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1. LA SICUREZZA ALIMENTARE IL PROGETTO (a cura di Giuseppe … · 2007. 3. 15. · La statistica al...

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Sicurezza alimentare e valorizzazione dei prodotti di qualità della Provincia di P Sicurezza alimentare e valorizzazione dei prodotti di qualità della Provincia di P Sicurezza alimentare e valorizzazione dei prodotti di qualità della Provincia di P Sicurezza alimentare e valorizzazione dei prodotti di qualità della Provincia di Palermo alermo alermo alermo Provincia Regionale di Palermo – Assessorato Agricoltura, Caccia, Pesca – Direzione Attività produttive 11 1. LA SICUREZZA ALIMENTARE. IL PROGETTO (a cura di Giuseppe Greco) L’evoluzione dei processi produttivi, che hanno interessato l’agricoltura mondiale, ha comportato il coinvolgimento di realtà diverse in tempi e luoghi distanti tra loro per pervenire al progressivo allargamento delle aree di produzione e dei mercati al consumo. Progredite pratiche colturali, in grado di superare la stagionalità ed estendere le zona vocate alla produzione dell’orto-frutta, associate a sistemi di conservazione e trasporto sempre più sofisticati, hanno consentito l’espansione delle aree commercialmente raggiungibili (anche per le derrate alimentari più deperibili). Ecco che il mercato dei prodotti alimentari e del “gusto” tende ad una completa globalizzazione almeno nei paesi economicamente avanzati. La libera circolazione di alimenti sicuri e sani è pertanto diventata uno dei principi fondamentali del mercato europeo comunitario e la regolamentazione di ciò che concerne gli aspetti fondamentali ha come obiettivo primario la salute e il benessere dei cittadini. Così oggi l’organizzazione dei mercati si compendia dei due aspetti salienti: il primo, legato alle condizioni economiche e commerciali che consentano la diffusione dei prodotti su mercati nuovi e più ampi e l’altro, connesso alla sicurezza alimentare e alla responsabilità della diffusione di alimenti anche solo potenzialmente nocivi per la salute pubblica. Nei Paesi economicamente avanzati, la sicurezza alimentare viene identificata nella salubrità o garanzia di non tossicità dei cibi che gli anglosassoni esprimono nel più secco “food safety” ben diverso dal “food security” ossia dalla "disponibilità alimentare espressa dall'accesso fisico ed economico al cibo per tutti, in ogni momento" che rappresenta una questione maggiormente sentita dai Paesi in Via di Sviluppo. La base normativa della sicurezza alimentare è il Regolamento CE n° 178/2002 che affronta la tematica della politica alimentare con un innovativo approccio dinamico, che responsabilizza tutti i partecipanti (produttori di mangimi, agricoltori e produttori/operatori del settore alimentare; le autorità competenti negli Stati membri e nei paesi terzi; la Commissione; i consumatori) ed i settori della catena alimentare per utilizzare il feed back, fornito dai sistemi di controllo, allo scopo di individuare i pericoli incombenti e quelli affioranti per amministrarli fino alla previsione dei necessari cambiamenti delle normative vigenti (politica "dai campi alla tavola"). Tale politica è l’effetto di un sistema produttivo alimentare che, negli ultimi 50 anni, si è evoluto, passando dal semplice controllo del prodotto finito (igiene, proprietà nutrizionali ed organolettiche) alla successiva e progressiva applicazione dell’HACCP (Analisi dei Rischi e Controllo dei Punti Critici) lungo tutto il sistema produttivo, divenuto obbligatorio nella CE dal 1993. Ciò in quanto il controllo solo sul prodotto finito si è dimostrato, con il passare degli anni, non più sufficiente a garantire la sicurezza di un prodotto alimentare composto di più ingredienti e trattato con diverse tecnologie. Il concetto che “prevenire è meglio che curare” ha portato ad estendere il controllo a tutti gli aspetti del processo di produzione: materie prime, tecnologie di trasformazione
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1. LA SICUREZZA ALIMENTARE. IL PROGETTO (a cura di Giuseppe Greco)

L’evoluzione dei processi produttivi, che hanno interessato l’agricoltura mondiale, ha comportato il coinvolgimento di realtà diverse in tempi e luoghi distanti tra loro per pervenire al progressivo allargamento delle aree di produzione e dei mercati al consumo. Progredite pratiche colturali, in grado di superare la stagionalità ed estendere le zona vocate alla produzione dell’orto-frutta, associate a sistemi di conservazione e trasporto sempre più sofisticati, hanno consentito l’espansione delle aree commercialmente raggiungibili (anche per le derrate alimentari più deperibili). Ecco che il mercato dei prodotti alimentari e del “gusto” tende ad una completa globalizzazione almeno nei paesi economicamente avanzati. La libera circolazione di alimenti sicuri e sani è pertanto diventata uno dei principi fondamentali del mercato europeo comunitario e la regolamentazione di ciò che concerne gli aspetti fondamentali ha come obiettivo primario la salute e il benessere dei cittadini. Così oggi l’organizzazione dei mercati si compendia dei due aspetti salienti: il primo, legato alle condizioni economiche e commerciali che consentano la diffusione dei prodotti su mercati nuovi e più ampi e l’altro, connesso alla sicurezza alimentare e alla responsabilità della diffusione di alimenti anche solo potenzialmente nocivi per la salute pubblica. Nei Paesi economicamente avanzati, la sicurezza alimentare viene identificata nella salubrità o garanzia di non tossicità dei cibi che gli anglosassoni esprimono nel più secco “food safety” ben diverso dal “food security” ossia dalla "disponibilità alimentare espressa dall'accesso fisico ed economico al cibo per tutti, in ogni momento" che rappresenta una questione maggiormente sentita dai Paesi in Via di Sviluppo. La base normativa della sicurezza alimentare è il Regolamento CE n° 178/2002 che affronta la tematica della politica alimentare con un innovativo approccio dinamico, che responsabilizza tutti i partecipanti (produttori di mangimi, agricoltori e produttori/operatori del settore alimentare; le autorità competenti negli Stati membri e nei paesi terzi; la Commissione; i consumatori) ed i settori della catena alimentare per utilizzare il feed back, fornito dai sistemi di controllo, allo scopo di individuare i pericoli incombenti e quelli affioranti per amministrarli fino alla previsione dei necessari cambiamenti delle normative vigenti (politica "dai campi alla tavola"). Tale politica è l’effetto di un sistema produttivo alimentare che, negli ultimi 50 anni, si è evoluto, passando dal semplice controllo del prodotto finito (igiene, proprietà nutrizionali ed organolettiche) alla successiva e progressiva applicazione dell’HACCP (Analisi dei Rischi e Controllo dei Punti Critici) lungo tutto il sistema produttivo, divenuto obbligatorio nella CE dal 1993. Ciò in quanto il controllo solo sul prodotto finito si è dimostrato, con il passare degli anni, non più sufficiente a garantire la sicurezza di un prodotto alimentare composto di più ingredienti e trattato con diverse tecnologie. Il concetto che “prevenire è meglio che curare” ha portato ad estendere il controllo a tutti gli aspetti del processo di produzione: materie prime, tecnologie di trasformazione

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e prodotto finito, con lo scopo di eliminare i potenziali rischi per garantire un “cibo sicuro” cioè “tossicologicamente accettabile” per il consumatore. In questa fattispecie, il Regolamento CE n° 178/2002 adotta lo strumento della “rintracciabilità di filiera” e si fonda sull’analisi del rischio, nell'applicazione delle sue tre componenti: valutazione del rischio (consulenza scientifica e analisi dell'informazione), gestione del rischio (norme e controlli) e comunicazione del rischio. In particolare la rintracciabilità consiste nell’utilizzare le “impronte”, disseminate dalla documentazione raccolta dai vari operatori coinvolti nel processo di produzione (flussi delle materie prime: certificati di origine e di destinazione, ecc…), per isolare una filiera produttiva in caso di emergenze (contaminazione) nonchè consentire al produttore ed agli organi di controllo, che hanno il dovere di vigilare sulla sicurezza alimentare del cittadino, di amministrare e controllare eventuali situazioni di pericolo. La rintracciabilità pertanto è uno strumento neutro che non attribuisce ai prodotti alimentari una particolare qualità, ma induce ciascun componente della filiera produttiva all’assunzione di responsabilità in materia di tutela della salubrità del proprio prodotto. La rintracciabilità inoltre non deve essere documentata al consumatore, ma alle autorità di controllo, qualora ne facciano richiesta; mentre il consumatore deve trovare sull’etichetta tutte quelle informazioni sulle qualità attese dal prodotto (sicurezza e potere nutritivo), da lui non valutabili al momento dell’acquisto, e deve essere educato su come utilizzare e/o conservare l’alimento per trarne il massimo beneficio al momento del consumo. Quindi, l’accezione è che i consumatori hanno il diritto di attendersi informazioni sulla qualità degli alimenti nonchè sui loro ingredienti e tale informazione deve essere utile e presentata in un modo talmente chiaro da consentirne scelte consapevoli (etichettatura degli alimenti, sensibilizzazione sull'importanza di una dieta equilibrata e sulle sue ripercussioni a livello sanitario). Proprio l’aspetto nutrizionale, in questa costruzione normativa, assume un innovativo particolare decoro. La protezione della salute pubblica non può essere limitata alla salubrità degli alimenti ma diventa obbligatorio fornire tutte le necessarie informazioni affinché il consumatore possa nutrirsi delle sostanze nutritive essenziali, limitando nel contempo l'assunzione di altri elementi onde evitare effetti nocivi per salute, tra cui anche effetti antinutritivi. Tutto ciò si traduce in una politica nutrizionale completa e coerente specialmente per quelle attinenze di un'informazione efficace e corretta a favore dei consumatori. Tutta questa strategia sarebbe vana ai fini della sicurezza alimentare, intesa come tutela del benessere psico-fisico, se l’utente finale non venisse informato sulle modalità di gestione del prodotto dopo l’acquisto e sulle quantità da consumare di ciascun alimento per una corretta ed equilibrata alimentazione. La sicurezza d’uso di un prodotto permarrebbe la risultante di un aspetto igienico-sanitario (rintracciabilità) e quantitativo (abitudini alimentari) ma per migliorarsi in “sana” l’alimentazione non deve basarsi solo su alimenti “sicuri” ma anche utilizzare le “giuste” quantità dei vari cibi che la compongono.

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Ecco pertanto emergere dalla normativa il nuovo concetto di sicurezza nutrizionale, forse trascurato anche dalla nostra cultura del benessere, con il quale si intende definire "l'accesso ad una alimentazione comunque equilibrata e ad acqua potabile in misura che tutti, dai bambini agli adulti anziani, possano esprimere integralmente il loro potenziale genetico di sviluppo fisico e mentale". Pertanto sia quando il consumo degli alimenti è insufficiente sia quando è squilibrato (“mangiare tanto e male!”) ne risente lo stato di nutrizione. La nutrizione è perciò una conseguenza dell'alimentazione che dovrebbe essere finalizzata al benessere psico-fisico inteso non solo come sensorialità ma anche come mantenimento dello stato di salute e prevenzione delle patologie metaboliche (obesità, diabete, etc.) e di quelle cronico-degenerative (cardiovascolari, ipertensione, etc.). Alimentazione e nutrizione sono perciò due concetti distinti che spesso vengono mescolati tra loro ed equivocati. Ma non solo!! La sicurezza nutrizionale non può solo basarsi su una corretta alimentazione ma occorre che sia accompagnata da un adeguato stile di vita supportato da attività motorie. E’ al riguardo di tutta evidenza come una mutazione dei costumi e delle conoscenze in tal senso si sia registrata. Fino a circa 50 anni fa, la cultura prevalente ha considerato nell’uomo una condizione fisica di sovrappeso indice di salute e prosperità. Analogamente nelle zone agricole spesso l’obesità femminile si è associata a simboli di fertilità ed abbondanza. L’eccesso di grasso corporeo è stato tollerato, addirittura considerato segno di buona salute in un periodo nel quale le carestie erano frequentissime ed il lavoro fisico rappresentava la condizione essenziale per la sopravvivenza. Intorno agli anni ’90, oramai distanti da condizioni di carenti disponibilità alimentari si è verificata la presa di coscienza di una politica nutrizionale che prevede interventi sulle scelte alimentari della popolazione e sul sistema produttivo: ciò al fine di ridurre l’incidenza delle patologie a componente nutrizionale, migliorando la salute e permettendo risparmi non indifferenti sulla spesa sanitaria. La statistica al riguardo è cruda: l’Italia patisce un elevato numero di decessi (soprattutto per tumori e malattie cardiovascolari) e di disabilità (per fratture osteoporotiche) che potrebbero essere prevenute con cambiamenti dei modelli di consumo della popolazione, improntati ad una corretta alimentazione. Nell’ambito di una politica alimentare e nutrizionale, ruolo centrale riveste l’educazione della popolazione. Le esigenze di formazione-informazione - in tal senso esercitate dal corpo docente scolastico che dovrebbe fare da tramite a tutte le fasce di popolazione - vengano colpevolmente trascurate anche dall’Università per gli aspetti, non solamente medici, di una alimentazione sconveniente e si rileva altresì il difetto di una corretta educazione volta ad un sano comportamento alimentare e stile di vita in grado di prevenire le patologie dirette, quelle connesse (disturbi dell’apparato digerente, le malattie cardiovascolari, l’ipertensione, le dislipidemie, l’obesità) e quelle pericolosissime legate alla bulimia n. ed all’anoressia n. nelle popolazioni adolescenti.

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I contenuti della campagna di sensibilizzazione “mangiar sano, mangiar sicuro”, nell’ambito del progetto sulla sicurezza alimentare affidato alla Provincia di Palermo, affronterà tutti questi temi in maniera più approfondita con una incursione sui prodotti di qualità palermitani, quali “testimonial” di una “naturalità”, ad elevato contenuto di “sicurezza”, figlia della stagionalità nonchè delle selezioni ambientali e culturali del “terroir” ”: ciò proprio perché i prodotti di questo paniere sono alieni da quelle logiche di impresa che portano ad una coltivazione generalizzata lontana dai luoghi di elezione mediante la mutazione “artificale” delle condizioni ambientali. Tale paniere è la base di una gastronomia, sempre più apprezzata all’esterno, che lega questi prodotti al territorio e che erge la superba arte culinaria a “scienza multidisciplinare” nel momento in cui valorizza anche le materie umanistiche. La buona cucina è infatti legata alla storia, alle tradizioni ed alla cultura delle popolazioni rurali ed i cibi che nei secoli ne sono derivati sono il frutto di gustose, ancorché modeste, pietanze i cui ingredienti (spesso poveri) sono fortemente legati ai territori di provenienza.

1.1. Aspetti specifici del quadro tecnico di riferimento della politica alimentare

1.1.1. Analisi del rischio (a cura di Carlo Cannella a Giuseppina Colicci)

I recenti "incidenti" del sistema alimentare (vedi BSE) sono alla base di una rivisitata politica alimentare che sia in grado di garantire al consumatore quelle informazioni che possano aiutarlo e che si fondino su una competenza scientifica in grado di conferire all’alimento quella credibilità, che una volta era assicurata dal rapporto di fiducia che si veniva ad instaurare tra l’acquirente ed il commerciante. Il 12 gennaio 2000 la Commissione delle Comunità Europee pubblica il documento denominato “Libro bianco sulla Sicurezza Alimentare" dove si enunciano i principi di sicurezza alimentare che in sintesi sono riassumibili: � nell’approccio completo e integrato - "from farm to the fork” dal campo alla tavola; � nella responsabilità dal produttore al consumatore; � nella rintracciabilità dei percorsi (mangimi, industria di trasformazione, ingredienti); � nella trasparenza dell’analisi del rischio; � nel principio di precauzione ambientale che si traduce nel benessere animale,

nell’agricoltura sostenibile, nella protezione degli ecosistemi, etc. Tra i principi sulla trasparenza è presa in prestito la tecnica dell'analisi del rischio (Risk analysis) la quale è una metodica scientificamente provata, applicata nei settori produttivi più disparati, che utilizza dati scientifici e calcoli statistici disponibili per produrre e comunicare stime prevedibili di comparsa di pericoli specifici in determinati scenari; in altre parole è un processo di analisi in cui si utilizzano le informazioni disponibili per quantificare un rischio che deriva da circostanze più o meno prevedibili. Questa analisi si articola in tre fasi:

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a) valutazione del rischio (risk assessment) - consulenza scientifica e analisi dell'informazione;

b) gestione del rischio (risk management) - norme e controlli; c) comunicazione del rischio (rísk communicatíon)

Il Codex Alimentarius Manual definisce la Risk analysis come una rappresentazione formale di un processo finalizzato a controllare situazioni in cui la popolazione è esposta ad un determinato pericolo. In pratica durante questo processo si cerca di descrivere qualitativamente e quantitativamente la probabilità e l'impatto potenziale di alcuni eventi più o meno prevedibíli (risk assessment), inoltre si cerca altresì di formulare decisioni sull'accettabilità o meno di un certo risultato sfavorevole o di proporre alternative/opzioni di controllo dei pericoli stessi (risk management); non meno significativo in questo processo di valutazione del rischio è la Risk communication, elemento di importanza strategica nell'intero processo volto alla comunicazione a tutti i soggetti interessati (consumatori compresi) dei risultati della valutazione. Quindi il rischio è un concetto più "tenue" e meno certo del pericolo! Alcuni esempi: la strada è ghiacciata e c'è il rischio di scivolare; provare non è un gran rischio (se si prendono le dovute precauzioni!). All'interno della Risk analysis, trovano spazio sistemi di gestione dei rischi, quali HACCP (Hazard Analysis Critical Control Point) filosofia prevalente di controllo in contrapposizione al controllo del prodotto finito, il sistema è imperniato su una corretta valutazione dei pericoli (hazard anlaysis) e sulla adozione di opportune misure di prevenzione o correzione, sfruttando i punti di controllo critici. Si basa sul concetto che "prevenire è meglio che curare". La prima delle fasi della Risk analysis, la valutazione del rischio (risk assessment) a sua volta prevede quattro momenti ben distinti: a) identificazione del pericolo (hazard identification). La questione implicita è

sintetizzata dalla domanda: qual è il problema, qual è l'evidenza? b) caratterizzazione del pericolo (hazard characterisation). La domanda correlata da

porre è: quanti dei patogeni ingeriti mi faranno ammalare? c) valutazione dell'esposizione (exposure assessment). Il problema è sintetizzato

nell’interrogativa: con quanta frequenza li ingerisco? d) caratterizzazione del rischio (risk characterization) è l'integrazione delle tre fasi

precedenti e stabilisce la probabilità e la gravità degli effetti sanitari sfavorevoli conosciuti o potenziali all'interno della popolazione.

L'intero processo deve avere caratteri di trasparenza, indipendenza e disponibilità di dati ed informazioni scientifiche. La valutazione del rischio effettuata dagli esperti, è definita "rischio valutato", quella effettuata dalla popolazione è considerata "rischio percepito". Facendo luce sui due concetti si può affermare che il rischio valutato è rischio oggettivo (R.O.) spesso esiste - è valutabile - ma non è percepito, e il rischio percepito è rischio soggettivo (R.S.): quest'ultimo per la popolazione è spesso sinonimo di pericolo, ma il rischio non è pericolo. Per rischio si intende la valutazione delle probabilità che ci sono per la realizzazione di un evento sfavorevole. Per pericolo si intende un agente o una condizione biologica,

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chimica o fisica in grado di provocare un danno. Il rischio corrisponde alla probabilità che un "evento sfavorevole" ha di comparire causando danno al consumatore e, se conosciuto, attraverso le tre fasi dell'analisi del rischio può essere tenuto sotto controllo. A proposito della comunicazione del rischio che interpetra l'ultima fase della Risk analysis, il Libro Bianco recita “La comunicazione del rischio è un elemento chiave per assicurare che i consumatori siano tenuti informati e per ridurre il rischio che insorgano preoccupazioni infondate quanto alla sicurezza degli alimenti. A tal fine occorre che i pareri scientifici vengano resi disponibili in modo ampio e tempestivo fermo restando, se del caso, il consueto requisito del segreto commerciale. Inoltre si devono fornire ai consumatori informazioni comprensibili e facilmente accessibili relativamente non solo a tali pareri, ma anche a tematiche più ampie concernenti la protezione della loro salute". La Risk communication risulta essere uno scambio di informazioni al fine di informare, persuadere o allertare il qualcuno (produttore, distributore, consumatore) sui rischi per la salute; nella comunicazione si tratta quindi di trasformare le ricerche degli esperti in informazione. I protagonisti principali del processo della Risk communication sono: la popolazione in generale, il pubblico informato, le persone con potere decisionale e gli esperti in generale. I suoi obiettivi sono di tre tipi: 1. per educare, cioè aumentare le conoscenze; 2. per indurre al cambiamento, nel senso di tentare di modificare o rafforzare

atteggiamenti o abitudini; 3. per ottenere consenso oppure un compromesso su una situazione controversa.

E’ l'Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA, European Food Safety Authority) ad avere l'incarico di gestire e quindi anche comunicare un eventuale rischio nella catena alimentare. La comunicazione non deve essere passiva ma avere un carattere interattivo imperniato sul dialogo e con un feed back con tutti gli interessati. La commissione (EFSA) mette a disposizione tutte le informazioni per assicurare la trasparenza, rendendo fruibili le informazioni sui pareri scientifici e su ispezioni e controlli.

1.1.2. Rintracciabilità di filiera (a cura di Carlo Cannella1 e del CoRFilCarni 2)

La tutela della salute per ciò che attiene all’alimentazione è oggetto di notevole interesse sia da parte del legislatore, che da parte dei cittadini, per l’allargamento dei mercati e per la notevole complessità dei processi produttivi, che nella maggior parte dei casi coinvolgono realtà diverse in tempi e luoghi distanti tra loro. Le moderne tecniche della produzione agricola infatti hanno portato a superare e dilatare la

1 Rintracciabilità di filiera 2 Progetto di rintracciabilità di filiera delle carni

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stagionalità e la zona di produzione di quasi tutti i prodotti orto-frutticoli; grazie anche ai metodi di conservazione sempre più sofisticati si è riusciti ad espandere le aree commercialmente raggiungibili con mezzi di trasporto sempre più veloci anche per le derrate alimentari più deperibili (alimenti di origine animale). Il mercato dei prodotti alimentari tende ad una completa globalizzazione almeno nei paesi economicamente avanzati. La libera circolazione di alimenti sicuri e sani è pertanto diventata uno dei principi fondamentali del mercato europeo comunitario e la regolamentazione di ciò che concerne gli aspetti fondamentali ha come obiettivo primario la salute e il benessere dei cittadini. L’organizzazione dei mercati si compone di due aspetti: uno legato alle condizioni economiche e commerciali, che consentano la diffusione dei prodotti su mercati nuovi e più ampi, l’altro legato alla sicurezza alimentare e alla responsabilità della diffusione di alimenti anche solo potenzialmente nocivi per la salute pubblica. Un aspetto importante della sicurezza alimentare è la “rintracciabilità” - definita dal regolamento CE 178/2002 - come “la possibilità di ricostruire e seguire il percorso di un alimento, di un mangime, di un animale destinato alla produzione alimentare o di una sostanza destinata o atta ad entrare a far parte di un alimento o di un mangime attraverso tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione”. Lo scopo è quindi quello di far sì che tutto ciò che entra nella catena alimentare (mangimi, animali vivi destinati al consumo umano, alimenti, ingredienti, additivi, etc.) conservi traccia della propria storia, seguendone il percorso che va dalle materie prime fino alla erogazione al consumatore finale. In tal modo è possibile identificare una filiera di produzione, secondo il principio sancito dal Libro bianco sulla sicurezza alimentare dell’UE del 2000 “from farm to fork”, ove per filiera si intende l’insieme definito degli operatori, con i relativi flussi di materiali che concorrono alla produzione, distribuzione e commercializzazione di un prodotto. Per il consumatore, tutta questa strategia sarebbe vana ai fini della “sicurezza alimentare” - intesa come tutela del benessere psico-fisico - se non venisse informato sulle modalità di gestione del prodotto dopo l’acquisto e sulle quantità da consumare di ciascun alimento per una corretta ed equilibrata alimentazione. Infatti la sicurezza d’uso di un prodotto è la risultante di un aspetto igienico-sanitario (rintracciabilità) e quantitativo (abitudini alimentari); per essere “sana” l’alimentazione non deve basarsi su alimenti “sicuri” ma utilizzare anche le “giuste” quantità dei vari alimenti che la compongono. Ecco perché il Gruppo di studio del Ministero della Salute ha preferito indicare la “porzione” come “quantità benessere”. Fino ad oggi erano rintracciabili solo alcuni prodotti, quali carni, pesce e uova, quelli cioè più a rischio per la salute del consumatore, dove si sono verificati in passato casi di emergenza sanitaria, che hanno indotto il legislatore ad intervenire. La normativa corrente estende da gennaio di quest’anno l’obbligo della rintracciabilità a tutti i prodotti agroalimentari, il che consente di individuare qualsiasi prodotto in ognuna delle fasi del ciclo produttivo. La rintracciabilità consiste nell’utilizzare le “impronte”, ovvero la documentazione raccolta dai vari operatori coinvolti nel processo di produzione, per isolare una filiera

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produttiva in caso di emergenze (contaminazione), e consentire al produttore e agli organi di controllo che hanno il dovere di vigilare sulla sicurezza alimentare del cittadino, di gestire e controllare eventuali situazioni di pericolo attraverso la conoscenza dei vari processi produttivi (flussi delle materie prime: documentazione di origine e di destinazione, ecc…). La rintracciabilità inoltre non deve essere documentata al consumatore, ma alle autorità di controllo, qualora ne facciano richiesta; mentre il consumatore deve trovare sull’etichetta tutte quelle informazioni sulle qualità attese dal prodotto (sicurezza e potere nutritivo), da lui non valutabili al momento dell’acquisto, e deve essere educato su come utilizzare e/o conservare l’alimento per trarne il massimo beneficio al momento del consumo. D’altra parte inserire ulteriori informazioni in etichetta sarebbe inutile e confondente, dato che il consumatore non è in grado di gestire alcun fenomeno di emergenza, mentre la sicurezza d’uso dei prodotti in commercio deve essere assicurata dal produttore attraverso un adeguato autocontrollo (D. Lgs. 155/97) e garantita dalle autorità di controllo attraverso l’attività di vigilanza. In uno scenario come quello attuale in cui il mondo della produzione nella maggior parte dei casi è assai distante da quello del consumo, l’attuazione della strategia di controllo legata alla rintracciabilità è necessaria per recuperare tale distanza e ridare trasparenza al sistema produttivo e per consentire un recupero di fiducia nei riguardi di chi produce agli occhi del consumatore. Il sistema di rintracciabilità pone tuttavia di fronte ad alcune problematiche che non possono essere sottovalutate: uno è quello della realizzabilità pratica, in quanto in alcuni comparti il sistema di rintracciabilità è più semplice da realizzare come peraltro già dimostrato in Sicilia dal CoRFilCarni per le carni bovine, mentre in altri sarà molto più complesso da attuare in riferimento al tipo di prodotto, cereali, oli, etc, l’altro è quello della sostenibilità economica, ovvero l’impatto che tutto questo avrà sulle tasche del consumatore in un periodo in cui il potere di acquisto è stato già notevolmente eroso, e su quelle del produttore i cui margini di guadagno sono già abbastanza ristretti. Consapevole dei vincoli appena esposti, la Provincia Regionale di Palermo ha, da un biennio, messo in cantiere un progetto per mediare tra le necessità di un obbligo normativo per le aziende e l’esercizio di un diritto per il consumo. Dal punto di vista strutturale si basa su “l’ospitalità informatica” all’interno di un sistema potente, flessibile ed economico che favorisce da un lato la gestione della tracciabilità per gli operatori alimentari che “diventa evidente” e, dall’altro, la rintracciabilità per i consumatori. L’impresa partecipante alla filiera o quella che funge da capo-filiera tengono sotto controllo tutti i processi produttivi e distributivi e li rendono visibili in layout grafico al consumatore finale. Il sistema informatico permette di tenere sempre sotto controllo l'intero processo di ogni lotto e risalire a tutte le metodologie di produzione, confezionamento e conservazione, nonché agli eventuali interventi di semilavorazione prestati da terzi, distribuzione e vendita. Vengono rese visibili via web solo le informazioni che l'azienda intende divulgare (ampiezza e profondità della tracciabilità -

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norma UNI 10939). L'accesso per l'operatore aziendale di filiera (sia capo-f. che singola impresa) è consentito tramite una coppia di username e password univoci, immessi i quali, potranno essere inseriti dati testuali ed immagini esplicative (es. cartine delle zone dì Produzione, etichette, foto etc.) per dare all'utente finale un'idea delle fasi di lavorazione. Dal punto di vista del consumatore finale, l'applicazione informatica è accessibile da qualunque PC connesso ad internet che si introduce nella parte di sistema informatico “aperto al pubblico”, collegandosi al sito della Amministrazione. (www.provincia.palermo.it). Da lì, introducendosi nella sezione alimentare competente, l’utente destinatario potrà accedere alla “storia del prodotto” digitando semplicemente il numero del lotto rilevato in etichetta. La Provincia Regionale di Palermo, già dal 2002 e con il supporto del CoRFilCarni ha altresì reso operativo un sistema efficace di rintracciabilità, pratico e sicuro per il controllo di Filiera Carni provinciale, messo in atto su 61 allevamenti e con un campione di 1.400 vitelli provenienti dagli allevamenti e destinati al consumatore palermitano sono stati seguiti fino alla destinazione finale per aumentare il livello di sicurezza alimentare delle carni. Questi 1.400 bovini sono stati sottoposti a sistema di tracciabilità e rintracciabilità, applicando un moderno sistema di identificazione genetica, di altissima specificità (margine d’errore praticamente nullo) e sensibilità (possibilità di eseguire analisi su minime quantità di materiale) rappresentato dall’analisi del DNA. Nella zootecnia moderna, l'analisi del DNA è alla base dei sistemi di selezione, di identificazione, di controllo e di rintracciabilità delle filiere alimentari di origine animale. Nello specifico, i campioni di tessuto prelevati per l’analisi del DNA possono essere utilizzati per effettuare analisi di genetica molecolare quali, test di parentela, ricerca di anomalie genetiche, selezione dei riproduttori e per la identificazione certa del soggetto. La conservazione dei campioni di tessuto contenente DNA costituiscono ad oggi un vero e proprio archivio del DNA presso i laboratori del CoRFilCarni e rappresentano una garanzia nel tempo, infatti le informazioni genetiche riguardanti ciascun animale vengono registrate, catalogate ed archiviate per essere studiate e confrontate in qualunque momento. Il sistema di rintracciabilità è una realtà che garantisce tutti gli addetti e il consumatore finale aumentando il livello di sicurezza alimentare delle carni anche nella Provincia di Palermo. Il sistema per la rintracciabilità della filiera delle carni è dato dalla applicazione di un metodo di identificazione degli animali attraverso l’apposizione di una specifica marca auricolare, tale da individuare sempre il bovino in modo visivo e simultaneamente raccogliere un campione di tessuto dallo stesso animale per la successiva analisi del DNA. Vantaggi:

� Identificazione certa dei capi acquistati; � Identificazione degli eventuali campioni destinati ad accertamenti sanitari,

escludendo la possibilità di scambi accidentali;

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� Strumento sicuro per evitare lo scambio di animali, di carcasse, di mezzene, carne, ecc;

� Consente ai macellai di accertare la corrispondenza dei tagli anatomici con i capi acquistati e di fidelizzare i propri clienti;

� Offre al consumatore la possibilità di verificare la correttezza delle informazioni offerte e l’attendibilità dei dati esposti nel punto vendita.

SISTEMA DI TRACCIABILITA’ e RINTRACCIABILITA’ APPLICATO DAL CoRFilCarni PER

LA SICUREZZA ALIMENTARE DELLE CARNI BOVINE

Informazioni via internet

Bovino in allevamento

Marca auricolare CoRFilCarni Prelievo campione tissutale

Carne presso punto vendita

Analisi e confronto del DNA

Garanzia di rintracciabilità

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I 44 punti vendita della Provincia di Palermo, che hanno aderito al sistema di tracciabilità e rintracciabilità delle carni bovine nel periodo 2003-2005, rappresentano il collegamento tra il consumatore ed il mondo della produzione. Per questi motivi anche il sistema per la rintracciabilità elettronica pone al centro dell’attenzione, come fulcro di tutto il meccanismo, il punto vendita, rappresentando l’elemento chiave per la comprensione ed il trasferimento al consumatore delle caratteristiche nutrizionali ma anche del sistema di produzione della carne. La scelta della tipologia dei punti vendita è dettata dal percorso seguito dalla carne e non subisce discriminazioni di sorta infatti, a fronte di un dato numero di supermercati della Grande Distribuzione Organizzata (GDO), possono essere coinvolte anche le piccole macellerie dove si completa il circuito delle informazioni utili per la tracciabilità della carne dove è possibile anche esporre l’informazione nutrizionale per mettere a conoscenza il consumatore sulla provenienza e sulla qualità della carne in vendita.

1.1.3. Etichettatura degli alimenti (a cura di Giuseppe Greco)

Le prime norme sull’etichettatura dei prodotti alimentari sono stabilite dal Decreto Legislativo 27 gennaio 1992, n. 109 (attuazione delle Direttive CEE 89/395 e 89/396). L’etichettatura ha la funzione di informare il consumatore sul prodotto che sta acquistando per facilitarne la scelta ed assecondarne le esigenze. Per uniformità, nell'ambito dei Paesi dell' Unione Europea, l'etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari tende ad essere similare. L'etichettatura è il complesso delle indicazioni riportate non solo sull'etichetta apposta sul prodotto, ma anche sull'imballaggio o sul dispositivo di chiusura. Essa non deve: indurre in errore l'acquirente sulle diverse qualità del prodotto e sul suo luogo di origine; evidenziare caratteristiche come particolari rispetto alla medesima categoria; attribuire all'alimento né proprietà terapeutiche nè farmacologiche. Ciò al fine di evitare forme di pubblicità ingannevoli, aggiungendo in etichetta delle aggettivazioni indebite come "genuino" per un formaggio, "naturale" per un miele, facendo intendere che sia lecito produrre e ritrovare sul mercato tipologie "adulterate" o "artificiali", etc. Nell’etichetta deve essere indicati la denominazione di vendita e gli ingredienti.

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La denominazione di vendita (panettone pralinato) è prevista dalle disposizioni che disciplinano il prodotto stesso o è il nome consacrato da usi e consuetudini; sono vietati nomi di fantasia o sostituzioni con marchi di fabbrica. L'elenco degli ingredienti deve essere riportato in ordine di quantità decrescente. Dal Decreto Legislativo 16 febbraio 1993, n. 77, in attuazione della Direttiva 90/496/CEE del Consiglio del 24 settembre 1990 relativa all’etichettatura nutrizionale dei prodotti alimentari, ha origine l’etichettatura nutrizionale, ossia la dichiarazione riportata sull’etichetta e relativa al valore energetico ed ai seguenti nutrienti: � le proteine; � i carboidrati; � i grassi; � le fibre alimentari; � il sodio; � le vitamine e i sali minerali elencati in un allegato al Decreto e presenti in quantità

significativa secondo quanto previsto nell’allegato stesso. Per informazione nutrizionale si intende una descrizione e un messaggio pubblicitario che affermi, suggerisca o richiami particolari caratteristiche nutrizionali di un alimento inerenti: � al valore energetico che esso fornisce o fornisce a tasso ridotto o maggiorato

ovvero non fornisce; � ai nutrienti che esso contiene o contiene in proporzione ridotta o maggiorata

ovvero non contiene. L'elencazione, anche in difetto di incidenze percentuali, deve almeno fornire utili informazioni per individuare la presenza di sostanze più o meno gradite e per effettuare un confronto fra prodotti analoghi. Tra gli ingredienti sono compresi gli additivi, sostanze chimiche dal nullo di valore nutrizionale, che assicurano la conservazione o conferiscono particolari caratteristiche agli alimenti. Alcuni additivi (coloranti, conservanti, antiossidanti, emulsionanti, addensanti ecc.) vengono designati con il nome della categoria, cui segue il nome specifico o il corrispondente numero CEE (es. "antiossidante: acido L-ascorbico o E 300"). Le sostanze aromatizzanti vengono designate in etichetta come "aromi naturali" o "aromi" (di origine sintetica).

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Gli additivi sono indicati in etichetta non con il nome proprio, ma con una sigla formata da una "E" (significa Europa) e da un numero. E' un codice stabilito dall'Unione europea per rendere uniforme in tutti i Paesi europei la designazione degli additivi e dei coloranti, che possono quindi essere indicati in etichetta anche con la sola sigla. Va ricordato che da E100 a E199 sono classificati i coloranti, a gruppi di decine: per esempio, fra E100 ed E109 è compresa la famiglia dei coloranti gialli, fra E110 ed E119 i coloranti arancioni, fra E120 ed E129 quelli rossi e così via. A partire da E200, invece, sono classificati gli additivi, E' importante controllare sempre la quantità netta dell'unità di vendita, per ricavare informazioni sui veri prezzi unitari Il termine minimo di conservazione è rappresentato dalla dicitura "Da consumarsi preferibilmente entro il ..." intendendo che il prodotto alimentare conserva le sue specifiche proprietà in adeguate condizioni di conservazione. Termine perentorio, al contrario, è la dicitura "Da consumarsi entro il ...", con ciò si indica che il prodotto deve essere consumato entro quella data di scadenza sempre che sia stato adeguatamente conservato, in difetto della quale condizione i processi di alterazione possono essere sensibilmente accelerati e l'alimento potrebbe risultare "avariato" anche molto prima di quanto previsto. La dicitura è obbligatoria per i prodotti altamente deperibili dal punto di vista microbiologico e l'alimento non può assolutamente essere posto in vendita dopo tale data di scadenza. Nella logica della rintracciabilità di filiera per l'individuazione delle partite non conformi da ritirare dal commercio, l’etichetta deve contenere il nome e la sede del produttore o del confezionatore, la sede dello stabilimento di produzione o confezionamento, un numero di identificazione del lotto di produzione, espresso in maniera leggibile sulla confezione in forma o di numero o alfanumerica preceduto dalla lettera "L". Prodotti contraddistinti dal medesimo numero di lotto hanno le stesse caratteristiche. I "prodotti da agricoltura biologica", ottenuti senza l’impiego di antiparassitari chimici di sintesi e non con ingredienti geneticamente modificati, devono rispettare particolari modalità di etichettatura, previste da norme europee e nazionali. Un Regolamento comunitario ha stabilito che i prodotti dell’agricoltura biologica devono essere confezionati e recare in etichetta la dizione della categoria alimentare con l’indicazione dell’organismo di controllo. Infine se è necessario adottare particolari accorgimenti in funzione della natura del prodotto o se si tratta di cibi di uso non comune o se l'omissione del luogo di origine o di provenienza può indurre in errore l'acquirente, l’etichettatura deve contenere anche le modalità di conservazione e utilizzazione, le istruzioni per l'uso ed il luogo di origine o di provenienza.

