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TEORIA DELL’ORGANIZZAZIONE. Mary Jo Hatch. Marzano. Cod 92066 CAPITOLO 1 - TEORIA: insieme di concetti le cui relazioni ipotizzate offrono spiegazione, interpretazione o apprezzamento di un fenomeno di interesse. - CONCETTI: forniscono categorie mentali che ci permettono di classificare, organizzare e fissare nella memorie delle idee. Si formano attraverso l’ASTRAZIONE, un processo che comporta la separazione mentale di una idea specifica dai suoi casi particolari. Ad esempio, il concetto di “cane” si può applicare a tutti i cani e lo usiamo quando parliamo di loro. Ciascuno di noi però ha costruito il proprio concetto sugli incontri che ha avuto con certi animali, pertanto i nostri concetti possono non essere identici. I concetti si fondono sia su casi positivi sia su quelli negativi. Non sono una aggregazione di tutte le informazioni acquisite, sono più sintetici. Nel momento in cui formiamo un concetto, ignoriamo le specificità dei singoli esempi. L’eliminazione dei dettagli di determinati esempi produce l’astrazione. - ASTRAZIONE: permette di accorpare quantità di conoscenze in un solo concetto e processare ciò che già si conosce. L’importanza della processazione la si vede nel chunking . - CHUNKING: è un fenomeno cognitivo. Termine che si traduce nel fatto che si possono pensare 7 frammenti informativi per volta (cioè possiamo pensare a 7 cani diversi e nient’altro) oppure formando un chunk più grande attraverso la concettualizzazione astratta, possiamo pensare a tutti i cani dell’universo e altri sei animali diversi dal cane. Il chunking da la possibilità di manipolare grossi blocchi di conoscenze distillati in concetti attraverso l’astrazione per generare nuove conoscenze. Quando i concetti su cui si basa una teoria vengono definiti ai massimi livelli di astrazione, la teoria acquisisce GENERALIZZABILITA’. - GENERALIZZABILITA’: si applica a tante situazioni con poche condizioni limitanti. Però ha sia vantaggi (più generale è la teoria, più numerosi sono i casi a cui si può applicare) che svantaggi (più generale è la teoria, meno ovvia e diretta è la sua applicazione). Le diverse prospettive Prospettive teoriche:
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TEORIA DELL’ORGANIZZAZIONE. Mary Jo Hatch.

Marzano. Cod 92066

CAPITOLO 1

- TEORIA: insieme di concetti le cui relazioni ipotizzate offrono spiegazione, interpretazione o apprezzamento di un fenomeno di interesse.

- CONCETTI: forniscono categorie mentali che ci permettono di classificare, organizzare e fissare nella memorie delle idee. Si formano attraverso l’ASTRAZIONE, un processo che comporta la separazione mentale di una idea specifica dai suoi casi particolari. Ad esempio, il concetto di “cane” si può applicare a tutti i cani e lo usiamo quando parliamo di loro. Ciascuno di noi però ha costruito il proprio concetto sugli incontri che ha avuto con certi animali, pertanto i nostri concetti possono non essere identici.

I concetti si fondono sia su casi positivi sia su quelli negativi. Non sono una aggregazione di tutte le informazioni acquisite, sono più sintetici. Nel momento in cui formiamo un concetto, ignoriamo le specificità dei singoli esempi. L’eliminazione dei dettagli di determinati esempi produce l’astrazione.

- ASTRAZIONE: permette di accorpare quantità di conoscenze in un solo concetto e processare ciò che già si conosce. L’importanza della processazione la si vede nel chunking.

- CHUNKING: è un fenomeno cognitivo. Termine che si traduce nel fatto che si possono pensare 7 frammenti informativi per volta (cioè possiamo pensare a 7 cani diversi e nient’altro) oppure formando un chunk più grande attraverso la concettualizzazione astratta, possiamo pensare a tutti i cani dell’universo e altri sei animali diversi dal cane. Il chunking da la possibilità di manipolare grossi blocchi di conoscenze distillati in concetti attraverso l’astrazione per generare nuove conoscenze. Quando i concetti su cui si basa una teoria vengono definiti ai massimi livelli di astrazione, la teoria acquisisce GENERALIZZABILITA’.

- GENERALIZZABILITA’: si applica a tante situazioni con poche condizioni limitanti. Però ha sia vantaggi (più generale è la teoria, più numerosi sono i casi a cui si può applicare) che svantaggi (più generale è la teoria, meno ovvia e diretta è la sua applicazione).

Le diverse prospettive

Prospettive teoriche:

derivano da affinità nel modo in cui vengono definiti, teorizzati e studiati i fenomeni. Ci sono 3 prospettive principali (moderna, simbolica, postmoderna). Interconnessa a queste tre prospettive c’è una esigenza normativa che vuole collegare la teoria alla pratica.

Adottare una teoria normativa significa definire una teoria in base alle sue applicazioni pratiche. Significa valutare un fenomeno sulla base di un ideale di come dovrebbe essere la realtà. La prospettiva normativa, viene di fatto esemplificata dalle best practices o dal benchmarketing significa che emulando i metodi o le tecniche di maggior successo se ne emulano anche i risultati.

1. Prospettiva moderna

La sua attenzione si focalizza sulla spiegazione causale, cioè presuppone la definizione degli antecedenti e delle conseguenze del fenomeno di interesse. I metodi si fondano sul ragionamento matematico, ma purtroppo tali metodi sono troppo confusi per realizzare questo ideale. Il pericolo insito in questa prospettiva? Confondere la correlazione con la causalità.

2. Prospettiva simbolica

Studia i fenomeni incorporati nella soggettività. L’interesse per l’esperienza soggettiva e i processi interpretativi produce la comprensione. Adottare questa prospettiva significa immedesimarsi nelle situazioni in cui si trovano coloro che vogliamo studiare. Vengono impiegati i metodi qualitativi e il

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più diffuso è certamente l’etnografia. Qual è il pericolo? Che i ricercatori generalizzino eccessivamente.

3. Prospettiva postmoderna

Offre la critica e altre forme di apprezzamento.  I fenomeni che interessano ai post-modernisti sono le pratiche manageriali. I metodi che preferiscono comportano la revisione dei concetti e delle teorie del modernismo, attraverso l’adozione di un approccio critico o estetico nei loro confronti. I post-modernisti esprimono apprezzamento sia come alternativa alla spiegazione e comprensione, sia per stimolare la riflessione. Attraverso l’apprezzamento del potere sperano di promuovere l’emancipazione dal predominio di pratiche organizzative post-moderniste come la gerarchia. Il loro lavoro fa leva sull’empatia emotiva e sull’apprezzamento estetico per accrescere la resistenza alle restrizioni che limitano la libertà umana.

La base filosofica delle prospettive: ontologia ed epistemologia

Le differenze tra le prospettive si possono esprimere in base all’ontologia e all’epistemologia.

- Ontologia: studia gli assunti sull’esistenza e le definizioni della realtà

- Epistemologia: studia il processo cognitivo e il contenuto della conoscenza.

Esse sono interconnesse.

1. Ontologia come oggettivismo Vs al soggettivismo

I modernisti seguono l’ontologia obiettiva credono in una realtà incontrollabile sottratta all’influenza umana. Le cose esistono indipendentemente dalla conoscenza che ne abbiamo. Una caratteristica della prospettiva moderna è trattare tutti i fenomeni come se fossero oggetti. Le osservazioni non devono essere condizionate dalle percezioni soggettive sui fenomeni o da idee o aspettative preconcette su di essi. Per gli oggettivisti, la percezione soggettiva è uguale a un pregiudizio che deve essere rimosso.

Ontologia soggettiva convezioni che molti fenomeni resterebbero inconoscibili se si usasse l’ontologia oggettiva. I soggettivisti si concentrano su quello che emerge dai pensieri, dai sentimenti e dalle relazioni con il contesto. Pertanto i fenomeni che interessano i soggettivisti richiedono l’uso di quei pregiudizi che vengono accusati dagli oggettivisti di rendere inaffidabili i risultati delle ricerche, e nono solo, ma dato che tali fenomeni sono difficili da percepire con i 5 sensi, diventano importanti l’empatia, l’intuito e la ragione.

2. Epistemologia come positivismo Vs all’interpretativismo

Epistemologia positiva ritiene che si possa scoprire la verità sui fenomeni attraverso l’applicazione del metodo scientifico. Una conoscenza accettabile viene generata sviluppando ipotesi e proposizioni sulla base della teoria, per poi metterle alla prova raccogliendo e analizzando i dati che permettono di confrontare le implicazioni della teoria con la realtà esterna.

Epistemologia interpretativista ritiene che le conoscenze si possono creare e comprendere solo all’interno dei contesti che danno significato all’esperienza. Nello stesso contesto possono coesistere tante letture e tante interpretazioni della realtà, a seconda di chi è coinvolto.

Gli interpretativisti ritengono che l’ontologia soggettiva sia insostenibile, rifiutano il metodo scientifico tradizionale e si rivolgono ai metodi interpretativi sviluppati nelle arti e negli studi umanistici.  I positivisti adottano i dati “hard”, mentre gli interpretativisti preferiscono i dati “soft”.

Alcuni oggettivisti riconoscono che è impossibile rimuovere il pregiudizio dall’osservazione, pertanto in parte accettano la tesi soggettivista. Usano questa ontologia oggettivista rivisitata per negare l’esigenza di una epistemologia interpretativista.

I post-modernisti hanno sottolineato che la revisione dell’oggettivismo dei modernisti si appropria di una posizione ontologica del soggettivismo, rivelando così le sue intenzioni egemoniache. I

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modernisti sono accusati di ammorbidire le loro posizioni con lo scopo di mantenere il potere.

- La svolta linguistica postmoderna

I post-modernisti negano in origine che le parole rappresentino le cose; è il linguaggio che coincide di più con la realtà svolta linguistica.

