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046 - 2012 08 Luglio 2012 NOTIZIARIO DS - SPECIALE ... · commissione cultura su DDL n. 953 sulla...

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Dirigenti Scolastici Dirigenti Scolastici Dirigenti Scolastici Dirigenti Scolastici N. N. N. N. 46/ 2012 / 2012 / 2012 / 2012 – 0 0 0 07 Luglio 2012 Luglio 2012 Luglio 2012 Luglio 2012 E’ on line il sito web della FLC CGIL Lombardia, all’indirizzo www.flccgil.lombardia.it Nel sito un’ampia sezione dedicata ai DIRIGENTI SCOLASTICI, con una raccolta normativa, spazio FAQ, notizie ed informazioni utili per tutti i colleghi PER LA CONSULENZA MAIL , SCHEDE CONSULENZA, ALTRI SERVIZI (CEDOLINO, PENSIONI ECC..) I SOLI DIRIGENTI ISCRITTI ALLA FLC LOMBARDIA POSSONO RIVOLGERSI A [email protected] - tel 3357322206 RESPONSABILE REGIONALE DIRIGENTI SCOLASTICI LOMBARDIA SPECIALE PDL GOVERNANCE DELLE ISTITUZIONI SCOLASTICHE PARTE PRIMA : POSIZIONI ED ANALISI DELLE ASSOCIAZIONI, PARTITI POLITICI, AUTORI ED ESPERTI DI SCUOLA 01. Dichiarazione comune della maggioranza parlamentare in commissione cultura su DDL n. 953 sulla governance delle istituzioni scolastiche (22-3-2012) 02. PDL a confronto: vecchio testo e nuovo testo su governance delle istituzioni scolastiche (22-3-2012) 03. Varo PDL su Autogoverno delle istituzioni scolastiche statali- Commento di G. Bachelet (25-3-2012) 04. La Legge Aprea e i cavalli di Frankenstein Jr. - di Marco Campione – responsabile scuola PD Lombardia (26–3-2012) 05. Un lavoro di analisi e osservazioni sul testo emendato del 22.03.12. Proposte di modifiche (con riferimento alla Legge della Provincia di Trento LP 5/06)- a cura di Cinzia Olivieri (29-3-2012) 06. Sull’autogoverno delle istituzioni scolastiche : ANDIS (29-3-2012) 07. Si va verso la riforma della governance delle scuole - di R. Proietto (31-3-2012) 08. Nuovo Governo delle Istituzioni scolastiche di G.C. Sacchi edscuola (Marzo 2012) 09. L’autogoverno delle scuole: finalmente una buona proposta – di A. Valentino (5-4– 2012) 10. Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome: parere su PDL governante delle scuole (19-04-2012) 11. La riforma degli OO.CC. è una grande occasione di rilancio dell’autonomia scolastica di Lucio Ficara - scuolaoggi (19-4-2012) 12. La riforma degli Organi Collegiali: i cambiamenti e le assenze – di A. Valentino (20- 4-2012) 13. La riforma degli Organi Collegiali di Pierluigi Alessandrini - Scuolaoggi (20-4-2012) 14. "Autonomia scolastica e organi di governo della scuola" - TAVOLA ROTONDA (4-5- 2012) - Convegno nazionale "La dirigenza scolastica tra questioni aperte e nuove complessità organizzative" DIRIGENTI SCOLASTICI FLC CGIL -NAPOLI . 15. A proposito di autogoverno e dimensionamenti - di A. Valentino (7-5-2012) 16. Commento al testo unificato recante “Norme per l’autogoverno delle istituzioni scolastiche statali” A. ARMONE (15-5-2012) 17. Aprea, luci e ombre di una riforma mancata – sussidiario.net – G.C. De Martin (16-5-2012) Docente di diritto amministrativo nell'Università Luiss Guido Carli di Roma) 18. Autonomia della scuola e riforma degli organi collegiali: riflessioni e proposte- Franco Buccino (19-5-2012)
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Page 1: 046 - 2012 08 Luglio 2012 NOTIZIARIO DS - SPECIALE ... · commissione cultura su DDL n. 953 sulla governance delle istituzioni scolastiche (22-3-2012) La Commissione Cultura ha approvato

Dirigenti ScolasticiDirigenti ScolasticiDirigenti ScolasticiDirigenti Scolastici N.N.N.N. 44446666/ 2012 / 2012 / 2012 / 2012 –––– 0 0 0 07777 Luglio 2012 Luglio 2012 Luglio 2012 Luglio 2012

E’ on line il sito web della FLC CGIL Lombardia, all’indirizzo www.flccgil.lombardia.it Nel sito un’ampia sezione dedicata ai DIRIGENTI SCOLASTICI, con una raccolta normativa,

spazio FAQ, notizie ed informazioni utili per tutti i colleghi

PER LA CONSULENZA MAIL , SCHEDE CONSULENZA, ALTRI SERVIZI (CEDOLINO, PENSIONI ECC..) I SOLI DIRIGENTI ISCRITTI ALLA FLC LOMBARDIA POSSONO RIVOLGERSI A

[email protected] - tel 3357322206 RESPONSABILE REGIONALE DIRIGENTI SCOLASTICI LOMBARDIA

SPECIALE PDL GOVERNANCE DELLE ISTITUZIONI SCOLASTICHE

PARTE PRIMA : POSIZIONI ED ANALISI DELLE ASSOCIAZIONI,

PARTITI POLITICI, AUTORI ED ESPERTI DI SCUOLA 01. Dichiarazione comune della maggioranza parlamentare in commissione cultura su DDL n. 953 sulla governance delle istituzioni scolastiche (22-3-2012)

02. PDL a confronto: vecchio testo e nuovo testo su governance delle istituzioni scolastiche (22-3-2012)

03. Varo PDL su Autogoverno delle istituzioni scolastiche statali- Commento di G. Bachelet (25-3-2012)

04. La Legge Aprea e i cavalli di Frankenstein Jr. - di Marco Campione – responsabile scuola PD Lombardia (26–3-2012)

05. Un lavoro di analisi e osservazioni sul testo emendato del 22.03.12. Proposte di modifiche (con riferimento alla Legge della Provincia di Trento LP 5/06)- a cura di Cinzia Olivieri (29-3-2012)

06. Sull’autogoverno delle istituzioni scolastiche : ANDIS (29-3-2012)

07. Si va verso la riforma della governance delle scuole - di R. Proietto (31-3-2012)

08. Nuovo Governo delle Istituzioni scolastiche di G.C. Sacchi edscuola (Marzo 2012)

09. L’autogoverno delle scuole: finalmente una buona proposta – di A. Valentino (5-4–2012)

10. Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome: parere su PDL governante delle scuole (19-04-2012)

11. La riforma degli OO.CC. è una grande occasione di rilancio dell’autonomia scolastica di Lucio Ficara - scuolaoggi (19-4-2012)

12. La riforma degli Organi Collegiali: i cambiamenti e le assenze – di A. Valentino (20-4-2012)

13. La riforma degli Organi Collegiali di Pierluigi Alessandrini - Scuolaoggi (20-4-2012)

14. "Autonomia scolastica e organi di governo della scuola" - TAVOLA ROTONDA (4-5-2012) - Convegno nazionale "La dirigenza scolastica tra questioni aperte e nuove complessità organizzative" DIRIGENTI SCOLASTICI FLC CGIL -NAPOLI .

15. A proposito di autogoverno e dimensionamenti - di A. Valentino (7-5-2012)

16. Commento al testo unificato recante “Norme per l’autogoverno delle istituzioni scolastiche statali” A. ARMONE (15-5-2012)

17. Aprea, luci e ombre di una riforma mancata – sussidiario.net – G.C. De Martin (16-5-2012) Docente di diritto amministrativo nell'Università Luiss Guido Carli di Roma)

18. Autonomia della scuola e riforma degli organi collegiali: riflessioni e proposte- Franco Buccino (19-5-2012)

Page 2: 046 - 2012 08 Luglio 2012 NOTIZIARIO DS - SPECIALE ... · commissione cultura su DDL n. 953 sulla governance delle istituzioni scolastiche (22-3-2012) La Commissione Cultura ha approvato

19. Il ddl Aprea si "perde" tra Trento e Roma. Addio autonomia? sussidiario.net – F. Cortese (21-5-2012) (Ricercatore di Diritto amministrativo nell’Università di Trento)

20. Potenziare l'autonomia. Garantire la qualità – G. C. Sacchi edscuola (30-5-2012)

21. Alla Camera il 7 giugno riprendono i lavori sulla riforma degli organi collegiali

22. Riforma organi collegiali: IDV dubbi di costituzionalità (5-6-2012)

23. Riforma organi collegiali: appelli per fermarla (5-6-2012)

24. Norme per l’autogoverno delle scuole statali–O. Roman (6-6-2012)

25. Proposta di legge delle ARSA sull’art. 50 (associazioni regionali delle scuole autonome) (7-6-2012)

26. Riforma Aprea, troppi poteri ai dirigenti (19-6-2012). Il provvedimento interviene in assenza di una vera attuazione del titolo V ItaliaOggi – di R. GONTERO (presidente AGeSC – associazione genitori scuole cattoliche)

27. La riforma degli OOCC. A proposito di autonomia statutaria e rappresentanza istituzionale – A. Valentino (25-6-2012)

28. La difficile riforma degli Organi Collegiali - di S. STEFANEL –scuolaoggi (29-06-2012)

29. Governare la scuola dell'autonomia - Seminario nazionale "Il valore delle professioni amministrative, tecniche e ausiliarie in una scuola accogliente" Firenze 2/3–7-2012

PARTE SECONDA : LA POSIZIONE DELLA FLC CGIL 30. Riforma organi collegiali: abbandonato il modello autoritario dell'Aprea, ma molte cose sono da cambiare alla radice (27-03-2012)

31. Organi collegiali: la FLC serve una riforma vera (23 -6 -2012)

32. Organi collegiali della scuola e ddl in discussione: le considerazioni della FLC CGIL

33. Gli organi collegiali: partecipazione per il miglioramento del sistema formativo BOZZA DOCUMENTO FLC CGIL SUGLI ORGANI COLLEGIALI DELLA SCUOLA (integrale)

34. Modello partecipativo e riforma degli organi collegiali di G. Carlini

Come ci eravamo riproposti nell’ultima riunione della struttura di comparto regionale dei Dirigenti Scolastici della Lombardia, pubblichiamo lo speciale sul PDL “GOVERNANCE DELLE ISTITUZIONI SCOLASTICHE”.

Lo speciale ha come obiettivo quello di fare, in un unico documento, il punto sul dibattito relativo al PDL “autogoverno delle istituzioni scolastiche”, attraverso la pubblicazione delle posizioni sostenute da associazioni, partiti politici, sindacati, autori ed esperti di scuola.

Lo speciale vuole essere di ausilio alla discussione del giorno 11 luglio 2012 a Lodi e come base per eventuale seminario dirigenti scolastici sull’argomento da organizzare per ottobre 2012.

Nella prima parte sono pubblicati i contributi, posizioni ed analisi delle associazioni, partiti politici, autori ed esperti di scuola, in stretto ordine cronologico, a partire dalla data del 22 marzo 2012 (data di approvazione del PDL in commissione cultura della camera) fino ai giorni nostri, per permettere il più possibile di seguire l’evoluzione del dibattito.

Nella seconda parte riassumiamo la posizione della FLC in merito. Non è stato un lavoro semplice ma spero possa essere utile a tutti noi per la discussione. Alcuni articoli sono già stati pubblicati sui vari numeri del ns notiziario, molti altri sono pubblicati per la prima volta ma ovviamente disponibili in rete. Naturalmente tantissimi altri contributi non trovano spazio in questa raccolta.

Auguro buona lettura a chi ha voglia e tempo per leggere Raffaele Ciuffreda

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PARTE PRIMA : POSIZIONI ED ANALISI DELLE ASSOCIAZIONI, PARTITI POLITICI, AUTORI ED ESPERTI DI SCUOLA

01. Dichiarazione comune della maggioranza parlamentare in commissione cultura su DDL n. 953 sulla governance delle istituzioni scolastiche (22-3-2012)

La Commissione Cultura ha approvato la legge n. 953 e abbinate sulla Governance delle Istituzioni scolastiche. Con una iniziativa inconsueta la relatrice e Presidente della Commissione, on. Valentina Aprea e i capigruppo di maggioranza, on. Emerenzio Barbieri del Pdl, on. Manuela Ghizzoni del Pd e on. Luisa Capitanio Santolini dell'Udc, hanno rilasciato una dichiarazione comune, così concepita:

“Con il varo della legge sull'Autonomia statutaria delle istituzioni scolastiche statali si compie un grande passo avanti per la scuola italiana. Dopo trent'anni di immobilismo si pongono le premesse per una reale autonomia delle istituzioni scolastiche, in dialogo con le autonomie territoriali, nello spirito della riforma del titolo V della Costituzione. Tutte le scuole avranno il proprio statuto, questa è la novità più rilevante: un elemento fondamentale per realizzare concretamente l'autonomia, elaborato attraverso la collaborazione tra comunità scolastica e territorio. La scuola diviene così per le comunità un luogo aperto di cultura e di crescita. Il ‘Consiglio dell'autonomia’, presieduto da un genitore, potrà richiedere la presenza di uno o due rappresentanti della realtà territoriale, per promuovere accordi e convenzioni con associazioni, consorzi e reti di scuole. Per sancire questa svolta l'organismo professionale dei docenti assume la nuova denominazione di ‘Consiglio dei docenti’. La legge, affidando al ‘Consiglio dei docenti' autonomia organizzativa e didattica, valorizza e rende più efficace il loro lavoro, anche attraverso i dipartimenti per materie, le commissioni e i consigli di classe. La scuola, in piena autonomia, sancita ora dall'introduzione del proprio Statuto, elabora il progetto formativo in condivisione con le famiglie, con l'obiettivo di assicurare un'offerta formativa all'altezza delle sfide contemporanee. Sono i primi passi, ai quali dovranno seguirne molti altri, per far ritrovare alla scuola la fiducia nella propria forza e nel proprio ruolo nell'Italia di oggi”.

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02. PDL a confronto: vecchio testo e nuovo testo su governance delle istituzioni scolastiche (22-3-2012)

PROPOSTA di LEGGE VECCHIO TESTO Aprea

NUOVO TESTO Norme per l'autogoverno delle istituzioni

scolastiche statali Norme per l'autogoverno delle istituzioni scolastiche e la libertà di scelta educativa delle famiglie, nonché per la riforma dello stato giuridico dei docenti ----------------------------------------------------------

Capo I GOVERNO DELLE ISTITUZIONI SCOLASTICHE

Art. 1. (Governo delle istituzioni scolastiche).

1. Le disposizioni della presente legge costituiscono norme generali sull'istruzione, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera n), della Costituzione. 2. Al governo delle istituzioni scolastiche concorrono il dirigente scolastico, i docenti, i genitori, gli alunni, i rappresentanti degli enti locali e, su deliberazione delle singole istituzioni scolastiche, i rappresentanti delle realtà culturali, sociali, produttive, professionali e dei servizi, secondo i princìpi della presente legge. 3. Le istituzioni scolastiche, nella loro autonomia, costituiscono i loro organi di governo e ne disciplinano il funzionamento secondo le norme generali della presente legge. Le istituzioni scolastiche costituiscono, altresì, organi di partecipazione degli studenti e delle famiglie ai sensi dell'articolo 9. 4. Restano ferme le disposizioni legislative in vigore concernenti le funzioni dei dirigenti scolastici.

Art. 1.

(L'autonomia scolastica e le autonomie territoriali).

1. L'autonomia delle istituzioni scolastiche, sancita dall'articolo 117 della Costituzione, è riconosciuta sulla base di quanto stabilito dall'articolo 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni, e dal decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275. 2. Ogni istituzione scolastica autonoma, che è parte del sistema nazionale di istruzione, concorre ad elevare il livello di competenza dei cittadini della Repubblica e costituisce per la comunità locale di riferimento un luogo aperto di cultura, di sviluppo e di crescita, di formazione alla cittadinanza e di apprendimento lungo tutto il corso della vita. Lo Stato, le Regioni e le autonomie locali contribuiscono al perseguimento delle finalità educative delle istituzioni scolastiche esercitando le funzioni previste dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, e successive modificazioni. Vi contribuiscono, altresì, le realtà culturali, sociali, produttive, professionali e dei servizi, ciascuna secondo i propri compiti e le proprie attribuzioni.

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5. Gli organi di governo concorrono alla definizione e alla realizzazione degli obiettivi educativi e formativi, attraverso percorsi articolati e flessibili, coerenti con le indicazioni nazionali adottate in attuazione della legge 28 marzo 2003, n. 53, e successive modificazioni, che trovano compiuta espressione nel piano dell'offerta formativa. Il piano tiene conto delle prevalenti richieste delle famiglie ed è comprensivo delle diverse opzioni eventualmente espresse da singoli o da gruppi di insegnanti nell'ambito della libertà di insegnamento. Gli organi di governo valorizzano la funzione educativa dei docenti, il diritto all'apprendimento e alla partecipazione degli alunni alla vita della scuola, la libertà di scelta dei genitori, il patto educativo tra famiglie e docenti e tra istituzione scolastica e territorio. 6. Le istituzioni scolastiche sono organizzate sulla base del principio della distinzione tra funzioni di indirizzo e di programmazione, spettanti agli organi di cui all'articolo 3, comma 1, lettere b) e c), e compiti di gestione e coordinamento, spettanti al dirigente scolastico. 7. Le disposizioni della presente legge si applicano anche alle istituzioni educative e alle scuole paritarie, tenuto conto delle loro specificità ordinamentali. Nelle scuole paritarie la responsabilità amministrativa appartiene all'ente gestore, il cui rappresentante, o persona dal medesimo delegata, presiede il consiglio di amministrazione. Nelle scuole paritarie restano salve la responsabilità propria del soggetto gestore, secondo le disposizioni del codice civile, nonché l'applicazione dell'articolo 1, comma 4, lettera c), della legge 10 marzo 2000, n. 62.

3. Alle istituzioni scolastiche è riconosciuta autonomia statutaria, nel rispetto delle norme generali di cui alla presente legge. 4. Gli statuti delle istituzioni scolastiche regolano l'istituzione, la composizione e il funzionamento degli organi interni nonché le forme e le modalità di partecipazione della comunità scolastica. 5. Gli organi di governo delle istituzioni scolastiche promuovono il patto educativo tra scuola, studenti, famiglia e comunità locale, valorizzando: a) il diritto all'apprendimento e alla partecipazione degli alunni alla vita della scuola; b) il dialogo costante tra la professionalità della funzione docente e la libertà e responsabilità delle scelte educative delle famiglie; c) le azioni formative ed educative in rete nel territorio, quali piani formativi territoriali

Art. 2. (Trasformazione delle istituzioni scolastiche in

fondazioni).

1. Ogni istituzione scolastica può, nel rispetto dei requisiti, delle modalità e dei criteri fissati con regolamento adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, su proposta del Ministro della pubblica istruzione, costituirsi in fondazione, con la possibilità di avere partner che ne sostengano l'attività, che partecipino ai suoi organi di governo e che contribuiscano a raggiungere gli obiettivi strategici indicati nel piano dell'offerta formativa e a innalzare gli standard di competenza dei singoli studenti e di qualità complessiva dell'istituzione scolastica. 2. I partner previsti dal comma 1 possono essere enti pubblici e privati, altre fondazioni, associazioni di genitori o di cittadini, organizzazioni non profit. Le istituzioni scolastiche che sono trasformate in fondazioni devono prevedere nel loro statuto l'obbligo di rendere conto alle amministrazioni pubbliche competenti delle scelte effettuate a livello organizzativo e didattico e svolgere una costante azione di informazione e di orientamento per genitori e studenti. 3. Le istituzioni scolastiche trasformate in fondazioni definiscono gli obiettivi prioritari di intervento, prevedono le necessarie risorse economiche e individuano, mediante appositi regolamenti interni, le funzioni e gli strumenti di indirizzo, di coordinamento e di trasparenza dell'azione didattica e finanziaria.

Art. 3.

(Organi delle istituzioni scolastiche).

1. Gli organi delle istituzioni scolastiche sono:

a) il dirigente scolastico;

b) il consiglio di amministrazione di cui agli articoli 5 e 6;

Art. 2.

(Organi delle istituzioni scolastiche).

1. Gli organi delle istituzioni scolastiche sono organizzati sulla base del principio della distinzione tra funzioni di indirizzo, funzioni di gestione e funzioni tecniche secondo quanto previsto al presente articolo. Sono organi delle istituzioni scolastiche: a) il consiglio dell'autonomia, di cui agli articoli

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c) il collegio dei docenti di cui all'articolo 7;

d) gli organi di valutazione collegiale degli alunni di cui all'articolo 8;

e) il nucleo di valutazione di cui all'articolo 10.

3 e 4; b) il dirigente, di cui all'articolo 5, con funzioni di gestione; c) il consiglio dei docenti con le sue articolazioni: consigli di classe, commissioni e dipartimenti di cui all'articolo 6; d) il nucleo di autovalutazione di cui all'articolo 8. 2. Nel rispetto delle competenze degli organi di cui ai commi precedenti, lo Statuto prevede forme e modalità per la partecipazione di tutte le componenti della comunità scolastica.

Art. 4. (Dirigente scolastico).

1. Il dirigente scolastico, ai sensi dell'articolo 25 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, assicura la gestione unitaria dell'istituzione, ne ha la legale rappresentanza ed è responsabile della gestione delle risorse umane, finanziarie e strumentali e dei risultati del servizio.

Art. 5. (Dirigente scolastico).

1. Il dirigente scolastico ha la legale

rappresentanza dell'istituzione e, sotto la propria responsabilità, gestisce le risorse umane, finanziarie e strumentali e risponde dei risultati del servizio agli organismi istituzionalmente e statutariamente competenti.

Art. 5.

(Consiglio di amministrazione).

1. Il consiglio di amministrazione, nei limiti delle disponibilità di bilancio e nel rispetto delle scelte didattiche definite dal collegio dei docenti, ha compiti di indirizzo generale dell'attività di istruzione scolastica. Esso, su proposta del dirigente scolastico:

a) delibera il regolamento relativo al proprio funzionamento, comprese le modalità di elezione, sostituzione e designazione dei suoi membri;

b) approva il piano dell'offerta formativa;

c) approva il programma annuale delle attività;

d) delibera il regolamento di istituto, che definisce i criteri per l'organizzazione e il funzionamento dell'istituzione scolastica, per la partecipazione degli studenti e delle famiglie alle attività della scuola e per la designazione dei responsabili dei servizi e dei progetti;

e) nomina i docenti esperti e i membri esterni del nucleo di valutazione, di cui all'articolo 10, entro due mesi dalla prima convocazione successiva alla sua costituzione.

2. Il consiglio di amministrazione dura in carica tre anni scolastici ed è rinnovato entro il 30 settembre successivo alla sua scadenza. 3. In sede di prima attuazione della presente legge, il regolamento di cui al comma 1, lettera a), è deliberato dal consiglio di circolo o di istituto uscenti. Decorsi sei mesi dal suo insediamento, il consiglio di amministrazione può modificare il regolamento deliberato ai sensi del presente comma. 4. Nel caso di persistenti e gravi irregolarità o di impossibilità di funzionamento o di continuata inattività del consiglio di amministrazione, il dirigente dell'ufficio scolastico regionale dell'amministrazione competente, al fine di assicurare lo svolgimento delle attività della scuola e l'assolvimento della funzione educativa, provvede al suo scioglimento, nominando un commissario straordinario che resta in carica fino alla costituzione del nuovo consiglio.

Art. 3. (Consiglio dell'autonomia).

1. Il consiglio dell'autonomia ha compiti di

indirizzo generale dell'attività scolastica. In particolare: a) adotta lo statuto; b) delibera il regolamento relativo al proprio funzionamento; c) adotta il piano dell'offerta formativa elaborato dal consiglio dei docenti ai sensi dell'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 275 del 1999; d) approva il programma annuale e, nel rispetto della normativa vigente in materia di contabilità di Stato, anche il bilancio pluriennale di previsione; e) approva il conto consuntivo; f) delibera il regolamento di istituto; g) designa i componenti del nucleo di autovalutazione, di cui all'articolo 8; h) approva accordi e convenzioni con soggetti esterni e definisce la partecipazione ai soggetti di cui all'articolo 10. i) modifica, con la maggioranza dei due terzi dei suoi componenti, lo statuto dell'istituzione scolastica, comprese le modalità di elezione, sostituzione e designazione dei propri membri. 2. Per l'esercizio dei compiti di cui alle lettere da c) a g) è necessaria la proposta del dirigente scolastico. 3. Il consiglio dell'autonomia dura in carica tre anni scolastici ed è rinnovato entro il 30 settembre successivo alla sua scadenza. 4. In sede di prima attuazione della presente legge, lo Statuto e il regolamento di cui al comma 1, lettera a), sono deliberati dal consiglio di circolo o di istituto uscenti, entro 90 giorni dall'entrata in vigore della legge. Decorsi sei mesi dall'insediamento, il consiglio dell'autonomia può modificare lo Statuto e il regolamento deliberato ai sensi del presente comma. 5. Lo statuto deliberato dal consiglio dell'autonomia non è soggetto ad approvazione o convalida da parte di alcuna autorità esterna, salvo il controllo formale da parte dell'organismo istituzionalmente competente. 6. Nel caso di persistenti e gravi irregolarità o di impossibilità di funzionamento o di

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continuata inattività del consiglio dell'autonomia, l'organismo istituzionalmente competente provvede al suo scioglimento, nominando un commissario straordinario che resta in carica fino alla costituzione del nuovo consiglio.

Art. 6. (Composizione del consiglio di amministrazione).

1. Il consiglio di amministrazione è composto da un numero di membri non superiore a undici, ivi compreso il dirigente scolastico, che ne è membro di diritto. Nella composizione del consiglio deve essere assicurata una rappresentanza dei docenti, dei genitori e, negli istituti di istruzione secondaria di secondo grado, degli studenti. Ne fanno parte, altresì, rappresentanti dell'ente tenuto per legge alla fornitura dei locali della scuola ed esperti esterni scelti in ambito educativo, tecnico o gestionale ai sensi di quanto previsto dal regolamento di istituto di cui all'articolo 5, comma 1, lettera d). 2. Le modalità di costituzione delle rappresentanze dei docenti, dei genitori e degli studenti sono stabilite dal regolamento di cui all'articolo 5, comma 1, lettera a). 3. Il consiglio di amministrazione è presieduto dal dirigente scolastico, il quale lo convoca e ne fissa l'ordine del giorno. Il consiglio si riunisce, altresì, su richiesta di almeno due terzi dei suoi componenti. 4. Alle riunioni del consiglio di amministrazione partecipa, con funzioni di segretario, anche il direttore dei servizi generali e amministrativi, che non ha diritto di voto per le delibere riguardanti il programma annuale delle attività. Per le medesime delibere non hanno altresì diritto di voto gli studenti minorenni che fanno parte del consiglio di amministrazione.

Art. 4. (Composizione del Consiglio dell'autonomia).

1. Il Consiglio dell'autonomia è composto da

un numero di membri compreso fra nove e tredici. La sua composizione è fissata dallo Statuto, nel rispetto dei seguenti criteri: a) il dirigente scolastico è membro di diritto; b) la rappresentanza dei genitori e dei docenti è paritetica; c) nelle scuole secondarie di secondo grado è assicurata la rappresentanza degli studenti; d) del consiglio fanno parte membri esterni, scelti fra le realtà di cui all'articolo 1 comma 2, in numero non superiore a due; e) un rappresentante dei soggetti di cui all'articolo 10, su invito, può partecipare alle riunioni che riguardano le attività di loro competenza, senza diritto di voto. 2. Le modalità di costituzione delle rappresentanze dei docenti, dei genitori e degli studenti sono stabilite dal regolamento di cui all'articolo 3, comma 1, lettera b). I membri esterni sono scelti dal consiglio secondo modalità stabilite dal suddetto regolamento. 3. Il consiglio dell'autonomia è presieduto da un genitore, eletto nel suo seno. Il presidente lo convoca e ne fissa l'ordine del giorno. Il consiglio si riunisce, altresì, su richiesta di almeno due terzi dei suoi componenti. 4. Il direttore dei servizi generali e amministrativi fa parte del Consiglio dell'autonomia senza diritto di voto e svolge le funzioni di segretario del consiglio. 5. Gli studenti minorenni che fanno parte del consiglio dell'autonomia non hanno diritto di voto per quanto riguarda il programma annuale e il conto consuntivo. Il voto dei membri studenti non maggiorenni è in ogni caso consultivo per le deliberazioni di rilevanza contabile. 6. In sede di prima attuazione, le elezioni del consiglio dell'autonomia si svolgono entro il 30 settembre dell'anno scolastico successivo all'approvazione dello Statuto.

7. (Collegio dei docenti).

1. Il collegio dei docenti ha compiti di indirizzo, programmazione, coordinamento e monitoraggio delle attività didattiche ed educative. Esso provvede, in particolare, all'elaborazione del piano dell'offerta formativa in conformità a quanto disposto dall'articolo 1, comma 5. 2. Il collegio dei docenti è articolato in dipartimenti disciplinari, presieduti da un docente coordinatore, ovvero in ulteriori forme organizzative, definite dal collegio stesso. Le modalità organizzative del collegio dei docenti sono recepite dal regolamento di istituto di cui all'articolo 5, comma 1, lettera d). 3. Il collegio dei docenti si riunisce in seduta obbligatoria all'inizio dell'anno scolastico per approvare la propria organizzazione interna e l'elaborazione del piano dell'offerta formativa.

------------------

Art. 6. (Consiglio dei docenti e sue articolazioni). 1. Al fine di programmare le attività didattiche

e di valutazione collegiale degli alunni, lo Statuto disciplina l'attività del Consiglio dei docenti e delle sue articolazioni, secondo quanto previsto dai commi successivi del

presente articolo. 2. La programmazione dell'attività didattica

compete al consiglio dei docenti, presieduto dal dirigente scolastico e composto da tutti i

docenti. Il Consiglio dei docenti opera anche per commissioni e dipartimenti, consigli di classe e, ai fini dell'elaborazione del piano

dell'offerta formativa, mantiene un collegamento costante con gli organi che

esprimono le posizioni degli alunni, dei genitori e della comunità locale.

3. L'attività didattica di ogni classe è programmata e attuata dai docenti che ne sono

responsabili, nella piena responsabilità e

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Art. 8. (Organi di valutazione collegiale degli alunni).

1. I docenti, nell'esercizio della propria funzione, valutano in sede collegiale i livelli di apprendimento degli alunni, periodicamente e alla fine dell'anno scolastico, e ne certificano le competenze in uscita, in coerenza con i profili formativi relativi ai singoli percorsi di studio, secondo modalità indicate dal regolamento di istituto di cui all'articolo 5, comma 1, lettera d).

libertà di docenza e nel quadro delle linee educative e culturali della scuola e delle

indicazioni e standard nazionali per il curricolo. 4. Lo statuto disciplina la composizione, le

modalità della necessaria partecipazione degli alunni e dei genitori alla definizione e

raggiungimento degli obiettivi educativi di ogni singola classe.

5. I docenti, nell'esercizio della propria funzione, valutano in sede collegiale, secondo la normativa e le Indicazioni nazionali vigenti, i

livelli di apprendimento degli alunni, periodicamente e alla fine dell'anno scolastico, e ne certificano le competenze, in coerenza con i profili formativi ed i requisiti in uscita relativi

ai singoli percorsi di studio e con il Piano dell'offerta formativa dell'istituzione scolastica, presentato alle famiglie, e sulla base delle linee didattiche, educative e valutative definite dal

consiglio dei docenti.

Art. 9. (Partecipazione e diritti degli studenti e delle famiglie).

1. Le istituzioni scolastiche, nell'ambito dell'autonomia organizzativa e didattica riconosciuta dalla legge, valorizzano la partecipazione alle attività della scuola degli studenti e delle famiglie, di cui garantiscono l'esercizio dei diritti di riunione e di associazione.

2. 2. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 6, comma 1, secondo periodo, il regolamento di istituto di cui all'articolo 5, comma 1, lettera d), può stabilire altre forme di partecipazione dei genitori e degli studenti. Si applica anche ai genitori quanto previsto per gli studenti dall'articolo 2, commi 9 e 10, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 24 giugno 1998, n. 249.

Art. 7. (Partecipazione e diritti degli studenti e delle

famiglie). 1. Le istituzioni scolastiche, nell'ambito

dell'autonomia organizzativa e didattica riconosciuta dalla legge, valorizzano la partecipazione alle attività della scuola degli studenti e delle famiglie, di cui garantiscono l'esercizio dei diritti di riunione, di associazione e di rappresentanza.

Art. 10. (Nuclei di valutazione del funzionamento dell'istituto).

1. Ciascuna istituzione scolastica costituisce, anche in raccordo con i servizi di valutazione di competenza regionale, con il Servizio nazionale di valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione e con l'Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (INVALSI), previsti dal decreto legislativo 19 novembre 2004, n. 286, e successive modificazioni, un nucleo di valutazione dell'efficienza, dell'efficacia e della qualità complessive del servizio scolastico, composto da docenti esperti ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della presente legge e da non più di due membri esterni, secondo modalità definite con il regolamento di istituto di cui all'articolo 5, comma 1, lettera d), che ne prevede anche il compenso. Le valutazioni espresse annualmente sono assunte come parametro di riferimento per l'elaborazione del piano dell'offerta formativa e del programma annuale delle attività.

Art. 8. (Nuclei di autovalutazione del funzionamento

dell'istituto)

1. Ciascuna istituzione scolastica costituisce, in raccordo con l'Istituto nazionale per la

valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (INVALSI), di cui al decreto legislativo 19 novembre 2004, n. 286, e successive modificazioni, un nucleo di

autovalutazione dell'efficienza, dell'efficacia e della qualità complessive del servizio scolastico. Il regolamento interno

dell'istituzione disciplina il funzionamento del nucleo di autovalutazione, la cui composizione è determinata dallo statuto da un minimo di tre

fino a un massimo di sette componenti, assicurando in ogni caso la presenza di almeno un soggetto esterno, individuato dal consiglio

dell'autonomia sulla base di criteri di competenza, e almeno un rappresentante delle

famiglie. 2. Il Nucleo di autovalutazione, coinvolgendo gli operatori scolastici, gli studenti, le famiglie,

predispone un rapporto annuale di autovalutazione, anche sulla base dei criteri, degli indicatori nazionali e degli altri strumenti

di rilevazione forniti dall'INVALSI. Tale Rapporto è assunto come parametro di riferimento per l'elaborazione del piano

dell'offerta formativa e del programma annuale delle attività, nonché della valutazione esterna della scuola realizzata secondo le modalità che

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saranno previste dallo sviluppo del sistema nazionale di valutazione. Il rapporto viene reso

pubblico secondo modalità definite dal regolamento della scuola.

--------------------- Art. 9.

(Conferenza di rendicontazione). 1. Sulle materie devolute alla sua competenza

e, in particolare, sulle procedure e gli esiti dell'autovalutazione di istituto, il consiglio dell'autonomia, di cui all'articolo 1, promuove annualmente una conferenza di rendicontazione, aperta a tutte le componenti scolastiche ed ai rappresentanti degli enti locali e delle realtà sociali, economiche e culturali del territorio ed invia una relazione all'Ufficio scolastico regionale.

Art. 10. (Costituzione di Reti e Consorzi a sostegno

dell'autonomia scolastica).

1. Le istituzioni scolastiche autonome, nel rispetto dei requisiti, delle modalità e dei criteri fissati con regolamento adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, e di quanto indicato nel decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999 n. 275, articolo 7, possono promuovere o partecipare alla costituzione di reti, consorzi e associazioni di scuole autonome che si costituiscono per esercitare un migliore coordinamento delle stesse. Le Autonomie scolastiche possono altresì ricevere contributi da fondazioni finalizzati al sostegno economico della loro attività, per il raggiungimento degli obiettivi strategici indicati nel piano dell'offerta formativa e per l'innalzamento degli standard di competenza dei singoli studenti e della qualità complessiva dell'istituzione scolastica, ferme restando le competenze degli organi di cui all'articolo 11 della presente legge. 2. I partner previsti dal comma 1 possono essere soggetti pubblici e privati, fondazioni, associazioni di genitori o di cittadini, organizzazioni non profit. 3. A tutela della trasparenza e delle finalità indicate al comma 1, le istituzioni scolastiche devono definire annualmente, nell'ambito della propria autonomia, gli obbiettivi di intervento e i capitoli di spesa relativi alle azioni educative cofinanziate attraverso il contributo economico ricevuto dai soggetti pubblici e privati, fondazioni, associazioni e organizzazioni non profit di cui al precedente comma. Contributi superiori a 5000 euro potranno provenire soltanto da enti che per legge o per statuto hanno l'obbligo di rendere pubblico il proprio bilancio.

Capo II AUTONOMIA FINANZIARIA DELLE ISTITUZIONI

SCOLASTICHE E LIBERTÀ DI SCELTA EDUCATIVA DELLE FAMIGLIE Art. 11.

(Decentralizzazione).

1. Con decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, sulla base di accordi da concludere in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, sono individuati modalità e tempi per il trasferimento dei beni e delle risorse finanziarie, umane e

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strumentali necessari per l'esercizio delle funzioni e dei compiti conferiti alle regioni e agli enti locali nell'ambito del sistema educativo di istruzione e di formazione, ai sensi di quanto previsto dagli articoli 117 e 118 della Costituzione. Ai predetti trasferimenti si applicano le disposizioni dell'articolo 7, commi 3 e 4, della legge 5 giugno 2003, n. 131. Per le regioni a statuto speciale e per le province autonome di Trento e di Bolzano il trasferimento è disposto, se le relative funzioni non sono già state attribuite, con le modalità previste dai rispettivi statuti. 2. All'atto del trasferimento disposto ai sensi del comma 1, ogni singola regione e provincia autonoma attribuisce le risorse finanziarie pubbliche disponibili alle istituzioni scolastiche accreditate, sulla base del criterio principale della «quota capitaria», individuata in base al numero effettivo degli alunni iscritti a ogni istituzione scolastica, tenendo conto del costo medio per alunno, calcolato in relazione al contesto territoriale, alla tipologia dell'istituto, alle caratteristiche qualitative delle proposte formative, all'esigenza di garantire stabilità nel tempo ai servizi di istruzione e di formazione offerti, nonché a criteri di equità e di eccellenza.

Capo II.

RAPPRESENTANZA ISTITUZIONALE DELLE SCUOLE AUTONOME

Art. 11. (Consiglio delle autonomie scolastiche)

1. Con proprio regolamento adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sentite le Commissioni parlamentari, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca provvede ad istituire il Consiglio Nazionale delle Autonomie Scolastiche, composto da rappresentanti eletti rispettivamente dai dirigenti, dai docenti e dai presidenti dei consigli delle istituzioni scolastiche autonome, e ne fissa le modalità di costituzione e di funzionamento. Il Consiglio è presieduto dal Ministro o da un suo delegato e vede la partecipazione anche di rappresentanti della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, delle Associazioni delle Province e dei Comuni e del Presidente dell'INVALSI. 2. Il Consiglio Nazionale delle Autonomie Scolastiche è un organo di partecipazione e di corresponsabilità tra Stato, Regioni, Enti Locali ed Autonomie Scolastiche nel governo del sistema nazionale di istruzione. È altresì organo di tutela della libertà di insegnamento, della qualità della scuola italiana e di garanzia della piena attuazione dell'autonomia delle istituzioni scolastiche. In questa funzione esprime l'autonomia dell'intero sistema formativo a tutti i suoi livelli. 3. Le regioni, in attuazione degli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione ed in relazione a quanto indicato nell'articolo 1 della presente legge, definiscono strumenti, modalità ed ambiti territoriali delle relazioni con le autonomie scolastiche e per la loro rappresentanza in quanto soggetti imprescindibili nell'organizzazione e nella gestione dell'offerta formativa regionale, in integrazione con i servizi educativi per l'infanzia, la formazione professionale e permanente, in costante confronto con le politiche scolastiche nazionali e prevedendo ogni possibile collegamento con gli altri sistemi scolastici regionali. 4. Le Regioni istituiscono la Conferenza regionale del sistema educativo, scolastico e formativo, ne stabiliscono la composizione e la durata. La Conferenza esprime parere sugli atti regionali d'indirizzo e di programmazione in materia di:

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a) autonomia delle istituzioni scolastiche e formative; b) attuazione delle innovazioni ordinamentali; c) piano regionale per il sistema educativo e distribuzione dell'offerta formativa, anche in relazione a percorsi d'integrazione tra istruzione e formazione professionale; d) educazione permanente; e) criteri per la definizione degli organici delle istituzioni scolastiche e formative regionali. f) piani di organizzazione della rete scolastica, istituzione, aggregazione, fusione soppressione di istituzioni scolastiche. 5. La conferenza svolge attività consultiva e di supporto nelle materie di competenza delle regioni, o su richiesta di queste, esprimendo pareri sui disegni di legge attinenti il sistema regionale. 6. Le Regioni istituiscono Conferenze di ambito territoriale che sono il luogo del coordinamento tra le istituzioni scolastiche, gli Enti locali, i rappresentanti del mondo della cultura, del lavoro e dell'impresa di un determinato territorio. 7. Le Regioni, d'intesa con gli Enti Locali e le autonomie scolastiche definiscono gli ambiti territoriali e stabiliscono la composizione delle Conferenze e la loro durata. Alle Conferenze partecipano i Comuni, singoli o associati, l'amministrazione scolastica regionale, le Università, le istituzioni scolastiche, singole o in rete, rappresentanti delle realtà professionali, culturali e dell'impresa. 8. Le Conferenze esprimono pareri sui piani di organizzazione della rete scolastica, esprimono, altresí, proposte e pareri sulla programmazione dell'offerta formativa, sugli accordi a livello territoriale, sulle reti di scuole e sui consorzi, sulla continuità tra i vari cicli dell'istruzione, sull'integrazione degli alunni diversamente abili, sull'adempimento dell'obbligo di istruzione e formazione.

Art. 12. (Abrogazioni).

1. Le disposizioni di cui agli articoli 5, da 7 a 10, 44, 46 e 47 del decreto legislativo del 16 aprile 1994, n. 297, e successive modificazioni, cessano di avere efficacia in ogni istituzione scolastica a decorrere dalla data di costituzione degli organi di cui all'articolo 2 della presente legge. Resta in ogni caso in vigore il comma 1-bis dell'articolo 5 del citato decreto legislativo n. 297 del 1994. 2. Le disposizioni di cui agli articoli da 16 a 22 del decreto legislativo del 16 aprile 1994, n. 297, e successive modificazioni, cessano di avere efficacia in ogni regione a decorrere dalla data di costituzione degli organi di cui all'articolo 11, commi da 3 a 6 della presente legge. 3. Le disposizioni di cui agli articoli da 12 a 15 e da 30 a 43 del citato decreto legislativo n. 297 del 1994, e successive modificazioni, cessano di avere efficacia in ogni istituzione scolastica a decorrere dalla data di entrata in vigore dello statuto di cui all'articolo 1, comma 4, della presente legge. 4. Gli articoli da 23 a 25 del citato decreto legislativo n. 297 del 1994, e successive modificazioni, sono abrogati a decorrere dalla data di insediamento del Consiglio nazionale delle autonomie scolastiche, di cui all'articolo 11 della presente legge.

Art. 13. (Norma transitoria).

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1. Fino alla completa attuazione del Titolo V della Costituzione l'Ufficio scolastico regionale esercita i compiti di organo competente di cui all'articolo 3,

commi 5 e 6.