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1.1.3.1. Etichettatura, accortezza negli acquisti e nelle modalità di conservazione dei cibi per evitare le patologie alimentari (a cura di Giuseppe Greco e dell’A.U.S.L.. 6 - Palermo3)

Esistono alcune regole che possono aiutare nell’acquisto della spesa giornaliera. La prima, che è la principale, è l’attenta lettura sempre dell’etichetta presente su prodotti confezionati, con particolare attenzione alla data di scadenza, alle temperature e alle modalità di conservazione. Tale regola generale è compendiata con altre più dettagliate sulla scorta dei cibi a disposizione. E’ obbligatoria la data di scadenza riportata su apposito cartello posto sul banco di vendita della pasta fresca e delle paste fresche con ripieno vendute sfuse. Ogni prodotto in scatola deve essere in confezione integra e quindi non presentare segni di deformazione, ammaccature e gonfiori o perforazioni. Nella scelta di prodotti sfusi disposti su banchi di vendita, anche nei mercati, bisogna stare attenti se se gli stessi sono stati sottoposti ad una adeguata protezione verso insudiciamenti, contatti o manipolazioni del pubblico e verso il contatto con insetti. Nella gestione degli acquisti è bene acquisire per ultimi gli alimenti refrigerati, congelati e surgelati per ridurre al minimo il tempo di interruzione della catena del freddo e porli in apposite borse termiche. I frigoriferi a pozzetto utilizzati negli esercizi di vendita hanno un piano di massimo carico dell’apparecchio che non deve essere superato al fine di garantire la corretta temperatura di conservazione. Ancora maggiore e più dettagliata accortezza meritano le modalità di vendita che devono essere rispettate per alcuni alimenti di origine animale al fine di evitare eventuali rischi di malattie alimentari da microrganismi patogeni: � le uova di categoria A devono essere mantenute in luoghi freschi, pur non

richiedendo la conservazione in frigorifero; � la carne fresca, il pollame, la selvaggina, il latte e la panna pastorizzata, il burro, la

ricotta e i formaggi, gli insaccati non stagionati, le paste fresche ripiene, sono alcuni degli alimenti che devono essere sempre conservati in frigorifero a temperature di refrigerazione;

� il pesce fresco deve essere sempre mantenuto sotto ghiaccio; � i molluschi bivalvi (cozze, vongole, ecc.) devono essere posti in vendita

esclusivamente vivi e vitali, mantenuti al riparo da ogni insudiciamento o contatti o manipolazione del pubblico in appositi comparti del banco frigo e nel rispetto delle temperature di refrigerazione;

� i prodotti della pesca congelati e surgelati, compresi i molluschi bivalvi, devono essere conservati per la vendita negli appositi banchi frigo alla temperatura di meno 18°C;

3 Dott. Salvatore Russo – Responsabile U.O. Rischio Biologico ed HACCP dell’Azienda Unità Sanitaria Locale 6

- Palermo

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� i prodotti di gastronomia precotti (pollo arrosto, arrosti di carne) devono essere conservati, in attesa della vendita, in appositi banchi separati dagli alimenti crudi a temperatura superiore a 60°C oppure a temperatura di refrigerazione;

� i gelati artigianali devono essere posti in appositi banchi frigo e devono essere serviti con apposite palette distinte per ogni gusto; infatti l’utilizzo di un unico utensile, risciacquato ogni volta in una vaschetta con acqua, rappresenta un pericoloso mezzo di contaminazione dei gelati da germi patogeni.

Terminata la fase di acquisto, la sicurezza alimentare si fonda su alcune norme che devono essere seguite anche nella sfera domestica. Il reparto congelatore del frigorifero di casa deve essere mantenuto ordinato, senza brina (indizio di sbalzi di temperatura), non eccessivamente sovraccaricato, alla temperatura di –18°C. Le confezioni di surgelati non devono essere bagnate, ricoperte di brina o schiacciate, devono essere trasportate in un contenitore termico, essere riposte nel congelatore nel minor tempo possibile dopo l’acquisto, consumate entro la data di scadenza, che varia da cibo a cibo, in quanto non sono "eterne" come qualcuno ritiene, e devono essere scongelate seguendo le indicazioni del fabbricante, che compaiono pure sull’etichetta. Dopo la scongelazione i surgelati non devono essere ricongelati. E’ imprescindibile l’igiene in cucina, partendo dal lavarsi bene le mani prima di cucinare, prima di toccare alimenti da consumare crudi o che non necessitano di ulteriore cottura, dal tenere sempre ben puliti gli strumenti di cucina, i piani di lavoro e in particolare il frigorifero. La corretta collocazione dei cibi, crudi e cotti, nei diversi scomparti del frigorifero a seconda delle temperature di conservazione, e la loro idonea cottura, in modo che raggiungano un’adeguata temperatura anche in profondità, devono avere la massima attenzione. Non bisogna improvvisarsi preparatore di conserve o raccoglitore di funghi perchè sono necessarie conoscenze specifiche. L’ottimale utilizzazione del frigorifero familiare merita qualche consiglio.

Congelatore per

cibi surgelati e

congelazione dei

cibi freschi

Carne, pesce e

cibi cotti

Formaggi

Frutta e verdura

-6 °C

-12 °C

-18 °C

-24 °C

Burro, uova ed altro

Bibite,acqua e bevande

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Negli scomparti con una o due stelle è possibile conservare per qualche giorno i generi già congelati; negli scomparti con tre o quattro stelle si può conservare la merce congelata per qualche mese e si possono congelare piccole porzioni di alimenti. Il frigorifero deve essere pulito con regolarità (durante la pulizia bisogna staccare il collegamento elettrico); usare acqua potabile ed un qualunque detergente. Accortezza occorre pure per scongelare gli alimenti. Di seguito ne vengono esplicitati tempi e modi.

Per proteggere la pubblica salute è necessario conoscere i potenziali rischi connessi alla produzione, manipolazione e conservazione dei cibi. La salubrità di un alimento infatti dipende da numerosi fattori e presuppone il rispetto di fondamentali regole igienico-sanitarie necessarie per evitare alterazioni fisiche, contaminazioni chimiche e microbiologiche. Le "malattie alimentari" sono condizioni patologiche che si manifestano in conseguenza del consumo di alimenti che possono contenere un microrganismo patogeno o una tossina di origine microbica. Vi sono, inoltre, malattie alimentari provocate da sostanze tossiche non prodotte da microrganismi, ma che questi contribuiscono a formare, come l’istamina che si forma in alcuni pesci conservati a temperatura ambiente. Nell’uomo possono manifestarsi sotto forma di semplici disturbi gastroenterici fino a forme cliniche gravi e con un periodo di incubazione che varia da qualche ora ad alcuni giorni.

Alimento Tempo Modalità Dolci 2-3-ore Temperatura ambiente Ingredienti per minestre Pochi minuti In acqua calda frutta 5-6- ore In frigorifero nell’ involucro Pizze pronte Secondo dimensione 200-220 °C in forno Ortaggi 1/3 del tempo di cottura

del prodotto fresco Direttamente in cottura

Pesci tranci piccoli Secondo prodotto Direttamente in cottura Pesci tranci grossi 3-6- ore In acqua potabile corrente Pollame 8-10- ore In frigorifero nell’ involucro Carne fettine Secondo prodotto Direttamente in cottura Carne tranci grossi 8-10 ore In frigorifero nell’ involucro Pane 2-3 ore A temperatura ambiente

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Microrganismi patogeni

responsabili di malattie

alimentari Tempo di

incubazione Sintomi Alimenti più a rischio

Campylobacter jejuni 3 – 5 giorni dolori addominali, diarrea maleodorante e colorata per presenza di sangue, nausea, vomito, febbre

latte crudo non pastorizzato, carni avicole poco cotte (alla brace, barbecue), acqua di fonte

Clostridium botulinum 12 – 24 ore fino a 3 – 6 giorni

prima sintomi gastrointe-stinali, poi nervosi quali lo sdoppiamento della vista, difficoltà di parola, debo-lezza muscolare fino alla paralisi

tipo A: conserve di carne e verdure tipo B: prodotti a base di carne tipo E: prodotti ittici tipo F: conserve a base di carne e pesce

Clostridium perfringens 8 – 20 ore diarrea violenta, dolori addominali carni bianche e rosse cotte

Listeria monocytogenes 2 – 3 giorni fino a 3 settimane

febbre, cefalea, nausea, vomito

carni bianche e rosse, formaggi, latte crudo, cibi cotti contaminati dopo la cottura

Salmonella spp. 24 – 48 ore dolori addominali, diarrea, vomito, febbre

cibi crudi a base di carne, frutti di mare, uova, latte crudo, cibi cotti contaminati dopo la cottura

Shigella spp. 2 – 7 giorni dolori addominali, diarrea con sangue, febbre

cibi manipolati da soggetti infetti o tramite il contatto di acqua inquinata (prodotti della pesca, verdure, latte e latticini, gelati)

Staphylococcus aureus 2 – 6 ore nausea, vomito, sudorazione, cefalea, diarrea

panna, latte, creme, gelati, altri alimenti contaminati da soggetti portatori

Yersinia enterocolitica 1 – 7 giorni nausea, vomito, sudorazione, cefalea, diarrea, artrite reumatoide, orticaria

latte crudo, carni suine crude

Bacillus cereus 1 8 – 16 ore diarrea violenta, dolori addominali

prodotti carnei, minestre, vegetali, budini e salse

Fonte: Ministero della Sanità Nel caso di comparsa di sintomi che fanno sospettare l’insorgenza di una malattia alimentare, bisogna rivolgersi tempestivamente al proprio medico o, nel caso, al Pronto Soccorso più vicino. La diagnosi potrà essere effettuata sulla base dei sintomi

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clinici, sulla ricerca nelle feci dell’agente responsabile della malattia o, come nel caso di sospetto botulismo, la ricerca della tossina in siero, feci, alimenti consumati. Ci sono essenzialmente tre tipi di malattia alimentare di origine microbica: Intossicazioni alimentari: insorgono per consumo di un alimento che contiene una

tossina, risultato di uno sviluppo microbico nell’alimento. Il batterio può anche essere già morto, ma la tossina può permanere (è il caso, ad esempio, dell’intossicazione stafilococcica e della gastroenterite da Bacillus cereus).

Infezioni alimentari: insorgono quando l’alimento consumato contiene batteri patogeni che colonizzano l’intestino dell’uomo, si sviluppano e causano lesioni ai tessuti. In generale non è necessario che il batterio si moltiplichi nell’alimento, ma se ciò accade la probabilità di infezione aumenta (è il caso, ad esempio, della salmonellosi, della shighellosi, della listeriosi e dell’enterite da Campylobacter).

Tossinfezioni alimentari: sono una combinazione delle due prime forme. Il microrganismo patogeno deve raggiungere cariche molto elevate nell’alimento e dopo l’assunzione da parte dell’uomo continua il suo sviluppo nell’intestino, libera la tossina che scatena la sintomatologia (per esempio, gastroenteriti da Clostridium perfringens e ceppi enterotossigeni di Esherichia coli).

I batteri responsabili di tossinfezioni e intossicazioni alimentari possono più facilmente moltiplicarsi e/o produrre tossine nell’alimento se sussistono alcuni fattori quali: � presenza di alcune sostanze nutritive (proteine, zuccheri, ecc.); � umidità; � presenza o assenza di ossigeno a seconda del microrganismo; � temperatura (maggiore sviluppo a temperatura ambiente); � prolungato periodo di conservazione. E’ importante però ricordare a tale proposito che la moltiplicazione di questi batteri non sempre determina l’alterazione organolettica dell’alimento: ciò significa che il cibo può contenere quantità di germi sufficienti a provocare l’insorgenza di malattia senza però determinare la modificazione del sapore, del colore, dell’odore, dell’aspetto e della consistenza dell’alimento. Nel caso di Clostridium botulinum, alcuni ceppi (tipo A, parte del B ed F) sono proteolitici e cioè si assiste, parallelamente alla moltiplicazione del microrganismo, ad una modificazione del sapore, del colore, dell’odore e della consistenza dell’alimento fino a che quest’ultimo assume un aspetto repellente; altri ceppi (tipo E, parte del tipo B e F) non sono proteolitici e pertanto non determinano alcuna modificazione evidente del cibo, nonostante la moltiplicazione e la produzione di tossine da parte del batterio.

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Effetti delle temperature su alcuni microrganismi e relative tossine

Temperatura di

moltiplicazione Microrganismi patogeni responsabili di

malattia alimentare Minima

(°C) Massima

(°C) Ottimale

(°C)

Tempi e temperatura di distruzione dei

microrganismi Tempi e temperatura di

distruzione delle tossine

Becillus cereus 1 7°/10 45°/50° 42°/48° 100°X5,5 min 80°X1-2 min

Bacillus cereus 2 3°/5° 45° 20°/30° 90°X5,8 min 126°X90 min

Campylobacter jejuni 7°/10° 50° 42°/46° 55°X45sec/1min --

ceppi proteici 7°/10° 50° 35°/37° vedi spora 80°X10 min

ceppi non proteolici 3° 35° 20°/30° vedi spora 80°X10 min

spora ceppi proteolitici -- -- -- 100°X10/25 min --

Clostridium Botulinum

Spora ceppi non prot. -- -- -- 80°X5 min

100°X1 min --

Clostridium perfringens 7°/10° 50° 42°/46° spora 80°X13 min --

Escherichia coli 7°/10° 50° 42°/46° 55°X4/6 min 60°X2 min

--

Listeria monocytogenes 3°/4° 35°/45° 30°/37° 60°X3/8 min 65°X0,8 min

--

Salmonella spp. 6,7°/7° 46° 37° 60°X15 sec/2,5 min 65°X4,2 sec

--

Shigella spp. 7°/10° 45° 37° analogo a Salmonella --

Staphylococcus aureus 7°/10° 50° 37°/40° 55°X3 min e ½ 60°X5 min

resiste per oltre 5 min a 100°C

Vibrio parahaemolyticus 3° 45° 30°/37° analogo a Salmonella --

Yersinia enterocolitica 3° 35° 30° analogo a Salmonella --

Fonte: Ministero della Sanità

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1.2. Quadro normativo di riferimento (a cura dell’A.U.S.L.. 6 - Palermo5)

La presa di coscienza di una “nuova” politica alimentare europea nasce, in pratica nel 1989, con alcune direttive sull’etichettatura degli alimenti finalizzata alla rintracciabilità del produttore, poi riprese dall’allora CEE e da numerosissime ed ulteriori direttive, datate 1993. Il recepimento di tali indirizzi normativi avviene in Italia sostanzialmente nel 1997 con la pubblicazione dei decreti legislativi 109 e 157 che fanno proprie le indicazioni di derivanza comunitaria. La “summa” di tutte queste norme si rinviene, infine, nel regolamento CE 178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l'autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare. Già negli anni ’90 si ritrovano alcune importanti garanzie sulla sicurezza alimentare, rappresentate sostanzialmente dal sistema HACCP.

1.2.1. Il sistema HACCP e le norme ISO 9000 (a cura dell’A.U.S.L.. 6 – Palermo5)

Il sistema HACCP (Hazard Analysis Critical Control Point o Analisi dei rischi e dei punti critici di controllo) è un’attività preventiva svolta dagli stessi imprenditori nei luoghi di produzione e di vendita; lo strumento applicativo è il "manuale di autocontrollo e di corretta prassi igienica" finalizzato all’implementazione dei livelli di igiene e sicurezza degli alimenti nella Comunità Europea, così come prescritto dalle Direttive n. 43/1993, 99/1993 e 3/1996 dell’Unione europea. Il metodo di lavoro “tipo HACCP” è applicabile a qualsivoglia processo produttivo e non solo, come erroneamente si crede, alle attività agro-alimentari; esso è finalizzato a prevenire il verificarsi delle “non conformità”, gli errori, ancor prima che possano verificarsi. E’ bene ricordare che la materia trattata è di provenienza anglosassone e pertanto la traduzione nella nostra lingua ha creato non pochi problemi; per esempio, il termine controllo, “control”, deve essere inteso come “self control” cioè padronanza della situazione e conoscenza del fenomeno, non controllo come esame di laboratorio o visita investigativa; ed ancora, facendo un altro esempio, il termine critico, “critical”, deve essere inteso come meritevole di attenzione, importante e non come valore soglia, superato il quale si è infranto un limite di legge. L’HACCP si sviluppa in cinque fasi: analisi dei potenziali rischi degli alimenti, individuazione dei punti critici nell’impianto o nel processo di produzione, adozione di

5 Dott. Salvatore Russo – Responsabile U.O. Rischio Biologico ed HACCP dell’Azienda Unità Sanitaria Locale

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misure preventive, applicazione di procedure di controllo e di sorveglianza dei punti critici, riesame periodico dell’analisi dei rischi. Quanto detto, nel rispetto dei manuali di autocontrollo che contengono le modalità di applicazione dei sopra citati principi. I responsabili delle industrie alimentari devono applicare quanto contenuto nel decreto e devono tenere a disposizione delle autorità competenti, preposte al controllo tutte le informazioni relative all’ applicazione delle procedure di autocontrollo. Con la certificazione ISO 9000, l'acronimo di "International Organization for Standardization", un’ azienda può essere riconosciuta come di “qualità”; il cliente, in tal modo, ha una certa garanzia che il prodotto fornito dall’azienda corrisponda con quanto richiesto. Le Norme ISO 9000 possono adattarsi ai più svariati settori di attività e sono indicative di come funziona il sistema dell’azienda, non del prodotto e/o servizio erogato. Le aziende vengono “certificate” da parte di un ente terzo specializzato, autonomo ed indipendente, che si chiama Organismo di Certificazione. Essere certificati vuol dire che l’azienda adotta un sistema di regole, procedure, responsabilità, controlli, verifiche, ecc..., in linea alla famiglia di Norme ISO 9000. L'ultima revisione delle ISO 9000 è stata fatta nel dicembre 2000 (ISO 9000:2000). Le norme ISO 9000: prevedono, all’interno delle aziende certificate, un sistema organizzativo basato su strumenti di controllo delle attività e sulle registrazioni dei risultati ottenuti. Le norme ISO 9000 si articolano in tre categorie di strumenti: le procedure generali, le istruzioni operative e i documenti di registrazione. Oltre a facilitare il controllo degli organi di vigilanza, le norme ISO 9000 sono utili alle aziende per migliorare la qualità del sistema produttivo e/o di distribuzione. Fin dagli anni ‘90 è altresì in vigore una normativa europea (direttive 89/395/CEE e 89/396 CEE concernenti l’etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti), recepita a livello nazionale dal decreto legislativo n. 109/1997, che impone il rispetto di regole sanitarie generali in tutte le fasi della produzione industriale fino alla vendita al dettaglio dei prodotti alimentari, così come nelle mense e nei ristoranti, e che, in primo luogo, è osservato attraverso il predetto autocontrollo delle aziende. Se viene segnalato un prodotto che può nuocere alla salute del consumatore, mediante codici impressi sulle confezioni (art. 13 del decreto legislativo n. 109/1997) si può risalire al giorno e al lotto di produzione, provvedere alle necessarie analisi e ritirare tutte le confezioni di quel lotto presenti sul mercato. I prodotti provenienti dai paesi non comunitari, quando passano la frontiera, sono sottoposti a controlli obbligatori dell’autorità sanitaria. La Commissione europea, inoltre, controlla che nei paesi membri l’applicazione delle norme e l’attività di vigilanza siano continuativi ed efficaci. In maniera didascalica, svolge il compito di controllare i controlli.

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1.2.2. Il decreto legislativo n° 155/1997 (a cura dell’A.U.S.L.. 6 - Palermo6)

Già a partire dagli anni 90, circolavano a Bruxelles le prime bozze relative al tema dell’ igiene degli alimenti, bozze che, dopo lunghi dibattiti tra autorità degli Stati membri e rappresentanti del mondo imprenditoriale, sarebbero diventate la Direttiva 93/43 il cui obiettivo era decisamente impegnativo: garantire la salute del consumatore. Prima dell’entrata in vigore del decreto legislativo n. 155/1997, infatti, le attività di controllo, sull’igiene degli alimenti, erano di pertinenza esclusiva del così detto “controllo ufficiale” effettuato dalle autorità competenti, Comuni e le Unità sanitarie Locali, le Regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, il Ministero della Salute, Carabinieri, Polizia municipale, ecc.. Tale controllo, seppur importante ed “istituzionale”, non poteva garantire la copertura di tutte le attività lungo tutta la filiera agro–alimentare; inoltre, il controllo ufficiale, talvolta, innesca quei meccanismi di diffidenza tra controllato e controllore. Il Decreto, in modo assolutamente innovativo, investe direttamente gli addetti alla filiera agro–alimentare, obbligando gli stessi a vigilare sull’igiene degli alimenti. In tal modo il controllo sull’igiene degli alimenti cammina in “equilibrio” tra il controllo ufficiale e l’autocontrollo; la sinergia tra i due meccanismi, coprendo a tappeto tutte le attività connesse con gli alimenti, può dare maggiori garanzie ai consumatori. Il decreto legislativo n. 155/1997, che recepisce appunto la Direttiva 93/43 della Commissione Europea, stabilisce le norme generali di igiene dei prodotti alimentari e le modalità di verifica dell’osservanza di tali norme; si fonda sui medesimi concetti dell’ISO 9000 e dell’HACCP, inglobati nella legge stessa che puntualizza cosa si intende per igiene in ogni fase, stabilisce i responsabili della sicurezza, le modalità per il ritiro dal commercio dei prodotti a rischio e la loro segnalazione per "allertare" gli altri Stati europei. Nelle definizioni dell’art. 2, l’industria alimentare è individuata nel soggetto privato o pubblico, con o senza fini di lucro, che esercita una o più delle seguenti attività: raccolta, macellazione, mungitura, preparazione, trasformazione, fabbricazione, confezionamento, distribuzione, manipolazione, vendita, fornitura, compresa la somministrazione al consumatore. Dalla lettura dell’articolo precedente si intuisce la grande potenzialità del Decreto; infatti in ogni attività alimentare devono essere prese tutte quelle misure utili a garantire la sicurezza e la salubrità dei prodotti alimentari. Tale condizione si attua con l’H.A.C.C.P. (art. 3) che si occupa delle attività preventive svolta dagli imprenditori nei luoghi di produzione e di vendita precedentemente descritte. L’applicazione di queste forme di prevenzione possono essere realizzate (art. 4) mediante i manuali di autocontrollo che conterranno le modalità di applicazione dei principi dell’ H.A.C.C.P. I responsabili delle industrie alimentari dovranno applicare quanto contenuto nel decreto e dovranno tenere a disposizione delle autorità competenti, preposte al

6 Dott. Salvatore Russo – Responsabile U.O. Rischio Biologico ed HACCP dell’Azienda Unità Sanitaria Locale

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controllo (art. 5), tutte le informazioni relative all’applicazione delle procedure di autocontrollo. Lo strumento “principe” dell’autocontrollo (art. 6) è la formazione in tema di corretta alimentazione ed igiene degli alimenti, nelle scuole di ogni ordine e grado. L’autorità competente, in caso di inadempienza nell’applicazione del Decreto (art. 8) può sanzionare il responsabile dell’ industria alimentare. Uno degli aspetti innovativi del decreto è la definizione di quelli che sono i limiti critici, ossia quei valori che differenziano l’accettabile dall’inaccettabile. Per esempio, in campo microbiologico, il limite critico potrebbe essere una carica microbica (numero di microrganismi per quantità prefissata di alimento) superata la quale l’alimento non sarebbe stato trattato secondo una “buona prassi igienica” e potrebbe costituire un rischio per la salute del consumatore. Recenti disposizioni comunitarie, nonché l’entrata in vigore del regolamento 178/2002, hanno modificato il Decreto 155/97, stabilendo, da un lato, l’obbligo dell’autocontrollo anche per la produzione primaria, raccolta, mungitura e macellazione, prima esclusa da tali attività, dall’altro, l’obbligo della rintracciabilità e tracciabilità degli alimenti, così come stabilito dal regolamento 178/2002; pertanto, l’H.A.C.C.P. è parte integrante del Regolamento 178/2002. Gli allegati o capitoli descrivono i requisiti generali dei locali, mobili ed immobili, destinati alle attività alimentari, le modalità di trasporto, anche marittimo, degli alimenti, i requisiti delle apparecchiature, come trattare i residui alimentari, i requisiti del rifornimento idrico, i principi base di igiene della persona, talune disposizioni applicabili agli alimenti e cosa estremamente importante, al capitolo X si sancisce l’obbligo della formazione, in tema d’igiene della persona e degli alimenti, per gli addetti al settore alimentare. E’ bene ricordare, però, che autocontrollo non vuol dire fare una serie, spesso inutile di accertamenti analitici sugli alimenti, ma, bensì, avere “la precisa e puntuale conoscenza” del processo produttivo al fine di identificare in quale punto o punti del processo possono nascondersi eventuali rischi per gli alimenti. Il suaccennato meccanismo delle comunicazioni rapide, sempre più numerose negli ultimi anni, è uno strumento essenziale per la valutazione di eventuali rischi e per la tutela del consumatore. Al riguardo il flusso degli "allerta" deve garantire sia la completezza delle informazioni che la tempestività della comunicazione. Le notifiche vengono comunicate e condivise tra gli Stati membri via rete, in tempo reale. L’attività del sistema di allerta prevede il ritiro di prodotti pericolosi per la salute umana o animale. Nel caso di rischio grave ed immediato (esempio tossina botulinica), oltre a disporre immediatamente il sequestro dei prodotti tramite l’intervento del Comando Carabinieri della Sanità e degli Assessorati Regionali, la procedura di emergenza può essere integrata con comunicati stampa. In questo caso vengono informati i cittadini sul rischio legato al consumo di un

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determinato prodotto e sulle modalità di riconsegna dell’alimento alla ASL territorialmente competente. La Commissione Europea ha istituito sul proprio sito uno spazio apposito per la consultazione on line delle notifiche settimanali, weekly overview of alert and information notifications, trasmesse dai paesi della comunità. Il sito web consente di conoscere le notifiche settimanali gia' in corso divise in:

� new alert notification per i prodotti a rischio che sono sul mercato europeo; � new information notification per i prodotti non presenti sul mercato europeo o

già sottoposti a misure di controllo dal paese interessato. Si tratta di una tabella riassuntiva, da considerare una ulteriore fonte di informazione, attraverso la quale gli enti sanitari territoriali interessati possono direttamente venire a conoscenza delle notifiche. Nel caso di necessità di approfondimento si invitano i medesimi a prendere contatto con gli uffici ministeriali centrali o periferici competenti.

Il sistema di allerta comunitario trova il fondamento giuridico nella Direttiva 92/59/CEE del consiglio europeo recepita col decreto legislativo 115/95, relativa alla sicurezza generale dei prodotti e nel regolamento CE 178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare.

1.2.3. Il Regolamento CE 178/2002 (a cura dell’A.U.S.L.. 6 - Palermo7)

Dal 1 gennaio 2005 è entrato in vigore il Regolamento CE n. 178/2002, con lo scopo di ridare ai consumatori quella fiducia che, episodi come la BSE e la diossina, nel tempo avevano gradualmente “corrosa”. Il Regolamento raccoglie le principali norme in tema di sicurezza di alimenti e mangimi, sancisce alcune definizioni comuni, formula i principi generali essenziali per poter garantire un elevato livello di protezione sanitaria e un efficace funzionamento del mercato alimentare, prefiggendosi gli obiettivi della tutela della salute dei cittadini, del rispetto per gli interessi dei consumatori, della protezione della salute e del benessere animale, delle piante e dell’ambiente, del potenziamento della libera circolazione dei prodotti alimentari e degli alimenti per gli animali, in ambito comunitario nonché dell’armonizzazione delle norme di settore esistenti nei vari stati membri, la cui disomogeneità era stata un deterrente alla libera circolazione dei prodotti alimentari. Tale regolamento impartisce altresì le procedure utili alla sicurezza alimentare ed alla rintracciabilità degli alimenti lungo tutto il percorso della filiera agro – alimentare, dalla “fattoria alla tavola”. Il Regolamento 178/2002 prende in considerazione tutti gli aspetti della filiera agro–alimentare, dalla produzione primaria, alla trasformazione, al trasporto, alla

7 Dott. Salvatore Russo – Responsabile U.O. Rischio Biologico ed HACCP dell’Azienda Unità Sanitaria Locale

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distribuzione, fino alla somministrazione al consumatore finale; lo stesso viene determinato per l’industria alimentare del settore dell’alimentazione animale. Viene potenziato il sistema di allarme “rapido” estendendolo ai mangimi per gli animali e contestualmente, vengono date le indicazioni per la gestione delle crisi e dei provvedimenti di emergenza; a tal fine viene istituito, in sostituzione di quelli attuali, un “Comitato permanente” della catena alimentare e della salute degli animali. L’articolo 18 dispone “in tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione la rintracciabilità degli alimenti, dei mangimi, degli animali destinati alla produzione alimentare e di qualsiasi altra sostanza desinata o atta ad entrare a far parte di un alimento o di un mangime”. Gli operatori del settore alimentare devono mettere a punto sistemi e procedure idonei alla rintracciabilità degli alimenti (par. 1.1.2.): sistemi cartacei, elettronici, codici a barra, fatture, richieste ordinativi, registri magazzino, registri consegne, registri non conformità, bolle di accompagnamento per trasporto, elenco fornitori, elenco clienti e clienti, elenchi trasportatori e quant’ altro necessario allo scopo di che trattasi. La tracciabilità e la rintracciabilità degli alimenti deve poter essere accertata in tutte le fasi di filiera, dalla fattoria alla tavola e viceversa. Laddove un operatore del settore alimentare ritiene che un prodotto alimentare o un mangime per animali che egli ha manipolato, trasformato, conservato, importato, prodotto, venduto, trasferito, ecc., deve avviare, immediatamente, tutte le operazioni utili per ritirare l’alimento in questione e deve, contestualmente, avvertire l’autorità sanitaria competente. Nel caso sopra esposto, se l’alimento è stato gia commercializzato e/o somministrato, l’operatore alimentare deve avvertire ed informare dei rischi il consumatore. Uno dei cardini portanti del regolamento è, senza ombra di dubbio, l’istituzione della Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (E.F.S.A. dall’inglese European Food Security Authority). Tale organismo ha il compito di riconquistare la fiducia dei consumatori e di valutare in modo “indipendente” i rischi associati alla catena alimentare. In particolare l’E.F.S.A. contribuisce a migliorare la sicurezza alimentare in Europa in qualità di Soggetto indipendente che risponde al suo mandato di valutazione e comunicazione dei rischi. L’Autorità si occupa di salute e benessere animale, di salute degli organismi vegetali e di ambiente. Compito dell’Autorità è fornire alla Commissione europea pareri scientifici indipendenti su qualunque argomento che abbia un’attinenza diretta o indiretta con la sicurezza degli alimenti, in tutta la catena alimentare. Dal 13 dicembre 2003 il Consiglio Europeo ha scelto come sede permanente dell’E.F.S.A. il Palazzo ducale di Parma. Prima della creazione dell’ E.F.S.A., la valutazione scientifica dei rischi connessi con gli alimenti ed i mangimi, nonché la valutazione della legislazione alimentare ai fini della gestione, per esempio autorizzativi di un alimento, erano svolti entrambi dalla Commissione Europea; tale doppia funzione poteva essere influenzata da pressioni politiche, economiche e sociali.

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Ovviamente, per dare indirizzi scientifici indipendenti è necessario scindere la gestione del rischio dalla valutazione dello stesso. Partecipano alla Commissione tutti gli Stati membri dell’ Unione Europea. I compiti dell’ E.F.S.A. sono, in linea di massima, i seguenti: � elaborare sistemi per la valutazione dei rischi alimentari quali OGM, pesticidi,

additivi, ecc.; � fornire pareri scientifici agli Stati membri, su iniziativa propria o su richiesta degli

stessi; � fare in modo che il pubblico e le parti interessate siano informati in modo chiaro,

comprensibile, affidabile ed indipendente; � effettuare il monitoraggio di specifici fattori di rischio quali la BSE.

In ogni caso e pur avvalendosi di scienziati ed esperti provenienti dagli Stati membri, l’E.F.S.A. non compete con le attività scientifiche degli Stati membri, ma ne perfeziona, semmai, i contenuti; nei confronti dell’Autorità Europea e solo nell’ipotesi di una valutazione comparativa, i pareri dell’ E.F.S.A. saranno prevalenti. Ogni Paese europeo ha un proprio Soggetto che può rapportarsi con l’EFSA, infatti l’ art. 36, impone il collegamento della Autorità, attraverso reti europee, delle organizzazioni che, negli Stati membri, operano nei medesimi settori di sua competenza. In applicazione del predetto art. 36, il Regolamento (CE) 2230/2004 del 23 dicembre 2004 della Commissione Europea, stabilisce i requisiti che devono soddisfare tali organizzazioni per poter operare in rete con l’ EFSA; in particolare, devono rispondere ai seguenti criteri: � svolgere funzioni di supporto scientifico e tecnico negli ambiti di competenza

dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare, in particolare nei settori aventi un impatto diretto e indiretto sulla sicurezza degli alimenti e dei mangimi: raccolta e analisi di dati legati all’identificazione dei rischi e all’esposizione ai rischi; valutazione dei rischi; valutazione dell’innocuità degli alimenti o dei mangimi; studi scientifici o tecnici; assistenza scientifica o tecnica ai responsabili della gestione del rischio;

� essere dotati di personalità giuridica e perseguire obiettivi d’interesse generale; disporre, nel quadro della propria organizzazione, di procedure e regole specifiche tali da assicurare che i compiti loro affidati dall’Autorità siano espletati nel rispetto del principio di indipendenza e integrità;

� avere un livello elevato e riconosciuto di esperienza scientifica o tecnica in uno o diversi ambiti di competenza dell’Autorità, in particolare quelli aventi un impatto diretto e indiretto sulla sicurezza degli alimenti e dei mangimi;

� essere capaci di operare in rete su azioni a carattere scientifico d’interesse comune realizzate nel quadro della rete, e/o capaci di eseguire efficacemente i compiti loro conferiti dall’Autorità.

Lo stesso Regolamento 2230/2004 stabilisce che siano gli Stati membri a trasmettere all’Autorità i nomi ed i riferimenti degli organismi designati, gli elementi a riprova del possesso dei requisiti e le indicazioni dei loro ambiti di competenza specifici.

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Ogni Paese europeo ha un proprio Soggetto che può rapportarsi con l’EFSA. Di seguito se ne fornisce l’elenco:

� AUSTRIA Österreichische Agentur für Gesundheit und Ernährungssicherheit GmbH

� BELGIO L'Agence Fédérale pour la Sécurité de la Chaîne Alimentaire

� DANIMARCA Institute of Food and Veterinary Research (DFVF)

� FINLANDIA Finnish National Food Agency

� FRANCIA Agence francaise de sécurité sanitaire des aliments (AFSSA)

� GERMANIA Bundesinstitut für Risikobewertung

� GRECIA EFET Greece

� IRLANDA Food Safety Authority of Ireland (FSAI)

� LETTONIA Food and Veterinary Service

� LITUANIA State Food and Veterinary Service of Lithuania

� LUSSEMBURGO Inspection Sanitaire (Luxembourg)

� OLANDA Voedsel en Waren Autoriteit

� POLONIA Chief Sanitary Inspectorate

� PORTOGALLO Agência para a Qualidade e Segurança Alimentar

� REGNO UNITO Food Standards Agency (FSA)

� REPUBBLICA CECA Ministry of Agriculture of Ceska Republika (CZ), Food Safety Department

� SPAGNA La Agencia Española de Seguridad Alimentaria (AESA)

� SLOVACCHIA State Veterinary and Food Administration of Slovak Republic

� SVEZIA Swedish National Food Administration

L’interfaccia italiana è il Comitato Nazionale per la Sicurezza alimentare (CNSA), istituito con l’Intesa Stato, Regioni e Province autonome del 17 giugno 2004, che ha il

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compito di promuovere e coordinare la definizione di metodi uniformi di valutazione del rischio alimentare, proporre metodi per la pianificazione dei programmi di monitoraggio e sorveglianza per il controllo della sicurezza dei prodotti agroalimentari e per la verifica della corretta applicazione della normativa relativa alla sicurezza alimentare e alle biotecnologie.

1.3. Il sistema dei controlli nazionali (a cura di Giuseppe Greco)

La direttiva del Consiglio 89/397/CEE, recepita nell'ordinamento nazionale con il D.Lgs. 123 del 3 marzo 1993 (G.U. n. 97 del 27/11/1993), ha armonizzato le attività di controllo ufficiale sui prodotti alimentari che vengono effettuate nei Paesi dell'Unione Europa. Scopo del controllo ufficiale è quello di verificare e garantire la conformità dei prodotti alimentari alle disposizioni dirette a prevenire i rischi per la salute pubblica, a proteggere gli interessi dei consumatori e ad assicurare la lealtà delle transazioni commerciali. Le attività del controllo ufficiale sono indirizzate ai prodotti italiani e a quelli di altra provenienza destinati ad essere commercializzati nel territorio nazionale, nonché a quelli spediti verso Paesi dell'Unione Europea o esportati verso Paesi terzi. Esse riguardano tutte le fasi della produzione, della trasformazione, del magazzinaggio, del trasporto, del commercio, della somministrazione, dell'importazione e consistono in una o più delle seguenti operazioni: ispezione, prelievo dei campioni, analisi di laboratorio dei campioni prelevati, controllo dell'igiene del personale addetto, esame del materiale scritto e dei documenti di vario genere ed esame dei sistemi di verifica installati dall'impresa e dei relativi risultati. Le attività del controllo ufficiale sono dirette a verificare: � lo stato, le condizioni igieniche ed i relativi impieghi degli impianti, delle

attrezzature, degli utensili, dei locali e delle strutture; � le materie prime, gli ingredienti, i coadiuvanti ed ogni altro prodotto utilizzato nella

produzione e preparazione per il consumo; � i prodotti semilavorati; � i prodotti finiti; � i materiali e gli oggetti destinati a venire a contatto con gli alimenti; � i procedimenti di disinfezione, pulizia e manutenzione; � i processi tecnologici di produzione e trasformazione dei prodotti alimentari; � l’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari; � i mezzi e le modalità di conservazione. Tali attività sono caratterizzate da interventi sistematici che devono essere attuati secondo programmi preordinati che definiscano, durante un periodo di tempo determinato, la natura e la frequenza dei medesimi in modo tale da assicurare che il controllo sia proporzionato all'obiettivo perseguito.

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Per l'espletamento delle suddette attività il Servizio Sanitario Nazionale (S.S.N.) si avvale di numerosi organismi operanti sia a livello centrale che territoriale. Nel tentativo di esemplificare l’intera organizzazione nazionale che si occupa di controllo alimentare, viene di seguito proposto un grafico descrittivo.