Heidegger voleva capire come si sostanzia l’essere e concludeva che il linguaggio e i discorsi creati parlando, scrivendo o leggendo danno concretezza all’essere. Ciò ha posto le basi per il postmodernismo: l’idea che il mondo sia costituito dal linguaggio (al quale non ci si può sottrarre). Dal punto di vista epistemologico i post-modernisti sono convinti che non si possa conoscere nulla, ciò non nega l'epistemologia, anzi si può considerare come assunto epistemologico in sé. La negazione postmoderna dell’esistenza della realtà al di fuori del linguaggio definisce una posizione ontologica, che alcuni considerano nichilista.

Alcuni post-modernisti condividono diverse convinzioni che derivano dalla svolta linguistica:

a. I discorsi in cui ci impegnano plasmano la nostra realtà influenzando il modo in cui usiamo il linguaggi e di ciò di cui parliamo.

b. L’oratore, le parole dette e il discorso si integrano nel linguaggio

c. Il significato non si può cristallizzare, al pari della realtà. Entrambi sono in divenire continuo e potrebbero modificarsi a ogni nuova frase.

Il potere e la comunicazione sono centrali nel postmodernismo, chi controlla il discorso può far apparire o scomparire qualcosa. Il potere delle parole si trasmette a coloro che possono influenzare il discorso dominante (esperti, giornalisti...). Il potere induce a distorsioni comunicative, ponendo le basi per lo sfruttamento e l’abuso. L'emancipazione dall’abuso linguisticamente indotto si ottiene solo attraverso la consapevolezza di come il linguaggio incorporato nel discorso produce la realtà.

 

Vd. Pag 31 TAB 1.3 Sintesi delle tra prospettive della teoria organizzativa.

 

CAPITOLO 2

Gli inizi della teoria organizzativa

Adam Smith (1723-1790)

1776 pubblica Saggio sulla natura e sulle cause della ricchezza delle nozioni in cui spiega che la divisione del lavoro crea efficienza economica. Per dimostrare l’efficienza della sua teoria, smith la applica nel contesto di una fabbricazione di spilli:

Gli effetti della divisione sul lavoro si comprendono considerando alcune manifatture. Si suppone che la divisione del lavoro sia spinta al massimo nelle manifatture secondarie perché queste sono destinate a provvedere a piccoli bisogni di poche persone e il numero di addetti dev’essere piccolo. Invece nelle grandi manifatture, ciascun ramo impiega molti operai, tanto che diventa impossibile raggrupparli nella stessa officina. Prendendo ad esempio una fabbricazione di spilli, che necessita 18 operazioni diverse. Nella fabbrica analizzata lavoravano 10 uomini e al giorno fabbricavano circa 48000 spilli al giorno. Se avessero lavorato separatamente non sarebbero riusciti a produrre nemmeno uno spillo al giorno. La divisione del lavoro determina in ogni arte un aumento proporzionale della capacità produttiva del lavoro.

La teoria si Smith descrive pratiche di management industriale molto importanti che avrebbero portato all’uso di tecniche di management  come la semplificazione della produzione, dell’analisi dei tempi e dei metodi. La divisione del lavoro, che include la differenziazione dei compiti e la specializzazione della manodopera diventa importante per il concetto di struttura sociale (elemento base della teoria organizzativa).

Karl Marx (1818-1883)

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Egli tratta della teoria del capitale, cioè la necessità di sopravvivere degli esseri umani e dal desiderio di prosperare una volta raggiunti i bisogni di sopravvivenza. Questi ultimi creano un ordine economico quando le persone scoprono efficienze economiche del lavoro collettivo e delle strutture sociali che lo supportano. L’efficienza economica crea surplus di materie prime e di tempo che si può investire nel progresso culturale.

Problema: nella teoria marxista, la base economica su cui gli individui costruiscono la propria cultura è condizionata dalle relazioni di potere che si vengono a creare tra capitale e lavoro. Le relazioni di potere mettono i capitalisti (possessori di mezzi di produzione, attrezzature...) contro i lavoratori (fabbricano i prodotti). Il loro antagonismo è alla base del sistema capitalistico la contrapposizione tra capitale e lavoro riguarda anche la ripartizione dei profitti che si creano quando i prodotti e servizi sono inseriti nel mercato in cambio di un prezzo superiore al costo. Dato che il profitto deriva da questa contraddizione, ciascuna delle due parti può richiedere il surplus. Questo conflitto sociale si inasprisce con la ricerca della profittabilità. Senza il profitto, la sopravvivenza dell’impresa e dell’intera economia capitalista sarebbe a rischio perché non ci sarebbero più investimenti. La concorrenza delle altre imprese attenua la pressione che grava sui prezzi dei prodotti e dei servizi, ciò induce le imprese a ridurre i costi di produzione per assicurare un profitto ai loro finanziatori. Nella logica capitalista la manodopera viene considerata un costo di produzione il lavoro viene equiparato a qualsiasi altra merce e gli essere umani considerati come strumenti. La mercificazione della manodopera porta allo sfruttamento dei lavoratori e alla loro alienazione, questa si determina quando gli operai si auto sfruttano. Se i lavoratori non organizzano una resistenza di controllo manageriale (sindacati), lo sfruttamento e l’alienazione diventano inevitabili.

La teoria di Marx ha ispirato una teoria critica nei confronti del management come professione.

Émile Durkheim (1858-1917)

1893 scrive La divisione del lavoro sociale in cui spiega il cambiamento strutturale che si è determinato con il passaggio dalla società agricola alla società industriale. La teoria di Durkheim riecheggia quella di Smith ma aggiunge la gerarchia e l’interdipendenza dei ruoli e della divisione del lavoro esse sono alla base della struttura sociale e hanno fornito i concetti principali ai sostenitori della prospettiva moderna nella teoria dell’organizzazione, come i metodi quantitativi di ricerca.

Durkheim ha proposto il concetto di organizzazione informale che enfatizza i bisogni sociali dei lavoratori in  opposizione all’organizzazione formale incorporata nella divisione del lavoro, nella gerarchia e nell’interdipendenza dei compiti. L’organizzazione informale ha posto le basi per gli studi circa le scienze sul comportamento organizzativo e la psicologia industriale e organizzativa. La distinzione di Durkheim tra i due tipi di organizzazione sopracitati, ha fatto emergere nella teoria organizzativa una tensione tra aspetti economici (hard) e aspetti umanistici (soft).

Max Weber (1864-1920)

Egli era molto interessato a un nuovo tipo di struttura di autorità prima dell’industrializzazione le società si organizzavano sulla base del potere tradizionale o del potere carismatico, ma con l’industrializzazione si è affermato il potere razionale-legale.

- Potere tradizionale si fonda su una condizione ereditaria definita e mantenuta da aspetti come le linee di sangue o la titolarità giuridica dei beni. È la tradizione che stabilisce l’ordine sociale, ma gli eredi dello status e del potere potrebbero non essere in grado di esercitare la leadership.

- Potere carismatico: l’attrattiva personale di alcuni individui giustifica e legittima l’ascendente che esercitano sugli altri.

- Potere razionale-giuridico: ha sostituito il nepotismo e i culti della personalità grazie a una selezione meritocratica ispirata alle regole e leggi formulate razionalmente.  La società basata su questo tipo di potere garantirebbe un comportamento appropriato dei governanti veicolandoli alle

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stesse leggi e alle stesse regole che ne definiscono il diritto di comandare. E attingerebbero a un bacino più ampio di potenziali leader. Weber sapeva che ciò non si sarebbe mai concretizzato. 1924 ne descrive i rischi nella sua opera intitolata La teoria dell’organizzazione sociale ed economica, in cui ipotizza che la burocrazia potesse estendere l’efficienza tecnica delle organizzazioni industriali all’intera società attraverso la razionalizzazione dell’ordine sociale. Egli fece una analogia tra il modo in ci la tecnologia razionalizza l’ordine economico delle imprese e il modo in cui la burocrazia porta a migliorare l’efficienza delle organizzazioni. Weber riconosce che i risultati della razionalizzazione burocratica dipendono dai valori degli esseri umani. Da questo punto di vista, egli distingue tra razionalità formale e razionalità sostanziale.

o Razionalità formale comporta l’uso di tecniche di calcolo (hard). Tenendo conto solo di questo tipo di razionalità, si costruirebbe una gabbia di ferro che trasforma ogni essere umano in “una rotella all’interno di un ingranaggio in continuo movimento”.

o Razionalità sostanziale designa i fini desiderati che guidano l’uso delle tecniche hard.

Weber era convinto servissero entrambi.

Frederick W. Taylor (1856-1915)

Si rese conto che per gestire in modo efficace gli operai doveva conoscere gli aspetti tecnici del loro lavoro e comprenderne le motivazioni psicologiche. I suoi esperimenti si concentravano sulla gestione delle materie prime, sull’uso degli attrezzi e delle macchine e sulla motivazione degli operai. tali esperimenti hanno portato al management scientifico conosciuto come anche taylorismo, da cui trasse i principi di gestione della produzione che avrebbero consentito ai manager di pagare salari elevati riducendo allo stesso tempo i costi di produzione. Taylor credeva che questo sistema avrebbe massimizzato i benefici apportati dalle fabbriche alla società, favorito elevati livelli di cooperazione tra management e lavoratori e indotto gli operai a rispettare e superare gli standard prefissati.--> evitato il conflitto sociale previsto da Marx.

Questa visione venne poi adottata da capi di stato e leader aziendali quando si videro gli enormi incrementi di produttività. Si parla di fordismo quando le pratiche tayloristiche vengono applicate alle linee di montaggio.

Quando nacque il taylorismo si temeva che venisse intaccato il rapporto di fiducia e di cooperazione tra management e lavoratori. Si cercò di far penetrare questi principi negli enti pubblici ma il sindacato si oppose e la conseguenza fu lo sciopero. Il taylorismo trovò difficoltà ad inserirsi in stati dove i diritti dei lavoratori erano meglio tutelati (Regno Unito, Francia, Svezia e Danimarca).

Mary Parker Follet(1868-1933)

Era convinta che i principi su cui si basano le comunità sociali si potevano applicare anche agli enti pubblici e altre organizzazioni.

1924 presentò una teoria basata sul principio dell'autogoverno, la quale avrebbe facilitato la crescita degli individui e dei gruppi ai quali appartenevano → interagendo tra loro per raggiungere gli stessi obiettivi, i membri del gruppo si realizzavano attraverso lo sviluppo collettivo del gruppo.

