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034_pubblico-privato

Date post: 10-Nov-2015
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publico privato
55
Joaquín Llobell Pubblico e privato: elementi di comunione nel processo canonico * 1. Premessa............................................1 2. Sui rapporti giuridici nella Chiesa «famiglia di Dio»: la centralità della persona umana e la «comunione» come espressione della peculiarità giuridica ecclesiale................................4 3. Sull’integrazione giuridica della dimensione pubblica e privata della persona umana e del fedele.........14 4. Sull’incomprensione della valenza comunionale del processo canonico: il panpubblicismo e il liberismo canonico. Sul significato giuridico di alcuni testi neotestamentari....................................22 5. Due vie per affermare la valenza comunionale del processo canonico: la «via istituzionale» e la «via personalista» radicata nell’«unità di vita» del fedele.............................................26 SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Sui rapporti giuridici nella Chiesa «famiglia di Dio»: la centralità della persona umana e la «comunione» come espressione della peculiarità giuridica ecclesiale. – 3. Sull’integrazione giuridica della dimensione pubblica e privata della persona umana e del fedele. – 4. Sull’incomprensione della valenza comunionale del processo canonico: il panpubblicismo e il liberismo canonico. Sul significato giuridico di alcuni testi neotestamentari. – 5. Due vie per affermare la valenza comunionale del processo canonico: la «via istituzionale» e la «via personalista» radicata nell’«unità di vita» del fedele. 1 Premessa L’intervento riguarda tematiche gravi, sulle quali i filosofi, i giuristi e i teologi hanno riflettuto sin dall’antichità e sulle quali è in corso un dibattito dottrinale che investe la stessa sussistenza delle relazioni * In La giustizia nella Chiesa: fondamento divino e cultura processualistica moderna , Atti del 28º Congresso Nazionale dell’Associazione Canonistica Italiana (Cagliari, 9-12 settembre 1996), Città del Vaticano, 1997, pp. 47-84.
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Joaqun Llobell

Joaqun Llobell. PUBBLICO E PRIVATO: ELEMENTI DI COMUNIONE NEL PROCESSO CANONICO38

Joaqun Llobell

Pubblico e privato:elementi di comunione nel processo canonico *11.Premessa

42.Sui rapporti giuridici nella Chiesa famiglia di Dio: la centralit della persona umana e la comunione come espressione della peculiarit giuridica ecclesiale

143.Sullintegrazione giuridica della dimensione pubblica e privata della persona umana e del fedele

224.Sullincomprensione della valenza comunionale del processo canonico: il panpubblicismo e il liberismo canonico. Sul significato giuridico di alcuni testi neotestamentari

265.Due vie per affermare la valenza comunionale del processo canonico: la via istituzionale e la via personalista radicata nellunit di vita del fedele

Sommario: 1. Premessa. 2. Sui rapporti giuridici nella Chiesa famiglia di Dio: la centralit della persona umana e la comunione come espressione della peculiarit giuridica ecclesiale. 3. Sullintegrazione giuridica della dimensione pubblica e privata della persona umana e del fedele. 4. Sullincomprensione della valenza comunionale del processo canonico: il panpubblicismo e il liberismo canonico. Sul significato giuridico di alcuni testi neotestamentari. 5. Due vie per affermare la valenza comunionale del processo canonico: la via istituzionale e la via personalista radicata nellunit di vita del fedele.

AUTONUMPremessa

Lintervento riguarda tematiche gravi, sulle quali i filosofi, i giuristi e i teologi hanno riflettuto sin dallantichit e sulle quali in corso un dibattito dottrinale che investe la stessa sussistenza delle relazioni di giustizia e, quindi, del diritto nella Chiesa. Perci queste riflessioni, focalizzate sul processo, non hanno la pretesa di esaminare tutti i principali argomenti implicati n di offrirne una risposta originale o, almeno, compiuta.

Nel nocciolo di questa analisi si trova il tentativo modesto solo per i risultati che sono riuscito a raccogliere di apprendere alcuni dei molteplici contenuti giuridici dellinsegnamento di Giovanni Paolo II, in particolare quelli che possono essere rilevanti per il sistema ecclesiale di tutela dei diritti. Tale insegnamento esplicita vigorosamente il magistero del Concilio Vaticano II e pone alla canonistica lappassionante sfida di concettualizzare in termini giuridici i notevoli e numerosi elementi di giustizia insiti nel magistero conciliare e pontificio. Detto compito stato avviato dalle numerose leggi postconciliari (fra cui i codici latino ed orientale), dalla giurisprudenza e dalla dottrina dellultimo trentennio, ma resta ancora tanto da capire e da attuare.

Lo schema originario della conversazione questo lo scopo dellesposizione aveva due parti. Nella prima intendevo solo accennare ad alcune questioni dibattute di natura assiologica, utilizzando fra i molteplici argomenti trattati dalla riflessione dottrinale ancora in atto talune delle scelte tematiche e dei rilievi critici e problematici proposti al convegno tenutosi a Venezia nel 1994 , e attingendo per alcuni spunti dal testo di una relazione che prossimamente sar tenuta dal canonista cileno Errzuriz sulla persona nellordinamento canonico , in cui ho trovato esposti molti dei problemi che per me sono importante oggetto di riflessione e che sono stati dallo stesso autore risolti in modo molto similare a come intendevo esporli. Nella seconda parte, poi, mi ero proposto di verificare lutilit teoretica ed applicativa dei concetti di comunione e di pubblico e privato riguardo al sistema ecclesiale sia per evitare il processo sia, invece, per legittimarlo. Poi, sempre da una prospettiva di critica assiologica, pensavo di accennare alle tre specie di processo canonico indicate dal can. 1400: il contenzioso (matrimonializzato dalla prassi), il penale e il contenzioso-amministrativo.

Invece, lapprofondimento delle questioni riguardanti la prima e linizio della seconda parte del progetto ha escluso dalla trattazione ogni accenno alle singole specie del processo canonico. Comunque, spero di avere accolto lottica ermeneutica consigliata dal titolo del Congresso fondamento divino e cultura processualistica moderna, perch sono convinto dellapplicazione al diritto canonico della seguente proposizione del Pontefice: nella storia della Chiesa, il vecchio e il nuovo sono sempre profondamente intrecciati tra loro. Il nuovo cresce dal vecchio, il vecchio trova nel nuovo una pi piena espressione .

Infatti, le due prime opere del sistema giuridico giustinianeo le Institutiones e il Digesto fondano la loro concettualizzazione giuridica sulla distinzione fra due positiones: Huius studii duae sunt positiones, publicum et privatum . Graziano, nella prima distinzione del Decretum, adopera una identica impostazione assiologica , essendo evidente la dipendenza romana, quantunque egli indichi le Etimologie di Isidoro di Siviglia come fonte della sequenza iniziale dei suoi canoni, senza accennare alle fonti giustinianee che, tuttavia, sono utilizzate, ad esempio nella distinzione seconda della prima parte del Decretum , sebbene Graziano sempre citi il diritto romano riprendendolo da collezioni canoniche. Al di l dei problemi della critica interpolazionistica e della contestualizzazione ermeneutica, detti testi evidenziano sia la classicit dellesplicita analisi giuridica romana e canonica fra pubblico-privato, sia limplicito rapporto, che non pu non avere valenza giuridica, intercorrente fra il concetto moderno di comunione ecclesiale (presupposto che la comunione sia un concetto che espressi una realt e non un mero termine carente di significato) e la funzione comunionale che Graziano attribuiva al diritto .

La nostra analisi implica infatti che il binomio pubblico-privato e la comunione non sono meri pseudo-concetti per rendere agevole lelaborazione di una sistemazione scientifica , essendo pienamente concordi con la teorizzazione di Bertrams secondo cui si tratta invece di una questione dogmatica propria dellantropologia cristiana e dellecclesiologia cattolica . Comunque, dellanzidetta impostazione meramente formale e strumentale si potrebbero fare molti esempi. Una manifestazione aneddotica lho percepita quando, avendo preparato la voce Processo canonico ordinario per i volumi pubblicistici di una nota enciclopedia, i responsabili delledizione hanno considerato opportuno includere detta voce fra i volumi privatistici dellopera, vista la natura canonistica, anzich ecclesiasticistica, del contributo.

AUTONUMSui rapporti giuridici nella Chiesa famiglia di Dio: la centralit della persona umana e la comunione come espressione della peculiarit giuridica ecclesiale

Fra le diverse figure che la Scrittura, la liturgia, il magistero e la teologia applicano alla Chiesa ce n una particolarmente suggestiva per la nostra indagine: quella di famiglia di Dio. Lespressione, che ha salde radici evangeliche ed apostoliche (cfr. Lc 12, 42; Gv 13, 34-35; Gal 6, 10; 1 Gv 3, 1-2, 10, 14-18, 23-24; ecc.), stata utilizzata dal Concilio Vaticano II almeno in otto occasioni per riferirsi sia ai fedeli cattolici, sia ai fratelli nel Signore non cattolici (decr. Unitatis redintegratio, n. 3), sia allintera umanit . Invero, i testi conciliari non identificano la condizione (n ontologica n giuridica) dei battezzati e dei non battezzati, e distinguono quella dei cattolici da quellaltra degli acattolici. Tuttavia e ci presupposto , detti testi consentono lutilizzo analogico dellespressione per individuare il patrimonio giuridico ecclesiale comune ad ogni persona umana, nel pieno rispetto delle anzidette diversit. Le conseguenze ecclesiali di tali diversit, essendo reali, non comportano alcuna discriminazione. Ci premesso, constatiamo che gi Pio XII aveva parlato della Chiesa come famiglia in un contesto giuridico, ulteriormente riproposto da Paolo VI . Tuttavia, sulla scia di questi e di altri interventi magisteriali, Giovanni Paolo II ha compiuto uno straordinario approfondimento sulla riflessione della Chiesa famiglia di Dio, approfondimento che comporta significative conseguenze giuridiche.

Infatti presupposto il senso autentico dellespressione patristica fuori della Chiesa non c salvezza e della necessit del battesimo il Papa non esita ad affermare che per mezzo della Chiesa, tutti gli esseri umani sia donne che uomini sono chiamati ad essere la sposa di Cristo, redentore del mondo. (...) Nella Chiesa ogni essere umano maschio e femmina la sposa [di Cristo], in quanto accoglie in dono lamore di Cristo redentore, come pure in quanto cerca di rispondervi col dono della propria persona . Questo essere in intimo rapporto con Cristo di ogni persona umana, a cui Cristo ha donato se stesso come sposo, manifesta lintrinseca ordinazione di ogni persona umana alla Chiesa visibile. In tale intrinsecit si pu scorgere una realt ontologica su cui fondare un patrimonio giuridico ecclesiale di ogni persona umana che supera radicalmente i noti problemi ermeneutici posti dal can. 96 sullincidenza del battesimo e della comunione sul concetto di persona in Ecclesia . Infatti, il dono sponsale di Cristo offerto ad ogni persona umana e, nel mistero di questa unione sponsale, stata chiamata a formare parte della Chiesa famiglia di Dio e a partecipare del patrimonio familiare, quantunque i relativi diritti su tale patrimonio siano diversi perch diverso il rapporto ontologico dei battezzati (cristoconformati per il sacramento) e dei non battezzati con la Chiesa, che strutturata sacramentalmente e il loro esercizio ponga problemi per il riconoscimento della adeguata e diversa legittimazione . Invero Cristo si offre come sposo anche a chi non cerca di rispondervi col dono della propria persona e quindi, pur nella condizione del figliuolo prodigo prima della conversione (cfr. Lc 15, 12-16), membro di detta famiglia, avendo il diritto diverso fra i battezzati e i non battezzati di sapersi membro e di esservi accolto come tale .