Art. 14. (Clausola di neutralità finanziaria).

1. Le amministrazioni competenti provvedono all'attuazione della presente legge nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

Capo III STATO GIURIDICO, MODALITÀ DI FORMAZIONE

INIZIALE E RECLUTAMENTO DEI DOCENTI Art. 12. (Finalità).

1. La Repubblica riconosce e valorizza la professione dell'insegnante, ne assicura la libertà e ne garantisce la qualità, attraverso una formazione specifica iniziale e continua, un efficace sistema di reclutamento e uno sviluppo di carriera e retributivo per merito. 2. Ai fini di cui ai commi 3 e 4, la Repubblica promuove, riconosce e valorizza le libere associazioni professionali dei docenti, nelle quali essi possono sviluppare la propria dimensione professionale. 3. La funzione docente è rivolta prioritariamente a educare i giovani all'autonomia personale e alla responsabilità, nonché a perseguire, per ogni allievo, idonei e certificati livelli di competenza culturale, tecnica, scientifica e professionale, nel rispetto delle differenze individuali e delle singole personalità. L'assolvimento di tali compiti, in collaborazione con la famiglia di ciascun allievo, e i relativi risultati educativi costituiscono l'oggetto della specifica responsabilità professionale del docente. 4. Sono assicurate ai docenti la libertà di insegnamento e l'autonomia professionale, quali strumenti per l'attuazione del pluralismo e per perseguire la qualità e l'efficacia della prestazione professionale del servizio di istruzione e di formazione. In particolare, è assicurata a ogni docente la libertà di scelta dei contenuti e delle metodologie didattici, nel rispetto degli obiettivi generali del processo formativo e del piano dell'offerta formativa elaborato dal collegio dei docenti.

Art. 13. (Percorsi di formazione iniziale dei docenti).

1. I percorsi di formazione iniziale dei docenti del sistema educativo di istruzione nazionale sono svolti nei corsi di laurea magistrale e nei corsi accademici di secondo livello, finalizzati all'acquisizione delle competenze disciplinari, pedagogiche, didattiche, organizzative, relazionali e comunicative, nonché di riflessione sulle pratiche didattiche, che caratterizzano il profilo formativo e professionale del docente. 2. Con uno o più decreti emanati ai sensi dell'articolo 17, comma 95, della legge 15 maggio 1997, n. 127, e successive modificazioni, sono individuati, anche in deroga alle disposizioni dell'articolo 6, comma 2, e dell'articolo 10, comma 2, del regolamento di cui al decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca 22 ottobre 2004, n. 270:

a) le classi dei corsi di laurea magistrale, istituiti e attivati anche con le modalità di cui al comma 5, finalizzati anche alla formazione di cui al comma 1;

b) il profilo formativo e professionale del docente;

c) le correlate attività didattiche, comprensive di laboratori e attività di tirocinio, del corso di laurea o di diploma universitario, anche con funzione di verifica delle attitudini relazionali, comunicative e organizzative proprie

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della funzione docente. Il tirocinio si conclude con una valutazione che tiene conto del giudizio formulato dal docente dell'istituzione scolastica presso cui si è svolto il tirocinio stesso;

d) i relativi ambiti disciplinari;

e) i relativi crediti distinti per i settori scientifico-disciplinari in misura pari all'80 per cento dei complessivi centoventi crediti formativi universitari prescritti, di cui non più del 25 per cento dell'area pedagogico-professionale per i corsi finalizzati all'insegnamento nelle scuole dell'istruzione secondaria di primo grado e del secondo ciclo, in modo da garantire, al termine del percorso formativo, l'acquisizione del profilo formativo e professionale del docente, con attenzione alle specifiche conoscenze, abilità e competenze coerenti con il servizio di insegnamento previsto per le singole classi di abilitazione.

3. Per la formazione degli insegnanti della scuola secondaria di primo grado e del secondo ciclo le classi dei corsi di cui al comma 2, lettera a), sono individuate con riferimento all'insegnamento delle discipline impartite in tali gradi di istruzione e con preminenti finalità di approfondimento disciplinare. I decreti di cui al comma 2, lettera c), disciplinano, altresì, le attività didattiche concernenti l'integrazione scolastica degli alunni in condizione di handicap e prevedono che la formazione iniziale dei docenti possa essere svolta anche mediante la frequenza di stage all'estero. 4. I corsi di laurea magistrale e i corsi accademici di secondo livello, di cui al comma 1, sono istituiti dalle università e dalle istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica, sulla base dei criteri e delle procedure e nell'osservanza dei requisiti minimi strutturali stabiliti con appositi decreti del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. 5. I corsi di laurea magistrale possono essere istituiti, in conformità a quanto previsto dal comma 2, lettera a), con il concorso di una o più facoltà dello stesso ateneo o di più atenei, a seguito di specifiche convenzioni stipulate dai rettori interessati, su proposta delle rispettive facoltà. Le convenzioni definiscono l'apporto delle rispettive università, in termini di docenza, di strutture didattiche e scientifiche, di laboratori e di risorse finanziarie per il funzionamento dei corsi, anche prevedendo appositi organi consiliari composti da rappresentanti delle competenti strutture accademiche degli atenei. 6. Le classi di abilitazione per l'insegnamento delle discipline impartite nella scuola secondaria di primo grado e nel secondo ciclo sono individuate con uno o più decreti del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. 7. Per lo svolgimento dei compiti di supervisione del tirocinio e di coordinamento del medesimo con altre attività didattiche, svolti esclusivamente nell'ambito dei corsi di laurea magistrale di cui al presente articolo, resta fermo quanto previsto dall'articolo 1, commi 4 e 5, della legge 3 agosto 1998, n. 315.

Art. 14. (Albo regionale).

1. Coloro che hanno conseguito la laurea magistrale o il diploma accademico di secondo livello e l'abilitazione all'insegnamento, ai sensi dell'articolo 13, sono iscritti, sulla base del voto conseguito nell'esame di Stato

abilitante, in un apposito albo regionale, istituito presso l'ufficio scolastico regionale, tenuto dagli organismi tecnici rappresentativi regionali di cui all'articolo 21, comma 3, e distinto per la scuola dell'infanzia, per la scuola primaria e per la scuola secondaria di primo e di secondo grado, per ciascuna classe di abilitazione.

Art. 15.

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(Contratto di inserimento formativo al lavoro). 1. Coloro che hanno conseguito l'abilitazione, ai sensi dell'articolo 13, svolgono un anno di applicazione, attraverso un apposito contratto di inserimento formativo al lavoro. L'ufficio scolastico regionale competente, tenendo conto delle esigenze e delle richieste espresse dalle istituzioni scolastiche, provvede all'assegnazione dei docenti alle medesime istituzioni ai fini della stipulazione, da parte dei rispettivi dirigenti scolastici, del contratto di inserimento formativo al lavoro, cui si applicano, per quanto non diversamente disposto, le norme vigenti in materia di rapporto di lavoro a tempo determinato nel comparto scuola. 2. I docenti svolgono l'anno di applicazione, che prevede l'assunzione di responsabilità di insegnamento, sotto la supervisione di un tutor designato dal collegio dei docenti. In sede contrattuale si provvede alla determinazione di uno specifico compenso per lo svolgimento della funzione di tutor. 3. Nell'anno di applicazione, il docente è tenuto a svolgere, oltre al normale orario di servizio, attività formative connesse all'esperienza didattica in corso di svolgimento, coordinate dall'università, sulla base delle indicazioni del tutor. 4. Concluso l'anno di applicazione, il docente discute dinanzi alla commissione di valutazione di cui all'articolo 17, comma 4, una relazione sulle esperienze e sulle attività svolte nel medesimo anno e adeguatamente documentate. La discussione si conclude con la formulazione di un giudizio e con l'attribuzione di un punteggio, tenuto anche conto degli elementi di valutazione forniti dal tutor. In caso di giudizio negativo della commissione l'anno di applicazione può essere ripetuto una sola volta. 5. Per quanto non previsto dal presente articolo, ai docenti che svolgono l'anno di applicazione nelle istituzioni scolastiche si applica la disciplina in vigore definita in sede di contrattazione collettiva di comparto del personale della scuola.

Art. 16. (Concorso d'istituto).

1. A decorrere dall'anno scolastico successivo a quello di conclusione dei corsi previsti dall'articolo 13, il possesso dell'abilitazione all'insegnamento, attestato dall'iscrizione nell'albo regionale di cui all'articolo 14, costituisce, unitamente alla valutazione positiva dell'anno di applicazione svolto ai sensi dell'articolo 15, requisito esclusivo per l'ammissione ai concorsi per docenti, che sono banditi dalle istituzioni scolastiche statali con cadenza almeno triennale, secondo le esigenze della programmazione e al fine di effettuare la copertura dei posti disponibili e vacanti accertati dagli uffici scolastici provinciali e regionali.

Art. 17. (Articolazione della professione docente).

1. La professione docente è articolata nei tre distinti livelli di docente iniziale, docente ordinario e docente esperto, cui corrisponde un distinto riconoscimento giuridico ed economico della professionalità maturata. L'articolazione in livelli non implica sovraordinazione gerarchica. 2. Ai docenti esperti sono attribuite responsabilità anche in relazione ad attività di formazione iniziale e di aggiornamento permanente degli altri docenti, di coordinamento di dipartimenti o gruppi di progetto, di valutazione interna ed esterna e di collaborazione con il dirigente dell'istituzione scolastica. Per lo svolgimento di funzioni complesse nell'ambito dell'istituzione scolastica, possono essere conferiti incarichi ulteriori rispetto all'insegnamento, esclusivamente a docenti ordinari o esperti, remunerati con specifiche retribuzioni aggiuntive rispetto allo stipendio maturato, nell'ambito delle risorse iscritte in un apposito fondo di istituto.

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3. All'interno di ciascun livello professionale di cui al comma 1 è disposta la progressione economica automatica per anzianità, secondo aumenti a cadenza biennale, da quantificare in sede di contrattazione collettiva. Fermo restando quanto disposto dall'articolo 22, la contrattazione collettiva definisce altresì il trattamento economico differenziato da attribuire a ciascuno dei livelli di cui al citato comma 1. 4. L'attività del personale appartenente ai livelli di docente iniziale e di docente ordinario è soggetta a una valutazione periodica, effettuata da un'apposita commissione di valutazione, in ordine a:

a) l'efficacia dell'azione didattica e formativa;

b) l'impegno professionale nella progettazione e nell'attuazione del piano dell'offerta formativa;

c) il contributo fornito all'attività complessiva dell'istituzione scolastica o formativa;

d) i titoli professionali acquisiti in servizio.

5. La valutazione di cui al comma 4 non comporta effetti sanzionatori, salvo il caso di giudizio gravemente negativo e adeguatamente documentato in ordine a quanto previsto dalle lettere a) e b) del medesimo comma, che dà luogo alla sospensione temporanea della progressione economica automatica per anzianità del docente. Le valutazioni periodiche costituiscono credito professionale documentato utilizzabile ai fini della progressione di carriera e sono riportate nel portfolio personale del docente. 6. La commissione di valutazione di cui al comma 4 è presieduta dal dirigente dell'istituzione scolastica o formativa, è composta da tre docenti esperti, eletti all'interno della medesima istituzione scolastica o formativa, e da un rappresentante designato a livello regionale dall'organismo tecnico rappresentativo di cui all'articolo 20. La commissione è rinnovata, di norma, ogni cinque anni. 7. L'avanzamento dal livello di docente iniziale a quello di docente ordinario avviene, a domanda, a seguito di selezione per soli titoli effettuata da apposite commissioni, tenendo conto dell'attività di valutazione effettuata dalla commissione di cui al comma 4, dei crediti formativi posseduti e dei titoli professionali certificati. 8. L'avanzamento dal livello di docente ordinario a quello di docente esperto avviene, a domanda, mediante formazione e concorso volto a verificare il possesso dei requisiti culturali e professionali dell'aspirante ed espletato a livello di reti di scuole. 9. Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, con proprio decreto adottato di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, determina annualmente il contingente massimo di personale docente per ciascuno dei livelli di docente ordinario e di docente esperto. Il medesimo decreto stabilisce le modalità per il coordinamento delle procedure selettive espletate dalle singole istituzioni scolastiche, cui possono comunque partecipare sia i docenti interni, sia quelli provenienti da altre istituzioni scolastiche. 10. In attuazione dell'articolo 117, sesto comma, della Costituzione, con proprio regolamento adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sentite le Commissioni parlamentari, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca provvede a stabilire le modalità di composizione delle commissioni per l'avanzamento di livello previste al comma 7 del presente articolo, le procedure di valutazione e i tempi per il loro espletamento nonché le eventuali competenze

amministrative delegate alle medesime commissioni. Le

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disposizioni del regolamento adottato ai sensi del presente comma relative alle istituzioni formative sono definite previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.

Art. 18. (Vicedirigenza delle istituzioni scolastiche).

1. È istituita la vicedirigenza delle istituzioni scolastiche. 2. Il vicedirigente svolge attività di collaborazione diretta con il dirigente dell'istituzione scolastica, secondo le indicazioni di quest'ultimo, ed è tenuto al pieno rispetto dell'indirizzo organizzativo dell'istituzione stessa. In caso di assenza o di impedimento del dirigente, il vicedirigente lo sostituisce a tutti gli effetti. Non possono essere delegati al vicedirigente atti di gestione di natura discrezionale e atti conclusivi di procedimenti amministrativi. Il vicedirigente è sovraordinato gerarchicamente ai docenti per le funzioni delegate e nel caso di sostituzione del dirigente. 3. Alla qualifica di vicedirigente si accede mediante procedure concorsuali per titoli ed esami, indette con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, a livello regionale e con cadenza periodica, cui sono ammessi i docenti esperti in possesso di laurea e al cui esito sono costituite graduatorie di idoneità permanenti di livello provinciale per ogni ordine e grado di istituzioni scolastiche. 4. Il vicedirigente può essere esonerato dal servizio scolastico.

Art. 19. (Associazionismo professionale).

1. L'associazionismo professionale costituisce libera espressione della professionalità docente e può svolgersi anche all'interno delle istituzioni scolastiche e formative, che ne favoriscono la presenza e l'attività e ne tutelano la possibilità di comunicazione anche attraverso appositi spazi. 2. A livello nazionale, regionale e delle singole istituzioni scolastiche e formative, le associazioni professionali accreditate ai sensi della normativa vigente in materia sono consultate in merito alla didattica e alla formazione iniziale e permanente dei docenti e valorizzate nelle loro funzioni propositive.

Art. 20. (Organismi tecnici rappresentativi).

1. Al fine di garantire l'autonomia professionale, la responsabilità e la partecipazione dei docenti delle istituzioni scolastiche e formative alle decisioni sul sistema educativo di istruzione e di formazione sono istituiti organismi tecnici rappresentativi della funzione docente, articolati in un organismo nazionale e in organismi regionali. 2. Gli organismi di cui al comma 1 hanno autonomia organizzativa e finanziaria e sono composti in modo da assicurare una adeguata rappresentanza elettiva dei docenti interessati. Una parte minoritaria dei loro componenti è designata dalle associazioni professionali di cui all'articolo 19, comma 2, e dalle università.

Art. 21. (Funzioni degli organismi tecnici rappresentativi).

1. L'organismo tecnico rappresentativo nazionale istituito ai sensi dell'articolo 20, comma 1:

a) provvede alla raccolta dei dati contenuti negli albi regionali di cui all'articolo 14;

b) formula proposte sui criteri da seguire per la formazione iniziale, per l'abilitazione nonché per l'individuazione degli standard professionali dei docenti;

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c) redige e aggiorna il codice deontologico;

d) esercita potestà disciplinari sugli iscritti negli albi regionali di cui alla lettera a).

2. L'organismo di cui al comma 1 formula inoltre proposte e pareri obbligatori in merito alla determinazione degli obiettivi, dei criteri di valutazione e dei mezzi per il conseguimento degli obiettivi generali del sistema nazionale di istruzione e di formazione, nonché alle tecniche e alle procedure di reclutamento dei docenti. 3. Gli organismi tecnici rappresentativi regionali provvedono alla tenuta degli albi regionali di cui all'articolo 14 e alla formulazione di pareri e di proposte in materie attribuite all'organismo tecnico rappresentativo nazionale per quanto riguarda l'ambito di rispettiva competenza. 4. Nell'ambito di ogni organismo di cui al comma 3 sono istituite distinte commissioni disciplinari per la scuola dell'infanzia, per la scuola primaria, per la scuola secondaria di primo grado, per la scuola secondaria di secondo grado e per l'istruzione e la formazione professionale.

Art. 22. (Contrattazione, area contrattuale autonoma e

rappresentanza regionale sindacale unitaria d'area).

1. Al fine di garantire l'autonomia della professione docente e la libertà di insegnamento, è istituita l'area contrattuale della professione docente come articolazione autonoma del comparto scuola. Le materie riservate alla contrattazione nazionale e integrativa regionale e di istituto sono individuate secondo criteri di essenzialità e di compatibilità con i princìpi fissati dalla presente legge. 2. In relazione a quanto disposto dal comma 1, è istituita la rappresentanza regionale sindacale unitaria d'area, composta esclusivamente da rappresentanti sindacali dell'area dei docenti. Ad essa si applicano le disposizioni di cui all'articolo 43, commi 3 e seguenti, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nonché all'accordo collettivo quadro 7 agosto 1998, pubblicato nel supplemento ordinario n.150 alla Gazzetta Ufficiale n. 207 del 5 settembre 1998, concernente la costituzione delle rappresentanze sindacali unitarie per il personale dei comparti delle pubbliche amministrazioni e la definizione del relativo regolamento elettorale. Conseguentemente è soppressa la rappresentanza sindacale unitaria dell'istituzione scolastica.

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03. Varo PDL su Autogoverno delle istituzioni scolastiche statali- Commento di G. Bachelet (25-3-2012) Il varo della proposta di legge sull'autogoverno e la rappresentanza delle scuole autonome è un grande passo avanti per la scuola italiana. Alla sua definizione il PD ha dato un contributo determinante con le proprie idee di scuola autonoma, di comunità educante in dialogo con le autonomie territoriali, nella scia delle riforme di Berlinguer e del titolo V della Costituzione. La scuola italiana attendeva da tempo una riforma alla quale il Forum Nazionale Istruzione del PD ha dedicato il proprio secondo seminario nazionale nel gennaio 2011: la partecipazione e l'autogoverno risultavano sempre meno efficaci, sia perché non piú adeguati ai tempi, sia perché diverse leggi avevano nel frattempo vanificato la funzione degli organi di partecipazione e di autogoverno senza che mai intervenisse un riordino efficace, capace di riportare coerenza fra questi organi e il nuovo principio dell'autonomia scolastica. Le proposte di legge presentate in materia dalle diverse forze politiche erano state abbinate alla discussione della "legge Aprea" a inizio legislatura, ma circa un anno dopo, nel luglio 2009, la discussione presso la VII commissione della Camera si era arenata. Il PD aveva fin dall'inizio chiarito che non era disponibile ad alcuna discussione sulla trasformazione delle scuole in fondazioni, sul reclutamento dei docenti per chiamata diretta e

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piú in generale su una visione aziendale della scuola, centrata sul dirigente scolastico, che scippava ai docenti la libertà di insegnamento e cancellava, anziché rilanciare, la dimensione collegiale dell'offerta didattica e della valutazione (collegio docenti e consiglio di classe, per intenderci) e la partecipazione degli alunni e delle famiglie, ma non era per questo che la legge si era arenata. L'avevano messa su un binario morto le strampalate richieste della Lega Nord sull'insegnamento dei dialetti locali (NB questo gruppo di proposte di legge non riguardavano in nessun modo il curriculum) ma soprattutto l'atteggiamento fra disinteressato e ostile del ministro Gelmini, la cui politica centralistica era incompatibile con qualsiasi potenziamento dell'autonomia scolastica. Non è quindi un caso che la discussione sia ripresa solo a gennaio, dopo che la Gelmini se n'era andata, e non è un caso che, nel nuovo clima, tutte le condizioni poste dal PD siano alla fine entrate nella legge ieri licenziata dalla VII Commissione della Camera. Rispetto ai testi discussi fra 2008 e 2009, ma anche rispetto al nuovo testo proposto dalla Aprea lo scorso gennaio, quello licenziato ieri (che trovate in questa stessa pagina) testimonia il ruolo chiave che il PD ha avuto in questa discussione e il lavoro straordinario del comitato ristretto della VII commissione negli ultimi due mesi. Scomparse le fondazioni e la chiamata diretta (nella sua versione finale la legge non si occupa proprio di reclutamento), restituita la responsabilità di formulare l'offerta formativa all'esclusiva responsabilità del collegio docenti, la nuova autonomia statutaria fornisce strumenti di partecipazione e coinvolgimento del territorio coerenti con la visione di una comunità educante, di una scuola sempre piú aperta, punto di riferimento per i bambini e i ragazzi ma anche per l'educazione permanente. Pone anche, con il nucleo di autovalutazione e l'obbligo di rendicontazione pubblica annuale, premesse importanti per l'avvio di una autonomia responsabile. Promuove, con la riforma della rappresentanza istituzionale delle scuole autonome, un rilancio della partecipazione a tutti i livelli. Insomma realizza molte idee che docenti, dirigenti, studenti e famiglie che si riconoscono nel PD hanno elaborato e proposto insieme a noi in questi anni. Certo dopo uno stop pluriennale dovuto alla Gelmini alla quale dell'autonomia scolastica in generale e di questa legge in particolare non importava nulla, quasi tutto il lavoro di revisione, una revisione molto profonda e combattuta, è stato fatto nel giro di poche settimane. Il passaggio del testo alle altre commissioni della Camera per il loro parere e soprattutto il passaggio al Senato potranno consentire di rivedere e correggere quel che ancora non va bene. Certo, come per la (benefica) riforma governativa che da poco ha introdotto l'organico dell'autonomia scolastica (quello che noi avevamo da anni propugnato chiamandolo organico funzionale), l'autonomia statutaria non potrà sviluppare le proprie grandi potenzialità se il governo pro tempore non finanzierà adeguatamente, rendendole indipendenti dal Miur, adeguate strutture di valutazione del sistema scolastico, e soprattutto se continuerà a non fornire adeguate risorse alle scuole autonome, e soprattutto se, mentre autorevoli voci raccomandano un ringiovanimento del corpo docente piú anziano di Europa, continuerà ad allungare l'età pensionabile dei docenti e a non fare i concorsi che pure ha promesso. Queste, però, sono le nostre battaglie di domani. Quella di ieri l'abbiamo vinta.

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04. La Legge Aprea e i cavalli di Frankenstein Jr. - di Marco Campione – responsabile scuola PD Lombardia (26–3-2012)

Giovedì la VII commissione ha approvato con il voto favorevole di PD, UDC e PDL una legge per iniziare a mettere ordine nella governance delle Autonomie Scolastiche e introdurre importanti novità sul tema della loro rappresentanza. Fin qui sarebbe ordinaria cronaca parlamentare, ma così non è. Infatti i tratta di un testo che parte dalla proposta di legge dell’On. Aprea. E se penso al forte valore simbolico che ha avuto in questi anni l’avversione del mondo della scuola più politicizzato e sindacalizzato a quel progetto di legge, sorprende come sia passato in Commissione senza che per ora nessuno abbia fatto nemmeno un plissé.

Va detto che è stata approvata una versione molto ridotta dell’iniziativa del Presidente della VII Commissione, ma – chiamata diretta del personale docente a parte – sono rimaste (seppure assai migliorate nel merito) tutte le parti sulle quali l’oppposizione “di piazza” aveva concentrato i propri strali, quelle sulla governance. Lo slogan dei duri e puri è stato in questi

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anni “no alla privatizzazione strisciante” per alcune norme – quelle sulle Fondazioni e quelle sul “consiglio d’Amministrazione” (sic) – nella loro prima stesura effettivamente troppo ideologiche. Ma quelle parti erano già state edulcorate nel 2009 senza ottenere alcun arretramento da parte degli oppositori dei movimenti più attivi (i precari organizzati, i sindacati, Rete Scuole…).

Oggi invece il provvedimento è passato con una larghissima maggioranza. E dire che solo il giorno prima dell’approvazione sul sito del PD era comparsa questa dichiarazione di Francesca Puglisi, responsabile nazionale scuola del partito.

L’on. Aprea, nelle sue ultime ore da parlamentare, confonde le sue fantasie con la realtà. La sua proposta di legge è solo una proposta, che non diventerà mai legge. Il Partito Democratico non accetterà mai un disegno di privatizzazione della scuola pubblica. Se non lo ha ancora capito, lo capirà nei prossimi giorni.

Come spiegare questa apparente schizofrenia? In teoria con le parole dell’On. Ghizzoni, Capogruppo PD in Commissione: “le cose che non ci convincevano sono state eliminate dal testo. Restano l’autonomia statutaria, ma sono fuori le Fondazioni”. Solo in teoria, però. Perché alla possibilità per le scuole di trasformarsi in Fondazioni l’On. Aprea aveva rinunciato da tempo e nella versione di quella legge che stava per essere approvata un paio d’anni fa si parlava solo della possibilità di “promuovere o partecipare a Fondazioni o Consorzi”. Allora tutto fu bloccato da un gioco di sponda tra il Ministro Gelmini e la Lega per impedire all’On. Aprea (in quel periodo i rapporti con la titolare di Viale Trastevere erano – diciamo – non idilliaci) di intestarsi una riforma organica del sistema (oltre alla governance, prevedeva norme per le assunzioni – la cosiddetta chiamata diretta – e la carriera dei docenti).

Dunque come si spiegano le dichiarazioni di Francesca Puglisi? Solo con un mero gioco delle parti per giustificare il voto favorevole di fronte a quella parte del proprio elettorato – minoritaria, ne sono certo – che reagisce al suono “Valentina Aprea” come i cavalli di Frankenstein Jr. a sentir nominare “Frau Blücher“? Io non voglio e non posso credere che sia questo, non sarebbe un comportamento da partito di governo. E anche se così fosse per qualcuno, i calcoli sarebbero sbagliati perché quel tipo di elettorato non accetta un confronto sul merito e a loro parla con molta più facilità una forza come l’IdV, che non a caso ha già iniziato a sparare ad alzo zero sulla legge e sul PD con l’On. Zazzera.

Non bastasse la propaganda altrui, c’è il merito delle proteste a rendere vano qualsiasi tentativo di lisciare il pelo agli oppositori di professione. L’attacco alla parte sulla cosiddetta “privatizzazione” di quella legge non riguardava tanto il capitolo delle Fondazioni (la cui costituzione era facoltativa), ma soprattutto la composizione dell’organo che avrebbe sostituito il Consiglio di Istituto. Scrivevano i detrattori:

Una scuola che si “governa” tramite un consiglio di amministrazione, diretto e gestito con poteri assolutistici dal dirigente scolastico e formato da 11 persone tra rappresentanti di docenti, genitori, studenti (nelle superiori con voto consultivo), degli enti locali, delle realtà culturali, produttive (che condizionerebbero la vita della scuola secondo i propri interessi, soprattutto se sono tra i finanziatori) e nessuna rappresentanza del personale ATA.

E nella versione approvata cosa cambia? Certamente è cambiato (in meglio) il nome dell’organismo di gestione, che diventa Consiglio dell’Autonomia, ma non credo che l’opposizione dei più fosse solo nominalistica su questo punto. Per quel che riguarda la composizione, però, essa non è cambiata moltissimo: presiede ovviamente il Dirigente Scolastico e possono farne parte, oltre agli enti locali, i rappresentanti delle “realtà culturali, sociali, produttive, professionali e dei servizi”; inoltre è ancora esclusa la rappresentanza del personale ATA e ovviamente restano docenti, genitori e studenti (unica novità di rilievo il fatto che è esplicitato come le prime due componenti debbano essere paritetiche).

Ma che ne è stato della pietra dello scanalo, le Fondazioni? Qui la cosa si fa interessante. Al Consiglio dell’Autonomia sono invitati senza diritto di voto “i rappresentanti dei soggetti di cui all’art. 10″; e cosa prevede l’articolo? tra le altre cose che le scuole “possono altresì ricevere contributi da Fondazioni finalizzati al sostegno economico della loro attività, per il

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raggiungimento degli obiettivi strategici indicati nel piano dell’offerta formativa”. Dunque le scuole non possono più partecipare a Fondazioni (e quindi influenzarne la governance), ma possono ricevere sostegno economico da esse e in quel caso invitare un rappresentante delle stesse ai lavori del Consiglio. Giudichi il lettore quale soluzione fosse migliore per l’autonomia delle singole scuole.

Oltre alle norme che riguardano la governance vi è infine l’art. 11, che tocca il tema delicato e cruciale della rappresentanza delle scuole autonome, istituendo il Consiglio Nazionale delle Autonomie Scolastiche e impegnando le Regioni a procedere con l’istituzione di organismi di rappresentanza a livello regionale e di ambito territoriale. Organismi che avranno parere consultivo su numerose questioni di fondamentale importanza. Un articolo molto importante, dunque, e dal quale potranno germogliare alberi da frutto molto nutrienti per un’autonomia scolastica oggi in forte difficoltà.

Per altre considerazioni, rimando al commento di Giovanni Bachelet e al comunicato stampa unitario diramato giovedì da Aprea e dai capigruppo Barbieri (Pdl), Ghizzoni (Pd) e Santolini (Udc). Tengo a sottolineare come dalle cose scritte da Giovanni mi differenzia in parte, è vero, il giudizio sul passato e sul presente, ma mi accomuna quello più importante sul futuro e sulle battaglie che ci aspettano, in particolare per la valutazione e per il ringiovanimento della classe docente.

In definitiva la Commissione ha approvato una norma sulla governance e la rappresentanza di cui c’era bisogno da molto tempo, e di questo non possiamo che rallegrarcene. Si è recuperato molto del tempo perduto, grazie – va sottolineato – ad un sano spirito di collaborazione tra le parti, al quale chi ha a cuore il bene della scuola non può che applaudire. È inoltre l’ulteriore dimostrazione che con il dialogo le leggi tendenzialmente migliorano e che dagli scontri ideologici ci perdono tutti, ma soprattutto ci perde il Paese.

Nessun rammarico? Uno certamente, ovvero constatare che dopo aver rinunciato (su richiesta dell’allora Ministro Gelmini) a legiferare sulle procedure di assunzione, oggi il Parlamento rinuncia (per questa legislatura definitivamente) anche ad introdurre qualsivoglia forma di carriera per i docenti. Già che c’era tutta questa volontà di trovare una posizione comune, potevano anche fare uno sforzo aggiuntivo. E poi c’è da chiedersi: se il PD fosse stato altrettanto collaborativo fin dall’inizio, cosa sarebbe potuto accadere? Lo stesso dicasi per la compagine di governo: non è lo stesso, lo comprendo, discutere di queste faccende alla presenza del Sottosegretario Pizza o del Sottosegretario Rossi-Doria. Già solo il suono è diverso. E figuratevi il resto.

Con altre condizioni, con altri atteggiamenti da parte di tutti, forse oggi avremmo una legge migliore. Ma avendo scelto di fare politica tenendo sempre come punto di vista il merito delle questioni ho imparato che bisogna sapersi accontentare. E dunque accontentiamoci e guardiamo al futuro con rinnovata fiducia: i cavalli del castello di Frankenstein Jr. almeno per questa volta sono stati sconfitti.

************** 05. Un lavoro di analisi e osservazioni sul testo emendato del 22.03.12. Proposte di modifiche (con riferimento alla Legge della Provincia di Trento LP 5/06)- a cura di Cinzia Olivieri (29-3-2012) PDL 953 testo emendato 28.03.12 Osservazioni

In blu Legge della Provincia di Trento 5/06 * Capo I. AUTONOMIA STATUTARIA DELLE ISTITUZIONI SCOLASTICHE STATALI Art. 1. (L'autonomia scolastica e le autonomie territoriali). 1.L'autonomia delle istituzioni scolastiche, sancita dall'articolo 117 della Costituzione, è riconosciuta sulla base di quanto stabilito dall'articolo 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni, e dal decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275. 2. Ogni istituzione scolastica autonoma, che è

Si parla di “comunità scolastica” al comma 4 dell’art. 1 ed al comma 2 dell’art.2. La definizione però non riguarda la scuola nel suo complesso, la quale è descritta come “istituzione scolastica autonoma” che “promuove” un “patto educativo” con gli studenti e le famiglie il quale, in quanto aperto anche alla “comunità locale”, non ha le caratteristiche del patto del dpr 235/07. Famiglie e studenti, non sono più “parte” dell’istituzione, anzi è precisato che al perseguimento delle finalità educative concorrono Stato, Regioni ed autonomie locali e vi contribuiscono “le realtà culturali, sociali, produttive, professionali e dei servizi” ma non gli studenti ed i genitori…e dunque non la comunità scolastica! Sembra così negarsi che la pluralità interna alla scuola (veri stakeholders

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parte del sistema nazionale di istruzione, concorre ad elevare il livello di competenza dei cittadini della Repubblica e costituisce per la comunità locale di riferimento un luogo aperto di cultura, di sviluppo e di crescita, di formazione alla cittadinanza e di apprendimento lungo tutto il corso della vita. Lo Stato, le Regioni e le autonomie locali contribuiscono al perseguimento delle finalità educative delle istituzioni scolastiche esercitando le funzioni previste dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, e successive modificazioni. Vi contribuiscono, altresì, le realtà culturali, sociali, produttive, professionali e dei servizi, ciascuna secondo i propri compiti e le proprie attribuzioni. 3. Alle istituzioni scolastiche è riconosciuta autonomia statutaria, nel rispetto delle norme generali di cui alla presente legge. 4. Gli statuti delle istituzioni scolastiche regolano l'istituzione, la composizione e il funzionamento degli organi interni nonché le forme e le modalità di partecipazione della comunità scolastica. 5. Gli organi di governo delle istituzioni scolastiche promuovono il patto educativo tra scuola, studenti, famiglia e comunità locale, valorizzando: a) il diritto all'apprendimento e alla partecipazione degli alunni alla vita della scuola; b) il dialogo costante tra la professionalità della funzione docente e la libertà e responsabilità delle scelte educative delle famiglie; c) le azioni formative ed educative in rete nel territorio, quali piani formativi territoriali.

dell’istituzione) concorra agli obiettivi formativi, ruolo invece riconosciuto ad una molteplicità di soggetti esterni… Ma “autonomia” non contrasta con “partecipazione”. Ne è la riprova la LP 5/06 della provincia autonomia di Trento, che rappresenta la scuola appunto come “comunità scolastica”. Tale legge provinciale viene adottata come riferimento giacché riconosce alle istituzioni scolastiche autonomia statutaria analoga a quella della pdl 953 mentre Bolzano, altra provincia autonoma, disciplina la governance secondo un modello simile al nostro attuale. Pertanto si propongono le modifiche evidenziate in rosso Non è definito chi elabora gli statuti e come. Né sono esattamente determinati i loro contenuti, indicati all’interno delle varie norme (art. 1, 2, 4, 6, 8) talvolta anche con rischio di sovrapposizione con il regolamento in quanto non sono chiari gli ambiti di disciplina. L’art. 17 LP 5/06 definisce invece limiti e dei contenuti degli statuti. Trento, a seguito della LP 5/06 ha emanato una serie di regolamenti attuativi. Tra questi, non solo il Decreto del presidente della provincia 15 maggio 2009, n. 8-10/Leg con cui ha definito il “Regolamento per la definizione dei criteri e delle modalità di elezione delle rappresentanze elettive, nonché dei casi e delle modalità di scioglimento del consiglio dell'istituzione scolastica e formativa” ma la Del. n. 1075 del 25/05/2007 con la quale ha introdotto uno “Schema tipo di statuto per le istituzioni scolastiche e formative”, assolutamente indispensabile per evitare differenze, anche discriminatorie, tra scuola e scuola. Anche il dlgs 297/94 (come prima il Dpr 416/74) prevede un “regolamento tipo” Gli “organi collegiali” sono diventati “organi interni dell’istituzione” Gli organi sono “istituiti” dalla presente legge. Gli statuti possono prevedere le modalità di costituzione ma non la loro istituzione altrimenti si perderebbe garanzia della loro esistenza. Del pari vanno definiti chiaramente i casi di scioglimento del consiglio Trento definisce con legge, per dare certezza e garanzia della partecipazione delle famiglie degli studenti, un organismo di partecipazione: le consulte. Anche Bolzano ha istituito la consulta provinciale dei genitori. L’idea di “Consulta” trova riscontro già nella legge quadro 142/90 sull’Ordinamento delle autonomie locali. Il dpr 567/96 ha previsto quella degli studenti. Peraltro, basta leggere il Dlgs 267/00 "Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali" (che pure prevede lo strumento della consultazione) per comprendere come sia articolata la regolamentazione dell’autonomia. Quella delle istituzioni scolastiche appare invece quasi assoluta con inevitabile diversificazione tra scuola e scuola e rischio di discriminazione. La LP 5/06 prevede un termine di due anni dall’entrata in vigore della nuova legge per l’adozione del nuovo statuto. Si riporta un estratto dall’art. 17 LP 5/06 Art. 17 - Statuto delle istituzioni scolastiche e formative 1. Lo statuto delle istituzioni scolastiche e formative costituisce il documento fondamentale dell'istituzione e in particolare stabilisce, nel rispetto di quanto previsto da questa legge: a) i principi e i criteri di organizzazione dell'istituzione scolastica e formativa; (…) c) le funzioni, la composizione e le modalità di nomina degli organi collegiali dell'istituzione, nel rispetto di quanto previsto da questa legge e in coerenza con le norme generali dell'istruzione; d) i contenuti e le modalità di approvazione del regolamento interno che, in attuazione dello statuto, definisce, tra l'altro, gli aspetti organizzativi attinenti il funzionamento dell'istituzione e dei relativi organi, nonché del regolamento che definisce i doveri degli studenti e i comportamenti che configurano mancanze disciplinari; (…) f) la partecipazione degli studenti e dei genitori alle attività della classe e dell'istituzione, garantendo il diritto di riunione e di assemblea e favorendo le attività delle associazioni di studenti e di genitori, anche attraverso la messa a disposizione di spazi adeguati; g) la partecipazione dell'istituzione e della comunità scolastica a progetti o iniziative d'integrazione, collaborazione e scambio con altri soggetti in ambito nazionale, europeo e internazionale; h) le modalità, definite su eventuale proposta e previo parere della consulta dei genitori, del collegio dei docenti e della consulta degli studenti, con le quali le istituzioni instaurano con altri soggetti pubblici o privati operanti sul territorio forme di cooperazione e collaborazione rivolte alla migliore definizione dei contenuti e degli indirizzi da esprimere nel progetto d'istituto. 2. Lo statuto è adottato (ma nel successivo art. 22 si legge “approva”) dal consiglio dell'istituzione scolastica e formativa a maggioranza dei due terzi

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dei componenti ed è inviato alla Provincia che, entro quarantacinque giorni, può rinviarlo per motivi di legittimità all'istituzione per il conseguente adeguamento. Entro lo stesso termine la Provincia, inoltre, può esprimere osservazioni in relazione alla conformità dello statuto agli atti provinciali di - 10 - programmazione e d'indirizzo; decorso tale termine il consiglio dell'istituzione approva in via definitiva lo statuto. Le modifiche allo statuto sono adottate con la procedura prevista da questo comma. 3. La Provincia elabora uno schema tipo di statuto e lo mette a disposizione delle istituzioni scolastiche e formative. 4. In prima applicazione di quest'articolo il primo statuto dell'istituzione scolastica e formativa è adottato dal consiglio d'istituto in carica entro due anni dall'entrata in vigore di questa legge, con le modalità previste dal comma 2

Art. 2. - (Organi delle istituzioni scolastiche). 1. Gli organi delle istituzioni scolastiche sono organizzati sulla base del principio della distinzione tra funzioni di indirizzo, funzioni di gestione e funzioni tecniche secondo quanto previsto al presente articolo. Sono organi delle istituzioni scolastiche: a) il consiglio dell'autonomia, di cui agli articoli 3 e 4; b) il dirigente, di cui all'articolo 5, con funzioni di gestione; c) il consiglio dei docenti con le sue articolazioni: consigli di classe, commissioni e dipartimenti di cui all'articolo 6; d) il nucleo di autovalutazione di cui all'articolo 8. 2. Nel rispetto delle competenze degli organi di cui ai commi precedenti, lo Statuto prevede forme e modalità per la partecipazione di tutte le componenti della comunità scolastica.

A seguito della scomparsa della Giunta esecutiva vanno chiarite le procedure di cui al DI 44/01 che la vedono coinvolta (artt. 2 e 6). Andrebbero specificate sinteticamente le funzioni di tutti gli organi e non solo del dirigente

Art. 3. - (Consiglio dell'autonomia). 1. Il consiglio dell'autonomia ha compiti di indirizzo generale dell'attività scolastica. In particolare: a) adotta lo statuto; b) delibera il regolamento relativo al proprio funzionamento; c) adotta il piano dell'offerta formativa elaborato dal consiglio dei docenti ai sensi dell'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 275 del 1999; d) approva il programma annuale e, nel rispetto della normativa vigente in materia di contabilità di Stato, anche il bilancio pluriennale di previsione; e) approva il conto consuntivo; f) delibera il regolamento di istituto; g) designa i componenti del nucleo di autovalutazione, di cui all'articolo 8; h) approva accordi e convenzioni con soggetti esterni e definisce la partecipazione ai soggetti di cui all'articolo 10. i) modifica, con la maggioranza dei due terzi dei suoi componenti, lo statuto dell'istituzione scolastica, comprese le modalità di elezione, sostituzione e designazione dei propri membri. 2. Per l'esercizio dei compiti di cui alle lettere da c) a g) è necessaria la proposta del dirigente scolastico. 3. Il consiglio dell'autonomia dura in carica tre anni scolastici ed è rinnovato entro il 30 settembre successivo alla sua scadenza. 4. In sede di prima attuazione della presente legge, lo Statuto e il regolamento di cui al comma 1, lettera a), sono deliberati dal consiglio di circolo o di istituto uscenti, entro 90 giorni dall'entrata in vigore della legge. Decorsi sei mesi dall'insediamento, il consiglio dell'autonomia può modificare lo Statuto e il

Si riscontra a proposito dello statuto un utilizzo indifferente dei verbi adottare, deliberare, approvare. Occorre uniformare con il verbo approvare. Il verbo adottare è presumibilmente effetto del potere di proposta del dirigente che va invece modificato a garanzia del reale compito di indirizzo del consiglio. Superfluo nell’elencazione delle competenze scindere il regolamento dell’istituzione da quello di funzionamento ed il programma annuale dal conto consuntivo. Se occorre la proposta del dirigente anche per regolamento, pof e designazione dei componenti del nucleo di autovalutazione in pratica il consiglio non ha alcuna autonomia. Si rammenta che il DI 44/01 prevede la partecipazione nel procedimento della Giunta esecutiva. Il 30 settembre appare un termine troppo prossimo all’inizio dell’anno scolastico per procedere già da subito alle elezioni, quando i genitori delle prime classi neanche hanno avuto possibilità di conoscersi. Pertanto appare opportuno differirlo quanto meno al 30 ottobre. La previsione di un termine di 90 giorni dall’insediamento del nuovo consiglio appare troppo anticipata per una modifica dello statuto e può indurre all’erroneo convincimento che una simile rivalutazione sia obbligatoria e necessaria anche se non si è pronti alla modifica. Occorrerebbe evidenziare che il controllo dell’organismo competente è obbligatorio ma vanno indicati quali sono i parametri del controllo. Sarebbe necessario chiarire altresì che l’organismo provvede anche ad accertare la sussistenza delle irregolarità prima di disporre lo scioglimento su segnalazione. In assenza di indicazione e disciplina deve presumersi che tutti i componenti possono segnalarne la sussistenza Considerata l’abrogazione degli articoli 42 e 43 del dlgs 297/94; le esigenze di pubblicità e trasparenza imposte dalla L 241/90, dalla L 69/09 e dal Dlgs 150/09 e l’attuale mancanza di previsione di uno statuto tipo, appare opportuno definire il regime di pubblicità degli atti e delle sedute. Ciò anche in coerenza con quanto previsto dal DI 44/01 e dall’art. 14 del dpr 275/99

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regolamento deliberato ai sensi del presente comma. 5. Lo statuto deliberato dal consiglio dell'autonomia non è soggetto ad approvazione o convalida da parte di alcuna autorità esterna, salvo il controllo formale da parte dell'organismo istituzionalmente competente. 6. Nel caso di persistenti e gravi irregolarità o di impossibilità di funzionamento o di continuata inattività del consiglio dell'autonomia, l'organismo istituzionalmente competente provvede al suo scioglimento, nominando un commissario straordinario che resta in carica fino alla costituzione del nuovo consiglio.