Ella promuoveva l'idea che le organizzazioni di una società democratica dovrebbero adottare ideali democratici e che il potere dovrebbe essere esercitato con le persone. A differenza di Marx, la Follett riteneva che il potere fosse una fonte di energia creativa. Vedeva nella creazione di un potere congiunto per affrontare una situazione conflittuale un'alternativa alla concezione del potere come forza competitiva basata sul dominio. Riteneva che il dominio fosse solo uno dei tre possibili approcci alla risoluzione del conflitto → il compromesso, come anche il dominio sono negativi perché non rispondono agli interessi di nessuna delle due parti. L'esempio più famoso è quello di due persone in biblioteca: una vuole aprire la finestra, l'altra no. L'approccio integrativo è aprire una finestra del locale adiacente.

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Henri Fayol (1841-1925)

Ingegnere e manager minerario e ristrutturò un'azienda in fallimento. Quando andò in pensione decise di aprire un centro studi per tramandare i principi amministrativi e nel 1919 pubblicò Direzione generale e industriale, in cui enunciava principi universali applicabili all'amministrazione.

Questi principi sono:

– Lo spazio di controllo che definiva il numero ottimale di lavoratori sottoposti alla supervisione di un manager.

– La delega permetteva ai manager di affidare ai subordinati lo svolgimento di compiti routinari ed eventualmente fare delle eccezioni.

– Dipartimentalizzazione è un principio che comporta il raggruppamento di attività simili all'interno di dipartimenti.

– Il principio dell'unità di comando afferma che ogni subordinato dovrebbe avere un solo capo.

Luther H. Gulick (1832-1992)

Nel 1937 scrisse Notes on The Theory of Organization, in cui sosteneva che l'efficienza della pubblica amministrazione si poteva aumentare dividendo il lavoro in unità piccole e specializzate, ciascuna veniva assegnata gli individui con le competenze adatte. Il lavoro doveva essere supervisionato. Egli propose 7 funzioni con lo scopo di professionalizzare il management, esse sono sintetizzate nell'acronimo POSDCoRB (planning, organizing, staffing, directing, coordinating, reporting e budgeting).

Chester Barnard (1886-1991)

Nel 1938 scrisse Le funzioni del dirigente in cui afferma che gestire l'organizzazione informale (Durkheim) era una funzione critica dei dirigenti di successo. Dava consigli normativi per fare evolvere le organizzazioni in sistemi sociali di cooperazione concentrandosi sull'integrazione degli sforzi lavorativi attraverso la comunicazione degli obiettivi e l'attenzione alla motivazione dei lavoratori.

Egli viene accusato dai post-modernisti per aver fatto perdere di vista ai primi studiosi di organizzazione l'importanza del conflitto che costituiva per Marx un aspetto fondamentale di tutte le organizzazioni.

Le teorie economiche e sociologiche riguardo l'influenza delle pratiche del management industriale sulla società sono cambiato con i primi studi incentrati sull'organizzazione e il controllo dei lavoratori.

La teoria modernista

La storia del modernismo risale ai tempi dell'Illuminismo ('700. “Età della ragione”) e celebri pensatori come Cartesio, Locke e Kant tentarono di liberare il genere umano dalla schiavitù e dalla superstizione grazie alla ragione. → secondo i post-modernisti, questi ideali sarebbero degenerati poi in una ideologia. Una ideologia usata per giustificare il colonialismo e portando alla distruzione di culture indigene nel mondo.

Adottare un'ideologia moderna significa, oggi, cercare il modo per trovare e risolvere i problemi organizzativi con lo scopo di creare vantaggio competitivo e profittabilità. → tale prospettiva raccomanda alle organizzazioni di mettere in equilibrio le pressioni interne e quelle esterne, sviluppare competenze e adattarsi al cambiamento, ottimizzare la struttura e minimizzare le risorse

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scarse.

La teorie moderna gode di popolarità sopratutto in tre teorie:

1. La teoria generale dei sistemi

Teoria elaborata negli anni '50 da Ludwig von Bertalanffy e si fonda sulla constatazione che le società sono composte da gruppi, i gruppi da individui, gli individui da cellule... etc fino ad arrivare all'atomo e le sue parti. Egli considerava questi fenomeni un sistema di cui voleva identificarne le leggi e i principi comuni.

Il suo seguace ed economista Boulding costruì una gerarchia di sistemi e ha sollevato un interrogativo: quel è il livello di analisi corretto per lo studio delle organizzazioni? Sicuramente è necessario identificare un fenomeno di interesse come sistema di riferimento e poi assimilare il livello superiore a un sovrasistema, e le entità interrelate che formano il livello sottostante a dei sottosistemi.

L'analisi dei sistemi ci permette di isolare gli elementi specifici del livello di riferimento. [ES. pesiamo ad una automobile. Per quanto possiamo conoscere ogni suo sottosistema – impianto elettrico, pompa di alimentazione, motore...-, se non sappiamo come interagiscono tutte le componenti, sarà impossibile assemblarla o riparala se si rompe] Questa teoria implica che non si può definire un sistema limitandosi a spiegare i sottoinsiemi. Non si può però nemmeno ignorare i sovrasistemi [ES. ripensando ancora all'automobile, ci riferiamo al terreno su cui dovrà viaggiare o alle leggi di conduzione].

Gli economisti e i sociologi cercano di semplificare il funzionamento delle organizzazioni cercando di prevedere i risultati sulla base di un sovrasistema. Essi non sono però neanche in grado di vedere i sottoinsiemi in cui opera una organizzazione. → per spiegare l'organizzazione è importante trascendere i limiti della comprensione umana, infatti una implicazione della teoria dei sistemi è quella che gli esseri umani non saranno mai così intelligenti da risolvere problemi troppo complessi.

2. La teoria dei sistemi socio-tecnici

Lo sviluppo di questa teoria si deve all'interesse per l'interazione tra due sottoinsiemi organizzativi - la struttura sociale e la tecnologia -, ciò portò i ricercatori della Tavistock Institute for Human Relations ad affermare che qualsiasi cambiamento tecnologico incide sulle relazioni sociali, sugli atteggiamenti e sui sentimenti legati al lavoro, che a loro volta incidono sull'uso della tecnologia → era importante trovare la combinazione giusta tra sistemi tecnici e sistemi sociali in modo da raggiungere un certo obiettivo.

Questa teoria nasce principalmente da due ricercatori (Eric Trist e Ken Banforth) del Tevistock che studiarono l'impatto della tecnologia sulla produttività, sul morale, sulla motivazione e sullo stress dei minatori inglesi.

a) Miniera dove avveniva l'estrazione “a parete lunga”: osservarono che gli operai lavoravano in modo autonomo nelle postazioni assegnate ma rilevarono che in contatti interpersonali erano ridotti al minimo, che i livelli di stress, assenteismo e turnover erano molto elevati, la produttività bassa e si tendeva a scaricare le colpe sui colleghi di altri turni.

b) Miniera “a parete corta”: gruppi di operai polivalenti svolgevano nel proprio turno l'intero ciclo estrattivo del carbone. I gruppi si autoassegnavano i compiti e gestivano la propria produttività.

Un altro ricercatore del Tevistock, Fred Ermery, studiò l'impatto dei sistemi tecnici e sociali sui bisogni psicologici degli individui e riprogettò i metodi produttivi per dare spazio al teamwork, alla polivalenza e all'autogestione. → riteneva che la performance dipende dalla capacità di ciascun gruppo o sottosistema di adattarsi ai problemi e integrarsi con gli altri sistemi.

I ricercatori del Tevistock suggerivano di fondare la progettazione organizzativa su team autogestiti e pensavano ad un approccio di questo tipo che avrebbe ridotto il peso e l'importanza delle gerarchie.

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3. La teoria delle contingenze

Negli anni '60 alcuni studiosi della teoria organizzativa si convinsero che la soluzione più efficace per ottimizzare le performance dipendesse da fattori come l'ambiente, gli obiettivi, le tecnologia e le persone coinvolte. → Teoria delle contingenze. Essa estendeva la teoria generale dei sistemi e la teoria dei sistemi socio-tecnici.

Per i teorici delle contingenze, le organizzazioni efficaci sono quelle in cui vengono armonizzati più sottosistemi per massimizzare la performance. Per identificare un approccio contigentistico si “usano” SE...ALLORA.

La prospettiva simbolica

Nel 1928 William Isaac Thomas suggerì un'idea che avrebbe ispirato un nuovo approccio: “ Se gli uomini definiscono le situazioni “reali”, esso lo diventano nelle proprie conseguenze”. → La prospettiva simbolica suggerisce che se le convinzioni soggettive incidono sul comportamento come fa la realtà, allora i fatti sociali sono reali. Nella prospettiva simbolica l'interpretazione modifica la realtà.

1. La teoria della costruzione sociale

Nel 1966 Peter Berger e Thomas Luckmann scrissero un libro intitolato La realtà come costruzione sociale, in cui proposero l'idea di un mondo organizzato e costruito attraverso le nostre interpretazioni di oggetti, parole, azioni ed eventi, tutte cose comunicate attraverso i simboli. Secondo loro nella realtà socialmente costruita è il simbolismo che crea e conserva l'ordine sociale. Le interpretazioni si basano su accordi impliciti che si costruiscono condividendo alcune esperienze e un passato. L'intersoggettività accomuna le persone e produce una storia e una cultura condivise.

La costruzione sociale opera con tre meccanismi:

– Esteriorizzazione: il significato viene rappresentato e comunicato attraverso i simboli.

– Oggettivazione: dare oggettività a ciò che non è oggettivo.

– Interiorizzazione: si accettano come realtà le interpretazioni intersoggettive esteriorizzate e oggettivate di un gruppo sociale.

Nelle realtà socialmente costruite il cambiamento determina quando un oggetto o un evento viene esteriorizzato, oggettivato e poi interiorizzato → tutto ciò avviene nei processi continuativi di costruzione sociale che producono stabilità.