Ma vi di pi nellinsegnamento di Giovanni Paolo II. Il Pontefice rende armonici nel senso di rispecchiare la sostanziale continuit nel mistero di Dio lordine della creazione e quello della redenzione e propone la famiglia fondata sul matrimonio come primaria espressione e modello della realt sacramentale e misterica della Chiesa, partendo da un concetto metafisico di persona che approda a quello di antropologia cristiana (o adeguata) :

Non si pu comprendere la Chiesa come Corpo mistico di Cristo, come segno dellAlleanza delluomo con Dio in Cristo, come sacramento universale di salvezza, senza riferirsi al grande mistero, congiunto alla creazione delluomo maschio e femmina ed alla vocazione di entrambi allamore coniugale, alla paternit e alla maternit. Non esiste il grande mistero, che la Chiesa e lumanit in Cristo, senza il grande mistero espresso nellessere una sola carne (cfr. Gn 2, 24; Ef 5, 31-32), cio nella realt del matrimonio e della famiglia. La famiglia stessa il grande mistero di Dio. Come Chiesa domestica, essa la sposa di Cristo. La Chiesa universale, e in essa ogni Chiesa particolare, si rivela pi immediatamente come sposa di Cristo nella chiesa domestica e nellamore in essa vissuto: amore coniugale, amore paterno e materno, amore fraterno, amore di una comunit di persone e di generazioni .

Come la famiglia formata e realizzata da tutti i suoi membri, in situazioni essenzialmente diverse (sposa-sposo, genitore-figlio, fratelli ecc. ) ma ugualmente manifestanti e costruttive del rapporto familiare in una comunit di persone e di generazioni, cos tutti coloro che, mediante il battesimo, sono stati incorporati a Cristo manifestano e costruiscono la Chiesa con il loro medesimo vincolo essenzialmente comunitario: il sacerdozio regale. Il Pontefice lo ha ricordato da unangolazione nuova, appunto familiare nella lett. ap. Mulieris dignitatem .

Nella realt familiare vi sono rapporti giuridici fondati sulla condizione di membro di essa che manifestano solo una piccola parte del ricco mondo relazionale che origina e che integra dinamicamente la famiglia. Comunque, avviene che tale piccola parte del rapporto familiare (quella giuridica) essenziale e, talvolta, fondante di ogni singola relazione (il rapporto di giustizia fra gli sposi, fra i genitori e i figli ecc.), ad esempio la percezione armonica ed unitaria dei concetti di matrimonio in fieri e di matrimonio in facto esse . Cos nella Chiesa che stata modellata da Dio ad immagine della Trinit e al servizio della persona umana pensata (cio creata) dallo stesso Dio in un contesto necessariamente familiare si pu individuare in ogni rapporto ecclesiale-umano (fra i fedeli qua talis, con i titolari della potest e con i non battezzati) un piccolo nucleo di giuridicit, cio di beni dovuti in giustizia.

A questo punto del nostro discorso prima di continuare lapprofondimento delle conseguenze giuridiche della percezione della Chiesa come famiglia di Dio sul concetto di pubblico-privato e di comunione diventa necessario fare un previo chiarimento di natura gnoseologica. Se una parte considerevole del magistero (intraecclesiale ed extraecclesiale ) di Giovanni Paolo II imperniato sul concetto di persona umana, di vita umana e di famiglia umana; se tale magistero adopera lanzidetta antropologia cristiana (o adeguata, cio fondata sulla rivelazione soprannaturale e sulla riflessione metafisica); se il Papa chiede accoratamente agli intellettuali cattolici di promuovere un confronto serio e approfondito con tutti, anche con i non credenti, sui problemi fondamentali della vita umana, nei luoghi dellelaborazione del pensiero, giacch sradicare la libert della verit oggettiva rende impossibile fondare i diritti della persona su una solida base razionale e pone le premesse perch nella societ si affermino larbitrio ingovernabile dei singoli o il totalitarismo ; allora non sembra possibile prescindere radicalmente nella riflessione ecclesiologica dai mezzi naturali offerti da Dio alluomo per conoscere la verit, introducendo una frattura epistemologica fra naturale e soprannaturale che, fra laltro, renderebbe difficile il dialogo con i non cristiani sui valori della persona umana, della vita umana e della famiglia umana, e che ostacolerebbe, nella ricerca della verit soprannaturale, lapplicazione dei motivi di credibilit .

Ma riprendiamo il discorso sulla giuridicit insita nel concetto di comunione nella Chiesa famiglia di Dio. Secondo la tesi dellabbandono radicale e definitivo di un concetto di diritto e di giuridicit comune alla Chiesa e agli ordinamenti civili, la nozione di comunione verrebbe a costituire il nucleo centrale della giuridicit ecclesiale . Tuttavia, in realt, siffatto concetto di comunione ecclesiale, da una parte, affievolirebbe tale giuridicit perch i beni propri dei singoli verrebbero, in qualche misura, commissariati dai sacri pastori. E, dallaltra, manifesterebbe una certa contradictio in terminis laddove detto concetto di comunione che dovrebbe essere essenzialmente onnicomprensivo di tutti i membri della Chiesa famiglia di Dio con il loro patrimonio giuridico proprio, quantunque tale concetto sia analogo e nella sua applicazione si debba distinguere la posizione ecclesiale e giuridica dei cattolici da quella, ontologicamente diversa e non univoca, degli acattolici e dei non battezzati diventasse, invece, motivo di esclusione di molte persone umane dalla loro famiglia (la famiglia di Dio, secondo la concettualizzazione conciliare sviluppata da Giovanni Paolo II) perch detto concetto non li considererebbe membri di pieno diritto, quantunque la loro posizione sia ontologicamente (e non solo formalmente) diversa, come test indicato. Se la Chiesa, nelladempimento della sua missione redentrice ed evangelizzatrice nei confronti di ogni persona umana, deve pensare a se stessa anzitutto come lavvocato delluomo , limpostazione ecclesiologica e giuridica della Chiesa famiglia di Dio non dovrebbe introdurre alcuna concettualizzazione discriminante della dignit di ogni membro di tale famiglia (ogni persona umana). Invece, la Chiesa pu, e deve, distinguere le diverse posizioni ecclesiali e giuridiche della persona umana secondo il suo rapporto ontologico (per il battesimo) e istituzionale, ma tale distinzione deve essere fatta nel pieno rispetto della condizione e della dignit (anche essa ontologica) di ogni persona e del suo patrimonio giuridico, che realmente diverso fra i battezzati e i non battezzati .

Lesistenza di questo patrimonio nei confronti delle altre persone e delle diverse istituzioni sociali umane non necessita di dimostrazione. Fra i beni integranti tale patrimonio vi quello primario della libert con le sue molteplici esplicitazioni. Allinterno della comunit familiare i diritti di libert di ogni membro devono essere differenziati. Infatti, gli sposi sono tali perch hanno esercitato previamente la loro libert di donarsi mutuamente come coniugi e hanno impegnato la loro libert di coniugarsi finch morte non li separi. Inoltre, i genitori hanno diritti che condizionano la libert dei figli ma hanno anche doveri nei confronti dei molteplici diritti di libert dei figli ecc. Tali rapporti giuridici possono e devono essere accolti dalle norme giuridiche se si considera che la finalit tipica della norma giuridica proprio quella di individuare e tradurre in concreto la relazione pi appropriata di un uomo nei confronti degli altri uomini (lhominis ad hominem proportio) . Tuttavia, vi sono relazioni familiari la cui pi appropriata individuazione trascende le categorie giuridiche, quantunque le presupponga. Di conseguenza, ovvio che qualora la vita familiare fosse vissuta nei soli mbiti di giuridicit ci significherebbe la rovina della famiglia.

Avviene altrettanto nella Chiesa famiglia di Dio . La posizione dei sacri pastori nei confronti degli altri fedeli assimilabile a quella degli sposi e dei genitori , con le dovute distinzioni provenienti, fra laltro, della intercambiabilit, pluralit e temporalit dei sacri pastori e dei loro mutui rapporti gerarchici. Tale simmetria asimmetrica fra la Chiesa e la famiglia si troverebbe alla base dellaffermazione di Berling secondo cui nellordinamento istituito da Cristo, i pur necessari elementi di stabilit e di certezza (...) tendono a stemperarsi ed a flettersi, per dare spazio, il pi possibile, alla libert dei figli di Dio (...). Per la Chiesa risulta quindi fondamentale il rispetto dellautonomia della primogenitura o della figliolanza .

Dalla pubblicizzazione dellordinamento ecclesiale avvenuta nellottocento e manifestata in occasione della prima codificazione , vi sono state diverse impostazioni normative, giurisprudenziali e dottrinali sul rapporto persona-diritto in cui appaiono come antinomie i derivati concetti di persona-istituzione, di bene personale-bene comune, di privato-pubblico o di persona-autorit gerarchica. Tali impostazioni, persino quelle di carattere estremo, in cui la contrapposizione appare pi radicale come, ad esempio, il panpubblicismo di Pio Fedele o quellaltra del necessario intervento costitutivo dellautorit nellesercizio del diritto di associazione , rappresentano piuttosto linee di tendenza in cui riscontrabile una tensione dialettica non risolta armonicamente. Allorigine del problema e delle antinomie vi si troverebbe una insufficiente rappresentazione concettuale dellessere del diritto nella Chiesa che lo identifica con linsieme delle norme positive emanate dallautorit .

Tale identificazione paradossalmente riscontrabile in taluni atteggiamenti contraddittori ed estremi che, non riuscendo a cogliere le esigenze veramente oggettive della persona e del fedele, o le sacrificano per rivalutare lautorit o le soggettivizzano per proteggere un concetto assoluto di libert. Per superare il dilemma, seguendo le linee tracciate dal Vaticano II sviluppate da Karol Wojtyla, prima come filosofo e teologo e poi come Papa, utile analizzare il nesso essenziale tra bene comune della societ e i diritti e doveri della persona e del fedele. Tale nesso non sarebbe stato sufficientemente recepito nellordinamento giuridico ecclesiale laddove la centralit della persona appaia in contrapposizione con la centralit della comunione .

Invece, detta tensione sembra essere stata risolta dal Pontefice quando indica che luomo, nella piena verit della sua esistenza, del suo essere personale ed insieme del suo essere sociale (...) la prima fondamentale via della Chiesa, via tracciata da Cristo stesso . Infatti, Karol Wojtyla aveva gi concluso che in ogni singola persona Dio ha impresso un carattere di comunione, muovendo dallindole comunitaria della umana vocazione nel piano di Dio , per cui luomo (...) non pu ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di s (cost. past. Gaudium et spes, n. 24c).

