LE REGOLE PER L’AFFIDAMENTO E LA GESTIONE NEL SETTORE DELL’ACQUA ED IL SERVIZIO IDRICO INTEGRATO
(Avv. Daniela Anselmi)
Milano, 10/12 ottobre 2011
1. Esclusione dall’applicazione della nuova normativa in materia di servizi
pubblici locali con l’eccezione delle disposizioni in materia di incompatibilità
Come è noto, a seguito del referendum del 12-13 giugno 2011 è stata sancita
l'abrogazione dell'art. 23-bis del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, recante “Disposizioni
urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria”, nel testo risultante
a seguito della sentenza n. 325 del 2010 della Corte costituzionale.
L’effetto abrogativo si è realizzato con decorrenza dal 21 luglio 2011, a
seguito della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del Decreto del Presidente della
Repubblica 18 luglio 2011 n. 113.
Come già rilevato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 24/2011 (con
la quale era stata dichiarata ammissibile la richiesta di referendum), dall'abrogazione
dell'art. 23-bis sopra menzionato non avrebbe potuto conseguire alcuna reviviscenza
delle norme abrogate da tale articolo (quali le norme dell’art. 113 del D.lgs 267/2000,
come puntualmente individuate dal DPR 18 agosto 2010 n. 168).
Dall’abrogazione della norma de qua si sarebbe determinato, quindi, un vuoto
nella disciplina nazionale, che sarebbe colmato dalla normativa comunitaria in materia
di affidamento dei servizi pubblici di rilevanza economica e dalla giurisprudenza
sviluppata nel tempo dalla Corte di Giustizia e dagli organi di giustizia amministrativa
interni.
L’abrogazione dell’art. 23-bis ha determinato altresì l’abrogazione del
Regolamento attuativo approvato in attuazione della delega contenuta nel comma 10
dello stesso art. 23 bis (D.P.R. n. 168/2010).
1
A seguito del citato referendum, è stato poi emanato il D.L. 138/2011,
convertito nella legge n. 148/2011, il cui art. 4 ("Adeguamento della disciplina dei
servizi pubblici locali al referendum popolare e alla normativa dell'unione europea"),
ha colmato – almeno in parte - il predetto vuoto normativo ed ha così ripristinato nel
nostro ordinamento nazionale una disciplina organica in materia.
È appena il caso di osservare che tale disposizione in realtà ripropone, con
poche varianti, la precedente disciplina abrogata dal referendum.
Siccome previsto dal comma 34 del citato art. 4, sono peraltro esclusi
dall’applicazione della disposizione de qua il servizio idrico integrato (ad eccezione di
quanto previsto dai commi da 19 a 27), il servizio di distribuzione del gas naturale
(D.lgs. n. 164/2000), il servizio di distribuzione di energia elettrica (D.lgs. n. 79/1999
e legge n. 239/2004), il servizio di trasporto ferroviario regionale (D.lgs. n. 422/1997)
nonché la gestione delle farmacie comunali (legge n. 475/1968).
Venendo ora più specificamente all’oggetto del presente contributo, come
visto poc’anzi, il comma 34 dell’art. 4 del D.L. n. 138/2011 sottrae il servizio idrico
integrato dalla disciplina in esso contenuta e ciò, affermano i commentatori della
novella legislativa, al fine di rispettare la volontà popolare espressa nel referendum
dello scorso giugno.
Dell’art. 4 troveranno applicazione nei riguardi del servizio idrico integrato
soltanto le disposizioni in tema di incompatibilità (commi da 19 a 27).
Tali norme sono tese ad evitare, da un lato, che possano avere luogo doppi
incarichi, con l’evidente fine di tagliare i costi della politica, e, da un altro, che si
verifichino fenomeni per così dire di “casta”.
Si tratta delle disposizioni già contenute nell’articolo 8 dell’abrogato D.P.R. n.
168/2010, rubricato Distinzione tra funzioni di regolazione e funzioni di gestione, cui è
stata aggiunta la previsione contenuta nel comma 26 dell’articolo 4 in esame.
In particolare, viene riproposto il divieto per gli amministratori, i dirigenti e i
responsabili degli uffici o dei servizi dell’ente locale, nonché degli altri organismi che
espletano funzioni di stazione appaltante, di regolazione, di indirizzo e di controllo di
2
servizi pubblici locali, di svolgere incarichi inerenti la gestione dei servizi affidati da
parte dei medesimi soggetti.
Il divieto si applica anche nel caso in cui le dette funzioni sono state svolte nei
tre anni precedenti il conferimento dell’incarico inerente la gestione dei servizi
pubblici locali.
Parimenti, al fine di evitare affidamenti di incarichi dettati da sole ragioni di
appartenenza familiare, è stato opportunamente confermato che il divieto che riguarda
amministratori, dirigenti e responsabili di uffici o servizi si estenda anche nei confronti
del coniuge, dei parenti e degli affini entro il quarto grado dei soggetti indicati allo
stesso comma, nonché nei confronti di coloro che prestano, o hanno prestato nel
triennio precedente, a qualsiasi titolo attività di consulenza o collaborazione in favore
degli enti locali o dei soggetti che hanno affidato la gestione del servizio pubblico
locale.
Con particolare riferimento ai componenti la commissione prevista dal comma
11, lettera e), dell’articolo 4, sono state dettate una serie di disposizioni contenute nei
commi 22-24.
In particolare, viene imposto ai componenti della commissione di gara per
l’affidamento della gestione di servizi pubblici locali di non aver svolto né svolgere
alcun’altra funzione o incarico tecnico o amministrativo relativamente alla gestione del
servizio di cui si tratta.
In più, coloro che hanno rivestito, nel biennio precedente, la carica di
amministratore locale, di cui al comma 21, non possono essere nominati componenti
della commissione di gara relativamente a servizi pubblici locali da affidare da parte
del medesimo ente locale.
Ancora, sono esclusi da successivi incarichi di commissario coloro che, in
qualità di componenti di commissioni di gara, abbiano concorso, con dolo o colpa
grave accertati in sede giurisdizionale con sentenza non sospesa, all’approvazione di
atti dichiarati illegittimi.
Si prevede poi l’applicazione ai componenti delle commissioni di gara delle
cause di astensione previste dall’art. 51 c.p.c.
3
Infine, viene previsto che nell’ipotesi in cui alla gara concorre una società
partecipata dall’ente locale che la indice i componenti della commissione di gara non
possono essere né dipendenti né amministratori dell’ente locale stesso.
Quanto all’applicabilità delle norme in esame, in base a quanto previsto dal
comma 27, “le incompatibilità e i divieti di cui ai commi dal 19 al 26 si applicano alle
nomine e agli incarichi da conferire successivamente alla data di entrata in vigore del
presente decreto”.
2. Individuazione delle norme applicabili al servizio idrico integrato anche alla
luce di quanto statuito dalla Corte costituzionale
Come accennato sopra, la nuova normativa in materia di servizi pubblici (art.
4 del D.L. 138/2011, convertito nella legge n. 148/2011) non è applicabile al servizio
idrico integrato.
Non solo.
Come già detto, l’abrogazione dell’art. 23 bis del D.L. n. 112/2008 in esito al
referendum del 12-13 giugno 2011 non ha determinato la riviviscenza delle norme
abrogate dal medesimo articolo (quali le norme dell’art. 113 del D.lgs 267/2000, come
puntualmente individuate dal DPR 18 agosto 2010 n. 168).
Siccome precisato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 24/2011 sopra
menzionata “nel caso in esame, all’abrogazione dell’art. 23-bis, da un lato, non
conseguirebbe alcuna reviviscenza delle norme abrogate da tale articolo
(reviviscenza, del resto, costantemente esclusa in simili ipotesi sia dalla
giurisprudenza di questa Corte − sentenze n. 31 del 2000 e n. 40 del 1997 –, sia da
quella della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato); dall’altro, conseguirebbe
l’applicazione immediata nell’ordinamento italiano della normativa comunitaria
(come si è visto, meno restrittiva rispetto a quella oggetto di referendum) relativa alle
4
regole concorrenziali minime in tema di gara ad evidenza pubblica per l’affidamento
della gestione di servizi pubblici di rilevanza economica”.
Dall’abrogazione della norma de qua ne è conseguito, quindi, (limitatamente
al servizio idrico integrato perché per gli altri servizi è intervenuto l’art. 4 della legge
n. 148/2011) un vuoto nella disciplina nazionale, che sarebbe colmato dalla normativa
comunitaria in materia di affidamento dei servizi pubblici di rilevanza economica e
dalla giurisprudenza sviluppata nel tempo dalla Corte di Giustizia e dagli organi di
giustizia amministrativa interni.
Con specifico riguardo al servizio idrico, detto vuoto è determinato anche
dalla circostanza che l’art. 150 del D.lgs. n. 152/2006 richiama a sua volta, come ha
rilevato anche la Consulta, l’art. 23 bis ed il regolamento.
Con riguardo a tale settore, dunque, si dovrebbe ricorrere, a questo punto,
come già detto, alla normativa comunitaria, anche se, come noto, non esiste ancora una
direttiva sulle concessioni di servizi.
Occorrerà pertanto fare riferimento, innanzitutto, all’art. 30 del D.lgs. n.
163/2006, alle Comunicazioni interpretative della Commissione delle Comunità
Europee del 12 aprile 2000 e del 5 febbraio 2008, nonché ai principi affermati dalla
Corte di giustizia.
L’art. 30 del D.lgs. n. 163/2006, rubricato “Concessione di servizi”, dopo aver
precisato, al primo comma, che, salvo quanto disposto nel presente articolo, le
disposizioni del codice non si applicano alle concessioni di servizi, dispone che: “2.
Nella concessione di servizi la controprestazione a favore del concessionario consiste
unicamente nel diritto di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente il
servizio. Il soggetto concedente stabilisce in sede di gara anche un prezzo, qualora al
concessionario venga imposto di praticare nei confronti degli utenti prezzi inferiori a
quelli corrispondenti alla somma del costo del servizio e dell’ordinario utile di
impresa, ovvero qualora sia necessario assicurare al concessionario il perseguimento
5
dell’equilibrio economico - finanziario degli investimenti e della connessa gestione in
relazione alla qualità del servizio da prestare.
3. La scelta del concessionario deve avvenire nel rispetto dei principi desumibili dal
Trattato e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei
principi di trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di
trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità, previa gara informale a cui sono
invitati almeno cinque concorrenti, se sussistono in tale numero soggetti qualificati in
relazione all’oggetto della concessione, e con predeterminazione dei criteri selettivi.
4. Sono fatte salve discipline specifiche che prevedono forme più ampie di tutela della
concorrenza.
