frattura influenzail trattamento chirurgico.Nelle fratture composte (Garden tipi I e II)la sintesi interna con viti cannulate (Fig.6) porta a guarigione la frattura nel92,9% dei casi riducendo significativa-mente il rischio di mobilizzazioni e pseu-doartrosi (4,3%) (13). L’età, la funzionemotoria e la presenza di almeno unacomorbilità prima della frattura aumen-tano il rischio di pseudoartrosi: in talcaso può esser presa in considerazionela sostituzione protesica senza peròdimenticare i rischi che tale interventocomporta: infezioni protesiche (3%), frat-ture periprotesiche (3%), lussazioni(5%), mobilizzazioni asettiche (10%),infezioni superficiali (15%), dolore ingui-nale (20%) (14,15).Nelle fratture scomposte (Garden tipi III eIV) l’età avanzata del paziente, il grado discomposizione della frattura, le condizio-ni generali e la necessità di una rapidamobilizzazione orientano la scelta deltrattamento chirurgico verso la sostitu-zione protesica16. (Fig. 7 e 8)Le fratture di collo femore provocanodisabilità nel 50% dei casi; circa il 40%

dei pazienti non recupera la propria indi-pendenza; il 25% di essi necessità diassistenza domiciliare; 1 paziente su 4muore entro un anno (mortalità equipa-rabile al cancro della mammella) (17-18). Aifini della mortalità è molto importante iltempo che passa dall’evento fratturativoall’intervento chirurgico. E’ dimostratoche la mortalità aumenta in relazione altempo di attesa dell’intervento: un’attesaoltre il 4° giorno fa salire la mortalità a30 giorni al 10,7% contro l’8,7% neipazienti operati entro le prime 24 ore daltrauma (tale valore è statisticamentesignificativo rispetto al tasso di mortalitàmedio a 30 giorni del 9%) (19).L’approccio chirurgico alle fratture dicollo femore dell’anziano osteoporotico èindirizzato all’ottenimento di una sintesistabile anche senza un’ottima riduzioneanatomica riducendo al minimo la dura-ta dell’intervento, le perdite ematiche, lostress psicologico. È altresì importantemanipolare con attenzione i tessuti mollicircostanti evitare il denudamento deiframmenti per preservare l’apporto ema-tico nella sede di frattura e minimizzarel’esposizione della frattura preservando-ne se possibile l’ematoma al fine diaccelerare la formazione del callo osseo.Per migliorare la sintesi ed i processiriparativi nelle fratture osteoporotichepossono essere utilizzati materiali iniet-tabili bioattivi (osteoinduttivi ed osteo-conduttivi): cellule osteoprogenitrici iso-late dal midollo ed impiantate su scaffolddi idrossiapatite (20); cellule multipotentiisolate dal tessuto adiposo umano indu-cono una differenziazione osteogenica(21). Per aumentare la presa dei mezzi di

sintesi è possibile aggiungere farmaciantiriassorbitivi alle viti o fiches già rive-stite in idrossiapatite, oppure utilizzaremateriali riassorbibili (fosfato di calcio eidrossiapatite) e cemento (22).Sulla base dei dati sperimentali ottenutida ricerche su alcuni modelli animaliprobabilmente in futuro potranno essereutilizzate: cellule mesenchimali trapian-tate attraverso scaffold riassorbibili difibrina su mezzi contenenti carbonato diCa++ (fase sperimentale in topi) (23); l’rh-BMP-2 (recombinant human BoneMorphogenic Protein–2) legato a un car-rier di fosfato di Ca++ accelera la gua-rigione delle fratture nel coniglio.Poiché l’aumento esponenziale dei rico-veri per fratture da fragilità provoca con-seguenze economiche e sociali rilevanti,l’aspetto più importante da affrontare èla prevenzione (primaria e secondaria)(24). A tal fine è opportuno che al momen-to del ricovero in ospedale venga adotta-to un accurato protocollo diagnostico eterapeutico per i pazienti con frattura dafragilità comprendente: attenta anamne-si personale e familiare; valutazione deifattori di rischio; esame radiograficodella colonna dorso-lombare; morfome-tria; esami ematici ed urinari; esameDEXA collo femore e colonna lombare;eventuale prescrizione di terapia perl’osteoporosi; indicazioni al pazientecirca l’attività fisica, l’alimentazione e ivari fattori comportamentali.