Siffatta comprensione personalista dellecclesiologia utile per percepire la dimensione giuridica della Chiesa e per tentare di dare in qualche modo accesso alla nozione di comunione nelluniverso delle categorie giuridiche sotto la veste formale di una qualificazione adeguata (...), ispirandosi ad orientamenti teorici pi pragmatici e attenti alla concretezza dellesperienza giuridica . Infatti la relazionalit giuridica della persona si basa sulla sua intrinseca e naturale (nel senso metafisico) socialit, che fonda loggettivit delle situazioni giuridiche. La considerazione del quid proprium della relazionalit giuridica della persona individuata, secondo la proposizione classica riproposta dal Decano della Rota Romana , nella res iusta, riguardo alla quale le persone appaiono costitutivamente quali soggetti di diritto e di dovere giuridico. Cio, da una parte, vi sono beni che appartengono allmbito, vitale e operativo, di oggettiva appartenenza della persona e che hanno natura di diritti in quanto dipendono dal comportamento libero di altri soggetti, i quali, daltra parte, sono tenuti ai rispettivi doveri, che sono propriamente giuridici in quanto correlativi ai diritti altrui .

I beni giuridici oggetto dei rapporti di giustizia intraeccesiale sono tutti quelli sui quali vi si trovi la dualit diritto-dovere. Quindi troviamo beni giuridici presenti, in modo sostanzialmente uniforme, in ogni comunit, dai pi materiali, come i beni patrimoniali, a quelli spirituali come lintimit e la buona fama . Ma ve ne sono altri specifici della giuridicit ecclesiale che una prospettiva preponderante identifica con i beni canonicamente tipizzati al servizio dei vincoli visibili della comunione: la parola di Dio (manifestata nella professione di fede), i sacramenti e il regime ecclesiastico (cfr. can. 205) .

Questi tre beni agiscono su un piano comunionale diverso e pi limitato rispetto ad altri beni giuridici attinenti pure alla comunione nella Chiesa famiglia di Dio. Infatti, sono limitati, da una parte, secondo la convincente terminologia di Aymans , nei confronti dei diritti ecclesiali comuni i quali comprendono tutti i beni specifici della comunione intraecclesiale, attuata e resa visibile per il battesimo. E, dallaltra parte, detti tre beni sono ancora pi limitati nei confronti dei beni e dei diritti della persona umana che, qua talis, membro della Chiesa famiglia di Dio ancora prima di essere stata battezzata e non solo per la mera ordinazione allincorporazione visibile mediante il battesimo, ma da posizioni ontologicamente diverse, come abbiamo pi volte ricordato , con il susseguente e ontologico patrimonio giuridico ecclesiale proprio, che merita la tutela dellordinamento canonico.

Considerando ora solo i tre beni (la parola, i sacramenti e il regime) su cui si fondano i vincoli visibili della comunione intraecclesiale, di natura soprannaturale, da notare che da essi scaturiscono i tria munera: docendi, sanctificandi e regendi. Ratzinger ha osservato che, mentre i due primi munera (docendi e sanctificandi) causano detta comunione, il terzo (lufficio, nella sua concettualizzazione) la testimonia, essendo quindi a loro servizio .

Comunque, ogni fedele partecipa attivamente alla communio regiminis giacch il sacerdozio regale comporta una partecipazione attiva ai tria munera, pur essendo essenzialmente diverso da quello ministeriale ricevuto dai sacri pastori nellordine sacro e a prescindere della titolarit di qualche ufficio . Perci, la communio regiminis implica sia lobbligo di obbedienza allautorit sia quello reciproco di rispetto della legittima libert del singolo fedele. Invero, Giovanni Paolo II ha indicato che il concetto di comunione sintetizza due conseguenze essenziali delluniversalit della Chiesa: la pi solida unit e (...) una pluralit e una diversificazione, che non ostacolano lunit .

Da questo punto di vista, ovvio che la struttura gerarchica della Chiesa ha un rapporto diretto con lamministrazione dei mezzi di salvezza. Tuttavia, Hervada ha segnalato che detto rapporto non genera per i fedeli e per ogni persona umana una situazione giuridica di radicale condicio subiectionis riguardo alla gerarchia sebbene la dimensione della subiectio sia essenziale al rapporto gerarchico istituito da Cristo perch i mezzi di salvezza sono stati dati da Cristo a tutto il popolo di Dio e allintera famiglia di Dio e, quindi, appartengono in modo differenziato ad ogni fedele e ad ogni persona umana. Il fedele e la persona umana hanno entrambi sui mezzi di salvezza un vero diritto, quantunque in modo diversificato . Dato che tale diritto essenzialmente e contemporaneamente personale e del popolo di Dio, Hervada colloca questa situazione giuridica nella condicio communionis, evidenziando sia il compito ministeriale dei sacri pastori nei confronti dei quali, in quanto membri della gerarchia istituita da Cristo, i fedeli non possono non trovarsi contemporaneamente in una conditio subiectionis sia la centralit della persona , qua talis e non solo in quanto fedele.

Vi unaltra dimensione di giustizia riscontrabile nelle relazioni fra i singoli fedeli, in quanto il rapporto con i beni salvifici mediato dagli altri nella Chiesa . Infatti, alcuni documenti magisteriali e disciplinari recenti ricorrono alla categoria di diritti dei fedeli per alludere alla loro situazione giuridica riguardo agli altri fedeli. Ci appare con particolare chiarezza in alcuni provvedimenti della Congregazione per la dottrina della fede in cui si mostra come la presentazione distorta della sana dottrina significa la violazione del diritto dei fedeli e di ogni persona umana ad accedere alla parola di Dio nella sua autenticit. Una tale condotta antigiuridica e non solo immorale, al di l della sua tipizzazione penale e richiede il giusto risarcimento del danno mediante lopportuna rettificazione . Infatti, Ratzinger ha osservato che la libert anzitutto una condizione dellessere, caratterizzata positivamente mediante la consistenza di certi diritti. I diritti presuppongono il diritto e acquistano realt solo nel nesso vincolante del diritto. (...) Il diritto fondamentale del cristiano il diritto alla fede integra. (...) Tutte le altre libert nella Chiesa sono ordinate a questa libert fondamentale .

Lepilogo del codice salus animarum in Ecclesia suprema semper lex esse debet (can. 1752) mostra quanto personalistica sia stata sempre la percezione dei rapporti giuridici nella Chiesa, essendo lanima propria della persona umana. Perci Errzuriz definisce il diritto canonico come la dimensione giuridica del disegno ecclesiale della salvezza . Il disegno ecclesiale e non divino allo stato puro perch la Chiesa istituzione agisce come mediatrice fra Dio e la persona umana nella concrezione storica della volont divina : qui vos audit, me audit; et qui vos spernit, me spernit; qui autem me spernit, spernit eum, qui me misit (Lc 10, 16) . Di conseguenza, laccennato diritto fondamentale alla fede integra appartiene ai fedeli, ma anche da posizioni ontologiche e con titoli giuridici diversi ad ogni persona umana, in quanto membro della Chiesa famiglia di Dio, nel senso ampio ed analogo esposto.

AUTONUMSullintegrazione giuridica della dimensione pubblica e privata della persona umana e del fedele

Dalla sommaria analisi tracciata sulla giuridicit dei rapporti ecclesiali ne deriva la proponibilit della classica impostazione, accennata allinizio della conversazione, secondo cui vi una netta e reale, ma armonica, distinzione fra pubblico e privato nelle relazioni di giustizia. Tuttavia, prima di riprendere i cenni sul rapporto pubblico-privato in alcuni autori del periodo compreso fra la glossa di Bartolomeo da Brescia al Decretum (1215-1217) e la promulgazione del Liber sextus con la bolla Sacrosanctae Romanae Ecclesiae di Bonifacio VIII (3 marzo 1298), vale la pena ricordarne alcune moderne impostazioni contrastanti e segnalare qualche conseguenza che ne deriva sul sistema di tutela dei diritti nella Chiesa.Secondo la nota impostazione di Pio Fedele, la salus animarum, dalla prospettiva canonistica, avrebbe come finalit preponderante, assorbente di tutte le altre, quella di evitare le condizioni oggettive di peccato in ogni situazione giuridica. Anzi, la giuridicit ecclesiale scaturirebbe necessariamente dal rapporto di ciascuna situazione con tale finalit . Questa impostazione comporterebbe la pubblicizzazione di tutti i beni giuridici ecclesiali, rendendo assiologicamente impossibile lesistenza dellautonomia privata e di veri diritti erga omnes . Quantunque il Fedele abbia approfondito i concetti di flessibilit della norma canonica, come lequit, per consentire allordinamento il raggiungimento del suo scopo nei casi singoli, la pubblicit insita nella ratio peccati renderebbe improponibile qualche rapporto giuridico diretto fra i fedeli qua talis, senza una certa mediazione dei sacri pastori, rappresentanti del bene pubblico. ben nota limmediata reazione alla tesi del Fedele da parte di un ampio settore dottrinale, unificato nella sua diversit nel contestare la tesi panpubblicistica e nellaffermare con angolazioni e conclusioni molto varie la validit della distinzione pubblico-privato .

Quantunque sia ovvio che il discorso giuridico riguardi solo il foro esterno, non superfluo segnalarlo esplicitamente in questo contesto. Infatti la salus animarum, pur costituendo il fine ultimo della Chiesa in terra, opera della misericordia divina e, quindi, esula dal concetto di bene dovuto e trascende i parametri della giustizia giuridica ecclesiale la quale, comunque, ad essa indirizzata (cfr. can. 1752). Perci lassunzione della salus animarum come criterio assoluto e immediato della giuridicit ecclesiale potrebbe indurre a confondere il foro interno con quello esterno . Un esempio recente dellintricarsi dei due fori, nonch della adeguata differenziazione di entrambi, lo si pu trovare nellaffermazione del Pontefice secondo cui i canoni (del Concilio di Trento) enunziano in precisa forma giuridica la dottrina cattolica sullaccusa completa dei peccati mortali in confessione . Giovanni Paolo II si rivolgeva ai partecipanti ad un corso sul foro interno, che lmbito proprio del sacramento della penitenza. Tuttavia, la proposizione della dottrina della Chiesa sulla struttura e sulle condizioni del sacramento riguarda il munus docendi, che appartiene al foro esterno ed ha evidenti elementi di giustizia: appunto la corrispondenza di quanto insegnato da chi esercita il munus docendi con tale dottrina.

Nel postconcilio il dibattito sul pubblico-privato assunse una nuova valenza in seguito a talune riformulazioni assiologiche sullo stesso concetto di diritto canonico . Infatti, da una parte, Corecco forse estrapolando il pensiero del suo maestro Mrsdorf (estrapolazione che non si darebbe invece in Aymans) ha sostenuto che la distinzione pubblico-privato inconcepibile nel sistema canonico, perch inesistente dal profilo ecclesiologico . Invero, ci che Corecco avrebbe negato non sarebbe lindole pubblica o privata dei diritti dei fedeli, bens la loro stessa sussistenza nei confronti dei sacri pastori, ai quali la sacra potestas consentirebbe il discrezionale riconoscimento e la tutela dei beni dei fedeli. Tali beni dunque non avrebbero la valenza di veri diritti (erga omnes), quantunque mere ragioni di opportunit portassero il caro amico ad accettare luso, comunque discrezionale, dei princpi essenziali del processo .