2. La teoria del'“encatment”

Lo psicologo Weick assimilò l'organizzazione ad un processo cognitivo → affermava che le organizzazioni esistono solo nella mente dei loro componenti, dove assumono la forma di mappe cognitive della realtà socialmente costruita. Weick usava la metafora della cartografia per dire che gli esseri umani si creano delle mappe mentali per muoversi in ciò che presumono esista.

Egli combinava l'esteriorizzazione e l'oggettivazione di Berger e Luckmann nel processo cognitivo di reificazione → gli esseri umani reificano l'organizzazione e ordinano le proprie interazioni di conseguenza.

Weick sostiene che le organizzazioni sono il prodotto di una ricerca collettiva di significato attraverso cui viene ordinata l'esperienza. Questa operazione avviene tramite l'enactment (attivazione) di una serie di convinzioni su ciò che costituisce la realtà. Il sensemaking consiste nella costruzione della verità come modalità che producono (make) significato (sense).

Nel libro Organizzare. La psicologia sociale dei processi organizzativi, Weick spiega di aver scelto il termine enactment per sottolineare che i manager costruiscono, sistemano, selezionano e distruggono molta parte degli elementi “oggettivi” dell'ambiente circostante.

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3. Istituzioni e istituzionalizzazione

Philip Selznick nel 1949 descrisse le attività del TVA (Tennessee Valley Authority): il governo americano finanziava la TVA perché costruisse le dighe per produrre elettricità e controllare le esondazioni nella valle del Tennessee. Il progetto voleva proteggere le foreste, sviluppare aree creative e a sovvenzionare gli agricoltori locali. Nello stesso anno, Selznick spiegava che la TVA, nata come progetto per produrre benefici per la società, si era prestata agli interessi di vari attori esterni (scuole professionali per l'agricoltura, i grandi proprietari terrieri, i politici e gli imprenditori locali) e affermava per la cooptazione l'aveva trasformata da distributore efficiente di risorse e coordinatore di attività in un'istituzione unica e peculiare nel panorama americano. → ha comportato la sua istituzionalizzazione, pertanto la TVA aveva smesso di rispondere alla finalità per cui è stata creata.

Secondo Selznick, l'organizzazione è uno strumento razionale per conseguire l'efficienza economica. Ma come si spiega la perpetuità di organizzazioni non razionali come la TVA? La risposta la si trova nel concetto di istituzionalizzazione e spiegava che le istituzioni si rendono indispensabili per il valore che apporterebbero alla società.

Nel 1977 due sociologi, Meyer e Rowan, hanno osservato che l'istituzionalizzazione propone un mito che nasconde il comportamento di un'organizzazione alla vista dell'opinione pubblica e fa sì che la cooptazione di risorse passi inosservata per lunghi periodi di tempo.

4. Cultura

Clifford Geertz definisce la cultura riprendendo Weber → Geertz ritiene che l'uomo sia un animale impigliato nelle reti di significato che egli stesso ha costruito. Afferma che la cultura consiste in queste reti e che la loro analisi è una scienza interpretativa in cerca di significato.

Geertz inseriva le sue affermazioni in una prospettiva simbolica e il suo approccio alla cultura ha attratto molti studiosi di organizzazione che erano alla ricerca di alternative alla prospettiva moderna. Geertz usava una descrizione densa (thick description) che ha fatto emergere il significato simbolico che si annida sotto la superficie degli eventi quotidiani per evidenziare il funzionamento della cultura. Un esempio di questa sua descrizione densa, data dalla contestualizzazione, uso di dettagli, documenti di eventi inaspettati e variazioni della trama, citazioni di fonti dirette, contrasto tra convinzioni del lettore con quelli della cultura di Bali...etc, la vediamo nel racconto di quando con sua moglie è arrivato a Bali per condurre una ricerca etnografica e di come sono riusciti a farsi accettare dagli abitanti.

5. Narrazione e riflessività

la facilità espressiva di Geertz ha attirato l'attenzione sulla narrazione scritta attraverso il contrasto tra stile vivace e accattivante della prosa e lo stile arido e distaccato che si accompagna all'oggettivismo della prospettiva moderna. Tale contrasto ha ribaltato il modo di scrivere di molti ricercatori sociali e John Van Maanen fu tra i primi ad occuparsi di questo aspetto della teoria dell'organizzativa. → sosteneva che tutto ciò che si scrive nella scienza sociale è una forma di narrazione.

– Le storie realiste (prosp. moderna) dovrebbero raccontare ciò che avviene realmente nelle organizzazioni. I ricercatori modernisti trasformano retoricamente l'esperienza soggettiva in un fatto oggettivo.

– Le storie confessionali (in opposizione a quelle realiste) vedono un autore presente che confessa i pregiudizi e gli errori che hanno condizionato il suo lavoro.

– Le storie impressioniste (ancora più distaccate da quelle realiste) sono resoconti personali che inseriscono il lettore nel contesto degli eventi descritti e di rivivere l'esperienza del narratore.

Clifford e Marcus nel 1986 scrissero Scrivere le culture. Poetiche e politica dell'etnografia, in cui

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affermano che tutti i resoconti delle ricerche sono parzialmente inventati perché riflettono la prospettiva situata dei loro autori. → prospettiva situata si intende la comunità interpretativa di cui è membro un ricercatore, che in quanto tale ha degli interessi specifici e un vocabolario specifico che ne influenzano la descrizione e l'interpretazione dei fenomeni.

Ma chi ha ragione?? Quando qualcuno impone la propria visione del mondo sugli altri, si creano condizioni di egemonia e totalitarismo. Allora diventa importante ricorrere alla riflessività, cioè il sapersi porre delle domande.

Le influenze postmoderne

I governi coloniali di tutto il mondo hanno dovuto fronteggiare richieste di autodeterminazione dai popoli primitivi dopo che per decenni si sono autolegittimati con la giustificazione modernista di indirizzarli sulla via del progresso. → gli antropologi sono stati accusati di fare gli interessi dei governi che li finanziavano, causando la crisi di rappresentatività dell'antropologia (si discuteva sulla fatto che i metodi antropologici rappresentassero la realtà).

Gli assunti modernisti sono stati considerati nichilistici. Coloro che adottano una prospettiva postmoderna, come anche quella simbolica, non credono in una realtà definibile oggettivamente. Dal punto di vista epistemologico, la conoscenze è un processo in continua evoluzione e quindi inaffidabile. I postmodernisti sono convinti che siccome il linguaggio non può fissare il significato, esso deve smettere di cercare la verità e sospettare delle asserzioni definitive.

Ciò che sosteneva la prospettiva postmoderna sono le proposizioni divergenti (a partire dalle più critiche):

• Progetto Illuminista, il Mito del progresso e la Grande narrazione

Progetto Illuminista: definita così dai postmodernisti l'ambizione di sostituire la ragione alla superstizione.

Montague David Eder nel 1932 aveva manifestato il sua opposizione al modernismo e descritto il progresso come un mito. I postmodernisti, che descrivono la sua idea Mito del progresso, ritengono che la fiducia nel progresso giustifichi gli abusi del potere come quelli perpetrati nel colonialismo. Definire il progresso un mito significa riconoscere che è un dogma sostenuto dalla propaganda e non un prodotto di verità scientifica sostenuta da prove oggettive come vorrebbero i modernisti.

Jean Francǫise Lyotard accusava il progetto illuminista e il mito del progresso di supportare una Grande narrazione, intellettuale e politicamente totalitaria perché fornisce l'argomentazione usata dai modernisti per giustificare il culto della ragione. Per Lyotard sapere e società sono legati perché istituzioni come la scuola, il governo e le imprese vengono create sulla base di conoscenze di esperte, che legittimano certi modi di pensare e agire. La grande narrazione del modernismo maschera l'ambizione di creare conoscenze e istituzioni che promuovono gli interessi di alcuni a scapito di altri.

• Il linguaggio e i giochi linguistici

La visione modernista del linguaggio afferma che quest'ultimo rispecchia la realtà.

Fernand de Saussure ha ribaltato questa visione con la teoria del linguaggio, in cui spiega che non c'è alcun legame naturale o necessario tra le parole (significanti) e i concetti che le designano (significati). La relazione che li unisce è arbitraria. Il significato di una parola è dato dalla posizione che occupa rispetto ad altre parole nella struttura del linguaggio → implica che il significato di una parola si modifica tutte le volte che si affianca a un'altra parola. La combinazione tra arbitrarietà del linguaggio e significato in divenire delle parole implica che la struttura su cui si fonda il linguaggio è instabile, ciò comporta un riposizionamento concettuale dal polo della stabilità al polo del cambiamento.

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Ludwig Wittgenstein usa i giochi linguistici come metafora per indicare il flusso delle relazioni tra le parole. Le regole del linguaggio variano da una comunità all'altra, il modo in cui vengono usate le parole e reagite alle affermazioni degli altri cambia a seconda del gioco linguistico in cui siamo coinvolti.

• Affermazioni di verità, poter/conoscenza e vocalizzazione del silenzio

A seguito di quanto detto da Wittgenstein, Lyotard reinterpreta i fatti scientifici come accordi presi nelle comunità di scienziati per affermare la veridicità di alcune affermazioni. Sostiene che non ci può essere nessuna verità, ma solo affermazioni di verità. Coloro che possono stabilire quali affermazioni di verità verranno prese per buone , hanno il potere di dominare la comunità e il suo gioco linguistico. Le affermazioni di verità però vengono meno quando ne emergono altre con un'accettazione più ampia o quando viene coinvolta un'altra comunità. → in tale modo però nessuna verità può durare a lungo perché se la distribuzione del potere determina il corpus di conoscenze (verità), quanto si modifica la distribuzione, si modifica anche la verità. Diventa preoccupante usare il potere con lo scopo di eliminare o silenziare i dissenzienti, sarebbe una forma di totalitarismo. Infatti se si mettono a tacere idee e opinioni anticonformiste, la comunità non può pensare o agire in nuovi modi. La libertà si oppone al totalitarismo. Alcuni postmodernisti ritengono che rovesciare le tendenze totalitarie, comporta la creazione di una Grande narrazione alternativa che si limita a privilegiare un altro gruppo e non a eliminare il privilegio.