5. Restano ferme, purché conformi ai principi dell’ordinamento comunitario le
discipline specifiche che prevedono, in luogo delle concessione di servizi a terzi,
l’affidamento di servizi a soggetti che sono a loro volta amministrazioni
aggiudicatrici.
6. Se un'amministrazione aggiudicatrice concede ad un soggetto che non è
un’amministrazione aggiudicatrice diritti speciali o esclusivi di esercitare un'attività
di servizio pubblico, l'atto di concessione prevede che, per gli appalti di forniture
conclusi con terzi nell'ambito di tale attività, detto soggetto rispetti il principio di non
discriminazione in base alla nazionalità.
7. Si applicano le disposizioni della parte IV. Si applica, inoltre, in quanto compatibile
l’articolo 143, comma 7”.
La Comunicazione interpretativa del 12 aprile 2000 precisa, da un lato, le
norme e i principi del trattato che si applicano a tutte le forme di concessione e,
dall’altro, le norme particolari previste dalla direttiva 93/37/CE sugli appalti pubblici
di lavori per le concessioni di lavori pubblici.
La Comunicazione interpretativa del 5 febbraio 2008, poi, illustra quelle che,
secondo la Commissione, devono essere le modalità d applicazione delle disposizioni
6
comunitarie in materia di appalti pubblici e concessioni in caso di costituzione e
gestione di partenariati pubblico-privati istituzionalizzati.
Obiettivo della citata Comunicazione interpretativa è – si legge nella stessa
Comunicazione – accrescere la certezza del diritto e, soprattutto, dare una risposta alle
preoccupazioni espresse da più parti circa l’applicazione del diritto comunitario alla
partecipazione di partner privati nei PPPI, vista da alcuni come un elemento che
rischia di rendere tale formula poco attraente se non addirittura impraticabile.
La Comunicazione precisa, poi, che essa non introduce alcuna nuova
normativa, ma riflette l’interpretazione data dalla Commissione al Trattato, alle
direttive in materia di appalti pubblici e alla giurisprudenza della Corte di Giustizia.
Un’altra disposizione che viene in rilievo è la risoluzione del Parlamento
europeo n. 2006/2043 in cui si prevede che la finalità dei contratti di parternariato
pubblico-privato è quella di far beneficiare gli enti pubblici delle capacità operative
delle imprese private come pure, se necessario, delle loro capacità finanziarie.
Questa stessa risoluzione è importante in quanto “auspica termini transitori
per i contratti in corso conclusi in buona fede a norma della legislazione nazionale,
onde evitare incertezza giuridica”.
In buona sostanza, si tratta di una disposizione che tutela l’affidamento delle
gestioni in essere.
Sempre nella risoluzione in questione il Parlamento europeo raccomanda agli
Stati membri di tutelare gli interessi giuridici e finanziari degli “investitori” per
l’intero periodo di validità del contratto, il che è un’altra disposizione a tutela delle
gestioni in essere.
Con riguardo al ricorso a moduli societari misti, sia la Comunicazione della
Commissione europea al Parlamento e al Consiglio, al Comitato economico e sociale
europeo e al Comitato delle regioni, risalente al 15 novembre 2005, che la Risoluzione
del Parlamento europeo n. 2006/2043 (INI) sopra menzionata concordavano nel
ritenere che le forme di PPP, soprattutto quelle di tipo “istituzionalizzato”, non
costituissero certamente l’anticamera di un processo di privatizzazione delle funzioni
7
pubbliche, quanto, piuttosto, un valido strumento alternativo alla stessa
privatizzazione.
Ciò sta a significare che le società miste, contro le quali soprattutto si sono
abbattuti gli strali dei referendari, non solo appaiono un meccanismo gestionale
legittimo ma addirittura auspicabile in quanto alternativo a criticabili fenomeni di
privatizzazione della funzione pubblica.
Del resto, lo stesso Parlamento europeo con la citata Risoluzione n. 2006/2043
ha mostrato particolare sensibilità nei confronti dello sforzo economico sostenuto dal
privato investitore, coinvolto nella gestione di un servizio di interesse economico
generale, al punto da ritenere opportuno che la durata dell’apporto partecipativo
venisse tarata su un torno di tempo sufficiente a garantire l’ammortamento dei costi,
fermo restando che alla scadenza del rapporto fosse bandita una nuova gara per la
scelta del partner privato al fine di scongiurare il pericolo di stabilizzazione della
posizione del socio “operativo”.
Appare evidente, allora, come, nella vigenza dei principi comunitari,
l’abrogazione dell’articolo 23-bis non centri l’obiettivo che i referendari si erano
proposti proprio con riferimento al settore idrico.
Va, poi, rilevato che non tutte le norme contenute sia nell’art. 113 del D.lgs. n.
267/2000, sia nell’art. 35 della legge n. 448/2001 sono state abrogate dal precedente
art. 23 bis, di talchè occorre individuare quali sono ancora in vigore e se assumono
rilevanza per il servizio idrico integrato.
Per quanto riguarda il D.lgs. n. 267/2000, sono ancora in vigore l’art. 113,
commi 1, 2, 3, 4, 5 ter, 9, 10, 11, 12 e 13, nonché gli artt. 114, 115, 117 e 118, mentre
con riguardo all’art. 35 della legge n. 448/2001 sono ancora in vigore i commi 6, 7, 8,
9, 10, 11, 12, 13 e 14.
Vediamo ora quali di queste disposizioni possono riguardare o comunque
possono assumere una qualche rilevanza per il servizio idrico integrato.
8
Dell’art. 113 del D.lgs. n. 267/2000 possono essere richiamati i commi:
2 : Gli enti locali non possono cedere la proprietà degli impianti, delle reti e
delle altre dotazioni destinati all'esercizio dei servizi pubblici di cui al
comma 1, salvo quanto stabilito dal comma 13
3 : Le discipline di settore stabiliscono i casi nei quali l'attività di gestione
delle reti e degli impianti destinati alla produzione dei servizi pubblici
locali di cui al comma 1 può essere separata da quella di erogazione degli
stessi. È, in ogni caso, garantito l'accesso alle reti a tutti i soggetti
legittimati all'erogazione dei relativi servizi
4 : Qualora sia separata dall'attività di erogazione dei servizi, per la gestione
delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali gli enti locali,
anche in forma associata, si avvalgono: a) di soggetti allo scopo costituiti,
nella forma di società di capitali con la partecipazione totalitaria di capitale
pubblico cui può essere affidata direttamente tale attività, a condizione che
gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un
controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società
realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti
pubblici che la controllano; b) di imprese idonee, da individuare mediante
procedure ad evidenza pubblica, ai sensi del comma 7.
5 ter : In ogni caso in cui la gestione della rete, separata o integrata con
l'erogazione dei servizi, non sia stata affidata con gara ad evidenza
pubblica, i soggetti gestori di cui ai precedenti commi provvedono
all'esecuzione dei lavori comunque connessi alla gestione della rete
esclusivamente mediante contratti di appalto o di concessione di lavori
pubblici, aggiudicati a seguito di procedure di evidenza pubblica, ovvero in
economia nei limiti di cui all'articolo 24 della legge 11 febbraio 1994, n. 109, e
all'articolo 143 del regolamento di cui al decreto del Presidente della
Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554. Qualora la gestione della rete,
separata o integrata con la gestione dei servizi, sia stata affidata con
procedure di gara, il soggetto gestore può realizzare direttamente i lavori
9
connessi alla gestione della rete, purché qualificato ai sensi della normativa
vigente e purché la gara espletata abbia avuto ad oggetto sia la gestione del
servizio relativo alla rete, sia l'esecuzione dei lavori connessi. Qualora,
invece, la gara abbia avuto ad oggetto esclusivamente la gestione del
servizio relativo alla rete, il gestore deve appaltare i lavori a terzi con le
procedure ad evidenza pubblica previste dalla legislazione vigente
9 : Alla scadenza del periodo di affidamento, e in esito alla successiva gara
di affidamento, le reti, gli impianti e le altre dotazioni patrimoniali di
proprietà degli enti locali o delle società di cui al comma 13 sono assegnati
al nuovo gestore
11 : I rapporti degli enti locali con le società di erogazione del servizio e
con le società di gestione delle reti e degli impianti sono regolati da
contratti di servizio, allegati ai capitolati di gara, che dovranno prevedere i
livelli dei servizi da garantire e adeguati strumenti di verifica del rispetto
dei livelli previsti.
12 : L'ente locale può cedere tutto o in parte la propria partecipazione nelle
società erogatrici di servizi mediante procedure ad evidenza pubblica da
rinnovarsi alla scadenza del periodo di affidamento. Tale cessione non
comporta effetti sulla durata delle concessioni e degli affidamenti in essere
13 : Gli enti locali, anche in forma associata, nei casi in cui non sia vietato
dalle normative di settore, possono conferire la proprietà delle reti, degli
impianti, e delle altre dotazioni patrimoniali a società a capitale
interamente pubblico, che è incedibile. Tali società pongono le reti, gli
impianti e le altre dotazioni patrimoniali a disposizione dei gestori
incaricati della gestione del servizio o, ove prevista la gestione separata
della rete, dei gestori di quest'ultima, a fronte di un canone stabilito dalla
competente Autorità di settore, ove prevista, o dagli enti locali. Alla società
suddetta gli enti locali possono anche assegnare, ai sensi della lettera a) del
comma 4, la gestione delle reti, nonché il compito di espletare le gare di
cui al comma 5.