Art. 4. -(Composizione del Consiglio dell'autonomia). 1. Il Consiglio dell'autonomia è composto da un numero di membri compreso fra nove e tredici. La sua composizione è fissata dallo Statuto, nel rispetto dei seguenti criteri: a) il dirigente scolastico è membro di diritto; b) la rappresentanza dei genitori e dei docenti è paritetica; c) nelle scuole secondarie di secondo grado è assicurata la rappresentanza degli studenti; d) del consiglio fanno parte membri esterni, scelti fra le realtà di cui all'articolo 1 comma 2, in numero non superiore a due; e) un rappresentante dei soggetti di cui all'articolo 10, su invito, può partecipare alle riunioni che riguardano le attività di loro competenza, senza diritto di voto. 2. Le modalità di costituzione delle rappresentanze dei docenti, dei genitori e degli studenti sono stabilite dal regolamento di cui all'articolo 3, comma 1, lettera b). I membri esterni sono scelti dal consiglio secondo modalità stabilite dal suddetto regolamento. 3. Il consiglio dell'autonomia è presieduto da un genitore, eletto nel suo seno. Il presidente lo convoca e ne fissa l'ordine del giorno. Il consiglio si riunisce, altresì, su richiesta di almeno due terzi dei suoi componenti. 4. Il direttore dei servizi generali e amministrativi fa parte del Consiglio dell'autonomia senza diritto di voto e svolge le funzioni di segretario del consiglio. 5. Gli studenti minorenni che fanno parte del consiglio dell'autonomia non hanno diritto di voto per quanto riguarda il programma annuale e il conto consuntivo. Il voto dei membri studenti non maggiorenni è in ogni caso consultivo per le deliberazioni di rilevanza contabile. 6. In sede di prima attuazione, le elezioni del consiglio dell'autonomia si svolgono entro il 30 settembre dell'anno scolastico successivo all'approvazione dello Statuto.

La designazione dovrebbe essere limitata ovviamente al membro esterno, mentre per gli altri devono essere previste elezioni. Si rammenta che Trento con Decreto del presidente della provincia 15 maggio 2009, n. 8-10/Leg ha definito il “Regolamento per la definizione dei criteri e delle modalità di elezione delle rappresentanze elettive, nonché dei casi e delle modalità di scioglimento del consiglio dell'istituzione scolastica e formativa”. Occorre garantire la rappresentanza degli studenti prevedendo almeno dei parametri. Non appaiono chiare le ragioni di opportunità per le quali debba essere prevista la partecipazione di membri esterni e fino anche in numero massimo di due. Peraltro l’interesse diretto a partecipare ad un identico progetto educativo rischia di confondersi con quello economico. Occorre prevedere quindi che non solo le modalità di designazione, ma anche i criteri di scelta e quindi i requisiti siano chiaramente individuati dallo statuto. In assenza di statuti tipo è fortemente discriminante rimettere totalmente tali indicazioni ai singoli statuti delle autonomie Il comma 2 può determinare confusione tra contenuti di regolamento e statuto. Al regolamento dovrebbe essere attribuita solo la disciplina del funzionamento, mentre “le modalità di costituzione delle rappresentanze dei docenti, dei genitori e degli studenti” nonché le modalità di scelta dei membri esterni dovrebbero essere previsti dallo statuto, in conformità a quanto previsto dall’art. 1 nonché dall’art. 3 comma 1 lettera i) e dallo stesso articolo 4 comma 1. Per gli artt. 3 e 4 costituisce un riferimento la LP 5/06 (art. 22 che si riporta). Trento ha disciplinato la successione di norme (e quindi il passaggio dai vecchi ai nuovi organi) in maniera molto più graduale come può leggersi nell’ultimo comma. Ma la proposta non sembra optare per questa soluzione. Art. 22 - Consiglio dell'istituzione 1. Il consiglio dell'istituzione scolastica e formativa, nel rispetto delle scelte didattiche definite dal collegio dei docenti e delle linee organizzative e dei principi definiti nello statuto, è l'organo di governo dell'istituzione e ha compiti d'indirizzo, di programmazione e di valutazione delle attività dell'istituzione. 2. In particolare il consiglio approva: a) lo statuto e il regolamento interno; b) gli indirizzi generali per l'attività, la gestione e l'amministrazione della scuola; c) il progetto d'istituto; d) omissis e) il bilancio e il conto consuntivo; f) il calendario scolastico sulla base di quanto determinato dalla Provincia; g) le attività definite nell'ambito delle forme collaborative previste dall'articolo 20 nonché le convenzioni che regolano gli accordi di rete; h) gli accordi e le intese con soggetti esterni per la realizzazione di progetti formativi coerenti con l'offerta formativa dell'istituzione. 3. Il consiglio dell'istituzione dura in carica tre anni ed è composto da un minimo di undici membri - in modo da garantire comunque la rappresentanza di tutte le componenti della comunità scolastica - che sono individuati mediante elezioni indette dal dirigente dell'istituzione con riferimento agli operatori delle istituzioni scolastiche e formative, agli studenti del secondo ciclo e alle famiglie. Lo statuto dell'istituzione può prevedere la presenza nell'ambito del consiglio dell'istituzione di non più di cinque rappresentanti del territorio, indicando se tali componenti partecipano alle sedute con o senza diritto di voto. Il presidente è scelto fra i membri della componente dei genitori. Il numero dei rappresentanti per ciascuna componente è definito dallo statuto ai sensi dell'articolo 17,

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tenendo conto della complessità organizzativa dell'istituzione. Il dirigente dell'istituzione fa parte di diritto del consiglio; il responsabile amministrativo svolge le funzioni di segretario. (…). 5. Con regolamento sono definiti i criteri e le modalità di elezione delle rappresentanze elettive nonché i casi e le modalità di scioglimento del consiglio dell'istituzione. 6. Fino alla nomina del consiglio dell'istituzione il consiglio d'istituto operante presso ciascuna istituzione alla data di entrata in vigore di questa legge svolge le funzioni attribuite al consiglio dell'istituzione, nella composizione in atto alla medesima data di entrata in vigore, ferme restando le disposizioni relative alle eventuali sostituzioni di membri cessati dalla carica . Appare opportuno svincolare le nuove elezioni dall’approvazione dello Statuto per evitare il rischio che la costituzione dei nuovi organi avvenga in tempi diversi da scuola a scuola e così l’entrata in vigore della presente legge Il 30 settembre appare un termine troppo prossimo all’inizio dell’anno scolastico.

Art. 5. - (Dirigente scolastico). 1. Il dirigente scolastico ha la legale rappresentanza dell'istituzione e, sotto la propria responsabilità, gestisce le risorse umane, finanziarie e strumentali e risponde dei risultati del servizio agli organismi istituzionalmente e statutariamente competenti .

Considerata la vigenza dell’art. 25 del dlgs 165/01 che disciplina articolatamente la figura del dirigente scolastico, si propone eventualmente una modifica nel senso di un più chiaro richiamo. 2. Il dirigente scolastico assicura la gestione unitaria dell'istituzione, ne ha la legale rappresentanza, è responsabile della gestione delle risorse finanziarie e strumentali e dei risultati del servizio. Nel rispetto delle competenze degli organi collegiali scolastici, spettano al dirigente scolastico autonomi poteri di direzione, di coordinamento e di valorizzazione delle risorse umane. In particolare, il dirigente scolastico, organizza l'attività scolastica secondo criteri di efficienza e di efficacia formative ed è titolare delle relazioni sindacali.

Art. 6. - (Consiglio dei docenti e sue articolazioni). 1. Al fine di programmare le attività didattiche e di valutazione collegiale degli alunni, lo Statuto disciplina l'attività del Consiglio dei docenti e delle sue articolazioni, secondo quanto previsto dai commi successivi del presente articolo. 2. La programmazione dell'attività didattica compete al consiglio dei docenti, presieduto dal dirigente scolastico e composto da tutti i docenti. Il Consiglio dei docenti opera anche per commissioni e dipartimenti, consigli di classe e, ai fini dell'elaborazione del piano dell'offerta formativa, mantiene un collegamento costante con gli organi che esprimono le posizioni degli alunni, dei genitori e della comunità locale. 3. L'attività didattica di ogni classe è programmata e attuata dai docenti che ne sono responsabili, nella piena responsabilità e libertà di docenza e nel quadro delle linee educative e culturali della scuola e delle indicazioni e standard nazionali per il curricolo. 4. Lo statuto disciplina la composizione, le modalità della necessaria partecipazione degli alunni e dei genitori alla definizione e raggiungimento degli obiettivi educativi di ogni singola classe. 5. I docenti, nell'esercizio della propria funzione, valutano in sede collegiale, secondo la normativa e le Indicazioni nazionali vigenti, i livelli di apprendimento degli alunni, periodicamente e alla fine dell'anno scolastico, e ne certificano le competenze, in coerenza con i profili formativi ed i requisiti in uscita relativi ai singoli percorsi di studio e con il Piano dell'offerta formativa dell'istituzione scolastica, presentato alle famiglie, e sulla base delle linee didattiche, educative e valutative definite dal consiglio dei docenti..

Occorre ben distinguere le differenti competenze di statuto e regolamento, Occorre inserire e definire la figura del rappresentante di classe, giustamente richiamata dall’art. 7, la composizione del consiglio e la regolamentazione del funzionamento. Costituisce un riferimento la LP 5/06 (artt. 24 e 25) Art. 24 Collegio dei docenti 1. Il collegio dei docenti è composto da tutti i docenti, a tempo indeterminato e determinato, in servizio nell'istituzione ed ha compiti di programmazione, indirizzo e monitoraggio delle attività didattiche ed educative avendo cura di favorire il coordinamento interdisciplinare e per adeguare, nei limiti previsti dall'ordinamento, i piani di studio alle esigenze formative e al contesto socio-economico di riferimento. (…) 3. Il collegio dei docenti è presieduto e convocato dal dirigente dell'istituzione, che stabilisce l'ordine del giorno. Lo statuto definisce le eventuali ulteriori modalità di convocazione del collegio dei docenti. 4. Il collegio dei docenti può articolarsi in gruppi di lavoro, dipartimenti e aree disciplinari e in altre forme di coordinamento con compiti di programmazione e di valutazione interna dell'azione educativa. Tali forme organizzative hanno competenza per tutte le materie connesse all'esercizio dell'autonomia didattica, di ricerca, sperimentazione e sviluppo, e promuovono la collegialità dell'azione educativa e formativa. 5. Il collegio dei docenti approva un regolamento che definisce le modalità per il proprio funzionamento secondo criteri idonei allo svolgimento dei suoi compiti, nel rispetto dello statuto e delle attribuzioni degli altri organi dell'istituzione Art. 25 Consiglio di classe 1. Il consiglio di classe è composto da tutti i docenti di ciascuna classe, dai rappresentanti dei genitori e nella scuola del secondo ciclo dai rappresentanti degli studenti della classe, secondo le modalità definite dallo statuto. Il consiglio di classe è presieduto dal dirigente dell'istituzione scolastica e formativa o da un docente da lui delegato; del consiglio di classe fanno parte a titolo consultivo anche gli assistenti addetti alle esercitazioni di laboratorio che coadiuvano i docenti delle corrispondenti materie tecniche e scientifiche, negli istituti tecnici, negli istituti professionali e nei licei. Le proposte di voto per le valutazioni periodiche e finali sono formulate dai docenti di materie tecniche e scientifiche, sentiti gli assistenti coadiutori 2. Il consiglio di classe definisce le attività della classe curricolari ed extracurricolari, tenendo conto del progetto d'istituto e della programmazione dell'attività didattica ed educativa deliberata dal collegio dei docenti.

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3. Il consiglio di classe, con la sola componente di tutti i docenti responsabili delle attività educative e didattiche della classe, provvede alla valutazione degli studenti e al coordinamento dell'attività didattica della classe.

Art. 7. - (Partecipazione e diritti degli studenti e delle famiglie). 1. Le istituzioni scolastiche, nell'ambito dell'autonomia organizzativa e didattica riconosciuta dalla legge, valorizzano la partecipazione alle attività della scuola degli studenti e delle famiglie, di cui garantiscono l'esercizio dei diritti di riunione, di associazione e di rappresentanza.

E’ garantito il diritto di riunione ma non basta senza l’espressa previsione di specifici organismi di partecipazione. Il diritto di associazione è già previsto dalla legge e riconosciuto all’interno della scuola dal dpr 567/96. Tuttavia per garantire l’effettività del diritto di riunione occorre che esso sia reso possibile. Se non sono date precise indicazioni, gli statuti potrebbero prevedere per il concreto esercizio presupposti complessi che lo limiterebbero di fatto, come ad esempio procedure complesse di richiesta o numero di sottoscrizioni sull’istanza di assemblea troppo elevato. Occorre anche in tal caso uno Statuto tipo che contenga indicazioni o una precisazione nella norma. Il diritto di rappresentanza è garantito solo attraverso l’istituzione della figura del rappresentante. L’art. 7 “valorizza” (ma non “garantisce”) la partecipazione e garantisce il diritto riunione, associazione e di rappresentanza individuata però di fatto soltanto all’interno dei consiglio senza la previsione dei rappresentanti di classe.. Ecco perché occorre prevedere degli organismi di partecipazione e garantirne l’esistenza superando la lacunosità normativa che ha costituito un limite al funzionamento dei comitati. Non a caso, la legge trentina LP 5/06 istituisce le Consulte. Rammentiamo che il dpr 567/96 già prevede l’istituzione della Consulta degli studenti a livello provinciale e nazionale e riconosce particolare rilievo ai comitati studenteschi. Ecco perché si richiamano gli artt. 28 e 29 della LP 5/06 Art. 28 Consulta degli studenti 1. Presso ogni istituzione scolastica e formativa del secondo ciclo è istituita la consulta degli studenti per favorire la partecipazione attiva e responsabile alla vita della scuola. 2. La consulta è composta dai rappresentanti degli studenti di ciascun consiglio di classe, dai rappresentanti dell'istituzione nella consulta provinciale degli studenti e dai rappresentanti degli studenti nel consiglio dell'istituzione. 3. La consulta, oltre a quanto disposto dallo statuto, formula proposte ed esprime i pareri richiesti dal consiglio e dal dirigente dell'istituzione in ordine alle attività e ai servizi da realizzare o svolti dall'istituzione medesima. Art. 29 Consulta dei genitori 1. Presso ogni istituzione scolastica e formativa è istituita la consulta dei genitori per favorire la partecipazione attiva e responsabile alla vita della scuola. 2. La consulta è composta dai rappresentanti dei genitori di ciascun consiglio di classe, dai rappresentanti dei genitori nel consiglio dell'istituzione, nonché dai rappresentanti di associazioni di genitori riconosciute che ne facciano richiesta, secondo quanto disposto dallo statuto e dal regolamento interno. 3. La consulta, oltre a quanto disposto dallo statuto, formula proposte ed esprime i pareri richiesti dal consiglio dell'istituzione in ordine alle attività e ai servizi da realizzare o svolti dall'istituzione medesima anche in relazione ad iniziative di formazione e di coinvolgimento dei genitori.

Art. 8. - (Nuclei di autovalutazione del funzionamento dell'istituto). 1. Ciascuna istituzione scolastica costituisce, in raccordo con l'Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (INVALSI), di cui al decreto legislativo 19 novembre 2004, n. 286, e successive modificazioni, un nucleo di autovalutazione dell'efficienza, dell'efficacia e della qualità complessive del servizio scolastico. Il regolamento interno dell'istituzione disciplina il funzionamento del nucleo di autovalutazione, la cui composizione è determinata dallo statuto da un minimo di tre fino a un massimo di sette componenti, assicurando in ogni caso la presenza di almeno un soggetto esterno, individuato dal consiglio dell'autonomia sulla base di criteri di competenza, e almeno un rappresentante delle famiglie.

Con emendamento del 28 marzo è stata introdotta la previsione di gratuità della funzione, che potrebbe essere contemplata genericamente per tutti i ruoli di rappresentanza. E’ assicurata la presenza solo di un membro esterno e di un genitore. Partecipazione esigua che ricorda la vecchia figura del “garante dell’utenza”, in quanto chiamato a rappresentare le esigenze della stessa, in pratica il più votato tra i genitori. Si può rafforzare e garantire la presenza interna dei genitori e degli studenti secondo quanto previsto dalla LP 5/06 Art. 27 Nucleo interno di valutazione 1. Le istituzioni scolastiche e formative valutano periodicamente il raggiungimento degli obiettivi del progetto d'istituto, con particolare riferimento a quelli inerenti alle attività educative e formative, anche avvalendosi degli indicatori forniti dal comitato provinciale di valutazione del sistema educativo. I risultati dei processi di valutazione sono posti a confronto con le rilevazioni del comitato provinciale di valutazione e sono inviati al comitato stesso e al dipartimento provinciale competente in materia di istruzione. I risultati sono altresì tenuti in considerazione al fine della predisposizione del progetto d'istituto.

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2. Il Nucleo di autovalutazione, coinvolgendo gli operatori scolastici, gli studenti, le famiglie, predispone un rapporto annuale di autovalutazione, anche sulla base dei criteri, degli indicatori nazionali e degli altri strumenti di rilevazione forniti dall'INVALSI. Tale Rapporto è assunto come parametro di riferimento per l'elaborazione del piano dell'offerta formativa e del programma annuale delle attività, nonché della valutazione esterna della scuola realizzata secondo le modalità che saranno previste dallo sviluppo del sistema nazionale di valutazione. Il rapporto viene reso pubblico secondo modalità definite dal regolamento della scuola. 2-bis. Ai componenti del Nucleo di autovalutazione non sono riconosciuti indennità, compensi, rimborsi, spese o emolumenti comunque denominati.

2. Le istituzioni attuano il comma 1 costituendo un nucleo interno di valutazione dell'efficienza e dell'efficacia del servizio educativo, con compiti di analisi e di verifica interni, finalizzati al miglioramento della qualità nell'erogazione del servizio e al monitoraggio dell'attuazione di pratiche inclusive efficaci rivolte ai soggetti con bisogni educativi speciali come previsti dall'articolo 74 3. Il regolamento interno dell'istituzione disciplina il funzionamento del nucleo interno di valutazione, la cui composizione e individuazione sono determinate, secondo criteri di competenza, dallo statuto, tra un minimo di tre e fino a un massimo di sete componenti, assicurando in ogni caso la presenza di docenti, genitori, non docenti e studenti del secondo ciclo. I docenti sono individuati dal collegio dei docenti.

Art. 9. (Conferenza di rendicontazione). 1. Sulle materie devolute alla sua competenza e, in particolare, sulle procedure e gli esiti dell'autovalutazione di istituto, il consiglio dell'autonomia, di cui all'articolo 1, promuove annualmente una conferenza di rendicontazione, aperta a tutte le componenti scolastiche ed ai rappresentanti degli enti locali e delle realtà sociali, economiche e culturali del territorio ed invia una relazione all'Ufficio scolastico regionale.

La norma è vaga. Non è precisato chi esattamente partecipa a questa conferenza né se spetta allo statuto definirne la composizione, anche perché essa non rientra tra gli organi dell’istituzione. - Tutte le componenti scolastiche: tutti i genitori, studenti, docenti? O solo i loro rappresentanti? - Rappresentanti degli enti locali: quali esattamente? E di quali enti? - Rappresentanti delle realtà sociali, economiche e culturali del territorio: quali ed individuati come? Le modifiche proposte pertanto possono essere solo indicative.

Art. 10. (Costituzione di Reti e Consorzi a sostegno dell'autonomia scolastica). 1. Le istituzioni scolastiche autonome, nel rispetto dei requisiti, delle modalità e dei criteri fissati con regolamento adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, e di quanto indicato nel decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999 n. 275, articolo 7, possono promuovere o partecipare alla costituzione di reti, consorzi e associazioni di scuole autonome che si costituiscono per esercitare un migliore coordinamento delle stesse. Le Autonomie scolastiche possono altresì ricevere contributi da fondazioni finalizzati al sostegno economico della loro attività, per il raggiungimento degli obiettivi strategici indicati nel piano dell'offerta formativa e per l'innalzamento degli standard di competenza dei singoli studenti e della qualità complessiva dell'istituzione scolastica, ferme restando le competenze degli organi di cui all'articolo 11 della presente legge. 2. I partner previsti dal comma 1 possono essere soggetti pubblici e privati, fondazioni, associazioni di genitori o di cittadini, organizzazioni non profit. 3. A tutela della trasparenza e delle finalità indicate al comma 1, le istituzioni scolastiche devono definire annualmente, nell'ambito della propria autonomia, gli obbiettivi di intervento e i capitoli di spesa relativi alle azioni educative cofinanziate attraverso il contributo economico ricevuto dai soggetti pubblici e privati, fondazioni, associazioni e organizzazioni non profit di cui al precedente comma. Contributi superiori a 5000 euro potranno provenire soltanto da enti che per legge o per statuto hanno l'obbligo di rendere pubblico il proprio bilancio.

I partner di cui al comma 1 appaiono essere solo fondazioni. Pertanto al comma due si occorre cancellare la parola “altre” mentre al comma 1 deve usarsi un termine più ampio contenente le diverse tipologie. Ai sensi dell’art. 14 del c.c. le fondazioni devono essere costituite con atto pubblico.

Capo II - RAPPRESENTANZA Il rinvio a futuro regolamento sembra riproporre inevitabilmente

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ISTITUZIONALE DELLE SCUOLE AUTONOME Art. 11. (Consiglio delle autonomie scolastiche). 1. Con proprio regolamento adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sentite le Commissioni parlamentari, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca provvede ad istituire a il Consiglio Nazionale delle Autonomie Scolastiche, composto da rappresentanti eletti rispettivamente dai dirigenti, dai docenti e dai presidenti dei consigli delle istituzioni scolastiche autonome, e ne fissa le modalità di costituzione e di funzionamento. Il Consiglio è presieduto dal Ministro o da un suo delegato e vede la partecipazione anche di rappresentanti della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, delle Associazioni delle Province e dei Comuni e del Presidente dell'INVALSI. 2. Il Consiglio Nazionale delle Autonomie Scolastiche è un organo di partecipazione e di corresponsabilità tra Stato, Regioni, Enti Locali ed Autonomie Scolastiche nel governo del sistema nazionale di istruzione. È altresì organo di tutela della libertà di insegnamento, della qualità della scuola italiana e di garanzia della piena attuazione dell'autonomia delle istituzioni scolastiche. In questa funzione esprime l'autonomia dell'intero sistema formativo a tutti i suoi livelli. 2-bis. Ai componenti del Consiglio nazionale delle autonomie scolastiche non sono riconosciuti indennità, compensi, rimborsi, spese o emolumenti comunque denominati. 3. Le regioni, in attuazione degli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione ed in relazione a quanto indicato nell'articolo 1 della presente legge, definiscono strumenti, modalità ed ambiti territoriali delle relazioni con le autonomie scolastiche e per la loro rappresentanza in quanto soggetti imprescindibili nell'organizzazione e nella gestione dell'offerta formativa regionale, in integrazione con i servizi educativi per l'infanzia, la formazione professionale e permanente, in costante confronto con le politiche scolastiche nazionali e prevedendo ogni possibile collegamento con gli altri sistemi scolastici regionali. 4. Le Regioni possono istituire la Conferenza regionale del sistema educativo, scolastico e formativo, ne stabiliscono la composizione e la durata. La Conferenza esprime parere sugli atti regionali d’indirizzo e di programmazione in materia di: a) autonomia delle istituzioni scolastiche e formative; b) attuazione delle innovazioni ordinamentali; c) piano regionale per il sistema educativo e distribuzione dell’offerta formativa, anche in relazione a percorsi d’integrazione tra istruzione e formazione professionale; d) educazione permanente; e) criteri per la definizione degli organici delle istituzioni scolastiche e formative regionali. f) piani di organizzazione della rete scolastica, istituzione, aggregazione, fusione soppressione di istituzioni scolastiche. 5. La conferenza, ove costituita, svolge attività consultiva e di supporto nelle materie di competenza delle regioni, o su richiesta di queste, esprimendo pareri sui disegni di legge attinenti il sistema regionale. 6. Le Regioni possono istituire Conferenze di ambito territoriale che sono il luogo del

l’esperienza del Dlgs 233/99 che ha atteso invano oltre un decennio l’emanazione di decreti attuativi con la conseguenza della ormai nota prorogatio Con emendamento del 28 marzo è stata introdotta la previsione di gratuità della funzione, che potrebbe essere contemplata genericamente per tutti i ruoli di rappresentanza. Sebbene resa “potenziale” a seguito degli emendamenti introdotti il 28 marzo il testo si dilunga sulla Conferenza regionale del sistema educativo, scolastico e formativo ma non prevede la possibilità di organi di rappresentanza a livello territoriale quali potrebbero essere i Consigli regionali e locali delle autonomie scolastiche, nei quali sia almeno garantita la presenza della “comunità scolastica territoriale”, dal momento che tale previsione analogamente non dovrebbe interferire con l’autonomia. Il testo, pur nella sua importanza e complessità, in quanto dovrebbe in un solo articolo gettare la struttura dell’intera rappresentanza territoriale, è generico e tutto ancora da definire. L’introduzione di questa norma non cambia la situazione di stallo attuale sulla territorialità, anzi sembra inevitabilmente riprodurla e riproporla. Infine si ravvisa l’assenza degli studenti. Considerata l’attuale struttura organizzativa delle Consulte degli studenti, rappresentate anche a livello nazionale per effetto delle modifiche del dpr 567/96, appare possibile ed auspicabile integrare la composizione. Art. 38 Consiglio delle autonomie scolastiche e formative 1. E' istituito il consiglio delle autonomie scolastiche e formative, organo rappresentativo dell'autonomia delle istituzioni scolastiche e formative provinciali e paritarie con funzioni consultive e propositive. 2. Il consiglio è composto dai presidenti dei consigli delle istituzioni e dai dirigenti delle istituzioni; alle sedute del consiglio può partecipare il dirigente del dipartimento provinciale competente in materia di istruzione. 3. Il consiglio formula proposte, esprime pareri e fornisce supporto alla Provincia relativamente all'autonomia delle istituzioni scolastiche e formative, alle innovazioni ordinamentali, alla gestione del sistema educativo provinciale, alla elaborazione del piano provinciale per il sistema educativo e all'erogazione del servizio scolastico nonché su ogni altra tematica sottoposta dalla Provincia. 4. Il consiglio approva un proprio regolamento organizzativo e di funzionamento, che preveda in particolare la possibilità che le due componenti, i presidenti e i dirigenti, si riuniscano e si esprimano anche in modo separato a seconda delle tematiche affrontate e delle esigenze consultive della Provincia.

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coordinamento tra le istituzioni scolastiche, gli Enti locali, i rappresentanti del mondo della cultura, del lavoro e dell’impresa di un determinato territorio. 7. Le Regioni, d’intesa con gli Enti Locali e le autonomie scolastiche possono definire gli ambiti territoriali e possono stabilire la composizione delle Conferenze e la loro durata. Alle Conferenze partecipano i Comuni, singoli o associati, l’amministrazione scolastica regionale, le Università, le istituzioni scolastiche, singole o in rete, rappresentanti delle realtà professionali, culturali e dell’impresa. 8. Le Conferenze esprimono pareri sui piani di organizzazione della rete scolastica, esprimono, altresí, proposte e pareri sulla programmazione dell’offerta formativa, sugli accordi a livello territoriale, sulle reti di scuole e sui consorzi, sulla continuità tra i vari cicli dell’istruzione, sull’integrazione degli alunni diversamente abili, sull’adempimento dell’obbligo di istruzione e formazione.

Art. 12. (Abrogazioni). 1. Le disposizioni di cui agli articoli 5, da 7 a 10, 44, 46 e 47 del decreto legislativo del 16 aprile 1994, n. 297, e successive modificazioni, cessano di avere efficacia in ogni istituzione scolastica a decorrere dalla data di costituzione degli organi di cui all’articolo 2 della presente legge. Resta in ogni caso in vigore il comma 1-bis dell’articolo 5 del citato decreto legislativo n. 297 del 1994. 2. Le disposizioni di cui agli articoli da 16 a 22 del decreto legislativo del 16 aprile 1994, n. 297, e successive modificazioni, cessano di avere efficacia in ogni regione a decorrere dalla data di costituzione degli organi di cui all’articolo 11, commi da 3 a 6 della presente legge. 3. Le disposizioni di cui agli articoli da 12 a 15 e da 30 a 43 del citato decreto legislativo n. 297 del 1994, e successive modificazioni, cessano di avere efficacia in ogni istituzione scolastica a decorrere dalla data di entrata in vigore dello statuto di cui all’articolo 1, comma 4, della presente legge. 4. Gli articoli da 23 a 25 del citato decreto legislativo n. 297 del 1994, e successive modificazioni, sono abrogati a decorrere dalla data di insediamento del Consiglio nazionale delle autonomie scolastiche, di cui all’articolo 11 della presente legge.

Con riferimento al comma 3 si dovrebbe desumere che quanto abrogato (in particolare in tema di pubblicità di atti e sedute) dovrebbe essere previsto dallo Statuto? Pertanto, considerata l’abrogazione degli articoli 42 e 42 del dlgs 297/94; le esigenze di pubblicità e trasparenza imposte dalla L 241/90, dalla L 69/09 e dal Dlgs 150/09 e l’attuale mancanza di previsione di uno statuto tipo appare chiarire necessariamente il regime di pubblicità degli atti e delle sedute. Ciò anche in coerenza con quanto previsto dal DI 44/01 e dall’art. 14 del dpr 275/99. Tale modifica è stata inserita all’art. 3. Come si è detto anche il Dlgs 233/99 prevedeva che “ Il Consiglio nazionale della pubblica istruzione, i consigli scolastici provinciali e i consigli scolastici distrettuali funzionanti alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo restano in carica fino all'insediamento degli organi collegiali di cui agli articoli da 1 a

5.” Tuttavia il CNPI è prorogato di anno in anno mentre è nota la sorte dei consigli scolastici distrettuali e provinciali.

Art. 13. (Norma transitoria). 1. Fino alla completa attuazione del Titolo V della Costituzione l'Ufficio scolastico regionale esercita i compiti di organo competente di cui all'articolo 3, commi 5 e 6.

Art. 14. (Clausola di neutralità finanziaria). 1. Le amministrazioni competenti provvedono all'attuazione della presente legge nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

* attraverso un lavoro di analisi condivisa sono svolte osservazioni sul testo emendato del 22.03.12. Sulla base di queste sono proposte delle modifiche. È utilizzata quale riferimento la Legge della Provincia di Trento LP 5/06 per la previsione di analoga autonomia statutaria

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06. Sull’autogoverno delle istituzioni scolastiche : ANDIS (29-3-2012)

Il Direttivo nazionale dell’ANDIS, riunito a Vico Equense (Na) nei giorni 28 e 29 marzo 2012, esprime un giudizio complessivamente positivo sul testo unificato approvato dalla VII Commissione della Camera sulle Norme per l’autogoverno delle istituzioni scolastiche statali.

In un quadro che rappresenta l’esito di un faticoso processo di mediazione, in particolare l’ANDIS considera importanti i seguenti elementi:

1) la distinzione tra funzioni di indirizzo, funzioni di gestione e funzioni tecniche degli organi delle istituzioni scolastiche (art.2);

2) lo statuto quale atto definitivo non soggetto ad approvazione o convalida cui è demandata la composizione dell’organo (art.3); 3) la presenza di soggetti esterni nei Consigli dell’autonomia e nei Nuclei di autovalutazione (artt. 4 e 8); 4) l’istituzione dei nuclei di autovalutazione del funzionamento dell’istituto (art.8); 5) le modalità di rendicontazione sociale (art.9); 6) la rappresentanza istituzionale delle scuole autonome (art.11).

Non mancano, tuttavia, nel documento alcune criticità tecniche su cui l’Associazione si riserva di presentare uno specifico contributo.

Vico Equense, 29 marzo 2012 **************

07. Si va verso la riforma della governance delle scuole - di R. Proietto (31-3-2012) Il testo licenziato in Commissione e il comunicato unitario che lo ha accompagnato fanno pensare che sia la volta buona. Il testo va ovviamente considerato un punto d’incontro. Per misurare la strada fatta è certo interessante il confronto con l’iniziale proposta dell’on. Aprea, ma altrettanto interessante è il confronto con i testi presentati a suo tempo dal centro-sinistra, quelli, per capirci, in cui si moltiplicavano gli organismi di governo, tutti già decisi per legge, tra cui spiccava il cadavere riesumato della Giunta Esecutiva. Per un’analisi più compiuta occorrerà una discussione comune, ma per il momento ritengo utile sottolineare alcuni punti: 1) era ora, perché la normativa ancor oggi in vigore è vecchia di quasi 40 anni e soprattutto confligge apertamente con la normativa successiva, principalmente con quella derivata dall’attribuzione dell’autonomia e della dirigenza scolastica. Questo ha portato nel tempo seri conflitti e problemi, tanto nella gestione dei compiti di governo quanto nell’assunzione di responsabilità da parte dei vari organi (segnatamente tra DS e Collegio o tra DS e Consiglio). Per capire cosa e quanto cambi è opportuno leggere l’articolo sulle abrogazioni, come al solito trascurato, e rivedere le norme del Testo Unico che ne risultano cancellate, comprese tutte quelle relative ai compiti degli OO.CC.; 2) saranno le scuole autonome a definire, tramite gli statuti, aspetti significativi della governance e forme di partecipazione delle componenti, pur all’interno di un quadro di riferimento unitario. Mi sembra una scelta positiva, che sfugge al vizio del centralismo e lascia alla comunità scolastica locale significativi spazi di decisione, che sottintendono anche scelte identitarie. Questo vale anche per il delicato terreno dei finanziamenti privati, che sarebbe suicida escludere in base a principi solamente ideologici; 3) si salvaguarda il principio della partecipazione democratica (la scuola è altro da un normale centro di erogazione di servizio pubblico come l’azienda del gas o l’ospedale) e al tempo stesso si afferma in modo esplicito la separazione tra compiti di indirizzo e compiti di gestione. Questi ultimi sono riconosciuti in capo al Dirigente scolastico, la cui responsabilità risulta rafforzata dal “combinato disposto” del 165 (e successive modifiche) e dell’abrogazione delle parti del Testo Unico che ponevano limiti impliciti ed espliciti alla sua capacità gestionale e decisionale, anche in merito alla gestione del personale (si pensi solo all’annosa questione della formazione delle classi o dell’assegnazione ad esse dei docenti); 4) lo stralcio della parte relativa allo stato giuridico del personale (rispetto all’originale testo Aprea) è stato necessario per raggiungere un accordo ma pone alcuni problemi. Il testo Aprea,

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discutibile fin che si vuole, aveva una sua coerenza interna nel momento in cui, per esempio, affidava al ”docente esperto” un ruolo nelle procedure di autovalutazione. Senza percorsi di valutazione del personale che producano un’articolazione della funzione docente l’attività di autovalutazione del micro-sistema scuola autonoma rischia l’autoreferenzialità, perché risulta priva di significativi strumenti di intervento; 5) la parte più debole, a mio parere, è quella relativa agli organismi territoriali. Il Consiglio nazionale delle autonomie sembra essere la riesumazione sotto altre spoglie del CNPI. Non sono le scuole autonome ad esservi rappresentate, ma come al solito le componenti (i DS, i docenti, i presidenti cioè i genitori). In questo modo la scuola non è un organismo dotato di una propria identità in cui si riconoscono le componenti che vi operano a vario titolo (come un Ente locale) ma solo la somma di singoli interessi di sapore vagamente corporativo, come nei vecchi OO.CC. territoriali. Il vizio rischia di riprodursi a livello regionale e di ambito, dove la partita è ancora aperta. E’ necessario, a mio parere, che la rappresentanza riconosciuta e regolamentata dalle Regioni sia quella delle scuole autonome e non delle singole componenti. In sintesi, ci interessa la Conferenza delle autonomie, non la Camera delle corporazioni. Conseguentemente, sul modello ANCI, le scuole autonome devono essere rappresentate da chi ne ha la rappresentanza legale (o da un delegato) e da chi presiede l’organo di indirizzo, a testimonianza della peculiarità della comunità scolastica rispetto ad altri contesti di servizio pubblico.

************** 08. Nuovo Governo delle Istituzioni scolastiche di Gian Carlo Sacchi (Marzo 2012)

Nuovo Governo delle Istituzioni scolastiche

ma l’Autonomia è ancora debole L’autonomia scolastica è l’orizzonte in cui si colloca il governo del sistema scolastico italiano, dopo i decreti delegati del 1974 che istituivano la “partecipazione” della comunità alla vita della scuola e tanti anni di sperimentazione che cercavano di collegare la funzione formativa della stessa con lo sviluppo del territorio. Questa nuova prospettiva è contenuta nella riforma degli enti locali del 1990 (L. 142), della Pubblica Amministrazione del 1997 (L. 59), che ha iniziato una azione di decentramento delle competenze statali verso gli enti locali (D.Leg.vo 112/1998) e ha dato il via alla costruzione dell’impalcatura della scuola autonoma (DPR 275/1999), con il conferimento della personalità giuridica alle scuole nell’ambito di un’azione di programmazione territoriale (DPR 233/1998). Questo impianto, anche se ancora lontano dall’essere compiutamente realizzato ha già subito cambiamenti (L. 111/2011), ma comunque non ha perso valore in quanto sancito dalla modifica del titolo quinto della Costituzione (anch’esso però non ancora applicato) (L.C. n. 3/2001) ed è in qualche modo confermato dalla normativa sul così detto federalismo fiscale (L. 42/2009 e D.Leg.vo 68/2011) nonché dai recenti provvedimenti sulla semplificazione (DL 5/2012). La legislazione richiamata sta cercando, pur non senza contraddizioni, di ricostruire un governo del sistema educativo – scolastico – formativo ai diversi livelli di organizzazione territoriale, che riparta dal basso e cioè dal riconoscimento, secondo quanto indicato dalla predetta norma costituzionale, degli organi della Repubblica tra i quali è “fatta salva” l’autonomia delle istituzioni scolastiche (art. 117 della Costituzione). L’autonomia dunque non è concessa, in una prospettiva meramente decentralistica dell’ordinamento statale, ma è riconosciuta, e quindi ha bisogno oltre che di avere spazio di darsi una configurazione istituzionale: autonomia statutaria. La situazione ricalca molto, dicono gli studiosi, quella universitaria, entrambe infatti sono state identificate dalla predetta legge 59 come autonomie funzionali. Per l’università però tale impostazione era già praticata ed è stata riconfermata, mentre per la scuola il centralismo statale ha di fatto sempre impedito di arrivare a soluzioni veramente autonomiste, sia che si tratti di passaggi di competenze agli enti locali/autonomie scolastiche, sia che si voglia valorizzare il “sistema formativo” come una componente veramente autonoma nell’esercizio della funzione culturale ed educativa pur all’interno di un “sistema nazionale dell’istruzione”, anch’esso ridefinito dalla L. 62/2000. E’ quest’ultimo approccio infatti quello assunto dalla predetta riforma costituzionale, ma, come si è detto, molto resta ancora da fare.

