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!! LE REGOLE PER L AFFIDAMENTO E LA GESTIONE NEL ... · di servizio pubblico, l'atto di concessione...

Date post: 16-Feb-2019
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LE REGOLE PER LAFFIDAMENTO E LA GESTIONE NEL SETTORE DELLACQUA ED IL SERVIZIO IDRICO INTEGRATO (Avv. Daniela Anselmi) Milano, 10/12 ottobre 2011 1. Esclusione dall’applicazione della nuova normativa in materia di servizi pubblici locali con l’eccezione delle disposizioni in materia di incompatibilità Come è noto, a seguito del referendum del 12-13 giugno 2011 è stata sancita l'abrogazione dell'art. 23-bis del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, recante “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria”, nel testo risultante a seguito della sentenza n. 325 del 2010 della Corte costituzionale. L’effetto abrogativo si è realizzato con decorrenza dal 21 luglio 2011, a seguito della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del Decreto del Presidente della Repubblica 18 luglio 2011 n. 113. Come già rilevato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 24/2011 (con la quale era stata dichiarata ammissibile la richiesta di referendum), dall'abrogazione dell'art. 23-bis sopra menzionato non avrebbe potuto conseguire alcuna reviviscenza delle norme abrogate da tale articolo (quali le norme dell’art. 113 del D.lgs 267/2000, come puntualmente individuate dal DPR 18 agosto 2010 n. 168). Dall’abrogazione della norma de qua si sarebbe determinato, quindi, un vuoto nella disciplina nazionale, che sarebbe colmato dalla normativa comunitaria in materia di affidamento dei servizi pubblici di rilevanza economica e dalla giurisprudenza sviluppata nel tempo dalla Corte di Giustizia e dagli organi di giustizia amministrativa interni. L’abrogazione dell’art. 23-bis ha determinato altresì l’abrogazione del Regolamento attuativo approvato in attuazione della delega contenuta nel comma 10 dello stesso art. 23 bis (D.P.R. n. 168/2010). 1
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LE  REGOLE  PER  L’AFFIDAMENTO  E  LA  GESTIONE  NEL          SETTORE  DELL’ACQUA  ED  IL  SERVIZIO  IDRICO  INTEGRATO    

(Avv. Daniela Anselmi)

Milano, 10/12 ottobre 2011

1.  Esclusione  dall’applicazione  della  nuova  normativa  in  materia  di  servizi  

pubblici  locali  con  l’eccezione  delle  disposizioni  in  materia  di  incompatibilità

Come è noto, a seguito del referendum del 12-13 giugno 2011 è stata sancita

l'abrogazione dell'art. 23-bis del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, recante “Disposizioni

urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la

stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria”, nel testo risultante

a seguito della sentenza n. 325 del 2010 della Corte costituzionale.

L’effetto abrogativo si è realizzato con decorrenza dal 21 luglio 2011, a

seguito della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del Decreto del Presidente della

Repubblica 18 luglio 2011 n. 113.

Come già rilevato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 24/2011 (con

la quale era stata dichiarata ammissibile la richiesta di referendum), dall'abrogazione

dell'art. 23-bis sopra menzionato non avrebbe potuto conseguire alcuna reviviscenza

delle norme abrogate da tale articolo (quali le norme dell’art. 113 del D.lgs 267/2000,

come puntualmente individuate dal DPR 18 agosto 2010 n. 168).

Dall’abrogazione della norma de qua si sarebbe determinato, quindi, un vuoto

nella disciplina nazionale, che sarebbe colmato dalla normativa comunitaria in materia

di affidamento dei servizi pubblici di rilevanza economica e dalla giurisprudenza

sviluppata nel tempo dalla Corte di Giustizia e dagli organi di giustizia amministrativa

interni.

L’abrogazione dell’art. 23-bis ha determinato altresì l’abrogazione del

Regolamento attuativo approvato in attuazione della delega contenuta nel comma 10

dello stesso art. 23 bis (D.P.R. n. 168/2010).

1

A seguito del citato referendum, è stato poi emanato il D.L. 138/2011,

convertito nella legge n. 148/2011, il cui art. 4 ("Adeguamento della disciplina dei

servizi pubblici locali al referendum popolare e alla normativa dell'unione europea"),

ha colmato – almeno in parte - il predetto vuoto normativo ed ha così ripristinato nel

nostro ordinamento nazionale una disciplina organica in materia.

È appena il caso di osservare che tale disposizione in realtà ripropone, con

poche varianti, la precedente disciplina abrogata dal referendum.

Siccome previsto dal comma 34 del citato art. 4, sono peraltro esclusi

dall’applicazione della disposizione de qua il servizio idrico integrato (ad eccezione di

quanto previsto dai commi da 19 a 27), il servizio di distribuzione del gas naturale

(D.lgs. n. 164/2000), il servizio di distribuzione di energia elettrica (D.lgs. n. 79/1999

e legge n. 239/2004), il servizio di trasporto ferroviario regionale (D.lgs. n. 422/1997)

nonché la gestione delle farmacie comunali (legge n. 475/1968).

Venendo ora più specificamente all’oggetto del presente contributo, come

visto poc’anzi, il comma 34 dell’art. 4 del D.L. n. 138/2011 sottrae il servizio idrico

integrato dalla disciplina in esso contenuta e ciò, affermano i commentatori della

novella legislativa, al fine di rispettare la volontà popolare espressa nel referendum

dello scorso giugno.

Dell’art. 4 troveranno applicazione nei riguardi del servizio idrico integrato

soltanto le disposizioni in tema di incompatibilità (commi da 19 a 27).

Tali norme sono tese ad evitare, da un lato, che possano avere luogo doppi

incarichi, con l’evidente fine di tagliare i costi della politica, e, da un altro, che si

verifichino fenomeni per così dire di “casta”.

Si tratta delle disposizioni già contenute nell’articolo 8 dell’abrogato D.P.R. n.

168/2010, rubricato Distinzione tra funzioni di regolazione e funzioni di gestione, cui è

stata aggiunta la previsione contenuta nel comma 26 dell’articolo 4 in esame.

In particolare, viene riproposto il divieto per gli amministratori, i dirigenti e i

responsabili degli uffici o dei servizi dell’ente locale, nonché degli altri organismi che

espletano funzioni di stazione appaltante, di regolazione, di indirizzo e di controllo di

2

servizi pubblici locali, di svolgere incarichi inerenti la gestione dei servizi affidati da

parte dei medesimi soggetti.

Il divieto si applica anche nel caso in cui le dette funzioni sono state svolte nei

tre anni precedenti il conferimento dell’incarico inerente la gestione dei servizi

pubblici locali.

Parimenti, al fine di evitare affidamenti di incarichi dettati da sole ragioni di

appartenenza familiare, è stato opportunamente confermato che il divieto che riguarda

amministratori, dirigenti e responsabili di uffici o servizi si estenda anche nei confronti

del coniuge, dei parenti e degli affini entro il quarto grado dei soggetti indicati allo

stesso comma, nonché nei confronti di coloro che prestano, o hanno prestato nel

triennio precedente, a qualsiasi titolo attività di consulenza o collaborazione in favore

degli enti locali o dei soggetti che hanno affidato la gestione del servizio pubblico

locale.

Con particolare riferimento ai componenti la commissione prevista dal comma

11, lettera e), dell’articolo 4, sono state dettate una serie di disposizioni contenute nei

commi 22-24.

In particolare, viene imposto ai componenti della commissione di gara per

l’affidamento della gestione di servizi pubblici locali di non aver svolto né svolgere

alcun’altra funzione o incarico tecnico o amministrativo relativamente alla gestione del

servizio di cui si tratta.

In più, coloro che hanno rivestito, nel biennio precedente, la carica di

amministratore locale, di cui al comma 21, non possono essere nominati componenti

della commissione di gara relativamente a servizi pubblici locali da affidare da parte

del medesimo ente locale.

Ancora, sono esclusi da successivi incarichi di commissario coloro che, in

qualità di componenti di commissioni di gara, abbiano concorso, con dolo o colpa

grave accertati in sede giurisdizionale con sentenza non sospesa, all’approvazione di

atti dichiarati illegittimi.

Si prevede poi l’applicazione ai componenti delle commissioni di gara delle

cause di astensione previste dall’art. 51 c.p.c.

3

Infine, viene previsto che nell’ipotesi in cui alla gara concorre una società

partecipata dall’ente locale che la indice i componenti della commissione di gara non

possono essere né dipendenti né amministratori dell’ente locale stesso.

Quanto all’applicabilità delle norme in esame, in base a quanto previsto dal

comma 27, “le incompatibilità e i divieti di cui ai commi dal 19 al 26 si applicano alle

nomine e agli incarichi da conferire successivamente alla data di entrata in vigore del

presente decreto”.

2.  Individuazione  delle  norme  applicabili  al  servizio  idrico  integrato  anche  alla  

luce  di  quanto  statuito  dalla  Corte  costituzionale

Come accennato sopra, la nuova normativa in materia di servizi pubblici (art.

4 del D.L. 138/2011, convertito nella legge n. 148/2011) non è applicabile al servizio

idrico integrato.

Non solo.

Come già detto, l’abrogazione dell’art. 23 bis del D.L. n. 112/2008 in esito al

referendum del 12-13 giugno 2011 non ha determinato la riviviscenza delle norme

abrogate dal medesimo articolo (quali le norme dell’art. 113 del D.lgs 267/2000, come

puntualmente individuate dal DPR 18 agosto 2010 n. 168).

Siccome precisato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 24/2011 sopra

menzionata “nel caso in esame, all’abrogazione dell’art. 23-bis, da un lato, non

conseguirebbe alcuna reviviscenza delle norme abrogate da tale articolo

(reviviscenza, del resto, costantemente esclusa in simili ipotesi sia dalla

giurisprudenza di questa Corte − sentenze n. 31 del 2000 e n. 40 del 1997 –, sia da

quella della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato); dall’altro, conseguirebbe

l’applicazione immediata nell’ordinamento italiano della normativa comunitaria

(come si è visto, meno restrittiva rispetto a quella oggetto di referendum) relativa alle

4

regole concorrenziali minime in tema di gara ad evidenza pubblica per l’affidamento

della gestione di servizi pubblici di rilevanza economica”.

Dall’abrogazione della norma de qua ne è conseguito, quindi, (limitatamente

al servizio idrico integrato perché per gli altri servizi è intervenuto l’art. 4 della legge

n. 148/2011) un vuoto nella disciplina nazionale, che sarebbe colmato dalla normativa

comunitaria in materia di affidamento dei servizi pubblici di rilevanza economica e

dalla giurisprudenza sviluppata nel tempo dalla Corte di Giustizia e dagli organi di

giustizia amministrativa interni.

Con specifico riguardo al servizio idrico, detto vuoto è determinato anche

dalla circostanza che l’art. 150 del D.lgs. n. 152/2006 richiama a sua volta, come ha

rilevato anche la Consulta, l’art. 23 bis ed il regolamento.