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NORMATIVE di PROGRAMMAZIONE di INDIRIZZO di COORDINAMENTO NORMATIVE di PROGRAMMAZIONE di INDIRIZZO di COORDINAMENTO

Controllo ufficiale Controllo ufficiale

controllo sanitario merci da e per Paesi UE e

Terzi

allerta

AuditPiano Nazionale

Residui

Piano Mangimi

Prodotti fitosanitari Prodotti fitosanitari

IL SISTEMA NAZIONALE DEI CONTROLLI DI SICUREZZA ALIMENTARE

COMPETENZE NORMATIVO-ORGANIZZATIVE

pubblicazione sui residui dei prodotti fitosanitari negli alimenti

ALIMENTI IN COMMERCIO

ALIMENTI IN AZIENDA AGRICOLA

MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE

MINISTERO DELLA SALUTE

REGIONI

RICERCA FORMAZIONE INFORMAZIONE RICERCA FORMAZIONE INFORMAZIONE

QUALITA' ALIMENTI

Merci di origine

animale

provenienti da UE

Merci di origine

vegetale PORTI, AEROPORTI, CONFINI

COMPETENZE DI RICERCA

NUTRIZIONALE

COMPETENZE ISPETTIVE ALLA FRONTIERACONTROLLI ISPETTIVI ALLA FRONTIERA

COMPETENZE DI VERIFICA ANALITICACONTROLLI ANALITICI CONTROLLI ANALITICI

TECNOLOGIE e BIOTECNOLOGIEanche PREVENZIONE E CONTROLLO PATOLOGIE DA

ALIMENTAZIONE DISEQUILIBRATA

COMPETENZE ORGANIZZATIVE LOCALIORGANIZZAZIONE CONTROLLI

COMPETENZE ISPETTIVE IN CAMPO NAZIONALECONTROLLI ISPETTIVI CONTROLLI ISPETTIVI

anche AUTONOMA ATTIVITA' INVESTIGATIVA O SU INCARICO DELL'AUTORITA'

GIUDIZIARIA AIUTI E FRODI COMUNITARIE

Istituto Superiore Sanità (ISS) Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione (INRAN)

Aziende Sanitarie Locali (ASL)

Istituti Zooprofilattici Sperimentali (IZS)

Ispettorato Centrale Repressione Frodi (ICRF)

CARABINIERI PER TUTELA SALUTE (NAS)

CORPO FORESTALE CARABINIERI POLITICHE AGRICOLE

POSTI DI ISPEZIONE FRONTALIERA (PIF)

UFFICI VETRINARI PER ADEMPIMENTI

COMUNITARI (UVAC)

UFFICI DI SANITA' MARITTIMA, AEREA E DI

FRONTIERA (USMAF)

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In linea generale esistono due organizzazioni parallele che si integrano nel momento in cui queste si occupano degli alimenti nelle due possibili e differenti fasi: gli alimenti immessi in commercio e quelli in corso di produzione presso l’azienda agricola. Per gli alimenti “alla produzione agricola”, l’organizzazione di controllo è più semplificata e fa capo al Ministero delle Politiche Agricole, mentre per gli alimenti “in commercio” la struttura di riferimento è il Ministero della Salute ed esattamente l'Ufficio V° della Direzione Generale Sanità Pubblica Veterinaria Alimenti e Nutrizione che coordina le attività di controllo ufficiale dei prodotti alimentari ed alcuni dei piani nazionali e comunitari di monitoraggio in materia di sicurezza alimentare. Le decisioni a monte, che conducono a due organizzazioni parallele, hanno il comprensibile scopo di conseguire il risultato della migliore tutela del consumatore con verifiche obiettive, nel far sì che, al riguardo, la massima Autorità preposta alle verifiche “alla produzione” sia differente da quella con analoghe funzioni “al consumo”. Le due organizzazioni parallele - ed al contempo integrate dalla separazione dei campi di intervento – presentano tre livelli di operatività. Al primo, di livello governativo, nazionale e regionale, sono affidate prevalentemente, oltre ai compiti normativi nell'ambito delle diverse competenze, le funzioni di programmazione, indirizzo e coordinamento. Il secondo, di livello provinciale, ha funzioni prettamente organizzative nelle attività di controllo alla produzione, al commercio ed alla somministrazione degli alimenti e delle bevande. Esse vengono esercitate dalle Aziende Locali. Il terzo livello è quello ispettivo-operativo di stretta competenza dei Corpi di Polizia che possono agire: a seguito di autonome attività investigative, su incarico della Autorità Giudiziaria, su mandato delle ASL o del Ministero di riferimento. Le due organizzazioni ministeriali compendiano le prerogative in materia di: � ricerca, formazione ed informazione con Istituti Nazionali che garantiscono gli studi

sulla qualità degli alimenti, sui processi bio- e tecnologici, sulla prevenzione delle patologie alimentari a diverso titolo;

� verifica analitica a supporto delle ASL mediante i laboratori pubblici del Controllo Ufficiale (Presidi Multizonali di Prevenzione, Agenzie Regionali per la Protezione dell'Ambiente e Istituto Zooprofilattici Sperimentali) o a diretto sostegno del Ministero delle Politiche Agricole per la materia delle repressione delle frodi alimentari.

Di seguito verranno analizzati, con maggiore puntualità, i compiti di tutti i Soggetti istituzionali preposti ai controlli degli alimenti.

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1.3.1. Competenze normative, di programmazione, indirizzo e coordinamento delle politiche di sicurezza alimentare a livello nazionale (a cura di Giuseppe Greco)

1.3.1.1. Ministero della salute (a cura di Giuseppe Greco)

La tutela della salute dei consumatori, della sanità e del benessere degli animali sono compiti attribuiti al Ministero della salute. Il Ministero interviene nel campo della sicurezza alimentare sia mediante controlli diretti sui prodotti di provenienza estera, che vengono effettuati tramite i propri uffici periferici, sia mediante l’organizzazione o la verifica di specifici programmi legati alla tutela del consumatore. I principali settori di intervento sono di seguito descritti. Controllo Ufficiale Il Ministero della salute è il punto di riferimento per le attività di controllo ufficiale dei prodotti alimentari e coordina alcuni piani nazionali e comunitari di monitoraggio in materia di sicurezza alimentare. Scopo del controllo ufficiale è quello di verificare e garantire la conformità dei prodotti alimentari alle disposizioni dirette a prevenire i rischi per la salute pubblica e a proteggere gli interessi dei consumatori. Al livello centrale e regionale, sono affidate prevalentemente, oltre ai compiti normativi nell'ambito delle diverse competenze, le funzioni di programmazione, indirizzo e coordinamento. Le funzioni di controllo sull'attività di produzione, commercio e somministrazione degli alimenti e delle bevande competono principalmente ai comuni che le esercitano attraverso le Aziende Sanitarie Locali. Controlli sanitari sulle merci provenienti dai Paesi terzi e dagli altri Paesi della UE L'Italia è un paese importatore di animali, prodotti di origine animale e di vegetali data l'insufficienza della propria produzione agro-zootecnica. Il Ministero della salute, tramite i propri Uffici Periferici, Veterinari e di Sanità Marittima Aerea e di Frontiera, effettua il controllo sanitario sui prodotti di provenienza estera. Tali prerogative vengono esercitate tramite: o i Posti di Ispezione Frontaliera (PIF), dislocati nei più importanti aeroporti, porti e

confini terrestri, fanno parte di un sistema di controllo completamente integrato a livello Europeo in quanto le merci da essi certificate possono circolare liberamente in tutti gli altri 24 Paesi dell’Unione Europea. I PIF, in particolare, effettuano i controlli sulle merci di origine animale provenienti dai Paesi terzi.

o gli Uffici Veterinari per gli Adempimenti Comunitari (UVAC) rappresentano invece un organismo di controllo peculiarmente italiano. Nati a seguito dell’abolizione dei controlli alle frontiere fra i Paesi membri della Comunità Europea, conseguente all’attuazione del Mercato Unico (1993), essi mantengono

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al livello statale la principale responsabilità dei controlli a destino sulle merci di origine animale di provenienza comunitaria.

o gli Uffici di Sanità Marittima, Aerea e di Frontiera (USMAF) del Ministero esercitano un controllo all'importazione su tutte le partite di prodotti vegetali destinati alla alimentazione umana, nonché sugli additivi, sugli aromi, sui coadiuvanti tecnologici e sui materiali destinati a venire a contatto con gli alimenti.

Alimenti vegetali Alimenti e prodotti di origine vegetale rappresentano una quota importante nell’ alimentazione umana e sono soggetti, come peraltro anche i prodotti di origine animale, a normative nazionali e comunitarie sia di carattere generale (aspetti igienico sanitari e controlli) e a normative di settore (pesticidi, contaminanti, coloranti e additivi). Il Ministero pubblica i risultati annuali del controllo ufficiale sui residui di prodotti fitosanitari negli alimenti di origine vegetale.

Sistema di Allerta Per notificare in tempo reale i rischi diretti o indiretti per la salute pubblica connessi agli alimenti e ai mangimi è stato istituito il sistema rapido di allerta comunitario basato sullo scambio di informazioni in tempo reale tra i nodi di una rete informatizzata che comprende la Commissione Europea e gli Stati membri dell'Unione; per l’Italia il punto di contatto del sistema è presso il Ministero della Salute. Il meccanismo delle comunicazioni rapide è uno strumento essenziale per la tutela del consumatore, in quanto consente il ritiro di prodotti pericolosi per la salute umana o animale e, in casi di rischio grave ed immediato, anche l'informazione diretta al consumatore. Il Ministero, inoltre, effettua un’apposita sorveglianza sulle problematiche sanitarie relative alla contaminazione degli alimenti e dei mangimi, sulla base dei risultati della quale vengono stabilite le eventuali misure di intervento. Allerta rapida europea alimenti e mangimi

Piano Nazionale Residui Il Ministero della Salute è responsabile del coordinamento delle attività dei servizi centrali (NAS, Guardia di Finanza , ecc.) e regionali incaricati della sorveglianza, nelle varie filiere di prodotti di origine animale, di residui di sostanze che potrebbero essere fonti di problemi per la salute pubblica. Il Ministero predispone annualmente, dal 1988, un programma di campionamento (“Piano Nazionale per la ricerca dei Residui - PNR"), che interessa i settori bovino, suino, ovi-caprino, equino, avicolo, cunicolo, nonché i settori dell'acquacoltura, della selvaggina , del latte, delle uova e del miele. I campionamenti vengono effettuati sia a livello di allevamento che a livello di stabilimento di prima trasformazione (macello, centro raccolta latte, ecc.). In tal modo è possibile risalire al luogo di utilizzo dei principi attivi o di contaminazione ambientale, consentendo un efficace intervento sia di tutela della salute pubblica che, eventualmente, di tipo repressivo .

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Piano Mangimi Il Ministero della Salute predispone annualmente, il Piano Nazionale Alimentazione Animale (P.N.A.A.) con obiettivi di vigilanza e controllo sui mangimi, per assicurare la salubrità dei prodotti di origine animale destinati al consumo umano e armonizzare l’organizzazione dei controlli ufficiali nel settore dell’alimentazione animale. Nel PNAA sono coinvolti oltre i Servizi Veterinari Regionali, il Centro di Referenza nazionale per la sorveglianza ed il controllo degli alimenti per uso animale, il Centro nazionale per l’Encefalopatia Animale, il Comando Carabinieri Sanità, il Corpo Forestale dello Stato nonché tutti i Laboratori di analisi degli II.ZZ.SS. e quelli facenti capo alle Autorità premenzionate. Uno specifico protocollo d’intesa tra il Ministero della Salute e il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali rafforza il controllo dei mangimi ai fini della prevenzione della Encefalopatia Spongiforme Bovina (BSE). Prodotti fitosanitari In materia di prodotti fitosanitari, il Ministero della salute: � autorizza l’immissione in commercio e l’uso di un prodotto fitosanitario nel territorio

italiano id in parte di esso; � rinnova o modifica le autorizzazioni rilasciate; � riesamina, ritira o dispone il rifiuto al rinnovo od il ritiro delle autorizzazioni

rilasciate; � fissa, con proprio decreto, i limiti massimi di residuo delle sostanze attive

contenute nei prodotti destinati all’alimentazione. Attualmente, detti limiti massimi di residuo sono stabiliti dal D.M. 27 agosto 2004 che contiene recenti disposizioni comunitarie e rielabora ed unifica tutti i provvedimenti nazionali precedentemente in vigore in materia.

Attività di Audit Si tratta di attività che il Ministero svolge per acquisire un quadro complessivo del sistema sanitario regionale e del complesso di attività di prevenzione che le Regioni svolgono nell’ambito della sanità pubblica veterinaria e della sicurezza alimentare. L’obiettivo è di garantire l’uniformità a livello nazionale e locale nell’applicazione della normativa di filiera o di settore produttivo. L’AUDIT comprende due momenti operativi. Il primo prevede “Audit di Sistema” presso le Amministrazioni regionali, ed è finalizzato a verificare, per il settore veterinario e alimenti, l’efficacia e l’efficienza degli strumenti di gestione delle regioni stesse, previsti dalla normativa. Il secondo momento è un “Audit di Settore”, svolto presso l’Amministrazione regionale e presso le AA.SS.LL., che verifica, oltre al ruolo ed all’organizzazione regionale in un settore specifico, l’implementazione della normativa di settore, l’organizzazione dei servizi di prevenzione delle ASL, l’attività di indirizzo, di programmazione ed esecuzione dei controlli. Questa fase si conclude con visite ispettive presso alcuni stabilimenti operanti in quel settore, scelti secondo una logica di filiera (es: per il latte un’azienda zootecnica, un caseificio ed un punto vendita).

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1.3.1.2. Ministero delle Politiche agricole e forestali (a cura di Giuseppe Greco)

Il Ministero delle Politiche agricole e forestali (MIPAF), istituito nel 1946 e sottoposto poi a riforma organizzativa in base al D.P.R. 450/2000, elabora e coordina le linee politiche agricole forestali agroalimentari e per la pesca a livello nazionale, europeo e internazionale. Il Mipaf comprende: il Dipartimento Politiche di Mercato (con due Direzioni Generali), il Dipartimento Qualità dei prodotti agroalimentari e dei servizi (con tre Direzioni Generali), l’Ispettorato Centrale Repressioni Frodi (ICRF) ed il Corpo Forestale dello Stato (CFS). Nelle attività di sua competenza il Mipaf si avvale dell’operato di importanti Enti collegati: l’Agenzia per le erogazioni in Agricoltura (AGEA); l’Istituto nazionale di Economia Agraria (INEA); l’Unione nazionale incremento razze equine (UNIRE); l’Istituto di Servizi per Mercato Agricolo Alimentare (ISMEA); l’Istituto nazionale per gli Alimenti e la Nutrizione (INRAN). Le competenze del Ministero delle politiche agricole e forestali in materia di controlli relativi alla sicurezza alimentare vengono esercitate da tre strumenti operativi rappresentati dal Corpo Forestale dello Stato, dall’Ispettorato centrale per la repressione delle frodi e dal Comando dei Carabinieri per le politiche agricole.

1.3.1.3. Regioni (a cura di Giuseppe Greco)

Alle Regioni, come ai Ministeri, sono affidate prevalentemente, oltre ai compiti normativi nell'ambito delle proprie competenze, le funzioni di programmazione, indirizzo e coordinamento. La fattispecie assume maggiore rilievo in Sicilia, essendo Regione a statuto speciale. I due Assessorati coinvolti sono quelli alla Sanità ed all’Agricoltura e Foreste. A livello locale le funzioni di controllo sull'attività di produzione, commercio e somministrazione degli alimenti e delle bevande competono principalmente ai comuni che le esercitano attraverso le Aziende Sanitarie Locali.

1.3.2. Competenze sulla ricerca, la formazione e l’informazione delle politiche di sicurezza alimentare a livello nazionale (a cura di Giuseppe Greco)

1.3.2.1. Istituto Superiore di Sanità (ISS) (a cura di Giuseppe Greco)

L’Istituto Superiore di Sanità (ISS) è il più importante organo tecnico-scientifico del Servizio Sanitario Nazionale. E’ un Ente di diritto pubblico ed opera nel settore della ricerca per la tutela della salute pubblica. L’ISS svolge attività di ricerca e fornisce consulenza e sostegno tecnico-scientifico in materia di problematiche che possono

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avere un impatto diretto o indiretto sulla sicurezza degli alimenti e sui mangimi nelle diverse fasi di produzione, trasformazione, distribuzione, commercio e somministrazione . L’ISS interviene anche in materia di prevenzione e controllo delle malattie associate all'eccessiva o errata alimentazione o ad altri fattori alimentari, nonché in azioni ritenute necessarie in situazioni di emergenza alimentare. E’ Centro di Collaborazione WHO-FAO sulla Sanità Pubblica Veterinaria.

1.3.2.2. Istituto Nazionale di Ricerca per gli alimenti e la Nutrizione (INRAN) (a cura di Giuseppe Greco)

L’INRAN, Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione, è l’Ente pubblico di ricerca, vigilato dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali (MiPAF), che si occupa di alimenti e di nutrizione umana. I suoi principali compiti sono:

� attività di Ricerca nel campo degli alimenti e della nutrizione, con particolare riguardo alla qualità degli alimenti (valorizzazione, accreditamento, etichettatura) e alle tecnologie e biotecnologie alimentari.

� informazione-formazione dei consumatori, adulti e bambini, sui temi nutrizionali ed alimentari sia con consigli ed indicazioni sia con appositi strumenti per metterli in pratica.

� elaborazione di documenti tecnici come le Tabelle di composizione degli alimenti, le Raccomandazioni nutrizionali e le Linee Guida per una Sana Alimentazione Italiana.

L’Istituto, inoltre, è attivamente impegnato nel mondo della scuola, con campagne mirate all’educazione di bambini e ragazzi, e alla formazione degli insegnanti.

1.3.3. Competenze sull’organizzazione locale dei controlli in materia di sicurezza alimentare (a cura di Giuseppe Greco)

1.3.3.1. Aziende Sanitarie Locali – ASL (a cura di Giuseppe Greco)

Nell’ambito delle Aziende Sanitarie Locali, la struttura individuata dalle Regioni per promuovere azioni volte ad evidenziare e rimuovere le cause di nocività e malattia di origine ambientale, umana e animale è il Dipartimento di Prevenzione. In materia di sicurezza alimentare e sulla scorta della definizione dei livelli essenziali di assistenza (LEA), il Dipartimento di Prevenzione garantisce, per quanto concerne la sicurezza alimentare, le seguenti funzioni di prevenzione collettiva e sanità pubblica:

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� tutela della collettività dai rischi sanitari degli ambienti di vita anche con riferimento agli effetti sanitari degli inquinanti ambientali

� sanità pubblica veterinaria,che comprende sorveglianza epidemiologica delle popolazioni animali e profilassi delle malattie infettive e parassitarie; farmacovigilanza veterinaria; igiene delle produzioni zootecniche; tutela igienico sanitaria degli alimenti di origine animale

� tutela igienico sanitaria degli alimenti � sorveglianza e prevenzione nutrizionale

1.3.4. Competenze analitiche dei controlli in materia di sicurezza alimentare (a cura di Giuseppe Greco)

1.3.4.1. Ispettorato centrale repressione frodi (a cura di Giuseppe Greco)

L’Ispettorato centrale repressione frodi (ICRF) istituito con legge 462/86 e posto alle dirette dipendenze del Ministro delle politiche agricole e forestali con la legge 49/2001 ha competenze in materia di controlli sui prodotti agroalimentari e sui mezzi tecnici di produzione. Le norme attuative e di organizzazione dell’ispettorato sono riconducibili al DM n. 44 del 13 febbraio 2003 così come modificato dal DM n. 294 dell’11 novembre 2004. L’Ispettorato centrale repressione frodi è un’organismo incaricato del controllo ufficiale dei prodotti alimentari ai sensi del decreto legislativo 123/93. Tra i compiti istituzionali dell’ICRF si elencano: � esercizio delle funzioni inerenti alla prevenzione ed alla repressione delle infrazioni

nella preparazione e nel commercio dei prodotti agroalimentari e delle sostanze di uso agrario e forestale;

� controllo di qualità dei prodotti in entrata e in uscita dal territorio nazionale; � altri controlli di competenza del ministero delle politiche agricole e forestali, ivi

compresi i controlli sulla distribuzione commerciale. L’Ispettorato Repressione frodi è presente in Sicilia con l’Ufficio di Palermo, avente competenza territoriale su tutta la Regione, e con una sede distaccata a Catania.

1.3.4.2. Istituti Zooprofilattici Sperimentali (IZS) (a cura di Giuseppe Greco)

Gli Istituti Zooprofilattici Sperimentali, Enti Sanitari dotati di personalità giuridica di diritto pubblico (Legge 23 giugno 1970 n° 503), rappresentano uno strumento operativo indispensabile per assicurare al Paese i servizi tecnico-scientifici necessari per garantire un corretto equilibrio tra le esigenze dello sviluppo del sistema produttivo agro-alimentare e la tutela dei consumatori di prodotti di origine animale. Altro fondamentale aspetto delle attività degli Istituti Zooprofilattici Sperimentali è quello relativo all’attività di ricerca collegata direttamente alla funzione che tali Istituti

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svolgono all’interno del SSN quali strutture deputate all’erogazione di servizi tecnologicamente avanzati. Con le 10 sedi principali e le 85 Sezioni Diagnostiche Provinciali gli Istituti Zooprofilattici Sperimentali, costituiscono una “rete” di laboratori pubblici al servizio dello Stato e delle Regioni che assicurano, insieme alle altre strutture del Sistema Sanitario Nazionale, la salvaguardia della salute pubblica tramite il controllo degli alimenti di origine animale, l’igiene e lo stato sanitario degli allevamenti zootecnici ed il benessere degli animali. In Sicilia l’Isituto Zooprofilattico Sperimentale “Mirri”, è alle dipendenze dell’Assessorato regionale alla Sanità ed ha sede in via Gino Marinuzzi, 3 - 90129 – Palermo. Si articola in n° 4 Sezioni diagnostiche provinciali: Barcellona, Caltanissetta, Catania, Ragusa.

1.3.5. Competenze in materia di controllo operativo finalizzato alla sicurezza alimentare (a cura di Giuseppe Greco)

Dette competenze sono delle tradizionali forze dell’ordine (Carabinieri, Pubblica Sicurezza, Guardia di Finanza, Corpi Forestali) se impegnate nei Posti di Ispezione Frontaliera (PIF), negli Uffici Veterinari per gli Adempimenti Comunitari (UVAC), negli Uffici di Sanità Marittima, Aerea e di Frontiera (USMAF) All’interno delle Forze dell’Ordine quelli di seguito descritti rappresentano Corpi specializzati.

1.3.5.1. Corpo Forestale dello Stato (a cura di Giuseppe Greco)

Il nuovo ordinamento, statuito con Legge 6 febbraio 2004, n. 36, stabilisce all’art. 1 che il Corpo forestale dello Stato, alle dipendenze del Ministero delle politiche agricole e forestali, svolge attività di polizia giudiziaria e vigila sul rispetto della normativa nazionale e internazionale concernente la salvaguardia delle risorse agroambientali, forestali e paesaggistiche e la tutela del patrimonio naturalistico nazionale, nonché la sicurezza agroalimentare, prevenendo e reprimendo i reati connessi. L’art. 2 evidenzia che, fatte salve le attribuzioni delle regioni e degli enti locali, il Corpo forestale dello Stato ha competenza in materia di controlli derivanti dalla normativa comunitaria agroforestale e ambientale e concorso nelle attività volte al rispetto della normativa in materia di sicurezza alimentare del consumatore e di biosicurezza in genere. In Sicilia tali funzioni sono espletate dal Corpo Forestale della Regione Siciliana che dipende dall’Assessorato Regionale Agricoltura e Foreste.

1.3.5.2. Comando Carabinieri per la tutela salute (a cura di Giuseppe Greco)

I Carabinieri dei N.A.S., nella duplice funzione di ufficiali di polizia giudiziaria e di ispettori sanitari, svolgono i compiti loro affidati - d'iniziativa, su richiesta del Ministro

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della Salute o dei Reparti dell'Arma territoriale, oppure su delega dell'Autorità Giudiziaria, su denunce o segnalazioni da parte dei cittadini, o su notizie comunque acquisite nel corso di attività di "intelligence" o attraverso organi di informazione. L'attività descritta si concretizza in ispezioni igienico-sanitarie sull'intera filiera di produzione, vendita e somministrazione degli alimenti e delle bevande.

1.3.5.3. Comando Carabinieri politiche agricole (a cura di Giuseppe Greco)

Il Comando, istituito con DPR 450/2000 e posto alle dipendenze funzionali del Ministro delle Politiche Agricole e Forestali per esercitare i poteri ispettivi devoluti al Mipaf, svolge controlli straordinari sulla erogazione e percepimento di aiuti comunitari nel settore agroalimentare e della pesca ed acquacultura, sulle operazioni di ritiro e vendita di prodotti agroalimentari, ivi compresi gli aiuti a Paesi in via di sviluppo e indigenti. Esercita, inoltre, controlli specifici sulla regolare applicazione di regolamenti comunitari e concorre, coordinandosi con l'Istituto Centrale Repressione Frodi, nell'attività di prevenzione e repressione delle frodi nel settore agroalimentare. Nello svolgimento di tali compiti, il reparto può effettuare accessi ed ispezioni amministrativi avvalendosi dei poteri previsti dalle norme vigenti per l'esercizio delle proprie attività istituzionali.

1.4. Il sistema dei controlli dell’A.U.S.L. n. 6. Il caso della Provincia di Palermo (a cura dell’A.U.S.L.. 6 - Palermo9)

Il sistema dei controlli riguarda tutte le fasi della filiera agro – alimentare che riguardano la produzione, la fabbricazione, la lavorazione, la conservazione, il trasporto, la distribuzione, il commercio e l’importazione degli alimenti. A tal fine, per quanto riguarda la Provincia di Palermo, l’Autorità incaricata del controllo ufficiale degli alimenti è l’A.U.S.L. n. 6 per il tramite del Dipartimento Sanitario Strutturale di Prevenzione Medico e del Dipartimento Sanitario Strutturale di Prevenzione Veterinario. Il controllo ufficiale degli alimenti è regolamentato dal D. Lgs. 123/93 e dal D. Lgs. 156/97 e dai vari Regolamenti CEE. Nell’ambito del Dipartimento Sanitario Strutturale di Prevenzione Medico, la struttura competente per le attività di controllo sugli alimenti è il Servizio di Igiene degli Alimenti, Sorveglianza e Prevenzione Nutrizionale, che è uno dei tre Servizi in cui si articola l’Area di Igiene Pubblica. Il Dipartimento di Prevenzione Medico dell’A.U.S.L. n. 6 effettua, sulla base di un programma annuale, il controllo “capillare” della filiera agro - alimentare del territorio della Provincia di Palermo, affidando tale compito all’unità Operativa di Vigilanza ed

9 Dott. Salvatore Russo – Responsabile U.O. Rischio Biologico ed HACCP dell’Azienda Unità Sanitaria Locale

6 - Palermo

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Ispezione che si avvale di professionisti, i T.P.A.L.L., Tecnici della Prevenzione negli Ambienti di Vita e luoghi di Lavoro; tali professionisti, esperti nelle tematiche ambientali ed alimentari, formati a livello universitario, operano su tutto il territorio della Provincia che è stato articolato in 14 Distretti, funzionali alla ubicazione geografica ed al bacino d’utenza in essi ricadenti. In ogni Distretto è stata istituita una Unità Operativa Territoriale di Igiene Pubblica, nella quale insiste il N.O.P.I, Nucleo Operativo Personale Ispettivo, che è formato dai sopra citati T.P.A.L.L., nella misura di tre – cinque unità per ogni N.O.P.I. L’attuale organizzazione prevede: � 5 N.O.P.I. per la zona di Palermo urbana (Distretti 10, 11, 12, 13 e 14); � 6 N.O.P.I. per la zona di Palermo sud (Distretti di Bagheria, Lercara Friddi e

Misilmeri, con Sede a Bagheria e Cefalù, Termini Imerese e Petralia Sottana, con Sede a Petralia Sottana);

� 3 N.O.P.I. per la zona di Palermo nord (Distretti di Corleone, Carini e Partinico con Sede a Terrasini).

Il Dipartimento di Prevenzione Veterinario, invece, è articolato nelle seguenti Unità Operative Territoriali o Distrettuali: � Unità operativa 1 di Cefalù; � Unità operativa 2 di Petralia Sottana; � Unità operativa 3 di Termini Imerese; � Unità operativa 4 di Bagheria; � Unità operativa 5 di Corleone; � Unità operativa 6 di Lercara Friddi; � Unità operativa 7 di Partinico; � Unità operativa 8 di Carini; � Unità operativa 9 di Misilmeri; � Unità operativa Palermo extra-urbana; � Unità operativa Palermo urbana; � Unità operativa Presidi veterinari di igiene urbana (canile).

Il Personale Ispettivo del Dipartimento di Prevenzione Veterinario, operante nelle sopra citate Unità Operative Distrettuali, provvede al controllo degli alimenti di origine animale ed ai relativi campionamenti per le relative indagini di laboratorio. Sono oggetto del controllo ufficiale tutti i prodotti alimentari, compresi gli alimenti destinati ad una alimentazione particolare, come quelli destinati alla prima infanzia, gli additivi alimentari, le vitamine, i sali minerali, ed i materiali destinati a venire a contatto con i prodotti alimentari. Il controllo consiste in una o più delle seguenti operazioni: � ispezione dell’industria alimentare; � prelievo di campioni per le successive analisi di laboratorio; � controllo dell’igiene del personale addetto all’industria alimentare; � esame della documentazione inerente l’attività alimentare controllata; � verifica dell’applicazione dell’autocontrollo di cui al D. Lgs. 155/97.

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Gli accertamenti analitici, sugli alimenti oggetto del controllo, saranno compiuti in laboratori diversi a secondo del tipo di alimento da analizzare: � Laboratorio di Sanità Pubblica, del Dipartimento di Prevenzione Medico della

A.U.S.L. 6, per gli aspetti microbiologici degli alimenti di “origine non animale” – frutta, ortaggi, legumi, caffè, tè, cereali, farine, oli vegetali, margarina, paste alimentari secche fresche, pane, confetture, bevande analcoliche, carni lavorate e comunque preparate, ecc.

� Laboratorio Chimico A.R.P.A. (Agenzia Regionale per la Protezione e l’Ambiente) per gli aspetti chimici dei sopra citati alimenti;

� Laboratori specializzati dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale per la Sicilia (I.Z.S.) per tutto quanto attiene agli alimenti di “origine animale” – carni e frattaglie commestibili, volatili da cortile, carni, pesce, latte, burro, formaggi, miele, uova, crostacei, molluschi bivalvi, ecc..

I laboratori di cui sopra sono un punto di riferimento tecnico – scientifico per tutti le strutture, pubbliche o private, che si occupano del controllo degli alimenti. Vengono, inoltre, effettuati prelievi di alimenti, di origine animale e non, anche in ottemperanza al “piano nazionale residui” per la ricerca dei residui di metalli pesanti, antibiotici, prodotti fitosanitari e per i controlli sulla radioattività. Le frequenze minime dei controlli sono indicate nel Decreto dell’11 novembre 1998, Assessorato della Sanità della Regione Siciliana “approvazione del programma di controllo ufficiale della Regione Sicilia degli alimenti e delle bevande”, per esempio: nella fase di produzione:

� Prodotti della pasticceria fresca ogni 6 mesi � Produzione di sfarinati e pane ogni 9 mesi � Produzione di olio di semi ogni 12 mesi

nella fase di commercializzazione:

� Mercati generali ogni 6 mesi � Supermercati ogni 6 mesi � Depositi all’ingrosso ogni 6 mesi

nella fase di distribuzione:

� Istituti di ricovero ogni 6mesi � Mense scolastiche ogni 3mesi � Pizzerie ogni 12 mesi

Il criterio di scelta circa la tipologia ed il numero di alimenti da controllare è funzionale ai seguenti aspetti:

� al Decreto dell’11 novembre 1998, Assessorato della Sanità della Regione Siciliana - “approvazione del programma di controllo ufficiale della Regione Sicilia degli alimenti e delle bevande”;

� alle risorse umane Dipartimentali da destinare allo scopo;

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� alla conferenza di servizio annuale delle articolazioni Dipartimentali interessate (Laboratori, Servizio di Igiene, N.O.P.I., ecc.).

Per l’anno 2006, in aggiunta a quanto previsto dal piano di campionamenti previsto dal D.A. 11-11-98 ed alla ricerca di residui di sostanze fitosanitarie, si è, inoltre stabilito di attenzionare i controlli degli esercizi pubblici che nel periodo estivo incrementano significativamente la loro attività, quali gli agriturismo, i centri turistico ricettivi, ed i laboratori di produzione e somministrazione di alimenti. I criteri di scelta, utilizzati dal Dipartimento di Prevenzione Medico, sono stati apprezzati ed elogiati a livello delle autorità regionali, assessorato Turismo, Cooperazione e Lavoro; la Direzione Dipartimentale ha messo a punto un sistema informatizzato per la gestione delle attività di controllo delle attività concernenti il settore dell‘alimentazione nelle sue varie fasi. A parte l’Azienda U.S.L. n. 6, nessuna altra Azienda Sanitaria Siciliana ha adottato un sistema informatizzato per la gestione dei controlli; tant’è che l’assessorato Regionale alla Sanità auspica che l’esperienza maturata dall’A.U.S.L. n. 6 possa essere estesa a tutti i restanti Dipartimenti di Prevenzione Regionali. Nel corso dell’anno 2005 sono stati effettuati i seguenti controlli sugli alimenti:

� 2.521 interventi ispettivi nei confronti di attività alimentari già esistenti; � 884 verifiche nei confronti di nuove attività alimentari; � 1.100 campioni di alimenti di origine animale per la ricerca, in ottemperanza ai

piani nazionali, dei residui di metalli pesanti, antibiotici, ecc.,; � 2.500 alimenti di origine animale; � 3.500 alimenti di origine non animale; � 3.000 campioni di acqua;

Il Laboratorio di Sanità Pubblica dell’A.U.S.L. n. 6, i Laboratori dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale per la Sicilia ed il Laboratorio dell’A.R.P.A., hanno effettuato, sui sopra citati alimenti campionati, numerosi e costanti esami di laboratorio al fine di garantire la salute dei consumatori. Per taluni prodotti alimentari, il controllo ufficiale è disciplinato da norme specifiche; tali prodotti, per lo più d’origine animale, sono:

� latte e derivati del latte; � carni macinate e preparazioni di carne; � carni fresche rosse; � carni fresche di volatili da cortile � prodotti a base di carne; � molluschi bivalvi vivi; � prodotti della pesca; � carni di selvaggina uccisa a caccia; � carni di coniglio e di selvaggina di allevamento; � prodotti d’uovo.

Per tutti gli altri prodotti alimentari, per i quali non esiste al momento una normativa specifica, “l’attività ispettiva mira a verificare che tutte le operazioni di preparazione, manipolazione, trasformazione, movimentazione e trasporto siano effettuate

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correttamente e nel rispetto dei criteri igienico – sanitari seguendo le procedure dell’analisi dei rischi e dell’individuazione dei punti critici” (art. 2, comma 3 del D.P.R. n. 132 del 14 luglio 1995 e dei recenti regolamenti comunitari). Gli esami di laboratorio sono di tipo microbiologico (batteri, miceti, virus, ecc.), chimico (presenza di metalli, fitofarmaci, ecc.), fisico (radioattività) e biomolecolare (presenza O.G.M.) . Inoltre, l’A.U.S.L. n. 6, nel rispetto del D. Lgs. 155/97 ed in modo assolutamente innovativo rispetto alle altre Aziende Sanitarie, ha implementato tutte le procedure utili per l’autocontrollo (H.A.C.C.P.) delle proprie strutture; per realizzare questo progetto, si avvale dell’U.O. Rischio Biologico ed H.A.C.C.P., del Dipartimento di Prevenzione Medico, che ha, fra gli altri compiti, anche quello dell’autocontrollo. L’A.U.S.L. n. 6, per il tramite del Dipartimento di Prevenzione, attua, quindi, una costante attività di tutela della salute del cittadino, ancor prima che consumatore, nella consapevolezza che questo è l’anello finale di un processo che, partendo dalla produzione degli alimenti, arriva fino al consumo degli alimenti stessi.

1.5. Il tema: la politica nutrizionale (a cura del S.I.A.S.10

)

La costruzione normativa del Reg. 178/2002 ha la sua innovazione nella considerazione dell’aspetto nutrizionale nel momento in cui diventa obbligatorio fornire tutte le necessarie informazioni sugli alimenti affinché il consumatore proceda ad un’assunzione consapevole, evitando effetti deleteri o antinutritivi per la propria salute. La necessità di procedere verso una politica nutrizionale che si fondi su una alimentazione consapevole, figlia dell’informazione, prende corpo da una cultura prevalente che, fino all’epoca post-bellica, ha considerato nell’uomo una condizione fisica di sovrappeso indice di salute e prosperità. Analogamente nelle zone agricole spesso l’obesità femminile si è associata a simboli di fertilità ed abbondanza. E’ stato quindi nel lungo periodo storico nel quale le carestie erano frequentissime ed il lavoro fisico rappresentava la condizione essenziale per la sopravvivenza che l’eccesso di grasso corporeo è stato tollerato, addirittura considerato segno di buona salute. Negli ultimi anni però le considerazioni sull’obesità sono mutate, prima negli Stati Uniti, dove oggi il sovrappeso colpisce circa il 70% dell’intera popolazione, poi in Europa, dove durante la Conferenza Internazionale della Nutrizione del 1992, l’Italia insieme ad altri Paesi, ha assunto l’impegno formale di mettere in atto una politica alimentare e nutrizionale. Una politica nutrizionale prevede interventi sulle scelte alimentari della popolazione e sul sistema produttivo per ridurre l’incidenza delle patologie a componente nutrizionale, migliorando la salute e permettendo risparmi non indifferenti sulla spesa sanitaria. In una politica alimentare e nutrizionale, importanza fondamentale riveste l’educazione della popolazione.

10 Dott. Pietro Di Fiore – Presidente nazionale della Società Italiana Alimentazione e Sport (S.I.A.S.)

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Oggi l’obesità rappresenta una malattia ad andamento cronico recidivante, caratterizzata da elevata prevalenza con costante ed allarmante aumento. Essa costituisce un fattore di rischio per l’insorgenza di numerose altre patologie, metaboliche, respiratorie, cardiovascolari, motorie, oncologiche ed epatiche e contribuisce in modo sempre maggiore ad un aumento della morbilità e della mortalità ed all’incremento della spesa economica della Sanità Pubblica. Nel tentativo di capire meglio i meccanismi scatenanti e di mantenimento dello stato di obesità sono stati attuati studi molto approfonditi, con indagini e valutazioni sia di tipo genetico-familiari che ambientali. I risultati ottenuti hanno portato ad ipotizzare un’eziologia di tipo multifattoriale all’interno della quale i fattori di tipo ereditario sembrano detenere il ruolo primario nel determinare una predisposizione (genetica) su cui l’ambiente agirebbe come fattore scatenante (espressione fenotipica). In tale quadro i disturbi del comportamento alimentare in età pediatrica e nella fase adolescenziale, assumono una rilevanza sociale notevole per il loro continuo e rapido aumento, determinando effetti patologici non trascurabili a distanza, nell’età adulta. E’ comunque necessario porre molta attenzione nello scegliere messaggi appropriati che non enfatizzino, in questa fascia d’età, la magrezza per evitare che gli adolescenti, in special modo, ricorrano a pratiche dannose per il controllo del peso o l’insorgenza di disordini alimentari come l’anoressia o la bulimia nervosa, soprattutto nel sesso femminile. Tra le cause note dell’obesità e del sovrappeso c’è un bilancio energetico positivo protratto nel tempo; tale bilancio positivo è determinato da un eccessivo introito calorico (quali-quantitativo) e da un ridotto dispendio energetico. La riduzione marcata e costante dell’attività fisica può, però, da sola rappresentare l’unica causa dell’eccesso ponderale tanto che individui sedentari in sovrappeso trovano estremamente difficile riuscire a dimagrire pur adottando un regime alimentare controllato. Gli elementi chiave per la prevenzione ed il trattamento dell'obesità sono identificati nell'alimentazione corretta, nel ruolo delle famiglie e nell'attività fisica. Campagne informative di larga portata sono ritenute necessarie per aumentare la consapevolezza del problema in tutti i settori della società, compreso quello del personale sanitario, spesso non sufficientemente preparato ad affrontare il problema ed i pazienti sono riluttanti a chiedere assistenza. Secondo le recenti indicazioni dell’Organizzazione Mondiale per la Sanità (OMS), sono stati identificati degli obiettivi fisico-salutari primari per soggetti sani suddivisi in quattro gruppi di età, per le quali viene definito uno specifico programma di attività fisica e di corretta nutrizione. Alcune indagini compiute da altri AA. indicano nei bambini e negli adolescenti una forte recettività dei messaggi pubblicitari specialmente televisivi. La TV, infatti, può influenzare negativamente il peso corporeo facilitando lo stile di vita sedentario, il consumo di alimenti altamente calorici, e comportamenti nutrizionali non corretti. Nei soggetti obesi, una perdita di peso persistente anche solo del 5%, o meglio del 10% del peso corporeo, viene ritenuta sufficiente a migliorare i parametri di rischio

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associati all’obesità; tuttavia, nonostante l’effetto positivo sulla salute e gli incentivi sociali alla riduzione del peso, i tentativi da parte dei pazienti obesi volti al raggiungimento e mantenimento di un calo ponderale mediante restrizioni dietetiche, sono nella maggioranza dei casi fallimentari. In quest’ultimo secolo e con maggiore evidenza negli ultimi 50 anni, l’obesità ha assunto nel mondo occidentale i caratteri e l’importanza di una vera e propria epidemia. In Italia la prevalenza dell’obesità pediatrica è passata dall’1,6% nel 1951 al 12,5% (5,6% in I elementare, 14,1% in IV elementare e 15,8% in II media) nel 1986 e ad una percentuale compresa tra 11% e 20% in età scolare nel 1989-1993. Come negli altri Paesi industrializzati anche in Italia si è assistito, quindi, ad un notevole incremento del numero di bambini obesi.