Dallaltra parte, invece, Lombarda, Hervada e la loro scuola non solo utilizzano la distinzione ma hanno avviato lelaborazione di una disciplina canonistica il diritto della persona destinata allo studio degli aspetti privatistici del sistema . Tale distinzione intesa come criterio di attribuzione di attivit che corrispondono o allorganizzazione ecclesiastica o ai fedeli, uti singuli o associati, ma sulla base della loro autonomia privata e sotto la propria responsabilit, senza coinvolgere tale organizzazione, per il conseguimento dellunico fine della Chiesa .

interessante notare come, al di l di questioni terminologiche, vi una coincidenza sostanziale fra limpostazione di Hervada e di Lombarda e quella di Aymans nel considerare che il fedele sviluppa la sua attivit propria quella che ha rilievo sostanzialmente ecclesiale e apostolico normalmente nellmbito secolare, la cui configurazione giuridica prevalentemente civile, piuttosto che canonica, quantunque il legame del fedele con la Chiesa si estenda allintera vita personale . In realt, detta coincidenza pi che riguardare argomenti accademici, nei quali le diverse scuole hanno il loro proprio mbito fa riferimento diretto al nocciolo dellinsegnamento del Concilio Vaticano II: la radicale uguaglianza di tutti i fedeli nella realizzazione del fine proprio della Chiesa (lidentificazione con Cristo: la chiamata universale alla santit) e la percezione della valenza redentrice ed esemplare per la stragrande maggioranza dei fedeli della vita laicale di Cristo (la cosiddetta vita occulta durata circa trentanni) . Perci il Pontefice, citando il beato Josemara Escriv, ha affermato che non c nulla che sia estraneo alla attenzione di Cristo. Parlando con rigore teologico (...) non si pu dire che ci siano realt buone, nobili, e anche indifferenti esclusivamente profane: perch il Verbo di Dio ha stabilito la sua dimora in mezzo ai figli degli uomini .

Tuttavia, per il nostro discorso, pi che costatare le coincidenze (e le divergenze) dottrinali importante riscoprire che la dimensione pubblica e privata della persona umana, del fedele qua talis e dei loro diritti ha un fondamento metafisico e teologico. Infatti, la ricchezza dottrinale del Vaticano II, dei suoi accennati prodromi e della sua interpretazione compiuta da Karol Wojtyla incomprensibile se non si tiene presente la concettualizzazione antropologica e teologica classica, che in buona misura stata sintetizzata e sviluppata da Tommaso dAquino (1225-1274). Lintrinsecit a detta concettualizzazione della dimensione di giustizia emerge vigorosamente anche dal solo sguardo allindice degli argomenti trattati dalla Summa theologiae e da altre opere tommasiane, in cui i concetti di giustizia, di diritto e di legge occupano molte quaestiones della Summa e costituiscono il centro, ad esempio, del De regimine principum o della Sententia Libri Politicorum. Tale constatazione manifesta la percezione del ruolo della giuridicit nella vita della persona umana e della Chiesa compiuta da Tommaso . Infatti, egli, pur non essendo canonista ebbe un continuo rapporto con il mondo giuridico sia allUniversit di Parigi sia nei lunghi anni in cui segu la corte pontificia nelle sue residenze di Anagni, Orvieto, Roma e Viterbo (1259-1268). In questo modo, egli pot conoscere e riflettere sui problemi giuridici, in particolare quelli di natura assiologica, posti dalla glossa di Bartolomeo da Brescia al Decreto di Graziano (1215-1217) e dai primi commentatori alle decretali raccolte dal suo confratello domenicano Raimondo di Penyafort e promulgate da Gregorio IX nel Liber extra con la bolla Rex Pacificus (1234). Infatti, le citate opere furono scritte durante il soggiorno presso la corte pontificia e al ritorno di Tommaso a Parigi (1269-1272) .

Tommaso dAquino distingueva molto bene le fonti da cui scaturiscono il diritto e i rapporti di giustizia. Mentre, da una parte, affermava che la legge rivolta alla comunit e, in questo senso, la sua natura non pu essere che pubblica, dallaltra riconosceva un ampio settore privato di diritto e di giustizia, in quanto riguardante ad aliquam privatam personam. Quel settore, cio, attinente alla giustizia che, per contrapposizione a quellaltra legale (pubblica), era chiamata particularis e che comprendeva la giustizia commutativa e distributiva .

Nel contempo, Tommaso aveva una forte percezione della natura comunitaria della persona umana e della necessit della legge per garantire quel bene personale che solo in comunit si pu raggiungere: ille qui quaerit bonum commune multitudinis ex consequenti etiam quaerit bonum suum (...) quia bonum proprium non potest esse sine bono communi vel familiae . Ed in questo senso, fortemente personalista ma non egoistico, che Tommaso dava la preminenza al pubblico sul privato: cum bonum commune sit melius quam bonum proprium unius, non est infringendum quod convenit bono publico, quamvis non conveniat alicui privatae personae . Il dAquino impostava la sua analisi sul presupposto della reale distinzione fra il bene pubblico e privato, distinzione che comunque non significa opposizione. Infatti, a chi sosteneva che certi atti di giustizia (che nellantropologia cristiana concettualizzata come virt) si ordinano solo al bene privato, egli rispondeva che non vi alcun atto di vera giustizia che non sia ordinato in modo mediato o immediato (ordinabile, da una prospettiva ontologica) al bene comune pubblico , cos come ogni crescita del bene pubblico ha unintrinseca ordinazione allutilit del bene privato .

Il Doctor Angelicus trovava una particolare simbiosi fra pubblico e privato nella produzione della consuetudine. Infatti questo istituto, da una parte, composto dal moltiplicarsi di atti singolari attraverso i quali ogni persona umana elegge ci che ritiene, ragionevolmente (ex deliberato rationis iudicio), un bene per se stessa (bene-diritto privato); e, dallaltra parte, la consuetudine idonea ad abrogare, a modificare, ad interpretare e a costituire la legge, la quale , per definizione, di diritto pubblico .

Invece, vi un mbito in cui Tommaso dAquino sembrerebbe diventare panpubblicista: quello dellesercizio della potest di governo. Certamente egli riconosceva lesistenza di una sfera privata dei titolari della potestas regiminis, quantunque fosse ben consapevole della trascendenza pubblica di molti atti privati, specie se provenienti da quelle persone con un particolare ascendente sociale . Tuttavia, considerava la pubblicit elemento essenziale della potestas regiminis, in modo che la ricerca del bene comune costituisse il criterio specifico per valutare la giustizia dellatto del governante, diventando ingiusto ogni atto dufficio avente come scopo linteresse privato .

Comunque, anche nellesercizio della potestas regiminis la pubblicit appare armonicamente compenetrata con la dimensione privata perch, da una parte, il testo di Ezechiele sul quale san Tommaso fonda la sua esposizione, che ha natura giuridica e filosofica, malgrado linvocazione di un testo sacro riecheggia la parabola del buon pastore che cerca la singola pecora smarrita (cfr. Mt 18, 12-14; Gv 10, 1-16); dallaltra parte, perch il fine ultimo della singola persona umana la sua felicit eterna (e quindi la salus uniuscuiusque animae) posto come primo principio operativo della giustizia legale (pubblica), principio che tiene conto della dimensione comunitaria della persona .

I testi tommasiani accennati, e tanti altri non considerati , non sono mero frutto del genio originale di Tommaso dAquino, ma, spesso, rispecchiano la posizione di un ampio settore dottrinale, filosofico e giuridico, che Tommaso fa propria e sistematizza, talvolta sviluppandola o, semplicemente, mettendo per iscritto gli insegnamenti ascoltati allUniversit e nei dibattiti presso la corte pontificia. Una tale opera chiarificatrice riguarda, ad esempio, le schematiche, apodittiche e, alle volte, persino criptiche proposizioni di alcune annotazioni e glosse ai testi normativi.

In tema di pubblico e privato, lesposizione tommasiana che, seguendo linterpretazione civilistica del Piacentino, accetta limpostazione realistica delle due citate positiones ulpianee accolte dalle Institutiones, dal Digesto e da Graziano illumina alcuni brani della canonistica classica che sono stati richiamati recentemente . Infatti, Bartolomeo da Brescia, nella glossa al Decreto di Graziano offre una impostazione in cui la persona umana appare al centro della reale distinzione fra beni e diritti di natura pubblica e privata. Da una parte, Bartolomeo propone come criterio ermeneutico assiologico larmonica composizione delle esigenze singolari e sociali della persona umana: cum per publicum non impeditur privatum. Per cui la scelta del bene individuale proprio non comporta la trascuratezza del bene comune pubblico n un atteggiamento egoistico: enim suam utilitatem potest praeferre . Anzi, il bene della singola persona, essendo parte ontologicamente integrante del bene comune e della dimensione pubblica, implica un certo diritto alladattamento della norma generale alla posizione personale: cum ergo detrimentum quis patitur pro publica utilitate, potest suam praeponere utilitatem . Tuttavia, detta eccezione applicazione della dispensa, dellaequitas e dellepikeia deve essere armonizzata con il bene comune, cio non pu recare danno al bene personale degli altri membri della comunit: dic, quod quando privata utilitas includitur in communi, tunc praeponitur communi . Questo sarebbe il senso che armonizzerebbe lapparente preminenza del pubblico sul privato di questaltra sentenza di Bartolomeo da Brescia: communis utilitas privatae praeiudicat . Secondo Lo Castro, la dottrina classica sul rapporto pubblico-privato impone di modificare la vecchia persuasione, per la quale privato e pubblico sono in relazione inversamente proporzionale. vero il contrario: il privato tanto pi si afferma quanto pi entra in relazione con la dimensione che lo trascende, quanto pi si pubblicizza; ma il pubblico tanto pi cresce nel suo significato, quanto pi esso reso funzionale alluomo .

La funzionalit del pubblico per la persona umana si evince con particolare forza in quei settori giuridici di valenza essenzialmente pubblica, cio nellesercizio della potestas regiminis. Infatti, Bartolomeo da Brescia, come poi far Tommaso dAquino, non lascia spazio per il privato nellesercizio degli atti dufficio, sottolineando, nella precisione dei termini utilizzati, la differenza con i normali fedeli i quali contribuiscono al bene pubblico anche quando cercano il bene privato secondo i princpi della giustizia: aliud tamen videtur in Praelato, ut ille semper teneatur praeponere utilitatem Ecclesiae .

Dagli accennati presupposti ecclesiologici, antropologici e giuridici emerge che la distinzione fra pubblico-privato trascende il diritto per toccare i temi fondamentali delluomo, per culminare nella storia della sua salvezza che, nella tradizione cristiana, riguarda la persona, ma presenta unessenziale dimensione sociale, vale a dire pubblica. La loro tensione dialettica non meramente casuale, ma pur essa essenziale; una tensione che mira ad un superamento (...) verso una superiore sintesi, alla quale tendono, senza annullarsi e senza venire meno, i termini che dualisticamente compongono la realt umana. Ciascuno di tali concetti finisce per essere condizione di pensabilit dellaltro (...) perch la dimensione umana realt dualistica, al contempo pubblica e privata . Perci labbandono o lo smarrimento della distinzione e dellequilibrato rapporto giuridico fra pubblico-privato manifesta un inasprimento della cultura cristiana proveniente da impostazioni teologiche e filosofiche errate, che intaccano non solo la teologia cattolica ma lintero sistema metafisico di conoscenza della verit sulla persona umana e sui suoi rapporti intersoggettivi con Dio e con le altre persone umane, singolarmente e nelle diverse forme comunitarie, oscurando i concetti di giustizia e di diritto anche nellordinamento ecclesiale , come si evince dallanalisi del suddetto inasprimento del rapporto pubblico-privato nel momento problematico della giustizia manifestato nel processo.