10
Dell’art. 35 della legge n. 448/2001 possono essere richiamati i commi:
6 : Qualora le disposizioni dei singoli settori prevedano la gestione
associata del servizio per àmbiti territoriali di dimensione
sovracomunale, il soggetto che gestisce il servizio stipula appositi
contratti di servizio con i comuni di dimensione demografica inferiore a
5.000 abitanti, al fine di assicurare il rispetto di adeguati ed omogenei
standard qualitativi di servizio, definiti dai contratti stessi. In caso di
mancato rispetto di tali standard nel territorio dei comuni di cui al
primo periodo, i soggetti competenti ad affidare la gestione del servizio
nell'àmbito sovracomunale provvedono alla revoca dell'affidamento in
corso sull'intero àmbito
7 : Le imprese concessionarie cessanti al termine dell'affidamento
reintegrano gli enti locali nel possesso delle reti, degli impianti e delle
altre dotazioni utilizzati per la gestione dei servizi. Ad esse è dovuto dal
gestore subentrante un indennizzo stabilito secondo le disposizioni del
comma 9 dell'articolo 113 del citato testo unico di cui al decreto
legislativo n. 267 del 2000, come sostituito dal comma 1 del presente
articolo
8 : Gli enti locali, entro il 30 giugno 2003, trasformano le aziende
speciali e i consorzi di cui all'articolo 31, comma 8, del citato testo
unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, che gestiscono i
servizi di cui al comma 1 dell'articolo 113 del medesimo testo unico,
come sostituito dal comma 1 del presente articolo, in società di capitali,
ai sensi dell'articolo 115 del citato testo unico
9 : In attuazione delle disposizioni di cui ai commi 2 e 13 dell'articolo
113 del citato testo unico, come sostituito dal comma 1 del presente
articolo, gli enti locali che alla data di entrata in vigore della presente
legge detengano la maggioranza del capitale sociale delle società per la
gestione di servizi pubblici locali, che siano proprietarie anche delle
11
reti, degli impianti e delle altre dotazioni per l'esercizio di servizi
pubblici locali, provvedono ad effettuare, entro un anno dalla data di
entrata in vigore della presente legge, anche in deroga alle disposizioni
delle discipline settoriali, lo scorporo delle reti, degli impianti e delle
altre dotazioni. Contestualmente la proprietà delle reti, degli impianti e
delle altre dotazioni patrimoniali, oppure dell'intero ramo d'azienda è
conferita ad una società avente le caratteristiche definite dal citato
comma 13 dell'articolo 113 del medesimo testo unico
10 : La facoltà di cui al comma 12 dell'articolo 113 del citato testo
unico, come sostituito dal comma 1 del presente articolo, riguarda
esclusivamente le società per la gestione dei servizi ed opera solo a
partire dalla conclusione delle operazioni di separazione di cui al
comma 9 del presente articolo.
11 : In deroga alle disposizioni di cui al comma 2 dell'articolo 113 del
citato testo unico, come sostituito dal comma 1 del presente articolo, e
di cui al comma 9 del presente articolo, nonché in alternativa a quanto
stabilito dal comma 10, limitatamente al caso di società per azioni
quotate in borsa e di società per azioni i cui enti locali soci abbiano già
deliberato al 1° gennaio 2002 di avviare il procedimento di quotazione
in borsa, da concludere entro il 31 dicembre 2003, di cui, alla data di
entrata in vigore della presente legge, gli enti locali detengano la
maggioranza del capitale, è consentita la piena applicazione delle
disposizioni di cui al comma 12 dell'articolo 113 del citato testo unico.
In tale caso, ai fini dell'applicazione del comma 9 dell'articolo 113 del
citato testo unico, sulle reti, sugli impianti e sulle altre dotazioni
patrimoniali attuali e future è costituito, ai sensi dell'articolo 1021 del
codice civile, un diritto di uso perpetuo ed inalienabile a favore degli
enti locali. Resta fermo il diritto del proprietario, ove sia un soggetto
diverso da quello cui è attribuita la gestione delle reti, degli impianti e
delle altre dotazioni patrimoniali, alla percezione di un canone da parte
12
di tale soggetto. Non si applicano le disposizioni degli articolo 1024 e
seguenti del codice civile.
14 : Nell'esercizio delle loro funzioni, gli enti locali, anche in forma
associata, individuano gli standard di qualità e determinano le modalità
di vigilanza e controllo delle aziende esercenti i servizi pubblici, in un
quadro di tutela prioritaria degli utenti e dei consumatori.
Come si è sopra rilevato, tutte le disposizioni contenute negli artt. 114 e 115
del D.lgs. n. 267/2000 non sono peraltro applicabili al settore in esame, posto che l’art.
35, comma 8 della legge n. 448/2001 esclude la sopravvivenza per i servizi aventi
rilevanza economica delle aziende e dei consorzi, che devono essere trasformati in
società di capitali entro e non oltre il 30 giugno 2003.
Anzi, dal combinato disposto dell’art. 35, comma 8 della legge n. 448/2001 e
dell’art. 115, comma 1 del D.lgs. n. 267/2000 è possibile evincere che le aziende
speciali o i consorzi non solo dovevano essere trasformati in società di capitali dagli
enti locali, ma questi potevano restare come azionisti unici solo per due anni.
È evidente, quindi, il favor per le società miste e a tal riguardo l’art. 115,
comma 4 sopra citato prevede che il ricorso al capitale privato può avvenire ai sensi
del decreto-legge 31 maggio 1994, n. 332, convertito, con modificazioni, dalla
legge 30 luglio 1994, n. 474.
Vi è poi ancora l’art. 15 del D.L. n. 135/2009, il quale contiene una norma
specifica per il settore idrico, tuttora vigente, e cioè il comma 1 ter, il quale recita:
“Tutte le forme di affidamento della gestione del servizio idrico integrato di cui
all’articolo 23-bis del citato decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, devono avvenire nel rispetto dei princìpi
di autonomia gestionale del soggetto gestore e di piena ed esclusiva proprietà
pubblica delle risorse idriche, il cui governo spetta esclusivamente alle istituzioni
pubbliche, in particolare in ordine alla qualità e prezzo del servizio, in conformità a
13
quanto previsto dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, garantendo il diritto
alla universalità ed accessibilità del servizio”.
Naturalmente sono in vigore, per il servizio idrico integrato, le specifiche
disposizioni di settore contenute nel D.lgs. n. 152/2006 (artt. da 141 a 176) a cui si
aggiungono le disposizioni concernenti la soppressione e la sostituzione degli ATO
(cfr. art. 2, comma 186-bis, della Legge 23 dicembre 2009 n. 191, introdotto dall’art. 1,
comma 1-quinquies della Legge 26 marzo 2010 n. 42) nonché quelle riguardanti
l’istituzione dell'Agenzia nazionale di vigilanza sulle risorse idriche (art. 10 del D.L. n.
70/2011, convertito in legge n. 106/2011).
Infine, sempre con riguardo alle disposizioni applicabili al servizio idrico
integrato, è importante menzionare l’art. 154 del D.lgs. n. 152/2006, il quale disciplina
la tariffa del servizio idrico integrato stabilendo che “1. La tariffa costituisce il
corrispettivo del servizio idrico integrato ed è determinata tenendo conto della qualità
della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari,
dell'entità dei costi di gestione delle opere, e dei costi di gestione delle aree di
salvaguardia, nonché di una quota parte dei costi di funzionamento dell'Autorità
d'ambito, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e
di esercizio secondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio "chi
inquina paga". Tutte le quote della tariffa del servizio idrico integrato hanno natura di
corrispettivo.
2. Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, su proposta dell'Autorità di
vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, tenuto conto della necessità di recuperare i
costi ambientali anche secondo il principio "chi inquina paga", definisce con decreto
le componenti di costo per la determinazione della tariffa relativa ai servizi idrici per i
vari settori di impiego dell'acqua.
3. Al fine di assicurare un'omogenea disciplina sul territorio nazionale, con decreto
del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell'ambiente e
della tutela del territorio, sono stabiliti i criteri generali per la determinazione, da
14
parte delle regioni, dei canoni di concessione per l'utenza di acqua pubblica, tenendo
conto dei costi ambientali e dei costi della risorsa e prevedendo altresì riduzioni del
canone nell'ipotesi in cui il concessionario attui un riuso delle acque reimpiegando le
acque risultanti a valle del processo produttivo o di una parte dello stesso o, ancora,
restituisca le acque di scarico con le medesime caratteristiche qualitative di quelle
prelevate. L'aggiornamento dei canoni ha cadenza triennale.
4. L'Autorità d'ambito, al fine della predisposizione del Piano finanziario di cui
all'articolo 149, comma 1, lettera c), determina la tariffa di base, nell'osservanza delle
disposizioni contenute nel decreto di cui al comma 2, comunicandola all'Autorità di
vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti ed al Ministro dell'ambiente e della tutela
del territorio.
5. La tariffa è applicata dai soggetti gestori, nel rispetto della Convenzione e del
relativo disciplinare.
6. Nella modulazione della tariffa sono assicurate, anche mediante compensazioni per
altri tipi di consumi, agevolazioni per quelli domestici essenziali, nonché per i
consumi di determinate categorie, secondo prefissati scaglioni di reddito. Per
conseguire obiettivi di equa redistribuzione dei costi sono ammesse maggiorazioni di
tariffa per le residenze secondarie, per gli impianti ricettivi stagionali, nonché per le
aziende artigianali, commerciali e industriali.
7. L'eventuale modulazione della tariffa tra i comuni tiene conto degli investimenti pro
capite per residente effettuati dai comuni medesimi che risultino utili ai fini
dell'organizzazione del servizio idrico integrato”.
Con riguardo alla disposizione sopra riportata, occorre rilevare che a tutt’oggi
il decreto previsto dal comma 2 non è stato emanato.
L’art. 170 del D.lgs. n. 152/2006 ha peraltro stabilito al 3° comma che, fino
all’emanazione del futuro decreto, continuerà ad applicarsi il precedente decreto 1
agosto 1996 e cioè il suddetto metodo tariffario normalizzato.
In estrema sintesi tale metodo stabilisce:
15
dei principi contabili per individuare i costi operativi che sono ammessi a
copertura;
i costi operativi derivano dal bilancio (costi effettivi) ma sono poi soggetti a un
obbligo minimo di riduzione annua, in funzione del confronto con un costo
standard calcolato attraverso un modello;
per quel che riguarda gli investimenti essi sono valutati con le quote di
ammortamento mentre per il rendimento del capitale investito è stato adottato
un valore forfettario del 7 %.
Il metodo tariffario “normalizzato” regola altresì sia le modalità con cui la
tariffa varia a seconda degli anni, sia le modalità di aggiornamento della medesima.
Con riguardo alla disposizione in esame occorre precisare che il primo comma
della medesima e, precisamente, la questione della determinazione della tariffa del
servizio idrico integrato in base all’adeguata remunerazione del capitale investito è
stato oggetto del referendum abrogativo del giugno scorso.
Un quesito – per il quale hanno vinto i sì – riguardava infatti l’abrogazione del
comma 1 del citato art. 154 (Tariffa del servizio idrico integrato) del D.lgs. n.
152/2006, limitatamente alla seguente parte: “dell'adeguatezza della remunerazione
del capitale investito”.
Il referendum ha dunque abrogato la voce dell’adeguatezza della
remunerazione del capitale investito, di talchè il problema fondamentale che ora si
pone – e che verrà esaminato nel prosieguo - è stabilire se questa soppressione possa
incidere immediatamente sul regime tariffario.
16
3. Sopravvivenza della modalità di gestione in house per il servizio idrico integrato senza i vincoli posti dalla nuova normativa introdotta dal D.L. n. 138/2011
Come accennato sopra, l’art. 4 del D.L. n. 138/2011 ha sostanzialmente
riproposto la normativa abrogata dal referendum popolare.
Per quanto riguarda gli affidamenti in house, essi sono disciplinati dal comma
13 del citato art. 4.
Tale disposizione, peraltro, risulta, con riguardo appunto agli affidamenti in
house, più restrittiva rispetto a quanto era previsto dall’abrogato art. 23 bis.