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Proprio per rinforzare tale impostazione si deve pensare ad una revisione della governance interna agli istituti, ferma ai decreti del 1974; con la proposta di legge licenziata alla VII Commissione della Camera si cerca dunque di rivedere organi, processi e strumenti nella più recente visione della piena realizzazione di un’autonomia scolastica come parte del sistema nazionale dell’istruzione, ma anche parte inscindibile della comunità locale. Nell’ambito del “sistema delle autonomie” deve esistere dunque un’autonomia statuaria che dia valore alla personalità giuridica e porti le scuole autonome allo stesso livello di altri enti territoriali. Sono gli statuti delle scuole infatti che devono saper interpretare le “norme generali dell’istruzione” e tradurle in offerta formativa, nell’ambito dei “livelli essenziali delle prestazioni”e per la crescita dei singoli sul piano umano, culturale e professionale, come potrà essere indicato dagli standard nazionali e locali perché sia riconosciuto il diritto alla formazione a tutti i cittadini italiani. In tale contesto, famiglie, studenti, comunità locali, docenti dovranno potersi muovere autonomamente per garantire un’offerta sempre più qualificata in un’ottica generale ma che sia aderente alla realtà in cui la scuola opera, per poter incontrare i problemi e le aspettative che tale realtà esprime e nello stesso tempo contribuire a “collocare nel mondo”. Le scuole autonome sono il punto di riferimento e la loro consistenza deve essere oggetto di un’attenta azione di programmazione territoriale e gestione della spesa secondo un’azione multilivello, come indicato dai predetti provvedimenti sul federalismo fiscale. Reti e consorzi sono strumenti per potenziare l’autonomia e ottimizzare l’uso delle risorse, in vista del raggiungimento di migliori e più qualificati obiettivi. Gli organi di governo prevedono la distinzione delle funzioni di indirizzo, di quelle professionali in senso stretto e di gestione, pur in una visione e pratica di integrazione tra di loro. Il dirigente scolastico è il rappresentante legale dell’istituzione, presiede i momenti strategici per l’impostazione della programmazione e risponde dei risultati; i docenti, sul piano individuale e collegiale, hanno “libertà di insegnamento” ma sono responsabili della progettazione e conduzione dell’impianto didattico, nonché della valutazione degli alunni; la comunità locale è corresponsabile, sul piano dei bisogni formativi e delle risorse, e interviene, anche attraverso la compartecipazione alle entrate fiscali, per quanto riguarda il sostegno all’intero sistema: essa deve poter partecipare tenendo presente l’integrazione tra i servizi educativi del territorio. La presidenza del Consiglio dell’Istituzione Scolastica viene mantenuta ad un membro eletto dalle famiglie, che con il dirigente scolastico ed altre componenti saranno coinvolte nelle modalità di rappresentanza della stessa, sia per intraprendere intese e azioni locali, sia nei processi elettivi di livello regionale e nazionale. La scuola veramente autonoma non potrà sottrarsi a processi valutativi per corrispondere agli standard indicati a livello di sistema, ma anche come capacità di autoanalisi delle proprie attività, di confronto dei risultati e con le aspettative e su come riesce ad promuovere il successo formativo, anche attraverso una autonomo nucleo di valutazione. L’autonomia è prima di tutto un processo culturale che oltre a rendere più efficiente il servizio deve migliorare costantemente la consapevolezza di assicurare su tutto il territorio nazionale un sistema di qualità nel quale viene tutelata la libertà di insegnamento. Il tutto verrà demandato ad un “Consiglio delle Autonomie Scolastiche”. Sono sempre le medesime autonomie scolastiche il riferimento per le politiche regionali e degli enti locali, i quali devono valorizzare le associazioni tra le scuole che vogliono accrescere l’efficacia della loro presenza e della loro azione insieme ad altri enti e soggetti locali. Un risultato importante, raggiunto a livello parlamentare, come non si vedeva da tempo: il potere legislativo che finalmente si riappropria del suo ruolo ed i problemi della scuola non vengono relegati alla sola gestione burocratica. Sarà la nuova tregua politica ? Fatto sta che questo provvedimento, bipartisan, è di buon auspicio, sia per il modo, anche se affrettato, sia per il luogo, che allontana dagli interessi che cercano di prevalere in altri palazzi del governo. Attraverso questi strumenti l’autonomia cerca di prendere il largo, ma la nave è ancora fragile e rischia di incappare nei pericoli tesi da vecchi e nuovi centralismi; soprattutto è la cultura dell’autonomia ed i protagonisti di questa esperienza che devono portare la scuola all’interno di processi sociali significativi per lo sviluppo del territorio ai diversi livelli, in modo da valorizzare questa funzione non solo secondo la logica della gerarchia delle fonti del diritto, ma della qualità della crescita delle persone, dell’economia, della società. E qui c’è un problema di cornice istituzionale: senza l’applicazione del Titolo Quinto della Costituzione le pedine non vanno a posto ed alcuni passaggi di questa legge sono scivolosi. Ciò

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che si mette come norma transitoria, riferita al potere degli Uffici Regionali dell’Amministrazione Scolastica nel controllo degli statuti e del (mal)funzionamento degli organi, rischia di rimanere in eterno se le competenze non vengono definitivamente decentrate agli enti territoriali ed alle scuole stesse. Il riferimento alle norme di contabilità dello stato per la redazione del “programma annuale” diventerà un macigno sulla strada della gestione delle risorse, soprattutto se lo Stato continuerà ad essere pressoché l’unico finanziatore. Abbiamo già avuto esperienza di come un decreto di contabilità (1975) di fatto abbia bloccato la nascente autonomia dei decreti delegati (1974). Più o meno le cose stanno ancora così nonostante l’ammodernamento della redazione del bilancio. Altro che scuole/fondazioni, di cui peraltro si è persa traccia! Anche quando si parla di “regolamento” relativo alle reti ed ai consorzi occorre vigilare, per vedere se sono regole che favoriscono o inibiscono. Rispetto alle risorse finanziarie si capisce che siano erogate in gran parte dallo Stato ed altri (Fondazioni, privati, e quindi anche le famiglie) possono intervenire in senso integrativo, ma la novità insita nel federalismo fiscale è proprio la modalità con la quale vengono prelevate, non più soltanto a livello di trasferimenti (es: fondo di istituto), ma di compartecipazione ai tributi locali/regionali. Quindi occorre presidiare ora l’altro settore, quello delle norme sulle autonomie locali, in discussione al Senato. E’ per questo che se da un lato occorre che i servizi educativi – scolastici e formativi rientrino (come sono rientrati) tra le “funzioni fondamentali” degli Enti Locali e quindi ciò richiede una efficace azione di questi ultimi sul piano delle programmazione della organizzazione Es.: unioni di comuni/istituti comprensivi), dall’altro diventerà progressivamente inutile uno stringente riferimento alla contabilità statale, quando magari proprio lo Stato si potrebbe limitare alla retribuzione (con partita di spesa in conto tesoro) del personale. Da notare che l’autonomia finanziaria era già contenuta nell’art. 21 della legge 59/1997. Compito vero dello Stato fin qui disatteso sono le “norme generali sull’istruzione” e i predetti livelli essenziali delle prestazioni: ma su questo non accade nulla, nemmeno nei più recenti provvedimenti del nuovo Governo. Ed allora forse tocca ancora al Parlamento!? Anche le disposizioni di questa legge costituiscono norme generali sull’istruzione, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera n), della Costituzione ed in quello spirito sono dunque finalizzate alla piena attuazione dell’autonomia scolastica, come indicata dalla già citata legge n.59 del 15 marzo1997, art. 21 e dal DPR n. 275 del 8 marzo 1999. La nuova governance degli istituti scolastici fa leva sulla capacità delle scuole stesse di concorrere alla definizione e alla realizzazione degli obiettivi educativi e formativi, che trovano poi compiuta espressione nel piano dell’offerta formativa, fondato su uno stretto rapporto con la domanda sociale, senza perdere di vista l’efficacia (valutazione) della sua appunto funzione universalistica di crescita personale e culturale. Dovranno quindi essere valorizzati la funzione educativa dei docenti, il diritto all’apprendimento e alla partecipazione degli alunni alla vita della scuola, le scelte dei genitori, il patto educativo tra famiglie e docenti e tra istituzione scolastica e territorio. Con questa legge lo Stato non deve cercare le modalità per condizionare l’autonomia, è già stato così per più di vent’anni con la sperimentazione, in barba a quanto previsto dall’art. 3 del DPR 419/1974 e dall’art. 11 DPR 275/1999, ma fare la sua parte secondo quanto la costituzione gli affida. E’ ovvio che senza cornice si rischia lo sbandamento, ma con la gestione centralistica siamo già nella paralisi. Il problema dunque non sta nel prevedere nuove reti di scuole per la gestione degli organici, ma in organici anch’essi funzionali alla popolazione scolastica ed all’offerta formativa dati alle autonomie scolastiche, che per effetto delle varie soluzioni territoriali (istituti comprensivi, ISII, ecc.) sono già reti e possono per effetto di quanto già previsto dall’art. 7 del citato decreto 275 scambiarsi il personale e costituire anche laboratori per la documentazione, la ricerca, l’innovazione. Le reti devono infatti essere convenienti e non obbligatorie e andranno valorizzate associazioni di scuole autonome che si costituiscono per esercitare un migliore coordinamento delle azioni delle stesse ed aumentare l’efficacia dei rapporti con altri enti e realtà territoriali. Domanda e offerta, qualità e partecipazione sono ingredienti che lo Statuto deve saper far reagire per la costruzione della comunità scolastica pienamente inserita in quella territoriale, garantendo per studenti e famiglie l’esercizio dei diritti di riunione e di associazione. In quest’ottica si inserisce la necessità di rendere più flessibili curricoli, tempi, gruppi e organizzazione della didattica e quindi di un’adeguata politica del personale.

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Sul piano della valutazione resta in piedi il comitato di valutazione del servizio degli insegnanti di cui al DPR 416/1974, in attesa che venga affrontato il tema specifico anche in vista delle ipotizzate diversificazioni di carriera, e viene introdotto, come si è detto, il nucleo di autovalutazione del funzionamento dell’istituto. Esso coinvolge gli operatori scolastici, gli studenti, le famiglie e predispone un rapporto annuale di autovalutazione, anche sulla base dei criteri, degli indicatori nazionali e degli altri strumenti di rilevazione forniti dall’INVALSI. Tale Rapporto è assunto come parametro di riferimento per l’elaborazione del piano dell’offerta formativa e del programma annuale delle attività, nonché della valutazione esterna della scuola realizzata secondo le modalità che saranno previste dallo sviluppo del sistema nazionale di valutazione. La scuola può decidere di rendere pubblico il rapporto, ma in ogni caso deve organizzare annualmente una “conferenza di rendicontazione”. La “rappresentanza istituzionale delle scuole autonome” viene costituita a livello locale, regionale e nazionale. Quest’ultima con un decreto del ministro si istituisce il predetto Consiglio delle Autonomie Scolastiche, composto da rappresentanti eletti rispettivamente dai dirigenti, dai docenti e dai presidenti dei consigli delle istituzioni scolastiche autonome. E’ presieduto dal Ministro o da un suo delegato e vede la partecipazione anche di rappresentanti della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, delle Associazioni delle Province e dei Comuni e del Presidente dell’INVALSI. E’ un organo di partecipazione e di corresponsabilità tra Stato, Regioni, Enti Locali ed Autonomie Scolastiche nel governo del sistema nazionale di istruzione. E’ altresì organo di tutela della libertà di insegnamento, della qualità della scuola italiana e di garanzia della piena attuazione dell’autonomia delle istituzioni scolastiche. In questa funzione esprime l’autonomia dell’intero sistema formativo a tutti i suoi livelli. A livello regionale saranno le rispettive leggi, in attuazione degli art 117, 118 e 119 della Costituzione a prevedere strumenti e modalità di relazione con le autonomie scolastiche e per la loro rappresentanza in quanto considerate soggetti imprescindibili nell’organizzazione e nella gestione dell’offerta formativa regionale, in integrazione con i servizi educativi per l’infanzia, la formazione professionale e permanente, in costante confronto con le politiche scolastiche nazionali e prevedendo ogni possibile collegamento con gli altri sistemi scolastici regionali. Le Regioni istituiscono la “conferenza regionale del sistema educativo, scolastico e formativo. Essa svolge attività consultiva e di supporto nelle materie di competenza delle regioni stesse, e su richiesta di queste, esprimendo pareri sui disegni di legge attinenti il sistema regionale. Le Regioni istituiscono altresì Conferenze di ambito territoriale che sono il luogo del coordinamento tra le istituzioni scolastiche, gli Enti locali, i rappresentanti del mondo della cultura, del lavoro e dell’impresa di un determinato territorio. Alle Conferenze partecipano i Comuni, singoli o associati, l’amministrazione scolastica regionale, le Università, le istituzioni scolastiche, singole o in rete, rappresentanti delle realtà professionali, culturali e dell’impresa. Esprimono pareri sui piani di organizzazione della rete scolastica, proposte sulla programmazione dell’offerta formativa, sugli accordi a livello territoriale, sulle reti di scuole e sui consorzi, sulla continuità tra i vari cicli dell’istruzione, sull’integrazione degli alunni diversamente abili, sull’adempimento dell’obbligo di istruzione e formazione. Come si può vedere in conclusione tanti sono i provvedimenti che debbono essere composti e questo è una parte importante, affinché si possa davvero arrivare a costruire un sistema nazionale a partire dai territori e quindi dalle scuole autonome, assicurando risorse umane e finanziarie nell’ottica del multilivello, in modo che la formazione sia un’occasione di crescita di tutta la comunità nazionale, ma prima di tutto territoriale. Il riconoscimento dell’autonomia vuol dire innanzitutto che le scuole devono saper svolgere il loro ruolo, ma non lo imparano in un corso di aggiornamento organizzato dall’amministrazione scolastica, bensì in un costante rapporto con la realtà locale/nazionale, alle quali devono corrispondere in termini di ricerca e innovazione. Lo Stato deve fare altro, la cornice e il controllo; alle Regioni la programmazione, senza lasciarsi tentare dal riformare nuovi ministeri. Il circuito si può veramente chiudere. C’è ormai tutto quel che serve, ora largo alla volontà politica: lo potrebbe fare un governo tecnico anche con costi molto limitati. Ma non vi è nulla di questo nei documenti programmatici: forse possiamo chiederci il perché e darci anche qualche risposta circa un’idea immortale di centralismo: le leggi vi son ma chi pon mano ad esse? Lavorare sulla governance senza autonomia vera è ammassare anche questo provvedimento nel magazzino già affollato degli attrezzi legislativi.

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09. L’autogoverno delle scuole: finalmente una buona proposta – di A. Valentino (5-4–2012) La Commissione Cultura della Camera ha approvato, dopo anni di discussione, il testo di un DdL sulle “Norme per l’autogoverno delle Istituzioni Scolastiche” (IS), che porta a sintesi una serie di proposte, elaborate sul tema da quasi tutte le forze politiche (apripista: l’On. Aprea, 2009). L’accelerazione c’è stata a partire dal gennaio scorso, quando, archiviato il Governo Berlusconi e con esso il Ministro Gelmini, si sono create le condizioni per una intesa sulla riforma degli organi collegiali che vede protagonisti esponenti di tutta l’attuale “strana” maggioranza. Non è facile capire come si sia passati dalle posizioni distantissime degli anni precedenti all’intesa dei giorni scorsi. Che costituisce, “stranamente”, un buon passo in avanti in tema di riforma degli organi collegiali e più in generale di “autogoverno” delle IS. Le norme proposte recuperano, infatti, sull’autonomia scolastica, orientamenti e principi importanti che nel decennio precedente non sono rusciti mai a decollare, con conseguenze di cui si soffre tuttora. Il riferimento non è tanto alla possibilità di ciascuna IS di definire, con un proprio Statuto, regole e norme di autogoverno (aspetto certamente importante, ma non dirimente), quanto piuttosto a novità che potrebbero ridisegnare in meglio l’intero profilo del sistema scuola. Le novità Metterei al primo posto la distinzione chiara tra i diversi livelli di “competenze” dei tre organi principali: il Consiglio dell’Autonomia – CdA - (l’attuale CdI) che ha funzioni di indirizzo; il Consiglio dei Docenti (oggi, Collegio Docenti), con funzioni tecniche, e il Dirigente Scolastico (DS), responsabile della gestione. Distinzione volta a superare confusioni di ruolo e sovrapposizioni tra gli attuali organi collegiali. L’altra novità riguarda il modello di istituzione, tendenzialmente aperta e responsabile, che si prefigura attraverso opportuni strumenti. Ne emerge un’idea di scuola a. che si interroga statutariamente in proprio sull’efficienza, efficacia e qualità del proprio servizio, attraverso una apposito Nucleo di autovalutazione, b. che dà conto annualmente di quello che fa in una apposita Conferenza, detta appunto di rendicontazione, aperta a tutte le componenti scolastiche ed ai rappresentanti degli enti locali e delle realtà sociali, economiche e culturali del territorio, c. che opera non più secondo logiche interne e autoreferenziali, essendo prevista, nei vari organismi, la presenza di soggetti esterni (un esperto e un genitore, nel nucleo di autovalutazione; membri esterni, rappresentativi di enti locali, mondo della cultura e del lavoro …, nel Consiglio dell’Autonomia), d. che è strutturalmente inserita in una rete di relazioni con le altre autonomie scolastiche e amministrative, i cui strumenti (Conferenza Regionale e Conferenze di ambito territoriale) – ma anche le modalità di rappresentanza e gli ambiti - sono definiti dall’Ente Regione. Va sottolineato quanto le norme prevedono al riguardo: e cioè che le scuole autonome, opportunamente rappresentate, costituiscono - nella Conferenza regionale - “soggetti imprescindibili nell’organizzazione e nella gestione dell’offerta formativa e sono chiamate ad un ruolo consultivo e di supporto nelle materie di competenza; mentre le conferenze di ambito territoriale “sono il luogo del coordinamento tra le istituzioni scolastiche, gli Enti locali, i rappresentanti del mondo della cultura, del lavoro e dell'impresa di un determinato territorio”. E’ evidente la logica di sistema che informa queste norme - che diventeranno operative a seguito di specifici provvedimento del MIUR (per quanto riguarda la Conferenza nazionale) e delle Regioni (per la Conferenza regionale e per quelle di ambito territoriale)- Come evidenti appaiono le possibilità che si aprono alle scuole autonome (“da sole o in rete”) per superare la propria separatezza e autoreferenzialità, che sono tra le cause della crisi dell’intera sistema. La terza novità riguarda la riconsiderazione degli organismi collegiali dei docenti e del loro lavoro. Rispetto ai quali si acquisisce definitivamente - e per tutti gli ordini e gradi di scuola - che Il Consiglio dei docenti “opera anche per commissioni e dipartimenti” (oltre che per consigli di classe) e si afferma che, rispetto all'attività didattica di ogni classe, i docenti sono “responsabili” della loro programmazione e attuazione e che, “nel quadro delle linee educative e culturali della scuola e delle indicazioni e standard nazionali per il curricolo”, operano “nella piena responsabilità e libertà di docenza”.

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Evidenzierei, oltre al richiamo insistito sulle responsabilità, anche il riferimento non tanto alle indicazioni nazionali, quanto agli standard nazionali (che però sono ancora tutti da costruire), come vincolo nelle attività di programmazione / progettazione e di valutazione. Si tende, penso, attraverso di essi, a dare risalto ad una funzione fondamentale della scuola: garantire a tutti i giovani livelli essenziali di prestazioni e risultati tendenzialmente omogenei sul piano nazionale. Ovviamente tutto questo, che non è certamente una novità (ma ribadirlo è importante) rinvia a opportune condizioni di fattibilità: ma, di queste, in successive considerazioni . Sul Dirigente scolastico Annotazioni infine sul DS, le cui funzioni - che attengono, come è noto, alle responsabilità gestionali - sono richiamate in uno specifico articolo. Niente di nuovo su questo fronte: il DS “risponde dei risultati del servizio agli organismi istituzionalmente e statutariamente competenti”. L’ affermazione, ovvia, fa però intravedere poco la pesantezza dei carichi aggiuntivi che ne deriveranno al DS, stante il permanere di un modello organizzativo a cui è ancora sostanzialmente estranea ogni idea di leadership plurale e istituzionalmente partecipata (e contrattualmente riconosciuta). Questione, come è noto, drammaticamente aperta, destinata a pesare negativamente anche nella realizzazione del pur innovativo modello che queste norme di autogoverno prevedono. Una sola sottolineatura al riguardo. La si ricava dall’articolo 3, sul Consiglio dell’Autonomia, dove si precisa che, relativamente all’’adozione del POF e alla designazione dei membri del Nucleo di autovalutazione da parte del Consiglio, “è necessaria la proposta del dirigente scolastico”. Che va letta, penso, come attestazione del ruolo centrale del DS nel governo complessivo dell’Istituto. Le questioni aperte Riprendiamo conclusivamente il discorso delle condizioni. Una delle prime riguarda l’ adeguatezza (ai vari livelli: natura, compiti, risorse) del sistema nazionale di valutazione e delle sue articolazioni (e dell’INVALSI in particolare), che, allo stato attuale, presenta non poche difficoltà di funzionamento e criticità. Le ragioni le ho richiamate quando ho accennato alla riconsiderazione del lavoro docente nella configurazione del modello di scuola che emerge dal testo. Ma non va neanche sottovalutata la necessità di una formazione ad hoc del personale in generale e dei docenti in particolare: nelle norme, come già detto, si prefigura una visione del lavoro docente e delle sue responsabilità e competenze che non possono essere date per scontate. L’organico funzionale – che è altra cosa rispetto all’organico dell’autonomia di cui alla legge sulle Semplificazioni – è un’altra importante condizione. Ma è inutile parlarne nella situazione data. Invece non va sottaciuta la necessità di sviluppare motivazione e voglia di mettersi alla prova dei tanti docenti che si aspettano messaggi di attenzione e riconoscimenti in termini econonici e di carriera del proprio lavoro. Se mancano messaggi credibili, almeno di prospettiva, su questi terreni è difficile che si possano scrivere capitoli migliori della storia della nostra scuola. Continuare a parlare di tagli – come si continua a fare - non è, per esempio, un buon segnale. E neanche leggere l’ultimo articolo delle Norme che richiama come all'attuazione della presente legge si provvede, da parte delle amministrazioni competenti, “nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”. Amen. Comunque, una svolta. Con qualche ambiguità (da correggere) Nonostante questi ultimi richiami e considerazioni, credo che portare comunque a conclusione in tempi utili l’iter parlamentare del DdL è in sé cosa buona e giusta. Perciò occorre che i prossimi passaggi nelle altre commissioni parlamentari permettano di arrivare all’approvazione definitiva del testo prima che comincino le fibrillazioni dei partiti per le elezioni politiche. Rispetto al DdL licenziato, rivedrei comunque almeno due passaggi, entrambi nell’art. 6: il primo dove si afferma che competenza del CdD è la “Programmazione dell’attività didattica”, senza ulteriori precisazioni (non si capisce infatti qual è il risultato atteso); il secondo dove si afferma che lo statuto “disciplina l’attività del Consiglio dei docenti e le sue articolazioni” (che

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mi sembra un po’ contradditorio rispetto allo spirito delle Norme). E inserirei nella composizione del CdA un rappresentante del personale ATA. Per il resto, con le necessarie iniziative di riflessione e pressione, soprattutto speranze … oltre ogni ragionevole dubbio.

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10. Conferenza delle Regioni E Delle Province Autonome: parere su PDL governante delle scuole (19-04-2012)

CONFERENZA DELLE REGIONI E DELLE PROVINCE AUTONOME 12/64/CR12B/C9 PROPOSTA DI LEGGE NORME PER L'AUTOGOVERNO DELLE ISTITUZIONI SCOLASTICHE STATALI E LA LIBERTÀ DI

SCELTA EDUCATIVA DELLE FAMIGLIE, NONCHÉ PER LA RIFORMA DELLO STATO GIURIDICO DEI

DOCENTI. La Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, esaminato il testo attualmente all’esame della Commissione VII della Camera in sede legislativa, ne condivide sostanzialmente obiettivi e principi ispiratori. Con specifico riferimento all’articolo 11 della proposta di legge, che coinvolge più strettamente le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, la Conferenza chiede di apportare le seguenti modifiche: al comma 4 sostituire le parole “Le Regioni possono…” con “Ciascuna Regione può….” al comma 5 modificare la frase: “…di competenza delle Regioni o su richiesta di queste” con “ …di competenza della Regione o su richiesta di questa” riformulare il comma 6 nel seguente modo: “Le Regioni d'intesa con gli Enti Locali e le autonomie scolastiche possono definire gli ambiti territoriali, all’interno dei quali possono istituire Conferenze di ambito territoriale che sono il luogo del coordinamento tra le istituzioni scolastiche, gli Enti locali, i rappresentanti del mondo della cultura, del lavoro e dell'impresa di un determinato territorio” cassare i commi 7 e 8. La Conferenza propone infine di inserire il seguente articolo 12 ter: (Disposizioni particolari per le Regioni a Statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano) Sono fatte salve le competenze delle Regioni a Statuto speciale e delle Province autonome di Trento e Bolzano che provvedono alle finalità della presente legge in conformità ai propri Statuti speciali e alle relative norme di attuazione. Roma, 19 aprile 2012

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11. La riforma degli OO.CC. è una grande occasione di rilancio dell’autonomia scolastica di Lucio Ficara - scuolaoggi (19-4-2012) La riforma degli OO.CC. è una grande occasione di rilancio dell’autonomia scolastica

Per il bene della scuola italiana, la nostra scassatissima autonomia scolastica deve essere urgentemente riabilitata e riarticolata. L’autonomia scolastica dopo oltre dieci anni dalla sua nascita ha evidenziato tutti i suoi limiti genetici, connaturati al periodo storico della sua attuazione. La autonomia scolastica si sviluppa in un’Italia post tangentopoli , dove il ritardo di crescita culturale e sviluppo economico rispetto agli altri Paesi d’Europa, sono alla base dell’idea politica riformatrice del sistema educativo Nazionale. L’esigenza di avere una scuola più vicina agli studenti, alle famiglie e legata sinergicamente al territorio, è stato lo spirito con cui si è intervenuti a modificare il titolo V della nostra Costituzione.

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Il passaggio da un sistema scolastico centralizzato e Nazionale ad un sistema scolastico autonomo e responsabile è stata l’idea politica per dare l’opportunità al cittadino di scegliere, tra le tante offerte didattiche proposte , il tipo di scuola e di offerta formativa più adeguata. Un’eccellente idea politica che è stata attuata pessimamente, tanto da risultare, per l’indagine annuale OCSE-PISA, un sistema scolastico tra i meno produttivi di Europa. Carenti in modo particolare risultano le valutazioni dell’operato della scuola italiana, che non prevede dispositivi di verifica e conseguente valutazione del lavoro prodotto da una certa istituzione scolastica e l’etica della responsabilità organizzativa - amministrativa dei dirigenti scolastici. Esiste un evidente problema di leadership culturale e didattica, necessaria per la condivisione da parte dei docenti della scuola del progetto educativo e didattico.

In un quadro di riforma dell’autonomia scolastica bisogna dare spazio a quelle procedure di accountability in modo da determinarne le azioni professionali dei docenti e il loro comportamento all'interno del sistema scuola. Questo deve avvenire con regole trasparenti, fortemente condivise, auspicabilmente oggettive, al fine di dare ai docenti prospettive di carriera e di valutazione professionale. Poiché la valutazione professionale è una questione delicata e di notevole responsabilità, la procedura che ho appena descritto dovrebbe essere monitorata da una figura ispettiva, che agisce da garante, che deve essere scollegata dalla scuola e dal territorio in cui opera la scuola.

La riforma degli Organi Collegali, di prossima discussione nelle aule parlamentari, è una grande occasione di rilancio dell'autonomia scolastica , che in alcun modo deve essere preda degli interessi privati delle imprese del territorio , ma deve interagire , con protocolli d’intesa, culturalmente e paritariamente con le istituzioni sociali , culturali ed economiche del proprio territorio. Per una autonomia scolastica di qualità, la riforma degli organi collegiali deve ispirarsi a principi di democrazia, dove, per esempio, il Collegio dei Docenti deve tornare ad essere centrale nelle decisioni che si riferiscono alla didattica. Il governo deve tornare ad investire sulla scuola e su i suoi docenti, si deve predisporre un organico funzionale libero dal vincolo dell’art.64 delle legge 133/08, si devono regolamentare i doveri e i diritti dei docenti attraverso norme e contratti chiari, semplificati e trasparenti, che trovino l’equilibrio del rispetto dell’autonomia ma anche della Costituzione. Poiché le buone idee riformatrici non camminano mai da sole, c’è un grande bisogno di dialogo, rispetto e buon senso di tutte le parti politiche, che dopo tante delusioni e mortificazioni, adesso hanno la possibilità di fare, una volta tanto, una cosa utile per il futuro dei giovani italiani.

************** 12. La riforma degli Organi Collegiali: i cambiamenti e le assenze – di A. Valentino (20-4-2012) Quali attese Della riforma degli organi collegiali (Decreti Delegati del ’74) parla forse per la prima volta la Legge che attribuisce autonomia alle scuole (L. 59 del 1997, art. 21) e così ne fissa i criteri per gli aspetti che ci interessano:

� razionalizzazione degli organi ….; � eliminazione delle duplicazioni organizzative e funzionali….; � valorizzazione del collegamento con le comunità locali.

Ma il Disegno di Legge (DdL), licenziato recentemente dalla Commissione Cultura della Camera, promette giustamente qualcosa di più, perché nel frattempo alcuni nodi nel governo delle scuole sono venuti al pettine e si rendeva perciò necessaria un’operazione più in profondità. Queste innovazioni del DdL corrispondono alle attese del mondo della scuola? Almeno della sua parte più avveduta e “speranzosa”? In un precedente contributo ho evidenziato come le novità delle norme di autogoverno non riguardano – ovviamente - solo la previsione, che più salta all’occhio, di un nuovo importante organo quale il Nucleo di autovalutazione, o di uno strumento che dà il segno di una idea moderna di scuola, quale la Conferenza di Rendicontazione, o la presenza, all’interno degli Organi, di figure esterne, rappresentative delle attese e dei bisogni del territorio. Non va sottovalutata infatti l’importanza, per alcuni versi anche maggiore, dello Statuto come strumento principe dell’autogoverno (Con una qualche ragione si parla, nel DdL, di “autonomia

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statutaria”, a sottolineare l’importanza dell’autodeterminazione delle regole di funzionamento interno). Qui interessa invece approfondire soprattutto cosa cambia e cosa permane nelle competenze e nei rapporti tra gli organi (quello dei Docenti e quello delle varie componenti) che pure, con variazioni terminologiche, continuano ad avere le principali responsabilità nel funzionamento complessivo della scuola. La prima cosa che risalta, riprendendo in mano il testo base dei Decreti delegati (DD) del 74 (ancora oggi, dopo ormai quasi tre lustri dall’introduzione dell’Autonomia Scolastica, base normativa di riferimento nel funzionamento dei CdI e dei CD: ciò a ribadire, ove ce ne fosse bisogno, che siamo un popolo ‘tenace’ e ‘persistente’), è la presenza di pesi e contrappesi nella definizione di compiti dei due organismi allora più importanti: con conseguenze spesso paralizzanti della partecipazione, per via delle pesanti sovrapposizioni e duplicazioni di compiti. Col passaggio all’autonomia, e quindi con il riconoscimento della Dirigenza al Capo di Istituto, il quadro è diventato ancora più disorientante. E tale è oggi. Dal Collegio Docenti al Consiglio dei docenti Col nuovo testo, viene abrogato l’art. 7 (Collegio docenti) del vecchio Decreto Delegato, per come risulta inserito nel Testo Unico (TU) del 1994. E al suo posto troviamo un articolo (n. 6), intitolato al Consiglio dei docenti. Le cui competenze, attinenti alla funzione tecnica, vengono così ridefinite: - la programmazione dell’attività didattica in seduta plenaria, - la programmazione delle attività della classe e loro attuazione, - l’attività valutativa, , - l’ elaborazione del POF, secondo quanto previsto dal 275/99 (art3). Abrogazioni e novità Per capire il lavoro di razionalizzazione, di snellimento e di redistribuzione dei compiti, vanno richiamate almeno le materie, attribuite al Collegio Docenti, che in questi anni hanno creato più perplessità e controversie, e le cui norme risultano pertanto ora abrogate. Come, ad esempio, quelle della formazione e della composizione delle classi e dell'assegnazione ad esse dei docenti; della formulazione – in termini di proposte - dell'orario delle lezioni e per lo svolgimento delle altre attività scolastiche; della suddivisione dell'anno scolastico in due o tre periodi; del funzionamento didattico del circolo o dell'istituto. Con questa riforma, l'attività del nuovo Consiglio dei docenti e delle sue articolazioni è invece “disciplinata” dallo Statuto (disposizione questo che penso meriti una più attenta riconsiderazione critica). Punto fermo è che, comunque, lo stesso “opera anche per commissioni e dipartimenti, consigli di classe e, ai fini dell'elaborazione del piano dell'offerta formativa, mantiene un collegamento costante con gli organi che esprimono le posizioni degli alunni, dei genitori e della comunità locale”. Una riflessione sul cambiamento del nome: certamente “collegio” è più pregnante ed evoca, nell’immaginario comune, organismi con particolari poteri e di particolare compattezza e autorevolezza. “Consiglio” è termine più comune e meno evocativo. Quale il senso del cambiamento? Lo si è voluto uniformare, nella scelta lessicale, al Consiglio dell’Autonomia? Perché? È scelta logica, trattandosi comunque di un organismo professionale? Per quanto la sua autorevolezza e funzionalità e il cui ruolo, siano, penso, tutti da ricostruire? Interrogativi che restano in piedi. Dal Consiglio di Istituto al Consiglio dell’Autonomia Si intende, al riguardo, richiamare in prima battuta che con l’abrogazione dell’art. 10 del TU, intitolato al Consiglio di Istituto, scompare il riferimento a “poteri deliberanti” nella sfera amministrativa, lì ad esso attribuiti; quali ad esempio:”l’acquisto, rinnovo e conservazione delle attrezzature tecnico-scientifiche e dei sussidi didattici, e loro uso” o “l’organizzazione e programmazione della vita e dell'attività della scuola”. Viene abolito anche il riferimento alla competenza in base alla quale il CdI “dispone in ordine all'impiego dei mezzi finanziari per quanto concerne il funzionamento amministrativo e didattico”. Queste disposizioni abrogative, sappiamo, muovono dal principio della separazione dei poteri secondo il quale i Dirigenti hanno competenza diretta nell’adozione di atti amministrativi prima spettanti all’organo di indirizzo (art. 4 del decreto legislativo 165)

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Nel nuovo art. 3 del DdL, intitolato al Consiglio dell’Autonomia, vengono ovviamente confermate tutte le prerogative afferenti alla funzione di indirizzo (adozione del POF, approvazione del programma annuale e del conto consuntivo; deliberazione del regolamento di istituto……), con l’aggiunta di due novità. La prima riguarda l’adozione dello Statuto (art.4) (che – si afferma - “non è soggetto ad approvazione o convalida da parte di alcuna autorità esterna”), attraverso il quale le scuole “ regolano l'istituzione, la composizione e il funzionamento degli organi interni, nonché le forme e le modalità di partecipazione della comunità scolastica”. Norma attesa almeno dai tempi dell’emanazione del Regolamento dell’Autonomia e che finalmente può permettere una configurazione della regolazione intena più in sintonia con le caratteristiche e le attese della comunità scolastica. La seconda riguarda la designazione dei componenti del Nucleo di autovalutazione, con cui la scuola realizza un monitoraggio continuo del suo andamento didattico e organizzativo, anche in funzione della Conferenza annuale di Rendicontazione. Novità importante è quella della composizione del Consiglio, non solo per quanto riguarda il numero (fortemente ridimensionato: fra i nove e i tredici membri) e i criteri di rappresentanza (pariteticità di docenti e genitori); ma soprattutto – lo si è già richiamato - per quanto riguarda la presenza di membri esterni (“scelti dal consiglio stesso, rappresentativi degli enti locali e del mondo della cultura e del lavoro, in numero non superiore a due”), espressione dell’apertura al territorio e del superamento potenziale dell’autoreferenzialità. Scompare definitivamente la Giunta Esecutiva. Con la sua eliminazione viene altresì abrogata definitivamente anche la norma che attribuisce a questo organismo la predisposizione del bilancio preventivo e del conto consuntivo (già superato tra l’altro dal D.I. 44/2001) e la competenza per i provvedimenti disciplinari a carico degli alunni (anche questo superato dall’introduzione dallo Statuto delle studentesse e degli studenti). Dal Direttore Didattico/Preside al Dirigente Scolastico (DS) A proposito del DS, le norme del DdL confermano compiti e funzioni già riconosciuti dalla normativa, a partire dalla Legge istitutiva dell’autonomia, e coerente con l’impianto complessivo configurato per l’autogoverno delle scuole: “Il dirigente scolastico ha la legale rappresentanza dell'istituzione e, sotto la propria responsabilità, gestisce le risorse umane, finanziarie e strumentali e risponde dei risultati del servizio agli organismi istituzionalmente e statutariamente competenti”. Mi limito qui a osservare che l’inciso “sotto la propria responsabilità”, riferito anche alla gestione delle risorse umane si discosta vistosamente da quanto recita invece il Decreto legislativo 165/2001. Che colloca invece “l'adozione dei provvedimenti di gestione delle risorse e del personale” - che spetta al DS - “nell'àmbito delle funzioni attribuite alle istituzioni scolastiche” (art. 25, comma 4). Penso si tratti di questione comunque critica da approfondire e discutere. Conclusioni Alcune considerazioni finali suggerite dall’attuale situazione che vive la nostra scuola. Direi in primo luogo che la riforma va vista – e valutata – nella sua globalità. Pensare infatti di dare centralità alle sole norme dell’autogoverno delle singole scuole, non farebbe fare passi in avanti. Senza un recupero della scuola come istituzione che opera nel territorio e di una governance di sistema in cui si collochi il governo delle singole istituzione, l’operazione sarebbe destinata al fallimento. Mancherebbero confronti, collaborazioni, stimoli, verifiche, rendicontazioni e trasparenza e risulterebbe fortemente annacquato il principio di responsabilità che è centrale nell’intero processo di riforma che si intende avviare. Va aggiunto che, quand’anche questo disegno di legge, con gli opportuni e necessari miglioramenti, venisse miracolosamente approvato in tempi non biblici (siamo comunque il paese di Padre Pio), nessuno può pensare che possa determinare cambiamenti significativi per garantire qualità organizzativa e innovazioni migliorative. Dare gambe alle riforme e monitorarne i processi è il primo grande impegno di una politica che crede alle cose che mette in campo. Perciò, lavorare alle condizioni attuative dovrebbe diventare la priorità. E la prima e più importante rimane sempre quella di recuperare dignità e valore al lavoro della scuola – e quindi all’istruzione e alla cultura -. Che è certamente obiettivo che tira in ballo le responsabilità di DS e docenti per la loro parte; ma che richiede soprattutto una riconsiderazione – a livello Paese - del senso e dell’importanza della scuola sotto il profilo

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sociale ed economico. È su questi aspetti che vanno richiamate le responsabilità della politica. E oggi la leva più promettente rimane sempre quella della valorizzazione del lavoro docente, della sua rinnovata motivazione e del suo sviluppo professionale (attraverso meccanismi credibili di sviluppo di carriera, di responsabilizzazione rispetto agli esiti, di condivisione riconosciuta della leadeship di istituto). Solo così, forse, si potrà pensare di contrastare la pesante situazione di stallo e spesso di inconcludenza che ci si trova a vivere nella maggior parte delle nostre scuole. Investire su questa riforma può comunque aiutare.

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13. La riforma degli Organi Collegiali di Pierluigi Alessandrini - Scuola oggi (20-4-2012) Vorrei sollevare il problema della riforma degli Organi Collegiali, attualmente in discussione, per porre la questione della presidenza dell'organismo "Consiglio della scuola" (ex Consiglio d'Istituto). Al suo interno potranno finalmente entrare di diritto i finanziatori (nel primo ciclo gli enti locali, che attraverso il diritto allo studio assicurano la funzionalità delle scuole), ma la presidenza resterà affidata a un genitore. Questo punto mi pesa particolarmente, a seguito dell'ingresso in campo dell'autonomia scolastica nel 2001. Qualche buontempone oggi asserisce che "l'autonomia del dirigente esce rafforzata dagli ultimi provvedimenti", ad esempio per l'assegnazione del personale ai plessi e alle classi. Mi vien da ridere: nemmeno le sentenze dei tribunali hanno dato un univoco orientamento, parteggiando ora per l'una ora per l'altra interpretazione e disorientando completamente i dirigenti scolastici. Ma tornando alla presidenza di un organo così importante, fino ad oggi non si poteva far altro che tenerli in questa forma, in quanto i decreti del 1974 non potevano essere disattesi, anche dopo il sostanzialmente diverso quadro uscito nel 2001 con l'avvento dell'autonomia. Ma oggi il senso della presidenza ad un genitore dove trova il suo fondamento? Lasciamo per un attimo da parte i voli politicamente ed eticamente troppo alti, che solitamente non portano risultati perché scollegati dalla realtà. Quale competenza e disponibilità di tempo potrà avere un genitore per presiedere tale organo? Quale disponibilità potranno avere i membri per far funzionare tale organo in modo diverso da quello odierno, attraverso gruppi di lavoro, commissioni ed altro, per creare le decisioni che attualmente vengono proposte, sintetizzate e spiegate al consiglio dal dirigente scolastico? Ritengo che una legge così nuova, che ci dovremo tenere per un elevato numero di anni, non possa prescindere dal considerare che il populismo deve lasciare il posto all'efficacia e all'efficienza. Chi ha competenze e tempo per elaborare indirizzi culturali, progetti e azioni è corretto che li presieda e li governi, altri soggetti avranno altri compiti che potranno essere di controllo e di valutazione. Vorrei anche sottoporre alla riflessione la modalità delle elezioni del prossimo organo collegiale: nella informativa ai genitori verrà inserito l'elenco dei compiti del consigliere e del presidente (che necessariamente dovrà essere un consigliere genitore tra gli eletti) e la necessità del presidente di tracciare le linee di lavoro dell'organo collegiale, con tempi, argomenti, attribuzioni di compiti, eccetera. Sono curioso di sapere quanti genitori si dichiareranno disponibili ad accettare di essere eletti in un tale organo. Perché nella scuola a seguito di questo provvedimento sarà effettivamente quello che dovrà fare. Una seconda riflessione: la futuribile valutazione del merito dei dirigenti dovrà tenere conto della marginalità della sua figura all'interno del nuovo quadro, che limita la sua funzione all'aspetto esclusivamente gestionale o propositivo. I risultati di gradimento scolastico da parte del pubblico, di allocazione di risorse nel programma annuale, di ricerca di fonti di finanziamento esterne non potranno più essere oggetto della valutazione di merito, a causa della marginale influenza del prèside all'interno del Consiglio della scuola, dove vige il principio "una testa un voto". Faccio l'esempio di alcune voci relative ai compiti del Dirigente inserite nel suo contratto individuale: "Predispone un piano di miglioramento dell'Offerta Formativa della propria scuola...", oppure "promuove e sviluppa... l'autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo...".

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Tutto questo con un genitore come presidente del Consiglio della scuola ed un solo voto a colui che presenta e propone!! È chiaro che si valuta una cosa che deriva dalle decisioni di un organo collegiale e non dalla propria capacità operativa. E non mi si dica che il presidente ed il dirigente lavorano in stretto rapporto per concordare strategie, tempi e modalità: significa che a tu per tu il dirigente spiega, ipotizza, propone e il presidente, dopo domande di approfondimento ed eventuali suoi apporti, assume. In pratica il lavoro è fatto dal dirigente, ma il merito è del presidente. Ancora una volta si predilige la facciata invece della autorevolezza del percorso. Naturalmente, su quasi 11.000 scuole, ci saranno anche situazioni che sono funzionanti grazie a genitori competenti, attivi e disponibili. Ma la maggior parte delle scuole non funziona così. Non è ancora arrivato il momento di togliere la separazione tra DIRE e FARE? Perché si continuano a ipotizzare situazioni che confliggono in teoria e in pratica? Perché le ipotesi che si fanno considerano i vari ruoli solo in maniera teorica e non considerano l' “effetto domino” di un provvedimento? Da ultimo sono a sottolineare che la rappresentanza legale dell'istituzione è attualmente del dirigente scolastico. Ma si è mai visto che tale compito venga svolto da chi non detiene la carica di Amministratore Delegato? Deve essere automatico che chi paga di persona è colui che guida, altrimenti la rappresentanza

legale con oneri ed onori deve essere spostata sul presidente del Consiglio della scuola

************** 14. "Autonomia scolastica e organi di governo della scuola" - TAVOLA ROTONDA (4-5-2012) al Convegno nazionale "La dirigenza scolastica tra questioni aperte e nuove complessità organizzative" STRUTTURA DI COMPARTO NAZIONALE DIRIGENTI SCOLASTICI FLC CGIL -NAPOLI . "Autonomia scolastica e organi di governo della scuola", è questo il titolo della Tavola rotonda sulla proposta di legge "Norme per l'autogoverno delle istituzioni scolastiche Statali" che sarà coordinata Armando Catalano, Dirigente scolastico. Ne dibattono Anna Maria Santoro, Segretaria nazionale FLC CGIL, Mario Battistini, Componente CNPI, Antonio D’Andrea, Docente di Diritto Costituzionale Università di Brescia e Elio Satti, Dirigente Settore Istruzione e Formazione Regione Toscana.

Punto di partenza della discussione su "Autonomia scolastica e organi di governo della scuola", coordinata dal dirigente scolastico Armando Catalano, è stata la proposta di legge di riforma degli organi collegiali attualmente all'esame del Parlamento.

La prima domanda è stata posta, quindi, ad Anna Maria Santoro della segreteria nazionale della FLC CGIL proprio per esprimere un giudizio sul ddl.