• Discorso e pratiche discorsive

Foucault ha studiato gli effetti del potere esercitato attraverso la normatività e affermava che le conoscenze approvate sono uno strumento importante per l'esercizio del potere, decidere chi può parlare e cosa può dire equivale a stabilire cosa si intende per comportamento normale. Coloro che non si conformano sono considerati anormali e devianti.

Foucault studiò a storia degli ospedali psichiatrici e prigioni per capire come la psichiatria e il lavoro sociale avessero sviluppatole categorie di follia e delinquenza → presentando queste ultime due categorie come problemi di cui doveva farsi carico la società, psichiatri e operatori sociali consolidavano la loro posizione di potere, grazie alla quale potevano far rinchiudere o controllare certe persone per proteggere le società.

Foucault studiò anche la storia della letteratura, della psicologia, della psicanalisi, della sociologia, della criminologia... ecc e concluse che le società moderne occidentali delegano alle scienze umane l'autorità di stabilire le norme sociali.

Le scienze umane hanno cercato di creare un legame tra potere e conoscenza, nel tentativo di stabilire che cosa fosse normale. → potere e conoscenza dovremmo vederli come due facce della stessa medaglia e non come entità separate.

Per Foucault, le pratiche discorsive derivano dal linguaggio, sono legate ai giochi linguistici anche se implicano un ruolo normativo forte perché, se non conoscono le pratiche discorse, i deboli non possono difendersi. Il concetto di discorso emerge dalla linguistica post-strutturalista. → per Foucault i discorsi venivano costruiti storicamente in base alle relazioni che esistevano in una società in un determinato momento.

Un'implicazione di questa teoria è che quando le persone si impegnano in un discorso, la loro identità si adatta alle sue formazioni discorsive → significa che la nostra identità è un effetto dell'uso del linguaggio. Si arriva a non fare più riferimento a noi stessi, la parola “uomo” sparirà dai discorsi che definiscono la realtà. Per meglio capire cosa significa scomparsa dell'uomo si deve considerare l'importanza data al cliente nel discorso del management. Se una volta i dipendenti dovevano esaudire i desideri del capo, ora il nuovo discorso manageriale li invita a porre molta più attenzione al cliente, decentrando la figura del manager.

• Decostruzione e “différance”

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Derrida riteneva che il linguaggio non ha un significato fisso, che i contesti sono intercambiabili e quindi tutti i significati sono ugualmente corretti ed è sufficiente aspettare la formazione di un nuovo contesto per veder apparire un nuovo significato. Un'implicazione importante della teoria di Derrida è che modificando il contesto attorno al testo se ne può cambiare anche il significato.

Decostruzione → modalità di lettura e rilettura dei testi attraverso l'uso di diversi contesti in modo da evidenziare le varie interpretazioni a cui sono soggetti, destabilizzandone il potere di assumere certi significati. Derrida desumeva dalla decostruzione che il significato ci sfugge perché i testi sono inseriti in contesti storici, politici, istituzionali e culturali. Lo scopo della decostruzione di un testo è rilevare gli assunti, le contraddizioni per dimostrare che il testo può intendere veramente ciò che dice. Derrida, partendo dall'idea di De Saussure, secondo cui il linguaggio viene strutturato dall'uso delle parole, sosteneva che il pensiero binario è un architrave del modo in cui i modernisti usano il linguaggio. → l'uso del linguaggio che facciamo crea categorie, definisce la centralità, traccia confini, esprime potere o modifica la realtà.

Durante lo sviluppo della teoria della decostruzione, Derrida coniò il termine différance che significa sia “differire” sia “rinviare”. → una parola deriva il proprio significato dalle differenze che la separano dal suo opposto e pertanto anche quando si usa solo un termine si evoca in modo implicito il suo opposto. L'opposto assente viene richiamato dalla controparte presente. Sempre in merito a questo tema, Derrida afferma che il significato di qualsiasi parola fa riferimento ad altri significati, perché quando cerchiamo di spiegare il significato di una parola la sostituiamo con altre parole che devono a loro volta essere spiegate. Quando si parla o si scrive ci sia allontana dal concetto originario che si vuole esporre perché i processi di differenziazione e di differimento non hanno mai fine. Il concetto di différance spiega come, muovendosi nello spazio e nel tempo, il significato diventa sempre più vago e distante dal punto di partenza. Ecco perché i postmodernisti vedono il significato come qualcosa di fluido.

• Simulacri e iperrealtà

Il tema della confusione tra realtà e simulazione venne affrontato da Baudrillard nel suo libro intitolato Simulacres et simulation del 1981, in cui afferma che l'immagine è passata attraverso una progressione di fasi successive che rendono sempre più impossibile parlare di ciò che è reale. Queste fasi iniziavano con delle immagini che riflettevano la realtà, per poi trasformarsi prima in immagini della realtà e poi in immagini che mascheravano l'assenza della realtà. → l'immagine era un simulacro cioè una realtà totalmente immaginata.

La distinzione tra realtà e immagine viene meno nei tempi moderni, quando la produzione industriale ha permesso la proliferazione delle copie in innumerevoli campi. Un esempio possono essere le opere d'arte imitate o fotocopiate, i realty show o Disneyland. Nei simulacri non c'è nessun significato profondo, non c'è nessuna struttura nascosta sotto la superficie dell'immagine.

Baudrillard affermava che nel postmodernismo poli opposti come “realtà/immagine”, “fatto/fantasia”, “soggetto/oggetto”, “pubblico/privato” implodono per creare una iperrealtà in cui “l'illusione non è più possibile, perché il reale non è più possibile”. Nell'iperreale noi siamo immersi nelle simulazioni e cerchiamo di riprodurre ciò che pensiamo sia reale.

Cosa ha a che fare con la teoria delle organizzazioni? Pensiamo alle immagine che ci circondano tutti i giorni e alle organizzazioni che le producono. Quasi tutte le aziende orientate al consumatore ci spingono ad acquistare i loro prodotti attraverso immagini seduttive del brand o della pubblicità.

CAPITOLO 3

Negli anni 50 i teorici dell'organizzazione iniziano a definire l'ambiente organizzativo come sistema sovraordinario di cui fanno parte i sistemi organizzativi.

Prospettiva moderna:

AmbienteRaffigura l'organizzazione come entità incorporata in un

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Definire e analizzare gli ambienti organizzativi

Nella prospettiva moderna l'ambiente è rappresentato come entità esterna all'organizzazione.

Dal punto di vista dell'ambiente, le organizzazioni sono strumenti per fabbricare prodotti ed erogare servizi richiesti dall'ambiente stesso.

Dal punto di vista dell'organizzazione, l'ambiente mette a disposizione le materie prime e altri fattori produttivi per generare l'output e assorbirlo per fornire i mezzi per acquisire altri input.

Ambiente: ciò che esiste al di fuori del confine organizzativo, cioè prendere delle decisioni riguardo cosa includere o meno → ciò può essere un problema.

Altro problema a cui si va incontro per definire l'ambiente di una organizzazione è data dai vari livelli di analisi su cui ci focalizziamo. I teorici moderni dell'organizzazione definiscono e analizzano le relazioni tra organizzazione e ambiente al livello:

1. degli stakeholder e dei nuovi network interorganizzativi che formano

2. delle condizioni e dei trend che sussistono all'interno dei settori ambientali

3. dell'ambiente globale che emerge dalle interazioni tra i sottoinsiemi organizzativo e ambientale da cui esso è composto

1. Network interorganizzativi, stakeholder e supply chain

Ogni organizzazione interagisce con altri attori all'interno del proprio ambiente. Gli attori che interagiscono vengono definiti stakeholder (= designa qualunque attore fondamentale per la sopravvivenza e il successo di un'organizzazione). Chi tiene conto degli interessi degli stakeholder ritiene che ciascun attore coinvolto nell'attività dell'organizzazione debba essere considerato anche nel processo decisionale di quest'ultima.

Chi rientra nella categoria degli stakeholder? Investitori, concorrenti, fornitori, distributori, partner, agenzie di pubblicità e società di consulenza, associazioni imprenditoriali, gruppi per la tutela del consumatore, comunità locali, opinione pubblica, sindacati, enti del governo, analisti finanziari e media.

Le relazioni che si vengono a creare tra gli stakeholder di un'organizzazione formano il suo network interorganizzativo. I nodi della rete sono i canali attraverso cui fluiscono le risorse, opportunità e influenza.

A livello dell'organizzazione, l'analisi del network può rilevare la centralità di un'organizzazione all'interno del network. Si può misurare la centralità contando il numero di collegamenti che si dipartono da un nodo, detti legami.

A livello del network, la concentrazione dei nodi rivela la densità del network, invece l'assenza di collegamenti in una certa area evidenzia un vuoto strutturale. Misurando la centralità di un'interorganizzazione e la densità di un network, e identificando i vuoti strutturali, si possono confrontare network interorganizzativi e valutarne i benefici.

Supply chain → è un modo di applicare il concetto del network interorganizzativo. Essa focalizza l'attenzione sul flusso di materie prime che forma una catena lineare di connessioni che parte dalla fornitura delle materie prime di base e attraversa una serie di organizzazioni intermediarie per raggiungere gli utilizzatori finali.

Raffigura l'organizzazione come entità incorporata in un

Organizzazione

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2. Condizioni e trend che si manifestano nell'ambiente di un'organizzazione

Ad incidere sui soggetti che agiscono nell'ambiente intervengono anche forze esterne che producono effetti su tutto il network. L'ambiente viene suddiviso in diversi settori:

– Settore sociale: riguarda la struttura delle classi, la situazione demografica, le tendenze della mobilità e delle istituzioni sociali tradizionali. Negli usa e Europa riguarda l'invecchiamento della popolazione, l'eterogeneità della forza lavoro, le migrazioni dell'Europa e dall'Africa all'Europa...

– Settore culturale: riguarda la storia, la tradizione, le aspettative normative sul comportamento, sulle convinzioni e sui valori. Importante è il ruolo delle aziende nella leadership, nella razionalità tecnica e la ricchezza del materiale, mentre i trend nel settore culturale identificano un minore apprezzamento per l'autorità gerarchica e un maggiore apprezzamento per l'etica aziendale, diritti umani e tutela dell'ambiente.