Con riguardo a tale settore, dunque, si dovrebbe ricorrere, a questo punto,

come già detto, alla normativa comunitaria, anche se, come noto, non esiste ancora una

direttiva sulle concessioni di servizi.

Occorrerà pertanto fare riferimento, innanzitutto, all’art. 30 del D.lgs. n.

163/2006, alle Comunicazioni interpretative della Commissione delle Comunità

Europee del 12 aprile 2000 e del 5 febbraio 2008, nonché ai principi affermati dalla

Corte di giustizia.

L’art. 30 del D.lgs. n. 163/2006, rubricato “Concessione di servizi”, dopo aver

precisato, al primo comma, che, salvo quanto disposto nel presente articolo, le

disposizioni del codice non si applicano alle concessioni di servizi, dispone che: “2.

Nella concessione di servizi la controprestazione a favore del concessionario consiste

unicamente nel diritto di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente il

servizio. Il soggetto concedente stabilisce in sede di gara anche un prezzo, qualora al

concessionario venga imposto di praticare nei confronti degli utenti prezzi inferiori a

quelli corrispondenti alla somma del costo del servizio e dell’ordinario utile di

impresa, ovvero qualora sia necessario assicurare al concessionario il perseguimento

5

dell’equilibrio economico - finanziario degli investimenti e della connessa gestione in

relazione alla qualità del servizio da prestare.

3. La scelta del concessionario deve avvenire nel rispetto dei principi desumibili dal

Trattato e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei

principi di trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di

trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità, previa gara informale a cui sono

invitati almeno cinque concorrenti, se sussistono in tale numero soggetti qualificati in

relazione all’oggetto della concessione, e con predeterminazione dei criteri selettivi.

4. Sono fatte salve discipline specifiche che prevedono forme più ampie di tutela della

concorrenza.

5. Restano ferme, purché conformi ai principi dell’ordinamento comunitario le

discipline specifiche che prevedono, in luogo delle concessione di servizi a terzi,

l’affidamento di servizi a soggetti che sono a loro volta amministrazioni

aggiudicatrici.

6. Se un'amministrazione aggiudicatrice concede ad un soggetto che non è

un’amministrazione aggiudicatrice diritti speciali o esclusivi di esercitare un'attività

di servizio pubblico, l'atto di concessione prevede che, per gli appalti di forniture

conclusi con terzi nell'ambito di tale attività, detto soggetto rispetti il principio di non

discriminazione in base alla nazionalità.

7. Si applicano le disposizioni della parte IV. Si applica, inoltre, in quanto compatibile

l’articolo 143, comma 7”.

La Comunicazione interpretativa del 12 aprile 2000 precisa, da un lato, le

norme e i principi del trattato che si applicano a tutte le forme di concessione e,

dall’altro, le norme particolari previste dalla direttiva 93/37/CE sugli appalti pubblici

di lavori per le concessioni di lavori pubblici.

La Comunicazione interpretativa del 5 febbraio 2008, poi, illustra quelle che,

secondo la Commissione, devono essere le modalità d applicazione delle disposizioni

6

comunitarie in materia di appalti pubblici e concessioni in caso di costituzione e

gestione di partenariati pubblico-privati istituzionalizzati.

Obiettivo della citata Comunicazione interpretativa è – si legge nella stessa

Comunicazione – accrescere la certezza del diritto e, soprattutto, dare una risposta alle

preoccupazioni espresse da più parti circa l’applicazione del diritto comunitario alla

partecipazione di partner privati nei PPPI, vista da alcuni come un elemento che

rischia di rendere tale formula poco attraente se non addirittura impraticabile.

La Comunicazione precisa, poi, che essa non introduce alcuna nuova

normativa, ma riflette l’interpretazione data dalla Commissione al Trattato, alle

direttive in materia di appalti pubblici e alla giurisprudenza della Corte di Giustizia.

Un’altra disposizione che viene in rilievo è la risoluzione del Parlamento

europeo n. 2006/2043 in cui si prevede che la finalità dei contratti di parternariato

pubblico-privato è quella di far beneficiare gli enti pubblici delle capacità operative

delle imprese private come pure, se necessario, delle loro capacità finanziarie.

Questa stessa risoluzione è importante in quanto “auspica termini transitori

per i contratti in corso conclusi in buona fede a norma della legislazione nazionale,

onde evitare incertezza giuridica”.

In buona sostanza, si tratta di una disposizione che tutela l’affidamento delle

gestioni in essere.

Sempre nella risoluzione in questione il Parlamento europeo raccomanda agli

Stati membri di tutelare gli interessi giuridici e finanziari degli “investitori” per

l’intero periodo di validità del contratto, il che è un’altra disposizione a tutela delle

gestioni in essere.

Con riguardo al ricorso a moduli societari misti, sia la Comunicazione della

Commissione europea al Parlamento e al Consiglio, al Comitato economico e sociale

europeo e al Comitato delle regioni, risalente al 15 novembre 2005, che la Risoluzione

del Parlamento europeo n. 2006/2043 (INI) sopra menzionata concordavano nel

ritenere che le forme di PPP, soprattutto quelle di tipo “istituzionalizzato”, non

costituissero certamente l’anticamera di un processo di privatizzazione delle funzioni

7

pubbliche, quanto, piuttosto, un valido strumento alternativo alla stessa

privatizzazione.

Ciò sta a significare che le società miste, contro le quali soprattutto si sono

abbattuti gli strali dei referendari, non solo appaiono un meccanismo gestionale

legittimo ma addirittura auspicabile in quanto alternativo a criticabili fenomeni di

privatizzazione della funzione pubblica.

Del resto, lo stesso Parlamento europeo con la citata Risoluzione n. 2006/2043

ha mostrato particolare sensibilità nei confronti dello sforzo economico sostenuto dal

privato investitore, coinvolto nella gestione di un servizio di interesse economico

generale, al punto da ritenere opportuno che la durata dell’apporto partecipativo

venisse tarata su un torno di tempo sufficiente a garantire l’ammortamento dei costi,

fermo restando che alla scadenza del rapporto fosse bandita una nuova gara per la

scelta del partner privato al fine di scongiurare il pericolo di stabilizzazione della

posizione del socio “operativo”.

Appare evidente, allora, come, nella vigenza dei principi comunitari,

l’abrogazione dell’articolo 23-bis non centri l’obiettivo che i referendari si erano

proposti proprio con riferimento al settore idrico.

Va, poi, rilevato che non tutte le norme contenute sia nell’art. 113 del D.lgs. n.

267/2000, sia nell’art. 35 della legge n. 448/2001 sono state abrogate dal precedente

art. 23 bis, di talchè occorre individuare quali sono ancora in vigore e se assumono

rilevanza per il servizio idrico integrato.

Per quanto riguarda il D.lgs. n. 267/2000, sono ancora in vigore l’art. 113,

commi 1, 2, 3, 4, 5 ter, 9, 10, 11, 12 e 13, nonché gli artt. 114, 115, 117 e 118, mentre

con riguardo all’art. 35 della legge n. 448/2001 sono ancora in vigore i commi 6, 7, 8,

9, 10, 11, 12, 13 e 14.

Vediamo ora quali di queste disposizioni possono riguardare o comunque

possono assumere una qualche rilevanza per il servizio idrico integrato.

8

Dell’art. 113 del D.lgs. n. 267/2000 possono essere richiamati i commi:

2 : Gli enti locali non possono cedere la proprietà degli impianti, delle reti e

delle altre dotazioni destinati all'esercizio dei servizi pubblici di cui al

comma 1, salvo quanto stabilito dal comma 13

3 : Le discipline di settore stabiliscono i casi nei quali l'attività di gestione

delle reti e degli impianti destinati alla produzione dei servizi pubblici

locali di cui al comma 1 può essere separata da quella di erogazione degli

stessi. È, in ogni caso, garantito l'accesso alle reti a tutti i soggetti

legittimati all'erogazione dei relativi servizi

4 : Qualora sia separata dall'attività di erogazione dei servizi, per la gestione

delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali gli enti locali,

anche in forma associata, si avvalgono: a) di soggetti allo scopo costituiti,

nella forma di società di capitali con la partecipazione totalitaria di capitale

pubblico cui può essere affidata direttamente tale attività, a condizione che

gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un

controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società

realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti

pubblici che la controllano; b) di imprese idonee, da individuare mediante

procedure ad evidenza pubblica, ai sensi del comma 7.

5 ter : In ogni caso in cui la gestione della rete, separata o integrata con

l'erogazione dei servizi, non sia stata affidata con gara ad evidenza

pubblica, i soggetti gestori di cui ai precedenti commi provvedono

all'esecuzione dei lavori comunque connessi alla gestione della rete

esclusivamente mediante contratti di appalto o di concessione di lavori

pubblici, aggiudicati a seguito di procedure di evidenza pubblica, ovvero in

economia nei limiti di cui all'articolo 24 della legge 11 febbraio 1994, n. 109, e

all'articolo 143 del regolamento di cui al decreto del Presidente della

Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554. Qualora la gestione della rete,

separata o integrata con la gestione dei servizi, sia stata affidata con

procedure di gara, il soggetto gestore può realizzare direttamente i lavori

9

connessi alla gestione della rete, purché qualificato ai sensi della normativa

vigente e purché la gara espletata abbia avuto ad oggetto sia la gestione del

servizio relativo alla rete, sia l'esecuzione dei lavori connessi. Qualora,

invece, la gara abbia avuto ad oggetto esclusivamente la gestione del

servizio relativo alla rete, il gestore deve appaltare i lavori a terzi con le

procedure ad evidenza pubblica previste dalla legislazione vigente

9 : Alla scadenza del periodo di affidamento, e in esito alla successiva gara

di affidamento, le reti, gli impianti e le altre dotazioni patrimoniali di

proprietà degli enti locali o delle società di cui al comma 13 sono assegnati

al nuovo gestore

11 : I rapporti degli enti locali con le società di erogazione del servizio e

con le società di gestione delle reti e degli impianti sono regolati da

contratti di servizio, allegati ai capitolati di gara, che dovranno prevedere i

livelli dei servizi da garantire e adeguati strumenti di verifica del rispetto

dei livelli previsti.

12 : L'ente locale può cedere tutto o in parte la propria partecipazione nelle

società erogatrici di servizi mediante procedure ad evidenza pubblica da

rinnovarsi alla scadenza del periodo di affidamento. Tale cessione non

comporta effetti sulla durata delle concessioni e degli affidamenti in essere

13 : Gli enti locali, anche in forma associata, nei casi in cui non sia vietato

dalle normative di settore, possono conferire la proprietà delle reti, degli

impianti, e delle altre dotazioni patrimoniali a società a capitale

interamente pubblico, che è incedibile. Tali società pongono le reti, gli

impianti e le altre dotazioni patrimoniali a disposizione dei gestori

incaricati della gestione del servizio o, ove prevista la gestione separata

della rete, dei gestori di quest'ultima, a fronte di un canone stabilito dalla

competente Autorità di settore, ove prevista, o dagli enti locali. Alla società

suddetta gli enti locali possono anche assegnare, ai sensi della lettera a) del

comma 4, la gestione delle reti, nonché il compito di espletare le gare di

cui al comma 5.