AUTONUMSullincomprensione della valenza comunionale del processo canonico: il panpubblicismo e il liberismo canonico. Sul significato giuridico di alcuni testi neotestamentari

Nella riflessione della canonistica sulla comunionalit del processo canonico, spesso vi si ritrovano le accennate due posizioni estreme sul rapporto pubblico-privato. Da una parte si troverebbe il panpubblicismo di coloro che identificano la comunione ecclesiale con la mera assenza dei contraddittori e che, quindi, richiedono il sacrificio di ogni bene o diritto privato, anche se questo fosse stato ingiustamente danneggiato. Dallaltra parte si collocherebbe una sorta di liberismo canonico secondo cui ogni posizione soggettiva legittima nella Chiesa sarebbe protetta in modo assoluto da ogni condizionamento proveniente dal bene comune.

Per il liberismo ecclesiale, il bene comune sarebbe il risultato della mera somma dei beni privati, spesso soggettivizzati, vale a dire staccati o autonomi dalla loro ordinazione oggettiva al fine ultimo stabilito dal Creatore, dimenticando o negando la loro valenza ontologicamente relativa di mezzi a servizio dellultimo fine, come ha segnalato lenciclica Veritatis splendor . Si smarrirebbero cos vuoi gli accennati concetti di persona umana e di diritto coniati dallantropologia e dalletica cristiana, vuoi lunit di vita del fedele , poich questi avrebbe diritto canonico ad agire secondo giustizia senza prendere in considerazione gli obblighi specificamente cristiani del perdono, della misericordia e delle beatitudini. In questo modo lordinamento canonico sarebbe autolesivo del bene di ogni fedele, ancor prima di quello della Chiesa. Infatti, accettare una condotta canonicamente legittima ma che incompatibile con letica cristiana, contrario alla salus uniuscuiusque animae. Tuttavia, questa impostazione potrebbe tentare di trovare nel processo la conferma della sua legittimit, appellandosi superficialmente alla distinzione fra foro interno e foro esterno, distinzione che comunque essenziale per cogliere la valenza comunionale del processo canonico (vide infra 5).

Per ovviare al problema posto da queste due posizioni estreme che molto grave e complesso, e del quale menzioner solo qualche enunciazione e indirizzo di risposta , si sono percorse diverse strade che avrebbero come denominatore comune quello di sottolineare la difficolt dellordinamento canonico ad accettare tout court il processo come elemento di comunione nella Chiesa. Con estrema lucidit il problema stato posto da Ratzinger, quantunque egli non offra risposta alla questione poich, essendo questa giuridica, non spetta ad un teologo risolverla: Lidea di libert viene totalmente trasferita sul piano del funzionalismo formale (...). Non viene considerato il fatto che il formalismo delle strutture solo un veicolo secondario della libert rispetto al primario che la garanzia dei diritti essenziali e dellaltezza esistenziale delluomo. Non viene posta la domanda perch la Chiesa esiste come societ diversa e speciale, e se a questa specificit dei suoi valori sia adatto lo stesso strumentario formale, e cos il proprium della Chiesa esce dalla visuale in base a cui si determinano le sue strutture .

Taluni autori incentrano la giuridicit ecclesiale sul concetto di comunione ma, nel contempo, affidano la sua tutela esclusivamente al titolare capitale della sacra potestas (il vescovo diocesano), a scapito sia della potestas regiminis dei titolari di un ufficio ecclesiastico vicario, sia del munus regendi proprio del sacerdozio regale dei fedeli. In questo modo, impersonando nellufficio capitale la tutela e il raggiungimento della comunione e della giustizia , il giudizio sullutilit comunionale del contraddittorio processuale e le norme di procedura per lo svolgimento del dibattito diventano ontologicamente discrezionali nelle mani del vescovo diocesano: il vescovo (...) sta di per s allorigine dellesistenza del diritto processuale stesso .

Un altro ampio settore dottrinale, in cui spesso si ritrovano giuristi che adempiono importanti mansioni di governo presso la Curia Romana, imposta la valenza comunionale del processo canonico prendendo avvio da diversi testi del vangelo e delle lettere paoline, ad esempio dalle parole del Signore nel discorso della montagna: Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente; ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche laltra; e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringer a fare un miglio, tu fanne con lui due. D a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalle (Mt 5, 38-42). Per tali autori, questo testo, ed altri , significano che la rivendicazione dei propri diritti pu costituire una esigenza di giustizia, ma non un essenziale elemento della condotta cristiana. La prudenza, la pazienza, e soprattutto la carit possono rendere preferibile cristianamente subire un torto piuttosto che difendere un diritto. La parola di Ges: a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello (Mt. 5, 40) non dovrebbe aver perso il suo significato per il cristiano di oggi . Comunque, una tale interpretazione, laddove nega che la rivendicazione dei propri diritti sia un elemento essenziale della condotta cristiana, considererebbe la questione parzialmente e, quindi, avrebbe bisogno di qualche chiarimento, analogamente alla parzialit insita in una interpretazione letterale assoluta dei testi in cui Ges chiede di cavarsi gli occhi (Mt 5, 29), di castrarsi per il Regno dei cieli (Mt 19, 12), di odiare il padre, la madre e i figli (Lc 14, 26) ecc. .

Le interpretazioni prudenziali, di natura politica, fatte dallautorit su argomenti di valenza assiologica devono tendere a trovare unapplicazione di tale argomento che tenga conto delle circostanze storiche e culturali. Tuttavia, detta applicazione non potrebbe negare lelemento assiologico per raggiungere lo scopo legittimo perseguito, ma dovrebbe affermare il principio e, nel contempo, mostrare mediante ladeguata motivazione del provvedimento quelle circostanze che richiedono una certa modalizzazione della comprensione e dellattuazione storica di detto principio, il quale, tuttavia, resta in s immutato . Altrimenti vi il rischio di far diventare norma leccezione, e di convertire le circostanze storiche nella sorgente da cui scaturisce il principio, approdando ad un relativismo storicista in grado di dissolvere lo stesso concetto di principio, di natura delle cose e di classicit .

Negli ultimi decenni si sono verificati, nella Chiesa e nella cultura occidentale, alcuni avvenimenti gravi che pongono numerosi problemi per la comprensione di questioni classiche delletica cristiana, come , appunto, questa del rapporto fra giustizia e carit. Infatti, si avuta, in connessione con taluni errori dottrinali di natura dogmatica e morale , una profonda frattura con la classicit, la quale sebbene un po accademica, sbiadita e con profumo di naftalina, pur sempre, in quanto assiologica, necessaria per la formazione intellettuale.

Nello studio del diritto ecclesiale la frattura in detti decenni stata particolarmente vistosa per laccavallarsi di molteplici circostanze. In primo luogo, perch i docenti e gli studiosi si sono occupati della comprensione della valenza giuridica del Concilio Vaticano II, della giustificazione dellinsita giuridicit della Chiesa e della necessit di accoglierla normativamente e, nel contempo, molti di tali canonisti hanno prestato il loro contributo alla preparazione delle numerose norme che dovevano canonizzare lecclesiologia conciliare, fino ad arrivare ai due codici, alla cost. ap. Pastor bonus e alle tante altre norme recentemente promulgate. In questi ardui compiti si sono quasi esaurite le energie di ricerca e di costruzione dogmatica di unalta percentuale di canonisti, i quali hanno potuto trasmettere ai loro allievi solo le novit normative e una giustificazione, pi o meno ragionata, del nuovo diritto canonico, spesso senza potersi soffermare su materie fondamentali, ma meno pratiche, rendendo pi profondo il solco fra la legge positiva e le sue radici filosofiche e storiche. In secondo luogo, perch il numero degli studenti di diritto canonico calato in modo vertiginoso (quantunque recentemente vi sia stata una significativa ripresa) e, quindi, i pochi laureati solo con molta fatica riescono a coprire i posti che linesorabile decorrere degli anni hanno lasciato scoperti nelle diverse curie e in altri mbiti applicativi. La consapevolezza di dover adempiere tali mansioni, spesso senza poter contare in loco sullaiuto di persone esperte, implica che lattenzione degli studenti sia rivolta alla conoscenza dei nuovi istituti, perch dovranno attuarli, o dei risvolti pi pratici ed operativi degli istituti tradizionali, quale il processo . In terzo luogo, perch lapplicazione di alcuni concetti tipici dellecclesiologia conciliare e del nuovo ordinamento come quelli di uguaglianza dei fedeli, dei loro diritti (specie quelli nei confronti dellautorit), dellimpugnabilit dei provvedimenti dellautorit ecc. avvenuta spesso in un contesto in cui altri aspetti essenziali della vita cristiana soffrivano crisi negative profonde, per cui lapplicazione dei concetti nuovi (quantunque la novit fosse solo apparente ) ha potuto essere strumentalizzata (spesso lo stata) per coprire o, addirittura, per tentare di legittimare dette crisi. Di fronte a questa situazione, vi sono state reazioni dellautorit di moderazione o di dilatat nellapplicazione di talune conseguenze tecniche dei princpi, senza, tuttavia, alcuna involuzione di natura assiologica. Esempi significativi e comprensibili sono la soppressione nei due codici dei tribunali contenzioso-amministrativi periferici e linsistenza del Pontefice sulla natura pubblica del processo di nullit del matrimonio .

AUTONUMDue vie per affermare la valenza comunionale del processo canonico: la via istituzionale e la via personalista radicata nellunit di vita del fedele

Il contesto sommariamente descritto aiuta a capire perch lanzidetto settore dottrinale considera che la giustizia (nella sua accezione giuridica, non in quella equivalente alla santit), lesistenza dei diritti nella Chiesa e, quindi, il sistema per la loro tutela e rivendicazione (i passaggi concettuali non consentono fratture: se cade uno cadono tutti) non siano essenziali per la vita cristiana e che ci sia stato esplicitamente dichiarato da Cristo e dagli apostoli. Tuttavia, una tale interpretazione dei testi neotestamentari non terrebbe sufficientemente conto della lettura che di tali testi hanno fatto i Padri, la tradizione ecclesiastica e il magistero conciliare .

Infatti, le summenzionate parole di Cristo su cui tali autori fondano la loro impostazione assiologica se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche laltra non riguardano solo il rapporto intraecclesiale fra i suoi discepoli, ma quello di ogni fedele (ed ogni persona umana chiamata a diventarlo) con qualsiasi altra persona umana, cristiana o no. Tuttavia, il vangelo di Giovanni ci rimanda la rivendicazione da parte di Cristo di un suo diritto, riguardante precisamente linsegnamento relativo allatteggiamento nei confronti dello schiaffo ingiusto . Lapparente contrasto fra linsegnamento nel discorso della montagna e la contestazione di Ges durante il processo religioso a casa di Anna non sfugg allattenzione dei Padri ed stato oggetto della riflessione classica sullecclesialit del processo canonico. SantAgostino, dopo aver esposto lobbiezione cur non fecit quod ipse praecepit? Percutienti scilicet non sic respondere, sed maxillam debuit alteram praebere si chiedeva, con lincisiva eloquenza che lo contraddistingueva, come qualificare la risposta di Ges, presupposto che essa non pu comportare alcuna imperfezione: quid ista responsione verius, mansuetius, iustius? . La verit delle parole di Ges ovvia; la sua perfetta mansuetudine stata manifestata ponendo non solo laltra guancia ma consegnando tutto il corpo sulla croce . Invece, la giustizia della risposta proviene, secondo san Giovanni Crisostomo, dallingiustizia del processo, motivo per cui era pi giusto redarguere che acceptare .