93

trauma

Fig. 1: dati forniti dalle Schede di Dimissione Ospedaliere del 2003

Fig. 3: uomo di 65 aa, frattura pertrocanterica destra

(operata con DHS)

Fig. 7: donna di 86 aa, frattura sottocapitata sinistra trattata

con endoprotesi cementata FH

Fig. 8: donna di 60 aa, frattura sottocapitata destra trattata

con artroprotesi press-fitted (Zimmer Trabecular Metal)

Fig. 6: donna di 62 aa, frattura sottocapitata trattata con

viti di Asnis

Fig. 4: donna di 83 aa, frattura pertrocanterica sinistra

(operata con ENDOVIS 240mm)

Tipo 31-A FRATTURE TROCANTERICHEEXTRACAPSULARI

• 31-A1 fratture semplici con due frammenti e un buon

supporto della corticale mediale

• 31-A2 pluriframmentarie con fratture a diversi livelli

delle corticali mediale e posteriore

• 31-A3 fratture inverse (la corticale laterale è fratturata)

Fig. 2: classificazione AO delle fratture laterali di collo femore

Tipo 1: frattura incompleta o ingranata

Tipo 2: frattura completa

Tipo 3: frattura parzialmente scomposta

Tipo 4: frattura scomposta con perdita

di contatto dei frammenti

Fig. 5: classificazione di Garden delle fratture mediali di

collo femore

94

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trauma

Le fratture del cingolo pelvico sonodevastanti e potenzialmente fatali.L’immediata identificazione delle lesioniossee e della stabilità pelvica del trau-matizzato, nonché della sua stabilitàemodinamica, sono di vitale importanzanelle prime ore dal trauma.Le forze traumatiche agisconoin 3 direzioni:- anteroposterior compression (AP)- lateral compression (LC)- vertical shear (VS)Ogni forza si manifesta con un caratteri-stico pattern di frattura.L’identificazione delle forze traumatiche ingioco è fondamentale ai fini prognostici.L’obiettivo del trattamento d’emergenza è:arrestare il sanguinamento. Questo puòessere ottenuto mediante tre metodi fon-damentali:• Stabilizzazione di bacino• Packing Pelvico• Embolizzazione Angiografica• La stabilizzazione di bacino può essereottenuta attraverso 3 vie:

• Tecnica non-invasiva• Stabilizzazione con fissatori esterni

ORIF La tecnica non invasiva: costituiscela prima manovra da effettuare in salarossa nel paziente con frattura instabile dibacino. La stabilizzazione esterna è riser-vata ai pazienti con frattura instabile dibacino ed ipotensione e può essere effet-tuata in sala rossa, in camera operatoria,o in sala rianimazione.La ORIF dovrebbe essere consideratacome trattamento definitivo e riservata aipazienti con quadro emodinamico stabi-lizzato.Quali tipi di frattura necessitano di unarapida stabilizzazione esterna?a) fratture instabili associate adipotensione.

b) fratture instabili che possono beneficia-re di una stabilizzazione esterna primadell’incisione laparotomica

c) fratture instabili non associate ad ipo-tensione ma che necessitano di un trat-tamento rianimatorio.