10

Dell’art. 35 della legge n. 448/2001 possono essere richiamati i commi:

6 : Qualora le disposizioni dei singoli settori prevedano la gestione

associata del servizio per àmbiti territoriali di dimensione

sovracomunale, il soggetto che gestisce il servizio stipula appositi

contratti di servizio con i comuni di dimensione demografica inferiore a

5.000 abitanti, al fine di assicurare il rispetto di adeguati ed omogenei

standard qualitativi di servizio, definiti dai contratti stessi. In caso di

mancato rispetto di tali standard nel territorio dei comuni di cui al

primo periodo, i soggetti competenti ad affidare la gestione del servizio

nell'àmbito sovracomunale provvedono alla revoca dell'affidamento in

corso sull'intero àmbito

7 : Le imprese concessionarie cessanti al termine dell'affidamento

reintegrano gli enti locali nel possesso delle reti, degli impianti e delle

altre dotazioni utilizzati per la gestione dei servizi. Ad esse è dovuto dal

gestore subentrante un indennizzo stabilito secondo le disposizioni del

comma 9 dell'articolo 113 del citato testo unico di cui al decreto

legislativo n. 267 del 2000, come sostituito dal comma 1 del presente

articolo

8 : Gli enti locali, entro il 30 giugno 2003, trasformano le aziende

speciali e i consorzi di cui all'articolo 31, comma 8, del citato testo

unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, che gestiscono i

servizi di cui al comma 1 dell'articolo 113 del medesimo testo unico,

come sostituito dal comma 1 del presente articolo, in società di capitali,

ai sensi dell'articolo 115 del citato testo unico

9 : In attuazione delle disposizioni di cui ai commi 2 e 13 dell'articolo

113 del citato testo unico, come sostituito dal comma 1 del presente

articolo, gli enti locali che alla data di entrata in vigore della presente

legge detengano la maggioranza del capitale sociale delle società per la

gestione di servizi pubblici locali, che siano proprietarie anche delle

11

reti, degli impianti e delle altre dotazioni per l'esercizio di servizi

pubblici locali, provvedono ad effettuare, entro un anno dalla data di

entrata in vigore della presente legge, anche in deroga alle disposizioni

delle discipline settoriali, lo scorporo delle reti, degli impianti e delle

altre dotazioni. Contestualmente la proprietà delle reti, degli impianti e

delle altre dotazioni patrimoniali, oppure dell'intero ramo d'azienda è

conferita ad una società avente le caratteristiche definite dal citato

comma 13 dell'articolo 113 del medesimo testo unico

10 : La facoltà di cui al comma 12 dell'articolo 113 del citato testo

unico, come sostituito dal comma 1 del presente articolo, riguarda

esclusivamente le società per la gestione dei servizi ed opera solo a

partire dalla conclusione delle operazioni di separazione di cui al

comma 9 del presente articolo.

11 : In deroga alle disposizioni di cui al comma 2 dell'articolo 113 del

citato testo unico, come sostituito dal comma 1 del presente articolo, e

di cui al comma 9 del presente articolo, nonché in alternativa a quanto

stabilito dal comma 10, limitatamente al caso di società per azioni

quotate in borsa e di società per azioni i cui enti locali soci abbiano già

deliberato al 1° gennaio 2002 di avviare il procedimento di quotazione

in borsa, da concludere entro il 31 dicembre 2003, di cui, alla data di

entrata in vigore della presente legge, gli enti locali detengano la

maggioranza del capitale, è consentita la piena applicazione delle

disposizioni di cui al comma 12 dell'articolo 113 del citato testo unico.

In tale caso, ai fini dell'applicazione del comma 9 dell'articolo 113 del

citato testo unico, sulle reti, sugli impianti e sulle altre dotazioni

patrimoniali attuali e future è costituito, ai sensi dell'articolo 1021 del

codice civile, un diritto di uso perpetuo ed inalienabile a favore degli

enti locali. Resta fermo il diritto del proprietario, ove sia un soggetto

diverso da quello cui è attribuita la gestione delle reti, degli impianti e

delle altre dotazioni patrimoniali, alla percezione di un canone da parte

12

di tale soggetto. Non si applicano le disposizioni degli articolo 1024 e

seguenti del codice civile.

14 : Nell'esercizio delle loro funzioni, gli enti locali, anche in forma

associata, individuano gli standard di qualità e determinano le modalità

di vigilanza e controllo delle aziende esercenti i servizi pubblici, in un

quadro di tutela prioritaria degli utenti e dei consumatori.

Come si è sopra rilevato, tutte le disposizioni contenute negli artt. 114 e 115

del D.lgs. n. 267/2000 non sono peraltro applicabili al settore in esame, posto che l’art.

35, comma 8 della legge n. 448/2001 esclude la sopravvivenza per i servizi aventi

rilevanza economica delle aziende e dei consorzi, che devono essere trasformati in

società di capitali entro e non oltre il 30 giugno 2003.

Anzi, dal combinato disposto dell’art. 35, comma 8 della legge n. 448/2001 e

dell’art. 115, comma 1 del D.lgs. n. 267/2000 è possibile evincere che le aziende

speciali o i consorzi non solo dovevano essere trasformati in società di capitali dagli

enti locali, ma questi potevano restare come azionisti unici solo per due anni.

È evidente, quindi, il favor per le società miste e a tal riguardo l’art. 115,

comma 4 sopra citato prevede che il ricorso al capitale privato può avvenire ai sensi

del decreto-legge 31 maggio 1994, n. 332, convertito, con modificazioni, dalla

legge 30 luglio 1994, n. 474.

Vi è poi ancora l’art. 15 del D.L. n. 135/2009, il quale contiene una norma

specifica per il settore idrico, tuttora vigente, e cioè il comma 1 ter, il quale recita:

“Tutte le forme di affidamento della gestione del servizio idrico integrato di cui

all’articolo 23-bis del citato decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con

modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, devono avvenire nel rispetto dei princìpi

di autonomia gestionale del soggetto gestore e di piena ed esclusiva proprietà

pubblica delle risorse idriche, il cui governo spetta esclusivamente alle istituzioni

pubbliche, in particolare in ordine alla qualità e prezzo del servizio, in conformità a

13

quanto previsto dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, garantendo il diritto

alla universalità ed accessibilità del servizio”.

Naturalmente sono in vigore, per il servizio idrico integrato, le specifiche

disposizioni di settore contenute nel D.lgs. n. 152/2006 (artt. da 141 a 176) a cui si

aggiungono le disposizioni concernenti la soppressione e la sostituzione degli ATO

(cfr. art. 2, comma 186-bis, della Legge 23 dicembre 2009 n. 191, introdotto dall’art. 1,

comma 1-quinquies della Legge 26 marzo 2010 n. 42) nonché quelle riguardanti

l’istituzione dell'Agenzia nazionale di vigilanza sulle risorse idriche (art. 10 del D.L. n.

70/2011, convertito in legge n. 106/2011).

Infine, sempre con riguardo alle disposizioni applicabili al servizio idrico

integrato, è importante menzionare l’art. 154 del D.lgs. n. 152/2006, il quale disciplina

la tariffa del servizio idrico integrato stabilendo che “1. La tariffa costituisce il

corrispettivo del servizio idrico integrato ed è determinata tenendo conto della qualità

della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari,

dell'entità dei costi di gestione delle opere, e dei costi di gestione delle aree di

salvaguardia, nonché di una quota parte dei costi di funzionamento dell'Autorità

d'ambito, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e

di esercizio secondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio "chi

inquina paga". Tutte le quote della tariffa del servizio idrico integrato hanno natura di

corrispettivo.

2. Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, su proposta dell'Autorità di

vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, tenuto conto della necessità di recuperare i

costi ambientali anche secondo il principio "chi inquina paga", definisce con decreto

le componenti di costo per la determinazione della tariffa relativa ai servizi idrici per i

vari settori di impiego dell'acqua.

3. Al fine di assicurare un'omogenea disciplina sul territorio nazionale, con decreto

del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell'ambiente e

della tutela del territorio, sono stabiliti i criteri generali per la determinazione, da

14

parte delle regioni, dei canoni di concessione per l'utenza di acqua pubblica, tenendo

conto dei costi ambientali e dei costi della risorsa e prevedendo altresì riduzioni del

canone nell'ipotesi in cui il concessionario attui un riuso delle acque reimpiegando le

acque risultanti a valle del processo produttivo o di una parte dello stesso o, ancora,

restituisca le acque di scarico con le medesime caratteristiche qualitative di quelle

prelevate. L'aggiornamento dei canoni ha cadenza triennale.

4. L'Autorità d'ambito, al fine della predisposizione del Piano finanziario di cui

all'articolo 149, comma 1, lettera c), determina la tariffa di base, nell'osservanza delle

disposizioni contenute nel decreto di cui al comma 2, comunicandola all'Autorità di

vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti ed al Ministro dell'ambiente e della tutela

del territorio.

5. La tariffa è applicata dai soggetti gestori, nel rispetto della Convenzione e del

relativo disciplinare.

6. Nella modulazione della tariffa sono assicurate, anche mediante compensazioni per

altri tipi di consumi, agevolazioni per quelli domestici essenziali, nonché per i

consumi di determinate categorie, secondo prefissati scaglioni di reddito. Per

conseguire obiettivi di equa redistribuzione dei costi sono ammesse maggiorazioni di

tariffa per le residenze secondarie, per gli impianti ricettivi stagionali, nonché per le

aziende artigianali, commerciali e industriali.

7. L'eventuale modulazione della tariffa tra i comuni tiene conto degli investimenti pro

capite per residente effettuati dai comuni medesimi che risultino utili ai fini

dell'organizzazione del servizio idrico integrato”.

Con riguardo alla disposizione sopra riportata, occorre rilevare che a tutt’oggi

il decreto previsto dal comma 2 non è stato emanato.

L’art. 170 del D.lgs. n. 152/2006 ha peraltro stabilito al 3° comma che, fino

all’emanazione del futuro decreto, continuerà ad applicarsi il precedente decreto 1

agosto 1996 e cioè il suddetto metodo tariffario normalizzato.

In estrema sintesi tale metodo stabilisce:

15

dei principi contabili per individuare i costi operativi che sono ammessi a

copertura;

i costi operativi derivano dal bilancio (costi effettivi) ma sono poi soggetti a un

obbligo minimo di riduzione annua, in funzione del confronto con un costo

standard calcolato attraverso un modello;

per quel che riguarda gli investimenti essi sono valutati con le quote di

ammortamento mentre per il rendimento del capitale investito è stato adottato

un valore forfettario del 7 %.

Il metodo tariffario “normalizzato” regola altresì sia le modalità con cui la

tariffa varia a seconda degli anni, sia le modalità di aggiornamento della medesima.

Con riguardo alla disposizione in esame occorre precisare che il primo comma

della medesima e, precisamente, la questione della determinazione della tariffa del

servizio idrico integrato in base all’adeguata remunerazione del capitale investito è

stato oggetto del referendum abrogativo del giugno scorso.