La tradizione patristica, accolta da Tommaso dAquino, ha impostato la soluzione del contrasto fra giustizia e carit riportando il problema allmbito del foro interno piuttosto che al foro esterno. Infatti, detta tradizione affermava che meglio la rivendicazione fatta con animo sereno, cercando la giustizia e il bene di colui che ha violato il proprio diritto, che subire lingiustizia con ira. In definitiva, linsegnamento di Cristo ha come scopo il raggiungimento del Regno, della salvezza eterna dellanima, che si ottiene solo con la purezza del cuore: regnum Dei intra vos est (Lc 17, 21). Cio, se le opere buone, come cercare la giustizia, si realizzano con rettitudine dintenzione . Ci che essenzialmente cristiano tale rettitudine, presupposta la rettitudine oggettiva dellazione. La bont oggettiva della rivendicazione dei propri diritti e, quindi, che tale rivendicazione, se fatta con rettitudine dintenzione, possa essere cammino di santificazione propria ed altrui (e perci avere valenza comunionale) indicato dai Padri e da Tommaso dAquino nei testi accennati sulla risposta di Ges a chi lo aveva schiaffeggiato ingiustamente. Comunque, la mancanza soggettiva di rettitudine non muta la qualifica morale dellazione in astratto, per cui loggetto buono di una azione resta buono anche se pervertito dal soggetto, analogamente a quanto avviene con il male fatto a fin di bene che resta moralmente male .

Vi un testo paolino che ponendo lo stesso problema ermeneutico stato interpretato dalla tradizione patristica in modo omogeneo al versetto del vangelo di Giovanni sulla contestazione di Ges allo schiaffo ricevuto durante il suo processo religioso. Infatti, nella prima Lettera ai Corinzi, i discepoli di detta comunit vengono rimproverati per la loro litigiosit processuale . Tommaso dAquino impost il commento di questo brano annotando: Apostolus hic reprehendit Corinthios in eis quaedam alia peccata circa iudicia . Una tale impostazione simile alla trattazione dei peccati o dei delitti commessi nella celebrazione dei sacramenti o nellesercizio degli uffici ecclesiastici , senza che perci queste attivit, in se stesse considerate, smarriscano minimamente la loro essenziale valenza cristiana. Ci che san Paolo rimprover ai corinzi, secondo Tommaso, sono i peccati commessi in occasione dellesercizio della tutela dei diritti e la violazione dei criteri di competenza dichiarati dallApostolo, ma gi presenti nella tradizione giuridica delle prime comunit cristiane; cio che i fedeli eligant voluntarie infidelium iudicium . Quindi, il divieto paolino riguardava, da una parte, la scelta dei giudici infedeli, potendo i cristiani ottenere lo stesso risultato (lefficace tutela dei diritti) rivolgendosi ai giudici cristiani. Questo sarebbe il senso dellavverbio voluntarie e loggetto primario su cui si soffermano i pi autorevoli esegeti nel commento dei versetti paolini .

Invece, per quanto riguarda le parole per voi una sconfitta avere liti vicendevoli! Perch non subire piuttosto lingiustizia?, Tommaso dAquino, riprendendo diversi brani di SantAgostino, le confrontava con la liceit delliudicium habere contra aliquem . Per armonizzare lapparente antinomia, Tommaso accoglieva una distinzione che mostra alcune conseguenze (persino sullassiologia processuale) dellantica impostazione, attribuita a san Girolamo e recepita da Graziano, secondo cui duo sunt genera christianorum . Infatti la glossa agostiniana distingueva fra cristiani infirmi e perfecti: infirmis permittitur in iudicio sua repetere, non autem perfectis (...) quod aliquid est perfectis illicitum, aliquid autem omnibus. Il motivo per cui i perfecti non potevano essere parte attrice in un processo era molto semplice: perfecti quidem proprium non habent (...); et ideo non licet eis in iudicio repetere quasi propria, cum eis non liceat habere proprium. Questi perfecti potevano invece essere parte attrice per tutelare beni quae sunt communia. La rivendicazione di tali beni da parte dei perfecti non solo era lecita ma era considerata meritoria .

Questa distinzione fra gli infirmi e i perfecti ha una doppia natura nellinterpretazione agostiniana, grazianea e tommasiana. In primo luogo riguarda il foro esterno di coloro i perfecti che, pubblicamente e giuridicamente, hanno rinunciato ai propri beni mediante la professione dei consigli evangelici di povert ed obbedienza nella vita consacrata . Infatti, il testo sul quale fondano la loro interpretazione la risposta di Ges al giovane ricco: Se vuoi essere perfetto va, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi (Mt 19, 21). Tuttavia, in secondo luogo, Agostino e Tommaso insistono nella valenza interna della perfezione laddove indicano che il testo paolino ai Corinzi (e gli altri testi neotestamentari) obbliga omnes qualora siano parte attrice in un processo per rivendicare beni propri (gli infirmi) o comuni (i perfecti) ad agire per giusta causa (evitando la cupidigia e lavarizia) ed in modo corretto (evitando un atteggiamento scontroso, ogni frode processuale e gli scandali), giacch il comandamento del Signore non vieta sempre, nel foro esterno, dintraprendere un processo, ma chiede di agire sempre, nel foro interno, con animo giusto. Anzi, sempre nel foro interno, la carit potr esigere di avviare un processo per rivendicare beni privati allo scopo di contribuire alla salvezza di chi ha commesso una ingiustizia mediante la sentenza di condanna .

Lobbligo del singolo fedele di cercare la correzione del fratello che ha commesso una colpa accolto in un noto passo del vangelo di Matteo, al quale la dottrina solita richiamarsi per porre i fondamenti teologici della ecclesialit del processo canonico: Si autem peccaverit in te frater tuus, vade, corripe eum inter te et ipsum solum. Si te audierit, lucratus es fratrem tuum; si autem non audierit, adhibe tecum adhuc unum vel duos, ut in ore duorum testium vel trium stet omne verbum; quod si noluerit audire eos, dic ecclesiae; si autem et ecclesiam noluerit audire, sit tibi sicut ethnicus et publicanus . La tradizione patristica concorda nellaffermare sia lobbligo della contestazione dellingiustizia, secondo le diverse fasi segnalate dal vangelo, sia la rettitudine con cui tale contestazione deve essere compiuta .

Questi cenni sullinterpretazione classica di significativi testi neotestamentari che per un ampio e qualificato settore dottrinale contemporaneo implicherebbero che lesercizio della tutela dei diritti (cio la loro rivendicazione) non ha una valenza intrinsecamente cristiana: non un essenziale elemento della condotta cristiana (Castillo Lara, Corecco, Grocholewski ecc.) devono essere integrati con quanto abbiamo considerato sul rapporto fra pubblico e privato nella Chiesa famiglia di Dio e con altre conseguenze degli approfondimenti ecclesiologici del Vaticano II, sviluppati ed interpretati dal magistero pontificio.

Il Vaticano II ben consapevole che lo stato (...) costituito dalla professione dei consigli evangelici (...) inconcusse pertinet alla vita e alla santit della Chiesa ha destinato il secondo capitolo della cost. dogm. Lumen gentium (nn. 9-17) allesposizione della condizione di ogni fedele nella Chiesa e, nel capitolo quinto, ha proclamato solennemente la vocazione universale alla santit, santit che si pu raggiungere secondo multiformi mezzi e vie (nn. 39-42). Giovanni Paolo II, trenta anni dopo la Lumen gentium, ha approfondito il concetto della chiamata universale alla santit prendendo spunto precisamente dal brano evangelico del giovane ricco (Mt 19, 16-26), nel capitolo primo dellenciclica Veritatis splendor (nn. 6-27). In questo contesto, il Pontefice traccia larmonica distinzione tra i comandamenti e le beatitudini e nota che queste ultime non hanno propriamente come oggetto delle norme particolari di comportamento, ma parlano di atteggiamenti e di disposizioni di fondo dellesistenza e quindi non coincidono esattamente con i comandamenti. Daltra parte, non c separazione o estraneit tra le beatitudini e i comandamenti: ambedue si riferiscono al bene, alla vita eterna. Il Discorso della Montagna inizia con lannuncio delle beatitudini, ma contiene anche il riferimento ai comandamenti (cfr. Mt 5, 20-48). Nello stesso tempo, tale Discorso mostra lapertura e lorientamento dei comandamenti alla prospettiva della perfezione che propria delle beatitudini . Infatti, il Papa, esplicitando quanto insegnato dalla Lumen gentium, proclama luniversalit del radicalismo cristiano fondato sullonnipotenza della grazia che raggiunge efficacemente ogni persona umana che impegna la propria libert nel corrispondere, malgrado le circostanze siano molto dure e, quindi, tale impegno sembri impossibile date le concrete possibilit delluomo : Questa vocazione allamore perfetto non riservata solo ad una cerchia di persone. Linvito va, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri con la promessa avrai un tesoro nel cielo riguarda tutti, perch una radicalizzazione del comandamento dellamore del prossimo, come il successivo invito vieni e seguimi la nuova forma concreta del comandamento dellamore di Dio. I comandamenti e linvito di Ges al giovane ricco sono al servizio di ununica e indivisibile carit, che spontaneamente tende alla perfezione, la cui misura Dio solo: Siate voi dunque perfetti, come perfetto il Padre vostro celeste (Mt 5, 48). Nel Vangelo di Luca Ges precisa ulteriormente il senso di questa perfezione: Siate misericordiosi, come misericordioso il Padre vostro (Lc 6, 36) .

Allora, poich non si pu pi parlare di due tipi di cristiani (i duo genera christianorum grazianei), essendo stati chiamati tutti alla santit, e perch i perfecti, utilizzando la terminologia classica test considerata, non hanno nulla di proprio, potrebbe essere vero che la rivendicazione dei propri diritti non un essenziale elemento della condotta cristiana ? Il fedele che rivendicasse un proprio diritto (essendo scomparsi dallordinamento canonico i limiti alla capacit processuale dei consacrati ) sarebbe da considerare infirmus, mentre sarebbe perfectus qualora vi rinunciasse e subisse lingiustizia? Lassenza di contraddittori ecclesiali significherebbe che i fedeli si sono impegnati seriamente nella lotta per santificarsi e, quindi, sarebbe vera lequazione secondo cui, nella Chiesa, meno processi ci sono, meglio ?

Nessun dubbio pu esserci sulla tendenza dellordinamento canonico ad evitare i contraddittori ed a percorrere le vie alternative al processo giudiziario, come larbitraggio . Tuttavia oltre al doveroso riconoscimento del fatto che una tale tendenza patrimonio di tutti gli ordinamenti giuridici evoluti per rispondere a tali domande necessario insistere su alcuni concetti. Il primo si fonda sulla chiamata universale alla santit. Se tutte le persone umane sono permanentemente chiamate da Dio ad appartenere alla Chiesa ed a raggiungere la pienezza della carit nella propria condizione di vita e di stato, quanto di onesto sia ad essa inerente non pu essere considerato come realt esclusivamente profana, essendo tale realt il luogo teologico della propria santificazione e della propria collaborazione alla missione redentrice della Chiesa . Quindi, lesercizio canonico della tutela dei propri diritti partecipa di tale valenza ontologicamente redentrice. La rivendicazione sar occasione di santificazione propria ed altrui dipendendo dalla rettitudine dintenzione con cui si eserciti e dalladempimento delle norme che la Chiesa ha predisposto.