– Settore legale: formato da costituzioni, leggi, prassi giuridiche dei paesi in cui un'organizzazione porta aventi il su business. I trend di questo settore sono difficili da separare dai trend che si determinano in settori economico e politico. Il settore legale ha legami con i trend sociali e culturali perché questi ultimi creano pressioni per legalizzare vari trend o per dichiarare l'illegittimità.

– Settore politico: viene definito in base alla distribuzione e alla concentrazione del potere e alla natura del sistema in vigore nei paesi in cui l'organizzazione opera. Il settore politico è legato a quello legale ed entrambi sono influenzati dalle tendenze in atto in altri settori. Il settore politico e quello economico sono talmente intrecciati che esaminare in modo separato le influenze rispettive diventa insensato.

– Settore economico: include i mercati del lavoro, finanziari e dei beni e dei servizi. Ciò che influenza maggiormente questo settore sono senz'altro: la bilancia dei pagamenti, i rapporti di cambio, le alleanze economiche con altri paesi, gli accordi commerciali, i meccanismi di controllo sui prezzi, i tassi di interesse e di inflazione ...

– Settore tecnologico: fornisce le conoscenze e informazioni sotto forma di sviluppi scientifici e di applicazioni pratiche che le organizzazioni possono acquisire e usare per produrre certi output. Un trend importante è la disponibilità di tecnologie informatiche come personal

Network

Organizzazione

AMBIENTE:- Culturale- Politico- Sociale- Tecnologico- Economico- Fisico- Legale

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computer, strumenti per la progettazione, social media... le applicazioni di queste tecnologie stanno producendo enormi cambiamenti nelle organizzazioni di tutto il mondo. I cambiamenti che si determinano nel settore tecnologico incidono anche su fattori sociali ed economici.

– Settore fisico: include le risorse naturali e gli effetti causati dai fenomeni naturali. Alcune organizzazioni sono direttamente interessate a elementi specifici di questo settore (riserve di carbone e petrolio, disponibilità dei porti, percorribilità delle strade, livelli di inquinamento, condizioni meteorologiche...)ad eccezione delle risorse naturali in via di esaurimento, i cambiamenti che si producono nel settore fisico sono molto difficili da prevedere. Il settore economiche è molto influenzato dal settore fisico, così anche la crescita demografica o le migrazioni di massa.

3. internazionalizzazione, regionalizzazione e globalizzazione

Internazionalizzazione → quando le organizzazioni iniziano ad interagire oltre i confini nazionali creando nuovi livelli di complessità ambientale che si riverberano sul livello organizzativo.

Regionalizzazione → si accompagna all'internazionalizzazione. I cambiamenti che si creano nelle regioni e l'internazionalizzazione delle organizzazioni interagiscono per produrre la globalizzazione dell'economia.

Globalizzazione → designa gli scambi e le relazioni che si vengono s determinare tra le organizzazioni e i loro network, fino a rendere permeabile o irrilevanti i confini che li separano. Nascono organizzazioni apposta per il palcoscenico globale e promuovere l'interdipendenza globale. Tali organizzazioni sono: ONU, OMC, OMS, FMI, ONG, Medici senza frontiera e Greenpeace.

Teorie moderniste sul rapporto tra organizzazione ambiente

Negli anni 70 si inizia a comprendere la vera importanza dell'ambiente e l'interesse si era spostato cercando di capire come opera l'influenza ambientale. Nacquero cosi le prime teorie sulla relazione tra organizzazione e ambiente.

1. Teorie delle contingenze ambientali

Burns e Stalker insieme a Lawrence e Lorsch hanno affermato che è l'ambiente a imporre la forma di organizzazione più idonea.

Burns e Stalker sostenevano che negli ambienti stabili la forma di organizzazione meccanicistica è la più efficace grazie all'efficienza che si può generare. In tale ambiti le organizzazioni possono imparare a ottimizzare le proprie attività e usare le risorse in modo da minimizzare i costi e massimizzare i profitti. Quando però gli ambienti sono in rapido cambiamento, i vantaggi dell'organizzazione meccanicistica vengono meno.

La flessibilità delle forme organiche di organizzazione si adatta meglio ad un ambiente di cambiamento perché supporta quell'innovazione e quell'adattamento che sono indispensabili. I due sociologi per spiegare quando usare le forme di organizzazione meccanicistiche al posto di quelle organiche, hanno fornito i primi esempi di teoria della contingenza, dove la contingenza è costituita dall'insieme dei fattori ambientali che l'organizzazione deve affrontare.

L'incertezza ambientale → variabile principale della teoria della contingenza che spiega perché alcune forme di organizzazione avessero successo e la definivano come l'interazione tra la sua complessità e tasso di cambiamento.

TASSO DI CAMBIAMENTO

Basso Alto

Basso Moderata

Incertezza

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Basso

LIVELLO DI

COMPLESSITA'

Complessità → indica il numero e l'eterogeneità degli elementi che compongono l'ambiente.

Tasso di cambiamento → indica la rapidità con cui l'ambiente e i suoi elementi si stanno modificando.

Il problema della teoria dell'incertezza ambientale riguarda l'assunto che le condizioni registrate nell'ambiente fossero obiettivamente reali. Però molti studi dimostrano che l'ambiente non viene percepito da tutti nello stesso modo. I ricercatori hanno concluso che l'incertezza percettiva faceva prevedere decisioni più appropriate sulla forma di organizzazione da adottare.

Nella moderna teoria organizzativa questa evidenza sull'importanza della percezione si è evoluta in teoria informativa → la teoria informativa dell'incertezza afferma che i manager percepiscono l'incertezza nell'ambiente quando hanno le informazioni di cui pensano avere bisogno per prendere decisioni in ambito organizzativo.

TASSO DI CAMBIAMENTO

Basso Alto

Basso

LIVELLO DI

COMPLESSITA'

Alto

La tabella sopra indica i collegamenti tra condizioni ambientali percepite e informazioni che spiegano i vari livelli di incertezza.

1. I manager considerano gli ambienti stabili e poco complessi quando le informazioni sono note e disponibili.

2. I manager riconoscono un'elevata complessità o un cambiamento rapido quando ricevono troppe info o queste si modificano costantemente (in tal caso si percepiscono livelli di incertezza moderata).

3. I manager riconoscono un ambiente complesso e in cambiamento quando sono alle prese con una massa insostenibile di informazioni che cambiano (massima incertezza percepita).

Quando i manager non sanno di quali informazioni hanno bisogno e si trovano di fronte a una sovrabbondanza di info, allora l'incertezza arriva ai massimi livelli.

Basso Moderata

Incertezza

Le informazioninecessarie sono Esigenza continua diconosciute e disponibili nuove info

Sovraccarico Non si sa diinformativo quali info si ha

bisogno

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Altro tentativo per spiegare come reagiscono le organizzazioni all'incertezza riguarda invece l'uso dei concetti “varietà necessaria” e “isomorfismo”.

La legge della varietà necessaria afferma che per comunicare in modo efficacie con un altro sistema, un sistema deve essere complesso o più complesso. → significa che le organizzazioni di successo si confrontano la complessità ambientale percepita con le proprie strutture interne e i propri sistemi di management.

Tale confronto si traduce nell'isomorfismo → se l'ambiente è semplice, l'organizzazione assume una forma semplice. Gli ambienti complessi invece tendono a produrre organizzazioni complesse.

Quando gli ambienti sono in cambiamento, questi due concetti fanno ipotizzare che si modificheranno tutte le organizzazioni.

Lawrence e Lorsch hanno studiato le implicazioni dell'isomorfismo nel loro libro Organization and Environment, in cui osservarono che nel proprio ambiente le organizzazioni si trovano davanti a molte condizioni e a molti elementi diversi, ciò crea una spinta alla differenziazione strutturale. Tale differenziazione consente alla diverse unità dell'organizzazione di specializzarsi nelle risposte alle sollecitazioni diverse che provengono dall'ambiente. La differenziazione spinge anche a integrare i vari compiti, il che aumenta la complessità strutturale in quanto costringe i manager di livello alto a coordinare le unità e le responsabilità all'interno dell'organizzazione.

2. Teoria della dipendenza dalle risorse

Tale teoria venne sviluppata da Pfeffer e Salancik nel libro The external control of organization, in cui vogliono sottolineare il concetto che la configurazione ambientale è un fattore tra i più influenti sulla strategia manageriale e sulla struttura organizzativa.Le teoria si basa sull'assunto che l'analisi del network interorganizzativo possa aiutare i manager a comprendere le relazioni di potere/dipendenza che sussistono tra la propria organizzazione e agli altri attori del network. Tali conoscenze consentono ai mangar di prevedere le probabili fonti di influenza all'interno dell'ambiente e di controbilanciare una parte dell'influenza attraverso lo sviluppo di una dipendenza di seno opposto per altri soggetti. La dipendenza di una organizzazione dal proprio ambiente è il risultato che il suo fabbisogno di risorse. L'ambiente deriva il suo potere sull'organizzazione da questa dipendenza, quest'ultima non è né singolare né indifferenziata. Si crea un complesso insieme di dipendenze tra una organizzazione e i singoli elementi dell'network.

Nella figura sottostante si può vedere come viene applicata la teoria della dipendenza delle risorse.

L'analisi della dipendenza delle risorse inizia identificando gli input e gli output delle risorse dell'organizzazione. Poi si fanno risalire i flussi di risorse alla loro origine e si seguono gli output fino agli utilizzatori finali.

OrganizzazioneInput delle materie prime(fornitori)

Output(clienti)

Input di forza-lavoro (lavoratori)

Input di capitali(investitori)

Input di conoscenze e strumenti (settore tecnologico)

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Nella pratica non si possono considerare tutte le fonti di dipendenza che ha un'organizzazione, pertanto il secondo passaggio si concentra sull'ordine di priorità da assegnare alle relative risposte. L'assegnazione di priorità presuppone la valutazione delle criticità e della scarsità delle risorse coinvolte. La valutazione della criticità misura l'importanza di una certa risorsa. La valutazione della scarsità invece misura il rischio che si associa all'incapacità di procurarsi una risorsa critica. Alle risorse pratiche e critiche viene assegnata una priorità elevata.