Un quesito – per il quale hanno vinto i sì – riguardava infatti l’abrogazione del

comma 1 del citato art. 154 (Tariffa del servizio idrico integrato) del D.lgs. n.

152/2006, limitatamente alla seguente parte: “dell'adeguatezza della remunerazione

del capitale investito”.

Il referendum ha dunque abrogato la voce dell’adeguatezza della

remunerazione del capitale investito, di talchè il problema fondamentale che ora si

pone – e che verrà esaminato nel prosieguo - è stabilire se questa soppressione possa

incidere immediatamente sul regime tariffario.

16

3.  Sopravvivenza  della  modalità  di  gestione  in  house  per  il  servizio  idrico  integrato  senza  i  vincoli  posti  dalla  nuova  normativa  introdotta  dal  D.L.  n.  138/2011

Come accennato sopra, l’art. 4 del D.L. n. 138/2011 ha sostanzialmente

riproposto la normativa abrogata dal referendum popolare.

Per quanto riguarda gli affidamenti in house, essi sono disciplinati dal comma

13 del citato art. 4.

Tale disposizione, peraltro, risulta, con riguardo appunto agli affidamenti in

house, più restrittiva rispetto a quanto era previsto dall’abrogato art. 23 bis.

L’art. 23 bis, infatti, consentiva l’affidamento in house, quale modalità

derogatoria di affidamento del servizio, in presenza di determinati presupposti e cioè

situazioni eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali,

ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non

permettevano un efficace e utile ricorso al mercato.

In tali situazioni, l'affidamento poteva avvenire a favore di società a capitale

interamente pubblico, partecipate dall'ente locale, che avessero i requisiti richiesti

dall'ordinamento comunitario per la gestione cosiddetta “in house” e, comunque, nel

rispetto dei principi della disciplina comunitaria in materia di controllo analogo sulla

società e di prevalenza dell'attività svolta dalla stessa con l'ente o gli enti pubblici che

la controllavano.

Al di là dei predetti presupposti, il citato art. 23 bis non prevedeva alcun limite

di valore per poter procedere all’affidamento in house, ma un tale limite era

contemplato solo ai fini della richiesta di parere all’Autorità garante ai sensi del

comma 4.

Il nuovo art. 4, invece, richiede, per poter procedere all’affidamento in house,

oltre ai sopramenzionati requisiti previsti dall’ordinamento comunitario anche un tetto

massimo di valore e cioè 900.000 euro annui.

17

Più precisamente, il comma 13 dell’art. 4 in esame dispone che “se il valore

economico del servizio oggetto dell’affidamento è pari o inferiore alla somma

complessiva di 900.000 euro annui, l’affidamento può avvenire a favore di società a

capitale interamente pubblico che abbia i requisiti richiesti dall’ordinamento europeo

per la gestione cosiddetta “in house”.

I successivi commi 14 e 15, riproducendo quanto già disposto dall’abrogato

articolo 23 bis, prevedono rispettivamente l’assoggettamento delle società in house al

patto di stabilità ed alle disposizioni contenute nel d.lgs. n. 163/2006 in materia di

acquisto di beni e servizi.

L’assoggettabilità dei moduli societari in house al patto di stabilità ha suscitato

nei primi commentatori qualche perplessità alla luce della sentenza della Corte

costituzionale n. 325/2010 che ha espunto proprio il riferimento al patto di stabilità

previsto nella lettera a) del comma 10 dell’articolo 23 bis del d.l. n. 112/2008 sul

presupposto dell’attrazione della materia nell’ambito del coordinamento della finanza

pubblica di competenza concorrente e non esclusiva dello Stato.

L’attuale formulazione del comma 14 dell’articolo 4 del d.l. n. 138/2011, nel

far riferimento alla definizione delle modalità di assoggettamento al patto di stabilità

alla concertazione, sembra escludere ancora una volta le Regioni, con conseguente

sospetto di illegittimità costituzionale della norma.

Come già detto, la disciplina contenuta nel citato art. 4 non trova peraltro

applicazione nei riguardi del servizio idrico.

In realtà, si può affermare che non vi sono norme interne che legittimano l’in

house ed infatti, come visto, l’art. 35, comma 8 della legge n. 448/2001 esclude la

sopravvivenza per i servizi aventi rilevanza economica delle aziende e dei consorzi,

che devono essere trasformati in società di capitali entro e non oltre il 30 giugno 2003.

Anzi, dal combinato disposto dell’art. 35, comma 8 della legge n. 448/2001 e

dell’art. 115, comma 1 del D.lgs. n. 267/2000 è possibile evincere che le aziende

speciali o i consorzi non solo dovevano essere trasformati in società di capitali dagli

enti locali, ma questi potevano restare come azionisti unici solo per due anni.

18

Per la disciplina della modalità di gestione in house nel settore in esame,

pertanto, occorrerà fare riferimento ai principi dettati al riguardo dalla giurisprudenza

comunitaria con riguardo ai presupposti ed ai requisiti per poter fare ricorso alle

società in house.

Com’è noto, l’istituto dell’in house providing è stato elaborato

pretoriamente dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, non sussistendo

alcuna sua previsione positiva nel Libro Bianco del 1998 della Commissione

Europea, che aveva solo tenuemente enunciato il concetto di “appalti in house”.

Il leading case è costituito dalla nota sentenza Teckal del 18 novembre 1999,

in cui la Corte di giustizia ha indicato per la prima volta espressamente i due

presupposti che legittimano un affidamento diretto di servizi pubblici:

1) il controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi che

l’amministrazione aggiudicatrice deve esercitare sull’aggiudicatario e

2) la realizzazione da parte di quest’ultimo della maggior parte della propria

attività in favore dell’ente pubblico di appartenenza.

Altra pronuncia cardine è la sentenza Stadt Halle dell’11 gennaio 2005, nella

quale la Corte, interpretando in senso restrittivo eventuali deroghe all’applicazione

delle norme comunitarie, ha precisato che la presenza, seppur minoritaria e

trascurabile, di soci privati nella compagine gestoria amministrativa del soggetto

aggiudicatore è tale da imporre il previo esperimento del procedimento di gara

contemplato dalle direttive comunitarie.

Il descritto orientamento viene dalla Corte ribadito, pochi mesi dopo, con la

decisione 21 luglio 2005, causa Co.Na.Me., nella quale ha escluso la perseguibilità di

affidamenti in house ogniqualvolta il soggetto aggiudicatore è partecipato da privati.

In questo caso, infatti, a giudizio del Collegio, la presenza di privati

escluderebbe a priori la possibilità che l’amministrazione aggiudicatrice esperisca, nei

confronti del soggetto aggiudicatore, il “controllo analogo”necessario affinché si possa

procedere ad un affidamento diretto.

19

La Corte di giustizia, poi, con la successiva sentenza Parking Brixen del 13

ottobre 2005, si è spinta ancora oltre, giudicando non conforme al modello in house

una società a capitale interamente pubblico, per l’assenza del requisito del controllo

analogo.

Pur essendo la totalità delle azioni in mano pubblica, ad avviso della Corte,

difetterebbe il requisito de quo, in quanto “deve risultare che l’ente concessionario è

soggetto ad un controllo che consente all’autorità pubblica concedente di influenzarne

le decisioni. Deve trattarsi di una possibilità di influenza determinante sia sugli

obiettivi strategici che sulle decisioni importanti”.

I giudici lussemburghesi hanno così proceduto ad elencare gli indici rivelatori

negativi al cui sussistere è esclusa la praticabilità del “controllo analogo”:

a) la possibilità dell’ampliamento dell’oggetto sociale;

b) l’espansione territoriale dell’attività a tutto lo Stato e all’estero;

c) l’apertura obbligatoria della società al capitale privato.

L’esistenza, ancorché non simultanea, dei suddetti parametri sintomatici

ostativi preclude ogni possibilità di affidamento in house anche ove il soggetto

aggiudicatore, al momento dell’affidamento, sia integralmente partecipato da soggetti

pubblici, a loro volta costituenti amministrazioni aggiudicatrici.

Le due decisioni Stadt Halle e Parking Brixen, dunque, hanno elaborato il

requisito del controllo analogo fino al punto non solo di escludere che sia sufficiente la

sussistenza del controllo civilistico-societario, ma anche di rendere incompatibili con

esso la possibilità di cessione del capitale, anche in parte, a privati (apparentemente

persino se scelti con gara), l’esistenza di un oggetto sociale inclusivo di attività diverse

da quelle affidate direttamente o di una capacità di agire territorialmente più ampia dei

confini dell’amministrazione o di poteri degli organi gestionali autonomi

dall’amministrazione azionista.

In altre due sentenze di estrema rilevanza (caso AMTAB del 6 aprile 2006 e

Carbotermo dell’11 maggio 2006), la Corte di Giustizia ha ribadito la sua

interpretazione restrittiva dei presupposti che legittimano l’affidamento diretto a

società di capitali.

20

Nella sentenza Carbotermo, in particolare, la Corte ha affermato che il

controllo analogo non può risolversi nei soli poteri che il diritto societario riconosce

alla maggioranza sociale, in assenza di prerogative peculiari in termini di diritti di voto

o di poteri di controllo che attenuino la latitudine della gestione ordinaria e

straordinaria della società attribuita in via normativa al consiglio di amministrazione

(par. 38), tanto più allorquando l’interposizione di una holding sia suscettibile di

attenuare il controllo dell’amministrazione aggiudicatrice sulla partecipata (par. 39).

Quanto al secondo requisito, la Corte ha ritenuto, in primo luogo, che

l’eccezione al divieto di affidamento diretto da parte dell’amministrazione controllante

riguardi solo gli appalti di servizi, in ragione del fondamento normativo rappresentato

dall’art. 13 della direttiva 93/38/CEE e non quelli di forniture, neppure in via

analogica (par. 50-57).

In ogni caso, lo svolgimento della maggior parte dell’attività con l’ente

detentore del capitale va interpretato nel senso della prevalenza del fatturato realizzato

in base alle decisioni di affidamento dell’ente territoriale controllante, a prescindere

dal fatto che il destinatario sia la stessa amministrazione aggiudicatrice o direttamente

gli utenti delle prestazioni, dalla natura giuridica, di appalto o concessione, del

rapporto giuridico instaurato e dalla provenienza della remunerazione delle prestazioni

dell’impresa, essendo in ogni caso ininfluente il territorio sul quale l’attività viene

svolta (par. 63-72).

In linea generale, dunque, gli elementi affinchè possa concretizzarsi il modello

dell’in house non si limitano alla titolarità da parte degli enti pubblici del 100% del

pacchetto azionario della società.

Il sistema c.d. in house è da ritenere consentito solo qualora l’ente pubblico

eserciti sull’affidataria del servizio un “controllo analogo” a quello dallo stesso

esercitato sui propri servizi e la società affidataria realizzi la parte più importante della

propria attività con l’ente o con gli enti che la controllano.