L’art. 23 bis, infatti, consentiva l’affidamento in house, quale modalità
derogatoria di affidamento del servizio, in presenza di determinati presupposti e cioè
situazioni eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali,
ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non
permettevano un efficace e utile ricorso al mercato.
In tali situazioni, l'affidamento poteva avvenire a favore di società a capitale
interamente pubblico, partecipate dall'ente locale, che avessero i requisiti richiesti
dall'ordinamento comunitario per la gestione cosiddetta “in house” e, comunque, nel
rispetto dei principi della disciplina comunitaria in materia di controllo analogo sulla
società e di prevalenza dell'attività svolta dalla stessa con l'ente o gli enti pubblici che
la controllavano.
Al di là dei predetti presupposti, il citato art. 23 bis non prevedeva alcun limite
di valore per poter procedere all’affidamento in house, ma un tale limite era
contemplato solo ai fini della richiesta di parere all’Autorità garante ai sensi del
comma 4.
Il nuovo art. 4, invece, richiede, per poter procedere all’affidamento in house,
oltre ai sopramenzionati requisiti previsti dall’ordinamento comunitario anche un tetto
massimo di valore e cioè 900.000 euro annui.
17
Più precisamente, il comma 13 dell’art. 4 in esame dispone che “se il valore
economico del servizio oggetto dell’affidamento è pari o inferiore alla somma
complessiva di 900.000 euro annui, l’affidamento può avvenire a favore di società a
capitale interamente pubblico che abbia i requisiti richiesti dall’ordinamento europeo
per la gestione cosiddetta “in house”.
I successivi commi 14 e 15, riproducendo quanto già disposto dall’abrogato
articolo 23 bis, prevedono rispettivamente l’assoggettamento delle società in house al
patto di stabilità ed alle disposizioni contenute nel d.lgs. n. 163/2006 in materia di
acquisto di beni e servizi.
L’assoggettabilità dei moduli societari in house al patto di stabilità ha suscitato
nei primi commentatori qualche perplessità alla luce della sentenza della Corte
costituzionale n. 325/2010 che ha espunto proprio il riferimento al patto di stabilità
previsto nella lettera a) del comma 10 dell’articolo 23 bis del d.l. n. 112/2008 sul
presupposto dell’attrazione della materia nell’ambito del coordinamento della finanza
pubblica di competenza concorrente e non esclusiva dello Stato.
L’attuale formulazione del comma 14 dell’articolo 4 del d.l. n. 138/2011, nel
far riferimento alla definizione delle modalità di assoggettamento al patto di stabilità
alla concertazione, sembra escludere ancora una volta le Regioni, con conseguente
sospetto di illegittimità costituzionale della norma.
Come già detto, la disciplina contenuta nel citato art. 4 non trova peraltro
applicazione nei riguardi del servizio idrico.
In realtà, si può affermare che non vi sono norme interne che legittimano l’in
house ed infatti, come visto, l’art. 35, comma 8 della legge n. 448/2001 esclude la
sopravvivenza per i servizi aventi rilevanza economica delle aziende e dei consorzi,
che devono essere trasformati in società di capitali entro e non oltre il 30 giugno 2003.
Anzi, dal combinato disposto dell’art. 35, comma 8 della legge n. 448/2001 e
dell’art. 115, comma 1 del D.lgs. n. 267/2000 è possibile evincere che le aziende
speciali o i consorzi non solo dovevano essere trasformati in società di capitali dagli
enti locali, ma questi potevano restare come azionisti unici solo per due anni.
18
Per la disciplina della modalità di gestione in house nel settore in esame,
pertanto, occorrerà fare riferimento ai principi dettati al riguardo dalla giurisprudenza
comunitaria con riguardo ai presupposti ed ai requisiti per poter fare ricorso alle
società in house.
Com’è noto, l’istituto dell’in house providing è stato elaborato
pretoriamente dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, non sussistendo
alcuna sua previsione positiva nel Libro Bianco del 1998 della Commissione
Europea, che aveva solo tenuemente enunciato il concetto di “appalti in house”.
Il leading case è costituito dalla nota sentenza Teckal del 18 novembre 1999,
in cui la Corte di giustizia ha indicato per la prima volta espressamente i due
presupposti che legittimano un affidamento diretto di servizi pubblici:
1) il controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi che
l’amministrazione aggiudicatrice deve esercitare sull’aggiudicatario e
2) la realizzazione da parte di quest’ultimo della maggior parte della propria
attività in favore dell’ente pubblico di appartenenza.
Altra pronuncia cardine è la sentenza Stadt Halle dell’11 gennaio 2005, nella
quale la Corte, interpretando in senso restrittivo eventuali deroghe all’applicazione
delle norme comunitarie, ha precisato che la presenza, seppur minoritaria e
trascurabile, di soci privati nella compagine gestoria amministrativa del soggetto
aggiudicatore è tale da imporre il previo esperimento del procedimento di gara
contemplato dalle direttive comunitarie.
Il descritto orientamento viene dalla Corte ribadito, pochi mesi dopo, con la
decisione 21 luglio 2005, causa Co.Na.Me., nella quale ha escluso la perseguibilità di
affidamenti in house ogniqualvolta il soggetto aggiudicatore è partecipato da privati.
In questo caso, infatti, a giudizio del Collegio, la presenza di privati
escluderebbe a priori la possibilità che l’amministrazione aggiudicatrice esperisca, nei
confronti del soggetto aggiudicatore, il “controllo analogo”necessario affinché si possa
procedere ad un affidamento diretto.
19
La Corte di giustizia, poi, con la successiva sentenza Parking Brixen del 13
ottobre 2005, si è spinta ancora oltre, giudicando non conforme al modello in house
una società a capitale interamente pubblico, per l’assenza del requisito del controllo
analogo.
Pur essendo la totalità delle azioni in mano pubblica, ad avviso della Corte,
difetterebbe il requisito de quo, in quanto “deve risultare che l’ente concessionario è
soggetto ad un controllo che consente all’autorità pubblica concedente di influenzarne
le decisioni. Deve trattarsi di una possibilità di influenza determinante sia sugli
obiettivi strategici che sulle decisioni importanti”.
I giudici lussemburghesi hanno così proceduto ad elencare gli indici rivelatori
negativi al cui sussistere è esclusa la praticabilità del “controllo analogo”:
a) la possibilità dell’ampliamento dell’oggetto sociale;
b) l’espansione territoriale dell’attività a tutto lo Stato e all’estero;
c) l’apertura obbligatoria della società al capitale privato.
L’esistenza, ancorché non simultanea, dei suddetti parametri sintomatici
ostativi preclude ogni possibilità di affidamento in house anche ove il soggetto
aggiudicatore, al momento dell’affidamento, sia integralmente partecipato da soggetti
pubblici, a loro volta costituenti amministrazioni aggiudicatrici.
Le due decisioni Stadt Halle e Parking Brixen, dunque, hanno elaborato il
requisito del controllo analogo fino al punto non solo di escludere che sia sufficiente la
sussistenza del controllo civilistico-societario, ma anche di rendere incompatibili con
esso la possibilità di cessione del capitale, anche in parte, a privati (apparentemente
persino se scelti con gara), l’esistenza di un oggetto sociale inclusivo di attività diverse
da quelle affidate direttamente o di una capacità di agire territorialmente più ampia dei
confini dell’amministrazione o di poteri degli organi gestionali autonomi
dall’amministrazione azionista.
In altre due sentenze di estrema rilevanza (caso AMTAB del 6 aprile 2006 e
Carbotermo dell’11 maggio 2006), la Corte di Giustizia ha ribadito la sua
interpretazione restrittiva dei presupposti che legittimano l’affidamento diretto a
società di capitali.
20
Nella sentenza Carbotermo, in particolare, la Corte ha affermato che il
controllo analogo non può risolversi nei soli poteri che il diritto societario riconosce
alla maggioranza sociale, in assenza di prerogative peculiari in termini di diritti di voto
o di poteri di controllo che attenuino la latitudine della gestione ordinaria e
straordinaria della società attribuita in via normativa al consiglio di amministrazione
(par. 38), tanto più allorquando l’interposizione di una holding sia suscettibile di
attenuare il controllo dell’amministrazione aggiudicatrice sulla partecipata (par. 39).
Quanto al secondo requisito, la Corte ha ritenuto, in primo luogo, che
l’eccezione al divieto di affidamento diretto da parte dell’amministrazione controllante
riguardi solo gli appalti di servizi, in ragione del fondamento normativo rappresentato
dall’art. 13 della direttiva 93/38/CEE e non quelli di forniture, neppure in via
analogica (par. 50-57).
In ogni caso, lo svolgimento della maggior parte dell’attività con l’ente
detentore del capitale va interpretato nel senso della prevalenza del fatturato realizzato
in base alle decisioni di affidamento dell’ente territoriale controllante, a prescindere
dal fatto che il destinatario sia la stessa amministrazione aggiudicatrice o direttamente
gli utenti delle prestazioni, dalla natura giuridica, di appalto o concessione, del
rapporto giuridico instaurato e dalla provenienza della remunerazione delle prestazioni
dell’impresa, essendo in ogni caso ininfluente il territorio sul quale l’attività viene
svolta (par. 63-72).
In linea generale, dunque, gli elementi affinchè possa concretizzarsi il modello
dell’in house non si limitano alla titolarità da parte degli enti pubblici del 100% del
pacchetto azionario della società.
Il sistema c.d. in house è da ritenere consentito solo qualora l’ente pubblico
eserciti sull’affidataria del servizio un “controllo analogo” a quello dallo stesso
esercitato sui propri servizi e la società affidataria realizzi la parte più importante della
propria attività con l’ente o con gli enti che la controllano.
I principi testè enunciati sono stati da ultimo confermati, sempre a livello
comunitario, dalla Corte di Giustizia nella sentenza 10 settembre 2009 (procedimento
C-573/07), nella quale si è ribadito che “Gli artt. 43 CE e 49 CE, i principi di parità di
21
trattamento e di non discriminazione in base alla cittadinanza così come l’obbligo di
trasparenza che ne discende non ostano all’affidamento diretto di un appalto pubblico
di servizi ad una società per azioni a capitale interamente pubblico qualora l’ente
pubblico che costituisce l’amministrazione aggiudicatrice eserciti su tale società un
controllo analogo a quello che esercita sui propri servizi e questa società realizzi la
parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la
controllano.
Nel caso di all’affidamento diretto di un appalto pubblico di servizi ad una
società per azioni a capitale interamente pubblico, il controllo esercitato dagli enti
azionisti sulla detta società può essere considerato analogo a quello esercitato sui
propri servizi nel caso in cui: a) l’attività di tale società è limitata al territorio di detti
enti ed è esercitata fondamentalmente a beneficio di questi ultimi; b) tramite organi
statutari composti da rappresentanti di detti enti, questi ultimi esercitano un’influenza
determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti di detta
società”.