1.5.1. Il Caso studio: Prevalenza di obesità e soprappeso in bambini delle scuole elementari di Comuni appartenenti a tre diverse aree geografiche della Provincia di Palermo

11 (a cura del S.I.A.S.

12)

La definizione di sovrappeso/obesità nel bambino è più complessa rispetto all'adulto, il cui peso ideale è calcolato in base al BMI (Body Mass Index o Indice di Massa Corporea); in attesa di trovare dei parametri di riferimento più adeguati, il BMI è stato proposto anche per i più piccoli applicando tabelle di correzione che tengono conto del sesso e dell'età (range 2-18 anni); una volta applicata la correzione si definisce:

Sovrappeso: un BMI fra 25 e 30

Obesità di II grado: un BMI fra 30 e 40

Obesità di III grado: un BMI maggiore di 40

in alternativa, sapendo che la crescita dei bambini si valuta facendo riferimento alle tabelle dei percentili, grafici che riuniscono i valori percentuali di peso e altezza dei bambini, distinti per sesso ed età, si può definire:

in sovrappeso: un bambino il cui peso supera il 10-20% quello ideale riferito all'altezza

obeso: un bambino il cui peso supera di più del 20% quello ideale riferito all'altezza

Per valutare la prevalenza dell’obesità e le abitudini alimentari nella provincia di Palermo (Sicilia), presso il Centro per la Prevenzione e Cura dell’Obesità della AUSL n° 6 di Palermo è stata eseguita un’indagine nel periodo marzo - maggio 2005 tra gli alunni delle scuole elementari di tre Comuni della Provincia, collocati in aree diverse: Palermo (città), Giardinello (zona marina), Collesano (zona montana).

11 A. Vutera, M. C. Pollara, S. Sgrò, S. Lucchese e P. Di Fiore 12

Dott. Pietro Di Fiore – Presidente nazionale della Società Italiana Alimentazione e Sport (S.I.A.S.)

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Il personale del centro, rappresentato da medici e dietisti ha misurato, un campione casuale, con una bilancia tarata prima dell’inizio dello studio ed un altimetro, il peso e l’altezza dei ragazzi. Il data-entry e l’analisi dei dati sono stati realizzati utilizzando il programma Nut-Stat di Epiinfo 2000 confrontando le misure del peso, dell’altezza, e calcolando il BMI (Indice di Massa Corporea) con la seguente formula:

BMI= peso (Kg)/Altezza 2(m2) dei bambini. Sono stati calcolati i percentili del peso, altezza, BMI e le Deviazioni Standard dalla media con le tabelle di riferimento sesso specifiche del CDC (2000). E’ stato scelto, quale parametro di valutazione del sovrappeso il percentile del BMI per età perché costituisce l’indice più attendibile per calcolare l’eccesso di peso corporeo e il metodo diagnostico antropometrico più utilizzato per la verifica dell’andamento dell’obesità a lungo termine. Per la valutazione dei soggetti sono stati utilizzati i seguenti cut-off:

1. percentile del BMI minore di 5 = soggetti sottopeso; 2. percentile del BMI compreso tra 5 e 85 = soggetti normopeso 3. percentile del BMI compreso tra 86 e 94,9 = soggetti a rischio di sovrappeso 4. percentile del BMI maggiore o uguale a 95 = soggetti obesi E’ stato anche chiesto al campione esaminato la frequenza con la quale svolgevano regolare attività fisica (non valutata quella fatta a scuola), ed alcuni dati riferiti alle abitudini alimentari. Le età variavano da 6 a 12 anni, con una mediana di 11 anni; i maschi erano 262 e le femmine 255. Risultati dell’indagine Mediamente il 29.2% di tutti i ragazzi era in sovrappeso, e il 10.49% era obeso. I livelli differivano tra i tre Comuni, variando da un minimo del 27% a un massimo del 32% per il sovrappeso e dal 8.4% al 12.57% per l’obesità. Non c’erano importanti differenze tra i sessi, né per i sovrappeso (27% nei maschi e 26% nelle femmine) né per gli obesi (rispettivamente 11% e 10%). Il sovrappeso e l’obesità erano leggermente più elevati tra i ragazzi di 9-10 anni rispetto a quelli di 11-12 anni, rispettivamente 27% contro il 24% e 12% contro 10% per l’obesità. A 12 anni, il 28% dei ragazzi e il 23% delle ragazze erano sovrappeso; il 10% dei ragazzi e il 11% delle ragazze erano obesi. Nessuna di queste differenze era statisticamente significativa. La seguente figura mostra i dati riferiti ai tre Comuni studiati

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8,4 10,512,57

2728,6

32

43,5

22,9

36,57

20,7

38,1

20

0

5

10

15

20

25

30

35

40

45

Obesi Sovrap. Normop. Sottop.

PERCENTUALE DI ALUNNI su un totale 517 (m=262 / f=255)

Collesano

Giardinello

Palermo

Un dato che è stato evidenziato è quello di una notevole incidenza del sottopeso, (5º- 25º percentile); il 26% dei ragazzi valutati ricadeva entro tale range con un minimo di 20% a Palermo città ed un massimo del 38.1% nel Comune di Giardinello Tra i ragazzi obesi, l’abitudine di saltare la prima colazione, era più frequente rispetto ai normopeso come pure l’abitudine di non consumare la merenda di pomeriggio (24% contro il 10%. La relazione tra sovrappeso-obesità e comportamento alimentare differiva tra i sessi: per esempio, le ragazze obese saltavano la prima colazione più frequentemente di quelle normopeso. Per quanto riguarda l’attività fisica extrascolastica il 77.3% dei maschi ha dichiarato di farla regolarmente contro il 56.6% delle femmine, mentre il 52% dei maschi ed il 40.7% del totale delle femmine svolge una vita particolarmente sedentaria Considerazioni finali Negli anni ’60 alcuni studi longitudinali avevano mostrato gli effetti benefici per la salute della dieta tradizionale italiana, composta prevalentemente da cibi preparati con farina, olio d’oliva, verdure e legumi, frutta e con ridotto contenuto di carne, la cosiddetta dieta mediterranea. Ma, dagli anni ’60, lo stile di vita degli italiani si è modificato e sono cambiate anche le abitudini alimentari. Aumentano le possibilità che il pasto tradizionale sia sostituito da sandwich e snack che hanno un elevato potere calorico, ma minore valore nutrizionale. Inoltre, con l’aumentare di giochi ed attività ricreative sedentarie, l’attività fisica tra i bambini e gli adolescenti è diminuita. Entrambi questi fattori potrebbero concorrere all’aumento dei livelli di obesità

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Il rischio relativo per un bambino obeso di diventare un adulto obeso aumenta con l’età. Circa il 40% dei bambini obesi è destinato ad essere obeso in età adulta, ma la percentuale sale al 70% per gli adolescenti obesi. Rispetto al bambino normopeso, il bambino obeso ha un rischio doppio di divenire un adulto obeso. L’obesità ha un’eziologia multifattoriale. Su di una predisposizione genetica vanno ad agire fattori metabolici, nutrizionali, comportamentali ed ambientali. Le ricerche hanno confermato l’estrema importanza della predisposizione genetica che è in grado di condizionare la deposizione del tessuto adiposo. Gli studi clinici hanno dimostrato che il grado d’ereditarietà è stimabile intorno al 30-50% tra BMI di genitori e figli. Il ruolo prevalente dei fattori genetici rispetto a quelli ambientali è confermato dagli studi effettuati su bambini adottati che risultano avere una più elevata associazione con il peso dei genitori biologici rispetto a quelli adottivi. I fattori ambientali coinvolti nello sviluppo d’obesità possono così essere sintetizzati: – regione geografica: sud > nord; – densità di popolazione: città > campagna; – livello socio-economico inversamente proporzionale alla prevalenza d’obesità; – stato nutrizionale nei primi mesi di vita: il basso peso neonatale è correlato

statisticamente a sviluppo d’obesità; – abitudini di vita e d’alimentazione dei familiari: genitori sedentari e che seguono

un’alimentazione con elevato apporto calorico più facilmente avranno figli pigri e obesi;

– scarsa disponibilità dei genitori a favorire una vita attiva e la pratica sportiva; – solitudine dei bambini che trascorrono molte ore in casa soli. Il determinismo familiare e culturale dell’obesità è importante. Nell’ambito familiare è stato descritto il comportamento eccessivamente da nutrice delle madri, che rispondono a qualsiasi manifestazione del loro bambino con un apporto alimentare; ciò perturberebbe la sensazione di fame del bambino e qualsiasi successiva tensione o ansia scatenerebbe un bisogno di assorbire qualcosa. Il ruolo sicuramente rilevante dell’alimentazione nello sviluppo dell’obesità è documentato dalla già citata prevalenza di questa patologia sempre più elevata nei Paesi in cui si ha maggiore disponibilità d’alimenti ed abitudini di vita sempre più sedentarie. Caratteristiche dell’alimentazione del bambino obeso sono: – un eccessivo intake di calorie rispetto ai LARN; – il 60% dei bambini obesi non effettua la prima colazione; – i bambini obesi che effettuano la prima colazione assumono in tale pasto un

apporto calorico inferiore a quello dei normopeso; – tendenza ad assumere alimenti preferibilmente nel pomeriggio e alla sera e

spesso non in occasione dei pasti principali; – scarso apporto di carboidrati a lento assorbimento, proteine e lipidi di origine

vegetale, fibre, verdura e frutta;

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– elevato apporto di zuccheri a rapido assorbimento, proteine e lipidi d’origine animale.

Un dato importante è la differenza dei risultati emersi nei tre Comuni; ciò potrebbe essere attribuito alle differenti abitudini alimentari delle popolazioni che risiedono in un grande centro urbano (Palermo città) rispetto ai bambini che abitano in piccoli Paesi dell’interland cittadino. La differenza appare ancor più evidente quando si mettono a confronto i risultati ottenuti presso una comunità tipicamente montana (Collesano) rispetto ad un’altra area geografica nei pressi della costa (Giardinello). Malgrado le distanze e le abitudini alimentari non siano particolarmente diverse, probabilmente l’utilizzo di alimenti tipici della zona geografica montana (formaggi, salumi, carni) rispetto a quelli della zona marina (pesci, pasta, frutta) interagiscono con l’incremento o meno dell sovrappeso e dell’obesità Conclusioni Valutati i dati in letteratura e quelli emersi dalla ricerca, che meriterebbe un raffronto con altri dati rilevati in zone geografiche non appartenenti alla Sicilia, appare evidente che un intervento di prevenzione e di educazione alimentare è tanto più efficace quanto più precoce. Molte pubblicazioni documentano l’importanza della dieta, dell’attività fisica e delle modificazioni comportamentali come componenti della gestione dell’obesità. Molti differenti approcci dietetici riducono efficacemente l’apporto calorico e migliorano il comportamento alimentare. L’aumento d’attività fisica migliora la possibilità di controllo del peso a lungo termine. Una dieta bilanciata con calorie ridotte è da considerarsi estremamente efficace. Uno studio con 10 anni di follow-up provò che la dieta congiuntamente all’incoraggiamento ad effettuare una salutare attività fisiche era più efficace della dieta con esercizi aerobici o della dieta solamente. E’ meglio incoraggiare il soggetto ad abbandonare una vita sedentaria promuovendo una blanda ma costante attività fisica che proporre sports o palestre Per esempio incoraggiare i bambini a guardare meno televisione è più efficace che incoraggiarli a partecipare a sports. Studi individuali mostrano che i genitori sono gli agenti di cambiamento più efficienti dei bambini; trattare i genitori e i bambini insieme può essere più efficace che trattare i bambini da soli. Questa evidenza indica che dovrebbe essere posta enfasi nell’individualizzare il trattamento comportamentale dell’obesità. Perfino i genitori che sono degli obesi intrattabili hanno un ruolo importante nel fornire supporto ai bambini con più di 8 anni. Alcune strategie di trattamento sembrano funzionare, ma non c’è chiara dimostrazione di efficacia. Gli effetti osservati sulla perdita di peso e di grasso sono modesti, suggerendo che il sovrappeso e l’obesità sono resistenti al trattamento, in parte perché per essere efficaci, gli interventi devono essere complessi, in parte perché tali interventi non alterano il contesto dell’ambiente del bambino esterno alla famiglia. I fattori ambientali, psicologici e sociodemografici tendono ad essere ignorati.

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Una recente revisione di un comitato di esperti sui modi di prevenire o trattare l’obesità infantile, oltre a quanto più volte già detto, fornisce un quadro informativo da usare nella terapia familiare e per migliorare l’abilità dei genitori nella gestione dell’obesità. Le sue raccomandazioni generali consigliano: - i medici devono sapere che l’obesità può essere endogena (genetica od endocrina)

e devono essere consapevoli delle sue complicazioni nei bambini; - lo scopo primario del trattamento è una sana alimentazione ed è necessario

spingere verso salutari abitudini d’attività fisica; - i genitori che ritengono che l’obesità è ineluttabile o non sono pronti a fare

cambiamenti nella famiglia possono avere bisogno di counselling per migliorare la capacità di cooperare:

- il trattamento del sovrappeso e dell’obesità dovrebbero cominciare precocemente e coinvolgere la famiglia;

- l’impegno dovrebbe essere per piccoli ma crescenti cambiamenti nei comportamenti, con riconoscimento della necessità di crescente supporto per le famiglie.

Interventi sulla scuola per la prevenzione ed il trattamento dell'obesità mediante la formazione dei docenti Un discorso a parte merita il ruolo della scuola dell’obbligo nella prevenzione di comportamenti alimentari scorretti o dannosi (bulimia e anoressi). Il corpo insegnante è in contatto quotidiano con gli alunni per almeno 11 anni, ed un servizio sanitario scolastico dovrebbe essere nelle condizioni più favorevoli per identificare i bambini sovrappeso precocemente, e per svolgere una prevenzione sullo sviluppo dell'obesità; ciò non sempre si verifica, l’esperienza dimostra come un intervento di screening se non seguito da un progetto di educazione alimentare, risulta privo di efficacia. La scuola dovrebbe fornire un ambiente sicuro, i pasti scolastici dovrebbero costituire un percorso di educazione alimentare, l’attività fisica dovrebbe essere supervisionata da uno staff preparato. Gli interventi basati sulla scuola integrati nelle normali attività di promozione della salute sono però promettenti poiché svolti spesso a macchia di leopardo e senza una adeguata preparazione del personale docente. Al riguardo nell’ambito del presente progetto viene messo in cantiere un seminario di formazione per docenti con metodologie didattiche di tipo interattivo con ampio spazio per l’apprendimento attraverso l’identificazione e la soluzione dei problemi. Il sistema di valutazione principale del seminario è basato sui risultati dei questionari d’ingresso e finale. Questo ultimo in particolare, è proposto alla fine delle giornate di lavoro e tende a raccogliere i giudizi sulla lezione nel suo complesso, sull’applicabilità dei contenuti della stessa, valutando le conoscenze acquisite durante la giornata di lavoro. Il Corso è indirizzato ai docenti delle scuole medie superiori della Provincia di Palermo e, alla fine del Corso, sarà rilasciato un attestato di frequenza con valutazione finale, a

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cura dell’Amministrazione provinciale congiuntamente con la struttura che ha realizzato il Corso.

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2. I PRODOTTI ORTO-FRUTTICOLI (a cura di Giuseppe Greco)

Tale categoria merceologica è piuttosto diversificata comprendendo vegetali che non hanno una struttura biologica comune ma derivano da parti diverse di molte piante. Gli ortaggi si possono suddividere in tre categorie a seconda se si utilizzano: 1. la parte sotterranea: tuberi, radici, bulbi. Vi rientrano le patate (tuberi); le carote, le

rape, il ravanello (radici); l’aglio, la cipolla, il porro (bulbi); 2. le foglie, il fiore, il fusto. Vi appartengono l’indivia, la lattuga, gli spinaci, il radicchio

(foglie); il cavolfiore, il carciofo, il broccolo (fiore); il sedano, l’asparago (fusto); 3. i frutti. Ne fanno parte i pomodori, le melanzane, le zucchine (frutti) e la frutta

propriamente detta che si classifica in tre gruppi principali: polposa, oleosa, amilacea e farinosa. La frutta polposa può essere acidula come l’albicocca, la pesca, la fragola, la mela, il mandarino, l’arancio, il pompelmo, l’uva, oppure zuccherina come la banana, il fico, il fico d’India, il kaki, il melone, la pera. La frutta oleosa comprende: mandorle, nocciole, pinoli e arachidi. Quella amilacea e farinosa è costituita dalla castagna.

2.1. Accortezze nell’acquisto e nella conservazione (a cura di Giuseppe Greco)

La frutta, a temperatura ambiente, tende a completare la maturazione; normalmente è, però, necessario riporre la frutta in frigorifero per evitare che, invece di maturare, si deteriori per il notevole contenuto in acqua. Un altro metodo di conservazione molto diffuso è la trasformazione della frutta in marmellate, gelatine o sciroppi, che permette di gustarle anche fuori stagione. È opportuno ricordare che la frutta è un alimento che va consumato fresco, va quindi acquistato poco per volta, a piccole quantità, senza fare "scorte", per evitarne il deterioramento e la perdita di freschezza. ARANCE: La polpa secca indica che sono state conservate troppo a lungo; la polpa

acida è segno di una maturazione del frutto non avvenuta in modo naturale. In un luogo fresco, si mantengono una settimana. E’ importante acquistarle con una porzione di rametto ,munito di foglie, saldamente attaccato alla rosetta.

KIWI: Se si acquista acerbo, è necessario lasciarlo in frigorifero chiuso in un sacchetto, meglio se con un altro frutto. Quando è troppo maturo, il sapore è pessimo.

MANDARINI: Si caratterizza per il profumo. Si conserva a temperatura ambiente per 2-3 giorni; se intendete conservarlo di più, mettetelo in un luogo fresco. Anche per questo frutto segno di freschezza è la presenza sul frutto del rametto.

POMPELMO: Trattasi di prodotto d'importazione lungamente serbevole e facilmente reperibile durante l'anno, anche nella variante rosata.

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ANANAS: All’acquisto si presenta morbido, ma non molle, e profumato se maturo, va conservato fino a 6 giorni in frigo. Se acerbo bisogna tenerlo a temperatura ambiente per 2 settimane circa.

BANANE: La conservazione in frigorifero rallenta la maturazione, perché non diventino scure, una volta sbucciate, vanno bagnate con succo di agrumi.

LIMONI: La raccolta dei limoni avviene 2 volte l’anno in aprile e tra giugno e agosto. Si trovano però nei mercati praticamente tutto l’anno.

MELE: La mela è un frutto molto conservabile, di conseguenza, anche se il periodo delle raccolte è da settembre a marzo si può consumare per tutto l’anno. Se si ammacca si deteriora velocemente.

Relativamente agli ortaggi, al momento dell’acquisto bisogna tener conto: � della freschezza: si devono presentare sodi, con superficie compatta e liscia,

con foglie aderenti e colori vivaci. � della misura: non acquistare ortaggi troppo grandi perché potrebbero risultare

fibrosi e duri né troppo piccoli perché immaturi; � dello scarto: in questi prodotti esiste sempre una certa quantità di scarto; tener

conto di questo; � del peso: è sempre consigliabile comprare a peso piuttosto che a misura ed è

preferibile comprare ortaggi di stagione che costano meno e sono più ricchi di sostanze nutritive e di sapore.

La verdura (eccetto patate, carote, cipolle e aglio che non si tengono in frigo) si conserva a 5-8° C. È bene toglierla dalla confezione (l’involucro di pellicola favorisce la formazione di nitriti dannosi per la salute), lavarla, asciugarla, e lasciarla "respirare" in sacchetti di pellicola microforati. Quelle a foglia (ad es. spinaci ed insalate) si devono consumare entro 2-3 giorni. In ogni caso è mangiare le verdure entro 3-6 giorni. ASPARAGI: Si consiglia di consumarli entro 2/3 giorni dall'acquisto. Per conservarli,

immergerli in abbondante acqua e cambiarla due tre volte al giorno. BROCCOLI: Si possono conservare appesi a testa in giù in un luogo fresco o in

frigorifero per alcuni giorni. In alternativa, li potete congelare lessati. CARCIOFI: Questo ortaggio, quando viene cotto, va consumato entro breve tempo,

mentre crudo può essere conservato in frigorifero per 4/5 giorni. CAVOLFIORI: Il cavolfiore, molto compatto nella parte commestibile, si conserva

bene in frigorifero, fino a cinque giorni, senza macchie scure. CIPOLLOTTI: Vanno conservati in un luogo areato, asciutto e buio, disponendo i

bulbi in uno strato sottile oppure in mazzetti utilizzando della rafia. FINOCCHIO: Metteteli in sacchetti con piccoli fori senza le costole verdi più grosse: in

questo modo si conservano al fresco per una decina di giorni. Potete anche surgelarli, dopo averli sbollentati.

LATTUGA: Brasiliana (o iceberg), romana, riccia, da taglio, riccia, gentile, rossa, a cappuccio: le varietà sono moltissime. Si conservano in frigo per non più di 2 giorni, già pulita, lavata e asciugata.

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RADICCHIO: Chiuso in un sacchetto di plastica o avvolto in un telo da cucina, può essere conservato in frigo anche per una settimana.

SPINACI: Si conservano in frigo per 2-3 giorni chiusi in sacchetti di plastica, se già lavati ed asciugati. Si possono surgelare già lessati e strizzati.

Con riferimento alle conserve ed in particolare a quelle di pomodoro, i pelati e le passate sono da poco regolate da una legge: devono essere ricavati da pomodoro fresco, le polpe di pomodoro sono ancora orfane di legge e possono essere ottenute da materia prima congelata. Questi ultimi, pertanto, possono essere fabbricati senza criteri di qualità, purché rispettino la legislazione generale in materia alimentare. Relativamente alla polpa di pomodoro le etichette non offrono indizi al consumatore, poiché non dichiarano neanche il residuo secco, L’indizio per vedere se è stata usata polpa congelata, nonostante le dichiarazioni di “pomodoro fresco” in etichetta che è stata ottenuta da pomodoro fresco e non c'è motivo per non crederci. L'indizio è costituito dal lotto di produzione, che generalmente sta sul coperchio o sul fondo. Per il 2005 è formato dalla lettera "D" (a volte preceduta da L=lotto) seguita da un numero compreso fra 1 e 365, che indica il giorno dell'anno in cui la polpa è stata prodotta. Per esempio, "D 225" o "LD 225" significa innanzi tutto che è del 2005 (se ci fosse la lettera "B" sarebbe del 2004) e poi che è stata prodotta il duecentoventicinquesimo giorno dell'anno, ovvero il 13 agosto, quando è piena stagione di raccolta dei pomodori da sugo, quindi è presumibile che non si tratti di materia prima congelata. Dopo il numero potrebbe esserci un'altra lettera, ma non va presa in considerazione. Nella passata di pomodoro dovrà essere indicata in etichetta la zona effettiva di coltivazione del pomodoro fresco utilizzato, ovvero la Regione oppure lo Stato. E' quanto ha stabilito un decreto del ministero delle Politiche Agricole, in attuazione di una precedente legge (n. 204/2004). Sanzione pecuniarie sono previste per le ditte che chiameranno in etichetta "passata di pomodoro" il prodotto non ottenuto da pomodoro fresco. Prima la passata poteva essere fabbricata diluendo semplicemente il concentrato di pomodoro (per di più di dubbia provenienza) con l'acqua. Un vero e proprio inganno per il consumatore, che generalmente identificava la passata di pomodoro con la "pummarola" fatta anticamente usando il setaccio. Nel 2001 il ministero delle Attività Produttive aveva emanato una circolare con la quale imponeva ai produttori di riportare in etichetta la dicitura "passata di pomodoro ottenuta da concentrato", se ricavata da acqua e concentrato. C'è un altro concreto indizio per capire se la passata è stata ricavata da pomodoro fresco. Un altro indizio di qualità è il colore, che è dato soltanto dal pomodoro, non essendo ammessi i coloranti: un bel rosso vivo sta a indicare che sono stati impiegati pomodori adatti e lavorati a un giusto grado di maturazione; inoltre, significa che i pomodori sono stati "rotti" con un trattamento termico "dolce" (cold break) e non "brutale" (hot break). Quest'ultimo può conferire alla passata un sapore di "cotto" che copre quello proprio del pomodoro, oltre a un colore tendente più al rosso scuro che al rosso vivo. Dal trattamento termico spinto, a volte applicato per coprire difetti della materia prima,

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discende anche un altro indizio negativo che, grosso modo, è visibile a occhio nudo quando si versa un po' di passata su un piatto e si osserva l'eventuale formazione intorno alla stessa di un alone di liquido giallino (il siero del pomodoro), un po' come la chiara intorno al tuorlo d'uovo: un trattamento termico "brutale" impedisce la separazione del siero dalla polpa, ma se la fuoriuscita del liquido fosse vistosa, da positivo l'indizio volgerebbe verso il negativo perché non deporrebbe a favore della "corposità" o densità del prodotto. Questa corposità o consistenza della passata può essere misurata in laboratorio con la determinazione del "residuo secco", che è la vera e propria parte solida che rimane una volta evaporata tutta l'acqua organica contenuta nel pomodoro. Il consumatore non è certamente in grado di fare un'analisi di laboratorio, ma a volte il residuo secco è indicato in etichetta, anche se non è obbligatorio: più il valore supera il 7 per cento e più la passata è da considerare buona. In ogni caso, la consistenza è grosso modo visibile anche ad occhio. Infine, all'assaggio a crudo il prodotto non deve risultare troppo acido: significherebbe che sono stati impiegati pomodori poco maturi, tanto è vero che ad un'acidità elevata corrisponde quasi sempre un colore imperfetto. Viceversa, un'acidità tenue indica il grado di maturazione, ovvero che i frutti impiegati sono a maturazione ottimale.

2.2. Uso culinario

I nutrienti più importanti di questi alimenti sono le vitamine, i sali minerali e la fibra mentre i minerali sono meno biodisponibili e, come le vitamine, possono perdersi durante il lavaggio e/o la cottura. Pertanto quando è possibile meglio consumarli crudi o cotti a vapore. E’ consigliabile cucinare le verdure e gli ortaggi nel modo più semplice possibile per godere al meglio delle proprietà nutritive, e quindi lessate, al vapore, al forno (ad esempio i peperoni grigliati al forno), in padella con brodo vegetale e/o latte. Si possono insaporire con spezie ed aromi a piacere e poi non si possono dimenticare le insalate, che spesso rappresentano solo un leggero contorno ma in molte occasioni sono talmente ricche da rappresentare un pasto completo. E’ sempre bene: far passare il minor tempo possibile dall’acquisto di un ortaggio al suo consumo; utilizzare tutte le foglie verdi cuocere in poca acqua a pentola coperta; utilizzare il brodo di cottura per preparare minestre, salse, bevande rinfrescanti; servire appena cotto e non conservare a lungo. La frutta può essere mangiata in qualunque momento ed a qualsiasi età; la si può mangiare tra un pasto e l’atro come spuntino, al naturale, oppure a fine pasto magari mischiando in una colorata e genuina macedonia; è un ottimo ingrediente per torte e crostate; arricchisce creme e yogurt ma è sempre più attuale l’accostamento della frutta a piatti “ forti” a base di carne o pesce in un connubio dal sapore agrodolce.

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2.3. I prodotti orto-frutticoli di qualità della Provincia di Palermo (a cura di Giuseppe Greco)

Il movimento orto-frutticolo della Provincia di Palermo può contare su circa Ha 11.000 dei quali il 41% investito ad agrumi che insistono su tutta la fascia costiera, il 34% a fruttiferi (Ha 3.800) per lo più diffusi nel comprensorio Alto-Belice Corleonese ed il 25% ad ortive di pieno campo (Ha 2.800) che si estendono nei distretti dell’Alto Belice Corleonese e della Costiera orientale termitana. Le seguenti produzioni di qualità rappresentano, in termini di estensione, l’81% di queste superfici.

2.3.1. Melone d’inverno (a cura di Antonino Bacarella e Salvatore Tudisca)

Cenni storici (a cura di Antonino Bacarella e Salvatore Tudisca) L’origine della specie Cucumis melo (melone) non è ancora accertata, la tesi più probabile è che sia originario dell’Africa, arrivata nel Mediterraneo dopo un lungo cammino attraverso India, Cina e Medio Oriente. Il melone è specie ricca di forme coltivate ed è caratterizzata da una grande variabilità morfologica che si riscontra anche tra le cultivar. Come attestano alcuni dipinti rinvenuti ad Ercolano e come scrive Plinio l’arrivo del melone in Italia risale almeno all’inizio dell’era cristiana; tuttavia è poco conosciuto fino al 1800, nonostante nel XVI secolo i francesi coltivavano già una varietà napoletana ed una laziale (il cantalupo), importate da Carlo VIII nel 1495. Solamente all’inizio del secolo trascorso, per effetto dell’opera di selezione e miglioramento genetico da parte degli agricoltori nelle diverse parti di Italia e nel meridione in particolare, il melone assume le sue peculiari caratteristiche che lo annoverano tra le più importanti colture frutticole. La coltivazione del melone d’inverno nelle aziende a seminativo nelle diverse aree interne siciliane si effettua da tempo immemorabile per consumo familiare o al più locale e pertanto su superfici modeste. Nelle case degli agricoltori i meloni si sistemavano nelle terrazze o nei balconi e progressivamente consumati fino ad inverno inoltrato. Solamente negli anni ’70 del secolo trascorso, correlativamente all’aumento della richiesta locale e dei principali mercati regionali, nonché della domanda al consumo di altre regioni d’Italia, anche meridionali, la coltivazione del melone si diffonde dapprima nel trapanese, partendo da Paceco, sua area d’origine, e successivamente anche nelle altre province limitrofe. L’espansione areale era spinta anche dalla richiesta di terreni a seminativo in affitto annuale da parte dei melonicoltori, dato che la coltivazione per stanchezza del terreno non può tornare sulla stessa superficie se non dopo 3-4 anni. Il fenomeno si è manifestato anche nella provincia di Palermo, cominciando dalla zona più tradizionale della sua coltivazione locale, la valle dello Jato, confinante con il

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territorio di Alcamo, ed ampliandosi successivamente nelle altre aree orientali dell’interno a seminativo, dove la coltura interessava piccole superfici sparse nei diversi territori comunali. Struttura della produzione provinciale (a cura di Antonino Bacarella e Salvatore Tudisca) Il melone è una specie che necessita per il suo accrescimento e sviluppo produttivo di temperature elevate; per questo motivo trova allocazione nel meridione e particolare diffusione in Sicilia. I meloni coltivati in Sicilia appartengono alle tre varietà indicate dal Fiori: cantalupo e reticulatus o melone retato (ambedue meloni estivi), maltensis o meloni d’inverno. L’area di coltivazione è la Sicilia occidentale con le province nell’ordine d’importanza: Trapani, Agrigento e Palermo. In Provincia di Palermo, il melone d'inverno si coltiva nelle aree con terreni tendenzialmente argillosi della collina camporealese. Essendo una sarchiata coltivata in asciutto (oggi può avvalersi di irrigazione di soccorso) si trova nell’ampia area del seminativo nelle zone dell’entroterra ed entra in rotazione con il grano, tornando sullo stesso terreno non prima di tre-quattro anni. La semina del melone avviene nei mesi primaverili con raccolta nei mesi estivo-autunnali.

Tra i meloni vernini in Sicilia le cultivar più note e diffuse sono: il Giallo di Paceco (localmente meglio conosciuto come Cartucciaro) e il verde Porceddu. Il Giallo di Paceco o Cartucciaro ha un frutto (bacca – peponide) a forma ovoidale allungata, buccia (epicarpo) gialla e liscia, polpa (endocarpo) gradevolmente zuccherina e acquosa di colore giallo chiaro. Il Porceddu ha un frutto ovoidale, buccia verde rugosa, polpa di colore verde chiaro paglierino, serbevole. I frutti del melone vernino sono idonei alla conservazione anche per diversi mesi, in special modo se coltivati in asciutto in pieno campo. La serbevolezza del melone con la conservazione diventa più gradevole. Entrambi hanno polpa bianca e succosa e diventano più dolci con il passare del tempo: sono ottimi fino a Natale. Delle due varietà nelle diverse zone di coltivazione esistono numerosi ecotipi locali, quali il Porceddu d’Alcamo, il Giallo di Trapani, il Giallo di Fulgatore, il Giallo liscio di Partinico (nel palermitano), il Palermitano (frutto ovoidale di piccola pezzatura, buccia liscia a fondo chiaro, con fitta punteggiatura di colore verde intenso, polpa di colore bianco paglierino, serbevole). La tecnica colturale prevede la preparazione del terreno mediante aratura estiva eseguita alla profondità di circa 25 cm; la concimazione di fondo si esercita nel mese di febbraio precedente la semina e la preparazione del letto di semina si consegue

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mediante numerosi lavori superficiali capaci di amminutare perfettamente le zolle dei terreno. Si semina nei mesi che vanno da marzo ad aprile ed il melone giallo o "cartucciaro" si raccoglie a partire dal mese di giugno. Il sesto d'impianto minimo è di metri 1,50 tra le piante e metri 2,50 tra le file; con il diradamento si lasciano un massimo di 2 piante per buca mentre l'irrigazione potrà essere effettuata fino a quando i frutti non superano i 200 g per non alterare la loro successiva conservabilità. La tecnica della pacciamatura con film plastici trasparenti è effettuata esclusivamente per le colture precoci ed utilizzata soltanto per i meloni gialli, mentre per il tipo verde potrà essere utilizzato il film di plastica nero avendo cura di mantenere i frutti ricoperti dal fogliame per evitare scottature solari della buccia. La difesa fitosanitaria è tendenzialmente di tipo integrata ed orientata al rispetto della entomofauna utile, provvedendo a lasciare lungo il perimetro dei campi tutte le specie erbacee capaci di fornire una fioritura di colore giallo. Nessun trattamento antiparassitario è effettuato in prossimità della raccolta e comunque ogni intervento è sospeso almeno 8 giorni prima dei tempi di carenza previsti per ogni singolo prodotto fitosanitario impiegato. I frutti di melone dovranno essere raccolti a maturazione completa e dovranno presentare la colorazione uniforme caratteristica della varietà. Esso dovrà essere reciso con 2 cm di peduncolo per evitare fenomeni di marcescenza. Oggi la coltivazione nel palermitano viene effettuata su 3.500 ettari di terreno, rappresentando il 32% della superficie regionale; la produzione di meloni assomma a 525.000 quintali (il 31% della produzione regionale) e dà luogo ad un intenso commercio estivo-autunnale con destinazione il mercato regionale ed extraregionale. Marketing (a cura di Antonino Bacarella e Salvatore Tudisca) L’esportazione all’estero riguarda appena 27.000 quintali, all’incirca l’1,5% della produzione regionale. La destinazione d’uso del melone è il consumo come frutta fresca, ma trova impiego in pasticceria, in special modo in gelateria (gelati e granite). Ad iniziativa dei melonicoltori del trapanese è stata avanzata richiesta per il riconoscimento su tutto il territorio siciliano dell’Indicazione Geografica Tipica (IGP) del Melone Invernale. Caratteristiche merceologiche e salutistiche (a cura del Co.R.Bi.A) I meloni gialli devono presentare al campionamento una gradazione rifrattometrica minima di 12 gradi Brix, mentre per le varietà verdi l'indice minimo è di 13 gradi Brix. I frutti destinati alla conservazione devono essere riposti in magazzini areati, in cas-sette per un massimo di due strati di frutti per contenitore, con temperature ambiente comprese tra 14 e 18 °C. Oltre all'elevato contenuto in acqua, che ne esalta il potere dissetante, il melone presenta un'alta percentuale di sali minerali e pro-vitamina A (β-carotene) e vitamina C.

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Composizione chimica e valore energetico *

Acqua 0.4 g

Proteine 1 g

Lipidi 0.5 g

Carboidrati 0.2 g

Zuccheri solubili 4.9 g

Fibra totale 0.7 g

Energia 22 Kcal

Calcio 0.3 mg

Fosforo 16 mg

Tiamina 0.01 mg

Riboflavina 0.02 mg

Niacina 0.5 mg

Vitamina A 5 mcg

Vitamina C 12 mg

Ferro 21 mg

*Dati dell’Istituto della Nutrizione riferiti a 100 g di prodotto

2.3.2. Mandarino (a cura di Antonino Bacarella e Salvatore Tudisca)

Cenni storici (a cura di Antonino Bacarella e Salvatore Tudisca) L’area di origine del mandarino comune (citrus deliciosa, Tenore) non è sicuramente accertata, anche se da varie testimonianze letterarie viene collocata nella Cina meridionale ed in Indocina. Le prime memorie cinesi sul mandarino risalgono al 2205 a.C. nel tempo dell’imperatore Ta Tu (2205-2197 a.C.). Notizie più dettagliate risalgono alla dinastia degli Han, che governò la Cina nel lungo periodo compreso tra il 202 a.C. ed il 220 d.C.. In quest’epoca, i tributi all’imperatore venivano riscossi anche in Kan, che indicava appunto il mandarino, e probabilmente anche l’arancio ed altri agrumi. L’importanza della coltivazione del mandarino in Cina ebbe la sua massima espressione durante la dinastia Tang (618-907). Il mandarino arriva in Europa, esattamente in Inghilterra, nel 1905 portato da Canton (Cina meridionale) da Sir Habraham Hume. Negli anni immediatamente successivi, passando per Malta, giunge in Sicilia, esattamente nel 1810, portato dal Prof. Vincenzo Tineo, a Palermo, che lo pianta come albero ornamentale nell’Orto Botanico. La coltivazione del mandarino comune viene iniziata nel 1860, nel catanese (zona di Paternò, mandarino di Paternò), dove ancora oggi vegetanti si riscontrano alcuni alberi allora impiantati. Ma è nel palermitano (mandarino di Palermo) che la coltivazione si

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diffonde specialmente dopo la prima guerra mondiale (1915-1918), trovando l’habitat più vocato nella Conca d’Oro, la pianura di Palermo circondata dai monti palermitani a sud e prospiciente il mare a nord. Struttura della mandarinicoltura palermitana (a cura di Antonino Bacarella e Salvatore Tudisca) La superficie coltivata a mandarino oggi nella provincia di Palermo si estende per 2.250 ettari, ricadendo essenzialmente nei territori comunali di Palermo, Misilmeri, Villabate, ed è incidente per il 40% sulla superficie coltivata in Sicilia. Il mandarino Tardivo di Ciaculli viene coltivato su una superficie complessiva di 500 ettari, ricadenti nella omonima area periurbana di Palermo, con sconfinamenti nel territorio del limitrofo comune di Villabate. La produzione di mandarini in provincia di Palermo mediamente si aggira attorno a 40.000 tonnellate, rappresentando il 56% della produzione siciliana. La produzione del mandarino Tardivo di Ciaculli assomma mediamente attorno a 8.000 tonnellate. La produzione di mandarini viene realizzata da 2.219 aziende agricole, censite nell’anno 2000. L’area tradizionale di coltivazione del mandarino negli ultimi 30-40 anni si è notevolmente ridotta per l’espansione urbanistica della città di Palermo e per la costruzione di seconde case in campagna. La Conca d’Oro ormai è diventata quasi una mera espressione territoriale. Nell’ultimo decennio anche le borgate di Ciaculli e di Croceverde Giardina sono state raggiunte dall’espansione edilizia; al fine di salvaguardare, tutelare e valorizzare il patrimonio ambientale, genetico, produttivo, di notevole interesse economico, sociale, storico e culturale è stato costituito il Consorzio “Il Tardivo di Ciaculli”, fra i piccoli coltivatori del mandarino Tardivo di Ciaculli, che come Presidio viene seguito dall’Associazione Slow Food. Marketing (a cura di Antonino Bacarella e Salvatore Tudisca) La destinazione della produzione mandarinicola per il 55-60% è destinata al commercio alla stato fresco e per il restante 40-45% all’industria di trasformazione (quasi esclusivamente nella varietà Avana). La destinazione della produzione commercializzata allo stato fresco prevalentemente è il consumo regionale, specialmente della Sicilia occidentale, segue con quantitativi incidenti per il 35-40% della produzione il consumo nazionale, mentre all’estero sono destinati quantitativi modesti e pari all’incirca al 2-3%. Un tempo fiorente era la destinazione industriale delle essenze (olii essenziali) quando pratica normale, specialmente nelle annate di produzione abbondanti (annata di carica), era la raccolta del mandarino verde (in autunno) finalizzata all’aumento della pezzatura dei frutta a maturazione.