I principi testè enunciati sono stati da ultimo confermati, sempre a livello

comunitario, dalla Corte di Giustizia nella sentenza 10 settembre 2009 (procedimento

C-573/07), nella quale si è ribadito che “Gli artt. 43 CE e 49 CE, i principi di parità di

21

trattamento e di non discriminazione in base alla cittadinanza così come l’obbligo di

trasparenza che ne discende non ostano all’affidamento diretto di un appalto pubblico

di servizi ad una società per azioni a capitale interamente pubblico qualora l’ente

pubblico che costituisce l’amministrazione aggiudicatrice eserciti su tale società un

controllo analogo a quello che esercita sui propri servizi e questa società realizzi la

parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la

controllano.

Nel caso di all’affidamento diretto di un appalto pubblico di servizi ad una

società per azioni a capitale interamente pubblico, il controllo esercitato dagli enti

azionisti sulla detta società può essere considerato analogo a quello esercitato sui

propri servizi nel caso in cui: a) l’attività di tale società è limitata al territorio di detti

enti ed è esercitata fondamentalmente a beneficio di questi ultimi; b) tramite organi

statutari composti da rappresentanti di detti enti, questi ultimi esercitano un’influenza

determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti di detta

società”.

Sempre sotto il profilo in esame, si ricorda, poi, la sentenza della Corte di

Giustizia del 17 luglio 2008 (causa C-371/05) nella quale si afferma che “la possibilità

per i privati di partecipare al capitale della società affidataria non basta ad escludere

il controllo analogo, in assenza di una partecipazione effettiva dei privati stessi al

momento della stipula della convenzione di affidamento. Per ragioni di certezza del

diritto, l’obbligo di un’Amministrazione aggiudicatrice di procedere ad una gara di

appalto va, infatti, valutato alla luce delle condizioni esistenti alla data

dell’affidamento”.

Nondimeno, aggiunge la Corte di Giustizia, ove risulti che l’apertura del

capitale a soci privati era prevista (o comunque non esclusa) sin dall’assegnazione del

servizio, si dovrà verificare se vi sia stata una partecipazione effettiva dei privati

successivamente a detta assegnazione.

Quanto alla posizione della giurisprudenza interna, essa ha fatto propri i

principi elaborati dalla Corte di giustizia fin qui descritti, enunciandoli in modo

22

pressoché identico (cfr. in particolare decisione n. 1 del 3 marzo 2008 dell’Adunanza

Plenaria del Consiglio di Stato; C.G.A. per la Regione Sicilia, 4 settembre 2007 n.

719; Corte costituzionale, sentenza 23 dicembre 2008, n. 439; Consiglio di Stato, sez.

V, 3 febbraio 2009, n. 591,; C.G.A., 9 febbraio 2009, n. 48; Consiglio di Stato, 24

settembre 2010, n. 7092; Consiglio di Stato, 8 marzo 2011 n. 1447).

In conclusione, per quanto riguarda l’affidamento in house, da un lato, pare

non vi siano norme interne che lo legittimano, in quanto, come visto, dal combinato

disposto dell’art. 35, comma 8 della legge n. 448/2001 e dell’art. 115, comma 1 del

D.lgs. n. 267/2000 si evince che le aziende speciali o i consorzi non solo dovevano

essere trasformati in società di capitali dagli enti locali, ma questi potevano restare

come azionisti unici solo per due anni.

Dall’altro lato, tuttavia, occorre menzionare l’art. 2362 c.c., il quale disciplina,

per le società per azioni, il caso dell’azionista unico, nonché l’art. 150 del D.lgs. n.

152/2006, il quale, al terzo comma, prevede che “La gestione può essere altresì

affidata a società partecipate esclusivamente e direttamente da comuni o altri enti

locali compresi nell'ambito territoriale ottimale, qualora ricorrano obiettive ragioni

tecniche od economiche, secondo la previsione del comma 5, lettera c), dell'articolo

113 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, o a società solo parzialmente partecipate da

tali enti, secondo la previsione del comma 5, lettera b), dell'articolo 113 del decreto

legislativo 18 agosto 2000, n. 267, purché il socio privato sia stato scelto, prima

dell'affidamento, con gara da espletarsi con le modalità di cui al comma 2”.

Ovviamente la previsione di cui all’art. 150 sopra menzionato deve essere letta

alla luce delle modifiche normative di recenti intervenute, soprattutto con riguardo

all’abrogazione dell’art. 113 del D.lgs. n. 267/2000 di cui si è detto.

23

4.  Criteri  e  parametri  da  osservare  per  lo  svolgimento  delle  nuove  gare

Come più volte evidenziato, stante il vuoto normativo venutosi a creare nel

settore idrico ad esito del referendum abrogativo, anche per la disciplina delle nuove

gare occorrerà fare riferimento ai principi ed alla normativa comunitaria.

Per quanto concerne la normativa interna, vengono in rilievo l’art. 30 del

D.lgs. n. 163/2006, che disciplina la concessione di servizi, e l’art. 150 del D.lgs. n.

152/2006, che disciplina la scelta della forma di gestione e le procedure di affidamento

nel settore idrico.

L’art. 30, come accennato sopra, dopo aver precisato, al primo comma, che,

salvo quanto disposto nel presente articolo, le disposizioni del codice non si applicano

alle concessioni di servizi, dispone che: “2. Nella concessione di servizi la

controprestazione a favore del concessionario consiste unicamente nel diritto di

gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente il servizio. Il soggetto

concedente stabilisce in sede di gara anche un prezzo, qualora al concessionario

venga imposto di praticare nei confronti degli utenti prezzi inferiori a quelli

corrispondenti alla somma del costo del servizio e dell’ordinario utile di impresa,

ovvero qualora sia necessario assicurare al concessionario il perseguimento

dell’equilibrio economico - finanziario degli investimenti e della connessa gestione in

relazione alla qualità del servizio da prestare.

3. La scelta del concessionario deve avvenire nel rispetto dei principi desumibili dal

Trattato e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei

principi di trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di

trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità, previa gara informale a cui sono

invitati almeno cinque concorrenti, se sussistono in tale numero soggetti qualificati in

relazione all’oggetto della concessione, e con predeterminazione dei criteri selettivi.

4. Sono fatte salve discipline specifiche che prevedono forme più ampie di tutela della

concorrenza.

5. Restano ferme, purché conformi ai principi dell’ordinamento comunitario le

discipline specifiche che prevedono, in luogo delle concessione di servizi a terzi,

24

l’affidamento di servizi a soggetti che sono a loro volta amministrazioni

aggiudicatrici.

6. Se un'amministrazione aggiudicatrice concede ad un soggetto che non è

un’amministrazione aggiudicatrice diritti speciali o esclusivi di esercitare un'attività

di servizio pubblico, l'atto di concessione prevede che, per gli appalti di forniture

conclusi con terzi nell'ambito di tale attività, detto soggetto rispetti il principio di non

discriminazione in base alla nazionalità.

7. Si applicano le disposizioni della parte IV. Si applica, inoltre, in quanto compatibile

l’articolo 143, comma 7”.

L’art. 150 sopra menzionato stabilisce, al primo comma, che l'Autorità

d'ambito, nel rispetto del piano d'ambito e del principio di unitarietà della gestione per

ciascun ambito, delibera la forma di gestione.

“2. L'Autorità d'ambito aggiudica la gestione del servizio idrico integrato mediante

gara disciplinata dai princìpi e dalle disposizioni comunitarie, in conformità ai criteri

di cui all'articolo 113, comma 7, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 257,

secondo modalità e termini stabiliti con decreto del Ministro dell'ambiente e della

tutela del territorio nel rispetto delle competenze regionali in materia.

3. La gestione può essere altresì affidata a società partecipate esclusivamente e

direttamente da comuni o altri enti locali compresi nell'ambito territoriale ottimale,

qualora ricorrano obiettive ragioni tecniche od economiche, secondo la previsione del

comma 5, lettera c), dell'articolo 113 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, o a società

solo parzialmente partecipate da tali enti, secondo la previsione del comma 5, lettera

b), dell'articolo 113 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, purché il socio privato sia

stato scelto, prima dell'affidamento, con gara da espletarsi con le modalità di cui al

comma 2.

4. I soggetti di cui al presente articolo gestiscono il servizio idrico integrato su tutto il

territorio degli enti locali ricadenti nell'ambito territoriale ottimale, salvo quanto

previsto dall'articolo 148, comma 5”.

25

In attuazione del sopracitato comma 2 era stato adottato il D.M. del Ministero

dell’Ambiente 2 maggio 2006 “Disciplina delle modalità e dei termini di

aggiudicazione della gestione del Servizio idrico integrato, ai sensi dell'articolo 150,

comma 2, del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152”.

Tale decreto prevedeva che, per ciascun servizio da aggiudicare, la relativa

gara dovesse essere a procedura aperta e basarsi sull’offerta economicamente più

vantaggiosa, con ammissione riservata alle società di capitali (costituite anche in

consorzi o associazioni temporanee di imprese) e ai GEIE, in possesso di specifici

requisiti in termini di capacità, esperienza e fatturato.

Con riguardo al predetto D.M., è appena il caso di osservare che lo stesso

risulta peraltro privo di effetti in quanto mai trasmesso alla Corte dei Conti per il

controllo e la conseguente registrazione.

In precedenza era stato adottato il D.M. 22 novembre 2001, il quale stabiliva

le modalità di affidamento in concessione a terzi della gestione del servizio idrico

integrato, a norma dell'art. 20, comma 1, della legge 5 gennaio 1994, n. 36.

Venendo ora ai principi comunitari, nel caso di ricorso al mercato, come noto,

il diritto comunitario impone il rispetto dei principi generali di tutela del mercato/della

concorrenza individuati dal Trattato istitutivo della CE agli artt. 39 (libera circolazione

dei lavoratori all’interno della Comunità), 43 (libertà di stabilimento), 48 e 81 (intese

restrittive della concorrenza).

In particolare, i principi europei per l’affidamento delle concessioni di servizi

sono trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento,

mutuo riconoscimento, proporzionalità, principi tutti richiamati espressamente dall’art.

30 del D.lgs. n. 163/2006.

Tale ultima disposizione prevede, infatti, che “(…) La scelta del

concessionario deve avvenire nel rispetto dei principi desumibili dal Trattato e dei

principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di

trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo

riconoscimento, proporzionalità, previa gara informale a cui sono invitati almeno

26

cinque concorrenti, se sussistono in tale numero soggetti qualificati in relazione

all’oggetto della concessione, e con predeterminazione dei criteri selettivi.

Sono fatte salve discipline specifiche che prevedono forme più ampie di tutela

della concorrenza (…)”.

I principi de quibus sono chiaramente spiegati nella comunicazione

interpretativa della Commissione del 12 aprile 2000.

Per quanto concerne il principio di parità di trattamento, secondo una costante

giurisprudenza della Corte, «il principio generale di uguaglianza, di cui il divieto di

discriminazione a motivo della cittadinanza è solo un’espressione specifica, è uno dei

principi fondamentali del diritto comunitario. Questo principio impone di non trattare

in modo diverso situazioni analoghe, salvo che la differenza di trattamento sia

obiettivamente giustificata».