I vantaggi della fissazione esterna sono:a) Ottima nella instabilità anterioreb) Rapidità e semplicità di montaggio.c) Minima invasività.d) Stabilità dell’Osteosintesie) Possibile trattamento definitivo perlesioni da APC

f) Mobilizzazione precoce del paziente.g) Possibilità di trattamento in altri distret-ti corporei

la nostra esperienza consiste in 95Traumi pelvici. Nella gestione di ognunodei pazienti è stato seguito l’algoritmo danoi proposto, conforme alle linee guidadell’EAST e dell’ACS-COT, al fine dimodulare i vari interessi multispecialisticiin base alle necessità dei pazienti perridurne così la mortalità prevenibile.• La percentuale di sopravvivenza del95% è indice della validità dell’algorit-mo da noi seguito

Impiego della fissazione esternanelle fratture di bacinoS. Pappalardo, P. Braidotti

DEA 2 POLICLINICO UMBERTO IUNIVERSITÀ DEGLI STUDI “LA SAPIENZA” (ROMA)Dott. P. Braidotti

96

trauma

Per il corretto trattamento chirurgicodelle pseudoartrosi infette una delle pro-cedure più affidabili e risolutive è lametodica di Ilizarov, cui oggi è possibileaffiancare un moderno trattamentoinfettivologico. E’ necessaria infattiprima della pianificazione chirurgica,un’attenta analisi delle condizioni dellapseudoartrosi settica con determinazio-ne della “Vis infettiva”, attraverso lavalutazione di diversi parametri (condi-zioni cliniche locali e generali delpaziente, studio radiografico del trofi-smo del focolaio, esami di laboratorio,individuazione dell’agente infettivo e suasensibilità alla terapia antibiotica, tempopregresso dell’impegno patologico edeventuale consulenza infettivologicasuperspecialistica, anche per motivimedico-legali).Infatti laddove la terapia antibiotica èefficace nel mantenere bassa la “Visinfettiva” (guarigione di fistole, migliora-mento del trofismo cutaneo…), è suffi-ciente un trattamento chirurgico di tipomonofocale (cioè stimolare attraverso ilfissatore esterno la formazione di unrigenerato osseo nella sede della pseu-doartrosi, secondo l’enunciato di Ilizarovper cui “l’infezione brucia nel fuoco delrigenerato”).Dove la terapia antibiotica non sia statasufficientemente efficace nel ridurre la“Vis infettiva” è necessario invece untrattamento più radicale di resezione del

Pseudoartrosi infette:quale la procedura più affidabile?M. Rosa, L. Aloise, M. M. Marini

U.O. ORTOPEDIA E TRAUMATOLOGIA

OSPEDALE “PADRE PIO” (BRACCIANO - RM)Dott. M. M. Marini

Fig. 1 a - b: pseudoartosi III distale di gamba con vistoso procurvato. Bassa vis infettiva

Fig. 1 c: applicazione F.E. di Ilizarov (tratta-mento monofocale)

Fig. 1 d: applicazione F.E. di Ilizarov (tratta-mento monofocale)

Fig. 1 e: consolidazione e risoluzionedell’ infezione

Fig. 1 f: aspetto clinico dopo il trattamento

1a

1b

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trauma

focolaio di pseudoartrosi (resezioneossea segmentaria) e il trasporto osseointerno con modalità bifocale, cioè conun’osteotomia e trasporto osseo singo-lo (qualora la resezione sia breve), o plu-rifocale, cioè con doppia osteotomia edoppio trasporto (qualora sia necessariauna resezione estesa).Al momento del contatto a termine deltrasporto osseo (docking time) è conve-niente effettuare un curretage dei mon-coni, con eventuale apposizione di tra-pianti e/o proteina osteoinduttiva.Attraverso il fissatore esterno si procedecontemporaneamente alla correzione dieventuali deviazioni assiali ed ipometriepresenti; in questi casi sono a voltenecessari interventi accessori di plasticatendinea (achilleo)

Fig. 2 a: pseudoartrosi III distale di gamba.Elevata vis infettiva

Fig. 2 b: resezione segmentaria, osteotomiaprossimale e trasporto osseo con F.E. diIlizarov (trattamento bifocale)

2a

2b

Fig. 2 c: trasporto osseo interno fino al contatto (docking time) e formazione di rigenerato in sede prossimale

Fig. 2 d: consolidazione

2c

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