Santoro, dopo avere spiegato che il ddl è una buona base di discussione visto che è stato epurato degli aspetti più controversi del testo Aprea, si è soffermata sui principi portanti della posizione FLC sul governo della scuola. A questi principi si ispirano gli emendamenti al testo di legge che la FLC ha presentato ai gruppi parlamentari. La posizione della FLC nasce da un'elaborazione costruita negli anni sull'autonomia scolastica, che non è mai stato un concetto astratto, ma declinato sulle finalità della scuola e sulla sua missione. Non a caso ha citato gli articoli 3, 5, 33 e 35 della Costituzione. Il governo della scuola deve fondarsi sulla più ampia partecipazione di chi vi lavora, per questo tra gli emendamenti al ddl c'è l'inclusione del personale ATA nel Consiglio dell'autonomia e il diritto di voto del DSGA. Escludere una parte del personale della scuola dalla partecipazione attiva è "un errore politico, culturale, organizzativo" perché la separazione non crea qualità nel servizio. Ma la partecipazione deve includere anche genitori e studenti. La FLC guarda con interesse all'autonomia statutaria, ma essa non deve significare frammentazione del sistema di istruzione, al quale va garantita unitarietà. Altri aspetti su cui la FLC richiama l'attenzione sono gli organismi di garanzia della libertà di insegnamento e dell'autonomia professionale, la questione della rappresentanza delle scuole autonome, il ruolo dei privati, di cui le scuole possono avvalersi, ma solo se lo vogliono.

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Il richiamo all'autonomia statutaria ha fornito lo spunto per la seconda domanda che Catalano ha rivolto al costituzionalista Antonio D'Andrea, Docente all'Università di Brescia, sottolineando i timori e speranze che un tale concetto suscita.

Il professor D'Andrea ha colto una serie di aspetti problematici insiti non solo nella definizione, ma anche nelle fonti legislative. Ha tenuto subito a sottolineare la differenza con l'autonomia universitaria che con la legge 240/2010, ma già prima col ministro Moratti, è stata mortificata e subisce una dettagliata regolamentazione tutta incentrata sulla figura del rettore. L'autonomia non è autogoverno, perché le scuole fanno riferimento a due livelli normativi, quello statale e quello regionale, quindi l'autonomia statutaria sarà quello che questi due legislatori lasceranno disponibile. In astratto l'autonomia statutaria attiene alla libertà dell'istituzione scolastica che però incrocia un diritto costituzionale; la scuola attiva una macchina organizzativa che deve garantire l'eguaglianza nella fruizione del bene istruzione. Se i due legislatori lasciano alla scuola spazi di regolamentazione, attraverso l'autonomia essa può aggiungere un di più (di saperi) sugli standard già definiti. Quindi si tratta di un intervento aggiuntivo e non sostitutivo. Il ddl si occupa di aspetti solo organizzativi, libertà nell'organizzazione della somministrazione dei saperi e valutazione dei processi di apprendimento, ma non risolve questioni di fondo abbastanza complesse. L'autonomia statutaria è funzionale e non territoriale, qui il ddl già all'art. 1 dà definizioni improprie. L'autonomia statutaria non significa automaticamente autonomia finanziaria. C'è poi il problema dei controlli - chi e come - perché se il controllo è per consentire non c'è più autonomia. E poi c'è la questione basilare della libertà di insegnamento. La questione va chiarita anche concettualmente. Fino adesso è un tentativo maldestro di maquillage politico su un tema spinoso.

I problemi dell'autonomia professionale, che riguardano certo i docenti ma anche il resto del personale, soprattutto i dirigenti spingono Catalano a introdurre il tema del Consiglio nazionale delle Autonomie scolastiche, che, nelle intenzioni del ddl, dovrebbe sostituire il vecchio Cnpi. La questione viene posta a Mario Battistini che del Cnpi è componente da diversi anni. Battistini pone subito il concetto della centralità della scuola nel campo dell'istruzione. La dipendenza dell'amministrazione dalla politica, così accentuata negli ultimi anni, ha messo la scuola un po' in disparte con conseguenze tutte negative. La scuola è un "luogo appartato" ma "non separato". C'è stata una forte crisi della rappresentanza, ma un organo nazionale è utile non solo per l'autonomia delle istituzioni scolastiche, ma anche a garanzia dell'autonomia del sistema di istruzione. Il Cnpi è stato funzionale a un modello centralistico, oggi c'è bisogno di un organismo formato non solo da esperti ma che sia di rappresentanza di tutte le componenti scolastiche e delle istituzioni locali. Battistini ha poi richiamato una serie di problemi irrisolti, quale quello dell'autonomia professionale e dello statuto delle professioni, e aspetti critici, come le questioni disciplinari (di cui il Cnpi si è sempre occupato), sulle quali pesa e crea confusione la normativa Brunetta. Infine, ha espresso preoccupazione su possibili sovrapposizioni di competenze e sulla difficile gestione di un eventuale conflitto tra sindaco e dirigente scolastico in materia di istruzione.

La questione del riformato Titolo V della Costituzione da oltre 10 anni continua a riproporre nodi irrisolti. Ma sugli organi di governo della scuola la FLC intende aprire un dibattito, il più ampio possibile, affinché le scuole, prima di tutti, sia protagoniste nella decisione di come vanno governate.

Alla tavola rotonda avrebbe dovuto partecipare il dirigente scolastico della Regione Toscana, Elio Satti che però è stato trattenuto da impegni inderogabili. **************

************** 15. A proposito di autogoverno e dimensionamenti - di A.Valentino (7-5-2012)

Cosa fa il Ministro? L’approvazione del DDL sull’autogoverno delle scuole da parte della VII Commissione della Camera ha avuto una discreta eco nel pianeta scuola. Associazioni professionali e organizzazioni sindacali hanno espresso commenti e posizioni articolati, dove, a fianco di rilevazioni critiche, si colgono anche diffusi apprezzamenti. Da parte

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di tutti c’è l’auspicio, al riguardo, di una campagna di informazione e dibattito e l’impegno comunque a farsene carico e ad esserne protagonisti. Anche la Conferenza delle Regioni è intervenuta esprimendo condivisione sostanziale degli obiettivi e dei principi ispiratori e formulando, per quanto di sua competenza, emendamenti che non sembra contraddicano l’impianto complessivo del DDL. A questa pluralità e densità di commenti del mondo della scuola non sembra corrispondere altrettanta attenzione da parte dell’Amministrazione. Almeno a voler dar peso all’assenza di riferimento a queste problematiche nell’Atto di indirizzo del Ministro (le priorità politiche) per il 2012; atto di indirizzo che pure è stato emanato una settimana dopo l’approvazione del DDL in questione. Nessun accenno, nel documento ministeriale; neanche dove si parla dell’importanza di “modelli organizzativi e innovativi e di governo” per “semplificare la complessità organizzativa e dar valore ad una autonomia scolastica responsabile”. Niente. Forse la cosa non è da enfatizzare, ma, comunque, ci aspettava che il Ministro, pur nel rispetto delle prerogative del Parlamento, scendesse in campo, non per “sposare” il DDL, ma almeno per rendere esplicito il suo impegno sull’iter legislativo del provvedimento. Eppure il tema dell’autogoverno delle scuole autonome e quello della governance di sistema (che costituisce parte integrante e fondamentale dell’intero impianto del DDL) non sono di quelli che un’Amministrazione può snobbare o ritenere di secondaria importanza. Le questioni in gioco Anche perché con questo provvedimento legislativo si gioca una partita importante su più fronti: su quale autonomia delle Istituzioni Scolastiche (IS), in primo luogo; ma anche su quali forme di coordinamento tra le varie istituzioni del sistema delle autonomie coinvolte e quindi su dove va collocato il baricentro dell’intero sistema. Al tipo di scenario che si va a privilegiare sono poi da collegare sia il discorso – tutto da approfondire - delle reti di scuola (che non sono quelle del DPR 275, ma qualcosa che, sembra di capire, ha a che fare con la governance territoriale; negli stessi termini sono proposte le reti anche nella Legge per le Semplificazioni, art. 50), sia le varie operazioni sul dimensionamento delle istituzioni scolastiche - che stanno procedendo a ritmo serrato e, a quel che è dato sapere, secondo logiche quasi sempre ragionieristiche e frammentate. Quest’ultimo terreno di analisi e riflessione si incrocia con tutta evidenza con le problematiche del governo delle scuole e quindi del tipo di management / leadership da privilegiare e promuovere. Problematiche da cui sembrano prescindere molte Regioni e Province nelle scelte sul dimensionamento. Si assiste così ad operazioni di aggregazione di sedi e scuole di cui non si riesce a cogliere il modello organizzativo di riferimento ( ma la logica sì). E il discorso non riguarda solo il dimensionamento dei nuovi Comprensivi di cui alla L.111 del luglio scorso; il discorso è forse ancora più drammatico per non pochi dimensionamenti nel Secondo ciclo che si stanno formalizzando per il prossimo anno; dimensionamenti di fatto realizzati aggregando, molte volte con criteri puramente burocratici, agli istituti di titolarità le reggenze degli anni scorsi. La situazione non è rosea Al riguardo, il documento preoccupato di tutte le organizzazioni sindacali di DS – dalla FLC CGIL, comparto Dirigenti Scolatici (DS), alla ANP -, inviato al Ministro con la richiesta al ministro di un incontro urgente, ben evidenzia la drammaticità della situazione. Qui interessa sottolineare, anche sulla scorta di questo documento: 1. la forte riduzione delle ISA (oltre le 1000 unità) e l’aumento spesso sconsiderato degli studenti per istituto (che in non pochi casi arriva fino alle 2000 unità); 2. le centinaia di scuole autonome sottodimensionate, per effetto delle leggi sulla stabilità, che saranno prive di un dirigente e di un direttore dei servizi: ancora, quindi, reggenze e contabilità in affanno; 3. il fatto che alla consistente diminuzione delle dirigenze scolastiche non corrisponde la diminuzione delle sedi scolastiche, né del personale, né degli alunni: aspetti - ma solo questi ultimi - in sé positivi (il discorso sul numero delle DS è più complesso), se non fosse che le gestione che ne consegue diventa massacrante e soprattutto rischiosa per la qualità della direzione (si consideri solo il problema delle sedi lontane tra di loro e dei tempi per gli spostamenti);

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4. la scelta bizzarra – chiamiamola così – di rivedere al ribasso i parametri per l’attribuzione di esoneri e semiesoneri ai collaboratori del DS, che completa degnamente il quadro. Capita così che i problemi e le difficoltà raddoppino e le risorse orarie per le funzioni di collaborazione con il DS si dimezzino o scompaiano del tutto. Ma la cosa più bizzarra – ancora così, per dire - è che queste decisioni sono state prese – prescindendo da qualsiasi riflessione compiuta su questioni preliminari e dirimenti. Il riferimento è:

� alla natura (le forme, le dimensioni e i livelli e i compiti) delle ISA, a parole, costituzionalmente tutelate (Dentro il sistema delle autonomie, non si è ancora definito – lo si è già accennato prima - dove si colloca il baricentro: se nelle autonomie scolastiche o nelle regioni, né si riesce a cogliere concretamente la visione “orizzontale” – quindi non più “piramidale” - del sistema),

� alle funzioni dirigenziali della gestione unitaria, del coordinamento, della promozione,

del controllo,

� alle responsabilità rispetto agli esiti, sempre del DS (nuovo Nembo Kid, a retribuzione bloccata, nella “visione” dei dimensionamenti in atto).

Il DDL: una occasione utile? Nel commentare le norme per l’autogoverno delle ISA ebbi a condividere con parecchi altri un sostanziale apprezzamento per gran parte delle scelte fatte e per l’insieme dei principi ispiratori e degli obiettivi della riforma. Il rischio concreto che però vedo, di fronte ai dati sul dimensionamento - e a quel che ne consegue (non parlo, ripeto, solo dei nuovi istituti comprensivi) - è che alla fine potremo anche avere una buona legge per l’autogoverno delle scuole e per la governante territoriale, ma non sapremo che farcene, perché, con i chiari di luna che si prevedono, la governabilità interna sarà compromessa (e i danni irreversibili); e l’apertura al territorio, il superamento dell’autoreferenzilità, la rendicontazione sociale degli esiti e dei processi di apprendimento le consegneremo come compiti – anche questi - alle future generazioni. Una ragione in più, allora, per accellerare il dibattito sul DDL e arrivare entro quest’anno ad una buona legge che renda possibili decisioni sensate e chiare? Hoc est in votis. In milanese: Sperèm.

************** 16. Commento al testo unificato recante “Norme per l’autogoverno delle istituzioni scolastiche statali” A. ARMONE (15-5-2012)

(C. 953 Aprea e abbinate, C. 806, C. 808 e C. 813 Angela Napoli, C. 1199 Frassinetti, C. 1262 De Torre, C. 1468 De Pasquale, C. 1710 Cota, C. 4202 Carlucci e C. 4896 Capitanio Santolini). La strana accelerazione della PDL sull’autogoverno delle istituzioni scolastiche lascia esterrefatti. Tutti d’accordo in commissione cultura su questo testo che è il risultato di un puzzle difficilmente interpretabile. Partiamo dalla rilevazione che per quanto riguarda le Istituzioni scolastiche, il profilo dell’autonomia normativa sui propri organi di governo è decisamente più debole a conferma di un percorso reso meno spedito dai condizionamenti ancora assai rilevanti che provengono dalla precedente conformazione di amministrazione statale periferica dei vecchi Istituti scolastici. In effetti la natura di organo-ente delle istituzioni scolastiche emerge chiaramente dalla lettura del d.p.r. 17/2009, che prevede funzioni di vigilanza dell’USR nei confronti delle scuole. Questa premessa è necessaria per cercare di interpretare l’articolo 1 del Capo I intestato all’AUTONOMIA STATUTARIA DELLE ISTITUZIONI SCOLASTICHE STATALI. L’articolo 1 definisce il contenuto dell’autonomia statutaria. Viene riconosciuto il potere statutario che è relativo all’esercizio della funzione amministrativa, come avviene per gli enti territoriali e locali, con l’unico limite del rispetto delle norme generali contenute nella stessa legge. Allo statuto è affidato il compito di regolare l’istituzione, la composizione e il funzionamento degli organi interni, nonché le forme e le modalità di partecipazione della comunità scolastica. Si tratta di attribuire una forte responsabilità ad un organo, il consiglio dell’autonomia, che interviene così su meccanismi molto delicati, allentando, e di molto, il legame tra il modello organizzativo statale e il modello adottato dalla singola autonomia scolastica. In particolare, affidare allo statuto la decisione sul funzionamento degli organi interni, significa entrare decisamente sulle

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modalità di esercizio della discrezionalità degli altri organi, dirigente e collegio dei docenti, qui definito consiglio dei docenti. Il comma 4 dell’articolo 1 prevede la promozione di un patto educativo tra scuola, studenti, famiglie e comunità locale; cosa significa, che si tratta di un accordo limitato all’educazione? Gli attori sembrano veramente tanti e, inoltre, il richiamo alla valorizzazione del dialogo tra la “professionalità della funzione docente e la libertà e responsabilità delle scelte educative delle famiglie” non poggia su una norma regolativa dello stato giuridico dei docenti. Senza di essa sembra veramente difficile incidere con un “patto”, sempre che sia plausibile un accordo che mette in gioco l’esercizio di una professione a contenuto tecnico. Ancora più fragile appare, come ulteriore punto di valorizzazione, nell’ambito della promozione del patto di cui sopra, delle azioni formative ed educative in rete nel territorio. Ma, innanzitutto, non può l’offerta formativa essere frutto di una concertazione, se non interistituzionale. Il piano formativo territoriale dovrebbe basarsi su una programmazione strategica territoriale che dovrebbe avere come attori primari gli enti locali che finanziano il servizio di istruzione, sia in relazione all’esercizio della funzione amministrativa di propria competenza, sia ad interventi finanziari discrezionali di supporto. L’articolo due disciplina gli organi delle istituzioni scolastiche, includendovi il nucleo di autovalutazione, sul quale ritorneremo. Nel rispetto del principio generale della divisione dei poteri, è individuato un organo di indirizzo, il consiglio dell’autonomia, un organo di gestione, il dirigente, e un necessario organo tecnico, il consiglio dei docenti. Si attribuisce allo statuto la possibilità di regolare le forme di partecipazione di tutte le componenti della scuola. Relativamente al Consiglio dell’autonomia, emerge immediatamente il ruolo forte e determinante del nuovo soggetto. L’attribuzione del potere statutario condiziona l’assetto organizzativo dell’istituzione scolastica. L’articolo 3 elenca una serie di attribuzioni non lontane dalle attuali attribuzioni al consiglio di istituto. Per una serie di competenze del Consiglio dell’autonomia che si elencano di seguito, è prevista una proposta dirigenziale: c) adotta il piano dell’offerta formativa elaborato dal consiglio dei docenti ai sensi dell’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 275 del 1999; d) approva il programma annuale e, nel rispetto della normativa vigente in materia di contabilità di Stato, anche il bilancio pluriennale di previsione; e) approva il conto consuntivo; f) delibera il regolamento di istituto; g) designa i componenti del nucleo di autovalutazione, di cui all’articolo 8; Ma il programma annuale e il conto consuntivo sono già di competenza dirigenziale nella loro predisposizione. Perché la norma prevede che tutte azioni da c) a g) presuppongono la proposta del dirigente? Un altro punto degno di attenzione è costituito dal comma 5 dell’art. 3, il quale prevede che lo statuto debba essere sottoposto al controllo formale da parte dell’organismo istituzionalmente competente. Sembra quasi che il legislatore voglia porre un freno all’ampiezza del potere regolativo attribuito alle scuole. Sempre lo stesso organismo dovrebbe procedere a sciogliere il Consiglio nel caso di persistenti e gravi irregolarità o di impossibilità di funzionamento o di continuata inattività. L’articolo 4 disciplina la composizione del consiglio dell’autonomia. In questa sede non si ritiene di fare valutazioni di merito sulla composizione, se non rilevando la variazione numerica delle rappresentanze dei docenti e dei genitori L’articolo 5 è dedicato interamente alla figura dirigenziale e incide direttamente sull’attribuzione e sull’esercizio dei suoi poteri. L’articolo inizia con un richiamo alla responsabilità per risultati nei confronti di “organismi istituzionalmente e statutariamente competenti”. Sembrano convivere due soggetti valutatori: quelli istituzionali e quelli definiti dallo statuto (di ogni singola scuola). Non è presa in considerazione la previsione dell’art. 21 del d.lgs. 165/2001 che rimanda la valutazione dirigenziale al sistema previsto dal d.lgs. 150/2009 (…Il mancato raggiungimento degli obiettivi accertato attraverso le risultanze del sistema di valutazione di cui al Titolo II del decreto legislativo di attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15…). Una regolazione del genere deve far riflettere sull’opportunità della permanenza della figura dirigenziale nel Testo unico sul pubblico impiego. Il consiglio dei docenti mantiene la competenza tecnico professionale già attribuita al collegio dei docenti, ma in una prospettiva di regolazione statutaria delle attività. Coerente con tale impostazione è la previsione dell’articolazione eventuale del consiglio in micro collegi che acquistano, a questo punto, potere decisionale diretto che non necessiterà della ratifica

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collegiale in sede di consiglio. L’articolo riconosce la piena responsabilità dei docenti relativa all’attività didattica, ma nella Pdl non v’è traccia di stato giuridico (come nella precedente versione della Pdl 953). E senza regolazione di stato giuridico è difficile parlare di responsabilità. L’articolo 7 è interamente dedicato alla partecipazione degli studenti e delle famiglie. Viene enfatizzata la partecipazione degli studenti e delle famiglie anche attraverso il riconoscimento di forme associative. Si tratta dell’ennesimo richiamo ad un modello che non può prescindere dal quadro sistemico decisionale della scuola. Si affollano vari attori mentre viene relegata la figura dirigenziale a mero esecutore. L’articolo 8 prevede un organo per l’autovalutazione che viene compiutamente regolato con dei richiami poco chiari. Il primo è quello riferito al “programma annuale delle attività”; non si comprende cosa sia, se un misto tra il programma annuale e il piano annuale delle attività. L’altro punto riguarda la pubblicità del rapporto di autovalutazione, che non ha bisogno di regole speciali in quanto il sistema odierno di trasparenza e pubblicità va ben oltre la possibile regolamentazione interna. L’articolo 9 disciplina una sorta di rendicontazione sociale da parte del Consiglio dell’autonomia. Tale azione può rivestire un certo valore se aggiuntiva rispetto agli adempimenti di natura formale e sostanziale previsti dalla normativa. Nell’articolo 10 si mettono in relazione, in verità con scarsa comprensibilità, i meccanismi di costituzione di reti, associazioni e consorzi con la possibilità per le scuole di essere destinatarie di contributi da parte di fondazioni. Partiamo dall’inizio. La promozione o partecipazione a reti, associazioni e consorzi ha come obiettivo “un migliore coordinamento delle stesse” [scuole].ma è assai improbabile che le scuole si costituiscano in rete per coordinarsi. Segue un poco chiaro riferimento alla riserva di competenza degli organi di cui all’art. 11. Ma è il comma due che va indagato laddove prevede che i partner di cui al precedente comma possono essere di svariato tipo, privati, organizzazioni di cittadini ecc. Ma di quali partner si parla? Di quelli che devono far parte delle reti, associazioni, consorzi o dei partner che vogliono erogare contributi? Secondo il d.p.r. 275/1999 delle reti possono far parte solo scuole, ma è ovvio che si può sempre modificare la norma. Passiamo, dunque, al capo II dedicato alla rappresentanza delle scuole autonome. L’art. 11 recupera parte della precedente PDL De Pasquale e altri su un disegno organico di rappresentanza delle scuole autonome. Dal corpus normativo citato è stato estrapolato, e in parte rivisto, parte di quest’articolo, che mantiene quasi nulla dell’organicità del disegno originario. Al comma 2 si cita una forma di corresponsabilità, nell’ambito del Consiglio nazionale delle autonomie scolastiche, tra Stato, Regioni, Enti Locali ed Autonomie Scolastiche nel governo del sistema nazionale di istruzione. Non si comprende cosa possa significare, considerazione che si estende al prosieguo dello stesso comma. Il comma 3 riconosce la competenza regionale in materia di modelli partecipativi, anche se ciò entra in conflitto con il precedente modello superpartecipativo delle reti alle quali possono partecipare varie tipologie di soggetti. Dal comma 4 in poi l’articolo elenca una serie di organismi di partecipazione definendone le competenze. Non è chiaro cosa si prevede per la composizione della Conferenza regionale del sistema educativo, scolastico e formativo, poiché dapprima se ne demanda composizione e durata alle Regioni e successivamente si prevede che alle Conferenze partecipino i Comuni, singoli o associati, l’amministrazione scolastica regionale, le Università, le istituzioni scolastiche, singole o in rete, rappresentanti delle realtà professionali, culturali e dell’impresa. In effetti una normazione così puntuale potrebbe essere vista come norma generale intrusiva rispetto alle competenze regionali in materia di istruzione. L’articolato si chiude con le abrogazioni e una norma transitoria che prevede la permanenza dell’USR in attesa dell’attuazione completa del Tit. V della Costituzione in materia di istruzione. Per trarre conclusioni sullo sviluppo del disegno normativo, occorrerebbe partire da un quadro coerente, ma da quanto abbiamo succintamente descritto la coerenza non c’è. Nel modello decisionale desumibile dalla PDL risulta sbilanciato il concetto di partecipazione delle famiglie, in particolare nella previsione del concorso delle famiglie “alla definizione e raggiungimento degli obiettivi educativi di ogni singola classe”. Relativamente al consiglio dei docenti esso risulta molto condizionato dall’assetto statutario della scuola e dal citato ruolo delle famiglie, lasciando, peraltro, irrisolto il problema della mancanza dello stato giuridico dei docenti. Anche il ruolo del dirigente, pur se “appare” potenziato nel richiamo alla gestione delle risorse umane finanziarie e strumentali, in effetti è

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fortemente compresso dallo spazio statutario che determina “la composizione e il funzionamento degli organi interni nonché le forme e le modalità di partecipazione della comunità scolastica”. Per chiudere ricordiamo la moltitudine dei modelli aggregativi della scuola che vengono a configurarsi: · reti ex art. 7 d.p.r. 275/1999 · reti ex articolo 10 Proposta Di Legge qui trattata · Conferenze di ambito territoriale · Forme di rappresentanza/associative riconosciute dalla Regione · Reti ex art. 50 DL 5/2012 · Consiglio nazionale delle autonomie Forse sarebbe il caso di pensare che una soluzione così compromissoria del governo dell’autonomia scolastica vale poco, anche se riveste la forma di una soluzione. Ma chi ha interesse a rompere questo strano idillio?

************** 17. Aprea, luci e ombre di una riforma mancata – sussidiario.net – G.C. De Martin (16-5-2012) (Docente di diritto amministrativo nell'Università Luiss Guido Carli di Roma) Sembra opportuno fare qualche considerazione a margine del pdl 953/Camera, contenente norme per l’autogoverno delle istituzioni scolastiche statali, ora probabilmente giunto alla fase conclusiva dell’iter in Commissione cultura a Montecitorio, che dovrebbe approvarlo in sede deliberante, stante la decisione adottata dall’Assemblea, vista la larga convergenza dei gruppi parlamentari sul testo aggiornato con gli emendamenti di fine marzo. Si è, in sostanza, deciso di accelerare la definizione di almeno questo aspetto delle riforme concernenti le istituzioni scolastiche autonome, restate nell’ultimo decennio praticamente affidate a sé stesse, senza effettivi sostegni da parte di provvedimenti coerenti con la scelta di sistema per l’autonomia operata nel 1997/99, poi rafforzata (potenzialmente) dalla riforma costituzionale del 2001, anch’essa peraltro finora senza seguito. Va osservato in primo luogo che il testo del pdl 953 ora in esame è sostanzialmente diverso da quello originariamente presentato dall’on. Aprea (anche se resta intestato a questa parlamentare come prima firmataria, dopo la riunificazione di ben 9 proposte parlamentari, nonostante la stessa sia ora diventata assessore della Regione Lombardia). Da un lato è del tutto venuto meno il capo riguardante lo stato giuridico dei docenti, per il quale non sono finora maturate sufficienti convergenze tra le varie proposte in discussione, spesso tra loro di non poco distanti come impostazione e anche con riguardo ai meccanismi sulla formazione e l’accesso dei docenti. Dall’altro è praticamente stato quasi del tutto ridimensionato l’obiettivo per certi versi prioritario – e peraltro assai opinabile – del testo di partenza, che era quello di prefigurare una possibile trasformazione giuridica delle scuole in fondazioni, con il rischio oltretutto di compromettere la natura pubblica e il ruolo delle istituzioni scolastiche come componenti necessarie del sistema nazionale di istruzione. Quanto al merito delle norme dell’attuale pdl 953, vi sono luci e ombre. Per un verso, infatti, non si può che convenire con l’impianto del capo primo, in base al quale si prefigura – pur nel quadro di un nuovo disegno generale degli organi delle istituzioni scolastiche statali (che supera definitivamente il modello degli organi collegiali degli anni 70, da tempo in crisi) – uno spazio di autonomia statutaria, analogo a quello già sperimentato da qualche anno nella Provincia autonoma di Trento, frutto di una concezione (almeno sulla carta) avanzata e aperta dell’autonomia scolastica, sia nelle dinamiche interne che nei rapporti con le istituzioni pubbliche e gli stakeholders del territorio. In verità, la disciplina degli organi prevista nella proposta in discussione – impostata sulla (condivisibile) distinzione tra funzioni di indirizzo, di gestione e tecniche – presenta forse qualche eccessiva rigidità, che può limitare le opzioni e gli adeguamenti suggeriti dalle singole realtà locali. Ma il messaggio è complessivamente innovativo e potrebbe stimolare una ripresa di vitalità e di consapevolezza del senso e della latitudine dell’autonomia scolastica. Il condizionale appena usato è d’obbligo, perché per altro verso il testo in discussione presenta – ad avviso di chi scrive – lacune o motivi di incertezza che possono di fatto frenare anche le buone intenzioni sottese. Un primo nodo è costituito da quanto si prevede a proposito delle reti di scuole o dei consorzi a sostegno dell’autonomia scolastica. In particolare nell’articolo 10 emerge una visione delle forme di supporto alle scuole non certo in sintonia con quanto prefigurato dall’articolo 50 della recentissima legge n. 35/12, laddove la scelta per il

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modello delle reti territoriali tra istituzioni scolastiche appare come necessaria al fine di conseguire la gestione ottimale delle risorse umane, strumentali e finanziarie indispensabili per il funzionamento delle scuole (vi è anche la prefigurazione di un organico di rete per una serie di finalità comuni alle scuole cointeressate): c’è da chiedersi se una mano non sa quella che ha appena fatto l’altra. E va sottolineato, in proposito, che la configurazione e il ruolo delle reti non è certo questione marginale nel riassetto del sistema scolastico per attuare (finalmente in modo organico) l’autonomia: mentre nel pdl 953 l’ipotesi delle reti è meramente eventuale, nel suddetto articolo 50 le reti appaiono come una scelta di sistema, sia pure da sviluppare e precisare nelle linee guida che il Miur deve definire a breve. Vi è poi la questione della rappresentanza istituzionale delle scuole dell’autonomia, oggetto del capo secondo del pdl in discussione, che affronta un nodo non certo trascurabile per il futuro assetto del sistema scolastico e dei supporti tecnici (v. Cis), ossia quello delle modalità di interlocuzione delle scuole con le istituzioni territoriali e con il Miur. Le soluzioni ivi prefigurate appaiono basate su un modello sostanzialmente vecchio e in certo modo a cascata, a partire dal Consiglio nazionale delle autonomie scolastiche e poi dalle varie Conferenze regionale e locali. Soprattutto non emerge una prospettiva in cui sia ripensato radicalmente il ruolo istituzionale del Miur, così come quello degli organismi di valutazione del sistema scolastico, mentre resta del tutto evanescente sia il ruolo istituzionale delle Regioni nel finanziamento e nella programmazione scolastica così come nella disciplina del personale docente, sia quello delle istituzioni locali, le cui funzioni di supporto alle scuole sono tuttora in discussione al Senato nella Carta delle autonomie. Qui emerge un evidente limite di scenario del pdl 953, che appare inevitabilmente una sorta di intervento tampone su un aspetto certo importante, ma che è un tassello da inquadrare (con coerenza) in una riforma generale del sistema scolastico di ben più ampio respiro, indispensabile per un effettivo decollo anche dell’autonomia delle scuole. Bisogna, in sostanza, affrontare finalmente il nodo dell’attuazione del titolo V chiarendo in tale contesto anche la condizione dell’autonomia delle istituzioni scolastiche nonché i supporti e i rapporti con le altre istituzioni del sistema repubblicano.

************** 18. Autonomia della scuola e riforma degli organi collegiali: riflessioni e proposte- Franco Buccino (19-5-2012)

Un disegno di legge condiviso e approvato in Commissione Cultura alla Camera riapre il dibattito sulla riforma degli organi collegiali della scuola. Considerando che tali organi sono in crisi per lo meno da trenta dei circa quaranta anni da cui esistono, che si è tentato di riformarli in diverse occasioni, che la partecipazione ha raggiunto i minimi storici e che il massimo di tali organi, il Consiglio nazionale della Pubblica Istruzione, va avanti da sedici anni senza elezioni, non si capisce in prima battuta tale interesse. E però, forse, più che gli organi da modificare, interessa il riposizionamento delle varie componenti all’interno della scuola, il rapporto tra di esse e, ancora una volta, la natura dell’autonomia scolastica.

Si parla tanto dell’autonomia scolastica, delle difficoltà di inserirla nel sistema delle autonomie, dei tentativi di distinguerla dalle altre. Come nel recente convegno nazionale di Napoli dei dirigenti scolastici della Flc Cgil, in cui è stata prospettata un’autonomia “funzionale” della scuola diversa dalle autonomie territoriali. Forse il cuore dell’autonomia della scuola sta proprio nei docenti, alunni e genitori e nei loro organi collegiali. Perfino la dirigenza scolastica in quest’autonomia s’incardina.

Nel processo di apprendimento c’è il docente e c’è il discente. La Costituzione riconosce tra le libertà quella d’insegnamento e tra i diritti quello allo studio. Nel diritto allo studio, per i minori entrano in gioco i genitori o chi li tutela. Il luogo in cui si realizza e si favorisce il processo d’apprendimento è la scuola: tanti docenti, tanti alunni, i genitori per i minori o chi è investito della tutela. La libertà d’insegnamento del singolo docente si misura, in tale contesto, oltre che con i discenti, anche con la collegialità di tutti i docenti. Il dirigente scolastico, in quanto proveniente dalla docenza, partecipa della libertà d’insegnamento ed esercita una funzione di leader educativo. Da tali presupposti derivano organi collegiali di soli docenti e organi collegiali di docenti, discenti e/o chi li tutela. Tra i primi il consiglio dei docenti dell’istituto, le commissioni e i dipartimenti, il consiglio dei docenti della classe, corso, o quale altra articolazione si sceglie: insomma l’insieme dei docenti che intervengono sullo stesso alunno o

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gruppi di alunni. Tra i secondi un consiglio a livello d’istituto ed eventuali consigli per classe, corso, altre articolazioni. Nei consigli “misti” di classe e simili possono partecipare tutti i docenti, tutti i genitori e/o alunni maggiorenni, oppure una rappresentanza, come evidentemente avverrà nel consiglio “misto” dell’istituto. In ogni caso, alunni e genitori hanno le loro assemblee d’istituto e di classe o altre articolazioni.

Tali organi collegiali garantiscono libertà e diritti, dei docenti e degli alunni e/o di chi li rappresenta e tutela. Trattano tutte le materie didattico-educative nell’ambito delle relative funzioni e competenze. Non in termini astratti: in tali incontri c’è la vita della scuola come nelle aule al mattino. Non ha senso inserire in essi altre rappresentanze. Ma una scuola è un’organizzazione più complessa con peculiarità organizzative, amministrative e contabili. È il luogo in cui operano, oltre ai docenti e al dirigente scolastico, che sono anch’essi lavoratori con contratto di lavoro, altri lavoratori con profili diversi, il personale Ata e il Dsga. È un polo di attrazione per diverse componenti della società, rappresentanti del mondo economico, sociale, culturale, sportivo. Deve infine interagire con l’Amministrazione scolastica, che rappresenta lo stato, il governo, il ministro, adeguandosi alle sue direttive, e deve interagire e adeguarsi alle direttive della regione, secondo quello che prescrive la legge. L’organo collegiale d’indirizzo dell’istituto non può non essere costituito che dalle rappresentanze di tutte queste componenti: i docenti, gli alunni, i genitori, il personale ata, i rappresentanti del Comune, della Regione e dell’Amministrazione scolastica. Partecipano al consiglio, infine, i designati dal mondo del lavoro, economia, cultura, terzo settore, ecc. I rappresentanti dei docenti, dei genitori e degli alunni possono essere gli stessi che formano il consiglio “educativo-didattico” dell’istituto. Si può quindi pensare a un unico consiglio dell’istituto, che per le questioni di natura educativo-didattica è formato dalle sole componenti interessate e abilitate. Anche per questo è necessario che il presidente del consiglio sia un rappresentante dei genitori.

L’organo di gestione della scuola è il dirigente scolastico, che ha il compito di governare la scuola nella sua complessità. Altre figure collaborano con il dirigente nella gestione della scuola: alcune provengono dalla docenza come i collaboratori propriamente detti, le funzioni strumentali, coordinatori e responsabili vari; le altre provengono dal personale ata attraverso il ruolo centrale del direttore dei servizi. Il dirigente scolastico e le rappresentanze unitarie dei lavoratori sono i titolari delle relazioni sindacali e i protagonisti della contrattazione d’istituto.

Può sembrare macchinosa una triplice ripartizione di organi collegiali, oltre l’organo di gestione; bisognerebbe trovare anche una terminologia che non li appesantisca. La verità è che in una scuola ci sono i docenti che, con la libertà sancita dalla Costituzione e la loro professionalità, svolgono, tutti assieme o in gruppi, attività d’insegnamento e attività connesse all’insegnamento, come la programmazione e la valutazione. Ci sono gli alunni e i genitori e/o chi li tutela, in nome di un diritto anch’esso garantito dalla Costituzione, che con i docenti si confrontano e dialogano e portano le loro istanze. Ci sono infine, assieme a loro, altri soggetti in rappresentanza di quanti nella scuola lavorano o alla scuola sono interessati, che costituiscono l’organo d’indirizzo. Il dirigente scolastico partecipa a tutti e tre le tipologie di organi collegiali, oltre ad essere lui stesso l’organo di gestione della scuola, coordinando un ufficio complesso e curando le relazioni sindacali.

Il discorso degli organi collegiali della scuola finisce a livello d’istituzione scolastica. Si può pensare a un organo collegiale territoriale e/o nazionale di docenti e dirigenti scolastici che esamini problematiche e controversie connesse all’esercizio dell’insegnamento. Mentre la rete delle scuole, la conferenza, l’associazione tipo Anci, articolata a livello territoriale e nazionale, è altra questione da affrontare a parte, nel senso che riguarda l’autonomia ma non gli organi collegiali. Il collegamento tra i due livelli è, se mai, chi rappresenta la scuola. Il presidente del consiglio d’istituto rappresenta il consiglio, così come un esponente di un organo collegiale può rappresentare tale organo. Spetta al dirigente scolastico, che partecipa a tutti gli organi collegiali e che è il responsabile della gestione, rappresentare la scuola.

************** 19. Il ddl Aprea si "perde" tra Trento e Roma. Addio autonomia? sussidiario.net – F. Cortese (21-5-2012) (Ricercatore di Diritto amministrativo nell’Università di Trento). Una nuova riforma sta per investire il mondo della scuola. Ciò che resta, infatti, del ddl Aprea,

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che risale, nella sua originaria formulazione, al 2008, è ormai pronto per l’approvazione del Parlamento, evento che avverrà in Commissione deliberante, lontano, quindi, dai possibili clamori dell’assemblea. Ma si tratta di vera riforma?

Questo è un interrogativo che, quando si ragiona sulla legislazione scolastica e sulle sue molteplici e ricorrenti evoluzioni, occorre sempre ricordare. Il più delle volte ci si trova di fronte, nella migliore delle ipotesi, ad operazioni micro-chirurgiche ovvero, in tutti gli altri casi, a presunte innovazioni sistemiche, dal tenore e dalla portata tanto rivoluzionari quanto materialmente retorici. Il ddl 953 (nel testo unificato e comprensivo di tutti gli emendamenti sinora proposti e accolti) appartiene, purtroppo, a quest’ultima categoria. E presenta anche l’aggravante di introdurre modificazioni che, pur essendo destinate, quasi sicuramente, ad essere solo simboliche, rischiano, come tali, di radicalizzare alcune costanti negative del sistema nazionale di istruzione.

L’ispirazione complessiva del nuovo intervento normativo sembra chiara: rivitalizzare, innanzitutto, l’autonomia scolastica, dotando le singole istituzioni scolastiche di uno statuto, nel quale poter definire al meglio, di volta in volta, il funzionamento e la composizione concreta dei rispettivi organi collegiali; equipaggiare l’autonomia così rivitalizzata di strumenti operativi più precisi, specialmente al fine di consentirle una migliore interazione con altri soggetti, pubblici o privati, del territorio di riferimento; collegare meglio questa stessa autonomia alle altre autonomie, quelle territoriali, e al più generale sistema di istruzione.

Come sempre, tuttavia, le strade del “vizio” sono lastricate di “buone intenzioni”. Il giudizio può sembrare eccessivamente tranchant, ma il fatto è che le modalità con cui le predette ispirazioni dovrebbero realizzarsi sono quanto mai discutibili. Facciamo qualche esempio (senza soffermarci, peraltro, sulle pure affermazioni di principio per le quali ogni scuola “concorre ad elevare il livello di competenza dei cittadini della Repubblica e costituisce per la comunità locale di riferimento un luogo aperto di cultura, di sviluppo e di crescita, di formazione alla cittadinanza e di apprendimento lungo tutto il corso della vita”: sarà, questo, un ruolo realmente accessibile? Il ddl, naturalmente, ci avverte che tutte le innovazioni ivi previste devono avvenire “nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili” e, comunque, “senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”...).

Se è vero che lo statuto è, in linea di principio, un atto capace di dare vera dignità alla nozione stessa di “autonomia”, è altrettanto vero che la sua previsione non è di per sé sufficiente a garantire il risultato voluto. Sul punto, il modello del legislatore statale è, all’evidenza, la legge che la Provincia di Trento si è data nel 2006. Ebbene, pur facendo l’analoga scelta, quell’esperienza ha dimostrato, sul piano applicativo, la peculiare ritrosia delle singole istituzioni scolastiche ad elaborare un “reale” e “proprio” statuto: in quel contesto, infatti, la grande maggioranza delle scuole si è limitata a “riprodurre” lo “statuto-tipo” fornito dall’amministrazione provinciale.

La “paura dell’ignoto”, certo, è un fatto naturale, suscettibile di essere superato nelle successive applicazioni del modello: forse, tra qualche anno, le scuole trentine miglioreranno la propria propensione a “vedersi” autonome. Eppure quella stessa “paura” è un dato da non sottovalutare, poiché, concretamente, può dire molto, ed anche prima che la legge statale venga approvata, su ciò che è lecito e verosimile aspettarsi e sulla possibilità che le novità vengano assimilate soltanto in minima parte. Si noti, ma solo rapidamente, che gli statuti approvati dovranno essere sottoposti ad un “controllo formale da parte dell’organismo istituzionalmente competente”: anche questa disposizione si può capire (le scuole non sono “abituate” a scrivere statuti e potrebbero commettere “errori”), ma sempre l’esperienza trentina insegna che un simile controllo è stato spesso frainteso e ha contribuito, di fatto, a “bloccare” le potenziali innovazioni provenienti dal basso.

Ma c’è dell’altro. Lo statuto è correttamente concepito come la sede in cui, nel contesto di una cornice prefissata ed uniforme, la comunità scolastica deve stabilire anche la fisionomia effettiva degli organi collegiali. Vero è, però, che nel modello statale – e diversamente dal modello trentino, che sul punto prevede solo una mera opzione, di fatto non esercitata dalle scuole – si prevede che “nel consiglio dell’autonomia” debba essere comunque assicurata la presenza, in “numero non superiore a due”, di “membri esterni”, scelti tra le “realtà culturali, sociali, produttive, professionali e dei servizi”. Come si opera, tuttavia, la scelta? Quali realtà

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possono dirsi più idonee a relazionarsi con la comunità scolastica anche in seno alla governance interna della singola scuola? Il ddl non offre alcuna risposta e rinvia ad un regolamento che il “consiglio dell’istituzione” dovrebbe adottare. Il punto è che, dovendosi fare questo tipo di scelta, le scuole saranno costrette ad immaginare percorsi più o meno improbabili, per giungere, cioè, a selezioni che non siano arbitrarie, discriminatorie o, cosa peggiore, sovra-rappresentative di alcuni interessi a discapito di altri, ivi compresi quelli propri della comunità scolastica in senso stretto e, soprattutto, del corpo docente.

È vero o non è vero, anzi, che proprio i docenti, che dovrebbero invece costituire il nucleo duro dell’autonomia scolastica come autonomia funzionale di matrice essenzialmente didattica, avrebbero bisogno di essere posti, in qualche modo, al centro del sistema? Se l’autonomia scolastica, quella tuttora vigente, non ha sempre operato con successo, questo lo si deve al messaggio di sistemica esclusione che la professionalità docente ha vissuto e percepito a più riprese. Perché – ma sembra un rilievo scontato – una cosa è sostenere, giustamente, che l’autonomia sia concetto relazionale, che esige sempre e comunque un rapporto con tutti i cosiddetti stakeholders del contesto locale; altra cosa è ipotizzare, a regime, che questi stakeholders costituiscano un notevole fattore di pressione sull’autonomia, sia in quanto presenti, in modo più o meno riconoscibile, all’interno del principale organo di governo dell’istituzione scolastica, sia in quanto chiamati ad essere interlocutori fattivi in accordi strumentali all’offerta didattica, ma anche a partecipare, sempre in forza del medesimo ddl, alla “conferenza di rendicontazione” (che deve essere convocata dalla scuola ogni anno).