La Corte ha inoltre precisato che il principio di parità di trattamento, del quale

sono specifica espressione gli articoli 43 (ex 52) e 49 (ex 59) del trattato «vieta non

solo le discriminazioni palesi a motivo della cittadinanza, (…..) ma anche qualsiasi

forma di discriminazione dissimulata che, mediante il ricorso ad altri criteri distintivi,

abbia in prativa le stesse conseguenze».

Il principio di parità di trattamento implica, in particolare, che le regole del

gioco siano conosciute da tutti i potenziali concessionari e si applichino a tutti nello

stesso modo. Risulta dalla giurisprudenza della Corte, in particolare dalla sentenza

Raulin e dalla sentenza Parlamento/Consiglio, che l’osservanza del principio di parità

di trattamento esige non soltanto la fissazione di condizioni d’accesso non

discriminatorie all’attività economica, ma altresì che le autorità pubbliche adottino

ogni misura atta a garantire l’esercizio di tale attività.

La Commissione ricorda che la Corte, nella sua giurisprudenza, ha sottolineato

la correlazione tra il principio della trasparenza ed il principio della parità di

trattamento, di cui mira ad assicurare l’effetto utile garantendo condizioni di

concorrenza non falsate.

27

La Commissione constata che nella quasi totalità degli Stati membri esistono

regole o prassi amministrative in materia di concessioni secondo le secondo le quali gli

enti che intendano affidare ad un terzo la gestione di un’attività economica devono, per

garantire un minimo di trasparenza, rendere pubblica la loro intenzione con modalità

appropriate.

Come confermato dalla Corte nella sua più recente giurisprudenza, il principio

di non discriminazione sulla base della nazionalità implica un obbligo di trasparenza al

fine di permettere all’amministrazione aggiudicatrice di garantire il rispetto.

La trasparenza può essere garantita con ogni mezzo appropriato, compresa la

pubblicazione, in funzione e per tenere conto delle specificità del settore in questione.

Siffatte forme di pubblicità contengono, in generale, le informazioni necessarie

affinchè potenziali concessionari possano decidere se sono interessati a partecipare alla

procedura (ad esempio, criteri di selezione e di attribuzione, ecc.), ivi compreso

l’oggetto della concessione nonché la natura ed estensione delle prestazioni attese dal

concessionario.

La Commissione ritiene che, in tali condizioni, l’obbligo di trasparenza sia

rispettato.

Quanto poi al principio di proporzionalità, per giurisprudenza costante, la

Corte considera detto principio come «facente parte dei principi generali del diritto

comunitario»; in tale contesto, le autorità nazionali sono tenute ad osservare tale

principio nell’applicazione del diritto comunitario anche quando esse dispongano di un

ampio margine discrezionale.

Il principio di proporzionalità esige che ogni provvedimento adottato sia al

tempo stesso necessario ed adeguato rispetto agli scopi perseguiti. Uno Stato membro,

infatti, nella scelta dei provvedimenti da adottare, deve ricorrere a quelli che

comportino le minori turbative per l’esercizio di un’attività economica.

Applicato alle concessioni, questo principio, pur lasciando alle organizzazioni

concedenti la facoltà di definire, in particolare in termini di prestazioni e di specifiche

tecniche, l’obiettivo da raggiungere, esige, però, che ogni provvedimento adottato sia

al tempo stesso necessario e adeguato in relazione all’obiettivo fissato.

28

Ad esempio, uno stato membro non può esigere, ai fini della selezione dei

candidati, capacità tecniche, professionali o finanziarie sproporzionate o eccessive

rispetto all’oggetto della concessione.

Il principio di proporzionalità esige anche che la concorrenza si concili con

l’equilibrio finanziario; la durata della concessione deve dunque essere fissata in modo

da non restringere o limitare la libera concorrenza più di quanto sia necessario per

ammortizzare gli investimenti e remunerare i capitali investiti in misura ragionevole,

pur mantenendo sul concessionario il rischio derivante dalla gestione.

Per quanto concerne, infine, il principio di mutuo riconoscimento, esso è stato

affermato dalla Corte e progressivamente precisato in una vasta giurisprudenza in

materie di libera circolazione delle merci, delle persone e dei servizi.

In base a tale principio, uno Stato membro è tenuto ad accettare i prodotti e i

servizi forniti da operatori economici di altri paesi della Comunità, nella misura in cui

tali prodotti e servizi rispondano in modo equivalente alle esigenze legittimamente

perseguite dallo Stato membro destinatario.

L’applicazione di questo principio alle concessioni implica, in particolare, che

lo Stato membro in cui la prestazione è fornita sia tenuto ad accettare le specifiche

tecniche, i controlli nonché i titoli, i certificati e le qualifiche prescritti in un altro Stato

membro, nella misura in cui essi siano riconosciuti equivalenti a quelli richiesti dallo

Stato membro destinatario della prestazione.

Infine, appare utile rilevare che, laddove non si sia in presenza di una

concessione bensì di un appalto di servizi, verranno in rilievo le norme contenute nel

Codice degli appalti (D.lgs. n. 163/2006) e precisamente nella Parte III dedicata ai

cosiddetti settori speciali (artt. 206/238).

Tale questione assume rilevanza soprattutto alla luce delle più recenti

pronunce giurisprudenziali che hanno affrontato la problematica della distinzione tra

appalti e concessioni.

In particolare, al riguardo, molto interessante risulta una recentissima sentenza

della V sezione del Consiglio di Stato (sentenza 9 settembre 2011, n. 5068), la quale ha

29

precisato che “le concessioni, nel quadro del diritto comunitario, si distinguono dagli

appalti non per il titolo provvedimentale dell’attività, né per il fatto che ci si trovi di

fronte ad una vicenda di trasferimento di pubblici poteri o di ampliamento della sfera

giuridica del privato, (che sarebbe un fenomeno tipico della concessione in una

prospettiva coltivata da tradizionali orientamenti dottrinali), né per la loro natura

autoritativa o provvedimentale rispetto alla natura contrattuale dell’appalto, ma per il

fenomeno di traslazione dell’alea inerente una certa attività in capo al soggetto

privato (cfr. Sez. VI 15 maggio 2002, n..2634).

Quando l’operatore privato si assume i rischi della gestione del servizio,

percependone il corrispettivo dall’utente mediante la riscossione di un qualsiasi tipo

di canone o tariffa, allora si ha concessione: è la modalità della remunerazione,

quindi, il tratto distintivo della concessione dall’appalto di servizi.

Così, si avrà concessione quando l’operatore si assuma in concreto i rischi

economici della gestione del servizio, rifacendosi essenzialmente sull’utenza per

mezzo della riscossione di un qualsiasi tipo di canone o tariffa, mentre si avrà appalto

quando l’onere del servizio stesso venga a gravare sostanzialmente

sull’amministrazione”.

Ciò premesso, nel caso di specie, il Consiglio di Stato ha inquadrato la

fattispecie sottoposta al suo esame come appalto di servizi e non come concessione in

quanto la quasi totalità dei costi veniva sostenuta direttamente dal Comune e la

rimanente quota era corrisposta dagli utenti, secondo tariffe approvate dalla giunta

comunale.

Inoltre, il contratto di servizio prevedeva che nel caso in cui il gestore del

servizio avesse ritenuto le tariffe approvate dal Comune non sufficienti a coprire i costi

del servizio, l’ente locale avrebbe dovuto incrementare la contribuzione di cui sopra,

che dall’85 % salirebbe così verso la pressoché totale copertura diretta.

Alla luce delle predette caratteristiche, il Consiglio di Stato ha dunque

concluso nel senso di ritenere la fattispecie quale appalto di servizi e non quale

concessione.

30

Il meccanismo di contribuzione oggetto della pronuncia sopra citata risulta in

un certo qual modo analogo a quanto accade nel settore del servizio idrico integrato,

nel quale la tariffa sicuramente copre i costi.

5.  Regime  transitorio  e  sorte  delle  convenzioni  già  stipulate,  con  particolare  riguardo  alle  società  quotate

L’art. 23 bis disciplinava il regime transitorio al comma 8, prevedendo che

“Il regime transitorio degli affidamenti non conformi a quanto stabilito ai commi 2 e 3

è il seguente:

a) le gestioni in essere alla data del 22 agosto 2008 affidate conformemente ai

principi comunitari in materia di cosiddetta “in house” cessano, improrogabilmente e

senza necessità di deliberazione da parte dell'ente affidante, alla data del 31 dicembre

2011. Esse cessano alla scadenza prevista dal contratto di servizio a condizione che

entro il 31 dicembre 2011 le amministrazioni cedano almeno il 40 per cento del

capitale attraverso le modalità di cui alla lettera b) del comma 2;

b) le gestioni affidate direttamente a società a partecipazione mista

pubblica e privata, qualora la selezione del socio sia avvenuta mediante procedure

competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera a) del

comma 2, le quali non abbiano avuto ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e

l'attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio, cessano,

improrogabilmente e senza necessità di apposita deliberazione dell'ente affidante, alla

data del 31 dicembre 2011;

c) le gestioni affidate direttamente a società a partecipazione mista pubblica

e privata, qualora la selezione del socio sia avvenuta mediante procedure competitive

ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera a) del comma 2, le

quali abbiano avuto ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e l'attribuzione dei

compiti operativi connessi alla gestione del servizio, cessano alla scadenza prevista

31

nel contratto di servizio;

d) gli affidamenti diretti assentiti alla data del 1° ottobre 2003 a società a

partecipazione pubblica già quotate in borsa a tale data e a quelle da esse controllate

ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile, cessano alla scadenza prevista nel

contratto di servizio, a condizione che la partecipazione pubblica si riduca anche

progressivamente, attraverso procedure ad evidenza pubblica ovvero forme di

collocamento privato presso investitori qualificati e operatori industriali, ad una

quota non superiore al 40 per cento entro il 30 giugno 2013 e non superiore al 30 per

cento entro il 31 dicembre 2015; ove siffatte condizioni non si verifichino, gli

affidamenti cessano improrogabilmente e senza necessità di apposita deliberazione

dell’ente affidante, rispettivamente, alla data del 30 giugno 2013 o del 31 dicembre

2015;

e) le gestioni affidate che non rientrano nei casi di cui alle lettere da a) a d)

cessano comunque entro e non oltre la data del 31 dicembre 2010, senza necessità di

apposita deliberazione dell'ente affidante”

Come accennato sopra, l’effetto abrogativo dell’art. 23 bis ad esito del

referendum popolare del giugno scorso si è realizzato con decorrenza dal 21 luglio

2011, a seguito della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del Decreto del Presidente

della Repubblica 18 luglio 2011 n. 113.

Al riguardo, è importante evidenziare che detta abrogazione ha effetto ex

nunc, di talchè risultano salvaguardati gli effetti della sua applicazione prodotti fino a

quel momento.