Sempre sotto il profilo in esame, si ricorda, poi, la sentenza della Corte di
Giustizia del 17 luglio 2008 (causa C-371/05) nella quale si afferma che “la possibilità
per i privati di partecipare al capitale della società affidataria non basta ad escludere
il controllo analogo, in assenza di una partecipazione effettiva dei privati stessi al
momento della stipula della convenzione di affidamento. Per ragioni di certezza del
diritto, l’obbligo di un’Amministrazione aggiudicatrice di procedere ad una gara di
appalto va, infatti, valutato alla luce delle condizioni esistenti alla data
dell’affidamento”.
Nondimeno, aggiunge la Corte di Giustizia, ove risulti che l’apertura del
capitale a soci privati era prevista (o comunque non esclusa) sin dall’assegnazione del
servizio, si dovrà verificare se vi sia stata una partecipazione effettiva dei privati
successivamente a detta assegnazione.
Quanto alla posizione della giurisprudenza interna, essa ha fatto propri i
principi elaborati dalla Corte di giustizia fin qui descritti, enunciandoli in modo
22
pressoché identico (cfr. in particolare decisione n. 1 del 3 marzo 2008 dell’Adunanza
Plenaria del Consiglio di Stato; C.G.A. per la Regione Sicilia, 4 settembre 2007 n.
719; Corte costituzionale, sentenza 23 dicembre 2008, n. 439; Consiglio di Stato, sez.
V, 3 febbraio 2009, n. 591,; C.G.A., 9 febbraio 2009, n. 48; Consiglio di Stato, 24
settembre 2010, n. 7092; Consiglio di Stato, 8 marzo 2011 n. 1447).
In conclusione, per quanto riguarda l’affidamento in house, da un lato, pare
non vi siano norme interne che lo legittimano, in quanto, come visto, dal combinato
disposto dell’art. 35, comma 8 della legge n. 448/2001 e dell’art. 115, comma 1 del
D.lgs. n. 267/2000 si evince che le aziende speciali o i consorzi non solo dovevano
essere trasformati in società di capitali dagli enti locali, ma questi potevano restare
come azionisti unici solo per due anni.
Dall’altro lato, tuttavia, occorre menzionare l’art. 2362 c.c., il quale disciplina,
per le società per azioni, il caso dell’azionista unico, nonché l’art. 150 del D.lgs. n.
152/2006, il quale, al terzo comma, prevede che “La gestione può essere altresì
affidata a società partecipate esclusivamente e direttamente da comuni o altri enti
locali compresi nell'ambito territoriale ottimale, qualora ricorrano obiettive ragioni
tecniche od economiche, secondo la previsione del comma 5, lettera c), dell'articolo
113 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, o a società solo parzialmente partecipate da
tali enti, secondo la previsione del comma 5, lettera b), dell'articolo 113 del decreto
legislativo 18 agosto 2000, n. 267, purché il socio privato sia stato scelto, prima
dell'affidamento, con gara da espletarsi con le modalità di cui al comma 2”.
Ovviamente la previsione di cui all’art. 150 sopra menzionato deve essere letta
alla luce delle modifiche normative di recenti intervenute, soprattutto con riguardo
all’abrogazione dell’art. 113 del D.lgs. n. 267/2000 di cui si è detto.
23
4. Criteri e parametri da osservare per lo svolgimento delle nuove gare
Come più volte evidenziato, stante il vuoto normativo venutosi a creare nel
settore idrico ad esito del referendum abrogativo, anche per la disciplina delle nuove
gare occorrerà fare riferimento ai principi ed alla normativa comunitaria.
Per quanto concerne la normativa interna, vengono in rilievo l’art. 30 del
D.lgs. n. 163/2006, che disciplina la concessione di servizi, e l’art. 150 del D.lgs. n.
152/2006, che disciplina la scelta della forma di gestione e le procedure di affidamento
nel settore idrico.
L’art. 30, come accennato sopra, dopo aver precisato, al primo comma, che,
salvo quanto disposto nel presente articolo, le disposizioni del codice non si applicano
alle concessioni di servizi, dispone che: “2. Nella concessione di servizi la
controprestazione a favore del concessionario consiste unicamente nel diritto di
gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente il servizio. Il soggetto
concedente stabilisce in sede di gara anche un prezzo, qualora al concessionario
venga imposto di praticare nei confronti degli utenti prezzi inferiori a quelli
corrispondenti alla somma del costo del servizio e dell’ordinario utile di impresa,
ovvero qualora sia necessario assicurare al concessionario il perseguimento
dell’equilibrio economico - finanziario degli investimenti e della connessa gestione in
relazione alla qualità del servizio da prestare.
3. La scelta del concessionario deve avvenire nel rispetto dei principi desumibili dal
Trattato e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei
principi di trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di
trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità, previa gara informale a cui sono
invitati almeno cinque concorrenti, se sussistono in tale numero soggetti qualificati in
relazione all’oggetto della concessione, e con predeterminazione dei criteri selettivi.
4. Sono fatte salve discipline specifiche che prevedono forme più ampie di tutela della
concorrenza.
5. Restano ferme, purché conformi ai principi dell’ordinamento comunitario le
discipline specifiche che prevedono, in luogo delle concessione di servizi a terzi,
24
l’affidamento di servizi a soggetti che sono a loro volta amministrazioni
aggiudicatrici.
6. Se un'amministrazione aggiudicatrice concede ad un soggetto che non è
un’amministrazione aggiudicatrice diritti speciali o esclusivi di esercitare un'attività
di servizio pubblico, l'atto di concessione prevede che, per gli appalti di forniture
conclusi con terzi nell'ambito di tale attività, detto soggetto rispetti il principio di non
discriminazione in base alla nazionalità.
7. Si applicano le disposizioni della parte IV. Si applica, inoltre, in quanto compatibile
l’articolo 143, comma 7”.
L’art. 150 sopra menzionato stabilisce, al primo comma, che l'Autorità
d'ambito, nel rispetto del piano d'ambito e del principio di unitarietà della gestione per
ciascun ambito, delibera la forma di gestione.
“2. L'Autorità d'ambito aggiudica la gestione del servizio idrico integrato mediante
gara disciplinata dai princìpi e dalle disposizioni comunitarie, in conformità ai criteri
di cui all'articolo 113, comma 7, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 257,
secondo modalità e termini stabiliti con decreto del Ministro dell'ambiente e della
tutela del territorio nel rispetto delle competenze regionali in materia.
3. La gestione può essere altresì affidata a società partecipate esclusivamente e
direttamente da comuni o altri enti locali compresi nell'ambito territoriale ottimale,
qualora ricorrano obiettive ragioni tecniche od economiche, secondo la previsione del
comma 5, lettera c), dell'articolo 113 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, o a società
solo parzialmente partecipate da tali enti, secondo la previsione del comma 5, lettera
b), dell'articolo 113 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, purché il socio privato sia
stato scelto, prima dell'affidamento, con gara da espletarsi con le modalità di cui al
comma 2.
4. I soggetti di cui al presente articolo gestiscono il servizio idrico integrato su tutto il
territorio degli enti locali ricadenti nell'ambito territoriale ottimale, salvo quanto
previsto dall'articolo 148, comma 5”.
25
In attuazione del sopracitato comma 2 era stato adottato il D.M. del Ministero
dell’Ambiente 2 maggio 2006 “Disciplina delle modalità e dei termini di
aggiudicazione della gestione del Servizio idrico integrato, ai sensi dell'articolo 150,
comma 2, del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152”.
Tale decreto prevedeva che, per ciascun servizio da aggiudicare, la relativa
gara dovesse essere a procedura aperta e basarsi sull’offerta economicamente più
vantaggiosa, con ammissione riservata alle società di capitali (costituite anche in
consorzi o associazioni temporanee di imprese) e ai GEIE, in possesso di specifici
requisiti in termini di capacità, esperienza e fatturato.
Con riguardo al predetto D.M., è appena il caso di osservare che lo stesso
risulta peraltro privo di effetti in quanto mai trasmesso alla Corte dei Conti per il
controllo e la conseguente registrazione.
In precedenza era stato adottato il D.M. 22 novembre 2001, il quale stabiliva
le modalità di affidamento in concessione a terzi della gestione del servizio idrico
integrato, a norma dell'art. 20, comma 1, della legge 5 gennaio 1994, n. 36.
Venendo ora ai principi comunitari, nel caso di ricorso al mercato, come noto,
il diritto comunitario impone il rispetto dei principi generali di tutela del mercato/della
concorrenza individuati dal Trattato istitutivo della CE agli artt. 39 (libera circolazione
dei lavoratori all’interno della Comunità), 43 (libertà di stabilimento), 48 e 81 (intese
restrittive della concorrenza).
In particolare, i principi europei per l’affidamento delle concessioni di servizi
sono trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento,
mutuo riconoscimento, proporzionalità, principi tutti richiamati espressamente dall’art.
30 del D.lgs. n. 163/2006.
Tale ultima disposizione prevede, infatti, che “(…) La scelta del
concessionario deve avvenire nel rispetto dei principi desumibili dal Trattato e dei
principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di
trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo
riconoscimento, proporzionalità, previa gara informale a cui sono invitati almeno
26
cinque concorrenti, se sussistono in tale numero soggetti qualificati in relazione
all’oggetto della concessione, e con predeterminazione dei criteri selettivi.
Sono fatte salve discipline specifiche che prevedono forme più ampie di tutela
della concorrenza (…)”.
I principi de quibus sono chiaramente spiegati nella comunicazione
interpretativa della Commissione del 12 aprile 2000.
Per quanto concerne il principio di parità di trattamento, secondo una costante
giurisprudenza della Corte, «il principio generale di uguaglianza, di cui il divieto di
discriminazione a motivo della cittadinanza è solo un’espressione specifica, è uno dei
principi fondamentali del diritto comunitario. Questo principio impone di non trattare
in modo diverso situazioni analoghe, salvo che la differenza di trattamento sia
obiettivamente giustificata».
La Corte ha inoltre precisato che il principio di parità di trattamento, del quale
sono specifica espressione gli articoli 43 (ex 52) e 49 (ex 59) del trattato «vieta non
solo le discriminazioni palesi a motivo della cittadinanza, (…..) ma anche qualsiasi
forma di discriminazione dissimulata che, mediante il ricorso ad altri criteri distintivi,
abbia in prativa le stesse conseguenze».