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L’impiego del mandarino trova opportunità in cucina (con diverse ricette), in pasticceria (ad es. come frutta candidata nella cassata siciliana), nell’industria dei succhi e liquoristica (es. liquore mandarinetto) ed in quella farmaceutica e profumiera. Proprietà salutistiche (a cura del Co.Ri.Bi.A) Oltre a contenere acido ascorbico (vitamina C), contiene anche flavanoni glicosidici come l’esperidina, narirutina e naringina che posseggono un’ alto potere antiossidante. E’ noto che una dieta ricca di frutta e vegetali protegge da molte patologie, come malattie cardiovascolari e cancro. Molti studi suggeriscono che ciò può essere dovuto all’introito di antiossidanti tipo carotenoidi e vitamina C. Da studi epidemiologici risulta che in popolazioni con alti livelli nella dieta di vitamina C è associato un incidenza minore di cancro. Altri studi epidemiologici suggeriscono un possibile ruolo della vitamina C nella prevenzione delle malattie cardiache. I carotenoidi oltre ad essere responsabili del colore di un grande varietà di cibi, sono importanti dal punto di vista nutrizionale perchè alcuni tra essi hanno attività provitamina A e quindi in un secondo momento vengono trasformati in Vitamina A (Retinolo).

Composizione chimica e valori energetici *

Acqua 81.4 g

Proteine 0.9 g

Lipidi 0.3 g

Carboidrati 17.6 g

Zuccheri solubili 17.6 g

Fibre totali 1.7 g

Energia 72 kcal

Sodio 1 mg

Potassio 210 mg

Ferro 0.3 mg

Calcio 32 mg

Fosforo 19 mg

Tiamina 0.08 mg

Riboflavina 0.07 mg

Niacina 0.30 mg

Vitamina A 18 mcg

Vitamina C 42 mcg

*Dati dell’ Istituto nazionale della Nutrizione per 100 g di prodotto

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2.3.2.1. Il Mandarino Avana (a cura di Antonino Bacarella e Salvatore Tudisca)

Nel 1860 la varietà introdotta per la coltivazione è l’Avana, con frutto a maturazione precoce-media, con raccolta da fine novembre a gennaio. Il mandarino "Avana" è noto con vari appellativi a seconda del luogo di coltivazione. Il frutto di mandarino è una bacca composta chiamata esperidio, ha pezzatura medio-piccola (80-120 grammi) e forma globosa oblata (schiacciata ai poli); la buccia (flavedo) è giallo-avana tendente all’arancio intenso, sottile, liscia, finemente punteggiata, poco aderente alla polpa e presenta vistose ghiandole oleifere contenenti oli essenziali; la polpa del frutto (endocarpo) è costituita da 11 segmenti (spicchi), è tenera, con vescichette di media grandezza, succosa e profumata. Il frutto può avere un alto contenuto in semi (20-25), ma una mutazione gemmaria della cultivar Avana è con frutto apireno. Il succo di mandarino è gradevolissimo, particolarmente aromatico, fragrante, dolce ma dissetante grazie all’equilibrio di zuccheri e acidi tipico dei mandarini siciliani.

2.3.2.2. Il Mandarino Tardivo di Ciaculli (a cura di Antonino Bacarella e Salvatore Tudisca)

Il mandarino Tardivo di Ciaculli ha origine da una mutazione gemmaria della cultivar Avana, probabilmente indotta dalle particolari situazioni climatiche ed edafiche della zona di Ciaculli, piccola borgata ricadente nella zona periurbana di Palermo, dove diffusa negli anni anteguerra era la coltivazione dell’Avana. Questa località ha una morfologia quasi ad anfiteatro con il lato aperto che guarda il mare ed alle spalle i monti di Palermo. La scoperta della cultivar si deve, verso la fine degli anni ’40 del secolo appena trascorso, ad alcuni agricoltori, osservando diverse piante di mandarino Avana che portavano in ritardo i frutti a maturazione, nel periodo febbraio – marzo – aprile, quando la produzione dell’Avana era già esaurita. La ragione della sua diffusione, protrattasi fino ad oggi, è proprio dovuta all'epoca di raccolta dei frutti tardiva che avviene quando la produzione di altri mandarini è ormai terminata. L’area di coltivazione fino a circa un ventennio fa si estendeva per circa 800 ettari intorno alla zona di origine, Croceverde Giardina, e si trovava dislocata, terrazzata, alla pendici di Monte Grifone, sino ad un’altitudine di 225 m s.l.m.. L’albero del mandarino Tardivo di Ciaculli è quello tipico della cultivar Avana, ma le foglie si presentano leggermente più grandi e di colore verde più intenso. Il frutto presenta caratteristiche morfologiche e chimiche diverse dell’Avana: gli esperidi si presentano con pezzatura leggermente più piccola (70-90 grammi), forma più schiacciata ai poli, esocarpo più sottile e numero di semi inferiore (4-11 rispetto a 12-20 dell'Avana) o addirittura zero apireni (frutti apireni). Hanno anche contribuito al successo dei Tardivo, le ottime caratteristiche qualitative dei prodotto quali il forte aroma e l'alto contenuto zuccherino dei frutti che mostrano un rapporto estratti solubili/acidità (E/A) superiore a 11 e che può arrivare fino a un valore di 18 (in funzione dell'andamento climatico annuale).

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2.3.3. Limone verdello Conca d’oro (a cura di Antonino Bacarella e Salvatore Tudisca)

Cenni storici (a cura di Antonino Bacarella e Salvatore Tudisca) Il limone (Citrus limonum Risso), come altre specie di citrus, è originario di quella vasta area compresa tra la Cina meridionale, l’Indocina, la penisola di Malacca e la parte orientale della penisola indiana. Ma la sua storia è più recente rispetto a quella del Cedro. Fino a qualche tempo fa infatti si riteneva che fossero stati gli arabi a portarlo, intorno all’anno 1000 in Europa, e dunque anche in Italia, ma una scoperta archeologica nel 1951 a Pompei consentì al Prof. Domenico Casella della Facoltà di Agraria di Portici-Napoli di stabilire che il limone, almeno nel primo secolo d.C. come frutto raro, era conosciuto dai Romani. Tale deduzione derivava dall’osservazione di mosaici e di festoni ornamentali sulle pareti delle case rinvenute negli scavi di Pompei ed Ercolano e soprattutto il rinvenimento nella Casa del frutteto o del giardino di due cubicoli le cui pareti sono interamente dipinti con raffigurazioni di piante fruttifere, fra le quali due alberi di limoni carichi di frutti. Addirittura Casella stabilì, attraverso lo studio dei dipinti murali di Pompei ed Ercolano, che i Romani conoscevano le varietà Femminello ovale comune o Sorrentino, Femminello sfusato o d’Amalfi, Lunario o Palermitano o delle quattro stagioni, mentre attraverso lo studio degli ornamenti del “vaso blu”, rinvenuto in un sepolcro pompeiano, identificò le varietà Peretta e Arancino. L’introduzione del limone in Sicilia, comunque, avviene ad opera degli Arabi nel IX secolo, insieme all’arancio, al pistacchio, al banano, al riso, alla canna da zucchero, al cotone. La coltivazione trova condizioni pedoclimatiche favorevoli, specialmente nelle aree costiere, in particolare nelle zone con disponibilità abbondante di acqua per l’irrigazione. La fascia costiera del palermitano rappresenta un habitat ideale, non solo dal punto di vista pedoclimatico-ambientale, ma soprattutto culturale ed artistico, in quanto Palermo con gli Arabi divenne un importante centro culturale, artistico, architettonico dell’impero islamico. La diffusione della coltivazione avviene in epoca più tarda per l’accadere sostanzialmente di tre importanti avvenimenti, che favoriscono enormemente il commercio del frutto fresco e l’esportazione in casse di legno, del succo (agro cotto e crudo), dell’acido citrico solidificato in cristalli, delle scorze e delle essenze: la scoperta nel XV secolo da parte di navigatori e soprattutto del medico inglese James Lindt che la somministrazione di arance o limoni ai marinai colpiti dallo scorbuto faceva regredire rapidamente e addirittura evitava la malattia, diffusissima nelle navi che per mesi solcavano i mari per commercio o per la ricerca di nuove terre; l’intensificarsi nel 1700-1800 dei traffici commerciali nel Mediterraneo, dove la Sicilia costituisce un crocevia strategico; la scoperta e l’isolamento dell’acido citrico nel 1784, che solidificato in cristalli facilitava enormemente il commercio rispetto al succo (agro cotto e crudo trattato con antifermentativi). Nella provincia di Palermo la coltivazione del limone si diffonde verso la metà del 1800, sostituendo quella dell’arancio. Il principale centro di coltivazione del limone era

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la Conca d’Oro (Palermo, Ficarazzi, Villabate) ed i territori pianeggianti limitrofi di Bagheria, Santa Flavia, Casteldaccia, Misilmeri, Altavilla Milicia, Monreale, Altofonte. Altre zone pianeggianti si hanno ad oriente della Conca d’Oro (Termini Imerese, Lascari, Cefalù, Campofelice di Roccella, Collesano) e ad occidente (Carini, Cinisi, Partinico, Borgetto). La concentrazione della coltivazione nella Conca d’Oro e nei territori pianeggianti limitrofi si deve alla presenze di numerose e cospicue risorse irrigue (acque superficiali dei fiumi Milicia ed Eleuterio nonchè sorgenti, di serbatoio artificiale – bacino di Piana dei Greci, di pozzi sollevati un tempo con norie azionate da animali). Nella Conca d’Oro le proprietà agrumetate di vaste estensione (fino a 67 ettari) erano relativamente frequenti, appartenenti a molte ed antiche case nobiliari che nei “giardini” avevano costruito maestosi palazzi (es. Piana dei Colli a Bagheria) per trascorrervi la villeggiatura. Ma insieme alle grandi proprietà esistevano numerosissimi limoneti di piccola e piccolissima estensione appartenenti a proprietari-contadini, specialmente nella zona orientale e sud-orientale della Conca d’Oro. I proprietari delle aziende limonicole più grandi, dato l’elevato valore della produzione, assumevano di solito uno o più guardiani per tutto l’anno o per alcuni mesi. La tradizione limonicola provinciale è anche legata alla forzatura dei verdelli, tecnica messa a punto nel palermitano che rappresenta la particolarità che lega la produzione al territorio. La pratica, meglio definita più avanti, si esercita da circa 90 anni; la sua scoperta ed il conseguente perfezionamento si deve alle attente osservazioni di alcuni limonicoltori di Bagheria intorno alla prima-seconda decade del secolo scorso. Dopo un’annata fortemente siccitosa, nell’area bagherese, si verificò verso la metà del mese di luglio una abbondante precipitazione piovosa; a differenza di altre specie arboree (vite, olivo) il limone reagì con vigore rigoglioso e con l’emissione di un abbondante zagara bluastra. Questa fioritura eccezionale diede un’abbondante carica di limoncini che maturarono nell’estate successiva. Nel tempo la pratica della forzatura si perfezionò con la concimazione pre-risveglio della vegetazione, tuttavia ci si rese conto che tale tecnica di coltivazione dipendeva strettamente dalla disponibilità di acqua per irrigazione. Questa esigenza portò i limonicoltori bagheresi nel 1927 ad associarsi nel Consorzio Idro Agricolo di Bagheria per regolamentare e realizzare la distribuzione e l’utilizzo delle acque del lago di Piana degli Albanesi. La scoperta della pratica della forzatura negli anni ’30 del secolo trascorso portò alla diffusione dell’impianto del limoneto anche in terreni molto scoscesi, sistemati a terrazze, ed alla ricerca di acqua per irrigazione anche nelle falde freatiche profonde. Le zone verdellifere per eccellenza si hanno nei territori di Bagheria, Ficarazzi, Santa Flavia, Casteldaccia ed Altavilla Milicia, dove la forzatura veniva praticata con turni annuali o biennali. Nel territorio di Palermo si ha nella parte più orientale (contrade S. Maria di Gesù, Falsomiele, Chiavelli, Villagrazia, in quello di Carini nelle contrade Foresta, Chiavaro, Cubolone, Milioti, Serce). La pratica della forzatura nelle altre zone limonicole trova ostacolo nella natura pesante dei terreni.

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La produzione del limone verdello nelle aree citate fino agli anni ’50-’60 del secolo scorso costituiva una considerevole risorsa economica, dovuto ad un fiorente commercio d’esportazione del prodotto. I prezzi dei verdelli erano sempre superiori a quelli del limone invernale di quasi 3 volte. Inoltre la produzione dei verdelli aveva una presenza percentuale di frutti di scarto assai più bassa o addirittura trascurabile rispetto alla incidenza del 30-50% dei limoni invernali. Il prezzo dello scarto (destinato alla industria dei derivati) era all’incirca 1/3, 1/4 del prezzo del limone invernale commerciale. Bagheria e Palermo contavano numerosi magazzini commerciali di prima lavorazione e confezionamento del prodotto fresco e numerose industrie per la produzione di derivati agrumari. Il boom edilizio (compreso il fenomeno della speculazione sulle aree edificabili) degli ultimi decenni ha notevolmente contratto la superficie agrumicola in tutta l’area provinciale; in anni più recenti e nel tempo che viviamo l’espianto dei limoneti è dovuto ai prezzi bassi, insufficienti persino a coprire i costi di produzione. Lo sfavorevole andamento del mercato deriva dalla concorrenza degli altri paesi agrumicoli (Spagna, USA, Brasile), meglio organizzati nella concentrazione dell’offerta e più efficienti nelle modalità commerciali e nella logistica. Struttura della limonicoltura provinciale (a cura di Antonino Bacarella e Salvatore Tudisca) La varietà di limone coltivata in tutta la fascia costiera del palermitano è il Femminello comune, detto anche limone comune, con buone caratteristiche produttive e qualitative, buona plasticità di adattamento e buona attitudine verdellifera. Solo nei terreni di Altofonte e Monreale si riscontra la coltivazione del limone Lunario (Palermitano o delle quattro stagioni) con fioritura quasi continua, anche se non abbondante e dunque con produzione quantitativamente scarsa, ma apprezzata come frutto fresco. La cultivar Femminello è rifiorente: si hanno cinque fioriture all’anno a cui corrispondono cinque fruttificazioni nell’anno successivo alla fioritura: limoni primofiore, invernale, maiolini, verdelli, bastardi. Nell’area palermitana la produzione quantitativamente rilevante è quella invernale con raccolta scalare da novembre ad aprile proveniente dalla fioritura primaverile di marzo-aprile; altra produzione sono i “ricioppi” (maiolini o bianchetti), provenienti dalla fioritura tardiva di maggio-giugno, con raccolta in aprile-maggio, meno pregiata di quella invernale, ed i “verdelli” provenienti dalla fioritura estiva di luglio-agosto con raccolta nell’estate successiva (da luglio a settembre). Di tutte le produzioni la più pregiata è quella dei verdelli perché si ottiene in un periodo di scarsa offerta e di intenso consumo. I limoni verdelli sono spesso riuniti a grappolo e sono caratterizzati da un epicarpo liscio e verde, con succo a bassa acidità, semi assenti o abortiti. La produzione normale di verdelli (fino al 5% circa della produzione annuale di limoni) può essere esaltata in alcuni ambienti pedologici con la tecnica della forzatura estiva fino ad un incidenza di oltre il 25% della produzione annuale di limoni.

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La pratica della forzatura consiste nella sospensione all’inizio dell’estate dell’irrigazione per 2-3 adacquamenti (secca), fino a fare raggiungere alla pianta lo stato di stress, e riprenderla dopo 30-40 giorni, previa adeguata concimazione al terreno, prevalentemente azotata. La pianta, in conseguenza dello stress idrico, è indotta ad una abbondante emissione di germogli e di fiori, per un periodo di 20-30 giorni, dovuta in parte a gemme differenziatesi in precedenza, in parte a gemme indotte a differenziazione morfologica a fiore, quale effetto proprio dello stress idrico. I frutti che ne derivano, chiamati verdelli, giungeranno a maturazione nell’estate successiva. Nonostante avvenimenti strutturali sfavorevoli la limonicoltura palermitana continua a resistere. Attualmente la superficie coltivata, seppur in costante flessione rispetto agli anni ’70-’80, insiste su una estensione di circa 6.000 ettari (il 22% della superficie limonicola regionale), ricadenti nelle aree più tradizionali in precedenza già viste; le aziende limonicole censite nel 2000 assommano a 5.993. La produzione annua complessiva mediamente è di 120.000 tonnellate (il 23% della produzione limonicola siciliana). La produzione di verdelli si aggira intorno a 12-15.000 tonnellate. Marketing (a cura di Antonino Bacarella e Salvatore Tudisca) La destinazione della produzione limonicola palermitana in gran prevalenza è l’industria agrumaria (circa l’80% della produzione totale annuale, costituita essenzialmente dal limone invernale), la parte restante viene commercializzata allo stato fresco essenzialmente sui mercati nazionali e sul mercato regionale (all’incirca nella stessa percentuale) e solo in parte minima sui mercati esteri (appena il 2% della produzione annuale provinciale). L’impiego del limone fresco trova opportunità d’uso in cucina (essenzialmente come condimento), nell’industria dei succhi, in quella farmaceutica, profumiera, dei detersivi, nell’industria liquoristica, in pasticceria. Il limone oggi è un ingrediente indispensabile nella dieta moderna, in special modo il limone verdello, che consente di disporre di prodotto fresco in periodo di scarsa produzione e di elevata domanda, quello estivo. Da parte dei limonicoltori dell’area verdellifera più tradizionale e vocata della Conca d’Oro e del bagherese è stata avanzata la richiesta dell’Indicazione Geografica Tipica (IGP) del limone verdello Conca d’Oro. Propietà salutistiche (a cura del Co.Ri.BI.A) Il segreto del limone risiede nel succo, altamente dissetante, astringente e rinfrescante. La sua azione batteriostatica è oggi ampiamente dimostrata, mentre è nota da sempre la capacità disinfettante su ferite e piaghe infette. E’ stato inoltre rilevato che alcuni oli essenziali e loro componenti hanno un effetto citostatico nei confronti di alcune linee di cellule tumorali e quindi sono stati proposti come nuovi agenti antiproliferativi.

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Gli oli hanno mostrato un’ attiva capacità antiossidante a livelli di diluizione molto basse.

Composizione chimica e valori energetici *

* Dati dell’istituto Nazionale della Nutrizione riferiti a 100 g di prodotto

2.3.4. Carciofo spinoso violetto di Palermo (a cura di Antonino Bacarella e Salvatore Tudisca)

Cenni storici (a cura di Antonino Bacarella e Salvatore Tudisca) Il carciofo coltivato (Cynara scolymus) deriva dal carciofo selvatico (Cynara cardunculus), che cresce spontaneo in tutta l’area mediterranea. La prima descrizione del carciofo (con la denominazione di pternix) fu fatta dalla storico greco Teofrasto, che accenna anche alla coltivazione effettuata in Sicilia. La conoscenza del carciofo era diffusa fin dall’antichità riscontrandone la presenza nei pranzi raffinati dei greci e dei romani. Ne scrivono anche Plinio il Vecchio nella sua Naturalis historiae e Columella nel suo De Rustica. La coltivazione vera e propria del carciofo in Italia tuttavia si incomincia a diffondere molti secoli dopo, verso la seconda metà del secolo XV (come scrive Targioni Tozzetti); citazioni sul carciofo si ritrovano negli scritti di Francesco Colonna nel 1466, di Barbaro Ermolao nel 1490, del Mattioli nel 1544, del Davanzati nel 1600, del Soderini nel 1604, del Tanara nel 1645, a dimostrazione che il carciofo in quei tempi era molto conosciuto ed apprezzato nella coltivazione e nella cucina. Anche in Sicilia il carciofo, già conosciuto al tempo della colonizzazione greca, incomincia ad essere coltivato nel medesimo periodo nell’area del palermitano. A

Acqua 89.5 g

Proteine 0.6 g

Lipidi 0 g

Glucidi disponibili 2.3 g

Fibra alimentare 0 g

Energia 11 kcal

Sodio 2 mg

Potassio 140 mg

Ferro 0.1 mg

Calcio 14 mg

Fosforo 11 mg

Niacina 0.3 mg

Vitamina C 50 mg

Energia 6 kcal

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Palermo infatti spontaneo era molto diffuso nelle piane intorno alla città e fra la città e Monte Pellegrino. La diffusione della coltivazione si ha nell’ottocento, ma è nel novecento che trova allocazione in quell’area d’elezione per caratteristiche pedoclimatiche (terreni di medio impasto e clima mite ed asciutto) individuabile nella Piana di Buonfornello, interessando i territori dei comuni di Termini Imerese, Campofelice di Roccella e Lascari, e nelle valli del fiume Torto e del fiume Imera, interessando i territori dei comuni di Cerda e Sciara. La varietà coltivata è il carciofo a calice di Palermo (o semplicemente carciofo di Palermo) spinoso (poiché le foglie terminano con una spina), nella forma verde e violetto. L’espansione della coltivazione in Sicilia come a Palermo, si ha negli anni cinquanta del secolo appena trascorso, in concomitanza con le maggiori disponibilità di acqua irrigua e con le richieste in crescendo della domanda al consumo quale effetto del boom economico del Paese. La superficie coltivata nella provincia da poche centinaia di ettari, diventa 507 ettari nel 1960 e 950 ettari nel 1970. Il paese per eccellenza dei carciofi nel palermitano è Cerda, dove proprio per il notevole apporto all’economia locale è stato eretto un monumento al carciofo e si organizza dal 1981 il 25 aprile (giorno festivo) la Sagra del carciofo, con partecipazione cospicua del turismo gastronomico. Nella zona il carciofo è cibo molto apprezzato in cucina, sia all’interno della famiglia che nelle occasioni pubbliche. Il documento più antico ritrovato in zona riguarda il menù per un banchetto nuziale nel comune di Campofelice di Roccella, datato 1906. Il carciofo nel consumo locale (basato sulla dieta mediterranea) è tipico della cucina locale e permette di realizzare addirittura un pranzo completo, prestandosi alla preparazione di diverse decine di pietanze (almeno 50). Struttura della carcioficoltura provinciale (a cura di Antonino Bacarella e Salvatore Tudisca) Tra le produzioni tipiche orticole della provincia di Palermo il carciofo Violetto spinoso di Palermo viene coltivato in un territorio, a nord-est del capoluogo, che comprende i comuni di Caccamo, Campofelice di Roccella, Cerda, Collesano, Lascari, Sciara, Scillato e Termini Imerese.

Il prodotto del carciofo, detto commercialmente capolino, è un’infiorescenza (o calatide) che si ottiene su quattro o cinque branche della pianta; l’infiorescenza del fusto centrale darà luogo al carciofo di testa, chiamato volgarmente mamma (è il

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capolino più grosso e più precoce), le infiorescenze dei getti laterali danno luogo ai carciofi di corona. Oggi la superficie provinciale coltivata occupa circa 1.000 Ha (6% circa della superficie regionale); la produzione assomma a 140.000 q.li di capolini (circa 50 milioni in numero) e risulta equivalente al 10% circa della produzione regionale. La coltura è esercitata da circa 1.100 aziende agricole dell’areale che presentano una superficie frammentata in media di circa 8.000 mq. Il Carciofo Spinoso Violetto di Palermo è coltivato in terreni di medio impasto o tendenzialmente argillosi con reazione neutra o sub-alcalina e sufficientemente drenati. Il carciofeto dura sullo stesso appezzamento almeno un biennio anche se la buona pratica agricola prescrive una durata massima annuale, al termine della quale l'impianto deve essere estirpato per tornare allo stesso appezzamento solo dopo l'avvicendamento con un'altra coltura. Per l’impianto si utilizzano ovoli radicali prelevati da piante dell'anno precedente dell'ecotipo Violetto spinoso di Palermo. L'epoca di trapianto degli ovoli pregermogliati (o ramificazioni ipogee del fusto, munite di gemme laterali, staccate dalla pianta madre in riposo) è compresa fra l'ultima decade di luglio e la prima decade di settembre con irrigazioni (la prima adacquata è molto abbondante) che sono ripetute ogni 8-10 giorni. Il trapianto è realizzato in maniera manuale o con l'ausilio di mezzi meccanici. La densità di impianto, valutata dopo l'eventuale operazione di diradamento, non deve superare le 14.000 piante per ettaro. Prima dell'impianto e dopo la messa a dimora degli ovoli si effettuano due interventi irrigui per facilitare l'attecchimento. I successivi interventi irrigui comportano un apporto idrico complessivo di circa 4.000 mc/ha. La concimazione di fondo prevede la somministrazione di fosforo (P205) e potassio (K20) con apporti non superiori rispettivamente a 200 Kg/ha e 150 Kg/ha. In copertura l’uso di azoto nitrico, fosforo e potassio non supera rispettivamente i 300 Kg/ha, i 200 Kg/ha ed i 150 Kg/ha per ogni ciclo di produzione. Gli interventi chimici sono ridotti al minimo e la difesa fitosanitaria si fonda sulla corretta applicazione delle tecniche agronomiche. La gestione della coltivazione prevede interventi di scarducciatura manuali volti a ridurre il numero dei germogli che crescono alla base della pianta (carducci). Ogni pianta produce mediamente 6-8 capolini dal peso di 165-180 g/cad. La produzione annua oscilla da 70.000 a 100.000 capolini/ha con massimi di 120.000 capolini ad ettaro. I primi capolini si otterranno ad ottobre-novembre; le raccolte si prolungano fino alla fine di aprile-primi di maggio, ad intervalli di 8-10 giorni. Marketing (a cura di Antonino Bacarella e Salvatore Tudisca) I capolini ancor oggi si raccolgono con stelo quanto più possibile lungo e munito di 3-4 foglie per consentire il confezionamento nei caratteristici mazzi di 25 carciofi, molto apprezzato nei mercati regionali, ma oneroso per il trasporto.

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La destinazione della produzione carcioficola palermitana riguarda essenzialmente il mercato del fresco, considerando che all’industria conserviera si destina non oltre il 3% della produzione annuale; la destinazione industriale riguarda i carciofini che si ottengono e si raccolgono (se il prezzo è remunerativo e tale da coprire almeno il costo della raccolta) nella fase finale della campagna di produzione. Il taglio del capolino con un gambo non più lungo di 10 centimetri e senza foglie consente il confezionamento in cassette e dunque costi di trasporto notevolmente più bassi. Questo confezionamento viene praticato dalle imprese commerciali che destinano il prodotto al mercato nazionale ed a quello estero (quest’ultimo ancora in quantità pressoché trascurabili, considerando che l’esportazione regionale assomma a circa l’1% della produzione, equivalendo così l’import da Egitto e Tunisia). La conservazione dei capolini avviene in magazzini refrigerati con temperatura compresa fra 0 e 4°C, per un periodo massimo di 20 giorni. Il prodotto è molto apprezzato a livello locale e consumato allo stato fresco; al di fuori della regione non si riesce a diffondere per la presenza delle spine poco gradite ai consumatori. Proprietà salutistiche (a cura del Co.Ri.Bi.A.) Ha un elevato contenuto di polifenoli (acidi mono- e di-caffeilchinici e glucosidi di luteolina ed apigenina) i quali, per le proprietà antiossidanti, contribuiscono a rendere il carciofo un “alimento funzionale” con particolari proprietà salutistiche. L’acido clorogenico, contenuto nelle parti eduli di carciofo ha potere antiossidante. Contiene inulina, un polimero del fruttosio il cui contenuto nel carciofo dipende da molteplici fattori, tra i quali genotipo, stadio fisiologico, epoca di raccolta (Di Venere et al., 2005). Essa promuove la crescita dei bifidobatteri della microflora intestinale (funzione prebiotica), contribuendo ad inibire la presenza di batteri dannosi (Kleessen et al. 2001). Però, l’aspetto sicuramente più studiato della composizione biochimica del carciofo, anche in epoca recente, è il suo elevato contenuto di polifenoli, sia per gli aspetti analitici (Lattanzio e Van Sumere, 1987;Wang et al., 2003; Schutz et al., 2004), sia per le loro proprietà antiossidanti (Llorach et al., 2002) ed antimicrobiche (Zhu et al., 2004). Infatti, la presenza di un elevato contenuto di polifenoli con proprietà antiossidanti, quali acidi idrossicinnamici (clorogenico e dicaffeilchinici) e flavonoidi (glicosidi di luteolina ed apigenina), contribuisce a rendere il carciofo un ‘alimento funzionale’ con particolari proprietà salutistiche. Studi precedenti (Adzet T et al., 1987; Gebhard R et al. 1997) hanno dimostrato che negli epatociti di ratto trattati, gli estratti di carciofo erano in grado di prevenire il danno ossidativo. In letteratura sono scarsi gli studi di biodisponibilità in vivo nell’uomo, mentre sono presenti molti studi in cui viene dimostrato l’effetto ipocolesterolemico (Wojciki et al., 1978).

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Composizione chimica e valore energetico *

Acqua 84.0 g

Proteine 2.7 g

Lipidi 0.2 g

Glucidi disponibili 2.5 g

Fibra alimentare 5.5 g

Energia 22 kcal

Sodio 133 mg

Potassio 376 mg

Ferro 1.0 mg

Calcio 86 mg

Fosforo 67 mg

Niacina 0.5 mg

Vitamina C 12 mg

*Dati dell’ Istituto Nazionale della Nutrizione riferiti a 100 g di prodotto

2.3.5. Arancia bionda di Scillato (a cura di Giuseppe Greco)

A Scillato, piccolo centro della provincia di Palermo a 220 metri s.l.m. situato ai piedi del versante sud-occidentale del complesso Madonita, si produce una varietà d’arancia dal colore “biondo” ossia “il biondo di Scillato”, un tipo d’arancia “ombelicata” dove si distinguono le cvs.: Washington Navel, Naveline e Navelate. La coltivazione interessa circa 43 ettari di superficie agricola.

Queste varietà trovano le condizioni ideali in questa zona collinare. Infatti, a differenza degli aranceti situati in aree pianeggianti de “La Conca d’oro”, nel territorio collinare di Scillato, il frutto può ritardare la maturazione, che si celebra in epoca tardiva (aprile) e cioè in un momento di mercato favorevole. Tale favorevole circostanza gli permette di

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assorbire, per un più lungo periodo, il calore benefico del sole della primavera rendendolo più succoso e profumato. Un’altra varietà che si produce e che ha una maggiore richiesta è l’arancia “Sanguinello” dalla caratteristica polpa rossa. Queste ultime, indicate come pigmentate, si differiscono dalle bionde perché contengono nella polpa, in aggiunta ai carotenoidi, altre sostanze coloranti, gli antociani, che conferiscono al succo il caratteristico colore rosso. Il pregiato frutto dell’arancia è stato introdotto dalla dominazione araba e cresce rigoglioso in questo territorio per la presenza copiosa d’acqua costituita da due le grandi sorgenti, quella della zona di Guelfone e l’altra in territorio Agnello che alimentano da numerosi anni la città di Palermo. Propietà salutistiche (a cura del Co.Ri.Bi.A.) Le arance rosse, nelle varietà Tarocco, Moro e Sanguinello, possono essere considerate un alimento altamente salutistico grazie alla presenza di antocianine, flavanoni, acidi idrossicinnamici e vitamina C, tutte sostanze in grado di esercitare un elevato ruolo antiossidante nei confronti di specie reattive all’ossigeno (ORS). Le antocianine (dal greco anthos, fiore e kyanos, blu) sono dei pigmenti ampiamente diffusi nel mondo vegetale e dotati di numerose attività biologiche e di un’elevata capacità antiossidante. Le antocianine presenti nelle arance pigmentate sono costituite per circa l’80% dai due glucosidi dell’aglicone cianidina, il cianidin-3-B-glicoside e il cianidin-3-(6’’-malonil)-B-glucoside, per il 10% da glucosidi della delfinidina e per il rimanente 10% dai glucosidi della petunidina, pelargonidina e peonidina. Un’eccessiva formazione di ORS nel nostro organismo, provocata da vari fattori (stress fisico e psichico, fumo, particolari stati patologici, inquinamento atmosferico, ecc.), puo’ contribuire all’insorgenza di gravi malattie (disturbi neurodegenerativi, vascolari, tumori, ecc.) mediante un abbassamento delle difese antiossidanti naturali del nostro organismo. Il contenuto di antocianine è considerato un indice di qualità sia per il frutto fresco, essendo direttamente correlato con il grado di maturazione, sia per il succo, essendo utilizzato come criterio di valutazione del prodotto. Da studi condotti su animali, è emerso come le cianidine in particolare proteggano le membrane cellulari dall’ossidazione da parte di un gran numero di sostanze dannose ed abbiano una capacità antiossidante quattro volte maggiore rispetto alla vitamina E. Recenti lavori hanno dimostrato che il succo delle arance rosse ed i componenti presenti in esso sono in grado di esercitare un effetto antiossidante ed antiradicalico in differenti modelli “in vitro”. Oltre a contenere acido ascorbico (vitamina C), le arance contengono anche flavanoni glicosidici come l’esperidina, narirutina e naringina che posseggono un’ alto potere antiossidante. E’ noto che una dieta ricca di frutta e vegetali protegge da molte patologie, come malattie cardiovascolari e cancro.

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Molti studi suggeriscono che ciò può essere dovuto all’introito di antiossidanti tipo carotenoidi e vitamina C. Da studi epidemiologici risulta che in popolazioni con alti livelli nella dieta di vitamina C è associato un incidenza minore di cancro. Altri studi epidemiologici suggeriscono un possibile ruolo della vitamina C nella prevenzione delle malattie cardiache. I carotenoidi oltre ad essere responsabili del colore di un grande varietà di cibi, sono importanti dal punto di vista nutrizionale perchè alcuni tra essi hanno attività provitamina A e quindi in un secondo momento vengono trasformati in Vitamina A (Retinolo).

Composizione chimica e valore energetico *

Acqua 87.2 g

Proteine 0.7 g

Lipidi 0.20 g

Carboidrati disponibili 7.8 g

Amido 0.0

Zuccheri solubili 7.8 g

Fibra alimentare 0.6 g

Energia 34 kcal

Sodio 1.9 mg

Potassio 186.2 mg

Ferro 0.2 mg

Calcio 49.0 mg

Fosforo 22 mg

Tiamina 0.1 mg

Riboflavina 0.0

Niacina 0.2 mg

Vitamina A retinolo eq. 71 mcg

Vitamina C 50 mg

* Dati dell ‘Istituto Nazionale della Nutrizione riferiti a 100 g di prodotto

2.3.6. Albicocca di Scillato (a cura di Giuseppe Greco)

La coltivazione in questa particolare area madonita è praticata da circa un trentennio. Il successo di tale coltura è da attribuire all'introduzione di varietà precocissime di origine vesuviana, che consentono l'ottenimento di un frutto altamente biologico che, in questo particolare areale, sfugge agli attacchi della mosca della frutta e alle più comuni patologie fungine. La pianta di albicocco è, per sua natura, anche abbastanza anticipata, cominciando a fruttificare già dal secondo anno, ma la piena produzione

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non inizia prima del terzo/quinto anno ed è più abbondante su alberi piccoli, e rami corti. Tale caratteristica è anche alla base della sua espansione locale.

La diffusione interessa circa Ha 38 comunali per un’estensione media aziendale di circa mq 7.500. Il volume produttivo si attesta ai q.li 5.000 annuali. Propietà salutistiche (a cura del Co.Ri.Bi.A.) L'albicocca è ricca di vitamina B, C, ma soprattutto di carotenoidi, specialmente β-carotene, precursori della vitamina A, polifenoli (ac. caffeico, ac. p-cumarico) e selenio. Quest’ultimo, essendo parte della glutatione perossidasi, è un potente antiossidante cellulare in aggiunta alle sue capacità protettive contro la tossicità dei metalli pesanti.

Composizione chimica e valori energetici *

Acqua 86.3 g

Proteine 0.4 g

Lipidi 0.1 g

Carboidrati 6.8 g

Zuccheri solubili 6.8 g

Fibre totali 1.5 g

Sodio 1 m g

Potassio 320 mg

Ferro 0.5 mg

Calcio 16 mg

Fosforo 16 mg

Tiamina 0.03 mg

Riboflavina 0.03 mg

Niacina 0.50 mg

Vitamina A 360 mcg

Vitamina C 13 mcg

Energia 28 kcal

*Dati dell’Istituto Nazionale della Nutrizione per 100 g di prodotto

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2.3.7. Kaki di Misilmeri (a cura Giuseppe Greco)

Nel territorio dell’agro palermitano, in aggiunta alla coltivazione degli agrumi e dove il clima temperato e subtropicale ha permesso l‘introduzione di alcune specie arboree, si è stabilizzata la coltivazione del kaki a Misilmeri che, ad oggi, rappresenta una precisa entità caratteristica. Tale coltivazione interessa un’areale di circa Ha 400 di prodotto che matura alla fine dell’estate.

Il circondario di Misilmeri (l’antico casale dell’Emiro) - che appartiene alla parte estrema di quella che si può considerare la ex-Conca d’oro ed intercalata da una preminentemente lussureggiante vegetazione di agrumeti - cresce una insolita prominenza arborea, il Kaki o Diospiro o Loto del Giappone, pianta che genera una grossa bacca quanto una mela - commestibile e saporita, dalla polpa carnosa e deliquescente, dalla buccia levigata e dalla vivace colorazione mattone - denominata in dialetto Kakì in cui viene accentuata la ì, alla francese. Giunto in Europa verso la fine del XVI secolo, arrivò in Italia attraverso il giardino di Boboli a Firenze e si diffuse a Misilmeri inizialmente come pianta ornamentale, inserita nel 1692 nel primo orto botanico realizzato in loco da Don Francesco Bonanno del Bosco Sandoval, principe della Cattolica e duca di Misilmeri, attento osservatore della natura, coadiuvato dalla collaborazione del padre francescano Francesco Cupani da Mirto. Essi realizzarono l'Hortus Catholicus, rigoglioso giardino ricco d’ogni pianta rara, esaltandolo a considerarlo il più importante d’Europa ed uno dei più antichi in Italia a livello accademico. Proprio il francescano Cupani direttore dell’orto, descrisse nel 1696 l’albero del diospiro e Bernardino Ucria nella classificazione delle piante dell’orto Botanico palermitano nel 1789, ubicato sul civico bastione di Porta Carini, lo rappresentò come albero siciliano molto diffuso come il frutto di “lignu Santu”. L’etimologia del genere diospyros deriva dal greco dios = Giove e pyros = frumento, che letteralmente viene definito “cibo degli dei” per l’elevata bontà dei frutti. La specie coltivata a Misilmeri è il Diospyrus Kaki, albero dalle sette caratteristiche qualitative: longevità, ombrosità, inospitalità per la nidificazione degli uccelli, non tarlabilità del legno, possibile utilizzazione delle foglie per accendere fuochi, per preparare covili e per concimare.