La gestione della dipendenza delle risorse richiede una certa immaginazione per quanto riguarda lo sviluppo di un potere negoziale interno che riesca a controbilanciare quello di altri soggetti esterni. La creazione di joint venture con clienti fornitori, la fusione con essi (integrazione verticale) o la formazione di alleanza con i concorrenti per aumentare il potere negoziale sui fornitori e sui clienti (integrazione orizzontale) sono altre possibili strategie.

Se le strategie falliscono, l'organizzazione può sottrarsi a una indipendenza indesiderata modificando il proprio ambiente.

3. Ecologia della popolazione

Questa teoria ritiene che la dipendenza conferisca all'ambiente un potere importante sull'organizzazione (lo dice anche la teoria precedente) e si concentra sull'ambiente. → ciò che interessa agli ecologisti della popolazione sono i meccanismi che producono il successo e l'insuccesso per tutte le organizzazioni che competono all'interno di un complesso di risorse, detta nicchia ecologica.

Tale teoria deriva dai principi evoluzionistici di Darwin e dalla sua teoria che spiega le dinamiche della selezione naturale in una specie animale osservata in un arco temporale. Hannan, Freeman, Aldrich e Carroll sono studiosi che hanno applicato le idee di Darwin e hanno elaborato alcune teoria in cui spiegano come i processi ecologici competitivi diano luogo a varietà di forme organizzative. → la competizione è una foma di selezione naturale.

Nell'ecologia della popolazione, l'ambiente in cui operano le organizzazioni seleziona dei concorrenti che meglio rispondono ai suoi bisogni e alcuni termini spiegano bene le dinamiche della selezione naturale nella popolazione di organizzazioni:

– Variazione → avviene attraverso l'innovazione imprenditoriale che dà origine a nuove organizzazioni e attraverso l'adattamento di organizzazioni consolidate che reagiscono alle nuove minacce o alle nuove opportunità che si profilano nel loro ambiente. I processi di variazione danno eterogeneità ai processi di selezione.

– Selezione → avviene nel momento in cui le organizzazioni che rispondono al meglio ai bisogni e alle sollecitazioni ella propria nicchia ecologica acquisiscono risorse, invece quelle che non soddisfano i criteri di valore adattivo sono destinate a soccombere. La de-selezione non necessariamente porta al declino della organizzazione o alla sua fine., può portare all'uscita dall'ambiente di riferimento e/o all'identificazione di una diversa nicchia ecologica. L'uscita torna ad alimentare le variazioni attraverso la produzione di adattamenti organizzativi.

– Ritenzione → implica che le nuove risorse vengano immesse nell'organizzazione; acquisire e mantenere un'idoneità all'ambiente (fitness) equivale a garantire la sopravvivenza dell'organizzazione nel breve periodo. Il cambiamento che si determina in ogni ambiente esige un continuo adattamento, pertanto le organizzazioni che sono riuscite a sopravvivere devono partecipare a un'altra variazione.

Alcuni ritengono che l'ecologia della popolazione sia una teoria difficile da applicare al management perché il suo livello di analisi è fuori dai confini dell'organizzazione e quindi anche fuori dal suo controllo. Ma il punto di vista di questa teoria è utile nella comunicazione con le istituzioni governative o con gli enti regolari, la cui prospettiva viene definita dal livello di analisi ambientale.

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Altri spetti da considerare nell'applicazione di questa teoria:

– come dalla teoria di Darwin, la definizione di idoneità è un problema perché la sopravvivenza viene spiegata dall'idoneità, ma essa viene definite come sopravvivenza. È una tautologia e quindi non si può prevedere la sopravvivenza in base a una valutazione indipendente dal grad di adattamento all'ambiente.

– la teoria si applica a popolazioni molto competitive. Le popolazioni che invece sono dominate dalle organizzazioni, non si prestano alla teoria dell'ecologia della popolazione.

L'analisi dell'ambiente nella prospettiva simbolica

I sostenitori della prospettiva simbolica considerano l'ambiente un costrutto sociale che deriva dall'enactment, dalla mappatura cognitiva e dei processi di creazione del significato. Gli ambienti emergono da un simbolismo intersoggettivamente condiviso e dalle credenza sull'ambiente. Anche per la prospettiva simbolica gli ambienti che traggono origine dalla costruzione sociale hanno conseguenze materiali.

Per gli istituzionalisti, gli attori sono vittime inconsapevoli di sistemi ambientali che formano i campi istituzionali. I campi istituzionali organizzano azioni e attività all'interno di un ambiente, mentre per i teorici dell'enactment essi verrebbero costruiti attraverso le interazioni e le relazioni sociali tra i singoli attori e tramite le loro azioni.

1. Teorie istituzionali delle relazioni tra organizzazione e ambiente

la teoria istituzionale afferma che le organizzazioni devono contare sull'accettazione delle società in cui si trovano a operare. Questa idea ha portato i teorici modernisti ad aggiungere la legittimazione sociale all'elenco dei fattori produttivi (Materie prima, forza-lavoro, capitale, tecnologie, legittimazione sociale).

DiMaggio e Powell affermano che “le organizzazioni competono tra loro per ottenere non solo risorse e clienti, ma anche potere politico e legittimità istituzionale, per conseguire benessere economico e anche sociale” → significa che gli ambienti sollecitano le organizzazioni in due modi:

– gli ambienti potrebbero avanzare delle richieste tecniche, economiche e fisiche che impongono alle organizzazioni di produrre e scambiare i loro prodotti e i loro servizi in un mercato. Tali ambienti ricompensano le organizzazioni per la fornitura efficiente ed efficace di beni e servizi.

– gli ambienti potrebbero avanzare delle richieste sociali, culturali, legali e/o politiche che impongono alle organizzazioni di svolgere ruoli nella società e di adottare e mantenere delle apparenze esteriori. Tali ambienti ricompensano le organizzazioni per il fatto di conformarsi ai valori, alle norme, alle regole e alle convinzioni di cui si fanno portavoce le istituzioni sociali.

Scott definiva l'istituzionalizzazione il processo attraverso cui le azioni vengono ripetute e viene loro riconosciuto un significato simile dall'io individuale e degli altri. → si possono concettualizzare come istituzioni non solo il governo, la religione o l'educazione ma anche azioni come il votare, l'inchinarsi, lo stringere la mano o mostrare rispetto...ecc.

L'idea di “istituzioni” come azioni ripetitive conferisce alla costruzione sociale una capacità esplicativa. Quando un significato condiviso si cristallizza in azioni ripetitive si trasformano in leggi , le istituzioni si possono considerare come gli agenti.

A supporto delle azioni ripetitive ci sono vari meccanismi istituzionali e Powell e DiMaggio ne hanno identificati 3:

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– quando la richiesta di conformarsi alle aspettative viene da regolamenti governativi o da leggi, sono all'opera pressioni istituzionali coercitive

– quando viene da aspetti culturali sono all'opera pressioni istituzionali normative

– la conformità intesa a ottenere legittimazione con la parvenza esteriore di una organizzazione di successo è una reazione a pressioni istituzionali mimetiche. La mimesi è una attività normativa delle best practice, che si basano sulla copiatura delle strutture e delle pratiche operative delle organizzazioni quando l'incertezza su come avere successo è elevata.

Per le organizzazioni l'implicazione più importante di questa teoria è che conformarsi alle aspettative istituzionalizzate significa ottenere supporto sociale e garantirsi una legittimazione → essa non viene concessa perché una azienda guadagna più soldi o fornisce più prodotti ma perché rispetta le convezioni accettate.

Certe caratteristiche strutturali diventano standard istituzionalizzati in base a quali istituzioni si considerano appropriate e ricevono una legittimazione sociale indipendentemente dalle performance.

2. L'ambiente attivato

Secondo la teoria dell'enactment, l'analisi crea un ambiente a cui l'organizzazione tenta di rispondere; la teoria si spinge oltre la teoria informativa modernista dell'incertezza percepita e afferma che quando reagiscono alle proprie percezioni, i decision maker attivano l'ambiente che immaginano e prefigurano.

Weick partì dal presupposto che le condizioni dell'ambiente non si possono separare dalle relative percezioni. Egli combinava questa idea con la teoria della costruzione sociale per ipotizzare che se i decision maker di una organizzazione assumono che l'ambiente sia reale, raccoglieranno e analizzeranno informazioni per creare previsioni accurate e prendere decisioni razionali.

Il fatto di agire sulla base della complessità percepita attiva un ambiente complesso perché i database si espandono e rendono più incerta l'analisi di un database in crescita. È importante capire come la teoria dell'enactment possa trovare la sua applicazione nella realtà materiale → è qui che si trova la differenza tra prospettiva simbolica e moderna. Secondo questa teoria noi creiamo nuove complessità ogni volta che introduciamo innovazioni tecnologiche seducenti.

Weick usa il termine equivocità per indicare il fatto che gli esseri umani equivocano quando moltiplicano delle possibilità percepite che poi utilizzano per attivare realtà contraddittorie. L'equivocità genera esperienze di incertezza che danno origine al concetto di ambiguità. L'ambiguità può giovare alle organizzazioni, infatti March e Olsen definivano l'ambiguità organizzativa come “una strategia per sospendere gli imperativi razionali che impongono coerenza, a favore dell'esplorazione di possibili scopi alternativi e concetti alternativi di coerenza comportamentale”.

Eisenberg ha elaborato le idee di March sull'ambiguità e ha osservato che a volte le persone omettono in modo intenzionale alcuni segnali contestuali e introducono nella comunicazione una ambiguità che favorisce la molteplicità delle interpretazioni. Eisenberg affermava che incoraggiando interpretazioni multiple degli obiettivi e della visione, i manager possono produrre una diversità unificata, da contrapporre al concetto di “unità di comando” proposto da Gulick, o al concetto armonizzante di “spirito del corpo” di Fayol, senza arrivare all'abbandono postmoderno di tutti i principi del management moderno.