Occorre dire, poi, che i difetti della progettata riforma sono visibili anche nella parte in cui essa pare potenzialmente più interessante.

Nulla da osservare, in linea generale, sulla prevista costituzione di consorzi e di reti a sostegno dell’autonomia scolastica (definiti, però solo come facoltativi), né sulla possibilità che questi ricevano contributi o sostegni di carattere economico da una serie di importanti realtà sociali ed istituzionali, pubbliche o private. Ciò che rende perplessi è il rompicapo disciplinato al Capo II del ddl, ossia la serie di organi collegiali sovra-scolastici (Consiglio delle autonomie scolastiche, Conferenza regionale del sistema educativo, Conferenze di ambito territoriale). Ebbene, se da un lato essi sono il frutto del tentativo (ragionevole) di creare le occasioni di pianificazione e di programmazione su cui poi ogni singola scuola può essere maggiormente certa delle proprie attribuzioni e delle proprie capacità progettuali, dall’altro predispongono una “griglia di contenimento”, che appesantisce gli snodi del servizio di istruzione, che moltiplica i procedimenti di carattere maggiormente burocratico e che, soprattutto, si nutre di un’illusione razionalizzante che, oltre ad essere forse superata (al pari di quanto lo è stato il sistema piramidale della pianificazione urbanistica), troverà sfogo, presumibilmente, soltanto in documenti formali.

Ciò significa, forse, voler superare il modello dell’autonomia? A prescindere dal rilievo che un tale obiettivo non sarebbe praticabile (l’autonomia scolastica è, dal 2001, costituzionalmente garantita), è opportuno precisare che il target più adeguato di una possibile riforma dovrebbe consistere, piuttosto, nel completare la piena affermazione dell’autonomia e del suo hard core didattico, come potestà di effettiva elaborazione del servizio di istruzione concretamente prestato in ogni scuola. In sostanza, approvare un potenziamento formale delle “fonti” dell’autonomia o dei suoi strumenti “negoziali” è operazione che di per sé serve a poco, soprattutto se disgiunta da una rinnovata riflessione sullo stato giuridico ed economico dei docenti e sul ruolo istituzionale del dirigente scolastico, che, anche in questo ddl, seguita ad essere il soggetto che “risponde di tutto” senza poter realmente godere di una forte legittimazione interna e di prerogative veramente adeguate al suo naturale ruolo di leader educativo.

************** 20. Potenziare l'autonomia. Garantire la qualità – G. C. Sacchi (30-5-2012)

L’approvazione alla camera di nuove norme sull’autogoverno delle istituzioni scolastiche si colloca nell’orizzonte della piena realizzazione della loro autonomia; dopo la stagione della partecipazione, iniziata con i decreti delegati del 1974, si è infatti cercato di collegare sempre più efficacemente la vita della scuola allo sviluppo del territorio.

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In questo orizzonte si sono succedute la riforma degli enti locali del 1990, il riordino della pubblica amministrazione del 1997, la revisione del Titolo Quinto della Costituzione nel 2000 e i provvedimenti sul federalismo fiscale del 2009. Il tempo era ormai maturo per riformare anche la governance degli istituti, regolata da una legislazione ampiamente superata che ha visto l’autonomia scolastica progressivamente relegata al ruolo di vaso di coccio tra i vasi di ferro dell’amministrazione centrale (il Miur) e degli enti locali; ci sono però altri tasselli con i quali la riforma dell'autogoverno delle scuole si deve ora incastrare.

Il decentramento delle competenze dello Stato non si è mai realizzato compiutamente e sarebbe molto opportuno cogliere, al Senato, l'occasione dell'imminente arrivo di questa riforma delle Autonomie Scolastiche per “incrociarla” con la discussione, tuttora in corso, sulla Carta delle Autonomie Locali.

La prima e più importante azione di governo da compiere, però, è mettere finalmente mano all’applicazione delle nuove indicazioni del Titolo Quinto della Costituzione: c’è in questo senso un dispositivo da tempo preparato dalla Conferenza delle Regioni che ricolloca poteri e responsabilità rispetto alle legislazioni nazionale e regionali. Ogni istituzione scolastica autonoma è parte integrante del sistema nazionale di istruzione, oggi costituito da scuole statali e paritarie, ma nell'ottica del Titolo Quinto anche da altri organismi accreditati dalle Regioni e dagli enti locali nell’esercizio delle loro competenze specifiche. Componente imprescindibile dello sviluppo delle comunità locali in un’ottica di multilivello, la scuola, per essere capace di autoregolazione (anche in relazione all’utilizzo delle risorse, secondo previste modalità di programmazione regionale), ha urgente bisogno di quanto indicato dalla Costituzione per quanto riguarda le norme generali, i principi fondamentali ed i livelli essenziali delle prestazioni, emanati dallo Stato. In tale ottica, data l’elevata funzione sociale delle scuole, anche al fine di integrare i vari servizi educativi e formativi presenti sui territori, l’autonomia statutaria rappresenta un passo decisivo oltre il conferimento della personalità giuridica.

Una legge in tal senso non si limita a scongiurare qualsiasi centralismo, ma cerca di irrobustire l’autonomia del “sistema formativo”, sia per la progettualità delle scuole, in parte già sostenuta da regolamenti in tal senso, sia per la capacità di realizzare forme di aggregazione (associazioni, reti e consorzi) che le aiutino a migliorare le proprie prestazioni e a rendere più efficace la loro azione: in questo modo potrebbe procedere anche una riorganizzazione degli istituti scolastici che proceda dal basso sulla base di esigenze e progetti formativi e territoriali, di pari passo con le unioni dei comuni, anziché a colpi di cieco e uniforme dimensionamento ministeriale, che va magari a spaccare unità territoriali naturali. Tutta la legislazione richiamata sta cercando, pur con qualche contraddizione, di ricostruire un governo del sistema educativo – scolastico – formativo, ai diversi livelli territoriali, che riparta dal basso, tenendo in alta considerazione il valore della partecipazione e il riconoscimento costituzionale degli organi della Repubblica (art. 117) tra i quali è “fatta salva” l’autonomia delle istituzioni scolastiche.

L’autonomia dunque non è concessa all'istituzione scolastica, in una prospettiva di mero decentramento amministrativo dello Stato, ma è riconosciuta; per questo ciascuna di esse si dà una specifica configurazione istituzionale attraverso il proprio statuto. Gli statuti delle scuole devono interpretare le “norme generali dell’istruzione” e tradurle in offerta formativa per tutti i cittadini italiani, nell’ambito dei “livelli essenziali delle prestazioni”, e per la crescita dei singoli sul piano umano, culturale e professionale, come è oggi indicato dagli standard nazionali e locali e dovrà presto essere affermato attraverso le norme generali previste dal Titolo Quinto.

In tale contesto famiglie, studenti, comunità locali, docenti dovranno potersi muovere autonomamente per garantire un’offerta sempre più qualificata, in un’ottica generale ma aderente alla realtà in cui la scuola opera, per poter incontrare i problemi e le aspettative che tale realtà esprime e nello stesso tempo contribuire a “collocare nel mondo” le donne e gli uomini di domani. Le nuove norme di autogoverno della scuola prevedono, opportunamente, la distinzione delle funzioni di indirizzo, professionali e di gestione, pur nell'integrazione tra di loro. Il dirigente scolastico è il rappresentante legale dell’istituzione, la garanzia della dimensione istituzionale, presiede i momenti strategici per l’impostazione della programmazione e risponde dei risultati; i docenti, sul piano individuale e collegiale, hanno

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“libertà di insegnamento” e sono perciò responsabili della progettazione e conduzione dell’impianto didattico, nonché della valutazione degli alunni.

La presidenza del Consiglio dell’autonomia scolastica viene opportunamente mantenuta ad un rappresentante eletto delle famiglie, che contribuirà, assieme ad altri soggetti della comunità scolastica, alle funzioni di rappresentanza della scuola autonoma, sia nell’intraprendere intese e azioni locali, sia attraverso processi elettivi di livello regionale e nazionale.

Così una scuola veramente autonoma non potrà sottrarsi a processi valutativi, per corrispondere agli standard indicati, ma prima di tutto come capacità di autoanalisi sulle proprie attività, in rapporto con le aspettative e su come riesce a promuovere il successo formativo, attraverso un proprio nucleo di valutazione.

Obiettivi chiari, equilibrio tra i poteri, autovalutazione e bilancio sociale, controlli di legittimità; nel merito autonomia gestionale e di proposta e confronto sui risultati, senza interferenze. Sembra già di sentire certe obiezioni circa l’inadeguatezza delle scuole italiane a questa autonomia: è certamente una sfida, ma in diverse epoche esse hanno dimostrato risorse davvero sorprendenti, pur con tante difficoltà. La strada giusta sembra quella di potenziare l'autonomia delle scuole e aiutarle ad esprimersi e migliorare, non quella di appesantire l'agile testo attuale con norme che faranno rientrare dalla finestra il centralismo meritatamente cacciato dalla porta dopo che ha, purtroppo e palesemente, fallito l'obbiettivo di garantire alla scuola italiana uniformità nella qualità.

************** 21. Alla Camera il 7 giugno riprendono i lavori sulla riforma degli organi collegiali Riprende in settimana l'esame del disegno di legge in materia di "autogoverno delle scuole" con l’appoggio del PD, PdL e Terzo Polo. Presso la Commissione Cultura della Camera con la neo-presidente Manuela Ghizzoni inizierà l’esame del provvedimento in sede legislativa (senza passare dall’aula). Italia dei Valori e Lega sono contrari al provvedimento ma soprattutto non condividono il fatto che la Commissione sia stata autorizzata ad intervenire in sede legislativa.

**************

22. Riforma organi collegiali: IDV dubbi di costituzionalità (5-6-2012)

Pregiudiziale dell'Idv in commissione Cultura alla Camera: diritto allo studio sancito da art. 3, 33 e 34 Costituzione minacciato da partners esterni e rischi di condizionamento sull'attività scolastica. Iniziativa del Tavolo regionale del Lazio e della Toscana in difesa della Scuola statale: perché sul’ex ddl Aprea è stato eluso il dibattito nelle scuole? Anche se in Parlamento sembra aver riscosso più consensi che critiche, continua a mantenersi alto il numero dei contrari alla riforma degli organi collegiali, noto come ex ddl Aprea. Stavolta a porre seri dubbi sulla laicità del progetto di legge, su cui convergono sia Pd che Pdl, è l'Italia dei Valori, che il 6 giugno ha presentato una pregiudiziale di costituzionalità, in commissione Cultura alla Camera, alla pdl Aprea, a firma dei deputati Di Pietro, Zazzera e Di Giuseppe. Secondo l’Idv sono diversi gli articoli che gli estensori del progetto di legge sembrano in qualche modo voler aggirare: "Le disposizioni previste dagli articoli 1, 2, 4, 6 e 10 del testo unificato – si legge nella pregiudiziale del partito d’opposizione - violano palesemente gli articoli 3, 33 e 34 della Costituzione, il cui combinato disposto sancisce solennemente il diritto allo studio". "In particolare - prosegue l’Idv - l'articolo 10 dispone che le istituzioni scolastiche possono promuovere o partecipare alla costituzione di reti, consorzi e associazioni. Sancisce, inoltre, che i partner possono essere soggetti pubblici e privati, fondazioni, associazioni di genitori o di cittadini, organizzazioni no profit. Il coinvolgimento di capitali privati viene visto come l'unica soluzione possibile, ma la previsione dei cosiddetti partners esterni, comporta gravi rischi di condizionamento su tutta l'attività scolastica". Ma secondo i dipietristi la scuola, “come sancito dall'articolo 34 della Costituzione, nel garantire il diritto all'istruzione, ha due doveri, uno orizzontale e uno verticale: educare tutti e

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promuovere i meritevoli. Essa ha quindi un ruolo determinante nella possibilità di rendere effettivo il dettato costituzionale dell'articolo 3”. Per l’Idv non vi sono dubbi: “l'iniziativa del singolo non può sostituire o affiancare una gestione delle istituzioni scolastiche effettuata con responsabilità esclusiva da parte degli stessi insegnanti che hanno la professionalità e le competenze necessarie ed imprescindibili”. Preoccupa, infine, non poco la presenza di entità all’interno della scuola che potrebbero non avere come priorità la formazione globale degli studenti: secondo il partito di Di Pietro "con la partecipazione di capitali privati nel finanziamento della scuola pubblica, associato al peso determinante che i privati avranno in seno agli organi collegiali lo Stato non sarà più in grado di garantire l'uniformità dell'offerta formativa su tutto il territorio nazionale e quindi di assicurare, a tutti indistintamente, la qualità, l'imparzialità e il diritto all'istruzione. Anzi, in tal modo si corre il rischio di legittimare inaccettabili sperequazioni sul territorio nazionale e di perdere di vista gli obiettivi prioritari che l'istituzione scolastica, nel corso della sua linea evolutiva, ha sempre perseguito, anche svincolando i ragazzi dai condizionamenti del gruppo di loro originaria appartenenza". L’on. Pierfelice Zazzera, capogruppo IDV e vicepresidente della Commissione Cultura, nel corso della discussione sulla pregiudiziale di costituzionalità alla Legge Aprea presentata dall’Italia dei Valori esplicita che: “La legge Aprea è incostituzionale e va respinta nel merito e nel metodo. L’IDV considera un errore l’approvazione di questa legge senza una discussione ampia in Parlamento, ma solo all’interno della Commissione Cultura. Su tutto questo c’è un inquietante silenzio mentre ci si avvia verso l’aziendalizzazione e la regionalizzazione dell’istituzione scolastica.” “L’IDV ha presentato in Commissione Cultura la pregiudiziale di costituzionalità, perché la Legge Aprea viola in modo palese gli articoli 3, 33, 34 e 117 della Costituzione. L’autonomia scolastica infatti non è determinata dall’articolo 117 della Costituzione, come erroneamente viene riportato all’art. 1 della Legge in discussione. La legge Aprea prevede l’autonomia statutaria delle scuole cosa che determinerà la balcanizzazione dell’offerta formativa facendo venire meno il principio costituzionale di omogeneità sul territorio nazionale. Ogni scuola", prosegue Zazzera, "si farà i programmi e gli statuti che vuole, a proprio piacimento e senza alcun controllo. In questo modo si mette in discussione la libertà di scelta dell’insegnamento e il diritto allo studio sanciti dagli articoli 33 e 34 della Costituzione. Ma soprattutto il modello di scuola che la Legge Aprea propone viola l’art. 3 della Carta Costituzionale perché cancella il ruolo centrale che la scuola svolge nella rimozione degli ostacoli alle diseguaglianze. Con questa scuola le diseguaglianze saranno amplificate. Ci saranno scuole per ricchi sempre meglio e più finanziate, e scuole povere per ceti sociali più deboli con una qualità dell’offerta formativa scadente.” “Mi rivolgo pertanto in modo particolare al PD perché ripensi alla posizione assunta di sostegno ad una pessima legge che distrugge la scuola statale nel nostro paese. Purtroppo in Commissione Cultura la pregiudiziale di costituzionalità è stata votata solo dall’IDV, che da subito in modo netto e chiaro si è opposta alla legge Aprea. Ci auguriamo che il percorso previsto per i prossimi giorni sia aperto e non blindato, e che si possa profondamente modificare il testo. Noi dell’IDV auspichiamo che si colga l’opportunità per avviare una forte discussione nel paese sulla difesa della scuola statale come centro delle politiche nazionali. Ci sono delle emergenze che vanno affrontate! Bisogna restituire le risorse tagliate e stabilizzare il personale precario, altrimenti non ci potrà essere alcuna riforma della scuola.”

************** 23. Riforma organi collegiali: appelli per fermarla (5-6-2012) Contro lo stesso ex ddl Aprea si stanno intanto muovendo anche il Tavolo regionale del Lazio in difesa della Scuola statale ed il corrispettivo in capo alla Toscana: entrambi stanno raccogliendo consensi, anche via e-mail, per “fermare la proposta di legge sul Governo sulle istituzioni scolastiche. Secondo i due raggruppamenti, cui partecipano associazioni e movimenti trasversali (politici, sindacali, cittadini comuni, …) quanto riportato dal ddl metterebbe “in discussione la scuola della Costituzione”. I due tavoli contestano anche il fatto che “se l'iter legislativo non sarà fermato, la proposta sarà approvata dalla Commissione della Camera in sede legislativa, senza alcun dibattito né in Parlamento né nel mondo della scuola”. Chiedono, pertanto, che “l'iter legislativo del progetto di legge sia fermato e sia avviato sin dall’inizio del prossimo anno scolastico un ampio dibattito nelle scuole in modo che la riforma del governo

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della scuola statale, senza dubbio necessaria, con la partecipazione democratica del mondo della scuola e della cultura, segni un rafforzamento della democrazia scolastica per una scuola statale pluralista ed aperta a tutti e tutte”. Quante possibilità vi sono che la richiesta possa avere seguito? A quanto ci risulta non molte: con l’elezione del nuovo presidente della Commissione Cultura della Camera, l’on. Manuela Ghizzoni (Pd), i tempi per l’approvazione del ddl non dovrebbero essere molto lunghi.

PER LA DEMOCRAZIA SCOLASTICA E PER LA SCUOLA DELLA COSTITUZIONE: FERMARE LA PROPOSTA DI LEGGE SUL GOVERNO DELLE ISTITUZIONI SCOLASTICHE.

TAVOLO REGIONALE DELLA TOSCANA E LAZIO PER LA DIFESA DELLA SCUOLA STATALE

E attualmente all'esame della Commissione Cultura ed Istruzione della Camera una proposta di legge (ex Aprea) che in sintesi propone: 1) La trasformazione del sistema scolastico statale, previsto dalla Costituzione (“la Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi”) per garantire a tutti/e una formazione democratica e culturale il più possibile uguale in un sistema nazionale formato da scuole statali, paritarie private (e quindi anche di orientamento confessionale) e pubbliche., già delineato nella legge di parità ed ora più accentuato e definito. 2) La frantumazione del sistema scolastico unitario a livello nazionale anche se aperto alle diverse realttà territoriali in un insieme di scuole -azienda, ciascuna con una propria specifica identità statutaria con il rischio di forti caratterizzazioni localistiche e di forme di privatizzazione: dalla scuola per l'uguaglianza alla scuola delle disuguaglianze. 3) L'accentuazione della tendenza all'aziendalizzazione della scuola con il rafforzamento dei poteri manageriali del Dirigente Scolastico e l’indebolimento del ruolo degli organi di democrazia scolastica. 4) La riduzione degli spazi di autonomia dell’attuale Collegio dei docenti e, con l'accentuazione dei poteri del Dirigente Scolastico, la riproposizione del rapporto di subordinazione gerarchica dei docenti al Dirigente Scolastico, già previsto nel RD del 1924. Andrebbe, viceversa, reso più cogente il fatto che la responsabilità gestionale del DS viene svolta nell’ambito della collegialità, di cui lo stesso DS è espressione e parte attiva. 5) Gli organi di democrazia scolastica, affidati ai singoli statuti, possono essere o ridimensionati o soppressi. Il Consiglio dell'autonomia, ha generiche competenze d'indirizzo e limitate funzioni deliberanti e sempre su “proposta del dirigente scolastico”. Il consiglio dei docenti, non essendone esplicitato il potere deliberante, rischia di vedere indebolite le funzioni di programmazione e di valutazione. I consigli di classe sono fortemente ridimensionali nelle loro competenze e nella loro composizione. 6) Non è accettabile che sia lo Statuto a definire in ogni scuola le modalità attraverso le quali genitori e studenti esercitano il diritto di partecipazione. in tal modo, tra l’altro, vengono anche messe in discussione le assemblee degli studenti in orario di lezione. 7) L'organizzazione degli organi collegiali territoriali è attribuita alle discrezionali scelte delle Regioni in palese violazione della Costituzione che invece, per garantire l’assetto unitario del sistema scolastico, attribuisce allo Stato la competenza per le norme generali sull'istruzione. 8) Il governo nazionale della scuola è mantenuto al Ministro dell'istruzione con un ruolo sempre più evanescente del cd Consiglio nazionale delle Autonomie scolastiche. 9) All'interno di queste scelte che mettono in discussione il ruolo istituzionale del sistema scolastico statale tutta la necessaria articolazione è demandata in gran parte al potere regolamentare del Ministro: dalla Scuola della Repubblica alla scuola ministeriale. Queste scelte mettono in discussione la scuola della Costituzione; se l'iter legislativo non sarà fermato, la proposta sarà approvata dalla Commissione della Camera in sede legislativo, senza alcun dibattito né in Parlamento né nel mondo della scuola: chiediamo pertanto che l'iter

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legislativo sia fermato e sia avviato sin dall’inizio del prossimo anno scolastico un ampio dibattito nelle scuole in modo che la riforma del governo della scuola statale, senza dubbio necessaria, con la partecipazione democratica del mondo della scuola e della cultura, segni un rafforzamento della democrazia scolastica per una scuola statale pluralista ed aperta a tutti e tutte .

************** 24. Norme per l’autogoverno delle scuole statali–O. Roman (6-6-2012)

La settima Commissione della Camera si accinge a discutere e ad approvare in sede legislativa un testo che affronta la riforma degli organi collegiali delle scuole statali. Sono stati molto criticati, da una serie di personalità e da organismi che si occupano con particolare impegno della vita e del funzionamento del nostro sistema di istruzione, sia le modalità con cui si va a questo appuntamento, discussione e approvazione in Commissione invece che in Aula, sia i suoi contenuti, che non si discosterebbero molto da quelli presenti nella proposta Aprea del 2008 (A.C. n 935). Le argomentazioni di tali critici non hanno ricevuto, a mio parere, una adeguata attenzione e sono state troppe le omissioni e non giustificabili i silenzi presenti negli interventi che si sono pronunciati in queste settimane a favore della nostra iniziativa e di tale testo di riforma. Si è di conseguenza creata, in specie per il PD, una situazione che non può esserci consentita in una fase come quella che attraversiamo nel rapporto con larghi settori del mondo della scuola e della cultura. Mi sembra che si sia finora data l’impressione, limitandoci spesso a declamare formule generali circa la correttezza della nostra impostazione che colloca tale riforma dentro il più generale disegno costituzionale di riassetto del sistema di istruzione (Titolo V e Federalismo), di non volersi misurare con significative critiche di merito. Quasi una dimostrazione di altezzosità nei confronti di posizioni che si soffermerebbero a criticare dettagli insignificanti quando sono in gioco scelte riformatrici di grande valore strategico riguardanti la natura e l’assetto dell’organizzazione statale. Ora, se è vero che fra le posizioni critiche, che si sono espresse di recente sul testo approvato in Commissione della Camera in sede referente, molte hanno quella matrice culturale ed ideologica che nel passato ha portato al rifiuto dell’assetto ordinamentale prefigurato per l’Istruzione dal Titolo V della Costituzione e di conseguenza al rigetto di ogni ipotesi di ordinamento regionalista dello Stato, è pur vero che non tutti i nostri critici si collocano su tali posizioni. Molti di loro, magari in un lontano passato, hanno ritenuto un vergognoso compromesso volto ad ingabbiare la spinta innovatrice delle lotte studentesche del ’68, quello stesso assetto degli organi collegiali nati nel 1974, che ora pretendono di difendere di fronte alla proposta in discussione. E’ certamente vero che non tutti i nostri critici, ad esempio, sono disponibili a riconoscere l’infondatezza delle loro critiche all’innovazione introdotta con l’autonomia scolastica. Molti di coloro che oggi rifiutano il nuovo assetto proposto per il governo degli organi collegiali non sono disposti a riconoscere che l’autonomia delle scuole, lungi dal produrre un processo di privatizzazione della scuola, ha rappresentato in questi anni il suo più valido strumento di difesa contro una politica spregiudicata che operava concretamente per la privatizzazione dell’istruzione con il taglio delle strutture materiali e degli organici della scuola statale per favorire l’istruzione affidata ai privati. Noi però dobbiamo avere la consapevolezza che, anche se oggi queste posizioni non sono rappresentative del malessere molto diffuso che si vive nella scuola, non possiamo comunque porre pregiudiziali ideologiche e dobbiamo dialogare distinguendo, sulle singole scelte concrete, le posizioni di chi ritiene necessario realizzare una partecipazione democratica nella scuola degli studenti, dei genitori e del personale che vi opera, e che riconoscendo il ruolo delle autonomie locali nel suo governo, vuole porre rimedio allo stato di crisi in cui si trova ormai da anni il sistema partecipativo nato nel 1974, da quelle di chi di tali questioni non si occupa e che al riguardo non ha e non ha mai avuto niente da proporre.

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Molto si è detto sul fatto che la richiesta della sede legislativa in Commissione limiterebbe la leggibilità democratica di un cambiamento epocale che riguarda una realtà che esiste da circa 40 anni. A questo riguardo é forse opportuno ricordare che nel corso del 2009 presso la VII Commissione della Camera si sono svolte una serie di audizioni che hanno avuto per protagoniste le principali Associazioni che operano nel mondo della scuola di cui riportiamo in allegato (1) i documenti ufficiali con le rispettive valutazioni. La FLC-CGIL in particolare formulò un impegnativo documento di analisi (2). Il PD ha chiesto l’avvio di una nuova serie di audizioni sul nuovo testo. Per quanto riguarda il dibattito e l’elaborazione delle proposte di riforma non si può inoltre ignorare che la XIV legislatura, dal 2002 al 2005, fu particolarmente impegnata su tali materie sia pur con esiti alla fine fallimentari. Il dibattito e l’iniziativa svoltisi nella XIV Legislatura presero due direzioni. Da una parte il Governo Berlusconi tentò di sostituire, con il Decreto legislativo del 27 dicembre 2003, il decreto legislativo n 233, che nel 1999 (3) il Ministro Berlinguer aveva predisposto e fatto approvare per la riforma degli organi collegiali territoriali e nazionali, conseguente all’entrata in vigore dell’autonomia scolastica e alla riforma, decentramento, del MIUR. Dall’altra in sede parlamentare si confrontarono alla Camera numerose proposte di legge di riforma degli organi collegiali di Istituto. Un testo della maggioranza approdò persino in Aula nel marzo del 2002 per essere poi rinviato in Commissione dove non ebbe più un seguito conclusivo. Le principali posizioni allora a confronto si possono rivisitare nella tabella che proponiamo nell’allegato (4). Il fallimento dei tentativi di riforma prodotti dalla maggioranza e dall’opposizione e perfino la mancata entrata in vigore del DL.vo 233/1999 ebbero come principale causa il fatto che tutte queste elaborazioni non si misuravano adeguatamente con il nuovo assetto dei poteri legislativi e amministrativi introdotto nel 2001 dal nuovo Titolo V della Costituzione. Le proposte presentate in questa legislatura, come si può agevolmente rilevare prendono le mosse da quella elaborazione che vedeva i due schieramenti parlamentari su posizioni molto distanti su una serie di importanti scelte. Molto si è detto criticamente sul fatto che il testo attualmente in discussione presso la VII Commissione della Camera rappresenterebbe un sostanziale accoglimento delle scelte presenti nel testo presentato dall’on. Aprea.(A.C. n. 935: Norme per l'autogoverno delle istituzioni scolastiche e la libertà di scelta educativa delle famiglie, nonché per la riforma dello stato giuridico dei docenti ) Per quanto riguarda questa critica si può dimostrarne facilmente la totale infondatezza rinviando ad un puntuale confronto che chiunque sgombro da motivazioni pregiudiziali o strumentali può effettuare direttamente sui testi (5). Si possono sinteticamente elencare le differenze fra quel testo e quello attualmente all’esame della Commissione, rilevando che: • a partire dal titolo il nuovo Pdl si riferisce solamente alle scuole statali; • il nuovo articolo 1, a differenza di quanto prevedeva il testo iniziale, a partire dal titolo, coinvolge, nel perseguimento delle finalità educative delle istituzioni scolastiche, il ruolo delle autonomie locali e risulta in gran parte riscritto con un richiamo non solo all’art.117 della Costituzione ma anche con un richiamo alle norme che regolano l’autonomia scolastica (art. 21 della legge 15marzo 1997 n,59 e il DPR. 275/99) che rappresentano, con le altre disposizioni di cui alla legge in oggetto, le norme generali, nel rispetto delle quali potrà essere esercitata l’autonomia statutaria delle scuole;

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• la possibilità di trasformare le scuole in Fondazioni prevista all’art. 2 del testo Aprea scompare totalmente; • il Consiglio dell’autonomia è presieduto da un genitore e non più dal Dirigente scolastico, • i componenti esterni del Consiglio non sono più un rappresentante degli enti locali e un numero indefinito di esperti, ma sono definiti nel numero (non possono essere più di due) e sono e indicati nel Regolamento tra gli appartenenti alle realtà culturali, sociali, produttive, professionali e dei servizi, • il nuovo testo prevede che la rappresentanza dei genitori e dei docenti nel Consiglio sia paritetica; • nel nuovo testo non trova più posto il Capo II riguardante l’autonomia finanziaria delle istituzioni scolastiche e la libertà di scelta educativa delle famiglie. Le risorse finanziarie, umane e strumentali, secondo quella parte del PDL Aprea, si sarebbero dovute trasferite confusamente a livello regionale e di fatto nel Bilancio dello Stato sarebbero dovute rimanere solo le spese riguardanti il funzionamento e le competenze dell’amministrazione centrale. Secondo tale impostazione ogni scuola statale o paritaria anche di nuova istituzione avrebbe potuto ricevere una quota del bilancio statale, comprendente le retribuzioni dei docenti e del personale, corrispondente alla quota capitaria. Le scuole di fatto si sarebbero potute istituire o cessare di funzionare solo per decisione delle famiglie. Sarebbe così cessato di esistere (violato) quel compito costituzionale della Repubblica di istituite scuole statali di ogni ordine e grado (art 33 c.2); • nel nuovo testo non trova più posto neppure il Capo III riguardante lo stato giuridico, le modalità di formazione iniziale e il reclutamento, di fatto una chiamata diretta dei docenti. Spariscono così tutte quelle pericolose, quanto velleitarie, proposte riguardanti l’articolazione su tre livelli della funzione docente, l’associazionismo professionale inteso come sostituto, più che come surrogato, delle organizzazioni sindacali e l’abolizione delle rappresentanze sindacali unitarie a livello delle singole scuole. Nel nuovo testo appaiono invece norme che non risultano neppure accennate nel testo dell’on. Aprea. Esse riguardano: a) la costituzione di Reti e di Consorzi a sostegno dell'autonomia scolastica (art. 10). Infatti è previsto che le istituzioni scolastiche autonome, nel rispetto dei requisiti, delle modalità e dei criteri fissati con Regolamento adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, e di quanto indicato nel decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999 n. 275, articolo 7, possano promuovere o partecipare alla costituzione di reti, consorzi e associazioni di scuole autonome che si costituiscono per esercitare un migliore coordinamento delle stesse. E solo in tale cornice che le Autonomie scolastiche possono ricevere contributi da soggetti pubblici e privati, (fondazioni, associazioni di genitori o di cittadini, organizzazioni non profit), finalizzati al sostegno economico della loro attività, per il raggiungimento degli obiettivi strategici indicati nel piano dell'offerta formativa e per l'innalzamento degli standard di competenza dei singoli studenti e della qualità complessiva dell'istituzione scolastica, ferme restando le competenze degli organi collegiali territoriali. b) la definizione degli organismi territoriali e nazionali per la rappresentanza istituzionale delle scuole autonome (Capo II. Art. 11). Il Consiglio Nazionale delle Autonomie Scolastiche, composto da rappresentanti eletti rispettivamente dai dirigenti, dai docenti e dai presidenti dei consigli delle istituzioni scolastiche autonome é istituito dal MIUR con un regolamento adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sentite le Commissioni parlamentari. Tale Consiglio, che vede la presenza anche di rappresentanti della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, delle Associazioni delle Province e dei Comuni e del Presidente dell'INVALSI, è un organo di partecipazione e di corresponsabilità tra Stato, Regioni, Enti Locali ed Autonomie Scolastiche nel governo del sistema nazionale di istruzione. Esso é altresì organo di tutela della libertà di insegnamento, della qualità della scuola italiana e di garanzia della piena attuazione dell'autonomia delle istituzioni scolastiche. In questa funzione esprime l'autonomia dell'intero sistema formativo a tutti i suoi livelli e si configura come un organo dell’amministrazione scolastica statale. Per questo motivo lo strumento previsto per la sua realizzazione è il Regolamento governativo che dovrebbe però, a mio parere, realizzarsi con l’impiego del comma 2 della legge n.400/88.

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La costituzione degli organismi collegiali locali è invece demandata alla legislazione regionale che in attuazione degli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione definisce strumenti, modalità ed ambiti territoriali delle relazioni con le autonomie scolastiche e per la loro rappresentanza in quanto soggetti imprescindibili nell'organizzazione e nella gestione dell'offerta formativa regionale, in integrazione con i servizi educativi per l'infanzia, la formazione professionale e permanente, in costante confronto con le politiche scolastiche nazionali e prevedendo ogni possibile collegamento con gli altri sistemi scolastici regionali. Conseguentemente si prevede che le Regioni istituiscano con proprie leggi la Conferenza regionale del sistema educativo, scolastico e formativo, e ne stabiliscano la composizione e la durata. Della Conferenza, che svolge attività consultiva e di supporto nelle materie di competenza delle regioni, o su richiesta di queste, esprimendo pareri sui disegni di legge attinenti il sistema regionale, la legge statale in questione ne stabilisce le funzioni esercitando in tal modo quella regolamentazione di principio che la Costituzione prevede sulle materie su cui è attribuita alle Regioni la potestà legislativa concorrente. Analogo procedimento viene riservato alla costituzione delle Conferenze locali che rappresentano il luogo del coordinamento tra le istituzioni scolastiche, gli Enti locali, i rappresentanti del mondo della cultura, del lavoro e dell'impresa di un determinato territorio. Il progetto di legge per la prima volta in tal modo attua correttamente le disposizioni costituzionali del nuovo Titolo V superando quelle difficoltà che nella XIV legislatura avevano bloccato sia il Decreto 233/99 sia il successivo Decreto della Moratti. La competenza legislativa da parte dello Stato, legittimamente invocata per una legge di principio sugli organi collegiali territoriali, viene finalmente applicata tenendo conto della potestà legislativa concorrente in materia di istruzione, e di quella esclusiva in materia di istruzione e formazione professionale delle Regioni. Vengono in tal modo accolte le istanze espresse dalla Conferenza Unificata nel pronunciamento con cui nel gennaio 2004 bocciava la proposta governativa di riordino degli organi collegiali territoriali. c) La conferenza di rendicontazione a livello di scuola (art.8) è un’altra innovazione importante non prevista nel progetto Aprea. Con tale strumento il Consiglio dell’autonomia sulle materie devolute alla sua competenza e, in particolare, sulle procedure e gli esiti dell'autovalutazione, promuove annualmente una conferenza di rendicontazione, aperta a tutte le componenti scolastiche ed ai rappresentanti degli enti locali e delle realtà sociali, economiche e culturali del territorio. Se quelle indicate sono le novità e le differenze più significative esistenti tra il testo in discussione in Commissione e quello presentato nel 2008 dall’on. Aprea, differenze e novità che non possono essere trascurate, come purtroppo è avvenuto sinora da parte di chi ha malvisto la proposta, non si possono ignorare le critiche che riguardano i contenuti reali della proposta. Credo che quelle contenute nel documento sottoscritto da varie Associazioni e Comitati per la scuola pubblica siano già state oggetto di un incontro ufficiale con i parlamentari del PD. In questa occasione voglio entrare, con una riflessione personale, nel dibattito che tale documento ha aperto nel mondo della scuola. Ritengo che si debba in ogni caso avere presente che dopo quasi un quarantennio di esperienza degli OO.CC e dopo il manifestarsi della più acuta crisi della partecipazione non sono molte (quelle note, o comunque rappresentate da chi oggi esprime il dissenso) le proposte per la realizzazione di nuove e incisive forme di autogoverno. Si sostiene criticamente che “la distinzione tra funzioni di indirizzo e di gestione determina uno svuotamento delle funzioni di quello che ora è chiamato Consiglio di istituto e un accentramento di potere nelle mani del dirigente”. Si tratta forse della più antica proposta di modifica del sistema partecipativo nato nel 1974, pronunciata già molti decenni prima dell’entrata in vigore dell’autonomia scolastica. Oggi credo che possa essere riconosciuta la facoltà di ritenere che tale scelta, qualora ben rappresentata, come mi sembra accada nel testo in questione, non comporti necessariamente tale temuto accentramento di poteri. Si sostiene che “vengono stravolti i criteri di rappresentanza delle componenti che vivono e lavorano nella scuola: scompaiono i consigli di classe, i rappresentanti di classe, le assemblee e i comitati dei genitori, le assemblee degli studenti, i rappresentanti del personale tecnico e amministrativo”.

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Mi pare invece che con un Consiglio composto da 9 a 13 componenti e la pariteticità di docenti e genitori, per la prima volta affermata nella scuola secondaria superiore, la rappresentanza di genitori, docenti e studenti risulti chiaramente prefigurata. Con la presenza variabile del numero degli esterni(1 o 2) anche la rappresentanza del personale ATA dovrebbe essere riproposta. Si sostiene che “saranno i singoli Consigli dell'autonomia a prevedere norme al riguardo nei regolamenti di istituto, senza alcun vincolo, senza stabilire che tipo di rappresentanza, quali poteri, quali meccanismi di nomina, quale agibilità all'interno della scuola”. La composizione e le modalità di funzionamento degli organi interni sono materia statutaria e potranno avere anche un carattere anche più incisivo di quello che caratterizza l’ esistente. Forse è il caso di mettersi a studiare per favorire la predisposizione dei nuovi regolamenti e delle ipotesi di Statuto. Il diritto di riunione di studenti e genitori regolamentato dallo Statuto e dal Regolamento potrebbe essere sancito più direttamente dalla legge con un richiamo esplicito al DPR 449/98 che continua ad essere in vigore. Si ritiene che l'autonomia statutaria delle singole scuole “rappresenti un passaggio davvero eccessivo se pensiamo che l'autonomia statutaria è riconosciuta ai Comuni, cioè all'ente territoriale che rappresenta l'intera comunità e che esprime i suoi organi di governo attraverso elezioni a suffragio universale”. In realtà si deve avere presente che le prerogative dell’autonomia statutaria sono esercitate nell’ambito delle norme generali sull’istruzione stabilite nella legge e sono esercitate nel quadro della normativa statale che regola l’autonomia scolastica e che regolamenta l’assetto costituzionale in materia di istruzione. Si ritiene anche che “l'autonomia che ne deriva non è quella che serve alla scuola: un'autonomia didattica e organizzativa in grado di valorizzare le competenze educative dei docenti, le forme di autogoverno che coinvolgono in modo attivo e non formalistico tutte le componenti che vivono nella scuola, i legami con le opportunità educative e la realtà sociale del territorio. Sarà invece un'autonomia fondata sulla separazione, l'autoreferenzialità e la parcellizzazione, un'autonomia centrata su un dirigente scolastico nominato dall'alto, un'autonomia più attenta alle logiche aziendali (competizione e mercato) che al progetto educativo e ai bisogni sociali.” Occorre essere onesti al riguardo perché l’autonomia delle scuole è già stata nel passato oggetto di molte contumelie e catastrofiche previsioni. Doveva essere, (vi ricordate!) la via e lo strumento per la privatizzazione della scuola pubblica e invece ne ha rappresentato un fondamentale strumento di difesa quando alla privatizzazione si è puntato davvero con la politica dei tagli e della dequalificazione condotta dal governo Berlusconi. Non ci sembra oggi opportuno che si ripetano quegli stessi errori di valutazione che non sono serviti a difendere in questi anni la scuola pubblica. I critici che oggi accusano il Pd di favorire l’approvazione di una riforma che si abbatte sul sistema scolastico senza dare ascolto alle sue componenti e di adottare in tal modo lo steso metodo della Moratti, della Gelmini, ovvero il metodo di Berlusconi, dovrebbero a mio parere ponderare meglio il grave significato di tali accuse. A mio parere non si tratta di mancanza di ascolto ma di diversità di valutazioni su scelte politiche che potranno essere misurate nel loro autentico valore e significato solo alla prova dei fatti che io auspico molto vicina ed impegnativa. Si dovrebbe unanimemente convenire sul fatto che la situazione attuale non aiuta la partecipazione democratica e che l’inserimento della scuola in un processo di cambiamento della sua governance territoriale, secondo l’assetto prefigurato dal nuovo Titolo V della Costituzione, può facilitarne un suo rilancio. Al riguardo sarebbe opportuno guardare con maggiore attenzione alle norme quadro previste nel Capo II della proposta di legge che, attivando la legislazione regionale su materie che le appartengono, favoriscono il processo di più generale attuazione del Titolo V. Da quello che conosco e pratico, il PD é un partito non virtuale, forse pieno di contraddizioni, ma organizzato e operante su tutto il territorio nazionale. Mi sembra strano che non siano

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state raccolte ed esaminate le proposte che da molti anni vengono discusse in convegni (vedi la Seconda sessione del Forum Nazionale del 14-15 gennaio 2011 che ha trattato proprio i problemi del rilancio, del governo e della rappresentanza nelle Autonomie scolastiche) e in numerose iniziative pubbliche che si sono svolte in tutto il paese, che fino a prova contraria rappresentavano sedi qualificate di partecipazione e di rappresentanza del mondo della scuola. In particolare nella realizzazione e nella difesa dell’autonomia scolastica mi pare che il PD si sia sempre confrontato apertamente senza infingimenti. Chi lo ha criticato con argomenti che non hanno retto alla prova dei fatti non torni a ripetersi in quest’ occasione. (1) Le audizioni del 2009 sul pdl n. 935 http://www.rosarossanews.net/temporaneo/1documenti_aprea1zip572918.zip (2) L’audizione della FLC-CGIL http://www.rosarossanews.net/temporaneo/2OsservazioniFLCCgilsupropostadileggeApreaAudizione27gennaio2009pdf363018.pdf (3) I decreti legislativi sugli organi collegiali territoriali http://www.rosarossanews.net/temporaneo/3SullariformadegliOOCCterritorialinellaXIVlegislaturadoc303118.doc (4) Il confronto fra i pdl della XIV legislatura http://www.rosarossanews.net/temporaneo/4SullariformadegliOOCCdiscuolanellaXIVlegislaturaOttobre2004doc513118.doc (5) Il confronto fra il pdl n. 935 Aprea e il testo attuale della VII Commissione http://www.rosarossanews.net/temporaneo/5TabApreaREFERENTEdoc363218.doc

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25. Proposta di legge delle ARSA sull’art. 50 (associazioni regionali delle scuole autonome) (7-6-2012)

Documento tecnico unitario delle Associazioni Regionali delle Scuole Autonome sul possibile “modello” di rete territoriale (ai sensi dell’art. 50 L. 35/2012) 1 - Quali rischi e quali opportunità per l’Autonomia delle scuole? La finalità delle reti territoriali non dovrebbe essere limitata esclusivamente alla gestione di aspetti specifici del servizio scolastico sul territorio, bensì, integrando quanto innovato dall’art. 50 della Legge 35/2012 con quanto già disposto dall’art. 7 del DPR 275/99, orientata al potenziamento dell’autonomia scolastica in quel territorio. Le reti non devono essere “schiacciate” sugli aspetti gestionali, trasformandosi in un “ufficio” e limitando di fatto l’autonomia delle scuole aderenti, ma essere al servizio dell’autonomia delle singole scuole, operando, anche attraverso una più marcata autonomia gestionale, per il raggiungimento di obbiettivi strategici finalizzati al miglioramento dell’offerta formativa sul territorio che le scuole non potrebbero, da sole, raggiungere. 2 - Quali funzioni per le reti territoriali? Nelle Linee guida dovrebbero essere esplicitati due ambiti di attribuzione di funzioni alle costituende reti territoriali: a) attribuzione di funzioni gestionali, in attuazione della riforma costituzionale del 2001, con il parziale trasferimento delle funzioni attualmente esercitate dagli Ambiti Territoriali, con conseguente redistribuzione delle risorse, sulla base di accordi tra Regioni e Uffici Scolastici Regionali; b) attribuzione di funzioni di potenziamento dell’autonomia scolastica e di interlocuzione con le altre autonomie e istituzioni a livello locale; tale attribuzione deve essere supportata da un esplicito riconoscimento da parte della Conferenza unificata di cui all’art. 8 del D.Lgs. 28 agosto 1997, n. 281; 3 - Quale tipologia di reti territoriali? Si ritiene che il modello più adeguato allo svolgimento delle funzioni succitate sia quello delle reti “generaliste” permanenti, che si strutturano non su obbiettivi specifici, ma su tutti gli aspetti di gestione e miglioramento del servizio scolastico nel territorio; Ciò non preclude assolutamente alle scuole la partecipazione ad altre tipologie di reti (di scopo, funzionali, ecc.), che però non possono essere individuate quali assegnatarie delle funzioni previste dall’art. 50 e neanche delle funzioni di potenziamento dell’autonomia scolastica e di interlocuzione con le altre autonomie e istituzioni a livello locale; 4. Quale dimensionamento delle reti territoriali? Le Linee guida dovrebbero individuare, in accordo con le Regioni, criteri per l’individuazione degli ambiti territoriali delle reti, tra i quali:

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a) Il numero “ordinatorio” minimo e massimo di Istituzioni Scolastiche da comprendere nella rete, funzionale alla possibilità di un’effettiva autodeterminazione delle reti e alla tutela delle singole autonomie; in linea generale, si ritiene che le reti territoriali debbano comprendere un numero limitato di istituzioni scolastiche e avere quindi necessariamente dimensione subprovinciale o, nei territori metropolitani, subcomunale; b) La coerenza con la rete interistituzionale del territorio (distretti sociosanitari, comuni, comunità montane, ecc.); c) Il raccordo tra primo e secondo ciclo di istruzione, che consenta da un lato la gestione unitaria e coordinata del servizio scolastico sul territorio e, nel contempo, il raccordo tra istituzioni del secondo ciclo in funzione dell’orientamento formativo e del contrasto alla dispersione scolastica; d) I necessari correttivi per riconoscere le specificità delle Regioni in cui sono presenti minoranze linguistiche storiche, o istituti collocati in zone disagiate quali le zone di montagna e le piccole isole; 5. Quali risorse per le reti? ■ Le risorse umane, strumentali, finanziarie, previste alle lettere “c” e “d” dell’art.50 vanno considerate come integrative rispetto a quelle assegnate alle singole scuole. Solo in tale prospettiva esse possono costituire strumento di potenziamento dell’autonomia, in grado di incentivare le scuole a ricercare soluzioni più efficaci ai bisogni del territorio, ad ampliare l’offerta formativa, accrescendo, al tempo stesso, la responsabilità dei risultati; ■ La rete potrà assolvere ai suoi compiti di gestione e sviluppo dell’offerta formativa territoriale solo in presenza di un organico “funzionale” (amministrativo e docente) specificamente destinato all’assolvimento di compiti di coordinamento e implementazione e non a compiti già previsti negli organici di ciascuna scuola; in nessun caso è invece accettabile l’erosione di risorse ai danni delle singole scuole, che già si vedono gravate a livelli ormai insostenibili di incombenze e responsabilità a fronte di continue diminuzioni di risorse e senza alcun riconoscimento; ■ Le linee guida dovrebbero prevedere l’introduzione di un bilancio autonomo di rete, separato da quello delle singole scuole, le cui modalità di gestione dovrebbero essere stabilite in sede di revisione del DI 44/2001; nel frattempo si potrà continuare a utilizzare il modello di gestione finanziaria mediante scuole “capofila”, ma chiarendo il trasferimento di decisionalità sull’utilizzo delle risorse dal Consiglio di Istituto della scuola capofila agli organi decisionali della rete territoriale, anche per evitare sprechi dovuti a duplicazioni di servizi all’interno della rete; 6. Quale rapporto con l’autonomia delle scuole? Quale struttura organizzativa e gestionale? Le linee guida devono sancire l’autodeterminazione delle reti territoriali, riguardo la regolamentazione interna e l’assegnazione delle funzioni di coordinamento e gestione alle singole scuole, attraverso l’adozione di statuti interni, ponendo come unici vincoli la democraticità e la collegialità delle decisioni e la salvaguardia dell’autonomia delle singole scuole, che vi aderiscono liberamente. All’interno delle reti territoriali la responsabilità decisionale sulle scelte gestionali e strategiche deve essere riservata ai dirigenti scolastici, quali rappresentanti legali delle Istituzioni scolastiche e garanti dell’offerta formativa sul territorio. La partecipazione delle altre componenti scolastiche e territoriali è assicurata a livello degli organi collegiali già esistenti nelle scuole aderenti.