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L’inizio della coltura del Kaki a Misilmeri e la consequenziale commercializzazione dei suoi frutti si presume che risalga al periodo che va dal 1925 al 1930 con poche piante impiantate in alcuni frutteti familiari, che in concomitanza alla morte di piante di agrumi, dovuta molto probabilmente alla imposizione del terreno. Trovato il suo habitat favorevole, successivamente tra il 1935 e 1940 gli agricoltori pensarono bene di estendere tale coltivazione ad una più ampia superficie. La coltura si cominciò ad espandere rapidamente tanto che nell’arco di un ventennio giunse ad occupare una superficie ben consistente divenendo quasi uniforme. I terreni su cui tale coltura si è insediata, sono ascrivibili a due particolari associazioni di suoli: regosuoli da rocce argillose e suoli rossi mediterranei. I primi risultano più diffusi nella zona orientale del paese dove è presente un contenuto medio di argilla con presenza elevate riserve di potassio e quasi prive di azoto e sostanze organiche. I secondi che interessano la parte occidentale del paese, sono di un colore rosso vivo, con la presenza argilloso-sabbioso dove si evidenziano i carbonati che sono assenti nei primi, entrambi danno la possibilità di drenare l’acqua che in realtà potrebbe essere dannosa e procurare fradiciume alla coltura. La varietà più ragguardevolmente coltivata è la “Farmacista Onorati”, innestata su Dyospiros virginiana, di sapore vaniglia. La sua raccolta avviene comunemente nel mese di ottobre quando ancora la polpa è verdastra, con una tecnica manuale particolare dove i frutti raccolti quasi immaturi vengono strappati ai rami, ancora verdi, appesi ad essi da un ridotto e vigoroso pedicello che si diparte dal calice del fiore che lo ha generato. Il frutto così raccolto viene immesso in un cassone “cassuni” foderato di carta robusta (tipo adatta per i sacchi di frumento) e coperto, dove deve avvenire il cosiddetto “ammanzimento”, cioè deve perdere la “allappatura”, fenomeno per il quale il frutto acerbo inizia il suo mutamento dalla buccia sottile ed ancora giallognola al colore arancio-mattone. In questa fase si perde il tipico effetto astringente al palato provocato dall’elevato contenuto di tannino che, maturando, fa aumentare gli zuccheri e dà al frutto una patina di polvere bianca, molto gradevole al gusto. Ma è soprattutto la presenza dell’acetilene che - per effetto della struttura del cassone avvolto nel predetto foglio di carta robusta - causa lo sprigionamento di calore ottenendo l’effetto di far maturare il frutto, evitando le rotture della raccolta. La tradizione tramanda forme di maturazione artigianali come quelle di lasciare i kaki vicino a frutti che sprigionano etilene, come mele e pere. Propietà salutistiche (a cura del Co.Ri.Bi.A.) I kaki contengono beta-carotene, vitamina C, e potassio e quando raggiungono la completa maturazione diventano un frutto molto energetico con le sue 54 Kcal per 100 grammi. Per la presenza di pectine, per l’elevato contenuto di fibra alimentare, in genere manifesta una lieve attività lassativa utile nei regimi disintossicanti e depurativi. E’ riccho di polifenoli come la catechina, con effetti positivi sulla salute umana.

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E’ riportato che le catechine abbiano effetti antiossidanti, anticarcinogenici, antimutagenici e cardioprotettivi.

Composizione chimica e valore energetico*

Energia ** 54 kcal

Proteine ** 0.4 g

Zuccheri totali ** 11.7 g

Grassi ** 0.15 g

Fibra ** 4.68 g

Vitamina A * 237 mcg

Vitamina B1 * 0.03 mg

Vitamina B2 * 0.02 mg

Vitamina C ** 4.43 mg

Folacina * 7.8 mcg

Sodio ** 3.75 mg

Ferro ** 0.105 mg

Rame * 0.12 mg

Zinco * 0.11 mg

Calcio ** 17.1 mg

Fosforo ** 12.6 mg

Magnesio * 9 mg

Manganese * 0.350 mg

Potassio ** 167 mg

* Dati dell’Istituto Nazionale della Nutrizione

** Dati forniti dalla SOAT di Misilmeri riferiti a 100 grammi di prodotto

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2.3.8. Susina di Monreale (a cura di Giuseppe Greco)

La Susina di Monreale è coltivata nel Parco del Fiume Oreto, nell’ambito dei territori comunali di Monreale e di Altofonte, ed interessa cultivar primizie e le locali “Sanacore” e “Prunodicuore”. Proprio il germoplasma di queste due varietà del territorio rappresenta una peculiarità. In particolare la “Sanacore” o “Sanacuore” si configura come un eccellente varietà dal frutto medio, di forma ovale e con buccia e polpa gialla, di media consistenza, semi-spicca, di ottimo sapore. L’albero, in particolare, è molto vigoroso e di media produttività con un 'epoca di fioritura intermedia. La raccolta avviene a luglio. La coltura Interessa Ha 40 in coltura specializzata ed Ha 230 in coltura promiscua con il limone, gli agrumi ed il nespolo. Il volume produttivo ragguaglia annualmente i q.li 23.000 circa. Propietà salutistiche (a cura del Co.Ri.Bi.A.) La susina è un frutto dal sapore lievemente acidulo (per la presenza di acido malico) con un discreto potere lassativo, grazie alla presenza di una sostanza, la difenil-isatina, che svolge una funzione stimolante a livello intestinale. Contiene una buona quantità di potassio e calcio. Composta per l'87,5% di acqua, la susina è un frutto particolarmente dissetante ed aiuta a recuperare i liquidi persi con la sudorazione. Grazie alla buona presenza di elementi minerali, come potassio, calcio e fosforo, svolge anche un'importante azione depurativa sull'organismo. Contengono una grande quantità di composti naturali come Flavonoidi e acidi fenolici (quali caffeico, clorogenico, ferulico, gallico, ed ellagico), considerate sostanze farmacologicamente attive come agenti antiossidanti, antimutageni e anticarcinogeni.

Composizione chimica e valore energetico *

*Dati dell’Istituto Nazionale della Nutrizione riferiti a 100 g di prodotto

Acqua 87.5 g

Proteine 0.5 g

Lipidi 0.1 g

Zuccheri disponibili 10.5 g

Fibre totali 1.4 g

Energia 42 Kcal

Sodio 2 mg

Potassio 190 mg

Ferro 0.2 mg

Calcio 13 mg

Fosforo 14 mg

Niacina 0.5 mg

Vitamina C 5 mg

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2.3.9. Nespola di Trabia (a cura di Giuseppe Greco)

Il Nespolo del Giappone (Eriobotrya japonica (Thunb.) Lindl., 1821) sembra essere originario della Cina centro-orientale dove cresce allo stato semispontaneo. In Italia le prime piante sono state importate agli inizi del XIX secolo presso l'orto botanico di Palermo. In Italia è diffuso come pianta ornamentale, gli unici impianti specializzati si trovano nella costiera palermitana dove si è affermata come pianta sostitutrice del limone. L'albero raggiunge i 7 m di altezza e presenta la chioma arrotondata con foglie grandi e sempreverdi. Il Nespolo del Giappone si è adattato bene nella costiera palermitana a clima temperato-caldo non tollerando le basse temperature, inferiori a 4-5°C. Negli impianti specializzati provinciali si ricorre all'innesto, generalmente a gemma, utilizzando come portainnesto il franco e, con minor frequenza, il cotogno (Cydonia oblunga). In Provincia di Palermo si contano Ha 100 in coltura specializzata ed Ha 200 in consociazione con il limone. Il sesto utilizzato è il 6 x 5 e la forma di allevamento è il vaso impalcato basso per facilitare la raccolta. L'irrigazione è indispensabile e gli apporti idrici (2.000-3.000 mc/ha) vanno calibrati in funzione del portainnesto (quelli su cotogno sono più sensibili a stress idrico, mentre quelli su franco sono più sensibili alla salinità dell'acqua). Le concimazioni sono molto limitate. I danni più gravi sono causati dalla ticchiolatura che è molto favorita da stagioni autunno-vernine fredde e piovose. I frutti sono di forma variabile (sferici, ellissiformi o piriformi) sono dei pomi, dei falsi frutti, di peso medio di 50 g con epidermide di colore giallo più o meno aranciato, con polpa bianco-crema di sapore dolce-acidulo. La maturazione avviene da aprile a giugno. La raccolta si effettua quando il frutto ha raggiunto colorazione giallo-oro o giallo-aranciato (aprile-giugno). Il frutto raccolto manualmente si confeziona direttamente in campo per evitare il deterioramento dovuto a ripetute manipolazioni. Ultimamente, viene effettuata anche la conservazione in frigo tenendo i frutti a temperature vicine agli 0°C. Il prodotto, che è soggetto a fumaggine, è destinato al consumo fresco. Il frutto ha un’apprezzabilissimo mercato perché è il primo che arriva sul mercato. L’indirizzo specializzato è diffusa nell'omonimo Comune di Trabia, ove vengono coltivate le cvs. “Nespola rossa”, “Nespolone di Trabia”, “Precoce di Palermo” ed il “Sanfilipparo”. La produzione provinciale si attesta sui q.li 48.000. Sostanze salutistiche (a cura del Co.Ri.Bi.A.) Tanto più il frutto è acerbo tanto maggiore è la quantità di tannini, molecole ad azione antiossidante, che danno la sensazione di asciutto in bocca e provocano un effetto astringente sull’intestino. Al contrario, nel frutto maturo i tannini si trasformano in zuccheri e il frutto diventa un blando lassativo.

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Le nespole hanno una elevata percentuale di acqua, superiore all'80%, e un contenuto di zuccheri variabile dall'8 al 14 %. La componente proteica e lipidica è molto bassa, inferiore all'1%. Gli acidi variano dallo 0.4 a circa il 2 %. La nespola contiene anche ottime quantità di acido formico, acetico, che determinano il gusto acidulo, oltre a fibra alimentare solubile che distende le pareti dello stomaco riempiendolo d’acqua per un maggior senso di sazietà.

Composizione chimica e valore energetico *

Acqua 85.3 g

Proteine 0.4 g

Lipidi 0.4 g

Carboidrati 5.8 mg

Ferro 0.3 mg

Calcio 16 mg

Fosforo 11 mg

Sodio 6 mg

Potassio 250 mg

Tiamina 0.04 mg

Riboflavina 0.05 mg

Niacina 0.4 mg

Vitamina A 27 mcg

Vitamina C 1 mg

Energia 28 Kcal

*Dati forniti dalla SOAT di Misilmeri e riferiti a 100 g di prodotto

2.3.10. Nocciola di Polizzi (a cura di Giuseppe Greco)

La coltura del nocciolo è stata introdotta a Polizzi Generosa dopo il XIV secolo secondo quanto si evince dagli atti di compravendita depositati presso gli archivi notarili di Termini Imerese e Palermo. L'introduzione avvenne nel corso della dominazione spagnola a seguito dei frequenti rapporti commerciali che si erano venuti

a stabilire tra campani e siciliani. Durante gli anni ’80, la coltura specializzata - a causa della penetrazione delle nocciola turca non fronteggiata dai dazi comunitari per motivi di politica internazionale,

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ha fatto rilevare una tendenza all'abbandono, dando vita a fenomeni di spopolamento e di degradazione del territorio (riduzione delle superfici al 50%). Attualmente mantiene un interesse maggiormente paesaggistico all’interno del Parco delle Madonie ed interessa una superficie di circa Ha 300 dei quali circa Ha 16 ad indirizzo ad indirizzo misto (nocciolicole-orticole). I noccioleti risultano ubicati nel territorio comunale tra la quota di 450 m.s.l.m. e la quota di 950 m.s.l.m. lungo la strada Provinciale che collega Polizzi Generosa e Scillato e precisamente concentrati nelle località Conceria, Chiarello, Rovola, Chiumazzo. Entro tali limiti altitudinali, la coltura nocciolicola viene ad interessare terreni con morfologia che va dal falsopiano ai forti declivi con pendenze che spesso superano il 30%. Quest'ultima caratteristica è venuta a condizionare in passato la scelta di sesti d'impianto e di sistemi di allevamento, creando sesti irregolari e forme di allevamento irrazionali, come la ceppaia o "troffa". Il panorama corilicolo del polizzano è dominato da due cultivars che, peraltro, a seconda dei soggetti intervistati, prendono diverse denominazioni: 1) la S. Maria di Gesù o Tonda di Sicilia o Tonda o Normale o Nocciola del

commercio; 2) la Rampolla o Nocciola della Padrona o Nucidda di la patruna. Sembra che la S. Maria di Gesù, secondo molti operatori, sarebbe la medesima cultivar presente nella zona di Piazza Armerina con il nome di Racinante e presente nel messinese e nel catanese con il nome di Curcia. La S. Maria di Gesù presenta frutto sferoidale, consistenza del guscio media, peso del frutto g 2,36 e volume di cmc 3,25. La migliore resa alla sgusciatura è del 41,65% mentre quando i trattamenti vengono effettuati i frutti cimiciati ammontano solo al 4% e quelli vuoti al 2,5%. Notevole è la presenza di fibra nel seme e le sue caratteristiche organolettiche sono accettabili. Infine il distacco del perisperma alla torrefazione interessa il 20-25% della superficie. La Rampolla è una cultivar descritta dal Trotter e si caratterizza per l'eterogeneità delle entità che vengono identificate con questo nome. Orientativamente presenta queste caratteristiche: nucula sferoidale e consistenza del guscio media, le dimensioni medie variano da g 2,5 a g 2,54 ed il volume da cmc 2,45 a 3,1. La resa alla sgusciatura è attorno al 41,8%-42,2%. Molte fibre aderenti al seme ed il distacco del perisperma alla torrefazione è superiore al 70%: la percentuale tra semi cimiciati e vuoti va dal 5 al 10%. Le caratteristiche organolettiche vengono considerate buone. Laddove il terreno è acclive esiste la sistemazione a gradoni o a ciglioni, che per la modesta ampiezza non si presta assolutamente per lo sviluppo di un valido grado di meccanizzazione che è pure impedito da sesti irregolari, che variano da 3 a 6 m e dalla naturale cespugliosità della pianta. Quest'ultima spesso è aggravata, negli impianti più vecchi dalla presenza di molti polloni per buca. L’archeologia contadina ci tramanda le lavorazioni che venivano effettuate e che attualmente in qualche caso si riscontrano nelle varie contrade; essa dipende dalla natura morfologica dei terreni che, considerata l’acclività, prevede la lavorazione a "zappa", per l'eliminazione delle erbe infestanti.

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Le altre lavorazioni sono limitate ad una ripulitura dei singoli cespugli per facilitare la raccattatura delle nocciole che vanno cadendo. Anche nei periodi commercialmente floridi, la concimazione era una pratica che, nel polizzano, non veniva effettuata perché ritenuta antieconomica. L'assenza di qualunque intervento fertilizzante era già la principale causa dell'alternanza di produzione. La potatura è limitata alle "stroffature o rimonde" che consistono nell'eliminazione delle verghe improduttive. L'irrigazione viene praticata mediante la realizzazione di solchi di terra approntati preventivamente all'inizio di ogni stagione irrigua (maggio). Da maggio-giugno e per tutta l'estate si verificano circa 7 adacquamenti con volumi di mc/Ha 500 per un totale stagionale di mc/Ha 3.500 circa. Nel polizzano sono censiti in Ha 275 le superfici effettivamente asservite a rete consortile. Le condizioni ambientali sono tali che la coltura soffre gli attacchi del Gonocerus acuteangulatus, insetto responsabile sia dell'aborto traumatico delle nocciole (nocciole vuote) sia del cosiddetto "cimiciato" (25% - 30% della produzione), che conferisce al frutto un sapore amaro sgradevole. Tale causa in passato ha rappresentato la principale ragione del deprezzamento commerciale di intere partite. Le nocciole raccolte localmente, invero una minima quota rispetto alla produzione potenziale di q.li 2.500, vengono utilizzate come farine o granelle in dolceria (sfoglio polizzano) ed in gelateria o intere (torrone). L’antieconomicità della produzione - che porta alla mancata raccolta delle stessa a causa di costi di manodopera superiori addirittura al valore della produzione - la bassa resa in sgusciato ed i danni da "cimiciato", fanno assumere alla coltura locale più un interesse paesaggistico che produttivo. Propietà salutistiche (a cura del Co.Ri.Bi.A.) Le nocciole sono ricche di proteine, di glucidi, ma soprattutto di lipidi, sono dunque un alimento completo, con un alto valore energetico: in cento grammi di parte edibile si trovano 625 kcal. Contengono acidi grassi insaturi come l’ac. linoleico, ac. linolenico, ac. oleico, ac. palmitico e stearico e anche l’α-tocoferolo, forma attiva della vitamina E, che aiuta ad abbassare il rischio di alcune malattie croniche come quelle cardiache e il diabete di tipo II. È anche un buon tenifugo, favorisce l’espulsione della Taenia solium e saginata, ovvero il verme solitario.

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Composizione chimica e valore energetico *

Acqua 4.5 g

Proteine 13.8 g

Lipidi 64.1 g

Carboidrati 6.1 g

Amido 1.8 g

Energia 625 kcal

Zuccheri solubili 4.1 g

Fibre totali 8.1 g

Sodio 11 mg

Potassio 466 mg

Ferro 3.3 mg

Calcio 150 mg

Fosforo 322 mg

Tiamina 0.51 mg

Riboflavina 0.10 mg

Ac. Ascorbico 2.45 mg

Ac. Folico 0.043 mg

Retinolo 3.25 mg

Tocoferolo TOT 26.9 mg

Niacina 2.80 mg

Vitamina A 30 mcg

Vitamina C 4 mg

Vitamina E 15 mg

*Dati dell’ Istituto Nazionale della Nutrizione per 100 g di prodotto

2.3.11. Ciliegio di Chiusa Sclafani (a cura di Giuseppe Greco)

Un esempio di cerasicoltura montana è costituito dalla ciliegia di Chiusa Sclafani, che viene prodotta nell’omonimo comune in provincia di Palermo da un ecotipo locale denominato varietà “Cappuccia”. Tale varietà, è autoincompatibile, per cui negli impianti specializzati è indispensabile disporre impollinatori. Così fin dall’impianto è stata abbinata alla cv. “Moscatella”, che di recente ha iniziato a subire un lento processo di sostituzione con la cv. “Vignola”, ritenuta maggiormente idonea per la funzione di impollinatrice. Le rese del locale ciliegio sono estremamente variabili dai 5 ai 40-45 kg/pianta. Nell’areale di elezione la coltivazione interessa circa Ha 140 che producono q.li 14.000 circa.

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Proprietà salutistiche (a cura del Co.Ri.Bi.A.) Le ciliegie oltre che essere ricche di vitamine A, B1 e B, contengono anche proteine, zucchero, sali minerali di potassio, calcio, magnesio, ferro, fosforo, oltre a principi disintossicanti e depurativi. La ciliegia gode di un’azione diuretica, antiurica poichè i suoi principi attivi trasformano l’acido urico in acido ippurico il quale viene poi facilmente eliminato per via naturale. Le ciliegie inoltre sono ricche di zuccheri ma con un minimo apporto calorico: 38 Kcalorie ogni 100 grammi, ideali quindi per una dieta ipocalorica. Presentano un buon assortimento di acidi organici importanti per l’equilibrio acido-base del corpo e una discreta quantita' in potassio, elemento fondamentale nel controllo dell’ipertensione arteriosa.

Composizione chimica e valore energetico *

Acqua 86.2 g

Proteine 0.8 g

Lipidi 0.1 g

Glucidi disponibili 9 g

Fibra alimentare 1.3 g

Energia 38 Kcal

Sodio 3 mg

Potassio 229 mg

Ferro 0.6 mg

Calcio 30 mg

Fosforo 18 mg

Niacina 0.5 mg

Vitamina C 11 mg

* Dati dell’Istituto Nazionale della Nutrizione riferiti a 100 g di prodotto

2.3.12. Broccolo o “Sparacello” di Misilmeri (a cura di Giuseppe Greco)

Il broccolo è una delle varietà più coltivate soprattutto nell'Italia centro-meridionale. Le forme sono due: brassica oleracea, forma cimosa o broccolo ramoso, e brassica oleracea, forma caput o broccolo a testa. Sebbene i broccoli siano una coltura da clima mite, essi sono ortaggi essenzialmente invernali anzi un certo grado di freddo li rende più teneri e saporiti, infatti avanzando la fioritura in primavera le cimette si allungano e perdono la consistenza carnosa a favore dei fiori che cominciano ad apparire. Il Broccolo di Misilmeri è una produzione tradizionale dell’omonimo territorio comunale e della periferia di Palermo la cui superficie coltivata, che varia annualmente secondo le esigenze di mercato, è stimabile in circa 120 ha.

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Il broccolo viene tradizionalmente impiegato nella cucina palermitana. La produzione primaticcia, denominata dei “Settembrini” e dei “Sammartinani” è quella maggiormente valutata dal mercato che la acquista per infiorescenza. La produzione è di 10.000 infiorescenze/ha, per cui il volume totale esitato dall’area si attesta sulle 1,2 milioni di infiorescenze. Proprietà salutistiche (a cura del Co.Ri.Bi.A.) Conosciuto e apprezzato fin dall'antichità, il broccolo è coltivato da millenni e da sempre utilizzato anche come medicamento per le proprietà antiulcera, contenendo il gefanato, sostanza impiegata da parecchi anni proprio nei farmaci antiulcera perché agisce come rinforzante sulla mucosa dello stomaco proteggendola dagli acidi. Il broccolo e' ricco di zolfo, di sodio, fosfati di calcio, potassio, magnesio, vitamina A, B1, B2, C, e favorisce la produzione di emoglobina. Numerose sono le proprieta': antianemico, emolliente, diuretico, cicatrizzante, depurativo, vermifugo.

Composizione chimica e valori energetici *

Acqua 90.5 g

Proteine 3.2 g

Lipidi 0.2 g

Glucidi disponibili 2.7 g

Fibra alimentare 2.4 g

Energia 25 Kcal

Sodio 8 mg

Potassio 350 mg

Ferro 0.8 mg

Calcio 44 mg

Fosforo 69 mg

Niacina 1.2 mg

Vitamina C 59 mg

*Dati dell’ Istituto nazionale della Nutrizione riferiti a 100 g di prodotto

2.3.13. Zucchina lunga “friscaredda” di Misilmeri o “Lagenaria” (a cura di Giuseppe Greco)

La Zucchina lunga di Misilmeri nota anche come “Lagenaria” viene coltivata nel territorio del comune di Misilmeri e nella fascia costiera della provincia di Palermo fino ai comuni di Trabia e di Termini Imerese. Si stima una superficie coltivata protetta di 4 ha e di 70 ha in pieno campo. La produzione commercializzata è costituita dai frutti e dai cosiddetti “tenerumi” che sarebbero i germogli apicali e le foglie più tenere. La resa, considerata una produzione di 10-15 zucchine a pianta ed una densità di 3.700

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p/ha sarebbe di 44.000 zucchine/ha circa. Quindi, a seconda delle annate, la produzione è variabile dagli 0,18 ai 3 milioni di zucchine. Il prodotto è commercializzato quasi esclusivamente localmente esso viene inoltre impiegato per la realizzazione di un piatto tipico siciliano che è la minestra di “cucuzza e tenerumi”. Proprietà salutistiche (a cura del Co.Ri.Bi.A.) La zucchina è quasi del tutto priva di calorie, è molto ricca di acqua e possiede per questo potere diuretico. E’ povera di sale, contiene vitamina B1, B2, C e PP, calcio, ferro e fosforo.

Composizione chimica e valori energetici *

Acqua 93.6 g

Proteine 1.3 g

Lipidi 0.1 g

Glucidi disponibili 1.4 g

Fibra alimentare 1.3 g

Energia 11 kcal

Sodio 0 mg

Potassio 0 mg

Ferro 0.5 mg

Calcio 21 mg

Fosforo 65 mg

Niacina 0.7 mg

Vitamina C 11 mg

*Dati dell’Istituto Nazionale della Nutrizione riferiti a 100 g di prodotto

2.4. Valutazione nutrizionale dietetica del gruppo alimentare (a cura di Carlo Cannella e Giuseppina Colicci)

I prodotti ortofrutticoli, soprattutto se freschi, sono ricchi di nutrimento ed in particolare di acqua, zuccheri, vitamine e sali minerali. Contengono anche sostanze non nutritive quali la fibra (solubile ed insolubile) che regola la funzione intestinale e i phytochemicals (acidi organici, polifenoli, oligosaccaridi, etc.) cioè composti che non servono per il metabolismo energetico ma proteggono l’organismo con diversi meccanismi che vanno dall’azione antiossidante nei confronti dei radicali liberi e nella protezione degli acidi grassi polinsaturi alla funzione di privilegiare lo sviluppo di una flora batterica intestinale favorevole alla salute dell’organismo ospite. Apportano poche calorie e pertanto sono utili specie per chi vuole nutrirsi e mantenere la linea. Sono ricchi di acqua (almeno il 90% del peso) e quindi vantaggiosi d’estate per

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estinguere la sete. Hanno sapore dolce per la presenza di zuccheri diversi dal saccarosio che nutrono senza produrre brusche variazioni della glicemia. Sono una buona fonte alimentare di vitamine (gruppo B e vit. C) e sali minerali (potassio e magnesio) indispensabili per il metabolismo energetico. Contengono fibra (1,5-3%) benefica per regolare la funzione intestinale e mantenere attiva la flora batterica intestinale. Quindi la frutta e gli ortaggi sono alimenti che, oltre a nutrire, proteggono il nostro organismo per la presenza di “phytochemicals” sostanze tipiche del regno vegetale (polifenoli, carotenoidi, fitosteroli, etc.) che ci aiutano a regolare la colesterolemia e a prevenire l’insorgenza di patologie cardio-vascolari e di tumori. Per un’alimentazione sana ed equilibrata è consigliabile variare ogni giorno i tipi d’ortaggi, rispettando la stagionalità. Al fine di non incorrere in inconvenienti salutistici e finanziari si fornisce un vademecum sui periodi stagionali in cui conviene acquistare le varie tipologie di frutta.

MESI G F M A M G L A S O N D

Frutta arance x x x x banane x x x x x x x kaki o loti x x x x limoni x x x x x x x x x mandaranci x x x x mandarini x x x mele x x x x x x x x x pere x x x x x x x x x x x x pompelmi x x x x x x x nespole x x fragole x x ciliegie x x lamponi x prugne x x albicocche x x x amarene x x fichi x x x susine x x x x anguria x x melone x x x pesche x x x susine x x uva x x ananas x x

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2.5. Porzione di riferimento (a cura di Carlo Cannella e Giuseppina Colicci)

Per la frutta si consiglia il consumo di 3 porzioni al giorno, variando la scelta; 1 porzione corrisponde a 150 g di polpa di frutta o di succo. Per gli ortaggi si consiglia il consumo di 2 porzioni al giorno, variando la scelta; 1 porzione corrisponde a 250 g al netto degli scarti, sia che gli ortaggi siano crudi o cotti (per l’insalata la porzione consigliata è di 50 g).

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3. I LEGUMI (a cura di Giuseppe Greco)

Nella tradizione culinaria mondiale i principali legumi utilizzati sono: � i ceci; � i fagioli, che possono essere di diverse varietà: borlotti, cannellini (si adattano bene

alla conservazione in scatola), il Bianco di Spagna, il Galiziano, lo Scozzese; � le fave fresche; � le lenticchie, commercializzate in diverse varietà, che si distinguono in base alla

loro dimensione; tra le grandi troviamo la lenticchia comune e la lenticchia verde, mentre tra le piccole troviamo le egiziane e quelle rosse;

� i piselli; � la soia, che viene commercializzata in tre diverse varietà: 1) la soia gialla, o

comune, con la quale si produce anche la farina; 2) la soia rossa, ottimo disintossicante; 3) la soia verde, adatta per fare i germogli;

� I lupini

3.1. Accortezze nell’acquisto e nella conservazione (a cura di Giuseppe Greco)

I legumi più freschi sono quelli più rotondi, più luminosi e senza rughe. I legumi vanno acquistati negli esercizi in cui si riconosce esserci un ricambio continuo; anche se i legumi si preservano bene, impiegheranno moltissimo per cuocere se è trascorso un anno dal suo confezionamento. Al riguardo il tempo ottimale di conservazione non deve superare i sei mesi ed essi resistono meglio in un ambiente fresco, asciutto e buio, chiusi in contenitori a tenuta d'aria. Possono essere conservati in barattoli di vetro, purché non siano esposti al sole, che ne danneggia il sapore e le sostanze nutritive. Nonostante non sia la migliore scelta il mercato al consumo, tuttavia, si esprime per i legumi in scatola piuttosto che per quelli freschi o secchi perchè rappresentano una soluzione ottimale nel rapporto tra praticità e qualità. L'alternativa di prepararsi autonomamente i legumi secchi esiste ma è più laboriosa; infatti quelli che si trovano al supermercato sono spesso di qualità medio-bassa e non hanno un gran sapore, a meno di non utilizzare la stessa strategia di quelli in scatola (cioè salarli esageratamente). Una preparazione autonoma si basa sulla sterilizzazione dei legumi in vasetti di vetro, preventivamente messi a bollire in acqua; successivamente i legumi devono essere coperti con la loro acqua di cottura, riempiendo il vaso fino all'orlo. Dopo di ciò i vasetti così riempiti si sottopongono all’acqua bollente messi sottosopra e dopo 30 minuti di fuoco medio vanno raffreddati fino a completamento e messi in luogo fresco e asciutto. All’atto del consumo bisogna sempre controllare che il tappo non si sia gonfiato: in tal caso i legumi vanno gettati poiché sicuramente hanno subito una contaminazione da parte di microbi che hanno sviluppato dei gas.

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3.2. Uso culinario

Tutti i legumi, ma soprattutto le lenticchie, vanno controllati per eliminare eventuali pietruzze, quindi risciacquati per liberarli dalla polvere superficiale. Essi vanno comunque sottoposto ad una notte di ammollo che può essere sostituita, portandoli a ebollizione in acqua abbondante per 3-5 minuti per poi lasciarli riposare nell'acqua per un'ora prima del risciacquo finale. In queste fasi alcune vitamine andranno perse. Tale processo risulta comunque necessario perché i legumi sono ricchi di una sostanza amara e devono quindi essere sottoposti a processi di deamarizzazione tramite macerazioni in acqua corrente e bolliture in acqua salata. Uno dei casi più estremi in tal senso è rappresentato dai ceci che richiedono un ammollo di circa 24 ore prima della cottura che dura non meno di 3 ore. I legumi si cucinano mettendoli in tegame senza salare l’acqua perché il sale indurisce il rivestimento esterno, e la cottura richiede più tempo. Si possono aggiungere verdure, erbe, spezie o condimenti: cipolla, aglio, carote, altre verdure a radice, grani di pepe nero, zenzero o peperoncino rosso. L'aggiunta di semi di anice, aneto, finocchio o cumino, oppure di una striscia di alghe kombu, aiuta la digestione.La farina di ceci ha diverse applicazioni culinarie nel mondo. Ad esempio viene utilizzata per la preparazione della "farinata", tipico piatto ligure, oppure dell' "hummus", in Oriente. Ma sicuramente l’utilizzazione più conosciuta a livello locale palermitano è quella che porta alla formazione delle “panelle”, ossia frittelle di farina di ceci lavorata con acqua e cotte in olio bollente, che rappresentano una prelibatezza gustate con alcune forme di pane locale arricchite di sesamo, dal sapore dolciastro.

3.3. I legumi di qualità della Provincia di Palermo (a cura di Giuseppe Greco)

La superficie provinciale interessata dai legumi, pur nella variabilità delle superfici a seminativo, si attesta intorno agli Ha 4.000 per una prodizione di prodotto secco di circa q.li 100.000. Le superfici totali provinciali interessate dalla faseolicoltura non superano gli Ha 50 con una resa media di q.li/Ha 5,0 mentre quelli investiti a lenticchia raggiungono una estensione di Ha 80 con esiti medi di q.li/Ha 8,0 (ISTAT 2004). Le coltivazioni di pregio delle quali si discuterà di seguito rappresentano pertanto una produzione di nicchia nella nicchia rappresentando lo 0,6% di una categoria le cui specie vegetali sono già poco rappresentative nell’ambito delle stesse leguminose.

3.3.1. Fagiolo Badda di Polizzi Generosa (a cura di Giuseppe Greco)

Da due secoli negli orti di Polizzi Generosa, si coltiva un fagiolo bicolore: medio piccolo e tondeggiante, chiamato affettuosamente “badda”, cioè palla in dialetto. Coltivato in 10 ettari frammentati del polizzano presenta un sapore unico unitamente ad una eccellente compattezza oltre che ad una maggiore digeribilità, dovuta alla

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scarsa presenza di lignina. Dal giugno 2004 presidio Slow food per la Provincia di Palermo. Da due secoli negli orti di Polizzi Generosa, nel Parco Naturale delle Madonie, si coltiva un fagiolo bicolore (bianco e avorio, dalla gradazione a macchie rosate fino al viola scuro): medio piccolo e tondeggiante, chiamato affettuosamente “badda”, cioè palla in dialetto. Incerta è l’origine del nome, infatti, secondo alcuni il nome deriva dalla forma del legume mentre, per altri, la denominazione dipende dal fatto che, crescendo quasi rasente al terreno su incannucciati all’uopo realizzati dai coltivatori, assume una forma di allevamento tipologicamente globosa.

La ''fasola a badda'', pressochè sconosciuta lontano dalle Madonie, è un fagiolo che presenta alcuni caratteri di eccellenza, oltre la naturale e genuina bontà. Infatti contiene una bassissima quantità di lignina - una fibra vegetale che costituisce anche il materiale di struttura e di sostegno delle piante legnose - che la rende particolarmente morbida. Ciò comporta, in buona sostanza, la contemporanea piacevolezza di un sapore unico unitamente ad una eccellente compattezza oltre che ad una maggiore digeribilità, dovuta proprio alla scarsa presenza di lignina: quest’ultimo parametro conduce anche a minori problemi di metorismo, fenomeno molto noto ai consumatori di fagioli delle varietà tradizionalmente commerciali. Questo particolare prodotto si è adattato negli anni non solo al clima delle Madonie, ma anche alle caratteristiche particolari dei terreni polizzani, ricchi di calcare. Le predette caratteristiche di alta digeribilità e compattezza del legume rendono il fagiolo “Badda” indicatissimo per la realizzazione di zuppe e non è un caso se i piatti più famosi di Polizzi Generosa annoverino il “Badda” come ingrediente fondamentale. Si citano al riguardo i tagliolini con la fasola, la minestra ed il cunigghiu: una pietanza che, a dispetto del nome, è preparata con pesce (ventresca e baccalà) e verdure. Il fagiolo è una specie leguminosa appartenente ai generi Phaseolus e Vigna. Si tratta di una pianta erbacea annuale di altezza e portamento estremamente variabili, con tipi nani (dwarf), tipi rampicanti, tipi semirampicanti (short vined) e tipi prostrati. Il fagiolo “Badda” è riconducibile al tipo rampicante. Il legume è ricco di proteine e carboidrati e piuttosto povero di grassi. Come in molte leguminose da granella, sono presenti un gran numero di fattori antinutrizionali:

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emoagglutinine (lectine), inibitori della tripsina, inibitori dell’amilasi, inibitori delle proteasi, fattori sequestranti metalli, fattori antivitaminici, alcool insolubili, glucosidi cianogenetici e carboidrati fermentescibili (stachiosio, verbascosio). Questi ultimi conferiscono alla granella del fagiolo la sgradevole proprietà di indurre meteorismo e flatulenza in chi se ne ciba in abbondanza. La composizione aminoacidica delle proteine del fagiolo è complementare a quella dei cereali, essendo nel primo ben rappresentati gli aminoacidi lisina e triptofano, che sono invece carenti nei secondi. Il ciclo emergenza-maturazione ha durata estremamente variabile in funzione del tipo e della precocità della varietà, dell’ambiente di coltivazione e dell’epoca di semina: il fagiolo “Badda” impiega per il suo ciclo biologico di coltura intercalare 85-100 giorni. Questa varietà, localmente, viene allevata come coltura intercalare: carattere che la rende compatibile ed integrabile con una coltura principale di tipo cerealicolo.

FASE FENOLOGICA COLTURA INTERCALARE Data coltura a

maggiore altimetria Data coltura a minore altimetria

Semina 13/6 20/7 Emergenza 25/6 29/7 Inizio accrescimento rapido (4 foglie vere)

13/7 13/8

Abbozzi fiorali 3/8 31/8 Fioritura 10/8 6/9 Fine formazione baccello

30/8 21/9

Raccolta 30/9 12/10 Come si vede dalla superiore tabella, le date di semina - minime e massime in zona - possono variare rispetto all’altimetria e, quindi, alla precocità pervenendo ad una produzione ottobrina pressocchè coeva. Il fagiolo è tipica pianta macroterma e, nonostante sia anche specie brevidiurna, la varietà “Badda” si comporta come indifferente alla durata del giorno. Le migliori condizioni climatiche della specie si riscontrano nei climi temperato-caldi a estate umida, ma non eccessivamente calda. Il fagiolo è piuttosto esigente in fatto di acqua: è stato stimato che un fagiolo di tipo precoce (90 giorni) abbia bisogno di circa 350-400 mm di acqua per svolgere il suo ciclo senza inconvenienti. Naturalmente, i fabbisogni crescono nei tipi rampicanti a sviluppo indeterminato e ciclo molto lungo. La siccità causa i maggiori danni durante la fioritura e il riempimento dei semi: nel primo caso si ha scarsa allegagione e/o cascola dei baccelli appena formati, nel secondo un incompleto riempimento dei semi. Anche gli eccessi idrici possono arrecare danno, soprattutto durante l’emergenza e gli stadi iniziali del ciclo biologico, quando condizioni di asfissia limitano l’accrescimento dell’apparato radicale e inibiscono l’attività dei rizobi azotofissatori. Conseguentemente il fagiolo “Badda”, pur essendo coltivato in ambiente collinare-

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montano, non si può sottrarre alla necessità della pratica irrigua, anche in funzione del periodo in cui viene coltivato. Il sistema irriguo utilizzato nel polizzano è quello a microportata ed esattamente l’ala gocciolante con gocciolatore da 4-8 l/h a servizio della pianta, la cui distanza, quindi, dipende strettamente dal sesto d’impianto sulla fila. Il fagiolo è una coltura miglioratrice: lascia residui colturali (contenenti da 40 a 50 kg ha-1 di azoto organico) facilmente umificabili per il buon rapporto C/N. Come coltura intercalare estiva può essere seminato subito dopo un cereale invernale a raccolta precoce. In relazione all’apparato radicale piuttosto superficiale e al fatto che la coltura viene irrigata, non sussistono motivi che impongono lavorazioni profonde: 0,30-0,35 m di profondità appaiono di norma appropriati. La lavorazione principale può essere realizzata con un’aratura e, come coltura intercalare, assume importanza non tanto l’accurata preparazione del terreno quanto la tempestività della semina, in ragione della stagione utile. E’ lecito ritenere che nel fagiolo si possano ottenere ottimi risultati con la lavorazione minima o con la non-lavorazione. Nel primo caso, il terreno viene preparato con un erpice o con una zappatrice, nel secondo non si effettua alcuna lavorazione, ma è necessario disporre di una seminatrice speciale predisposta per la semina su terreno non lavorato. La semina viene effettuata a postarella (5-6 semi per postarella) o a fila binata con applicazione di sostegni (canne, rami di castagno, ecc.) con densità di piante di n°/mq 7,2. I sesti prevedono distanze di cm 30 sulla fila e di cm 45 sulla interfila. I fabbisogni nutritivi della varietà non sono molto dissimili da quelli di specie leguminose affini. La concimazione, per pervenire ad una produzione di granella pari a 3 q.li/1.000 mq, si aggira su 4 Kg/1.000 mq di N, 7 Kg/1.000 mq di P2O5, 7 Kg/1.000 mq di K2O. Le cure colturali si limitano ad una eventuale rullatura dopo la semina e, qualora in diserbo chimico non venga effettuato o non abbia avuto effetto, alla sarchiatura-rincalzatura delle piante. L’irrigazione del fagiolo “Badda” è effettuata già a partire da subito dopo la semina. L’irrigazione alla semina è fatta con molta attenzione onde evitare la formazione della crosta superficiale. Proprio per questo motivo è utilizzata l’irrigazione a microportata che minimizza questo problema. In funzione dell’andamento climatico, i fabbisogni irrigui stagionali variano tra 100 e 200 mc/mq 1.000 in presenza di irrigazione localizzata a microportata. Inoltre in relazione al modesto sviluppo dell’apparato radicale della pianta e alla sua spiccata sensibilità alla siccità, l’irrigazione deve essere fatta frequentemente e con volumi irrigui modesti (max 6 mc/mq 1.000 ogni 3 giorni). La produzione è a maturazione scalare e pertanto la raccolta viene effettuata manualmente a sviluppo completato. Le rese si attestano sui 2,5 q.li/1.000 mq di prodotto secco e sugli 1,5 q.li/1.000 mq di baccello raccolto allo stato verde (a 60-70 giorni dalla semina). La tecnica colturale, oggi adottata per il fagiolo “Badda”, è un tipico esempio di esercizio agricolo a basso o a nullo impatto. Questa considerazione è da tenere in

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debito conto nella futura produzione di un disciplinare di produzione basato su una produzione biologica o integrata. La concimazione, laddove effettuata con fertilizzanti chimici, può essere facilmente sostituita con concimi organici, come il letame o la pollina, provenienti dai diffusi allevamenti madoniti. La superficie media annuale rilevata in territorio di Polizzi ammonta ad Ha 9,00 circa, con una media aziendale di mq 5.000. La produzione totale è, pertanto, di circa q.li 45 annuali. Uno dei problemi della bisecolare coltivazione del fagiolo “Badda” è quello del mantenimento in purezza della semente utilizzata all’inizio di ogni ciclo colturale. Comunicazioni informali di uno dei produttori asseriscono di una purezza dei caratteri genetici della semente valutabile al 60%. Infatti, l’attuale materiale viene annualmente selezionato, dagli stessi imprenditori per il reimpiego nelle operazioni di semina, in base a criteri di carattere somatico. Pertanto, vista l’opportunità di un fagiolo dagli elevati standard di digeribilità e piacevolezza gastronomica, il vincolo al momento è costituito dalla assenza di uno studio che identifichi le caratteristiche che rendono unico questo legume e da un’attività di miglioramento genetico finalizzato alla selezione varietale del seme. Nell’ambito delle attività di miglioramento genetico della varietà, necessiterebbe tendere alla propagazione dei cloni varietali che mostrino la contemporanea maggiore resistenza nei confronti dei principali patogeni della specie. Il volume produttivo ed il numero delle aziende minimo collocano la produzione del fagiolo “Badda” in una situazione che, a parte quella reimpiegata per la semente, la stessa viene collocata facilmente sul mercato locale a prezzi molto remunerativi (€/kg 8,00). Proprietà salutistiche (a cura del Co.Ri.Bi.A.) I fagioli sono un alimento di rilevante valore nutritivo. Il loro contenuto proteico medio va dal 2% dei fagiolini al 6,5% dei fagioli freschi e al 23,5% dei fagioli secchi. Nei fagioli è inoltre discreto il contenuto in vitamine B1 e B2 e in niacina. Va però ricordato che la B1 viene in buona parte distrutta dalla prolungata cottura resa necessaria dalla particolare consistenza dei tegumenti esterni del fagiolo. I fagioli secchi rappresentano anche una buona fonte di calcio, potassio e ferro. La digeribilità gastrica migliora se vengono privati della buccia. Pur non determinando variazioni nella produzione di insulina e nell'insulinemia, il baccello di fagiolo è capace di abbassare il picco massimo della glicemia mantenendolo costantemente basso per 2-3 ore. Infatti la faseolamina, legandosi all'alfa-amilasi pancreatica, inattiva tale enzima impedendo così la digestione degli amidi. Questa azione è sinergizzata dalla presenza di un'alta percentuale di fibre alimentari che, rallentando lo svuotamento gastrico, rendono possibile un graduale arrivo degli zuccheri nell'intestino controllando in tal modo il picco glicemico postprandiale.