Il secondo concetto da ribadire quello della natura strumentale del processo, finalizzato al raggiungimento della giustizia. Lanzidetta equazione sarebbe pi precisa se formulata cos: pi giustizia c nella Chiesa, meglio . Se perch imperi la giustizia sono necessari i processi, questi contribuiscono al bene della Chiesa. Inoltre, la dignit della persona umana e la radicale uguaglianza fra tutti i fedeli esige che nessuna autorit si sostituisca al singolo nel considerare se un proprio diritto sia stato ingiustamente danneggiato . Il principio di sussidiariet trova qui piena applicazione . Perci la legge canonica deve offrire ad ogni persona umana i mezzi adeguati per garantire la tutela dei diritti con rilevanza ecclesiale. Ci che sarebbe essenzialmente contrario alla vita cristiana, perch radicalmente ingiusto, il costringere a dover subire lingiustizia e a porgere laltra guancia, specialmente qualora lo schiaffo (ingiusto) fosse stato dato dalla stessa autorit. Linsegnamento di Cristo sulla mitezza rivolto a tutti e non pu essere interpretato dallautorit come una sorta di diritto a commettere ingiustizie n come il diritto a ricattare i sudditi affinch le subiscano, con il pretesto di contribuire alla comunione. I frequenti richiami del Pontefice al radicalismo cristiano, fino ad arrivare al martirio , non rende giusti coloro che martirizzano. Perci il contenzioso-amministrativo canonico non una mera concessione democratica, ma ladempimento di una esigenza di giustizia, utile per la santificazione della Chiesa, per il suo bene comune e, in primo luogo, per quello dellautorit .

Il terzo concetto quello della natura pastorale del processo canonico. Infatti, da una parte, le situazioni ingiuste che coinvolgono il bene pubblico non consentono la libera disposizione n il ricorso ai mezzi pacifici da parte dei privati per risolvere i contraddittori . Inoltre, taluni beni pubblici non sono disponibili neanche da parte dellautorit (ad esempio la validit del vincolo matrimoniale rato et consummato ) o, qualora lautorit possa disporvi, il relativo provvedimento deve avere natura giudiziaria, non essendo consentita la via amministrativa, ad esempio per infliggere una pena perpetua quia frequenter posset errare . Comunque, daltra parte, la tutela giurisdizionale dei diritti rientra negli elementi essenziali dellordinamento canonico com stato dimostrato in occasione del ricupero istituzionale del contenzioso-amministrativo dopo il Vaticano II . Sulla pastoralit del processo canonico diventato classico il discorso di Giovanni Paolo II alla Rota Romana nel 1990. Infatti, il Pontefice richiamando i princpi che hanno guidato la riforma codiciale, sanciti dal primo Sinodo dei Vescovi nel 1967 e da Paolo VI proclama che la giustizia e lo stretto diritto e di conseguenza le norme generali, il processo, le sanzioni e le altre manifestazioni tipiche della giuridicit, qualora si rendano necessarie sono richiesti dalla Chiesa per il bene delle anime e sono pertanto realt intrinsecamente pastorali. (...) Lattivit giuridico-canonica per sua natura pastorale. Essa costituisce una peculiare partecipazione alla missione di Cristo Pastore, e consiste nellattualizzare lordine di giustizia intraecclesiale voluto dallo stesso Cristo. A sua volta, lattivit pastorale, pur superando di gran lunga i soli aspetti giuridici, comporta sempre una dimensione di giustizia .

Gli stessi concetti erano stati formulati da Giovanni Paolo II nel primo discorso al suo tribunale apostolico nel 1979 . In questa significativa occasione, il Pontefice volle trattenersi sui risvolti assiologici del processo canonico, toccando incisivamente le questioni su cui ora riflettiamo. La Chiesa, diceva il Papa, ha un compito irrinunciabile, quello di offrire, sul terreno delle relazioni persona-comunit un modello di integrazione tra lo sviluppo ordinato della societ e la realizzazione della personalit del cristiano in una comunit di fede, speranza e carit. Detto compito la obbliga ad essere davanti al mondo speculum iustitiae. La Chiesa ha al riguardo una propria e specifica responsabilit (n. 1).

Per adempiere a tale responsabilit, il Pontefice indicava la necessit di percorrere una doppia via. Da una parte, e in primo luogo, la via istituzionale, cio quella predisposta dal legislatore ed affidata al ministero del giudice: il grande rispetto dovuto ai diritti della persona umana, i quali devono essere tutelati con ogni premura e sollecitudine, deve indurre il giudice allosservanza esatta delle norme procedurali, che costituiscono appunto le garanzie dei diritti (n. 2). Dopo la riflessione conciliare, questa esigenza stata perfezionata dallordinamento canonico, che ha riproposto la possibilit del controllo giudiziario degli atti amministrativi, frutto di una opportuna ripartizione delle funzioni e degli organi del potere, per tentare di ottenere la protezione efficace e indipendente dei diritti (n. 2).

Ma questa via istituzionale, pur costituendo un presupposto necessario, non basta affinch la Chiesa possa essere per il mondo speculum iustitiae. C bisogno del responsabile esercizio del diritto di difesa da parte del singolo fedele. Ed qui che il Pontefice accenn al nocciolo del problema che si pone immediatamente allosservatore della fenomenologia (...) della Chiesa: cio il problema del rapporto che intercorre tra tutela dei diritti e comunione ecclesiale (n. 3). Tuttavia, Giovanni Paolo II volle sottolineare che il presupposto istituzionale geneticamente previo per la soluzione del problema. Cio, solo nella misura in cui vi siano gli strumenti giuridici che consentono la tutela dei diritti, questi potranno essere utilizzati responsabilmente dai fedeli: lattivit giudiziaria in se stessa per natura sua pastorale; (...) il diritto processuale un fatto di Chiesa, come strumento di superamento e di risoluzione dei conflitti (n. 3). Comunque, assicurato il presupposto istituzionale, si deve percorrere la via personale, quella in cui ogni fedele ha lobbligo di esercitare i suoi diritti fondamentali in una maniera responsabile e moralmente giustificata (n. 3). Ma un tale obbligo impegna la coscienza e, quindi, la sua concreta determinazione spetta solo allinteressato, senza che implichi la rinuncia allesercizio della tutela giudiziaria. Il Pontefice si ricollegava cos a quella mansuetudine interiore manifestata da Ges nel contestare lo schiaffo ingiusto ricevuto a casa di Anna, a quellatteggiamento interiore sottolineato dai Padri e da Tommaso dAquino nel commentare il discorso della montagna e il brano paolino della prima Lettera ai Corinzi: se poi il fedele riconosce, sotto limpulso dello Spirito, la necessit di una profonda conversione ecclesiologica, trasformer laffermazione e lesercizio dei suoi diritti in assunzione di doveri di unit e di solidariet per lattuazione dei valori superiori del bene comune (n. 3).

Tuttavia, Giovanni Paolo II citando la dichiarazione conciliare Dignitatis humanae consider opportuno difendere esplicitamente lautonomia della decisione della persona umana (e del fedele) per intraprendere la tutela giurisdizionale dei suoi diritti, senza che una tale decisione potesse essere condizionata dallautorit con presunte esigenze comunionali per proteggere il bene pubblico: Nella tensione storica per una equilibrata integrazione dei valori, si voluto talvolta accentuare maggiormente lordine sociale a scapito dellautonomia della persona, ma la Chiesa non ha mai cessato di proclamare la dignit della persona umana, quale si conosce sia per mezzo della parola di Dio rivelata, che tramite la stessa ragione (Dignitatis humanae, 2) (n. 4) .

Il fedele pu quindi ritenere che il modo responsabile di contribuire alla comunione ecclesiale sia precisamente la rivendicazione processuale dei suoi diritti . Invero, come ha segnalato la cost. dogm. Lumen gentium, fino a che non vi saranno i nuovi cieli e la terra nuova, nei quali la giustizia ha la sua dimora, la Chiesa pellegrinante, nei suoi sacramenti e nelle sue istituzioni, che appartengono allet presente, porta la figura fugace di questo mondo, e vive tra le creature, le quali sono in gemito e nel travaglio del parto sino ad ora e attendono la manifestazione dei figli di Dio (n. 48; cfr. 2 Pt 3, 13; Ap 21-22). La pretesa di mitigare questa tensione ed un tale travaglio solo istituzionalmente in se stessa destinata al fallimento. Da una parte, perch la limitazione della libert del singolo alla rivendicazione dei suoi diritti mediante una sorta di pax romana che non risolve le ingiustizie ma, semplicemente, le occulta esaspera il legittimo desiderio di libert e di responsabile collaborazione al bene comune, desiderio che stato iscritto nel cuore umano dal Creatore e rispettato dallo stesso Dio . E, dallaltra parte, perch la mera offerta al fedele di strumenti giuridici sempre pi perfetti induce ad una inflazione normativa che facilmente porta il singolo allindividualismo egoista, come stato dimostrato dallesperienza degli ordinamenti giuridici pi evoluti in cui la versione giuridica del Deus ex machina ha soffocato la solidariet sociale con una sopraffazione dinterventi normativi statalisti. Perci la Chiesa predica che luomo, nella piena verit della sua esistenza, del suo essere personale ed insieme del suo essere sociale (...) la prima fondamentale via della Chiesa, via tracciata da Cristo stesso .

In questa stabile ma provvisoria attesa dei nuovi cieli che caratterizza i tempi della storia, noi giuristi ecclesiali dovremmo ricuperare o rinsaldare due convinzioni. In primo luogo quella manifestata da Giovanni Paolo II, secondo cui il diritto canonico adempie ad una funzione sommamente educativa, individuale e sociale, nellintento di creare una convivenza ordinata e feconda, in cui germini e maturi lo sviluppo integrale della persona umano-cristiana (...), essendo la sua vocazione insieme personale e comunitaria. Il diritto canonico (...) conduce al superamento dellindividualismo: (...) porta allaffermazione di s come genuina socialit, mediante il riconoscimento e il rispetto dellaltro come persona dotata di diritti universali . Quindi, se il diritto processuale canonico intrinsecamente pastorale ed ha una funzione sommamente educativa, individuale e sociale, non si pu non essere convinti che ogni sforzo per perfezionarlo , per insegnarlo e per applicarlo contribuisce al bene della Chiesa e alla salus animarum. Questa via istituzionale ha in s una intrinseca dimensione di comunione.