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26. Riforma Aprea, troppi poteri ai dirigenti (19-6-2012). Il provvedimento interviene in assenza di una vera attuazione del titolo V ItaliaOggi – di R.GONTERO (presidente AGeSC – associazione genitori scuole cattoliche) Il progetto di legge sull’autogeverno delle istituzioni scolastiche statali ha ripreso il suo cammin alla camera. Prima di entrare nel merito dell’articolato si devono evidenziare alcuni dati di contesto positivi: finalmente il potere legislativo ha deciso di intervenire su uno degli aspetti fondamentali per il funzionamento del sistema di istruzione, qual è appunto la governante delle istituzioni scolastiche nell’ottica di un’attuazione dell’autonomia; in secondo luogo, notizia altrettanto importante, lo ha fatto con un provvedimento bipartisan.

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Ma non si possono trascurare i lati negativi: il provvedimento interviene in assenza di una vera applicazione del Titolo Quinto della Costituzione, senza cioè quella decentralizzazione che, attraverso il passaggio di poteri dallo Stato alle Regioni ed ai Comuni, dovrà creare quel sistema di autonomie in cui anche le scuole dovranno collocarsi. Inoltre lo Stato continua a disattendere l’emanazione di “norme generali per l’istruzione” e la definizione dei “livelli essenziali delle prestazioni”, senza i quali è difficile costruire un sistema unitario ed equilibrato di autonomie. Oltretutto, rispetto all’originario progetto legislativo, il provvedimento unitario uscito dalla VII Commissione vede l’eliminazione delle norme relative alla libertà di scelta educativa delle famiglie e alla riforma dello stato giuridico dei docenti: due temi molto legati all’autonomia delle scuole ma che le forze politiche, evidentemente troppo divise al riguardo, non hanno avuto il coraggio di afrontare. Questo dato evidentemente rende meno significativo l’accordo raggiunto e non è di buon auspicio per la soluzione del problema della parità scolastica. Passando ad esaminare l’articolato, nell’art.1 si definisce l’autonomia statutaria delle scuole: questa importante novità, deve dare valore alla loro personalità giuridica e portarle allo stesso livello degli altri enti territoriali, come indicato dalla Costituzione. Il provvedimento giustamente distingue le funzioni di indirizzo (consiglio dell’autonomia), di gestione (dirigente) e tecnica (docenti). L’art.3 definisce il consiglio dell’autonomia quale organo di indirizzo:per non limitarne la reale autonomia sarebbe forse opportuno ridurre il potere di proposta del dirigente, che così com’è indicato è obbligatorio in troppi compiti (regolamento, piano offerta formativa, designazione membri del nucleo di valutazione, ecc.) è poi opportuno, all’art.4, spostare le elezioni al 30 ottobre per dar modo ai genitori, delle classi prime di conoscersi. I riferimenti alla “classe” scolastica nell’art.6 dovrebbero poi essere cancellati, perché la classe non può essere la sola forma prevista di aggregazione degli allievi, senza nessuna apertura a diverse e più flessibili forme di organizzazione come già previsto in altri provvedimenti. Significativa è l’istituzione dei nuclei di autovalutazione del funzionamento dell’istituto prevista dall’art.8, anche per incrementare una moderna cultura della valutazione necessaria al nostro sistema di istruzione. Francamente appare limitante, all’art.10, il riferimento alle sole Fondazioni quali enti da cui gli istituti possono ricevere contributi. Infine l’art.11 prevede una Conferenza Nazionale delle autonomie scolastiche : rischia di essere la ripetizione dell’attuale CNPI, organismo sostanzialmente inutile; oltretutto l’elezione nazionale dei rappresentanti obbligherebbe a costruire un complicato meccanismo elettorale. Meglio puntare, nell’ottica dell’attuazione del Titolo Quinto della Costituzione, al decentramento con le previste “Conferenze regionali del sistema educativo, scolastico e formativo”, modificando l’art.11. così che di esse facciano parte anche le scuole paritarie, tenendo conto della legge 62/2000 che ha istituito un unico Sistema nazionale di istruzione formato da scuole statali e paritarie.

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27. La riforma degli OOCC. A proposito di autonomia statutaria e rappresentanza istituzionale – A. Valentino (25-6-2012) Autonomia statutaria? Mah! Attraverso i siti che informano sui lavori parlamentari, sappiamo che la 7° Commissione della Camera, il 6 giugno scorso, ha ripreso l’esame, in sede legislativa, del testo unificato dei DdL relativi alle Norme per l’autogoverno delle istituzioni scolastiche. La notizia è in sé positiva. Anche se si sa poco, a tutt’oggi, sui termini della discussione nell’incontro e sulla programmazione di prossime tappe. Comunque è opportuno che si riprenda a parlarne, soprattutto tra persone di scuola, per approfondire alcune questioni per più versi ancora aperte.

Al momento dell’approvazione del testo unificato sull’autogoverno delle scuole, in tanti – si ricorderà - hanno espresso una valutazione positiva sull’impianto complessivo e sulle novità. Ma non sono mancati – ovviamente – riserve, interrogativi e giudizi negativi. I commenti dei partiti politici della ‘strana’ maggioranza avevano a suo tempo enfatizzato soprattutto l’approdo dell’autonomia scolastica all’autonomia statutaria, vista, quest’ultima,

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come strumento in grado di liberare le scuole dai lacci e lacciuoli di una amministrazione centralistica e tentacolare e farla diventare protagonista in una governance territoriale del ‘pianeta istruzione e formazione’. Penso anch’io che tale approdo sia importante e meriti approfondimenti da più punti di vista. La scelta, in astratto, è indubbiamente “forte” perché assimila le scuole, come ci dicono gli esperti, ai Comuni (che però, è bene richiamarlo, sono enti territoriali che rappresentano intere comunità ed esprimono i loro organi di governo attraverso elezioni a suffragio universale). E le assimila anche alle Università che - l’autonomia statutaria - l’hanno già da prima della riforma del Titolo V. A leggere bene il testo di riforma, vengono però fuori, su questo punto, non pochi interrogativi, dettati forse dall’imperizia di chi scrive. Consideriamo pertanto i passaggi in cui si parla di Statuto (art. 1, c. 4): “Gli statuti delle istituzioni scolastiche regolano l'istituzione, la composizione e il funzionamento degli organi interni nonché le forme e le modalità di partecipazione della comunità scolastica”. Tale regolazione avviene “sulla base delle norme generali della presente legge”. L’interrogativo: in ragione di questa norma, quali gli aspetti innovativi e significativi per l’autonomia delle scuole? Vediamo nel dettaglio, per rendercene meglio conto. • Le Istituzioni Scolastiche Autonome (ISA) possono decidere, oltre alle modalità di

funzionamento, il numero di membri (compreso fra nove e tredici) dei nuovi consigli dell’autonomia (CdA) e dei Comitati per l’autovalutazione (che possono oscillare da un minimo di tre fino a un massimo di sette) e nominare gli esterni nella misura indicata dal testo di riforma

• Possono altresì decidere forme e modalità di partecipazione. (Ma anche con l’ordinamento vigente c’è questa possibilità).

• C’è la novità - non certo esaltante per quanto riguarda l’autonomia organizzativa della componente docenti - secondo cui è lo Statuto che “ disciplina l'attività del Consiglio dei docenti e delle sue articolazioni”.

L’autonomia statutaria si riduce a questo? O c’è dell’altro che è insito nella stessa definizione di autonomia statutaria? Se l’autonomia statutaria, però, si riduce alle attribuzioni richiamate, non sembra che, con tale riconoscimento, si aggiunga si aggiunga qualcosa di importante e significativo alle norme già previste nel testo di riforma. Se è così, è il caso allora di spendere energie e tempo per esercitarsi a capire i significati che la lettera del testo non consente di individuare? Un ragionamento diverso Proviamo a questo punto, se vogliamo allargare il discorso dell’autonomia, a prendere in considerazione invece un ragionamento diverso. Per esempio, quello dell’autonomia che non c’è e di cui ci sarebbe bisogno per liberare le scuole - e i suoi organi di governo - da invadenze spesso paralizzanti e responsabilizzarle rispetto agli esiti della propria azione. O, ancora, quello dei vincoli e delle costrizioni, delle rigidità e degli impedimenti che riscontriamo - sempre nell’azione di governo delle scuole - a proposito di • formazione e cultura professionale del personale della scuola, • rapporti di lavoro e le modalità di rispondere dei risultati, • forme di reclutamento e di carriera, • retribuzioni (che restano le più basse d’Europa), • inadeguatezza delle risorse. Non è un modo per parlare d’altro, ma per mettere un minimo di ordine e ragionevolezza nelle cose da fare e per definire così un’agenda con le sue priorità, liberandola da problematiche che, per quanto potenzialmente innovative e importanti in sé (e lo è certamente l’autonomia statutaria), impediscono di concentrarsi sulle pur interessanti novità del DdL evidenziate in parecchi contributi. La rappresentanza negli organi ‘esterni’ di governance. I problemi Tra queste, un posto fondamentale occupano le norme sulla rappresentanza territoriale e nazionale delle scuole autonome e sulla configurazione di una governance di ambiti e di sistema.

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Fondamentale perché, al riguardo, una regolazione democratica e attenta può essere veramente la strada maestra per liberarci da una visione sbagliata dell’autonomia (per tanti ancora sinonimo di “fai da te”, autoreferenzialità, chiusura autarchica, assenza di controlli). Anche su tale tema gli interrogativi e i problemi sono certamente di grande peso; ma affrontabili –forse – in tempi meno lunghi, solo che ci fosse consapevolezza della posta in gioco nella classe dirigente del paese e più pressione e capacità propositiva da parte del pianeta scuola e dell’estesissimo mondo che gli gira attorno. Questo comunque richiede ai vari soggetti in campo la consapevolezza e la disponibilità a dar vita, in ragione della riforma del Titolo V della Costituzione, a un sistema di governo dell’istruzione non più verticale e piramidale, ma, ‘a tre punte’, a dirla con l’immagine di alcuni esperti in materia; un sistema, cioè, di “governo misto” (governance a tre ‘titolari’: Stato, regioni ed enti locali, ISA), nel quale ciascuno dei tre soggetti concorre, in ragione delle funzioni loro attribuite, al governo del sistema. Non più quindi la scuola come vaso di terracotta tra i vasi di ferro del Ministero e delle Regioni, ma come istituzione che, in tale sistema, ha suoi compiti specifici (assicurare il servizio formativo), che è chiamata a svolgere nel rispetto delle norme generali, dei LEP e delle indicazioni e standard nazionali per il curricolo e sulla base delle prerogative di Regioni ed Enti locali. Questo almeno prevede il Titolo V. Ma il nostro è un paese ‘creativo’, dove ‘non si sa mai’. E così capita che questo disegno costituzionale continui a vivere una lunga fase di transizione di cui non si riesce a vedere la fine. E questo soprattutto per due ragioni: • il passaggio reale di competenze tra Amministrazione centrale e Regioni viene rutardato da

troppe esitazioni e resistenze, da parte di entrambi i titolari delle competenze concorrenti; • sono ancora quasi tutti da definire i Livelli Essenziali di Prestazione, che rappresentano la

competenza chiave della titolarità statale (Conseguente è “l’assenza di definizione di costi standard per prestazione, capace di sostenere la razionalità delle decisioni di spesa pubblica”, come opportunamente annota in proposito Franco De Anna) .

Le Associazioni delle Scuole Autonome (ASA) in primo piano Ora è evidente che, per dare credibilità al progetto di una efficace governance, che è nelle attese del testo sull’autogoverno delle scuole, è necessario in primo luogo fare chiarezza sulle Conferenze (regionali, di ambito) e sul Consiglio nazionale, previsti da questa riforma. La loro configurazione è coerente con l’idea di governance a tre ‘titolari’, deducibile dal Titolo V riformato? Prendiamo qui in considerazione la solo ‘costituzione’ della Conferenza regionale, perché meglio si presta a dare concretezza al nostro discorso. Ad essa, come si legge nell’art. 11- c.7, “partecipano i Comuni, singoli o associati, l'amministrazione scolastica regionale, le Università, le istituzioni scolastiche, singole o in rete, rappresentanti delle realtà professionali, culturali e dell'impresa”. Le domande che a mio avviso meritano, al riguardo, più attenzione sono le seguenti: • Poiché le ISA sono numerose (tra le 9 e 10 mila a livello nazionale e, a livello regionale, si

arriva in alcuni casi oltre le 1000 unità (1285, quest’anno, in Lombardia), è chiaro che le singole rappresentanze sono un ‘non senso’. Ma appare difficile prendere in considerazione anche la previsione delle reti come soggetti di rappresentanza. Quali reti poi? Quelle di scopo, forse? Che, anche nel migliore dei casi, mal si conciliano con l’idea di rappresentanza del testo unificato? O le reti di scuole dello stesso tipo, che farebbero correre il rischio di una frammentazione corporativa del sistema? (Forse le reti – e anche i consorzi – potrebbero essere prese in considerazione come strumenti per potenziare l’autonomia e ottimizzare le risorse. Ma questo è un discorso a latere). Sulla base di queste considerazioni, la domanda è: perché non ragionare sulle Associazioni di scuole - sulla falsa riga delle attuali ASA (Associazioni scuole autonome) - come il soggetto privilegiato per la rappresentanza (un po’ come l’ANCI per i comuni e l’UPI per le province)? Si tratterebbe, in tal caso (se vedo bene), di Associazioni da istituire attraverso una legge, come soggetti di diritto pubblico, a cui riconoscere la rappresentanza delle scuole autonome. Che problemi ci sarebbero?

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• La rappresentanza delle “realtà professionali ecc.”, prevista dal testo di riforma e che è assolutamente fondamentale, sarebbe dello stesso tipo di quella delle ISA?

• Le conferenze regionali, ma anche quelle di ambito, si configurerebbero come Conferenze Regioni – Associazioni delle scuole autonome (aperte ad altri soggetti eventualmente comprimari), sulla falsa riga – con le dovute, rilevanti differenze - della Conferenza Stato - Regioni?

• La rappresentanza delle ISA dentro le Associazioni è prerogativa dei Dirigenti Scolastici (DS), in quanto rappresentanti legali delle scuole e figure di coordinamento e di direzione delle stesse - ovviamente assieme a chi presiede l’organo di indirizzo? Oppure va presa in considerazione l’ipotesi di una rappresentanza, dentro le Conferenze, della pluralità di figure professionali e degli utenti delle scuole?

• Quest’ultima ipotesi - che è quella prevista, per il Consiglio Nazionale delle Autonomie Scolastiche (“composto da rappresentanti eletti rispettivamente dai dirigenti, dai docenti e dai presidenti dei consigli delle istituzioni scolastiche autonome”) - non fa correre seri rischi di caduta corporativa? E poi: le questioni della governance non presuppongono conoscenze e competenze a largo raggio e una visione d’insieme che i rappresentanti delle singole componenti professionali non riuscirebbero a garantire? Le istanze di natura professionale o altre non potrebbero invece essere ‘coperte’ dalle associazioni professionali o culturali o da rappresentanti del mondo del lavoro (di cui è prevista la rappresentanza)?

Se soprattutto queste ultime domande hanno senso – e penso che ce l’abbiano – sarebbe allora il caso di rivedere la norma, al riguardo, per il Consiglio nazionale. Che, per come si configura, fa correre il serio rischio che, ad essere rappresentate, non siano le scuole autonome, ma le singole componenti (i DS, i docenti, i presidenti cioè i genitori) e che la scuola-istituzione sia vista non come “un organismo dotato di una propria identità - in cui si riconoscono le componenti che vi operano a vario titolo (…) -, ma solo [come] la somma di singoli interessi di sapore vagamente corporativo” (Roberto Proietto). Ragionamento lineare e convincente. O no?

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28. La difficile riforma degli Organi Collegiali - di S. STEFANEL –scuolaoggi (29-06-2012)

L’interessante contributo di Antonio Valentino (A proposito di autonomia statutaria e rappresentanza istituzionale, su www.scuolaoggi.org del 25 giugno 2012) potrebbe risolvere questo mio intervento attraverso la maniera ormai più semplice di comunicare, cioè mettendo un “mi piace” a commento. Se intervengo è perché il contributo di Valentino è l’unico che non ironizza pesantemente sul DDL Aprea sulla riforma degli Organi Collegiali della Scuola ed è anche l’unico – tra quelli che ho letto – che non invoca la difesa democratica a salvaguardia della Democrazia e della Costituzione, minate da quel DDL. E’ difficile di questi tempi dibattere su qualsiasi cosa, perché oltre ad un numero sempre crescente di disattenti che non sanno mai nulla di nulla e cadono sempre dalle nuvole su tutto si sta sviluppando la categoria di coloro che in nome della Costituzione e della Democrazia stroncano sul nascere qualsiasi modesta proposta di cambiamento. Come si fa a ragionare su dettagli quando è minacciata la nostra stessa vita democratica? E come può arrivare a compimento un provvedimento che si porta dietro il fardello della “lesa maestà” di principi inalienabili diventati diritti civili poiché nati dai famosi (o famigerati) Decreti delegati degli Anni Settanta? Al netto da tutto questo e riconoscendo a Valentino anche un coraggio non da poco, credo sulla riforma degli Organi Collegiali della Scuola in discussione al Parlamento si possano dire alcune cose.

APREA: UN NOME CHE E’ TUTTO UN PROGRAMMA

Forse sarebbe utile chiedersi chi è stato il “buontempone” che ha deciso di “denominare” Aprea un Disegno di Legge che è frutto di più mani. Valentina Aprea, dirigente scolastico in aspettativa, ex sottosegretario di Berlusconi, ex parlamentare di Forza Italia prima e del PDL poi, assessore all’istruzione della Regione Lombardia, estensore della proposta di chiamata diretta da parte dei dirigenti scolastici del personale precario mi pare il nome meno adatto da mettere davanti ad un DDL che debba raccogliere una maggioranza vasta. Cgil, Cisl, Uil, Snals, Cobas, Unicobas, CNPI & Compagnia aggiungendo, mai potranno dirsi soddisfatti di qualcosa

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che ha nome “Aprea”. Non capirlo è stata una pura follia, anche perché c’era già una proposta di legge Aprea di qualche anno fa (quindi il nome era già usurato da quel dibattito) e dunque non si capisce chi gliel’ha fatta fare agli estensori del DDL di buttarsi manie piedi su un nome che fa inferocire tutta la ancora fortemente componente maggioritaria di sinistra della scuola italiana.

Se il nome non bastava ecco allora che il DDL Aprea in discussione va a toccare alcuni baluardi dell’inefficienza e inefficacia scolastica in maniera così diretta da far diventare la discussione un’ennesima prova di appartenenza. E nel caso di questioni molto tecniche l’appartenenza produce sempre sconquassi. Consigli dei classe, interclasse e intersezione; Collegi docenti; Consigli d’Istituto; Giunte esecutive; Dipartimenti; Assemblee di classe; Assemblee d’Istituto: se la scuola italiana spera ancora con questi armamentari di poter affrontare le sfide della globalizzazione, dei cattivi esiti dei suoi studenti, della didattica per competenze, dell’obsolescenza del reclutamento e della formazione, dei saperi strangolati dalle classi di concorso e di tutto quanto ogni giorno chi lavora a scuola conosce benissimo, allora forse è meglio lasciar stare tutto, non riformare niente e lasciare che le scuole continuino a giocare con le coperte di Linus di Organi Collegiali nati dal ’68. Tanto poi deve decidere (ed eventualmente pagare di tasca propria) il Dirigente scolastico, figura che è nata proprio per eliminare il problema degli Organi collegiali. Il d.lgs 165/2011 parla di “potere” del Dirigente e “competenze” degli Organi Collegiali: il vocabolario spiega a tutti senza giri di parola la differenza dei due concetti. L’ho scritto altre volte e qui lo ripeto: o si ha il coraggio di eliminare la figura del dirigente scolastico e di tornare ai Presidi o ai Direttori didattici o si permette ai dirigenti di fare i dirigenti.

Il DDL Aprea è molto pasticciato e molto confuso e probabilmente darà vita a organismi non perfettamente funzionanti: ma rispetto all’attuale nulla e a questo immobilismo che svilisce la partecipazione sarebbe meglio provare a vedere come funziona. Statuto, nuova composizione degli organi d’istituto, organizzazione degli stessi, nuclei di valutazione potrebbero essere un campo di azione per sperimentazioni, analisi, ricerche, dibattiti e una certa innovazione a scuola. Magari non ne verrebbe fuori granché: ma cosa sta venendo fuori oggi dagli Organi Collegiali normati negli Anni Settanta?

ASSOCIAZIONI SCUOLE AUTONOME

Sono Presidente dell’Associazione Scuole Autonome del Friuli Venezia Giulia e posso dire che lo strumento in sé è utile e può fornire una buona base per lavorare insieme. Non credo l’associazionismo scolastico possa essere imposto e la volontarietà dell’adesione rende più forte la proposta, che nasce da adesioni e da una visione e comune e non da imposizioni. Ogni scuola deve farsi rappresentare da chi vuole, ma se un dirigente non la rappresenta è un problema della scuola (e del dirigente) non del sistema. Non è burocratizzando la rappresentanza che questa aumenta.

Le ASA molto spesso non sono decollate in talune realtà regionali perché molti dirigenti preferiscono scorciatoie, appartenenze sindacali, legami sotterranei. Una scuola per come è organizzata oggi comunque “termina” con un dirigente. Si potrebbe tentare di agire con intelligenza usando tutti gli strumenti che ci sono a disposizione e le ASA sono uno di questi. E cercando di vedere nel DDL Aprea possibilità e non limiti per la democrazia.

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29. Governare la scuola dell'autonomia - al Seminario nazionale "Il valore delle professioni amministrative, tecniche e ausiliarie in una scuola accogliente" Firenze 2 e 3 luglio 2012

È il titolo della tavola rotonda alla quale hanno partecipato Antonio D'Andrea, Docente di Diritto Costituzionale Università di Brescia, Maria Filomena Fotìa, gruppo tecnico MIUR, Stella Targetti, Assessore Istruzione Regione Toscana e Domenico Pantaleo, Segretario generale della FLC CGIL.

A condurla, Anna Villari, giornalista e Direttrice della Rivista "Articolo 33".

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Dopo 12 anni dalla riforma del Titolo V della Costituzione che ha ridisegnato le autonomie istituzionali, conferendo rango costituzionale anche alle scuole, possiamo dire - ha affermato Villari - che si è trattato di una riforma incompiuta. Si spiegano così le numerose sentenze della Corte costituzionale che negli anni sono intervenute sugli ambiti di competenza tra Stato e Regioni e gli innumerevoli tentativi di costruire intese tra Stato e Regioni per regolare i difficili rapporti istituzionali.

In questi 12 anni si è fatta tanta confusione e poca chiarezza, anche in campo legislativo e il contenzioso Stato-Regioni non si è mai risolto: ultimo quello sul dimensionamento su cui si è pronunciata il 4 giugno scorso la Corte costituzionale con la sentenza 147/12. Unica certezza è che la "cenerentola" dell'autonomia è stata proprio la scuola che, stretta tra due centralismi e soffocata da tagli disastrosi, non ha potuto dispiegare - se non raramente e per sforzo e responsabilità dei singoli - le opportunità che l'autonomia le offriva per svolgere al meglio la sua "missione". Nonostante il regolamento (Dpr 275/99) la declini con precisione, questa autonomia non è decollata per ragioni più che altro esterne alle scuole.

Dopo questa breve introduzione Villari ha voluto soffermarsi sui probabili scenari, anche alla luce dell'ultimo accordo Stato-Regioni, che si potranno presentare nei prossimi mesi, chiedendo ai suoi interlocutori se sarà possibile per le scuole dotarsi finalmente di un governo che sia espressione della loro particolarità e sia funzionale ai compiti che la Costituzione assegna loro.

Dimensionamento e sentenza della Consulta: e ora cosa cambia?

Tra le materie dell'accordo Stato-Regioni c'è la ripartizione delle dotazioni organiche e il dimensionamento della rete scolastica. Sul dimensionamento la Corte costituzionale ha accolto un ricorso di alcune regioni, tra cui la Toscana, annullando il comma 4 dell'art. 19 della legge 111/11. La sentenza arriva a dimensionamento già fatto, ma in modo incostituzionale. Questo dovrebbe spingere le regioni a rivedere il tutto.

Rivolgendosi a Stella Targetti, Assessore Istruzione Regione Toscana, Anna Villari ha chiesto quali decisioni si stanno prendendo.

L'assessore ha risposto che questa sentenza si inserisce in un quadro di riferimento, presente ormai da tempo nel nostro Paese, purtroppo non chiaro, perciò non si poteva fare a meno di ricorrere; ma dimostrare contentezza è comunque una magra consolazione. Ciò che vuol fare la regione Toscana è lavorare su questioni importanti come i temi dell'accordo Stato/Regioni sul trasferimento di competenze in materia scolastica alle Regioni, nel nome di una sussidiarietà vera in un contesto che non reggeva più, nella confusione più totale tra chi si è occupato fino ad ora degli organici (lo Stato) e chi del dimensionamento (le Regioni). I due strumenti: organico e dimensionamento devono poter marciare insieme e non possono essere assegnati più a due entità diverse e lasciati dunque alla discrezionalità dei rapporti tra USR e Regioni. L'assessore Targetti precisa inoltre che, nell'accordo, ci sono solo i principi generali di questa sussidiarietà verticale, le modalità operative sono da definire e sarà necessario il supporto di tutti, anche dei sindacati. L'autonomia scolastica sta al di sopra di ciò e ne è salvaguardata, ma sottolinea che, tale autonomia, deve realizzarsi poi in una nuova modalità gestionale delle scuole in unione col territorio, per fare arricchire la scuola ed integrarla davvero con la realtà circostante, creando così una cultura del territorio. È per questo che la Regione deve poter agire su tutte le componenti della scuola per "dare gambe" al concreto realizzarsi dell'autonomia scolastica e risulta necessario e fondamentale trovare una rappresentatività dell'autonomia che renda forte il rapporto col territorio.

Dimensionamento e sentenza della Consulta: poca coerenza delle Regioni?

Domenico Pantaleo ha evidenziato la contraddizione delle Regioni che hanno presentato il ricorso alla Corte costituzionale sul dimensionamento: dopo aver avuto ragione non ne hanno tratto le conseguenze mantenendo le decisioni che hanno prodotto un "dimensionamento" devastante della rete scolastica. È ora - ha detto il Segretario generale della FLC CGIL - di passare dopo 12 anni di conflitto continuo fra Stato e Regioni alla cooperazione che deve assicurare una forte partecipazione, un processo aperto, al quale possano partecipare i territori, le parti sociali, gli enti locali e le scuole. È necessario superare un rapporto fino ad ora ridotto a due soli soggetti: lo Stato e le Regioni.

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Compiti e competenze di Stato e Regioni: siamo fuori dalla selva oscura?

Antonio D'Andrea, Docente di Diritto Costituzionale Università di Brescia, è stato sollecitato dalla coordinatrice della tavola rotonda a dare un suo giudizio sull'Accordo fra Stato, Regioni e Province Autonome in materia di istruzione in attuazione del Titolo V della Costituzione presentato al MIUR il 28 giugno 2012. E in modo particolare a soffermarsi sulla chiarezza delle competenze fra Stato e Regioni e sul ruolo delle scuole autonome che non compaiono nel documento e fanno la solita figura dei "vasi di coccio". Altro argomento posto al prof. D'Andrea è stato quello dell'associazionismo scolastico, se esso può essere una via d'uscita dalla minorità dell'autonomia delle scuole come finora l'abbiamo conosciuta.

Il prof. D'Andrea è convinto che la riforma del Titolo V in materia di istruzione abbia consegnato una situazione da "avvelenamento dei pozzi". Nel senso che i concetti del nuovo testo rendono quasi impossibile la gestione. Il nuovo testo ha provocato non pochi pasticci, anche lessicali. Nella Costituzione, infatti, non troviamo nulla di federale, mentre i nuovi concetti espressi nel titolo V riformato (come sussidiarietà, leale collaborazione) complicano l'individuazione delle competenze. E troviamo semmai il fenomeno degli enti decentrati minori che rivendicano competenze. Da ciò lo sforzo che sta facendo - inevitabilmente - la Corte Costituzionale per dirimere la questione delle competenze che si presenta di volta in volta su questo o su quel provvedimento. Da ultimo - ha proseguito il prof. D'Andrea - abbiamo assistito all'ennesimo scontro Stato-Regioni, con l'intervento della Corte Costituzionale, sulla questione del dimensionamento della rete scolastica.

Verso il superamento degli USR e USP: quale comunicazione tra Ministero e scuole?

Nell'ipotesi di accordo Stato-Regioni si delinea una nuova configurazione dell'amministrazione periferica dell'istruzione con il superamento degli Uffici Scolastici Regionali (USR) e Uffici Scolastici Provinciali (USP). A questo proposito Anna Villari ha chiesto a Maria Filomena Fotìa, gruppo tecnico MIUR, attraverso quali canali avverrà la comunicazione tra scuola e il , visto che il sistema di istruzione resta nazionale.

La professoressa Fotìa ritiene che sia stato un pasticcio di stampo elettorale la scelta fatta 12 anni fa di modifica del Titolo V con le conseguenze che ne sono derivate nei rapporti tra istituzioni, sul ruolo delle scuole e quello degli Enti locali, sulla guerra tra i vari Enti. Tale situazione avrebbe avuto bisogno di una autonomia scolastica sul modello di quanto pensato da Berlinguer: autonomia organizzativa, di ricerca-azione; di una idea di scuola che va ad identificarsi con la più vasta comunità educativa.

Sinora invece l'autonomia scolastica, oltre a subire l'incursione di tante leggi, è stata distrutta nella parte più costruttiva; invece di ottenere l'organico funzionale, che sarebbe stato una delle gambe dell'autonomia, la scuola ha dovuto subire continui tagli di risorse sia umane che finanziarie. I 70.000 posti in meno del personale ATA erano già nella Legge 133/08 e nelle Finanziarie che sono seguite.

È stata azzerata l'autonomia di fatto; nella dinamica complessa tra Stato, Regioni ed Enti locali, la scuola non ha avuto la forza di essere rappresentativa.

Il decentramento amministrativo - ha proseguito Fotìa - è stato soltanto lo scarico parziale o totale di lavoro sulle scuole, senza alcuna formazione per il personale amministrativo e senza assegnazione di apposite risorse. Le segreterie delle scuole si sono attrezzate per essere pezzi dell'Amministrazione, per svolgere compiti che spettavano al MIUR.

Con le misure conseguenti alla spending review, con l'ipotesi di abolizione degli uffici periferici del MIUR, si va verso l'impoverimento della pubblica amministrazione: la riduzione dei funzionari, la riduzione di organico e di retribuzioni sono un segnale chiaro di chi non crede in essa; al contrario servirebbe una pubblica amministrazione moderna, efficace e funzionale. È positivo che nel Decreto Sviluppo, grazie anche all'impegno del MIUR, ricompaia l'organico funzionale, pur se in una formulazione vuota di contenuti.

Bisogna risolvere il problema del governo della scuola, attraverso una ridistribuzione di compiti tra centro e periferia, che non carichi la scuola, che deve essere così centro di flessibilizzazione

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dell'offerta formativa vera. È necessario utilizzare le risorse costituite dai fondi europei che alcune regioni non hanno saputo utilizzare.

Con le scuole, in collaborazione con gli Enti locali - ha sottolineato Fotìa - bisogna tendere all'attuazione del vero diritto all'istruzione.

È riprovevole che sia stata esclusa la scuola nella predisposizione del piano di dimensionamento e ristrutturazione della rete scolastica. È auspicabile - ha concluso Fotìa - che, nel rispetto della sentenza della Corte Costituzionale, il piano di dimensionamento futuro sia regolamentato meglio e veda maggiore partecipazione e condivisione.

Ipotesi di Accordo Stato-Regioni: le scuole non hanno voce. E il sindacato?

Nel recente accordo Stato-Regioni sul trasferimento di funzioni amministrative, risorse ("finanziarie, umane e strumentali"), sulla sperimentazione di nuovi modelli organizzativi ecc. la grande assente resta la scuola che ancora una volta non ha voce, né sui criteri di ripartizione degli organici, né sulle sperimentazioni previste, tra cui una che riguarda la professione docente. Il secondo escluso su organici, sperimentazioni, valutazione e modelli organizzativi è il sindacato. Anna Villari ha chiesto l'opinione di Domenico Pantaleo.

Per il Segretario generale della FLC CGIL il tema centrale da affrontare in modo partecipato è quello dei Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP) che il servizio pubblico di istruzione deve garantire. I LEP non debbono essere livelli minimi, ma standard qualitativi generali da raggiungere in tutto il territorio nazionale. Il finanziamento dei LEP non può avvenire spostando l'onere finanziario dallo allo Stato alle Regioni, perché così si finisce per lasciare in difficoltà le Regioni più fragili. L'idea di un piano straordinario per il Sud deve riguardare anche le differenze strutturali e le esigenze del sistema di istruzione.

Rispetto agli organici vanno affrontati sia il problema dei criteri per la loro distribuzione che devono garantire l'unitarietà del sistema di istruzione (ad esempio gli ordinamenti decisi dallo Stato devono essere garantiti ovunque) sia il problema del rapporto di lavoro che deve essere regolato dal contratto nazionale. Un eventuale terzo livello di contrattazione regionale, oltre a quello nazionale e di scuola, deve essere regolato in modo chiaro e non derogabile dal contratto nazionale: non è accettabile che due contratti, nazionale e regionale, affrontino lo stesso tema.

Autonomia scolastica, autonomia minore: chiarire i rapporti istituzionali fra Stato, Regioni e Scuole

Nella "triangolazione" tra istituzioni autonome, Stato, Regioni, Scuole, come dovrebbero essere gestiti i rapporti? Per le materie di sua competenza può lo Stato (il MIUR) dialogare con 10mila scuole? E le regioni con ogni singola scuola del proprio territorio? Per Anna Villari la scuola in tutto questo sembra esercitare un'autonomia "minore", il vaso di coccio tra i vasi di ferro. È proprio così?

L'opinione di Maria Filomena Fotìa è che bisogna cogliere anche l'occasione della crisi per ridisegnare la Pubblica Amministrazione. È urgente risolvere il problema di dare gambe all'autonomia scolastica; continuare con i tagli delle risorse umane e finanziarie significa mandare alle scuole il messaggio di arrangiarsi.

È necessario affrontare il problema della rappresentanza delle scuole autonome, partendo dalla domanda non su "chi" ma su "che cosa" serva. La scuola è il lievito del territorio: serve una rappresentanza della comunità scolastica in grado di co-progettare, co-programmare l'offerta formativa anche in relazione al territorio; una rappresentanza collettiva delle scuole. Sicuramente per fretta nel DDL di riforma degli organi collegiali è stata fatta fuori la componente ATA. Le scuole poi devono imparare a rispondere al territorio, ai portatori di interesse, attraverso il bilancio e la rendicontazione sociale.

Tutta la vicenda del dimensionamento, secondo Pantaleo, ha evidenziato come l'assenza di un interlocutore essenziale, le scuole autonome, abbia prodotto istituti comprensivi dove, in conseguenza delle eccessive dimensioni, della estesa distribuzione territoriale, della

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aggregazione forzata di storie diverse, è compromessa e resa impossibile proprio la finalità per la quale si era deciso di costituirli: la continuità didattica ed educativa.

Per il Segretario generale della FLC CGIL è necessario tornare a parlare di dimensioni compatibili con l'efficacia funzionamento, fuori della logica del risparmio di spesa, e ragionare sul limite massimo di 900 alunni per scuola e su 600 alunni come media regionale per assicurare prima di tutto il funzionamento delle scuole.

L'autonomia delle scuole ha come prima finalità la ricerca, la costruzione del progetto della comunità educante, per garantire standard di qualità sempre più elevati. Alle scuole, per questo, servono risorse adeguate e certe che debbono essere erogate con tempestività e questo è un primo obiettivo da raggiungere.

Le scuole hanno poi bisogno che la loro autonomia, di valore costituzionale, sia rispettata. Per questo hanno bisogno di una rappresentanza che possa interloquire con i decisori politici e possa far valere il proprio compito di rispondere alle esigenze concrete del territorio e ai bisogni dei cittadini. Una rappresentanza plurale, non affidata al solo dirigente scolastico e capace di far contare le scuole e il loro progetto.

A Palazzo Chigi - ha continuato Pantaleo - è in corso una discussione (sulla spending review) che non si misura con le esigenze del Paese. Si continua a parlare di tagli e non di investimenti, che, invece, paradossalmente vengono previsti per la scuola privata. Noi siamo impegnati perché alle scuole sia dato quello che serve a funzionare e a governarsi. Il processo in corso rischia di portare da un governo centralista al nulla con il rischio concreto che la scuola resti senza un sistema di governo. Per questo la FLC CGIL è in campo con le proprie proposte sia sulla riforma degli organi di autogoverno delle scuole sia sull'intesa fra Stato e Regioni in attuazione del Titolo V della Costituzione.

Autonomia scolastica, autonomia minore: come uscirne?

Come deve fare la scuola per uscire da questa "autonomia minore" ed essere riconosciuta dagli altri interlocutori istituzionali, in uno spirito di reciprocità anche se non di parità, ma anche per esercitare al meglio la funzione che la Costituzione le assegna? Anna Villari lo ha chiesto al costituzionalista presente alla tavola rotonda.

Il prof. Antonio D'Andrea ha evidenziato come in realtà nella recente ipotesi di accordo fra Stato e Regioni le scuole non compaiano, nel senso che non troviamo il "minimo garantito" per l'autonomia delle scuole. È necessario allora costruire una rappresentanza delle istituzioni scolastiche che consenta una loro partecipazione al processo che si sta avviando. Ma seppure assente dal testo di accordo, l'autonomia non può essere compressa dal legislatore perché "è fatta salva". E tuttavia non possiamo tacere sul fatto che la formula presenta una sua intrinseca debolezza. Ecco perché, per eliminare questo altro elemento di complicazione, la proposta è che si faccia opera di "pulizia" e si cambi semplicemente il testo costituzionale eliminando la parola istruzione dalla legislazione concorrente e riconducendo l'istruzione stessa interamente alla norma generale. E per la chiarezza del concetto di autonomia, il suggerimento del prof. D'Andrea è che debba esplicitarsi che essa è uguale a libertà ma non a omogeneità. Da questo punto di vista i LEP non hanno nulla a che vedere con l'autonomia che può essere di due tipi per le scuole: organizzare ciò che si deve insegnare o individuare ciò che si deve insegnare. In ogni caso occorrono i trasferimenti certi per fare queste cose che la legge consegna come compiti delle scuole.