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Contengono, inoltre, una buona fonte di vitamine del gruppo B, di folati di minerali come ferro, zinco e calcio, polisaccaridi (amido e fibra) molto importanti sia per gli effetti fisiologici e metabolici che per il ruolo protettivo nella prevenzione di alcune patologie dell’apparato digerente. Le proteine sono presenti con una percentuale media del 30%, esse sono caratterizzate nel complesso da una buona e ben equilibrata composizione in amminoacidi essenziali ed in particolare di lisina, mentre gli amminoacidi solforati( metionina e cistina) sono quelli limitanti. Tutti questi costituenti, mediante meccanismi diversi, esplicano tutta una serie di effetti positivi sulla salute quali:

� effetto protettivo nei confronti del cancro del colon-retto come conseguenza dell’aumentata motilità intestinale e della fermentazione dei carboidrati nel colon;

� effetto protettivo verso le malattie cardiovascolari grazie all’abbassamento dei trigliceridi plasmatici;

� abbassamento del colesterolo nel plasma. Accanto all’elevato potenziale nutrizionale, troviamo un gruppo eterogeneo di composti noti come “ fattori antinutrizionali”. Essi possono interferire con la digeribilità delle proteine, l’assorbimento di minerali e vitamine e con le funzioni dell’epitelio intestinale, provocando così carenze nutrizionali. Presentano una natura proteica e non proteica, tra i fattori antinutrizionali di natura proteica si evidenziano le lectine e gli inibitori enzimatici delle proteasi (tripsina e chimotripsina) e dell’ α- amilasi. I più noti tra quelli di natura non proteica sono invece i fenoli semplici e complessi (flavonoidi, chinoni, isoflavoni, tannini). Gli effetti negativi, legati alla presenza di alcuni prodotti antinutrizionali, diventano vistosi solo nel caso in cui vengono assunti in grande quantità.

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Componenti salutistiche e valore energetico

Proteine * 33.77 %

Lipidi * 2.41 %

Carboidrati * 60 %

Amido ** 40.2 g

Zuccheri solubili ** 3.5 g

Fibra * 3.13 %

Energia ** 278 Kcal

Sodio * 14.8 mg

Potassio ** 1478 mg

Ferro * 5.9 mg

Calcio * 189.2 mg

Niacina ** 2.10 mg

Ceneri * 3.87 %

Cu * 1.0 mg

Mg * 0.4 mg

Zn * 3.1 mg

Al* 3.2 mg

Ac. palmitico * 0.16 %

Ac. stearico* 0.02 %

Ac. oleico* 0.11 %

Ac. linoleico * 0.47 %

Ac. linolenico * 0.68 %

* Dati forniti dal Consorzio Ballatore riferiti a 100 g di prodotto ** Dati forniti dall’Istituto Nazionale della Nutrizione riferiti a 100 g di prodotto

3.3.2. Lenticchia di Ustica (a cura di Antonino Bacarella e Salvatore Tudisca)

La lenticchia è una delle piante più antiche fra quelle che l´uomo ha imparato a coltivare. Dalla Mesopotamia, dove è "nata", si è diffusa in ogni angolo del Mediterraneo; tutti i popoli hanno apprezzato questo legume per le sue qualità nutritive e per la facilità di conservazione. Per secoli essa è stata l´elemento trainante dell’economia di Ustica, basata fin dal Settecento sull’agricoltura di cereali e legumi. Le lenticchie venivano esportate a Napoli e da qui smistate nei vari mercati italiani. Questo fino a quando, negli anni Sessanta, il turismo non ha preso il sopravvento. Con il boom di visitatori molti coltivatori hanno abbandonato la terra per dedicarsi ad attività terziarie più redditizie. Risultato: campi incolti e infestati di erbacce. Negli ultimi anni la svolta, che ha visto il rilancio di questa antica coltura.

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Da quando la lenticchia di Ustica è diventata presidio di Slow Food, la lenticchia di Ustica sta vivendo un rilancio. Il segno più evidente è l’aumento della produzione che nel volgere di poche stagioni è passata da trenta a cento quintali. I produttori hanno costituito un comitato e vendono le lenticchie con un unico marchio, che presentano anche alle fiere di settore. Inoltre, hanno richiesto la certificazione biologica che attesti il ciclo di produzione assolutamente naturale. Si seminano in gennaio e si raccolgono in giugno, le erbe infestanti si tolgono a mano, con la zappa. La spagliatura si fa sempre nello stesso modo da centinaia di anni, seguendo una vecchissima tradizione: si calpestano le piantine con delle grosse pietre trascinate dagli asini, quindi si lanciano in aria con un tridente e il vento di Ustica pensa a separare la paglia dalle lenticchie che poi verranno raccolte, setacciate e impacchettate. Le lenticchie della piccola isola siciliana hanno caratteristiche peculiari; innanzitutto le dimensioni, alquanto ridotte, il colore, molto scuro, che richiama quello del suolo vulcanico su cui crescono le piante (e che è poi quello che, con la sua ricchezza di minerali, dà alla lenticchia eccellenti qualità organiche), la facilità della cottura. E poi, naturalmente, il gusto, che si esalta nella classica preparazione "a minestra", cioè il legume arricchito di pasta corta. In questo sono maestri i ristoratori dell’isola: la zuppa di lenticchie, specialmente in questa stagione, è sempre sul menù e non solo per compiacere i turisti, che sempre più la richiedono, ma proprio nell’ottica di un recupero delle tradizioni gastronomiche locali. La coltivazione è attuata su una superficie di circa Ha 12 e da circa 35 aziende che destinano al legume una superficie media di circa mq 3.500. Il volume medio annuale di produzione ragguaglia circa q.li 100. Quando non utilizzata nelle locale gastronomia, viene per lo più commercializzata dai contadini direttamente ai turisti. Propietà salutistiche (a cura del Co.Ri.Bi.A.) Sono alimenti molto ricchi in amminoacidi essenziali e contengono da due a tre volte le proteine dei cereali. Contengono, inoltre, una buona fonte di vitamine del gruppo B, di folati di minerali come ferro, zinco e calcio, polisaccaridi (amido e fibra) molto importanti sia per gli effetti fisiologici e metabolici che per il ruolo protettivo nella prevenzione di alcune patologie dell’apparato digerente. Le proteine sono presenti con una percentuale media del 20%, esse sono caratterizzate nel complesso da una buona e ben equilibrata composizione in amminoacidi essenziali ed in particolare di lisina, mentre gli amminoacidi solforati (metionina e cistina) sono quelli limitanti. I carboidrati rappresentano mediamente il 60% del peso secco e sono costituiti da carboidrati complessi o polisaccaridi ( amido e fibra) e da zuccheri. La fibra è presente sia in forma insolubile che solubile: la prima è costituita essenzialmente da cellulosa ed emicellulosa e svolge un’importante azione fisiologica a livello dell’intestino in guanto ne stimola la motilità; la seconda è costituita

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principalmente da pectine, queste, dopo essere arrivate inalterate al colon subiscono un processo di fermentazione ad opera della microflora intestinale con produzione di acidi grassi a catena corta (acido acetico, propionico, butirrico). Tutti questi costituenti, mediante meccanismi diversi, esplicano tutta una serie di effetti positivi sulla salute quali: - effetto protettivo nei confronti del cancro del colon-retto come conseguenza

dell’aumentata motilità intestinale e della fermentazione dei carboidrati nel colon; - effetto protettivo verso le malattie cardiovascolari grazie all’abbassamento dei

trigliceridi plasmatici; - abbassamento del colesterolo nel plasma. Le lenticchie sono un’ottima fonte di tiamina, niacina ed in misura ridotta di riboflavina. Accanto all’elevato potenziale nutrizionale, troviamo un gruppo eterogeneo di composti noti come “ fattori antinutrizionali”. Essi possono interferire con la digeribilità delle proteine, l’assorbimento di mimerali e vitamine e con le funzioni dell’epitelio intestinale, provocando così carenze nutrizionali. Presentano una natura proteica e non proteica, tra i fattori antinutrizionali di natura proteica si evidenziano le lectine e gli inibitori enzimatici delle proteasi ( tripsina e chimotripsina) e dell’ α-amilasi. I più noti tra quelli di natura non proteica sono invece i fenoli semplici e complessi ( flavonoidi, chinoni, isoflavoni, tannini). Gli effetti negativi, legati alla presenza di alcuni prodotti antinutrizionali, diventano vistosi solo nel caso in cui vengono assunti in grande quantità.

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Composizione chimica e valore energetico

Umidità * 12%

Proteine * 20%

Lipidi * 1 %

Carboidrati ** 60 g

Amido ** 44 g

Zuccheri solubili ** 1.8 g

Fibra * 4 %

Energia ** 291 Kcal

Sodio * 19.1 mg

Potassio ** 980 mg

Ferro * 142.4 mg

Calcio * 111.2 mg

Fosforo ** 376 mg

Tiamina ** 0.47 mg

Riboflavina ** 0.20 mg

Niacina ** 2 mg

Vitamina A ** 10 mcg

Ceneri * 3.5 %

Cu * 0.88 mg

Mg * 143.32 mg

Zn * 3.3 mg

Al* 222.1 mg

Ac. palmitico * 0.06 g

Ac. stearico* 0.05 g

Ac. oleico* 0.12 g

Ac. linoleico * 0.32 g

Ac. linolenico * 0.07 g

*Dati forniti dal Consorzio Ballatore per 100 g di prodotto ** Dati dell’Istituto Nazionale della nutrizione per 100 g di prodotto

3.4. Valutazione nutrizionale dietetica del gruppo alimentare (a cura di Carlo Cannella e Giuseppina Colicci)

La qualità proteica, basata sul contenuto in aminoacidi, è discreta. I legumi sono, infatti, gli alimenti vegetali a più alto contenuto proteico, contenendone circa il 20 g % (il doppio dei cereali e una quantità analoga a quella della carne anche se di valore biologico inferiore). Il contenuto in proteine ed in generale di nutrienti dei legumi è riferito comunemente al prodotto secco che quando viene cucinato riacquista buona parte dell’acqua e quindi il contenuto proteico di 100 g di fagioli cotti è di circa 8-10 g

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% che è molto vicino a quanto si osserva nel legume fresco crudo. E’ importante ricordare che il valore nutritivo delle proteine dei legumi diventa notevolmente più elevato se abbinati ai cereali perché le carenze in aminoacidi essenziali dei legumi vengono a compensarsi con quelle dei cereali e viceversa. Per questo in tutte le tradizioni regionali l’abbinamento di legumi e cereali si è affermato come un piatto tipico della gastronomia: pasta e fagioli, riso e piselli, orecchiette con i ceci, etc. Allo stato secco i legumi hanno un elevato contenuto di carboidrati, costituito prevalentemente da amido. Il valore calorico, quindi, è elevato, rendendo questi alimenti anche una buona fonte di energia. I grassi dei legumi contengono una discreta quantità di acidi grassi essenziali e pertanto sono soggetti ad irrancidimento se conservati per lungo tempo senza particolari accorgimenti. Elevato è il contenuto in fibra, sia “insolubile” capace di regolare il transito intestinale, che “solubile” o “formante gel”. I legumi sono importanti anche come fonti di vitamine del gruppo B (B1 e B2), niacina e folati. Inoltre, forniscono sali minerali, contenendo discrete quantità di ferro, zinco e calcio.

3.5. Porzione di riferimento (a cura di Carlo Cannella e Giuseppina Colicci)

Una porzione di riferimento (QB) di legumi corrisponde a circa 30g (secchi) o a 100g (freschi); in una corretta alimentazione per un individuo sano, si consiglia l’uso alternato di tutti i prodotti di questo gruppo consumandoli almeno due volte a settimana (2QB). I legumi secchi hanno in media 300 kcal per 100 g, mentre i freschi ne forniscono circa 133 kcal per 100 g ad eccezione di fagiolini e fave che contengono rispettivamente 18 kcal e 41 kcal per 100 g.

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4. IL PESCE

I pesci vengono classificati generalmente in base al contenuto di grasso (magri, semigrassi e grassi) e alla provenienza (di mare e di acqua dolce) . E’ possibile distinguere anche tra pesci di cattura e pesci d’allevamento. I pesci magri hanno una percentuale di grasso inferiore al 3% (acciuga, luccio, merluzzo, orata, palombo, rombo, sardina d’inverno, scorfano, sogliola, spigola,…) I pesci semigrassi hanno una percentuale di grasso tra il 3 e l’8% (carpa, cefalo, dentice, sardina, triglia, trota,…). I pesci grassi hanno una percentuale di grasso superiore all’8% (anguilla, capitone, salmone, sardina d’estate, sgombro, tonno,…). Il contenuto di grasso nel tonno varia con l’età tra il 3 e il 15%. I pesci di acqua dolce più comuni sono l’anguilla, il salmone, la trota. Tra le specie di acqua dolce allevate, le trote rappresentano il 70% dell’intera produzione, mentre le anguille contribuiscono per il 5%. Il rimanente 25% è dato dalle specie marine, per lo più spigole e orate. Il pesce di allevamento è considerato più sicuro in termini di igiene e salubrità, poiché gli impianti di acquacoltura sono soggetti a controlli sanitari nel corso dell’intero ciclo produttivo. Ai mangimi non possono essere aggiunti né antibiotici né ormoni. Il consumo di pesce allevato può essere ritenuto vantaggioso anche per altri fattori: assenza di sostanze nocive presenti invece nei pesci di mare; tempi ridotti tra il prelievo dalle vasche e la commercializzazione e quindi il consumo; ampia disponibilità sul mercato indipendentemente dalle condizioni meteorologiche; prezzo molto più conveniente rispetto ai pesci di mare. Classificazione più commerciale e meno legale è quella tra pesece “azzurro”, “bianco” e "frutti di mare". Particolare importanza viene data localmente al pesce azzurro per il fatto che pescato in tutti i mari italiani e quindi vicino ai mercati di vendita, offre la massima garanzia di freschezza ed economicità quasi tutto l'anno. Il "pesce azzurro" è una denominazione di uso generale e non corrisponde a un gruppo scientificamente definito di specie. Si definiscono azzurri quei pesci dalla colorazione dorsale blu scuro (ma spesso è presente anche un po' di verde) e ventrale argentea. Tra questi rientrano pesci come l'aguglia, l'alaccia, l'alice, il cicerello, la costardella, il lanzardo, il pesce sciabola, la sardina, lo sgombro, lo spratto e il suro. Inoltre possono essere considerati azzurri per la loro colorazione, anche molti pesci che, per dimensioni e forme, non hanno nulla in comune con "gli azzurri" più conosciuti. Tra questi troviamo l'alalunga, l'alletterato, il biso, la lampuga, la palamita, il pesce spada e il tonno. I frutti di mare si suddividono in tre categorie: cefalopodi, privi di conchiglia o con conchiglia interna come il polpo e la seppia; gasteropodi, dotati di conchiglia a una sola valva come murici e lumachine; lamellibranchi con conchiglia a due valve, come le vongole, le cappesante, le cozze e i pesci.

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4.1. Accortezze nell’acquisto e nella conservazione

Quando arriva sui banchi di vendita, infatti, il pesce manda segnali facilmente interpretabili. L'odore, ad esempio, deve essere delicato, deve ricordare il profumo del mare; il corpo deve essere rigido e arcuato; la consistenza delle carni deve essere soda ed elastica. Bisogna fare attenzione anche alle squame che devono essere molto aderenti. L'occhio sporgente con la pupilla nera e la cornea trasparente sarà un altro segnale importante da considerare. Il Pesce fresco si distingue per queste caratteristiche: - Odore: tenue, marino, gradevole - Aspetto Generale: brillante, metallico iridescente - Corpo: rigido, arcuato - Squame: aderenti - Pelle: colori vivi, cangianti - Occhio: in fuori cornea trasparente pupilla nera - Branchie: roseee o rosso sangue prive di muco - Carni: compatte, elastiche bianche o rosee - Costole e colonna: aderenti alla parete addominale e ai muscoli dorsali Al contrario il Pesce non fresco si caratterizza dei seguenti requisiti: - Odore: acre, sgradevole - Aspetto Generale: smorto, senza riflessi - Corpo: flaccido, molle - Squame: non aderenti - Pelle: colori spenti - Occhio: infossato nell'orbita cornea lattiginosa pupilla grigia - Branchie: giallastre mucolattiginose - Carni: molli, friabili con bordo giallastro - Costole e colonna: non aderenti alla parete addominale e ai muscoli dorsali Il pesce può essere consumato fresco tutto l'anno anche se sono stati previsti periodi in cui è vietata la pesca al fine di tutelarne appropriamente i cicli biologici. Ogni specie poi ha un periodo in cui le sue qualità nutrizionali ed organolettiche sono al livello più alto. Se non si ha la possibilità di acquistare pesce fresco, si può optare per quello surgelato, ugualmente ottimo, perché prodotto con l’esperienza e l’attenzione necessarie. La famiglia dei crostacei (gamberi, aragoste, astici) è alquanto numerosa e presentano una carne compatta, dal sapore con lievi, ma percepibili e gradevoli sfumature dolci. Al momento dell’acquisto devono essere ancora vivi. I Frutti di mare (Ricci, cozze, fasolari, tartufi, datteri e altro ancora) esigono prudenza: devono essere freschi sia che si mangino crudi sia che si mangino cotti. Infatti, la

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cottura elimina i germi, ma non le eventuali tossine da decomposizione che possono essere causa, addirittura, di avvelenamenti. Rimandare l’acquisto nel caso di confezioni surgelate. I frutti di mare comunque richiedono un’accurata e lunga pulizia sotto abbondante acqua corrente. Se non si consumano subito, devono essere ugualmente cotti e poi conservati con la loro acqua in frigorifero per un solo giorno. Le principali regole per riconoscere la freschezza dei frutti di mare: - le conchiglie devono essere lucenti e assolutamente chiuse, più sono aperte più

rivelano di essere state pescate già da qualche tempo; - l’odore deve essere lieve e gradevole: se è intenso può significare freschezza al

limite del consentito; - le reti in cui sono racchiuse alcune varietà di frutti di mare devono avere il bollo

sanitario che riporta anche il nome del Paese di provenienza per il prodotto importato, il nome in italiano e quello scientifico, la data di confezionamento e quella di scadenza che, in alternativa, può essere sostituita dalla dicitura i molluschi bivalvi devono essere vivi al momento dell’acquisto: significa che, se toccati, devono ritrarsi.

Il pesce fresco che acquistiamo al mercato o al supermercato è refrigerato, ossia mantenuto ad una temperatura di 0 – 3 C°.; quello freschissimo, appena pescato, si trova solo nelle città di mare. Il pesce, mantenuto in frigorifero, nella parte più fredda a 0 – 3C° ed in contenitori ben chiusi, si mantiene bene per 1-3 giorni. A queste temperature è molto rallentata la moltiplicazione dei microrganismi, ma a causa di un procedimento chimico, che si chiama ossidazione dei lipidi, il pesce grasso si conserva molto meno rispetto a quello magro. I molluschi ed i crostacei devono essere consumati entro 1 giorno; pellicole e/o sacchetti in PVC sono indicati per la conservazione del pesce. E’ essenziale che il pesce sia ben pulito dalle interiora, lavato e scolato, in tali condizioni può essere congelato, con la consapevolezza che il pesce grasso si conserva meno rispetto a quello magro. E’ consentito vendere il pesce decongelato, ma il consumatore deve esserne chiaramente informato; il pesce decongelato deve essere tenuto distinto dal pesce fresco. Il pesce essiccato, quale lo stoccafisso, può essere conservato in luogo asciutto e ventilato; prima del consumo vanno messi in acqua ed eventualmente battuti per ammorbidire la carne e favorire la penetrazione dell'acqua nei tessuti. I pesci sotto sale, quale acciughe, aringhe e merluzzi, devono essere conservati in luogo asciutto e protetti dagli insetti e dalla polvere. Il pesce salato, come il baccalà salato, contiene il 30-35% di umidità e anch'esso, come lo stoccafisso, va ammollato in acqua per 1-3 giorni prima del consumo. Va conservato a temperatura di frigorifero. Le conserve, quali tonno, salmoni, sgombri e sardine sott’olio, devono essere conservate secondo le indicazioni del produttore; in genere hanno lunga scadenza. Evitare di conservarle in luoghi umidi, controllare frequentemente lo stato delle scatole per evidenziare eventuali tracce di ruggine, rigonfiamenti ed anomalie varie.

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Le semiconserve sono i prodotti a base di pesce, confezionati sotto vuoto in contenitori di plastica o vetro, che subiscono un breve trattamento di pastorizzazione a 80-90 gradi. Tra questi prodotti troviamo le alici marinate, le aringhe e i salmoni affumicati a freddo, la polpa di granchio precotta. Questi prodotti devono essere conservati in frigorifero ed è importante verificare la data di scadenza.

4.2. Il Compartimento marittimo di Palermo

4.2.1. La struttura produttiva del settore ittico

La struttura produttiva del settore peschereccio siciliano risulta composta da 4.600 battelli per un tonnellaggio complessivo di 72.784 tonnellate di stazza lorda. La flotta siciliana rappresenta il 23,5% di tutti i battelli operanti a livello nazionale; tale dato permette di evidenziare il ruolo di primo piano assunto dalla struttura produttiva regionale sull’intera flotta nazionale sia in termini di capacità che di risultati conseguiti. La quota ascrivibile al Compartimento marittimo di Palermo è di oltre un migliaio di imbarcazioni pari ad una quota attestatesi intorno a circa il 25% regionale ed il 6% nazionale. Il sistema più diffuso è la piccola pesca (circa il 70% del numero complessivo) con prevalenza del sistema a strascico a prevalere; comunque il compartimento presenta metodi di pesca che si esprimono in forma artigianale locale (nasse, palangari da fondo e da superficie, reti di posta fisse, sciabiche da natante e da spiaggia, lenze, arpioni, reti da strascico e da circuzione). La piccola circuizione opera in acque costiere e si concentra nella cattura di specie semipelagiche se non addirittura demersali, in acque poco profonde, l’attività della grande circuizione rivolge la propria attenzione sugli stocks di pesce azzurro soggetti a costanti flussi migratori che determinano una notevole variabilità nella consistenza geografica della biomassa disponibile. Ciò comporta notevoli spostamenti dei natanti del sistema, in particolare di quelli con dimensioni maggiori, che seguono le rotte stagionali della risorsa. I nuclei di battelli che manifestano una forte mobilità appartengono all’intera area siciliana ed area di pesca particolarmente battuta è quella in prossimità dell’isola di Lampedusa. A livello di ufficio di iscrizione, la flotta a strascico più importante per numero di battelli e tsl complessivo è quella di Mazara del Vallo. che può essere considerato il più importante compartimento marittimo, non soltanto a livello regionale, ma anche a livello nazionale. Ad eccezione della marineria di Mazara del Vallo, la tipologia di pesca più diffusa è, comunque, quella costiera rappresentata da piccole imbarcazioni.

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La struttura produttiva provinciale come quella siciliana risulta, quindi, caratterizzata da un elevato grado di obsolescenza e da una scarsa propensione degli operatori alla ricostituzione del capitale necessaria per abbattere i costi di gestione e migliorare la performance produttiva. Il volume delle catture della flotta peschereccia provinciale è di poco meno di 40 mila tonnellate, corrispondente a circa 170 milioni di euro. La produzione provinciale rappresenta l’8% di quella nazionale configuratesi come significativa sia per il livello delle catture che per i ricavi conseguiti. Gli occupati provinciali nel settore peschereccio sono circa 5.000 di cui 3.000 occupati direttamente nella pesca marittima; gli occupati nella trasformazione sono valutabili in circa 300 mentre nelle altre attività correlate (commercializzazione, servizi portuali ed altro), trovano occupazione all’incirca 2.500 lavoratori.

4.2.2. L’acquacoltura

L’acquacoltura è un’attività in costante sviluppo, con un’attenzione particolare al rispetto per l’ambiente e alla qualità dei prodotti, si presenta come una valida alternativa per far fronte alla crescente domanda di prodotti ittici. A tale attività, più che il compartimento marittimo di Palermo, sono interessati i mercati ittici ed il sistema di controllo della Provincia posto che gli impianti più rilevanti sono in provincia di Siracusa, Agrigento e Trapani che da sole rappresentano il 92% dei volume produttivo regionale ed altre iniziative di carattere minore ubicate a Filicudi (ME) e Favignana (TP). Da secoli, infatti, le saline del trapanese vengono utilizzate per l'allevamento di specie marine pregiate, così le favorevoli condizioni climatiche hanno permesso alla regione Sicilia di inserirsi tra le prime a livello nazionale, per volumi produttivi legati soprattutto alla piscicoltura marina e salmastra ed a caratterizzarsi come la più significativa realtà produttiva italiana, per quanto riguarda l'allevamento ittico in mare aperto. La maricoltura rappresenta, inoltre, una valida alternativa soprattutto per gli addetti della piccola pesca a strascico, che opera nella fascia costiera; lo sviluppo è peraltro motivato dalla crescente domanda di prodotti ittici e dallo stato di depauperamento di alcuni stock.

4.2.3. Trasformazione e commercializzazione dei prodotti ittici

La struttura dell’industria provinciale di trasformazione ittica - dedita alla conservazione del tonno e derivati, del pesce spada e delle acciughe sott’olio, delle sarde sotto sale, delle acciughe marinate e dei patè di acciughe - si caratterizza per una riduzione di competitività e di redditività. Ciò a causa dei costi di approvvigionamento della materia prima e, in genere, nella consolidazione di un costo per unità di prodotto lavorata non competitivo rispetto ad analoghe produzioni che provengono da Paesi meno sviluppati e detentori delle materie prime. Tale condizione

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ha determinato l’intensificazione, negli ultimi anni, della dipendenza esterna circa la disponibilità di materia prima. La commercializzazione dei prodotti ittici non si scosta dal cliché delle produzioni agricole, essendo contraddistinta dall’elevata presenza di intermediari e di grossisti nel processo distributivo, con le inevitabili conseguenze sui prezzi al consumo; infatti, data la bassa concentrazione dell’offerta, sono rari i casi di accordi diretti tra distribuzione e commercianti finali. La vendita al dettaglio di prodotti ittici freschi avviene in maniera molto capillare su tutto il territorio nazionale e, in particolare, lungo le aree costiere in prossimità dei punti di produzione. Tale diffusione non può che rafforzare l’intero settore specialmente per lo stimolo alla vendita diretta dei prodotti ittici trasformati nei luoghi di produzione. Le strutture di vendita al dettaglio sono di piccole dimensioni e si assiste a una lenta penetrazione nel settore della Grande Distribuzione Organizzata (GDO). I principali mercati ittici provinciali sono quelli di Palermo, Termini Imerese e Porticello che soffrono di una crisi latente perché, come accade nel resto del Paese, non sono in grado di assicurare un servizio sufficientemente valido sotto il profilo dell’efficienza funzionale e della dotazione di attrezzature. La carenza più grave è costituita dall’insufficienza di attrezzature atte a garantire, in tempi ragionevoli, il controllo igienico-sanitario dei prodotti ittici.

4.2.4. Servizi portuali

I porti ed approdi vari presenti nel territorio provincial possono essere stimati in circa una decina che contraddistingue la frammentarietà della pesca marittima regionale e provinciale; l'alto numero e la capillare dislocazione dei punti di sbarco sono i fattori che hanno determinato nel tempo un basso livello degli investimenti in strutture di supporto ed ausiliare alle attività, influenzando negativamente l’efficienza dell’intero sistema economico della pesca. Infatti, la polverizzazione dei punti di sbarco condiziona la capacità di attrazione di capitali sussidiari destinati alle infrastrutture portuali e di servizi, anche commerciali, necessari alla normale efficienza del capitaleinvestito nell’attività produttiva. A tali porti, porticcioli e darsene vanno aggiunte numerose rade e spiagge attrezzate che costituiscono il luogo di attracco di piccole imbarcazioni e, in alcuni casi, anche di vendita del prodotto. I principali porti pescherecci del compartimento marittimo di Palermo sono 5: Palermo, Porticello, Termini Imerese, Terrasini, Cefalù. Tra questi certamente emerge il porto di Porticello che, oltre ad ospitare uno dei mercati del pesce più importanti della Sicilia, si compone di una flotta peschereccia di circa 400 unità, pari a circa un terzo di tutta quella del compartimento marittimo di Palermo. L'origine di Porticello, infatti, riconduce proprio all'attività della pesca del tonno legata alle tonnare di S.Elia e Solanto, che, unitamente a quelle di Trabia, S. Nicola, Palermo (Arenella – Vergine Maria dei “Florio”) e Isola delle Femmine,

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rappresentano testimonianze archeologiche della pesca del tonno importata dagli Arabi e dagli stessi difesa con apposite torri di avvistamento a mare.

4.3. I prodotti di qualità del Compartimento marittimo di Palermo

Le seguenti categorie merceologiche di pesce sono citate in ordine economico di importanza, riferita alla fase di pesca presso le acque del compartimento marittimo di Palermo. Appare chiaro che le ultime tipologie hanno la significatività del consumo locale legato alla tradizione culinaria o quella derivante dalla pesca di pescherecci che si spingono anche al di fuori delle acque compartimentali, per un prodotto pescato che poi verrà commercializzato nei grandi mercati al consumo del capoluogo di Regione.

4.3.1. Il pesce azzurro13

"Pesce azzurro" è una denominazione di uso generale e non corrisponde ad un gruppo scientificamente definito di specie, parimenti a quanto accade per le categorie denominate "pesce bianco" o "frutti di mare". Vengono praticamente definiti azzurri quei pesci che, oltre a caratterizzarsi per una colorazione blu scuro dorsale (ma spesso c'è anche un po' di verde) ed argentea ventrale, sono generalmente di piccole dimensioni, abbondano nei nostri mari e quindi risultano solitamente molto economici, Tuttavia possono essere considerati azzurri per la loro colorazione anche molti pesci, che, per dimensioni e forme, non hanno nulla in comune con gli "azzurri" più conosciuti, quali per esempio la sardina, l'alice o, addirittura di maggiori dimensioni, il tonno o al pesce spada. Per questo motivo, pur rientrando tutti nella medesima categoria convenzionale del pesce azzurro, verranno suddivisi in “pesce azzurro tradizionale” ossia la produzione ittica che racchiude le classi merceologiche di piccole dimensioni, abbondanti ed economiche ed il "pesce azzurro di colore" ovvero l’esito della pesca che comprende la merceologia di maggiore dimensione e la tipologia più rara e, quindi, più costosa alla produzione ed al consumo.

4.3.1.1. Il pesce azzurro tradizionale13

4.3.1.1.1. Acciuga o alice (dialettale: anciova) L’acciuga, detta anche alice, è tra i pesci azzurri più comuni. Di aspetto è piccola, sottile e affusolata di colore argento sui fianchi e sul ventre. Le alici comunemente misurano da 10 a

Acciuga (Engraulis encrasicholus)

13 da Ministero delle politiche Agricole e Forestali - Direzione Generale per la Pesca e l'Acquacoltura:

www.politicheagricole.it/PescaAcquacoltura

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16 cm e raggiungono al massimo i 20 cm. Sono pesci gregari che si riuniscono in branchi e compiono notevoli spostamenti, soprattutto nei mesi invernali, per rifugiarsi in profondità dove trova acque meno fredde. Si riproduce in estate e all'inizio dell'autunno, stagioni durante le quali si avvicina alla costa. La loro pesca si effettua tutto l'anno con reti da traino pelagico e con reti da circuizione. Le alici dell’Adriatico sono più grasse di quelle del Tirreno per la maggior disponibilità di plancton apportata dai fiumi continentali. L'acciuga, oltre ad essere molto importante nell’alimentazione umana, è anche fondamentale nella catena alimentare marina. Moltissimi sono infatti i predatori che se ne nutrono. Per la trasformazione e la conservazione si preferiscono alici più magre. La loro freschezza si deduce dall'occhio che deve essere "vivo" e dai colori brillanti e mai opachi. Hanno carni buone e gustose, sia allo stato fresco che conservato. Caratteristiche: Simile alla Sardina ma di forma più sottile. Dorso: verde-azzurro. Fianchi e ventre: argentei. Dimensioni da 12 a 18 cm. Proteine per 100 g di parte edibile 16,8 Calorie per 100 g di parte edibile 96,0 Grassi per 100 g di parte edibile 2,60 Scarto per 100 g di parte edibile 25% Caratteristiche gastronomiche: Carni buone, gustose, sia allo stato fresco che

conservato. Indicate specialmente per la frittura.

4.3.1.1.2. Aguglia (dialettale: augghia)

L'aguglia vive nel Mediterraneo ed è un pesce migratore dall’aspetto caratteristico: corpo allungato con la bocca allungata simile ad un becco appuntito.

Aguglia (Belone belone)

Di colore blu o grigio scuro sul dorso, argenteo sui fianchi e sul ventre, può raggiungere una lunghezza di 80 cm. Il colore verde della spina centrale non è indice di scarsa freschezza, ma una caratteristica specifica di questa specie. Un tempo si pescava con una rete appositamente costruita, l'agugliara. Oggi, quasi sempre, viene catturata con reti da circuizione e con l'amo da pescatore sportivo. Caratteristiche: Dorso: verde-azzurrognolo Ventre: argenteo Dimensioni da 30 a 70 cm Calorie per 100 g di parte edibile 89,0 Scarto per 100 g di parte edibile 49%

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Caratteristiche gastronomiche: Carni buone per umido, frittura, arrosto.

Caratteristiche

nutrizionali

Sali minerali:

Zinco 1.5 mg/100

Ferro 1.9 mg/100

Fosforo 200 mg/100

Proteine, Grassi,

Carboidrati, Omega3,

...:

Proteine 16 g/100

Grassi 2.1 g/100 Fonte: www.mareinitaly.it

4.3.1.1.3. Alaccia (dialettale: sadda)

L'alaccia vive nella parte più calda del Mediterraneo in banchi numerosi. Ha corpo panciuto, compresso ai lati, colore bluastro sul dorso, biancastro sul ventre e una lunghezza massima di 25 cm. Assomiglia molto alla sardina ma è meno apprezzata dai consumatori.

Alaccia (Sardinella aurita)

Viene pescata con reti da circuizione, in particolare nei mesi estivi.

4.3.1.1.4. Cicerello (dialettale: cicireddu)

Il cicerello è un piccolo pesce dal corpo allungato e sottile, con pelle liscia e senza squame. Il muso è acuto, la mandibola prominente, la bocca

Cicerello (Gymnammodites cicerellus)

grande, protrattile e priva di denti. L'unica pinna dorsale è molto lunga ed è costituita da raggi molli; le pinne ventrali sono assenti, la coda è biforcuta. Il corpo è azzurro verdastro sul dorso e argenteo sui fianchi. E', una spccie che vive sia vicino alle coste che al largo fino a 120 metri di profondità Raggiunge una lunghezza massima di 16/18 cm. Si riunisce in banchi molto numerosi in prossimità, delle coste sabbiose e costituisce una facile preda per altri pesci carnivori e per gli uccelli acquatici. Sia i giovani che gli adulti si insabbiano durante la notte. Si nutre di plancton, che cattura grazie alla notevole capacità di spalancare la bocca attraverso la protrusione della mascella superiore. Si riproduce da novembre a

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gennaio, mesi durante i quali si avvicina alla costa. Il cicerello viene pescato solo in alcune regioni che hanno una lunga tradizione: Calabria, Sicilia e Liguria. Viene pescato con sciabiche da terra e da natante. Le carni, molto richieste, possono essere preparate in vari modi e anche essere trasformate in conserve.

4.3.1.1.5. Pesce sciabola o pesce spatola (dialettale: spatula)

Il pesce sciabola ha il corpo molto allungato, schiacciato ai lati, a forma di nastro che può essere 15 o 20 volte maggiore dell'altezza. La livrea, senza squame, è argentea e brillante, formata da un pigmento che si stacca molto facilmente a contatto con le dita. Nel Tirreno si trova a profondità variabili tra i 100 ed i 1000 m.

Pesce sciabola (Lepidopus

caudatus) Si cattura con reti da circuizione dette ciancioli, in cui il pesce è attirato da una potente fonte luminosa, con reti da traino, tramagli e lenze. Questa specie presenta a volte dei parassiti nella cavità viscerale, che in rari casi possono passare nel tessuto muscolare e si notano come piccole spirali. In presenza di questi parassiti (Anisakis) nella parte muscolare vi sono due possibilità: toglierli o cuocere il pesce e mangiarlo; ma mai cibarsi del pesce sciabola crudo.