Il principio di parità di trattamento implica, in particolare, che le regole del
gioco siano conosciute da tutti i potenziali concessionari e si applichino a tutti nello
stesso modo. Risulta dalla giurisprudenza della Corte, in particolare dalla sentenza
Raulin e dalla sentenza Parlamento/Consiglio, che l’osservanza del principio di parità
di trattamento esige non soltanto la fissazione di condizioni d’accesso non
discriminatorie all’attività economica, ma altresì che le autorità pubbliche adottino
ogni misura atta a garantire l’esercizio di tale attività.
La Commissione ricorda che la Corte, nella sua giurisprudenza, ha sottolineato
la correlazione tra il principio della trasparenza ed il principio della parità di
trattamento, di cui mira ad assicurare l’effetto utile garantendo condizioni di
concorrenza non falsate.
27
La Commissione constata che nella quasi totalità degli Stati membri esistono
regole o prassi amministrative in materia di concessioni secondo le secondo le quali gli
enti che intendano affidare ad un terzo la gestione di un’attività economica devono, per
garantire un minimo di trasparenza, rendere pubblica la loro intenzione con modalità
appropriate.
Come confermato dalla Corte nella sua più recente giurisprudenza, il principio
di non discriminazione sulla base della nazionalità implica un obbligo di trasparenza al
fine di permettere all’amministrazione aggiudicatrice di garantire il rispetto.
La trasparenza può essere garantita con ogni mezzo appropriato, compresa la
pubblicazione, in funzione e per tenere conto delle specificità del settore in questione.
Siffatte forme di pubblicità contengono, in generale, le informazioni necessarie
affinchè potenziali concessionari possano decidere se sono interessati a partecipare alla
procedura (ad esempio, criteri di selezione e di attribuzione, ecc.), ivi compreso
l’oggetto della concessione nonché la natura ed estensione delle prestazioni attese dal
concessionario.
La Commissione ritiene che, in tali condizioni, l’obbligo di trasparenza sia
rispettato.
Quanto poi al principio di proporzionalità, per giurisprudenza costante, la
Corte considera detto principio come «facente parte dei principi generali del diritto
comunitario»; in tale contesto, le autorità nazionali sono tenute ad osservare tale
principio nell’applicazione del diritto comunitario anche quando esse dispongano di un
ampio margine discrezionale.
Il principio di proporzionalità esige che ogni provvedimento adottato sia al
tempo stesso necessario ed adeguato rispetto agli scopi perseguiti. Uno Stato membro,
infatti, nella scelta dei provvedimenti da adottare, deve ricorrere a quelli che
comportino le minori turbative per l’esercizio di un’attività economica.
Applicato alle concessioni, questo principio, pur lasciando alle organizzazioni
concedenti la facoltà di definire, in particolare in termini di prestazioni e di specifiche
tecniche, l’obiettivo da raggiungere, esige, però, che ogni provvedimento adottato sia
al tempo stesso necessario e adeguato in relazione all’obiettivo fissato.
28
Ad esempio, uno stato membro non può esigere, ai fini della selezione dei
candidati, capacità tecniche, professionali o finanziarie sproporzionate o eccessive
rispetto all’oggetto della concessione.
Il principio di proporzionalità esige anche che la concorrenza si concili con
l’equilibrio finanziario; la durata della concessione deve dunque essere fissata in modo
da non restringere o limitare la libera concorrenza più di quanto sia necessario per
ammortizzare gli investimenti e remunerare i capitali investiti in misura ragionevole,
pur mantenendo sul concessionario il rischio derivante dalla gestione.
Per quanto concerne, infine, il principio di mutuo riconoscimento, esso è stato
affermato dalla Corte e progressivamente precisato in una vasta giurisprudenza in
materie di libera circolazione delle merci, delle persone e dei servizi.
In base a tale principio, uno Stato membro è tenuto ad accettare i prodotti e i
servizi forniti da operatori economici di altri paesi della Comunità, nella misura in cui
tali prodotti e servizi rispondano in modo equivalente alle esigenze legittimamente
perseguite dallo Stato membro destinatario.
L’applicazione di questo principio alle concessioni implica, in particolare, che
lo Stato membro in cui la prestazione è fornita sia tenuto ad accettare le specifiche
tecniche, i controlli nonché i titoli, i certificati e le qualifiche prescritti in un altro Stato
membro, nella misura in cui essi siano riconosciuti equivalenti a quelli richiesti dallo
Stato membro destinatario della prestazione.
Infine, appare utile rilevare che, laddove non si sia in presenza di una
concessione bensì di un appalto di servizi, verranno in rilievo le norme contenute nel
Codice degli appalti (D.lgs. n. 163/2006) e precisamente nella Parte III dedicata ai
cosiddetti settori speciali (artt. 206/238).
Tale questione assume rilevanza soprattutto alla luce delle più recenti
pronunce giurisprudenziali che hanno affrontato la problematica della distinzione tra
appalti e concessioni.
In particolare, al riguardo, molto interessante risulta una recentissima sentenza
della V sezione del Consiglio di Stato (sentenza 9 settembre 2011, n. 5068), la quale ha
29
precisato che “le concessioni, nel quadro del diritto comunitario, si distinguono dagli
appalti non per il titolo provvedimentale dell’attività, né per il fatto che ci si trovi di
fronte ad una vicenda di trasferimento di pubblici poteri o di ampliamento della sfera
giuridica del privato, (che sarebbe un fenomeno tipico della concessione in una
prospettiva coltivata da tradizionali orientamenti dottrinali), né per la loro natura
autoritativa o provvedimentale rispetto alla natura contrattuale dell’appalto, ma per il
fenomeno di traslazione dell’alea inerente una certa attività in capo al soggetto
privato (cfr. Sez. VI 15 maggio 2002, n..2634).
Quando l’operatore privato si assume i rischi della gestione del servizio,
percependone il corrispettivo dall’utente mediante la riscossione di un qualsiasi tipo
di canone o tariffa, allora si ha concessione: è la modalità della remunerazione,
quindi, il tratto distintivo della concessione dall’appalto di servizi.
Così, si avrà concessione quando l’operatore si assuma in concreto i rischi
economici della gestione del servizio, rifacendosi essenzialmente sull’utenza per
mezzo della riscossione di un qualsiasi tipo di canone o tariffa, mentre si avrà appalto
quando l’onere del servizio stesso venga a gravare sostanzialmente
sull’amministrazione”.
Ciò premesso, nel caso di specie, il Consiglio di Stato ha inquadrato la
fattispecie sottoposta al suo esame come appalto di servizi e non come concessione in
quanto la quasi totalità dei costi veniva sostenuta direttamente dal Comune e la
rimanente quota era corrisposta dagli utenti, secondo tariffe approvate dalla giunta
comunale.
Inoltre, il contratto di servizio prevedeva che nel caso in cui il gestore del
servizio avesse ritenuto le tariffe approvate dal Comune non sufficienti a coprire i costi
del servizio, l’ente locale avrebbe dovuto incrementare la contribuzione di cui sopra,
che dall’85 % salirebbe così verso la pressoché totale copertura diretta.
Alla luce delle predette caratteristiche, il Consiglio di Stato ha dunque
concluso nel senso di ritenere la fattispecie quale appalto di servizi e non quale
concessione.
30
Il meccanismo di contribuzione oggetto della pronuncia sopra citata risulta in
un certo qual modo analogo a quanto accade nel settore del servizio idrico integrato,
nel quale la tariffa sicuramente copre i costi.
5. Regime transitorio e sorte delle convenzioni già stipulate, con particolare riguardo alle società quotate
L’art. 23 bis disciplinava il regime transitorio al comma 8, prevedendo che
“Il regime transitorio degli affidamenti non conformi a quanto stabilito ai commi 2 e 3
è il seguente:
a) le gestioni in essere alla data del 22 agosto 2008 affidate conformemente ai
principi comunitari in materia di cosiddetta “in house” cessano, improrogabilmente e
senza necessità di deliberazione da parte dell'ente affidante, alla data del 31 dicembre
2011. Esse cessano alla scadenza prevista dal contratto di servizio a condizione che
entro il 31 dicembre 2011 le amministrazioni cedano almeno il 40 per cento del
capitale attraverso le modalità di cui alla lettera b) del comma 2;
b) le gestioni affidate direttamente a società a partecipazione mista
pubblica e privata, qualora la selezione del socio sia avvenuta mediante procedure
competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera a) del
comma 2, le quali non abbiano avuto ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e
l'attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio, cessano,
improrogabilmente e senza necessità di apposita deliberazione dell'ente affidante, alla
data del 31 dicembre 2011;
c) le gestioni affidate direttamente a società a partecipazione mista pubblica
e privata, qualora la selezione del socio sia avvenuta mediante procedure competitive
ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera a) del comma 2, le
quali abbiano avuto ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e l'attribuzione dei
compiti operativi connessi alla gestione del servizio, cessano alla scadenza prevista
31
nel contratto di servizio;
d) gli affidamenti diretti assentiti alla data del 1° ottobre 2003 a società a
partecipazione pubblica già quotate in borsa a tale data e a quelle da esse controllate
ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile, cessano alla scadenza prevista nel
contratto di servizio, a condizione che la partecipazione pubblica si riduca anche
progressivamente, attraverso procedure ad evidenza pubblica ovvero forme di
collocamento privato presso investitori qualificati e operatori industriali, ad una
quota non superiore al 40 per cento entro il 30 giugno 2013 e non superiore al 30 per
cento entro il 31 dicembre 2015; ove siffatte condizioni non si verifichino, gli
affidamenti cessano improrogabilmente e senza necessità di apposita deliberazione
dell’ente affidante, rispettivamente, alla data del 30 giugno 2013 o del 31 dicembre
2015;
e) le gestioni affidate che non rientrano nei casi di cui alle lettere da a) a d)
cessano comunque entro e non oltre la data del 31 dicembre 2010, senza necessità di
apposita deliberazione dell'ente affidante”
Come accennato sopra, l’effetto abrogativo dell’art. 23 bis ad esito del
referendum popolare del giugno scorso si è realizzato con decorrenza dal 21 luglio
2011, a seguito della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del Decreto del Presidente
della Repubblica 18 luglio 2011 n. 113.
Al riguardo, è importante evidenziare che detta abrogazione ha effetto ex
nunc, di talchè risultano salvaguardati gli effetti della sua applicazione prodotti fino a
quel momento.
Le disposizioni dell’art. 23 bis che non hanno ancora avuto applicazione in
quanto la loro efficacia era postergata a momenti successivi (quali ad esempio
l’anticipata cessazione degli affidamenti assentiti a società in house – prevista al
31dicembre 2011- o la riduzione della partecipazione detenuta da enti locali in società
quotate, prevista in due fasi al 30 giugno 2013 ed al 31 dicembre 2015) non saranno
più applicabili posteriormente alla sua abrogazione.