Vi per una seconda convinzione da ricuperare: quella della fiducia nella valenza ecclesiale del contributo del singolo fedele che intraprende un processo canonico. Bisogna infatti superare il pregiudizio di ritenere che la rivendicazione dei diritti manifesti mancanza di senso comunionale o, almeno, di imperfezione nelladempimento degli obblighi cristiani di mansuetudine e di carit . Tuttavia, questa fiducia assiologica non significa piegarsi allatteggiamento liberista ed individualista del laisser-faire. Significa invece la necessit dellimpegno personale per vivere quella unit di vita trascendente e, contemporaneamente, immanente allagire quotidiano che deve caratterizzare lesistenza di ogni cristiano, e per tentare di diffonderla con lesempio, con lattuazione delle rispettive mansioni giuridiche e con lo studio e la ricerca del diritto ecclesiale. Ci comporta il rinvigorimento della convinzione espressa dal beato Josemara Escriv, secondo il quale non vi non pu esserci contrapposizione tra il servizio a Dio e il servizio agli uomini; fra lesercizio dei nostri diritti e doveri civili, e quelli religiosi; tra limpegno per costruire e migliorare la citt terrena, e la convinzione che camminiamo in questo mondo diretti alla patria celeste. Anche su questo punto si manifesta lesigenza dellunit di vita che non mi stancher mai di ripeterlo una condizione essenziale per tutti coloro che intendono santificarsi nelle circostanze ordinarie del loro lavoro, delle relazioni famigliari e sociali. Ges non ammette la divisione: Nessuno pu servire a due padroni: o odier luno e amer laltro, o preferir luno e disprezzer laltro (Mt 6, 24). La scelta esclusiva di Dio, che il cristiano compie quando risponde pienamente alla sua chiamata, lo induce a rivolgere tutto al Signore e, nel contempo, a dare al prossimo tutto ci che secondo giustizia gli compete .

In definitiva la soluzione del problema del rapporto fra pubblico e privato, fra ladempimento degli obblighi comunionali e la tutela dei propri diritti e della loro eventuale contraddizione non va cercata dunque nel meccanico prevalere dellun mbito rispetto allaltro, ma nel rendere conformi entrambi, nei loro contenuti, al disegno divino . Per questo arduo compito appare necessario tentare di superare le tensioni di potere insite fra interesse pubblico e privato, valorizzando, con parole di Berling, una larga ed armoniosa conspiratio fidelium et pastorum . Consci delle difficolt che tutto ci comporta e che il cuore della persona umana il luogo in cui si uniscono il cielo e la terra , concludiamo la nostra conversazione con la supplica di Salomone: Concedi al tuo servo un cuore docile perch sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male (...). Al Signore piacque che Salomone avesse domandato la saggezza nel governare. Dio gli disse: Perch hai domandato questa cosa e non hai domandato per te n una lunga vita, n la ricchezza, n la morte dei tuoi nemici, ma hai domandato per te il discernimento per ascoltare le cause, ecco faccio come tu hai detto. Ecco, ti concedo un cuore saggio e intelligente (1 Re 3, 9-12).

*In La giustizia nella Chiesa: fondamento divino e cultura processualistica moderna, Atti del 28 Congresso Nazionale dellAssociazione Canonistica Italiana (Cagliari, 9-12 settembre 1996), Citt del Vaticano, 1997, pp. 47-84.

Vide gli interventi di Aymans, Berling, Bertolino, Gherro e Lo Castro in R. Bertolino S. Gherro G. Lo Castro (a cura di), Diritto per valori e ordinamento costituzionale della Chiesa, Torino, 1996. Cfr. i volumi in cui gli autori espongono levoluzione del loro pensiero manifestato, precedentemente o posteriormente, in diversi saggi: W. Aymans K. Mrsdorf, Kanonisches Recht. Lehrbuch aufgrund des Codex Iuris Canonici, vol. 1, Paderborn Mnchen Wien Zrich, 1991; S. Berling, La causa pastorale della dispensa, Milano, 1978; Id., Giustizia e carit nelleconomia della Chiesa. Contributi per una teoria generale del diritto canonico, Torino, 1991; Id., Diritto canonico e comunione ecclesiale. Saggi di diritto canonico in prospettiva teologica, Torino, 1993; Id., Diritto canonico, Torino, 1995; R. Bertolino, La tutela dei diritti nella Chiesa. Dal vecchio al nuovo codice di diritto canonico, Torino, 1983; Id., Il nuovo diritto ecclesiale tra coscienza delluomo e istituzione. Saggi di diritto costituzionale canonico, Torino, 1989; Id., Matrimonio canonico e bonum coniugum. Per una lettura personalistica del matrimonio cristiano, Torino, 1995; S. Gherro, Privilegio, bene comune e interesse privato, Padova, 1977; Id., Principi di diritto costituzionale canonico, Torino, 1992; G. Lo Castro, Il soggetto e i suoi diritti nellordinamento canonico, Milano, 1985; Id., Luomo e il diritto, Torino, in preparazione, sulla base (suppongo) di numerose relazioni, fra cui: Il problema costituzionale e lidea di diritto, prefazione a J. Hervada, Diritto costituzionale canonico, Milano, 1989, pp. VII-LV; Il diritto della Chiesa, il diritto nella Chiesa, in Il Diritto Ecclesiastico, 1990/1, pp. 285-305; Luomo e la norma, in Ius Ecclesiae, 5 (1993), pp. 159-194; La libert religiosa e lidea di diritto, in Il Diritto Ecclesiastico, 1996/1, pp. 36-63; Il mistero del diritto divino, in Ius Ecclesiae, 8 (1996), pp. 427-463.

Sulla stessa tematica, in un mbito dottrinale relativamente omogeneo, vide gli studi raccolti in R. Bertolino (a cura di), Scienza giuridica e diritto canonico, Torino, 1991, e i volumi di P.A. Bonnet, Comunione ecclesiale. Diritto e potere, Torino, 1993, di P. Moneta, La giustizia nella Chiesa, ristampa aggiornata, Bologna, 1995 o di R. Sobanski, La Chiesa e il suo diritto. Realt teologica e giuridica del diritto ecclesiale, Torino, 1993.

C.J. Errzuriz M., La persona nellordinamento canonico: rilevanza giuridica degli elementi sacramentali e carismatici, in La scienza canonistica nella seconda met del 900. Fondamenti, metodi, prospettive in dAvack Lombarda Gismondi Corecco. Roma, 13-16 novembre 1996. Cfr. Id., Il munus docendi Ecclesiae: diritti e doveri dei fedeli, Milano, 1991; Id., Sul rapporto tra diritto e comunione nella Chiesa, in Persona y Derecho. Suplemento Fidelium iura de derechos y deberes fundamentales del fiel, 4 (1994), pp. 33-53.

Giovanni Paolo II, lett. ap. Tertio millennio adveniente anni MM Iubilaeum ad parandum, 10 novembre 1994, n. 18, in AAS, 87 (1995), pp. 5-41. Vide su questo stesso volume E. Colagiovanni, Aspetti dinamici della cultura processualistica moderna.

Publicum ius est, quod ad statum rei Romanae spectat, privatum, quod ad singulorum utilitatem pertinet. Dicendum est igitur de iure privato, quod est tripertitum: collectum est enim ex naturalibus praeceptis aut gentium aut civilibus (Inst. 1, 1 4). Cfr. Dig. 1, 1, 1 2, Ulpianus, libro 1 Institutionum. Per unanalisi del passo di Ulpiano nella dottrina civilistica francese del s. XVI, cfr. I. Birocchi, La distinzione ius publicum/ius privatum nella dottrina della scuola culta (F. Connan, H. Doneau, L.Ch. Le Caron), in Ius Commune. Zeitschrift fr Europische Rechtsgeschichte, 23 (1996), pp. 139-176.

Ius aut naturale est, aut civili, aut gentium (D. 1, can. 6). Ius publicum est in sacris et sacerdotibus et magistratibus (D. 1, can. 11).

Cfr. D. 2 sul ius Queritum, come il diritto romano chiamato da Graziano, seguendo le Etimologie.

Cfr. G. Lo Castro, Pubblico e privato nel diritto canonico, in Diritto per valori, cit., p. 124.

Ius naturale est commune omnium nationum, eo quod ubique instinctu naturae, non constitutione aliqua habetur (D. 1, can. 7).

G. Lo Castro, Pubblico e privato, cit., p. 122.

W. Bertrams, in Gregorianum, 43 (1962), p. 389, citato da G. Lo Castro, Pubblico e privato, cit., p. 143, nota 40.

Cristo comand, inoltre, agli apostoli di annunciare il messaggio evangelico a tutte le genti, perch il genere umano diventasse la famiglia di Dio, nella quale la pienezza della legge fosse lamore (Gaudium et spes, n. 32c). Cfr. ibidem, nn. 40b, 43e. I presbiteri raccolgono la famiglia di Dio, come una fraternit animata dallo spirito dunit, e per mezzo di Cristo nello Spirito la portano a Dio Padre (Lumen gentium, n. 28a). Cfr. ibidem, nn. 28e, 32d; Presbyterorum Ordinis, n. 6a; Unitatis redintegratio, n. 2d.

Cfr. Paolo VI, Discorso alla Rota Romana, 25 gennaio 1966, in AAS, 58 (1966), p. 151.

Cfr. Lumen gentium, nn. 14, 16; Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera allarcivescovo di Boston, 8 agosto 1949, in Denzinger-Schnmetzer-Hnermann, Enchiridion Symbolorum definitionum et declarationum de rebus fidei et morum, ed. bilingue, Bologna, 1995, nn. 3866-3872; Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 846.

Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 1257-1261 e 1267-1270. Sulle conseguenze giuridiche del battesimo, cfr. C.J. Errzuriz M., Riflessioni sul rapporto tra battesimo e situazione giuridico-canonica della persona, in Persona y Derecho. Suplemento Fidelium iura de derechos y deberes fundamentales del fiel, 6 (1996), pp. 141-157.

Giovanni Paolo II, lett. ap. Mulieris dignitatem sulla dignit e vocazione della donna, 15 agosto 1988, n. 25, in AAS, 80 (1988), pp. 1653-1729. Il corsivo delloriginale.

Cfr. A. de Fuenmayor, Comentario al can. 96, in A. Marzoa J. Miras R. Rodrguez-Ocaa (a cura di), Comentario exegtico al Cdigo de Derecho Cannico, Pamplona, 1996, vol. 1, pp. 719-722; A. Gomez de Ayala, Gli infedeli e la personalit nellordinamento canonico, Milano, 1971, passim; G. Lo Castro, Comentario al libr. 1, tit. 6, De personis physicis et iuridicis, in Comentario exegtico, cit., pp. 713-718; J. Rapacz, La persona nel CIC 1983. Analisi della norma del can. 96, in Analecta Cracoviensia, 27 (1995), pp. 765-775.

Cfr. J. Llobell, La jurisdiccin de la Iglesia sobre los matrimonios no obligados a la forma cannica, in Ius Canonicum, 37 (1997), pp. 33-71.

Quel figlio [prodigo] (...) in certo senso luomo di tutti i tempi, cominciando da colui che per primo perdette leredit della grazia e della giustizia originaria. Lanalogia a questo punto molto ampia. La parabola tocca indirettamente ogni rottura dellalleanza damore, ogni perdita della grazia, ogni peccato (Giovanni Paolo II, lett. enc. Dives in misericordia, 30 novembre 1980, n. 5c, in AAS, 88 (1996), pp. 1177-1232, in Enchiridion Vaticanum, vol. 7, n. 888). Proprio sulla via delleterna elezione delluomo alla dignit di figlio adottivo di Dio [Cristo] (...) venuto a dare lultima testimonianza della mirabile alleanza di Dio con lumanit, di Dio con luomo, con ogni uomo. Questa alleanza, antica come luomo risale al mistero stesso della creazione (...) [] aperta a tutti e a ciascuno (ibidem,


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