Le disposizioni dell’art. 23 bis che non hanno ancora avuto applicazione in

quanto la loro efficacia era postergata a momenti successivi (quali ad esempio

l’anticipata cessazione degli affidamenti assentiti a società in house – prevista al

31dicembre 2011- o la riduzione della partecipazione detenuta da enti locali in società

quotate, prevista in due fasi al 30 giugno 2013 ed al 31 dicembre 2015) non saranno

più applicabili posteriormente alla sua abrogazione.

In buona sostanza, l’art. 23 bis non è venuto meno fin dall’origine ma solo

32

dopo il referendum abrogativo, con la conseguenza che tutti gli effetti già prodotti

dall’art. 23 bis fino alla sua abrogazione sono validi ed efficaci.

Tra questi effetti vi è anche l’abrogazione dell’art. 113, comma 15 bis del

D.lgs. n. 267/2000, il quale aveva previsto che “Nel caso in cui le disposizioni previste

per i singoli settori non stabiliscano un congruo periodo di transizione, ai fini

dell'attuazione delle disposizioni previste nel presente articolo, le concessioni

rilasciate con procedure diverse dall'evidenza pubblica cessano comunque entro e non

oltre la data del 31 dicembre 2006, relativamente al solo servizio idrico integrato al

31 dicembre 2007, senza necessità di apposita deliberazione dell'ente affidante. Sono

escluse dalla cessazione le concessioni affidate a società a capitale misto pubblico

privato nelle quali il socio privato sia stato scelto mediante procedure ad evidenza

pubblica che abbiano dato garanzia di rispetto delle norme interne e comunitarie in

materia di concorrenza, nonché quelle affidate a società a capitale interamente

pubblico a condizione che gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla

società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società

realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che

la controllano. Sono altresì escluse dalla cessazione le concessioni affidate alla data

del 1° ottobre 2003 a società già quotate in borsa e a quelle da esse direttamente

partecipate a tale data a condizione che siano concessionarie esclusive del servizio,

nonché a società originariamente a capitale interamente pubblico che entro la stessa

data abbiano provveduto a collocare sul mercato quote di capitale attraverso

procedure ad evidenza pubblica, ma, in entrambe le ipotesi indicate, le concessioni

cessano comunque allo spirare del termine equivalente a quello della durata media

delle concessioni aggiudicate nello stesso settore a seguito di procedure di evidenza

pubblica, salva la possibilità di determinare caso per caso la cessazione in una data

successiva qualora la stessa risulti proporzionata ai tempi di recupero di particolari

investimenti effettuati da parte del gestore”.

Il citato art. 113, comma 15 bis è stato abrogato con decorrenza dal 25

giugno 2008, siccome precisato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 325/2010.

33

Sotto il profilo in esame, appare importante osservare che la Corte

Costituzionale non aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 113, comma

15 bis, ma si era semplicemente limitata a dare atto che esso è stato abrogato dall’art.

23 bis.

Anzi il Giudice delle leggi si è espresso in senso contrario, in quanto ha

dichiarato costituzionalmente legittimo l’art. 23 bis, comma 8, nella versione vigente

che era pressoché identica all’art. 113, comma 15 bis.

Ora, come detto, a seguito della consultazione referendaria l’art. 23 bis è

stato abrogato, con effetti peraltro ex nunc e cioè da quando sono stati pubblicati sulla

G.U. gli esiti referendari.

Si ritiene pertanto che la doppia abrogazione, prima dell’art. 113 comma 15

bis (dal 22 agosto 2008) e poi dell’art. 23 bis (dal 21 luglio 2011) non possa aver alcun

impatto sugli affidamenti in corso del servizio idrico integrato a società quotate ed alle

loro controllate (ovviamente a condizione che rispettassero i requisiti previsti dalle

suddette norme) in quanto entrambe avevano ed hanno già esplicato il loro effetto di

“sanatoria” nel momento in cui sono state abrogate.

Occorre infatti rilevare che già in passato il Consiglio di Stato aveva

inquadrato la disposizione di cui all’art. 113, comma 15 bis quale una norma di

“sanatoria”: con la sentenza della Sez. V del 19 febbraio 2004, n. 679, commentando

l’art. 113 comma 15 bis, aveva espressamente affermato che: “Si tratta, al di la di ogni

ragionevole dubbio, di una norma di salvezza destinata a conferire legittimità a

provvedimenti posti in essere sotto il vigore di una diversa disciplina. Ne consegue che

appare irrilevante, nella specie, l'approfondimento circa la fondatezza dei motivi di

appello, posto che l'efficacia retroattiva della richiamata normativa obbligherebbe

comunque all'accoglimento del gravame”.

Ciò vale analogamente per l’art. 23 bis che deve essere qualificato come una

norma non solo transitoria ma anche e soprattutto di salvezza (rectius: tutela

dell’affidamento) con specifico riguardo alle società quotate e società da questa

controllate.

È, pertanto, da ritenere che restino validi gli affidamenti fatti salvi non solo

34

in vigenza dell’art. 113 comma 15 bis del D.lgs. n. 267/2000 fino all’abrogazione delle

disposizioni in esso contenute, bensì anche quelli fatti salvi in vigenza dell’art. 23 bis,

fino alla sua abrogazione a seguito dell’esito del referendum.

In conclusione, gli affidamenti dei servizi pubblici conformi alle disposizioni

di legge vigenti al momento in cui sono stati assentiti risultano salvaguardati fino alla

loro naturale scadenza contrattuale, essendo venute meno (a seguito dell’abrogazione

dell’art. 23 bis) le disposizioni che prevedevano la loro anticipata cessazione in caso

non risultassero in linea con le più stringenti disposizioni previste dal medesimo art.

23bis.

Un’ultima importante problematica nell’ambito del regime transitorio

riguarda, come accennato sopra, la questione della tariffa del servizio idrico integrato.

Più precisamente, occorre verificare se l’abrogazione della voce

dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito ad opera del recente

referendum abrogativo possa incidere immediatamente sul regime tariffario.

A mio avviso la risposta deve essere negativa, e ciò sotto diversi profili.

Come accennato sopra, a tutt’oggi non è ancora stato emanato il decreto

ministeriale di attuazione dell’art. 154.

L’art. 170, che appunto prevede la sopravvivenza del metodo normalizzato

del 1996 fino a che non sarà emanato il nuovo decreto, non è stato toccato

dall’abrogazione del referendum.

Conseguentemente è corretto ritenere che finchè non sarà emanato il decreto

di cui sopra, gli ATO dovranno consentire ai gestori di continuare ad applicare le

tariffe vigenti, calcolate sulla base del metodo normalizzato.

D’altra parte lo stesso comma 5 dell’art. 154 prevede che la tariffa è

applicata dai soggetti gestori nel rispetto della convenzione e del disciplinare, di talchè

è ad essi che bisogna fare riferimento per individuare, allo stato, la disciplina in

materia di tariffe.

Questo riferimento alla convenzione e al disciplinare è importante in quanto

è possibile sostenere che, proprio in ossequio a quanto previsto dall’art. 154, tutte le

35

convenzioni stipulate prima della sua abrogazione non saranno colpite dagli effetti

soppressivi, analogamente a quanto successo per il canone concessorio disciplinato

dall’art. 153 del T.U. Ambiente.

Tale norma, operativa dall’aprile del 2006, ha, come è noto, introdotto il

concetto di gratuità del canone concessorio, che era invece prima oneroso.

La Corte Costituzionale, interessata dalla questione, con la sentenza n. 246

del 24 luglio 2009, ha statuito che la disposizione in questione trova applicazione solo

per le convenzioni stipulate dopo l’entrata in vigore della norma.

Tali principi sono applicabili al caso di specie e, quindi, il calcolo della

tariffa secondo le nuove modalità dovrebbe riguardare solo le concessioni stipulate

dopo l’abrogazione della norma stessa.

E’ altresì evidente che un concessionario che abbia partecipato a una gara o

comunque conseguito il servizio e stipulato il relativo contratto, ha tenuto conto di un

certo corrispettivo, ed è chiaro che la modifica della tariffa andrebbe ad incidere

sull’assetto negoziale, così come era stato accettato e pattuito.

Il diritto al mantenimento della tariffa preventivamente concordata non nasce

solo dalla pregressa pattuizione che ha ovviamente quantificato un certo corrispettivo

contrattuale, ma anche dai principi, immanenti dell’ordinamento, che mirano a tutelare

l’affidamento di posizioni maturate anche in osservanza del principio tempus regit

actum.

Bisogna, poi, ricordare che il principio della tutela dell’affidamento non

appartiene solo al nostro ordinamento interno, ma è espressione di un principio a

livello comunitario, costantemente affermato da numerose sentenze della Corte di

Giustizia UE.

Ma al di là di questa verifica per le posizioni già maturate, va peraltro

osservato che anche per le concessioni future il legislatore, nonostante l’esito

referendario, non potrà prescindere dal ricomprendere nella tariffa la remunerazione

del capitale investito.

36

A tal riguardo occorre ora operare una ricognizione di tutte le norme sia a

livello comunitario, sia facenti parte dell’ordinamento nazionale che prevedono e

disciplinano siffatto principio.

In primo luogo, occorre richiamare l’art. 117 del TUEL il quale testualmente

prevede:

“1. Gli enti interessati approvano le tariffe dei servizi pubblici in misura tale da

assicurare l’equilibrio economico-finanziario dell’investimento e della connessa

gestione. I criteri per il calcolo della tariffa relativa ai servizi stessi sono i seguenti:

a) la corrispondenza tra costi e ricavi in modo da assicurare la integrale

copertura dei costi, ivi compresi gli oneri di ammortamento tecnico-

finanziario;

b) l’equilibrato rapporto tra i finanziamenti raccolti ed il capitale investito;

c) l’entità dei costi di gestione delle opere, tenendo conto anche degli investimenti

e della qualità del servizio;

d) l’adeguatezza della remunerazione del capitale investito, coerente con le

prevalenti condizioni di mercato.

2. La tariffa costituisce il corrispettivo dei servizi pubblici; essa è determinata e

adeguata ogni anno dai soggetti proprietari, attraverso contratti di programma di

durata poliennale, nel rispetto del disciplinare e dello statuto conseguenti ai modelli

organizzativi prescelti.

3. Qualora i servizi siano gestiti da soggetti diversi dall’ente pubblico per effetto di

particolari convenzioni e concessioni dell’ente o per effetto del modello organizzativo

di società mista, la tariffa è riscossa dal soggetto che gestisce i servizi pubblici.”

Come si vede, uno dei criteri da osservare per il calcolo della tariffa, è

l’adeguatezza della remunerazione del capitale investito.

E’ evidente, pertanto, che si potrebbe porre una netta disparità di trattamento

tra la disposizione per la tariffa del servizio idrico integrato come scaturente a partire

dall’art. 154 e la tariffa prevista per tutti gli altri servizi pubblici.

Addirittura si potrebbe profilare a tal riguardo un eventuale giudizio avanti la

Corte Costituzionale volto ad accertare l’illogicità di siffatta disparità di trattamento.