In buona sostanza, l’art. 23 bis non è venuto meno fin dall’origine ma solo
32
dopo il referendum abrogativo, con la conseguenza che tutti gli effetti già prodotti
dall’art. 23 bis fino alla sua abrogazione sono validi ed efficaci.
Tra questi effetti vi è anche l’abrogazione dell’art. 113, comma 15 bis del
D.lgs. n. 267/2000, il quale aveva previsto che “Nel caso in cui le disposizioni previste
per i singoli settori non stabiliscano un congruo periodo di transizione, ai fini
dell'attuazione delle disposizioni previste nel presente articolo, le concessioni
rilasciate con procedure diverse dall'evidenza pubblica cessano comunque entro e non
oltre la data del 31 dicembre 2006, relativamente al solo servizio idrico integrato al
31 dicembre 2007, senza necessità di apposita deliberazione dell'ente affidante. Sono
escluse dalla cessazione le concessioni affidate a società a capitale misto pubblico
privato nelle quali il socio privato sia stato scelto mediante procedure ad evidenza
pubblica che abbiano dato garanzia di rispetto delle norme interne e comunitarie in
materia di concorrenza, nonché quelle affidate a società a capitale interamente
pubblico a condizione che gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla
società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società
realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che
la controllano. Sono altresì escluse dalla cessazione le concessioni affidate alla data
del 1° ottobre 2003 a società già quotate in borsa e a quelle da esse direttamente
partecipate a tale data a condizione che siano concessionarie esclusive del servizio,
nonché a società originariamente a capitale interamente pubblico che entro la stessa
data abbiano provveduto a collocare sul mercato quote di capitale attraverso
procedure ad evidenza pubblica, ma, in entrambe le ipotesi indicate, le concessioni
cessano comunque allo spirare del termine equivalente a quello della durata media
delle concessioni aggiudicate nello stesso settore a seguito di procedure di evidenza
pubblica, salva la possibilità di determinare caso per caso la cessazione in una data
successiva qualora la stessa risulti proporzionata ai tempi di recupero di particolari
investimenti effettuati da parte del gestore”.
Il citato art. 113, comma 15 bis è stato abrogato con decorrenza dal 25
giugno 2008, siccome precisato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 325/2010.
33
Sotto il profilo in esame, appare importante osservare che la Corte
Costituzionale non aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 113, comma
15 bis, ma si era semplicemente limitata a dare atto che esso è stato abrogato dall’art.
23 bis.
Anzi il Giudice delle leggi si è espresso in senso contrario, in quanto ha
dichiarato costituzionalmente legittimo l’art. 23 bis, comma 8, nella versione vigente
che era pressoché identica all’art. 113, comma 15 bis.
Ora, come detto, a seguito della consultazione referendaria l’art. 23 bis è
stato abrogato, con effetti peraltro ex nunc e cioè da quando sono stati pubblicati sulla
G.U. gli esiti referendari.
Si ritiene pertanto che la doppia abrogazione, prima dell’art. 113 comma 15
bis (dal 22 agosto 2008) e poi dell’art. 23 bis (dal 21 luglio 2011) non possa aver alcun
impatto sugli affidamenti in corso del servizio idrico integrato a società quotate ed alle
loro controllate (ovviamente a condizione che rispettassero i requisiti previsti dalle
suddette norme) in quanto entrambe avevano ed hanno già esplicato il loro effetto di
“sanatoria” nel momento in cui sono state abrogate.
Occorre infatti rilevare che già in passato il Consiglio di Stato aveva
inquadrato la disposizione di cui all’art. 113, comma 15 bis quale una norma di
“sanatoria”: con la sentenza della Sez. V del 19 febbraio 2004, n. 679, commentando
l’art. 113 comma 15 bis, aveva espressamente affermato che: “Si tratta, al di la di ogni
ragionevole dubbio, di una norma di salvezza destinata a conferire legittimità a
provvedimenti posti in essere sotto il vigore di una diversa disciplina. Ne consegue che
appare irrilevante, nella specie, l'approfondimento circa la fondatezza dei motivi di
appello, posto che l'efficacia retroattiva della richiamata normativa obbligherebbe
comunque all'accoglimento del gravame”.
Ciò vale analogamente per l’art. 23 bis che deve essere qualificato come una
norma non solo transitoria ma anche e soprattutto di salvezza (rectius: tutela
dell’affidamento) con specifico riguardo alle società quotate e società da questa
controllate.
È, pertanto, da ritenere che restino validi gli affidamenti fatti salvi non solo
34
in vigenza dell’art. 113 comma 15 bis del D.lgs. n. 267/2000 fino all’abrogazione delle
disposizioni in esso contenute, bensì anche quelli fatti salvi in vigenza dell’art. 23 bis,
fino alla sua abrogazione a seguito dell’esito del referendum.
In conclusione, gli affidamenti dei servizi pubblici conformi alle disposizioni
di legge vigenti al momento in cui sono stati assentiti risultano salvaguardati fino alla
loro naturale scadenza contrattuale, essendo venute meno (a seguito dell’abrogazione
dell’art. 23 bis) le disposizioni che prevedevano la loro anticipata cessazione in caso
non risultassero in linea con le più stringenti disposizioni previste dal medesimo art.
23bis.
Un’ultima importante problematica nell’ambito del regime transitorio
riguarda, come accennato sopra, la questione della tariffa del servizio idrico integrato.
Più precisamente, occorre verificare se l’abrogazione della voce
dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito ad opera del recente
referendum abrogativo possa incidere immediatamente sul regime tariffario.
A mio avviso la risposta deve essere negativa, e ciò sotto diversi profili.
Come accennato sopra, a tutt’oggi non è ancora stato emanato il decreto
ministeriale di attuazione dell’art. 154.
L’art. 170, che appunto prevede la sopravvivenza del metodo normalizzato
del 1996 fino a che non sarà emanato il nuovo decreto, non è stato toccato
dall’abrogazione del referendum.
Conseguentemente è corretto ritenere che finchè non sarà emanato il decreto
di cui sopra, gli ATO dovranno consentire ai gestori di continuare ad applicare le
tariffe vigenti, calcolate sulla base del metodo normalizzato.
D’altra parte lo stesso comma 5 dell’art. 154 prevede che la tariffa è
applicata dai soggetti gestori nel rispetto della convenzione e del disciplinare, di talchè
è ad essi che bisogna fare riferimento per individuare, allo stato, la disciplina in
materia di tariffe.
Questo riferimento alla convenzione e al disciplinare è importante in quanto
è possibile sostenere che, proprio in ossequio a quanto previsto dall’art. 154, tutte le
35
convenzioni stipulate prima della sua abrogazione non saranno colpite dagli effetti
soppressivi, analogamente a quanto successo per il canone concessorio disciplinato
dall’art. 153 del T.U. Ambiente.
Tale norma, operativa dall’aprile del 2006, ha, come è noto, introdotto il
concetto di gratuità del canone concessorio, che era invece prima oneroso.
La Corte Costituzionale, interessata dalla questione, con la sentenza n. 246
del 24 luglio 2009, ha statuito che la disposizione in questione trova applicazione solo
per le convenzioni stipulate dopo l’entrata in vigore della norma.
Tali principi sono applicabili al caso di specie e, quindi, il calcolo della
tariffa secondo le nuove modalità dovrebbe riguardare solo le concessioni stipulate
dopo l’abrogazione della norma stessa.
E’ altresì evidente che un concessionario che abbia partecipato a una gara o
comunque conseguito il servizio e stipulato il relativo contratto, ha tenuto conto di un
certo corrispettivo, ed è chiaro che la modifica della tariffa andrebbe ad incidere
sull’assetto negoziale, così come era stato accettato e pattuito.
Il diritto al mantenimento della tariffa preventivamente concordata non nasce
solo dalla pregressa pattuizione che ha ovviamente quantificato un certo corrispettivo
contrattuale, ma anche dai principi, immanenti dell’ordinamento, che mirano a tutelare
l’affidamento di posizioni maturate anche in osservanza del principio tempus regit
actum.
Bisogna, poi, ricordare che il principio della tutela dell’affidamento non
appartiene solo al nostro ordinamento interno, ma è espressione di un principio a
livello comunitario, costantemente affermato da numerose sentenze della Corte di
Giustizia UE.
Ma al di là di questa verifica per le posizioni già maturate, va peraltro
osservato che anche per le concessioni future il legislatore, nonostante l’esito
referendario, non potrà prescindere dal ricomprendere nella tariffa la remunerazione
del capitale investito.
36
A tal riguardo occorre ora operare una ricognizione di tutte le norme sia a
livello comunitario, sia facenti parte dell’ordinamento nazionale che prevedono e
disciplinano siffatto principio.
In primo luogo, occorre richiamare l’art. 117 del TUEL il quale testualmente
prevede:
“1. Gli enti interessati approvano le tariffe dei servizi pubblici in misura tale da
assicurare l’equilibrio economico-finanziario dell’investimento e della connessa
gestione. I criteri per il calcolo della tariffa relativa ai servizi stessi sono i seguenti:
a) la corrispondenza tra costi e ricavi in modo da assicurare la integrale
copertura dei costi, ivi compresi gli oneri di ammortamento tecnico-
finanziario;
b) l’equilibrato rapporto tra i finanziamenti raccolti ed il capitale investito;
c) l’entità dei costi di gestione delle opere, tenendo conto anche degli investimenti
e della qualità del servizio;
d) l’adeguatezza della remunerazione del capitale investito, coerente con le
prevalenti condizioni di mercato.
2. La tariffa costituisce il corrispettivo dei servizi pubblici; essa è determinata e
adeguata ogni anno dai soggetti proprietari, attraverso contratti di programma di
durata poliennale, nel rispetto del disciplinare e dello statuto conseguenti ai modelli
organizzativi prescelti.
3. Qualora i servizi siano gestiti da soggetti diversi dall’ente pubblico per effetto di
particolari convenzioni e concessioni dell’ente o per effetto del modello organizzativo
di società mista, la tariffa è riscossa dal soggetto che gestisce i servizi pubblici.”
Come si vede, uno dei criteri da osservare per il calcolo della tariffa, è
l’adeguatezza della remunerazione del capitale investito.
E’ evidente, pertanto, che si potrebbe porre una netta disparità di trattamento
tra la disposizione per la tariffa del servizio idrico integrato come scaturente a partire
dall’art. 154 e la tariffa prevista per tutti gli altri servizi pubblici.
Addirittura si potrebbe profilare a tal riguardo un eventuale giudizio avanti la
Corte Costituzionale volto ad accertare l’illogicità di siffatta disparità di trattamento.