Apprendistato e obbligo scolastico: quali prospettive?

Nel corso della tavola rotonda sono state poste dal pubblico alcune domande sul tema dell'autonomia e del dimensionamento, ma anche su apprendistato e obbligo scolastico.

Stella Targetti ha risposto sostenendo che c'è un evidente parallelismo tra la legge Bassanini (Legge 59/97) sul decentramento amministrativo e il regolamento dell'autonomia scolastica (DPR 275/99); purtroppo entrambe non si sono completamente realizzate. Risulta ora più che mai necessario portarle a termine. La Regione Toscana attuando il Titolo V della Costituzione si muove nel quadro di tali norme facendosene garante. Consapevole della necessità di agire sugli organici per una vera realizzazione dell'autonomia, dichiara inoltre di aver chiesto un

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tavolo con il Ministro Profumo per discutere delle criticità sugli organici, specialmente dei collaboratori scolastici.

Riguardo all'apprendistato e alla legge che permette di terminare l'obbligo scolastico a 15 anni, consentendo di svolgere l'ultimo anno nel mondo del lavoro, l'Assessore spiega che il tema è stato al centro di un acceso dibattito in Conferenza Stato/Regioni e che la sintesi trovata è la migliore possibile anche se permette a regioni come la Lombardia di attuare appieno la norma abbassando, di fatto, il limite dell'obbligo. Sottolinea, infine, che da tenere presente è il tema della dispersione scolastica: il problema stringente è quello di tenere i ragazzi a scuola e la Regione Toscana può avere un ruolo nel cercare soluzioni possibili (innovazione, modelli didattici...) e conclude ribadendo che solo sul territorio, in un'ottica di decentramento amministrativo e reale sussidiarietà, potranno essere trovate soluzioni credibili ed efficaci.

Maria Filomena Fotìa ha riferito che il gruppo di lavoro al MIUR, di cui lei fa parte, sta lavorando da mesi su un progetto di lotta alla dispersione nelle regioni "convergenza". Ci vuole una revisione del modello di scuola, in particolare per le regioni meridionali. Occorre anche ripensare all'obbligo scolastico senza abbassarlo.

Sulle forme di rappresentanza, Fotìa ha anche sostenuto che il MIUR deve fare la sua parte per offrire spazi di partecipazione al mondo della scuola.

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PARTE SECONDA : LA POSIZIONE DELLA FLC CGIL Continuiamo con la pubblicazione delle posizioni della FLC CGIL sul PDL relativo all’autogoverno delle istituzioni scolastiche, dopo quelle di autori, esperti di scuola, associazioni e partiti politici.

30. Riforma organi collegiali: abbandonato il modello autoritario dell'Aprea, ma molte cose sono da cambiare alla radice (27-03-2012)

Un DDL condivisibile nei principi generali. Da modificare, invece, molti punti tra i quali i nuclei di autovalutazione, le fondazioni, gli statuti, il Consiglio dei docenti e la rappresentanza dei lavoratori, dalla quale il personale ATA viene escluso. Per la FLC adesso la parola deve passare alle scuole. La Commissione Cultura della Camera ha approvato il DDL sulla riforma degli Organi Collegiali della scuola, che mostra insieme alla discontinuità con le politiche del precedente Governo anche parti da modificare radicalmente. È ora necessario aprire una fase vera di confronto sull'ipotesi di riforma che coinvolga tutti i soggetti interessati (organizzazioni sindacali, dirigenti, docenti, ATA, genitori, studenti, Enti Locali). Non è accettabile che simili decisioni vengano prese sulla testa delle scuole senza che esse abbiano diritto di parola. Siamo stati fortemente contrari ai contenuti del provvedimento che proponeva l'On. Aprea perché era un disegno autoritario e anti democratico e tentava di scaricare lo Stato dall'obbligo e dalla responsabilità di finanziare adeguatamente le scuole della Repubblica, aprendo decisamente le porte ai privati attraverso le fondazioni e le imprese. Un inaccettabile tentativo tutto riconducibile alle politiche neoliberistiche volte alla privatizzazione del servizio di istruzione e formazione. Nell'attuale DDL purtroppo resta la possibilità di far entrare le fondazioni e i privati nel Consiglio delle autonomie. Da qui le nostre riserve sui punti in questione che pertanto vanno diversamente formulati. La scuola non ha bisogno di fondazioni o di privati che investono il loro denaro per un interesse particolare. La scuola ha bisogno di finanziamenti pubblici all'offerta formativa che assicurino a tutti i cittadini il diritto all'istruzione e alla formazione per tutto l'arco della vita. La riforma degli Organi Collegali può rappresentare una grande occasione di rilancio dell'autonomia se riesce a realizzare un equilibrio convincente tra la capacità delle scuole di aprirsi alle istituzioni sociali, culturali ed economiche del territorio mettendole al riparo dai rischi della subalternità agli interessi delle imprese. Sconfitto il disegno del precedente Governo e sonoramente respinta dalle scuole la farsa delle sperimentazioni imposte dalla Gelmini resta il nodo sulla valutazione: occorre smetterla di

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cercare di imporre modelli dall'alto e senza il consenso delle scuole e dei docenti ai processi di riforma. In pochi mesi sono stati fatti, inopinatamente, ben tre interventi sul tema della valutazione. L'Invalsi, in un sistema di valutazione condiviso e efficace, deve essere un valido supporto alle scuole senza assumere un ruolo che mortifica la didattica e l' indipendenza del collegio dei docenti. Questo è quanto serve se si vuole davvero potenziare il modello democratico dell'autonomia scolastica. La condivisione dei soggetti interessati è fondamentale sia per fare le riforme che per attuarle. In questa logica è ingiusto negare la rappresentanza del personale ATA nei Consigli dell'autonomia (sbagliato negare il diritto di voto al DGSA) e nazionale. Occorre riaffermare il primato dell'autonomia e le prerogative del Collegio che in questo DDL si tenta di sminuire attraverso le forzature degli statuti. A tale proposito crediamo che l'articolo relativo all'autonomia statutaria vada radicalmente riformulato. È giusto riformare gli Organi Collegiali che risalgono al 1974. Lo prevede il regolamento dell'autonomia, la FLC lo chiede da tempo. I principi ispiratori debbono essere la partecipazione democratica di tutte le componenti, senza nessuna esclusione, e la chiara distinzione dei poteri tra i diversi organismi (Collegio Docenti, Consiglio di Istituto, Dirigenza), un sistema di valutazione nazionale il cui pilastro fondamentale deve essere l'autovalutazione. Positivo il fatto che la presidenza del consiglio dell'autonomia rimanga affidata alla rappresentanza dei genitori (la proposta Aprea prevedeva un Consiglio di amministrazione presieduto dal dirigente scolastico) e che le scuole autonome possano esprimersi attraverso una rappresentanza plurale non limitata ai soli dirigenti scolastici. Per dirla in breve la scuola per funzionare ha bisogno di poche e semplici cose: risorse certe, organici stabili e adeguati, normative chiare, trasparenza nella gestione, partecipazione. L'autonomia deve essere concepita come spazio pubblico aperto al territorio che rafforzi l'idea di comunità. Sul merito abbiamo da tempo formulato le nostre proposte (leggi documento sintetico) che riproporremo sotto forma di emendamenti alle Commissioni Cultura di Camera e Senato. Per dare credibilità alla riforma degli Organi Collegiali è necessario prima di tutto bloccare i tagli, investire nell'istruzione - alla scuola pubblica manca 1 punto di PIL (16 miliardi di euro) rispetto alla media OCSE - mettere in discussione le controriforme della Gelmini e cancellare le norme Brunetta che sono portatrici di una visione anti democratica e antieducativa del lavoro. Ma fino ad ora non c'è stato alcun cambiamento concreto nelle politiche del Governo Monti. Al Ministro Profumo rinnoviamo la richiesta che avevamo fatto fin dal primo incontro di avviare un confronto serrato su tutti i temi che riguardano l'autonomia e la governance e chiediamo di essere consultati sia sul DDL sia sul regolamento applicativo che regolerà la rappresentanza istituzionale delle scuole autonome. Abbiamo delle proposte concrete sui singoli punti di cui alcune anche a costo zero come abbiamo ampiamente dimostrato nel nostro dossier "Ricostruiamo la scuola". La FLC CGIL aprirà nei prossimi giorni uno spazio sul proprio sito per dare la possibilità a docenti, dirigenti, ATA, RSU, genitori, studenti ed Enti Locali di dare il proprio contributo alla modifica degli Organi Collegiali. I contributi che ci arriveranno saranno portati al tavolo di confronto e costituiranno il punto di partenza per il lavoro emendativo che ci vedrà impegnati.

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31. Organi collegiali: la FLC serve una riforma vera (23 -6 -2012)

Il disegno di legge in Parlamento è da modificare. Le proposte della FLC. Fondamentale ascoltare le proposte delle scuole. Garantire la partecipazione e la rappresentanza di chi lavora nella scuola, delle famiglie e degli studenti Come si fa a governare una scuola che dal 1999 subisce continue modifiche, riforme o controriforme che siano, con organismi istituiti nel 1974? Gli organi collegiali della scuola hanno infatti ben 36 anni e sono indubbiamente inadeguati alla scuola autonoma, come configurata dalla riforma costituzionale del 2001. Andavano riformati già 11 anni fa. Ora, dopo le vicissitudini dell'era berlusconiana e i tentativi di trasformare la scuola pubblica in azienda privata on demand, finalmente il Parlamento sta discutendo un disegno di legge di riordino degli organi di governo della scuola autonoma. Il ddl in una prima versione conteneva alcuni discutibili articoli della precedente proposta Aprea, che avevamo duramente contestato. Questi articoli escludevano dagli organismi la rappresentanza del personale Ata, compreso il dsga relegato al ruolo passivo di verbalizzatore e mancava un canale certo per la partecipazione di genitori e studenti. Nel documento allegato sono illustrati

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tutti i punti critici e controversi che la FLC ha proposto di cambiare presentando i propri emendamenti ai gruppi parlamentari. Chi deve governare la scuola? La filosofia che ispira la FLC è una sola: al governo della scuola debbono partecipare, ognuno con le proprie responsabilità, tutte le componenti: la dirigenza, la docenza, il personale ausiliario, tecnico e amministrativo, ma anche i genitori e gli studenti in quanto fruitori del servizio e i rappresentanti del territorio. La nostra iniziativa ha marcato un primo successo, infatti il testo licenziato dalla Commissione cultura della Camera sarà inviato al Senato con diversi ordini del giorno che recepiscono buona parte delle nostre osservazioni sulla partecipazione del personale ATA, di studenti e genitori e sugli statuti e sulla presenza dei privati. Ma il percorso parlamentare non sarà brevissimo. La pausa estiva lo rallenterà. La FLC chiede anche che la discussione su un tema così delicato e importante, quale la nuova governance della scuola, non avvenga solo nel chiuso di una commissione parlamentare. È fondamentale che si apra un dibattito il più possibile partecipato, che le scuole abbiano voce in capitolo e che poi il provvedimento arrivi in aula. L'impegno della FLC sarà rivolto a sviluppare questa discussione, soprattutto tra i diretti interessati, quelli che la scuola la fanno vivere ogni giorno e ne conoscono i problemi. Le riforme calate dall'alto hanno provocato solo danni che le scuole (e gli alunni) stanno pagando sulla propria pelle. Hanno diritto di riprendersi la parola.

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32. Organi collegiali della scuola e ddl in discussione: le considerazioni della FLC CGIL Premessa Il DDL ha il merito di riportare alla ribalta il tema degli organi collegiali della scuola e questo è un bene perché gli organismi attuali risalgono al 1974 e non rispondono più alla configurazione dell’autonomia scolastica introdotta nel 1997 e “costituzionalizzata” nel 2001, quindi da oltre un decennio questi organismi hanno bisogno di una riforma. La FLC CGIL si batte da anni affinché l’autonomia scolastica sia resa efficace da una governance democratica del sistema fondata sulla partecipazione di tutti gli interessati, a partire da chi nella scuola lavora e studia, fino alle famiglie e alle istituzioni territoriali, quindi saluta positivamente la ripresa di questa discussione. Il disegno di legge in discussione in Parlamento, se, da un lato, è condivisibile nel suo impianto generale (ripartizione dei poteri), dall’altro, ripropone purtroppo alcune soluzioni già presenti nella proposta Aprea che la FLC aveva duramente contestato allora e contesta anche oggi. Di seguito le nostre considerazioni prima di metodo, poi di merito.

Sul metodo Il mondo della scuola è in subbuglio perché ancora una volta non è stato ascoltato nell'elaborazione di importanti disposizioni legislative che riguardano il governo della scuola. Ricordiamo che i maggiori danni alla scuola sono venuti da scelte a tavolino su cui le scuole non hanno potuto pronunciarsi. È bene quindi non ripetere gli stessi errori del passato, a maggior ragione nel caso di una riforma che deve parlare a oltre un milione di lavoratori e a diversi milioni di cittadini che sono i fruitori del servizio. Soprattutto il corpo insegnante è in fibrillazione perché sente di dover sopportare continue nuove disposizioni di legge calate dall'alto che vengono avvertite come vere e proprie interferenze, soprattutto nel campo che è più caro agli insegnanti, quello della didattica.

- Sensibilità e ruolo professionale

Una proposta che nasce nel chiuso di una stanza rafforza la convinzione degli operatori scolastici che queste disposizioni siano scritte da persone che non sanno niente della scuola e dei suoi problemi e che, tuttavia, sono sempre solerti a svalutare il modo di lavorare di chi invece da anni vive e lavora nelle scuole. Un problema didattico a cui il corpo insegnante tiene molto è proprio quello degli organi collegiali. Questo non tanto per un interesse corporativo o per ragioni di potere, quanto perché proprio in questi organismi si manifestano l'identità e il ruolo professionale e se ne sviluppa la consapevolezza .

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Di questi aspetti deve tenere conto chi legifera e si sta avventurando su questa strada.

- La governance non è un modello neutro La scuola non è un’impresa commerciale né una società di capitali: la scuola è una comunità educante che deve autogovernarsi, nel quadro di regole generali e nazionali che diano ai cittadini certezza sul sistema di istruzione del proprio Paese. È a loro che la scuola risponde, perché l’accesso agli studi e ai gradi più alti dell’istruzione è un diritto costituzionale che va garantito a tutti i cittadini. Per dare evidenza che la riforma degli organi collegiali non ha l’obiettivo di definanziare le scuole occorre un segno contestuale e certo che vengano restituite alle scuole le tante risorse tagliate negli ultimi anni per il loro funzionamento. Le recenti elezioni per le RSU hanno dimostrato una gran voglia di partecipazione da parte dei docenti e del personale amministrativo, tecnico e ausiliario e la convinzione che la scuola è una comunità educante in quanto tale. Il governo e le forze politiche non possono prendersi la responsabilità di fiaccare e deludere questa disponibilità all’impegno civile. Governare la scuola spetta prima di tutto a chi ci lavora, ognuno con le proprie responsabilità: la dirigenza e il personale ausiliario, tecnico e amministrativo per gli aspetti organizzativi, didattici e amministrativi; la docenza per la parte didattica ma anche per i suoi aspetti organizzativi, i genitori e gli studenti in quanto fruitori del servizio. Pertanto noi vi chiediamo di rallentare l’iter di approvazione del DDL per dare modo alla categoria, ai dirigenti, ai genitori e alle famiglie di esprimere il loro punto di vista su una questione che li riguarda così da vicino. Sul merito Elenchiamo adesso le nostre considerazioni su quelli che riteniamo i punti principali, l'ossatura, del disegno di legge.

- Statuti Secondo l'art.33, sesto comma, della Costituzione sono solo le "istituzioni di alta cultura, università e accademie" ad avere diritto di "darsi ordinamenti autonomi" sia pure nei limiti individuati dalla legislazione statale. Dunque la qualità dell'autonomia organizzativa da riconoscersi alle istituzioni scolastiche è qualitativamente differente e rimessa totalmente al legislatore.

Da questo punto di vista la stagione statutaria che si vorrebbe inaugurare per le istituzioni scolastiche non è, a nostro parere, raffrontabile, se non in senso molto lato con quella riconosciuta alle università). Naturalmente è significativo e apprezzabile l'intento del legislatore di prevedere un ambito regolamentare da riservare a ciascuna delle oltre 9.000 scuole.

Tuttavia una definizione statutaria così astratta può essere fonte di equivoci. Il primo e più evidente pare rappresentato proprio dal rapporto tra lo statuto di ciascuno istituto e il regolamento che è "fonte" non subordinata allo statuto.

È fondamentale, invece, "specializzare" "la fonte" statutaria rispetto alla "fonte regolamentare". Per questo va definito subito, nella legge, l’ambito entro cui agiscono gli statuti, escludendo una loro ingerenza nel funzionamento del consiglio dei docenti e in generale su tutto ciò che concerne la didattica. Una tale interferenza sarebbe letta come una manomissione dell'integrità del collegio e comporterebbe una forte reazione da parte del sindacato oltre che del corpo insegnante.

È necessario, poi, che la legge stessa fissi alcuni principi a cui debbono attenersi le scuole nella stesura dei regolamenti. Proponiamo questa soluzione perché siamo certi che tale formulazione sia d’aiuto alle scuole e serva a rafforzare la caratterizzazione unitaria e nazionale del servizio di istruzione anche in presenza di autonomia statutaria

- Rappresentanza del personale Ata e ruolo del DSGA La presenza del personale ATA (lavorano nella scuola 200.000 persone nei servizi e nell’amministrazione) arricchisce di un punto di vista prezioso tutta la gestione della scuola. Pertanto è sbagliato politicamente e funzionalmente escludere, come fa il DDL, la loro partecipazione al governo della scuola. È paradossale dare voce e voto ai privati e negare la rappresentanza al personale ATA.

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Altro punto dolente è il ruolo di solo verbalizzatore che si vorrebbe affidare al Dsga. Il Direttore dei Servizi deve partecipare a pieno titolo al Consiglio per la visione complessiva che egli ha dell’Istituto sul versante del supporto alla didattica e al sistema, per le competenze possedute e per la funzione amministrativa e organizzativa che svolge nella scuola autonoma.

- Libertà di insegnamento e autonomia professionale di docenti e dirigenti Devono essere istituiti organismi di garanzia sulle controversie di natura professionale concernenti la libertà di insegnamento dei docenti e l'autonomia professionale dei dirigenti.

Tale esigenza si ripropone a maggior ragione dopo l’introduzione della nuova normativa sulle sanzioni disciplinari che lascia irrisolti molti aspetti legati proprio alla libertà di insegnamento e all’autonomia professionale, principi incardinati nella Costituzione. Si tratta, a nostro avviso, diprevedere un ambito specifico (ad esempio una commissione all’interno del Consiglio Nazionale dell’Autonomia) per affrontare tematiche inerenti la competenza professionale, l’autonomia culturale di docenti e dirigenti scolastici.

- Rappresentanza scuola autonome Le scuole autonome debbono avere una loro rappresentanza a tutti i livelli attraverso la quale esprimere il loro parere su tutti gli aspetti connessi all’esercizio dell’autonomia organizzativa, didattica, di ricerca e di sviluppo. Tale rappresentanza deve essere plurale e quindi beneficiare della partecipazione di tutte le componenti, e infine deve essere riconosciuta da tutti i soggetti istituzionali (Stato ed Enti Locali).

- Nuclei di autovalutazione È utile che le scuole nel processo di autovalutazione possano avvalersi del supporto dell’Invalsi, ma l'istituto, a nostro avviso, non deve andare oltre questo ruolo. Finora l’Invalsi ha fornito solo i test per la rilevazione degli apprendimenti ed è bene quindi evitare che, attraverso la riforma degli OOCC, si introduca surrettiziamente un sistema di valutazione basato esclusivamente sulla rilevazione degli apprendimenti (troppo parziale come metodo e come criterio per un sistema educativo). Sarebbe importante aumentare da 3 a 5 il numero minimo dei componenti il nucleo di valutazione per rendere più equilibrate le presenze degli esterni e dei genitori rispetto al personale interno che comunque deve essere maggioritario. - Partecipazione e diritti degli studenti e delle famiglie La scomparsa dei genitori dai Consigli di classe e di interclasse potrebbe privare di energie le scuole che finora ne hanno beneficiato. Sappiamo benissimo, anche per esperienza, che il confronto scuola-famiglia è un'indispensabile condizione di maturazione reciproca. Non serve lasciare alla spontaneità la partecipazione dei genitori e degli alunni, ma occorre costruire un canale di partecipazione utile che conferisca a chi vi prende parte un ruolo effettivo, ad esempio quello di esprimere pareri sulla vita della scuola. Per questo riteniamo necessario prevedere nella legge l’obbligo per ciascuna istituzione scolastica di costituire specifici organismi di genitori e, per la scuola secondaria di secondo grado, di alunni con il compito di esprimere proposte e pareri su tutte le attività inerenti la vita della scuola secondo le competenze attribuite dallo Statuto.

Conclusione Cogliamo l’occasione per insistere sulla necessità e opportunità di aprire un grande dibattito con il mondo della scuola, dando ad esso un ruolo da protagonista ed evitando, così, che anche la riforma degli Organi collegiali sia un’operazione di soli politici, burocrati e tecnici.

************** 33. Gli organi collegiali: partecipazione per il miglioramento del sistema formativo BOZZA DOCUMENTO FLC CGIL SUGLI ORGANI COLLEGIALI DELLA SCUOLA (integrale) Gli organi collegiali: partecipazione per il miglioramento del sistema di istruzione e formazione Il contesto e le criticità Gli attuali organi collegiali, che risalgono ancora al 1974, mostrano la loro totale inadeguatezza a fronte di tutti i cambiamenti avvenuti nella scuola nel corso di questi decenni. È bene ricordare che la revisione di tali organismi era considerata necessaria già dalla Legge Bassanini 59/97 per realizzare compiutamente la riforma autonomistica e per adeguare le competenze e i poteri dei vari organismi al nuovo assetto normativo e istituzionale (vedi riforma titolo V della

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Costituzione) nelle scuole divenute costituzionalmente autonome. La stessa introduzione della contrattazione integrativa nelle scuole, consegnando alle relazioni sindacali scelte decisionali precedentemente assegnate agli OO.CC., sollecitava una nuova configurazione di tali organismi. Questo vuoto ha prodotto, come era inevitabile, inefficienze e contraddizioni nella governante delle istituzioni scolastiche ed ha impedito di fatto che si costituissero nuove forme partecipative, organizzative e decisionali coerenti con una domanda formativa sempre più crescente e complessa. Nelle istituzioni scolastiche sono cresciuti il contenzioso e la sfiducia invece della responsabilità e della partecipazione. Tale situazione non è più tollerabile. Le uniche modifiche sono state determinate da provvedimenti finalizzati ad altre esigenze. È il caso, ad esempio, del regolamento di contabilità (D.I. 44/2001) che ha ridisegnato sì le competenze della giunta e del consiglio in materia amministrativo-contabile, ma non ha prodotto effetti significativi proprio perché non è stato inserito in un organico processo riformatore.

Le proposte del Governo e dei partiti Per anni sono state presentate proposte: esse sono state spesso caratterizzate da un approccio ideologico e tutte sono state condizionate negativamente dal mancato confronto con la scuola attiva e con i soggetti che invece conoscono le problematiche del funzionamento degli organi collegiali e cosa sarebbe necessario per rinnovarne l’organizzazione e potenziare la loro funzione di promozione dello sviluppo dell’autonomia delle scuole. La nuova proposta di riforma degli organi collegiali della scuola predisposta dalla VII Commissione della Camera con un ampio consenso delle forze politiche parlamentari, pur presentando diverse criticità che richiedono sostanziali modifiche, rappresenta un passo avanti che può portare ad esiti positivi purché ad essa si apportino le necessarie modifiche attraverso il confronto con il sindacato e con le associazioni professionali e la discussione della proposta nelle scuole. Questa proposta di riforma, costruita di nuovo senza il coinvolgimento del mondo della scuola, ha bisogno di presentare un modello convincente di Governo democratico di una scuola aperta. L’assenza di coinvolgimento della scuola attiva nel percorso di definizione dei nuovi assetti degli organi collegiali è il primo limite che va superato. Vanno poi abbandonati del tutto gli elementi cha hanno caratterizzato il modello Aprea: l’idea che basti la presenza di esterni a garantire trasparenza e obiettività alla gestione della scuola, il riferirsi a modelli organizzativi ispirati alla linea del comando fordista e della parcellizzazione impiegatizia propria degli uffici e delle fabbriche piuttosto che a quelli della libertà, ai quali va invece ricondotta la scuola, la sottovalutazione della libertà di insegnamento e della libertà professionale, l’assenza della libera scelta degli organismi di scopo, la finalizzazione ad obiettivi non tutti quantificabili e ordinabili in filiera produttiva.

Essi erano riconducibili ad una cultura impiegatizia e aziendalistica, con evidenti tratti autoritari, e tradivano una distanza abissale dalla cultura democratica della nostra scuola. L’azione attuale del Governo deve abbandonare definitivamente tali orientamenti che facevano parte della gestione Gelmini-Brunetta (adozione dei libri di testo alla premialità del personale, al ruolo degli ispettori tecnici sistema sanzioni disciplinari dove si scavalcano Collegio docenti, CSP e CNP). Per questo, ad esempio, va modificata, nel testo della VII Commissione l’esclusione della rappresentanza del personale ATA dal Consiglio dell’Autonomia e dal Consiglio Nazionale e l’attribuzione al direttore della funzione che era presente nel modello Aprea e che viene riproposta di mero verbalizzatore delle riunioni. Cosi come va modificato il punto sugli statuti che prevede un’inaccettabile interferenza sul Collegio dei Docenti che invece deve continuare ad avere il primato in campo didattico-educativo.

Le nostre proposte Questo è il contesto. Un contesto drammatico contro cui noi vogliamo combattere per proporre pochi ma decisi cambiamenti.

Gli organismi interni Punto di partenza per noi è la consapevolezza che essi, insieme alla libertà dell’insegnamento, costituiscono l’elemento fondante la diversità dell’ambiente scolastico, un ambiente democratico, dove la decisionalità, per essere foriera di buoni risultati, è frutto di mediazione e di partecipazione e non frutto di scelte solitarie o autoritarie.

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Principio ispiratore di una riforma degli organi interni è la distinzione delle competenze: 1) Compiti di gestione (dirigenza). 2) Funzioni di indirizzo politico (Consiglio dell’Istituzione) con la partecipazione di tutte le componenti (dirigente, docenti, ATA, Dsga, genitori e studenti). 3) Funzioni tecnico-professionali (Collegio Docenti). 4) consigli di classe. 5) Esercizio della contrattazione e funzioni del sindacato (RSU).

Riteniamo sufficiente una legge di principi che, stabiliti i tre organi basilari di Governo dell’istituzione, dia poi libertà alle scuole di autorganizzarsi lungo queste linee:

� istituzione dei dipartimenti nelle scuole secondarie; � istituzioni di rappresentanze di genitori e studenti con potere di pareri obbligatori; � nuclei di valutazione e autovalutazione (vedi documento FLC sulla valutazione); � facoltà di scegliere liberamente gli esterni da chiamare negli organismi. Siamo contrari

a nomine imposte dall’esterno che non garantirebbero quei criteri, di competenze e di raccordo con il contesto socio-economico territoriale, necessari per innalzare gli standard qualitativi;

� attivazione di organi professionali (es. comitati di ricerca/azione) che inverino l’autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo che è una delle dimensioni dell’autonomia fra le più neglette nell’ordinamento italiano;

� staff di Presidenza.

Gli organi collegiali territoriali e l’organo collegiale nazionale Va ripensata su basi nuove la costituzione di un organo collegiale nazionale della scuola italiana, con la fondamentale funzione di garanzia dell’autonomia e dell’unitarietà del sistema scolastico nazionale. Un organo ripensato e ridefinito nel quadro delle competenze istituzionali indicate dal titolo V della Costituzione, ma con la funzione di rappresentanza democratica del mondo della scuola. Un nuovo Consiglio nazionale con una forte autorevolezza, in cui siano rappresentate le competenze professionali e pedagogiche e gli orientamenti culturali presenti nella scuola. Un organismo che si esprima su contenuti di rilievo nazionale, quali i programmi, gli ordinamenti, le riforme. Un siffatto Organo garantisce l’unitarietà del nostro sistema nazionale di istruzione proprio nel momento in cui incerti processi federalistici vengono spesso coniugati in termini di separazione e disarticolazione di fondamentali funzioni statuali piuttosto che finalizzati alla promozione delle autonomie, del decentramento e della buona amministrazione in coerenza con il principio di sussidiarietà. Occorre fare i conti con il decentramento dei poteri in materia di istruzione che inciderà sui livelli organizzativi provinciali e regionali del sistema e sull’utilizzo del personale, con possibili ricadute sull’articolazione dei tavoli negoziali. Da qui l’ipotesi di una regionalizzazione anche degli organismi di garanzia per dare spazio alle scuole sulle controversie di natura professionale, sul rispetto della libertà di insegnamento e sulla stessa autonomia delle istituzioni scolastiche.

Quale rappresentanza per le scuole dell’autonomia Sono fiorite in questi dieci anni moltissime esperienze fondate sulle reti di scuole. Si tratta in genere di reti di scopo, che nascono con obbiettivi anche differenziati ma specifici (attività di formazione, economie di scala, rapporti con il territorio e con gli enti locali di riferimento); possono quindi nascere e deperire velocemente anche perché sostenute quasi sempre dall’azione volontaria e dall’iniziativa di poche persone; sono tutte rappresentate dai dirigenti scolastici in quanto rappresentanti legali della scuola. Si tratta di esperienze importanti che vanno seguite, curate, incoraggiate. E tuttavia non possiamo pensare che esse possano farsi carico delle emergenze e delle esigenze strutturali delle scuole italiane. Quello di cui la scuola dell’autonomia ha invece bisogno sono le associazioni di scuole. Associazioni istituite attraverso una legge, come soggetti di diritto pubblico a cui riconoscere la rappresentanza delle scuole autonome perché connotate al loro interno da una pluralità di soggetti, tanti quanti sono le professioni e gli utenti delle scuole. È infatti una debolezza e non una forza, sul piano istituzionale e politico, che a rappresentare le reti siano solo i dirigenti scolastici, in quanto rappresentanti legali essi sono spesso costretti fra la dipendenza dall’amministrazione e la rappresentanza della scuola. L’autonomia

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scolastica, ricordiamolo ancora una volta, esiste in quanto espressione di una formazione sociale plurale non univocamente rappresentabile dal solo dirigente scolastico. Le scuole autonome vengono oggi rappresentate impropriamente da uffici scolastici regionali, uffici scolastici provinciali, ministero, assessori, presidenti degli enti locali, da tutti meno che da se stesse. Non esiste reale autonomia di un soggetto se tale soggetto è rappresentato da altri. Da qui la necessità di istituire una rappresentanza delle scuole autonome riconosciuta dalla legge, sulla base di principi generali definiti a livello nazionale con modalità organizzative individuate a livello regionale e territoriale. Le istituzioni scolastiche saranno quindi rappresentate da genitori, studenti, docenti, ATA, dirigenti, con delegati di secondo livello ad ogni istanza. Le Associazioni di scuole esprimeranno orientamenti e pareri preventivi e obbligatori sulle decisioni istituzionali e sulla legislazione regionale che attengono alla vita delle scuole: i finanziamenti, i progetti, le riforme, il dimensionamento, l’edilizia, la sicurezza, la programmazione territoriale ecc. niente che riguarda le scuole e le politiche scolastiche nel territorio dovrà essere sottratto al confronto con la rappresentanza delle scuole. L’autonomia scolastica ha bisogno di fondi e non di fondazioni Da tempo è esploso il problema delle ristrettezze finanziarie delle scuole e delle molestie burocratiche che le tormentano. Le istituzioni scolastiche per essere autonome, oltre che parlare con la propria voce, devono poter contare sulle proprie forze. Ebbene, le forze delle scuole, sul piano finanziario, sono essenzialmente i trasferimenti che lo Stato deve assicurare loro ogni anno, con certezza, rispetto dei tempi e senza trucchi come peraltro prevede il regolamento dell’autonomia laddove parla di istituire per legge la dotazione ordinaria delle scuole. Esse hanno bisogno di una disponibilità certa di risorse finanziarie sui cui impostare il programma annuale. Punto di partenza indispensabile per programmare la spesa in relazione al Pof. E invece, ogni volta che si parla delle difficoltà finanziarie delle scuole, si dice che esse vivono al di sopra dei propri mezzi (si tratta ormai di una propaganda ampiamente svelata, ma sempre riproposta), oppure, si dice che potrebbero essere affiancate da fondazioni finanziate dai privati che le renderebbero più competitive. È una pura illusione oppure un deliberato inganno per coprire la volontà di non finanziare l’istruzione pubblica del nostro Paese. Le scuole non possono essere piegate alle logiche dei privati e agli interessi esclusivi delle imprese ma devono continuare a garantire i diritti di cittadinanza previsti dalla nostra Costituzione. Prima si fa chiarezza e meglio è. Di questo ulteriore organo “collegiale” la scuola italiana non ha proprio bisogno.

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34. Modello partecipativo e riforma degli organi collegiali di G. Carlini Una riflessione sulla scuola come “insieme” deve affrontare il tema del modello di gestione del suo funzionamento. Un sistema che si rivolge a soggetti che sono coinvolti attivamente nei processi da realizzare deve necessariamente trovare le forme ed i modi per favorire e regolare la loro partecipazione alle scelte fondamentali. La ricerca del successo formativo per tutti e per ciascuno dei soggetti coinvolti nei processi di insegnamento-apprendimento comporta elevati “gradi di libertà” e di “responsabilità professionale” per tutti gli operatori della scuola e deve quindi assicurare la loro partecipazione alle scelte che producono i risultati. L’autonomia della scuola, funzionale al raggiungimento degli obiettivi formativi nazionali e di quelli stabiliti dal Piano dell’Offerta Formativa, richiede adattamenti e articolazioni organizzative che vedono nella condivisione il fattore principale del loro successo. L’esercizio delle responsabilità di indirizzo, di controllo e di gestione della scuola e le relazioni fra i soggetti della scuola sono stati oggetto negli ultimi anni di una rilettura fortemente caratterizzata da un approccio ideologico. Un intervento legislativo, il D.lvo 150 del 2009, rivolto a tutto il lavoro pubblico e finalizzato a ridurre gli spazi di partecipazione e a costruire un modello gerarchico ed autoritario, ha coinvolto anche la scuola con l’intento di cancellare il modello partecipativo fondato sugli organi collegiali e sul modello di relazioni sindacali di scuola definito dal contratto nazionale di lavoro.

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La scuola è stata considerata come un qualsiasi altro servizio ai cittadini, da privare del finanziamento pubblico, della connotazione fondamentale del diritto costituzionale all’istruzione e del diritto dei soggetti interessati di partecipare ai processi decisionali. Nessuna distinzione è stata prevista per la scuola nel D.lvo 150/2001, se non relativamente alle procedure per la valutazione del merito dei docenti; rimandata ad un apposito atto normativo mai prodotto. Perfino per gli ATA della scuola si è insistito sulla applicazione immediata del sistema premiale senza tener conto che tutto il salario accessorio per gli ATA è destinato nella scuola a prestazioni aggiuntive o diversificate e non al cosiddetto “merito individuale”. L’assenza nella scuola dell’organo di indirizzo politico amministrativo con le competenze previste dalla legge, ha impedito la produzione dei “piani per la performance” e reso inapplicabile, insieme al blocco della contrattazione, tutta la catena della “premialità”. L’applicazione del modello di gestione della Pubblica Amministrazione, fondato esclusivamente sulla responsabilità dei risultati e sulla dirigenza pubblica, nella scuola mostra tutti i suoi difetti e i suoi limiti. In una organizzazione nella quale la qualità dei risultati dipende fortemente dall’autonomia professionale e dal grado di progettualità e di responsabilità condivisa, tale modello produce inefficienza ed inefficacia indebolendo e cancellando la partecipazione, che è lo strumento per assicurare insieme alla condivisione dei processi anche la loro qualità. Il fatto che qualcuno ha provato ad applicare comunque la legge è prova dell’intento, diffuso nell’amministrazione e in una parte della dirigenza pubblica, di dare attuazione ad una ridefinizione in senso autoritario delle relazioni anche nella scuola. Il progetto è stato sconfitto, dall’opposizione dei lavoratori e del sindacato e dalla sua pochezza, ma restano i guasti prodotti da una legislazione autoritaria e controproducente rispetto alla stessa necessità di miglioramento che per questo deve essere presto cancellata. Per anni il furore ideologico dei governi di centrodestra ha prodotto proposte sugli organi collegiali che intendevano cancellare la partecipazione dei soggetti interni, lavoratori, famiglie e studenti, e introdurre esterni “paganti” e quindi con un potere invasivo del mandato costituzionale. Si è trattato di un tentativo di costruire una nuova catena di comando alla quale erano funzionali l’introduzione di una carriera per i docenti e la riduzione della loro partecipazione all’autogoverno, il minor peso delle famiglie nei consigli delle scuole, l’esclusione del personale ATA. Per il governo della scuola è necessario, e la FLC lo ha affermato in questi anni, aggiornare gli organi collegiali assicurando insieme la loro funzionalità e la rappresentatività di tutti i soggetti coinvolti nei processi che la scuola realizza. La discussione in corso in Parlamento di un nuovo testo di legge sulle “Norme per l’autogoverno delle istituzioni scolastiche statali” ha riaperto la possibilità di una buona legge, indispensabile per ridare slancio ed efficacia all’autonomia scolastica. Non richiamo tutte le posizioni espresse dal sindacato che sono facilmente ritracciabili sul nostro sito. Le nostre osservazione e le proposte di emendamenti hanno puntualmente seguito la discussione e per alcuni aspetti hanno prodotto dei miglioramenti, ancora non sufficienti, del testo di legge. E’ stato un lavoro complesso che ha prodotto dei frutti perché la FLC CGIL viene riconosciuta da tutti come un interlocutore importante per il suo radicamento e la sua competenza, frutto della sua capacità di comprendere la complessità dei problemi e di coinvolgere tanti soggetti in una visione che tiene insieme gli interessi dei lavoratori e quelli generali della scuola e del Paese. E’ stato un lavoro che ha assunto gli esiti della discussione nel sindacato e che ha sollecitato in documenti resi pubblici, all’interno e all’esterno del sindacato, un’ampia partecipazione all’elaborazione delle posizioni. A questa discussione hanno dato un contributo importante i lavoratori ATA nella FLC e nelle scuole. Mi interessa in questa comunicazione affrontare il tema della rappresentanza del personale negli organi di autogoverno della scuola. Il modello partecipativo di gestione dei sistemi formativi è stato rappresentato come il risultato di una stagione di partecipazione che ha portato a forme di rappresentanza che oggi qualcuno ritiene corporative, pletoriche e paralizzanti dell’esercizio dell’autogoverno delle scuole. In sostanza si cerca di attribuire il mancato sviluppo dell’autonomia scolastica ai limiti interni delle scuole, all’eccesso di sedi di partecipazione, al condizionamento dei processi di innovazione da parte dei lavoratori. Vengono negati i veri motivi delle attuali difficoltà delle scuole: il continuo definanziamento da parte dello Stato, i tagli di organico e la perdita di continuità organizzativa e didattica, le

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continue ristrutturazioni della rete scolastica, le invasioni dell’autonomia da parte del MIUR, lo scarso interesse del territorio e del mondo del lavoro alle scuole autonome. Le scuole hanno bisogno prima di tutto che queste azioni cessino e che si restituiscano alle scuole le risorse necessarie al loro funzionamento ed hanno bisogno di organismi di autogoverno forti, riconosciuti da tutti i soggetti, credibili e competenti. Voglio approfondire quest’ultimo aspetto perché a determinare la generale caduta della partecipazione alle elezioni degli organi collegiali sono stati principalmente due fattori: il riconoscimento che essi non sono più, come è stato alla fine degli anni settanta, la sede necessaria per determinare il cambiamento della scuola e la nuova necessità per i soggetti di poter “agire” altre forme di partecipazione. La tutela degli interessi individuali vede infatti migliore risposta nella completa trasparenza amministrativa, organizzativa e didattica della scuola (Carta dei Servizi, Piano dell’Offerta Formativa, Patto di corresponsabilità, accesso agli atti.. ), in efficaci e trasparenti relazioni sindacali e nei processi di rendicontazione sociale che possano consentire la rappresentazione dei bisogni e, attraverso la partecipazione alla valutazione dei risultati, l’orientamento delle scelte delle scuole autonome. Negli organi di autogoverno è necessario che, oltre al punto di vista dei portatori di interesse nei confronti della scuola, siano presenti tutte le competenze che sono indispensabili per contestualizzare le scelte di indirizzo del consiglio dell’autonomia e per renderle realizzabili in riferimento alle risorse strutturali, finanziarie e professionali disponibili. All’elaborazione progettuale della scuola, affidata al consiglio dell’autonomia in termini di indirizzo, possono e debbono contribuire le professionalità del personale ATA alle quali è poi affidata la gestione dei processi funzionali alla realizzazione dell’offerta formativa. La promozione del miglioramento necessario a garantire il successo dei soggetti dell’insegnamento-apprendimento, non può fare a meno dell’apporto di chi conosce e comprende la situazione delle risorse finanziarie e strumentali e lo stato e le potenzialità delle strutture disponibili. Il dibattito sulla gestione efficace dell’autonomia e le recenti ricerche sulla “leadership condivisa” nei sistemi di educazione, istruzione e formazione confermano che presupposto necessario della direzione e del coordinamento efficaci sono modalità di relazione competenti che richiedono la diffusione delle occasioni e delle sedi di riconoscimento, di confronto e di valorizzazione dei ruoli e delle funzioni. Non prevedere nel consiglio dell’autonomia la presenza della rappresentanza del personale ATA priverebbe tale organo di un contributo essenziale per lo svolgimento dei suoi compiti e per l’assunzione delle decisioni oltre che essere un’ingiustizia e una svalutazione delle professionalità presenti nella scuola. Solo una interpretazione sbagliata del consiglio dell’autonomia come luogo di scontro di interessi diversi e a volte antitetici giustifica l’idea di “semplificare” la sua composizione escludendo alcune componenti. Un organo che esercita la responsabilità di fare una sintesi dei bisogni formativi e di produrre un condiviso progetto concretamente realizzabile nel contesto della scuola autonoma, finalizzando ad esso tutte le risorse a disposizione, non può fare a meno di alcuna risorsa e di alcun punto di vista competente. La vicenda del dimensionamento delle scuole dimostra purtroppo molto bene quello che succede quando dal governo dei processi vengono esclusi alcuni dei soggetti fondamentali. I processi decisionali adottati per ridurre le risorse investite nel sistema di istruzione, con una norma che la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima, hanno cancellato, nell’arco di pochi mesi oltre 1.000 scuole autonome e ne hanno dichiarate oltre 1.200 “sottodimensionate”. L’assenza delle scuole autonome e di una loro rappresentanza nei tavoli che hanno assunto tali decisioni ha prodotto scelte irrazionali, irragionevoli e dannose e produrrà danni sulla funzionalità del sistema di istruzione e una fase di incertezza e di continui cambiamenti che inciderà negativamente sui suoi risultati.

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