37

Sempre nell’ambito della normativa interna si può ricordare l’art. 30 del

Codice dei Contratti – norma fra l’altro ritenuta ora applicabile, come visto, in materia

di affidamento del servizio idrico integrato dopo l’abrogazione del 23 bis - la quale

espressamente prevede al comma 2: “Nella concessione di servizi la controprestazione

a favore del concessionario consiste unicamente nel diritto di gestire funzionalmente e

di sfruttare economicamente il servizio. Il soggetto concedente stabilisce in sede di

gara anche un prezzo, qualora al concessionario venga imposto di praticare nei

confronti degli utenti prezzi inferiori a quelli corrispondenti alla somma del costo del

servizio e dell’ordinario utile di impresa, ovvero qualora sia necessario assicurare al

concessionario il perseguimento dell’equilibrio economico-finanziario degli

investimenti e della connessa gestione in relazione alla qualità del servizio da

prestare.”.

Come si evince chiaramente da tale norma, al concessionario deve essere

sempre garantito l’utile di impresa, di talchè nell’ipotesi che egli debba praticare agli

utenti tariffe che non tengano conto di detto utile il soggetto concedente deve

corrispondergli necessariamente un prezzo.

Altra disposizione volta ad assicurare l’equilibrio economico-finanziario e,

quindi, un necessario utile d’impresa è l’art. 143 del Codice dei Contratti che

disciplina la concessione di lavori pubblici.

Essa prevede al comma 4 che: “Tuttavia, il soggetto concedente stabilisce in

sede di gara anche un prezzo, qualora al concessionario venga imposto di praticare

nei confronti degli utenti prezzi inferiori a quelli corrispondenti alla remunerazione

degli investimenti e alla somma del costo del servizio e dell’ordinario utile di impresa,

ovvero qualora sia necessario assicurare al concessionario il perseguimento

dell’equilibrio economico - finanziario degli investimenti e della connessa gestione in

relazione alla qualità del servizio da prestare.

Nella determinazione del prezzo si tiene conto della eventuale prestazione di

beni e servizi da parte del concessionario allo stesso soggetto aggiudicatore,

relativamente all’opera concessa, secondo le previsioni del bando di gara.”

38

Parimenti importante è la disposizione contenuta nel successivo comma 8

che recita testualmente: “La stazione appaltante, al fine di assicurare il perseguimento

dell’equilibrio economico - finanziario degli investimenti del concessionario, può

stabilire che la concessione abbia una durata superiore a trenta anni, tenendo conto

del rendimento della concessione, della percentuale del prezzo di cui ai commi 4 e 5

rispetto all’importo totale dei lavori, e dei rischi connessi alle modifiche delle

condizioni di mercato. I presupposti e le condizioni di base che determinano

l’equilibrio economico - finanziario degli investimenti e della connessa gestione, da

richiamare nelle premesse del contratto, ne costituiscono parte integrante. Le

variazioni apportate dalla stazione appaltante a detti presupposti o condizioni di base,

nonché le norme legislative e regolamentari che stabiliscano nuovi meccanismi

tariffari o nuove condizioni per l’esercizio delle attività previste nella concessione,

quando determinano una modifica dell’equilibrio del piano, comportano la sua

necessaria revisione, da attuare mediante rideterminazione delle nuove condizioni di

equilibrio, anche tramite la proroga del termine di scadenza delle concessioni. In

mancanza della predetta revisione il concessionario può recedere dal contratto. Nel

caso in cui le variazioni apportate o le nuove condizioni introdotte risultino più

favorevoli delle precedenti per il concessionario, la revisione del piano dovrà essere

effettuata a favore del concedente.”

Le due disposizioni sopra riportate sono assai importanti sia per le future

convenzioni, in quanto impongono che al concessionario sia garantito l’utile di

impresa anche quando deve praticare delle tariffe che non lo ricomprende, sia per le

convenzioni in essere, in quanto prevedono l’obbligo per la Stazione Appaltante di

garantire per tutta la durata del rapporto l’equilibrio economico finanziario, soprattutto

allorquando vi siano delle modifiche alle condizioni di base derivanti da nuovi

meccanismi tariffari.

Un ulteriore principio a sostegno di quanto sopra si rinviene, a livello

comunitario, nella risoluzione del Parlamento Europeo n. 2043 del 2006 che al punto

29 prevede che “ritiene che le concessioni debbano avere una durata limitata, che

dipende tuttavia dalla durata di ammortamento dell’investimento privato, affinché i

39

candidati non siano esclusi troppo a lungo dalla concorrenza; ritiene che la durata

delle relazioni di partenariato debba essere definita in maniera tale che la libera

concorrenza sia in linea di massima limitata solo se necessario per garantire

l’ammortamento degli investimenti, una remunerazione appropriata del capitale

investito e il rifinanziamento di futuri investimenti”.

Occorre, infine, menzionare una rilevante novità in materia di tariffe,

introdotta dal cosiddetto D.L. “Sviluppo” (D.L. n. 70/2011).

Ci si riferisce, in particolare, all’art. 10, commi 11 e ss. del D.L. predetto, con

i quali, come accennato sopra, è stata istituita l’Agenzia Nazionale di Vigilanza sulle

Risorse Idriche.

Tale Agenzia è una vera e propria Authority, in quanto è un soggetto

giuridico distinto ed è funzionalmente indipendente dal Governo.

All’Agenzia sono state attribuite molteplici funzioni e competenze, alcune

sicuramente nuove e altre già spettanti alla Commissione Nazionale di Vigilanza

sull’uso delle Risorse Idriche.

Ma vediamo quali sono queste nuove funzioni attribuite all’Agenzia, per

quanto qui ci interessa.

Ci si riferisce in particolare alle competenze descritte alle lett. c), d), e), f),

g), h) le quali stabiliscono:

“c) definisce le componenti di costo per la determinazione della tariffa relativa ai

servizi idrici per i vari settori di impiego dell’acqua, anche in proporzione al grado di

inquinamento ambientale derivante dai diversi tipi e settori di impiego e ai costi

conseguenti a carico della collettività;

d) predispone il metodo tariffario per la determinazione, con riguardo a ciascuna

delle quote in cui tale corrispettivo si articola, della tariffa del servizio idrico

integrato, sulla base della valutazione dei costi e dei benefici dell’utilizzo delle risorse

idriche e tenendo conto, in conformità ai principi sanciti dalla normativa comunitaria,

sia del costo finanziario della fornitura del servizio che dei relativi costi ambientali e

delle risorse, affinché siano pienamente attuati i principi del recupero dei costi ed il

40

principio “chi inquina paga”, e con esclusione di ogni onere derivante dal

funzionamento dell’Agenzia; fissa, altresì, le relative modalità di revisione periodica,

vigilando sull’applicazione delle tariffe, e, nel caso di inutile decorso dei termini

previsti dalla legge per l’adozione degli atti di definizione della tariffa da parte delle

autorità al riguardo competenti, come individuate dalla legislazione regionale in

conformità a linee guida approvate con decreto del Ministro dell’ambiente e della

tutela del territorio e del mare previa intesa con la Conferenza unificata, provvede

nell’esercizio del potere sostitutivo, su istanza delle amministrazioni o delle parti

interessate, entro sessanta giorni, previa diffida all’autorità competente ad adempiere

entro il termine di venti giorni;

e) approva le tariffe predisposte dalle autorità competenti

f) verifica la corretta redazione del piano d’ambito, esprimendo osservazioni, rilievi e

impartendo, a pena d’inefficacia, prescrizioni sugli elementi tecnici ed economici e

sulla necessità di modificare le clausole contrattuali e gli atti che regolano il rapporto

tra le Autorità d’ambito territoriale ottimale e i gestori del servizio idrico integrato;

g) emana direttive per la trasparenza della contabilità delle gestioni e valuta i costi

delle singole prestazioni, definendo indici di valutazione anche su base comparativa

della efficienza e della economicità delle gestioni a fronte dei servizi resi”.

Come è possibile constatare dalla lettura delle disposizioni sopra riportate, si

tratta di una revisione completa della disciplina in materia di tariffe, sia in ordine alle

competenze, sia in ordine al contenuto della tariffa stessa.

Si può dunque ritenere che tale nuova disciplina sia sostitutiva e

incompatibile con quella prevista dall’art. 154 del Dlgs 152/06.

D’altra parte, contrariamente a quanto previsto dall’art. 154, il nuovo metodo

tariffario è di competenza dell’Agenzia e non del Ministero dell’ Ambiente.

Lo stesso art. 10, comma 14, lett. d), che menziona tutte le voci della tariffa,

non richiama l’art. 154 ed il suo contenuto è parzialmente diverso da quello previsto

nell’art. 154 stesso.

41

Si rileva poi, a tal fine, che le norme contenute nel D.lgs n. 152/2006 non

sono più, come erano nell’originaria impostazione del Decreto, “norme rafforzate” e

cioè norme per la cui abrogazione era necessaria una abrogazione espressa.

Per effetto della L. n. 128/2010, a partire dal giugno 2010, è stata abrogata la

norma del D.lgs. 152/2006 (art. 3) che prevedeva tale portata “rafforzata” delle proprie

norme, con la conseguenza che da tale data è possibile procedere anche ad una

abrogazione implicita, ovvero ad una abrogazione per effetto di norme che prevedano

una disciplina incompatibile con quella contenuta nel Codice dell’ambiente ovvero una

normativa che ri-disciplini in modo differente una determinata materia.

Questo è proprio il caso della disciplina sopra riportata, contenuta nell’art. 10

del D.L. Sviluppo, che, come visto, ridisciplina, tra l’altro, la materia tariffaria in

maniera differente rispetto all’art. 154 del D.lgs. n. 152/2006, che si può dunque

ritenere essere stato implicitamente abrogato.

In tale situazione, pertanto, considerando che:

- l’art. 170 del D.lgs. n. 152/2006, e cioè la norma che prevedeva la perdurante

vigenza del metodo normalizzato non è stata abrogata;

- che l’art. 154 del decreto medesimo non è più attuabile, posto che la nuova

norma sul Decreto Sviluppo prevede una nuova competenza in tal senso

attribuita all’Agenzia, con le modalità ed i contenuti previsti nello stesso

comma 14, che come si è detto è implicitamente abrogativo delle disposizioni

contenute nell’art. 154,

allora appare evidente che le convenzioni attualmente vigenti non possono

venire incise quantomeno fino a che le nuove norme non riceveranno attuazione, a

cominciare dalla istituzione dell’Agenzia, né potranno essere modificate le tariffe

attualmente vigenti.

E ciò considerato che in base alle nuove norme, sarà competenza della nuova

Agenzia elaborare il modello delle nuove tariffe e l’ATO (o l’organismo che verrà

individuato e deputato a svolgerne le funzioni) dovrà sottoporre ad essa le tariffe che

predisporrà in osservanza del modello di cui sopra, ed altresì sarà sempre la nuova

Agenzia a proporre le eventuali modifiche alle convenzioni esistenti.

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In conclusione, sono dell’avviso che gli AATO, alla luce di tutto quanto

sopra e del quadro normativo descritto e delineato, non possono procedere allo stato ad

alcuna modifica né delle convenzioni in essere né della tariffa vigente ed applicata.

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