37
Sempre nell’ambito della normativa interna si può ricordare l’art. 30 del
Codice dei Contratti – norma fra l’altro ritenuta ora applicabile, come visto, in materia
di affidamento del servizio idrico integrato dopo l’abrogazione del 23 bis - la quale
espressamente prevede al comma 2: “Nella concessione di servizi la controprestazione
a favore del concessionario consiste unicamente nel diritto di gestire funzionalmente e
di sfruttare economicamente il servizio. Il soggetto concedente stabilisce in sede di
gara anche un prezzo, qualora al concessionario venga imposto di praticare nei
confronti degli utenti prezzi inferiori a quelli corrispondenti alla somma del costo del
servizio e dell’ordinario utile di impresa, ovvero qualora sia necessario assicurare al
concessionario il perseguimento dell’equilibrio economico-finanziario degli
investimenti e della connessa gestione in relazione alla qualità del servizio da
prestare.”.
Come si evince chiaramente da tale norma, al concessionario deve essere
sempre garantito l’utile di impresa, di talchè nell’ipotesi che egli debba praticare agli
utenti tariffe che non tengano conto di detto utile il soggetto concedente deve
corrispondergli necessariamente un prezzo.
Altra disposizione volta ad assicurare l’equilibrio economico-finanziario e,
quindi, un necessario utile d’impresa è l’art. 143 del Codice dei Contratti che
disciplina la concessione di lavori pubblici.
Essa prevede al comma 4 che: “Tuttavia, il soggetto concedente stabilisce in
sede di gara anche un prezzo, qualora al concessionario venga imposto di praticare
nei confronti degli utenti prezzi inferiori a quelli corrispondenti alla remunerazione
degli investimenti e alla somma del costo del servizio e dell’ordinario utile di impresa,
ovvero qualora sia necessario assicurare al concessionario il perseguimento
dell’equilibrio economico - finanziario degli investimenti e della connessa gestione in
relazione alla qualità del servizio da prestare.
Nella determinazione del prezzo si tiene conto della eventuale prestazione di
beni e servizi da parte del concessionario allo stesso soggetto aggiudicatore,
relativamente all’opera concessa, secondo le previsioni del bando di gara.”
38
Parimenti importante è la disposizione contenuta nel successivo comma 8
che recita testualmente: “La stazione appaltante, al fine di assicurare il perseguimento
dell’equilibrio economico - finanziario degli investimenti del concessionario, può
stabilire che la concessione abbia una durata superiore a trenta anni, tenendo conto
del rendimento della concessione, della percentuale del prezzo di cui ai commi 4 e 5
rispetto all’importo totale dei lavori, e dei rischi connessi alle modifiche delle
condizioni di mercato. I presupposti e le condizioni di base che determinano
l’equilibrio economico - finanziario degli investimenti e della connessa gestione, da
richiamare nelle premesse del contratto, ne costituiscono parte integrante. Le
variazioni apportate dalla stazione appaltante a detti presupposti o condizioni di base,
nonché le norme legislative e regolamentari che stabiliscano nuovi meccanismi
tariffari o nuove condizioni per l’esercizio delle attività previste nella concessione,
quando determinano una modifica dell’equilibrio del piano, comportano la sua
necessaria revisione, da attuare mediante rideterminazione delle nuove condizioni di
equilibrio, anche tramite la proroga del termine di scadenza delle concessioni. In
mancanza della predetta revisione il concessionario può recedere dal contratto. Nel
caso in cui le variazioni apportate o le nuove condizioni introdotte risultino più
favorevoli delle precedenti per il concessionario, la revisione del piano dovrà essere
effettuata a favore del concedente.”
Le due disposizioni sopra riportate sono assai importanti sia per le future
convenzioni, in quanto impongono che al concessionario sia garantito l’utile di
impresa anche quando deve praticare delle tariffe che non lo ricomprende, sia per le
convenzioni in essere, in quanto prevedono l’obbligo per la Stazione Appaltante di
garantire per tutta la durata del rapporto l’equilibrio economico finanziario, soprattutto
allorquando vi siano delle modifiche alle condizioni di base derivanti da nuovi
meccanismi tariffari.
Un ulteriore principio a sostegno di quanto sopra si rinviene, a livello
comunitario, nella risoluzione del Parlamento Europeo n. 2043 del 2006 che al punto
29 prevede che “ritiene che le concessioni debbano avere una durata limitata, che
dipende tuttavia dalla durata di ammortamento dell’investimento privato, affinché i
39
candidati non siano esclusi troppo a lungo dalla concorrenza; ritiene che la durata
delle relazioni di partenariato debba essere definita in maniera tale che la libera
concorrenza sia in linea di massima limitata solo se necessario per garantire
l’ammortamento degli investimenti, una remunerazione appropriata del capitale
investito e il rifinanziamento di futuri investimenti”.
Occorre, infine, menzionare una rilevante novità in materia di tariffe,
introdotta dal cosiddetto D.L. “Sviluppo” (D.L. n. 70/2011).
Ci si riferisce, in particolare, all’art. 10, commi 11 e ss. del D.L. predetto, con
i quali, come accennato sopra, è stata istituita l’Agenzia Nazionale di Vigilanza sulle
Risorse Idriche.
Tale Agenzia è una vera e propria Authority, in quanto è un soggetto
giuridico distinto ed è funzionalmente indipendente dal Governo.
All’Agenzia sono state attribuite molteplici funzioni e competenze, alcune
sicuramente nuove e altre già spettanti alla Commissione Nazionale di Vigilanza
sull’uso delle Risorse Idriche.
Ma vediamo quali sono queste nuove funzioni attribuite all’Agenzia, per
quanto qui ci interessa.
Ci si riferisce in particolare alle competenze descritte alle lett. c), d), e), f),
g), h) le quali stabiliscono:
“c) definisce le componenti di costo per la determinazione della tariffa relativa ai
servizi idrici per i vari settori di impiego dell’acqua, anche in proporzione al grado di
inquinamento ambientale derivante dai diversi tipi e settori di impiego e ai costi
conseguenti a carico della collettività;
d) predispone il metodo tariffario per la determinazione, con riguardo a ciascuna
delle quote in cui tale corrispettivo si articola, della tariffa del servizio idrico
integrato, sulla base della valutazione dei costi e dei benefici dell’utilizzo delle risorse
idriche e tenendo conto, in conformità ai principi sanciti dalla normativa comunitaria,
sia del costo finanziario della fornitura del servizio che dei relativi costi ambientali e
delle risorse, affinché siano pienamente attuati i principi del recupero dei costi ed il
40
principio “chi inquina paga”, e con esclusione di ogni onere derivante dal
funzionamento dell’Agenzia; fissa, altresì, le relative modalità di revisione periodica,
vigilando sull’applicazione delle tariffe, e, nel caso di inutile decorso dei termini
previsti dalla legge per l’adozione degli atti di definizione della tariffa da parte delle
autorità al riguardo competenti, come individuate dalla legislazione regionale in
conformità a linee guida approvate con decreto del Ministro dell’ambiente e della
tutela del territorio e del mare previa intesa con la Conferenza unificata, provvede
nell’esercizio del potere sostitutivo, su istanza delle amministrazioni o delle parti
interessate, entro sessanta giorni, previa diffida all’autorità competente ad adempiere
entro il termine di venti giorni;
e) approva le tariffe predisposte dalle autorità competenti
f) verifica la corretta redazione del piano d’ambito, esprimendo osservazioni, rilievi e
impartendo, a pena d’inefficacia, prescrizioni sugli elementi tecnici ed economici e
sulla necessità di modificare le clausole contrattuali e gli atti che regolano il rapporto
tra le Autorità d’ambito territoriale ottimale e i gestori del servizio idrico integrato;
g) emana direttive per la trasparenza della contabilità delle gestioni e valuta i costi
delle singole prestazioni, definendo indici di valutazione anche su base comparativa
della efficienza e della economicità delle gestioni a fronte dei servizi resi”.
Come è possibile constatare dalla lettura delle disposizioni sopra riportate, si
tratta di una revisione completa della disciplina in materia di tariffe, sia in ordine alle
competenze, sia in ordine al contenuto della tariffa stessa.
Si può dunque ritenere che tale nuova disciplina sia sostitutiva e
incompatibile con quella prevista dall’art. 154 del Dlgs 152/06.
D’altra parte, contrariamente a quanto previsto dall’art. 154, il nuovo metodo
tariffario è di competenza dell’Agenzia e non del Ministero dell’ Ambiente.
Lo stesso art. 10, comma 14, lett. d), che menziona tutte le voci della tariffa,
non richiama l’art. 154 ed il suo contenuto è parzialmente diverso da quello previsto
nell’art. 154 stesso.
41
Si rileva poi, a tal fine, che le norme contenute nel D.lgs n. 152/2006 non
sono più, come erano nell’originaria impostazione del Decreto, “norme rafforzate” e
cioè norme per la cui abrogazione era necessaria una abrogazione espressa.
Per effetto della L. n. 128/2010, a partire dal giugno 2010, è stata abrogata la
norma del D.lgs. 152/2006 (art. 3) che prevedeva tale portata “rafforzata” delle proprie
norme, con la conseguenza che da tale data è possibile procedere anche ad una
abrogazione implicita, ovvero ad una abrogazione per effetto di norme che prevedano
una disciplina incompatibile con quella contenuta nel Codice dell’ambiente ovvero una
normativa che ri-disciplini in modo differente una determinata materia.
Questo è proprio il caso della disciplina sopra riportata, contenuta nell’art. 10
del D.L. Sviluppo, che, come visto, ridisciplina, tra l’altro, la materia tariffaria in
maniera differente rispetto all’art. 154 del D.lgs. n. 152/2006, che si può dunque
ritenere essere stato implicitamente abrogato.
In tale situazione, pertanto, considerando che:
- l’art. 170 del D.lgs. n. 152/2006, e cioè la norma che prevedeva la perdurante
vigenza del metodo normalizzato non è stata abrogata;
- che l’art. 154 del decreto medesimo non è più attuabile, posto che la nuova
norma sul Decreto Sviluppo prevede una nuova competenza in tal senso
attribuita all’Agenzia, con le modalità ed i contenuti previsti nello stesso
comma 14, che come si è detto è implicitamente abrogativo delle disposizioni
contenute nell’art. 154,
allora appare evidente che le convenzioni attualmente vigenti non possono
venire incise quantomeno fino a che le nuove norme non riceveranno attuazione, a
cominciare dalla istituzione dell’Agenzia, né potranno essere modificate le tariffe
attualmente vigenti.
E ciò considerato che in base alle nuove norme, sarà competenza della nuova
Agenzia elaborare il modello delle nuove tariffe e l’ATO (o l’organismo che verrà
individuato e deputato a svolgerne le funzioni) dovrà sottoporre ad essa le tariffe che
predisporrà in osservanza del modello di cui sopra, ed altresì sarà sempre la nuova
Agenzia a proporre le eventuali modifiche alle convenzioni esistenti.
42