Il post-modernismo e le relazioni tra organizzazioni e ambienteUno dei risvolti della prospettiva dell'enactment non considerato è che nel momento in cui noi riconosciamo di aver un ruolo come costruttori sociali di realtà organizzativa, possiamo liberarci dalle situazioni che non ci piacciono.Tale tipo di ragionamento è alla base delle riflessioni dei teorici post-modernisti che mirano a

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cambiamenti radicali attraverso la decostruzione.Il post-modernismo ha una forte impronta etica e ci ricorda che la responsabilità per la costruzione delle organizzazioni e di altre realtà ricade sulle nostre spalle.La teoria degli stakeholder affronta il tema dell'etica dei rapporti tra chi costruisce un'organizzazione e i soggetti la cui vita è influenzata da questa. Trae spunto dal concetto di legittimità introdotto dalla teoria istituzionale.

1. Le tre fasi dell’industrializzazioneBurns ha descritto la traiettoria dello sviluppo industriale dell’Occidente dividendola in tre fasi distinte.

1) La prima fase sarebbe connessa allo sviluppo delle macchine, utilizzate per estendere e aumentare la produttività del lavoro. In questa fase nasce il sistema della fabbrica. Questo sistema si impose come alternativa al sistema del subappalto, su cui la produzione industriale fu originariamente basata prima dell’introduzione delle fabbriche. Nel sistema del subappalto, gruppi di lavoratori, generalmente sotto la guida di un maestro artigiano, venivano assunti a contratto per svolgere lavori specifici. Nelle fabbriche, il ruolo del lavoratore a contratto venne sostituito da quello del capomastro che eseguiva gli ordini del direttore generale o del proprietario della fabbrica. Nel complesso, la responsabilità e le libertà di questi impiegati erano inferiori a quelle dei lavoratori a contratto; tuttavia il loro status sociale grosso modo si equivaleva. Le fabbriche cominciarono a fare la loro comparsa principalmente nell’industria tessile britannica. Esse consistevano in una colezione di macchinari sistemati in un certo edificio; le fabbriche impiegavano cuochi per la mensa dei lavoratori e anche vari tecnici per la riparazione e la manutenzione dell’edificio stesso. Nella prima fase, i macchinari di una fabbrica erano generalmente tutti di uno stesso tipo, e svolgendo un solo specifico compito o un solo ripetitivo processo di produzione. I compiti più complessi venivano ancora svolti con il vecchio sistema del lavoro a contratto. Nelle prime fabbriche, i tecnici della manutenzione e i supervisori erano quasi sempre uomini, mentre i lavoratori veri e propri erano per la maggior parte donne spesso affiancate da bambini.

2) Nella seconda fase del decollo industriale, che cominciò intorno al 1850 – 1860, il sistema della fabbrica si diffuse e si estese ai capi di abbigliamento e ai prodotti alimentari, all’ingegneria e alla raffineria di prodotti chimici e, infine, alla lavorazione del ferro e dell’acciaio. Tutti questi prodotti richiedevano complessi processi di produzione. Secondo Burns, la crescita e la sempre maggiore complessità tecnica dei processi di produzione portarono a un’espansione parallela dei sistemi di organizzazione sociale e burocratici, con la loro enfasi sul controllo, sulle routine e sulla specializzazione. Questi cambiamenti portarono a loro volta a una forte espansione dei quadri amministrativi e dirigenti e vennero accompagnati da varie migliorie nel sistema dei trasporti e delle comunicazioni, da una maggiore libertà di commercio, da un crescente interesse dell’opinione pubblica per i prodotti di consumo industriali, dalla rivoluzione degli armamenti che seguì ai progressi della tecnologia chimica e della lavorazione dell’acciaio e allo sviluppo di macchinari vari. Analoghi mutamenti si verificarono – al di fuori del campo industriale – negli eserciti nazionali e nelle P.A.. Furono proprio i cambiamenti introdotti in questa seconda fase dello sviluppo industriale che attirarono l’attenzione dei teorici classici della sociologia. Ad esempio, Weber e Marx predissero che questi cambiamenti avrebbero portato alla creazione di una nuova classe media di manager, impiegati e professionisti al servizio di grandi organizzazioni gerarchiche.

3) Burns riteneva che l’Occidente fosse entrato da poco nella terza fase dello sviluppo industriale. In questa fase, la produzione va di pari passo e può persino superare la domanda spontanea di beni all’interno di un paese. In una situazione simile, la dipendenza dell’organizzazione capitalistica dalla crescita della produzione conduce a una maggiore sensibilità alle esigenze del consumatore, a nuove tecniche per stimolare il consumo dei

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beni, all’internazionalizzazione delle imprese in cerca di nuovi mercati e allo sviluppo di nuove tecnologie che diventa sempre più frequente all’interno delle imprese industriali. Questo nuovo rapporto tra imprese e mercati richiede che le organizzazioni diventino più flessibili, più attente ai bisogni del consumatore, più attive a livello internazionale e tecnicamente innovative. Diventa inoltre necessario che tutti i membri di un’impresa si impegnino a sostenere lo sviluppo economico; ciò comporta uno stile organizzativo più partecipativo rispetto al passato. Questi cambiamenti, che Burns attribuisce alla terza fase dello sviluppo industriale, sono stati visti da altri come manifestazioni di un mutamento più radicale, almeno in Occidente: ovvero il passaggio dal sistema industriale a un sistema postindustriale.Nel suo libro “Lo choc del futuro” pubblicato nel 1970, il futurista Alvin Toffler ha asserito che un buon sistema per cercare di immaginare il livello di cambiamento sociale che l’era del computer e della tecnologia delle telecomunicazioni comporterà in futuro è quello di ripensare alla trasformazione della società che si è verificata con il passaggio dalla civiltà agricola alla civiltà industriale. Il sociologo americano Daniel Bell nel suo libro “The Coming of Postindustrial Society” chiamò questa trasformazione <<postindustrialismo>>. Bell sostenne che, mentre la società industriale sarebbe organizzata in base al controllo della produzione dei beni, la società postindustriale si baserebbe sulla produzione delle conoscenze e sull’utilizzo delle informazioni. Secondo l’autore, la società postindustriale si costituirebbe e si definirebbe in base alle sue modalità di acquisizione, elaborazione e distribuzione delle informazioni, modalità che sono state tutte rivoluzionate dall’introduzione del computer. Bell e altri attribuiscono l’affermazione di un’ economia globale alla possibilità di condividere istantaneamente informazioni e conoscenza; tale possibilità viene considerata il frutto della rivoluzione informatica. Un’altra conseguenza della rivoluzione informatica, come ha originariamente sottolineato il futurista John Naisbitt nel suo celebre libro “Megatrends”, è l’abbandono delle gerarchie a favore della creazione di network o reti di comunicazione, con un conseguente spostamento del baricentro della struttura organizzativa dall’asse verticale all’asse orizzontale. Questo aspetto dell’era dell’informazione costituisce il punto di partenza di moltissimi dibattiti sull’organizzazione postindustriale.

2. La teoria degli StakeholdersLa forma organizzativa più tipica dell'era post-industriale è il network o la rete: una caratteristica importante condivisa dalle organizzazioni è la scomparsa dei confini organizzativi, che sono sempre più trasparenti e permeabili.Non si fanno distinzioni tra reparti, posizioni gerarchiche e tra impieghi, ma anzi ci si sforza di collaborare l'uno con l'altro partecipando, in veste di esperti, a gruppi di lavoro di volta in volta diversi, continuando a studiare e a apprendere per tenere il passo con situazioni in continuo mutamento. La vita organizzativa post-industriale è piena di incertezze, contraddizioni e paradossi, al contrario della vita industriale.Secondo Freeman il rapporto tra imprese e stakeholder si fonda su un contratto sociale che garantisce una serie di diritti a coloro che hanno un interesse per le attività dell'organizzazione e/o per i suoi prodotti.Le organizzazioni che terranno in considerazione gli interessi di tutti gli stakeholder avranno dei risultati notevolmente superiori a quelli delle organizzazioni che ignorano alcune categorie di stakeholder.Nella teoria degli stakeholder il concetto di contratto si espande dal suo significato originario legale-politico per abbracciare la nozione di legittimazione sociale. Freeman applicò tale teoria alla corporate governance.La teoria degli stakeholder risulta essere un'applicazione della teoria istituzionale, in quanto adotta la legittimazione sociale come criterio di governance. Inoltre, fa riferimento ad alcuni dei concetti chiave della Critical Theory e del post-modernismo per motivare le limitazioni che

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andrebbero imposte all'azione interessata di alcune categorie di stakeholder (proprietari e dirigenti). Grazie alla teoria degli stakeholder molte organizzazioni si sono affacciate al tema dell'etica e hanno considerato il proprio impatto sull'ambiente sociale e fisico dal quale traggono le risorse.

3. La morale della teoria post-moderna: rifiutare l’egemoniaI post-modernisti definiscono le teorie organizzative moderniste delle grandi narrazioni e mirano a decostruire la loro retorica al fine di rivelare la complicità dei loro autori con l'egemonia dell'ordine capitalista.Nell'ottica marxista il concetto di egemonia si riferisce alla pratica di considerare universali gli interessi delle classi dominanti.Altri studiosi post-modernisti, invece, sono andati oltre la decostruzione, perchè la considerano una pratica emancipatoria finalizzata solo al superamento delle logiche moderniste; prefigurano quindi una ricostruzione delle organizzazioni, fondata su concezioni alternative al modernismo.Uno dei modi per capire e applicare la prospettiva postmodernista consiste nell'osservare come il linguaggio viene usato per costruire la realtà.→ nella teoria istituzionale e in quella dell'ecologia della popolazione le organizzazioni sembrano essere esclusivamente alla mercé del proprio ambiente.Esse adottano l'ambiente come livello di analisi e descrivono le organizzazioni come entità passive rispetto ad un ambiente che ne plasma le forme e ne condiziona i risultati.→ nella teoria della dipendenza da risorse e nella teoria dell'enactment le organizzazioni hanno un qualche grado di influenza sull'ambiente, giocano un ruolo più attivo→ la teoria della dipendenza dalle risorse e dell'enactment si situano a livello di analisi organizzativa, perchè delineano una prospettiva che inquadra lo sguardo delle persone verso l'esterno delle loro organizzazioni, nell'ambiente circostante.


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