4.3.1.1.6. Sardina (dialettale: sadda o sadda vera)

La sardina è un pesce pelagico che si trova fino a 180 metri di profondita, ma che vive generalmente tra i 25 e i 55 metri di profondità di giorno, mentre di notte si spinge fino a pochi metri dalla superficie. Vive in banchi numerosi e compie ampi spostamenti.

Sardina (Sardina pilchardus)

È azzurra-verdastra sul dorso ed argentea sui fianchi e sul ventre, con possibili macchiette nerastre. Si distingue dall'acciuga perché ha la bocca in posizione mediale, mentre quella dell'acciuga, quando è chiusa, è rivolta verso il basso. Il corpo è ricoperto di squame. Si pesca tutto l'anno con reti da traino pelagico, a strascico o da circuizione, utilizzando una fonte luminosa per concentrare i pesci. La sua freschezza si deduce dall'occhio che dev'essere "vivo" e dai colori brillanti e mai opachi. Differenze di colore e sapore si riscontrano a seconda dei mari di provenienza. Le sardine tirreniche sono più azzurre e magre, essendo minori le disponibilità alimentari di plancton. Caratteristiche: Forma: panciuta di piccole proporzioni Dorso: verde-oliva con larga fascia azzurra ai lati Dimensioni da 12 a 20 cm

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Calorie per 100 g di parte edibile 96,0 Scarto per 100 g di parte edibile 30% Caratteristiche gastronomiche: Carni piuttosto grasse in estate, più magre in

inverno, molto gustose, sia fresche che conservate.

Caratteristiche nutrizionali

Vitamine:

Vitamina A 0.28 µg/100

Vitamina B1 0.07 µg/100

Vitamina C 2.5 µg/100

Sali minerali:

Sodio 66 mg/100

Calcio 33 mg/100

Ferro 1.8 mg/100

Fosforo 215 mg/100

Potassio 630 mg/100

Proteine, Grassi, Carboidrati,

Omega3, ...:

Proteine 18.5 g/100

Grassi 14.9 g/100

Carboidrati 1.5 g/100

Omega 3 21.1 g/100 Fonte: www.mareinitaly.it

4.3.1.1.7. Sgombro (dialettale: scurmu o strummu)

Lo sgombro o maccarello è un pesce azzurro di acque profonde (fino a 25 metri), di medie dimensioni che si nutre generalmente di crostacei e anche di piccoli pesci come alici, aringhe o sardine. In primavera, dopo la riproduzione, si avvicina alle coste e lo si trova a profondità minori.

Sgombro (Scomber scombrus)

E’ distribuito in tutto il Mediterraneo ed ha il corpo affusolato ed idrodinamico tipico di un forte nuotatore, tanto che il termine "sgombroide" è usato per indicare la forma dei pesci (tonni, palamiti, ricciole) che nuotano ad elevate velocità. Vive in banchi numerosissimi costituiti da individui delle stesse dimensioni, il che rende più semplice

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le operazioni di pesca. Si cattura soprattutto di notte con reti da circuizione e fonte luminosa. È pescato anche con reti da posta, da traino pelagico ed abbocca facilmente alle lenze dei pescatori sportivi. Ha carni bianche, delicate, molto apprezzate sia fresche che sotto sale. Gli sgombri del mar Tirreno presentano buona morbidezza delle carni, che rimane tale anche quando sono cotte alla griglia Caratteristiche: Corpo: verde-azzurro con linee scure sul dorso Ventre: argenteo Dimensioni può raggiungere il mezzo metro di lunghezza, ma

solitamente da 20 a 40 cm Calorie per 100 g di parte edibile 168,0 Scarto per 100 g di parte edibile 20% Caratteristiche gastronomiche: Carni ottime, molto apprezzate dal sapore

caratteristico. Buonissime arrosto o conservate sott'olio.

Caratteristiche nutrizionali

Vitamine:

Vitamina A 0.01 µg/100

Vitamina B1 0.15 µg/100

Vitamina C 2 µg/100

Vitamina D 0.07 µg/100

Sali minerali:

Sodio 144 mg/100

Calcio 8 mg/100

Ferro 0.9 mg/100

Fosforo 264 mg/100

Potassio 358 mg/100

Cloro 170 mg/100

Proteine, Grassi, Carboidrati,

Omega3, ...:

Proteine 19 g/100

Grassi 10.5 g/100

Carboidrati 0.74 g/100 Fonte: www.mareinitaly.it

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4.3.1.1.8. Suro o sugherello (dialettale: sauru)

Il suro è un pesce dal corpo fusiforme, allungato, leggermente compresso ai Iati. La sua lunghezza comune va dai 15 ai 30 cm ma può raggiungere i 50/60 cm. L'occhio è piuttosto grande. La bocca è ampia, obliqua. La linea laterale è ricoperta di scudetti ossei appuntiti. Ha un colore grigio o verde-bluastro sul dorso, argenteo sul ventre.

Suro (Trachurus trachurus)

Pelagico migratore, vive in grandi banchi e può spingersi a profondità che raggiungono i 600 m. In estate si avvicina alle coste e puo penetrare negli estuari dei grandi fiumi. Si riproduce in estate nel terzo o quarto anno di vita. Viene pescato con rete da posta di profondità oppure di notte con rete a circuizione e fonte luminosa. Sono più pregiati gli esemplari di maggiori dimensioni.

4.3.1.2. Il pesce azzurro di colore14

4.3.1.2.1. Lampuga o pesce capone (dialettale: capuni)

Il capone è un pesce d'alto mare, velocissimo e molto vorace, che vive in piccoli gruppi. Si avvicina alle coste in primavera. Il colore del dorso è grigio-argentato, tendente al giallo. I fianchi sono tappezzati di macchioline brunastre o blu, ha forma allungata, compressa lateralmente.

Lampuga (Coryphaena hippurus)

Una volta pescata, i colori si attenuano. Una caratteristica di questa specie è il profilo del muso che, nei maschi adulti, presenta una sorta di gobba sulla nuca. Può raggiungere anche i 2 m di lunghezza, ma normalmente oscilla tra 50 e 80 cm. Le lampughe, che talvolta entrano nelle tonnare, vengono catturate con reti da posta superficiale e da circuizione. È possibile catturarle anche con la lenza a traino.

14 da Ministero delle politiche Agricole e Forestali - Direzione Generale per la Pesca e l'Acquacoltura:

www.politicheagricole.it/PescaAcquacoltura

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4.3.1.2.2. Pesce spada (dialettale: pisci spata)

È una specie conosciuta fin dall'antichità. Il suo nome deriva dalla caratteristica più evidente, l'enorme sviluppo della mascella superiore, prolungata a formare la "spada", un rostro acuminato e tagliente, lungo circa un terzo della lunghezza dell'animale.

Pesce spada (Xiphias gladius)

Ha un colore grigio ardesia con fianchi argentati, la cui tonalità sfuma via via verso il bianco del ventre. Può raggiungere eccezionalmente la lunghezza di 4-5 m e toccare anche i 500 kg di peso. Nei nostri mari raggiunge al massimo i 3 m di lunghezza e un peso di 350 kg. Vive isolato e raramente viene avvistato in coppia, ma la fedeltà dimostrata dal maschio verso la compagna e rinomata e ben nota ai pescatori. La pesca avviene con maggiore intensità da maggio a ottobre, quando le acque superficiali sono più calde, tramite palangresi di superficie, usando come esca il calamaro o lo sgombro. Uno dei pregi del pesce spada è la sua carne soda, bianca, delicata e priva di lische e spine.

4.3.1.2.3. Ricciola (dialettale: ricciola o aricciola)

La ricciola è un pesce predatore molto resistente, che vive in banchi e raggiunge le dimensioni di 50-80 cm fino ad arrivare ai 190 cm. Gli adulti sono grigio verdi o marrone chiaro sul dorso e più biancastri sul ventre, mentre i piccoli sono gialli con macchie di colore scuro che dal dorso scendono ai fianchi.

Ricciola (Seriola dumerilii)

Questa differenza ha fatto credere per molto tempo che appartenessero a specie diverse. Mentre i piccoli vivono vicino alla costa, gli adulti si spostano in mare aperto dove si nutrono di pesce e invertebrati. Le ricciole sono molto diffuse nei mari siciliani e nel basso Tirreno si recuperano con reti da posta e circuizione: non è raro che finiscano nelle tonnare e possono essere catturate con la lenza. Sono più rinomati gli esemplari piccoli dalla carne bianca e con poche spine. Sono stati fatti diversi tentativi di allevarle anche in Italia, come avviene nei paesi orientali, e si cominciano ad avere le prime produzioni.

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4.3.1.2.4. Tonno (dialettale: tunnu)

È un tunnide migratore di mare aperto che può raggiungere una velocità di 70 km/h. Vive in gruppi numerosi ed è un vorace predatore. La riproduzione avviene tra la metà di luglio e la seconda metà di settembre.

Tonno (Thunnus thunnus)

È noto anche per riuscire a mantenere una temperatura corporea intorno ai 10° C, più alta rispetto alla pelle, grazie ad un sistema dei vasi sanguigni altamente sofisticato. La compera di un pesce fresco dal peso superiore ai 40 kg indica l’acquisto di tonno rosso; se è di piccole dimensioni potrebbe essere un alletterato, un'alalunga, una palamita o un biso che, pur essendo della stessa famiglia, hanno caratteristiche organolettiche diverse. Le carni di tonno rosso hanno caratteristiche diverse a seconda di quale parte del corpo si considera. La parte ventrale è più ricca di grasso e ha una consistenza più morbida rispetto alla parte dorsale. I muscoli rossi invece hanno un sapore più forte. È una specie di notevole importanza per l'industria della pesca e quella conserviera.

4.3.1.2.5. Alalunga (dialettale: alalonga)

L'alalunga è un grosso tunnide pelagico, che si differenzia dal resto della famiglia per la pinna pettorale, lunghissima, dalla quale prende il nome, e per il colore della carne che è bianca e non rossa. Arriva a misurare un metro di lunghezza e può superare i 30 kg, anche se solitamente gli animali pescati localmente pesano intorno ai 4/10 kg.

Alalunga (Thunnus allunga)

Al largo vive in profondità e risale in superficie nelle stagioni più tiepide. Il periodo migliore per acquistarlo è settembre/ottobre, quando ha recuperato le energie spese per la riproduzione. Si può conservare a lungo sott'olio con preparazione casalinga simile a quella per il tonno.

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4.3.1.2.6. Alletterato (dialettale: tunnina)

L'alletterato è chiamato anche tonnetto, è diffuso nei nostri mari più caldi, dove vive radunandosi in banchi. E’ un tunnide dal corpo allungato, a forma di fuso, con la coda molto assottigliata. La pelle è liscia dal colore inconfondibile: il dorso è azzurro nerastro e presenta linee sinuose molto scure. Il fianco e il ventre sono argentati.

Alletterato (Euthinnus alletteratus)

Sul corpo sono evidenti alcune macchie nere tondeggianti il cui numero varia a seconda degli individui. L'alletterato misura al massimo 1 metro e può arrivare fino a 12 kg di peso, più comune tra i 4 e i 7 kg. Viene pescato con ami e reti da circuizione. La pesca più intensa è in primavera e in estate. Può essere conservato.

4.3.1.2.7. Biso (dialettale: tunnina)

Il biso o tonnetto è un pesce pelagico di medie dimensioni, dal corpo affusolato, di colore blu scuro sul dorso e argenteo ventralmente. Vive in gruppi numerosi e si nutre di piccoli pesci pelagici. Si cattura con ami e con reti derivanti. Può raggiungere i 4 kg di peso, ma gli esemplari pescati comunemente sono di 1/2 kg.

Biso (Auxis rochei)

4.3.1.2.8. Palamita (dialettale: Cavaritu impiriali, Covaritu impiriali, Palamitu, Parantùoni, Pirantùni, Pisantuni)

È un tunnide molto comune lungo tutte le coste provinciali. Il colore è blu scuro, a volte nerastro. I fianchi e il ventre sono argentei, con riflessi tendenti al verde e all'azzurro. Sono preferibili gli esemplari di 2/4 kg.

Palamita (Sarda sarda)

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Caratteristiche nutrizionali

Vitamine:

Vitamina A 0.45 µg/100

Sali minerali:

Fosforo 264 mg/100

Proteine, Grassi, Carboidrati,

Omega3, ...:

Proteine 21.5 g/100

Grassi 8.1 g/100 Fonte: www.mareinitaly.it

4.3.2. I Crostacei15

I Crostacei sono organismi acquatici caratterizzati dall'avere appendici articolate, cioè costituite da pezzi mobilmente congiunti fra loro. Il corpo è rivestito da un involucro duro impregnato di sali minerali, che nei crostacei di maggiori dimensioni, importanti dal punto di vista commerciale, formano una robusta corazza. Questo guscio rigido non si accresce con l'animale, ma viene cambiato stagionalmente nel periodo della "muta". In questo particolare momento il guscio si spacca lungo determinate linee e l'animale molle con rapidi movimenti fuoriesce idratandosi rapidamente ed aumentando così di dimensioni. Successivamente si ha la deposizione di sali minerali e si riforma un nuovo guscio. La muta rappresenta un periodo molto delicato nella vita dei crostacei che rimangono privi di protezione e pertanto si ritirano in luoghi nascosti. Le mute sono più frequenti allo stato giovanile. I crostacei marini sono circa ventiseimila, di dimensioni molto variabili, da microscopiche a qualche decina di centimetri; spesso presentano il primo paio di zampe trasformate in robuste pinze o "chele", utilizzate dall'animale per la difesa e per l'offesa. Di seguito si indicano i crostacei commestibili che, seppur pescati in minor quantità nei mari locali, interessano anche per gli aspetti di vendita al dettaglio sui mercati ittici del compartimento marittimo di Palermo.

15 da Ministero delle politiche Agricole e Forestali - Direzione Generale per la Pesca e l'Acquacoltura:

www.politicheagricole.it/PescaAcquacoltura

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4.3.2.1. Aragosta (dialettale: rausta)

Ha un corpo molto robusto, irto di spine e spunzoni. Anteriormente presenta lunghe antenne bicolori, gialle e rosse a tratti, che hanno la funzione di organi sensoriali e che si attaccano al cefalotorace mediante due tronconi rozzi e spinosi. Sembra che, sfregando questi tratti con il cefalotorace, l'aragosta emetta anchè così quel suo classico crepitio. Il colore varia da un rosso più o meno accesso ad un viola intenso con piccole macchie chiare. L'aragosta può raggiungere dimensioni molto grandi con un peso massimo attorno agli 8 Kg. Vive generalmente sui fondali e litorali rocciosi, a profondità comprese tra i 15 e i 100 metri. In estate, l'aragosta cambia guscio accrescendosi di dimensione.

Aragosta (Palinurus elephas)

In questa fase l'animale fuoriesce completamente dalla sua corazza, si rifugia in un anfratto e attende, nutrendosi di conchiglie di molluschi ricche di sali minerali, che lo strato più esterno si solidifichi in una nuova corazza. Anche la riproduzione avviene in estate. Di solito l'aragosta non è un crostaceo solitario ma vive in colonie molto numerose. Le sue carni ottime e molto apprezzate la rendono una specie di notevole interesse commerciale.

Caratteristiche nutrizionali

Vitamine:

Vitamina B1 0.14 µg/100

Vitamina D 0.13 µg/100

Sali minerali:

Zinco 2.5 mg/100

Sodio 210 mg/100

Calcio 76 mg/100

Ferro 1.5 mg/100

Fosforo 234 mg/100

Potassio 180 mg/100

Rame 1.4 mg/100

Proteine, Grassi, Carboidrati, Omega3:

Proteine 16.2 g/100

Grassi 1.9 g/100

Carboidrati 1.2 g/100 Fonte: www.mareinitaly.it

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129

4.3.2.2. Astice (dialettale: astici)

Detto anche lupicante, lupacante, elefante di mare, grillo, longobardo, etc. E' il crostaceo più grosso dei nostri mari. Può raggiungere diversi chili di peso e lunghezza notevole. La caratteristica principale dell'astice è rappresentata dalle sue chele che sono di grandezza diversa. Anteriormente, sopra alle articolazioni delle chele, vi sono due antenne sottili, lunghe e rossastre.

Astice (Homarus gammarus)

La polpa dell'astice è molto simile a quella dell'aragosta ma di qualità inferiore, perchè filacciosa e dura. Questo crostaceo preferisce il fondale sedimentoso caratteristico di questo mare. In Italia la pesca dell'astice su larga scala non è molto praticata perchè non esistono quantità notevoli di questi crostacei. Essi restano solitamente ammagliati nei tramaglia e nei sacchi delle resti a strascico dei pescherecci.

Caratteristiche nutrizionali

Vitamine:

Vitamina B1 0.4 µg/100

Sali minerali:

Calcio 29 mg/100

Ferro 0.6 mg/100

Fosforo 215 mg/100

Rame 1.2 mg/100

Proteine, Grassi, Carboidrati, Omega3, ...:

Proteine 16.9 g/100

Grassi 1.9 g/100

Carboidrati 0.5 g/100 Fonte: www.mareinitaly.it

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130

4.3.2.3. Gambero (dialettale: ammaru e ammareddu)

Il termine gambero è molto generico: infatti sotto questa denominazione vengono accomunate specie diverse. Ve ne sono moltissimi nelle nostre acque, da pochi centimetri fino a profondità altissime. Le loro zampe hanno diverse funzioni: quella della deambulazione, e in questo caso si chiamano organi ambulacrali, e quella di afferrare il cibo, e in questo caso si chiamano prensili. I gamberi hanno poi particolari arti bifidi per lo spostamento a nuoto e, nella femmina, per reggere le uova sotto il ventre. I sessi sono separati e la fecondazione è interna. Si nutrono di detriti che trovano nel fango. La pesca viene effettuata con reti a strascico.

Gambero

(Aristeus antennatus (Risso) e Aristeomorpha foliacea (Risso))

Fonte: www.mareinitaly.it

Caratteristiche nutrizionali

Vitamine:

Vitamina E 0.01 µg/100

Sali minerali:

Zinco 1.11 mg/100

Sodio 282 mg/100

Calcio 39 mg/100

Ferro 1.7 mg/100

Fosforo 258 mg/100

Potassio 328 mg/100

Rame 0.59 mg/100

Magnesio 35.3 mg/100

Proteine, Grassi, Carboidrati, Omega3, ...:

Proteine 18.9 g/100

Grassi 0.2 g/100

Carboidrati 1.7 g/100

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4.3.3. I Molluschi16

I molluschi hanno il corpo molle, protetto esternamente da una conchiglia che, in alcune specie, può essere interna, ridotta o assente. I molluschi si suddividono in numerose classi, tra le quali le più importanti per l'economia umana sono quelle dei bivalvi, cefalopodi e gasteropodi. Essi hanno da sempre suscitato, tra le popolazioni delle zone costiere, un grande interesse sia per le loro qualità nutrizionali che per il loro conseguente valore economico.

4.3.3.1. Cozza

Il mitile o cozza è un mollusco bivalve che vive a poca profondità fissato sui fondi costieri rocciosi o a corpi sommersi su fondali sabbiosi mediante il "bisso" emesso a più riprese nel corso della vita da una particolare ghiandola. Vive in comunità molto numerose soprattutto nelle acque salmastre delle lagune costiere. Il mitile si nutre filtrando l'acqua attraverso le branchie e trattenendo le particelle in sospensione. La lunghezza comune è intorno ai 5-8 centimetri, ma può raggiungere i 15 centimetri. La conchiglia è ovale, allungata, di colore nero e sulla sua superficie dorsale sono visibili le strie di accrescimento.

Cozza (Mytilus galloprovincialis)

16 da Ministero delle politiche Agricole e Forestali - Direzione Generale per la Pesca e l'Acquacoltura:

www.politicheagricole.it/PescaAcquacoltura

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Caratteristiche nutrizionali

Vitamine:

Vitamina A 0.05 µg/100

Vitamina B1 0.16 µg/100

Vitamina C 17 µg/100

Vitamina D 0.15 µg/100

Vitamina E 0.2 µg/100

Sali minerali:

Zinco 1.87 mg/100

Sodio 290 mg/100

Calcio 94 mg/100

Ferro 24 mg/100

Fosforo 193 mg/100

Potassio 315 mg/100

Cloro 455 mg/100

Rame 0.09 mg/100

Magnesio 65.7 mg/100

Proteine, Grassi, Carboidrati,

Omega3, ...:

Proteine 11.2 g/100

Grassi 2.2 g/100

Carboidrati 2.9 g/100 Fonte: www.mareinitaly.it

4.3.3.2. Fasolaro (dialettale: fasularu)

Il fasolaro è un mollusco bivalve che vive su fondali sabbiosi, molto comune nel Mediterraneo. La conchiglia è ovale, lucida, percorsa da strie concentriche. La colorazione esterna è bruno-rossiccia con zone radiali più scure. Le sue dimensioni sono di 8 - 10 centimetri e viene pescato durante tutto l'anno con il rastrello. È una specie di grande interesse commerciale caratterizzata da carni gustose e delicate.

Fasolaro (Callista chione)

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133

4.3.3.3. Ostrica

L'ostrica è diffusa su fondi costieri fino a una profondità di 40 metri e vive in colonie numerose, fissata con una delle due valve a rocce litorali tramite sostanze cementanti. La conchiglia è circolare, rugosa e ineguale: la valva sinistra, quella con cui il bivalve è attaccato al substrato, è convessa e più grande della valva destra, che è più pianeggiante e che si adagia a mo' di coperchio sulla valva sinistra. Considerata una prelibatezza fin dai tempi antichi, le sue carni sono gustose e vengono consumate generalmente crude. La tradizione vuole che abbiano effetti afrodisiaci.

Ostrica (Ostrea edulis)

Caratteristiche nutrizionali

Vitamine:

Vitamina A 0.1 µg/100

Vitamina B1 0.18 µg/100

Vitamina C 5 µg/100

Vitamina D 0.22 µg/100

Sali minerali:

Sodio 510 mg/100

Calcio 186 mg/100

Ferro 6 mg/100

Fosforo 267 mg/100

Potassio 260 mg/100

Cloro 620 mg/100

Proteine, Grassi, Carboidrati,

Omega3, ...:

Proteine 10.2 g/100

Grassi 0.9 g/100

Carboidrati 5.4 g/100 Fonte: www.mareinitaly.it

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134

4.3.3.4. Tellina (dialettale: patedda)

È una specie molto comune nel Mediterraneo. La conchiglia ha valve uguali, percorse da sottili strie concentriche. Vive infossata nella sabbia delle zone litorali. Viene pescata durante tutto l'anno con il rastrello "tellinaro" e anche con le mani data la vicinanza alla riva. La colorazione esterna è bianco-giallastra, violacea o brunastra. All'interno si presenta biancastra con ampie zone violacee.

Tellina (Donax trunculus)

4.3.3.5. Vongola

Le vongole vivono in comunità numerose, infossate sotto la sabbia in prossimità del litorale e nelle lagune costiere. La "vongola gallina" (Chamelea gallina) ha una conchiglia orbicolare, con valve robuste percorse da coste concentriche irregolari e striature che spesso assumono l'aspetto di linee disposte a zig-zag. Raggiunge i 4-5 centimetri di lunghezza. La vongola Tapes decussatus viene indicata col nome di "vongola verace" ed ha la conchiglia ovale, percorsa da sottili striature radiali.

Vongola (Chamelea gallina)

Di colorazione esterna variabile, dal giallastro al verdastro al grigio, può raggiungere 8 centimetri di lunghezza e ha carni ottime e ricercate. Una specie affine alla vongola verace nostrana è la "vongola filippina" Tapes philippinarum, introdotta nel Mediterraneo nel 1983. Anche la vongola filippina ha carni ottime e ricercate. I due tipi di vongola si distinguono osservando i sifoni: nella verace i due sifoni sono liberi, mentre nella filippina sono in gran parte fusi.

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135

Caratteristiche nutrizionali

Vitamine:

Vitamina A 6 µg/100

Sali minerali:

Sodio 36 mg/100

Ferro 3.4 mg/100

Fosforo 183 mg/100

Potassio 235 mg/100

Rame 1.2 mg/100

Proteine, Grassi, Carboidrati,

Omega3, ...:

Proteine 10.2 g/100

Grassi 2.5 g/100

Carboidrati 2.2 g/100 Fonte: www.mareinitaly.it

4.3.3.6. Calamaro (dialettale: calamaru)

Cefalopode che vive di giorno in profondità (tra i 20 e 250 metri) e di notte sale in superficie in cerca di cibo. Ha corpo fusiforme e allungato con ai lati due ampie pinne triangolari. Le sue dimensioni sono comprese comunemente tra i 15 e i 25 centimetri, ma possono raggiungere anche i 30/40 centimetri.

Calamaro (Loligo vulgaris)

Il calamaro è munito di 10 tentacoli provvisti di quattro o più serie di ventose disuguali. Si nutre di pesci, molluschi, crostacei e policheti. Viene pescato tutto l'anno con reti a strascico e, in alcune località, con un particolare tipo di lenza detta "latero"

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136

Caratteristiche nutrizionali

Vitamine:

Vitamina A 0.09 µg/100

Vitamina B1 0.15 µg/100

Sali minerali:

Calcio 144 mg/100

Ferro 17.4 mg/100

Fosforo 189 mg/100

Rame 1.2 mg/100

Proteine, Grassi, Carboidrati,

Omega3, ...:

Proteine 12.6 g/100

Grassi 1.74 g/100

Carboidrati 0.64 g/100 Fonte: www.mareinitaly.it

4.3.3.7. Moscardino (dialettale: purpu o maiolinu)

Cefalopode che vive sui fondali fangosi e viene detto volgarmente polpo bianco e polpo muschiato. Si distingue dal polpo verace perché molto più piccolo e sugli otto tentacoli presenta una sola fila di ventose, mentre i polpi ne hanno due. Viene pescato durante tutto l'anno, specialmente in inverno con le reti a strascico e in primavera quando si avvicina alla costa per la riproduzione. È una specie di buon interesse commerciale e si trova in vendita fresca o congelata. Le sue carni sono discrete anche se non apprezzate come quelle dei polpo.

Moscardino (Eledone moschata)

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Caratteristiche nutrizionali

Vitamine:

Vitamina E 0.88 µg/100

Sali minerali:

Zinco 1.52 mg/100

Sodio 343 mg/100

Calcio 20 mg/100

Ferro 0.4 mg/100

Fosforo 182 mg/100

Potassio 284 mg/100

Rame 0.63 mg/100

Magnesio 51 mg/100

Proteine, Grassi, Carboidrati,

Omega3, ...:

Proteine 12.7 g/100

Grassi 1.1 g/100

Carboidrati 3 g/100 Fonte: www.mareinitaly.it

4.3.3.8. Polpo (dialettale: purpu)

Il polpo è un mollusco cefalopode con corpo ovale, globoso forma di sacco, privo di pinne. Ha otto braccia munite di una doppia fila ventose per catturare la preda (generalmente molluschi e crostacei) e, se in pericolo, secerne una sostanza nera che funge da cortina fumogena per proteggere la fuga. Ha vita breve, un solo anno, ma può arrivare fino a 10 Kg. Un modo caratteristico di pescare i polpi è quello con anfore di terracotta o barattoli in cui viene sfruttata l'abitudine, in particolare dei piccoli polpi, di possedere un ricovero entro cui rintanarsi.

Polpo (Octopus vulgaris)

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Caratteristiche nutrizionali

Vitamine:

Vitamina A 0.09 µg/100

Vitamina B1 0.15 µg/100

Sali minerali:

Zinco 5.1 mg/100

Calcio 144 mg/100

Ferro 5.6 mg/100

Fosforo 189 mg/100

Rame 1 mg/100

Proteine, Grassi, Carboidrati,

Omega3, ...:

Proteine 10.6 g/100

Grassi 1 g/100

Carboidrati 1.4 g/100 Fonte: www.mareinitaly.it

4.3.3.9. Seppia (dialettale: siccia)

E’ un mollusco cefalopode con corpo ovale a forma di sacco appiattito provvisto lungo tutto il margine di una lamina contrattile rappresentante le due pinne. Possiede dieci tentacoli rivestiti da parecchie file di ventose. La seppia mediterranea vive su fondi costieri melmosi o sabbiosi fino a profondità di 150 metri. Si. nutre principalmente di crostacei, piccoli pesci e altri molluschi cefalopodi che preda generalmente di notte.

Seppia (Sepia officinalis)

Può raggiungere al massimo una lunghezza di 35 centimetri ma è più comune in taglie dai 15 ai 25 centimetri. Sulla conchiglia (osso di seppia), che è un importante organo di galleggiamento, si possono osservare le strie di accrescimento. Se è spaventata, la seppia può emettere una nube nerastra. Nei mesi primaverili si avvicina alla costa per deporre le uova. Viene pescata durante tutto l'anno con reti a strascico.

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Caratteristiche nutrizionali

Vitamine:

Vitamina A 0.09 µg/100

Vitamina B1 0.08 µg/100

Vitamina D 0.17 µg/100

Sali minerali:

Zinco 4.2 mg/100

Calcio 27 mg/100

Ferro 17.4 mg/100

Fosforo 143 mg/100

Potassio 273 mg/100

Rame 1.1 mg/100

Proteine, Grassi, Carboidrati,

Omega3, ...:

Proteine 14 g/100

Grassi 1.1 g/100

Carboidrati 0.7 g/100 Fonte: www.mareinitaly.it

4.3.3.10. Totano (dialettale: totanu o todaru)

È un mollusco cefalopode con corpo ovale a forma di sacco appiattito provvisto lungo tutto il margine di una lamina contrattile rappresentante le due pinne. Possiede dieci tentacoli rivestiti da parecchie file di ventose. La seppia mediterranea vive su fondi costieri melmosi o sabbiosi fino a profondità di 150 metri.

Totano (Illex coindetii)

Si nutre principalmente di crostacei, piccoli pesci e altri molluschi cefalopodi che preda generalmente di notte. Può raggiungere al massimo una lunghezza di 35 centimetri ma è più comune in taglie dai 15 ai 25 centimetri.

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140

Caratteristiche nutrizionali

Sali minerali:

Sodio 185 mg/100

Fosforo 170 mg/100

Potassio 145 mg/100

Proteine, Grassi, Carboidrati,

Omega3, ...:

Proteine 13.1 g/100

Grassi 1.5 g/100 Fonte: www.mareinitaly.it

4.3.3.11. Lumachina (dialettale: vavaluci di mari)

Mollusco gasteropode di piccole dimensioni con il guscio a spirale che staziona nel Mediterraneo. Vive su fondali sabbiosi e fangosi e si nutre di animali morti o di bivalvi che uccide perforandone la conchiglia. La riproduzione ha luogo nei mesi primaverili. Viene pescata da ottobre a maggio, quando si avvicina alla costa, con nassini, nasse e reti a strascico.

Lumachina (Illex coindetii)

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Caratteristiche nutrizionali

Vitamine:

Vitamina E 0.33 µg/100

Sali minerali:

Zinco 1.56 mg/100

Sodio 343 mg/100

Calcio 437 mg/100

Ferro 3.7 mg/100

Fosforo 153 mg/100

Potassio 315 mg/100

Rame 1.01 mg/100

Magnesio 102 mg/100

Proteine, Grassi, Carboidrati,

Omega3, ...:

Proteine 28.4 g/100

Grassi 1 g/100

Carboidrati 0.3 g/100 Fonte: www.mareinitaly.it

4.4. Uso culinario

I metodi per cucinare il pesce sono diversi e bisogna sceglierli in base al tipo di pesce, alla dimensione, alla presentazione che se ne vuol fare. In generale, i pesci grandi rendono meglio lessati oppure al forno: quelli tagliati a trance o divisi in filetti sono buoni alla griglia, fritti oppure in tegame come i pesci piccoli. I metodi più comuni sono: lessato, a vapore, alla brace, al forno, alla griglia, alla mugnaia, fritto. I frutti di mare hanno carni squisite che esigono rispetto: quindi, cotture semplici e brevi, condimenti naturali come l’olio crudo, purché d’oliva ed extravergine, salse calde o fredde realizzate con ingredienti di prima qualità. Altrimenti si rischia di vanificare la notevole spesa sostenuta. Anche i prodotti in scatola, per esempio la polpa di granchio, sono eccellenti e consentono molte preparazioni. I crostacei devono essere ancora vivi al momento di cuocerli, quando vengono tuffati nell’acqua bollente con tutto il guscio che, proteggendo la carne dall’aggressione del calore, la mantiene morbida e delicata. Ciò vale anche per la cottura in padella o alla griglia. Ricordiamo che la polpa più delicata è quella racchiusa nelle zampe e nelle antenne.

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4.4.1. La tradizione della conservazione. Le Lavorazioni ittiche.

In migliaia di anni, l'Uomo ha messo a punto numerosi sistemi di preservazione del pesce. L'affumicamento, l'essiccamento e la salagione sono tecniche usate fin dal tempo degli antichi egizi. In Italia c'è una antica tradizione conserviera incentrata sul pesce azzurro che da alcuni decenni si è trasformata da "casalinga" a "industriale". Oggi infatti in qualsiasi negozio si possono acquistare scatolette di alici, sardine e sgombri sott'olio, con il pomodoro o preparati in tanti altri modi, filetti di sgombro affumicati, addizionati di sale e confezionati in busta sottovuoto, alici sotto sale, eccetera. Il pesce azzurro conservato può essere suddiviso in due grandi categorie: conserve e semiconserve. Per conserve si intendono quei prodotti (sardine all'olio o in salsa, filetti di sgombro all'olio o al naturale) confezionati in contenitori ermetici sottoposti ad un trattamento con il calore a temperatura elevata (sterilizzazione) che li rende sicuri dal punto di vista igienico sanitario e ne permette la conservazione anche per alcuni anni, a temperatura ambiente. Sono invece da considerarsi semiconserve le acciughe salate, quelle sott'olio, con salsa o marinate, in quanto non vengono sottoposte a sterilizzazione dopo il confezionamento in contenitori ermetici ed hanno una conservazione più limitata rispetto alle conserve. In genere tali prodotti richiedono temperature di conservazione convenientemente basse in luoghi freschi e talvolta in frigorifero: considerazione che comporta grande attenzione all’etichetta. Poca è invece la produzione di pesce azzurro surgelato. Di seguito vengono fornite le descrizione di alcune tecniche di conservazione fra le più tradizionali localmente una volta a livello casalingo ed oggi anche a livello industriale.

4.4.2. Alici o sarde sottosale

Ingredienti 1 kg di alici di grandi dimensioni, 1 kg di sale grosso. Preparazione Dopo aver eliminato la testa e le interiora delle alici, pulirle con un canovaccio senza lavarle. Disporre sul fondo di un recipiente a chiusura ermetica un primo strato di alici e ricoprire interamente con un'abbondante quantità di sale. Alternare uno strato di alici ad uno di sale fino a completo riempimento del recipiente. Porre al di sopra dell'ultimo strato di sale la carta pergamena e chiudere ermeticamente. Conservare per almeno un mese in luogo asciutto, oscuro e fresco.

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4.4.3. Acciughe o sarde sott’olio

Ingredienti (per 6 persone): 1 kg. di acciughe freschissime, una manciata di prezzemolo, uno spicchio d'aglio, 2 limoni, olio d'oliva, aceto, sale, pepe bianco. Preparazione: Pulite le acciughe. Togliete loro la testa e la lisca lavatele e ponetele in una terrina a strati, bagnandole abbondantemente di aceto. Lasciatele così completamente coperte per un'ora circa. Passato questo tempo, versatele in un colapasta e sciacquatele con abbondante acqua fredda, poi lasciatele sgocciolare ed asciugatele bene. Tritate l'aglio ed il prezzemolo finemente, metteteli in una ciotola, unite il sale, il pepe, il succo dei limoni e olio d'oliva quanto basta per condire le acciughe. In un piatto di ceramica a bordi alti fate uno strato di acciughe, cospargetele con la salsa e continuate così fino ad esaurimento delle acciughe. Finite irrorando di salsa. Coprite il piatto con foglie di alluminio e ponete in frigorifero per 6 ore almeno. Servite guarnendo il piatto di ciuffi di prezzemolo e spicchi di limone. Preparazione industriale: Pulire le acciughe dopo aver tolto la testa e la lisca. Dopo lavaggio sistemazione in scatola a strati o arrotolate e copertura con olio di oliva o in oli di semi di girasole, soia.

4.4.4. Lavorazioni sott’olio per tonno, tranci di sgombro, di tonno e ventresca di tonno.

Il pesce fresco dissanguato, decapitato, eviscerato in acqua, tagliato a pezzi i cui pesi variano (a seconda della dimensione del pesce) da 0,5 kg. a 6 kg., viene bollito in acqua e sale per circa un'ora e mezza. Una volta bollito viene fatto asciugare nella "cannaria", specie di barelle in legno composte di canne su cui si adagiano i pezzi per 24 ore in condizioni di temperatura normali. Dopo l'asciugatura viene tagliato a tranci e messo in scatola. Le scatole vengono riempite d'olio d'oliva e dopo un'ora chiuse ermeticamente e sterilizzate per circa un'ora e mezza. Una volta raffreddate si fanno stagionare in magazzino. La maturazione avviene per circa tre mesi in magazzino ed il calendario di produzione va da maggio ad agosto. Nella preparazione della ventresca si usa la stessa tecnica adoperata per il tonno, cambia soltanto il tempo di cottura che è più breve e la quantità di sale che è inferiore a quella usata per le altre parti. Il lattume viene utilizzato fresco ed è pregiato, sia bollito che fritto. Il tonno pescato in tonnara nella mattanza è migliore in quanto viene arpionato e muore per dissanguamento. Quello catturato in alto mare con la rete o con la lenza non si dissangua e perciò le carni che ne risultano sono meno idonee per la conservazione. Quando le carni sono rosse-scure significa che il pesce è stato preso con la rete e non arpionato.

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4.4.5. La bottarga di tonno.

La bottarga migliore deriva dal tonno della specie "Bluefin" (pinna blu), cioè il "tonno rosso" pescato nelle acque italiane, il cui peso può raggiungere fino a 6 quintali con una sacca ovarica di 6 chili. Ogni sacca può contenere alcuni milioni di uova, il cui diametro varia da 1 a 5 millimetri. La sua estrazione avviene appena pescato il tonno. Un'operazione delicata, effettuata da personale qualificato (sventratore), che eviti alla sacca la minima lesione. Da questo momento ha inizio la preparazione della bottarga. La sacca con le uova è messa in salamoia, dove rimane da 8 a 20 ore secondo la pezzatura. La fase successiva consiste nel salare giornalmente la sacca da entrambe le parti, chiuderla legandola con spago e porla su tavole con sopra dei pesi (nel passato grosse pietre). Operazione che, tenendo sotto pressione la sacca per circa 40 giorni, fa eliminare il sangue ed altri liquidi, ottenendo così un prodotto di qualità e durata. Un buon momento per l'immissione al consumo, è il mese di settembre. Poi si passa alla fase dell'essiccazione: le bottarghe rese spesse circa 4-5 cm ed oblunghe, sono legate per la lunghezza ed appese in un luogo molto secco (privo di umidità), per un periodo variabile da 30 a 40 giorni, secondo il peso della sacca. Se la sacca ovarica pesa un chilo, l'essiccazione durerà circa 36-38 giorni. Successivamente, la bottarga sarà paraffinata e confezionata sotto vuoto. La resa del prodotto finale è della metà. Cioè da una sacca ovarica di 2 chili, dopo le varie fasi di lavorazione, si ottiene una bottarga di 1 chilo. La Sicilia, tra le tre zone di produzione italiane (Sardegna e Calabria le altre) si distingue per la qualità del prodotto.

4.4.6. Filetti di sgombro, alici e tonno marinati

La preparazione industriale consiste nella pulitura delle parte di pesce interessata dopo aver eliminato la testa, la lisca e le parti non contemplate. Dopo di ciò si procede al lavaggio ed alla cottura in aceto. Terminata questa fase si pongono in confezione coperte da olio di oliva o in oli di semi di girasole, soia.

4.4.7. Particolari ricette della tradizione palermitana e siciliana

Pasta con le sarde Ingredienti per 4 persone 400 g di 6ucatini - 600 g di finocchio selvatico - 500 g di sarde - una cipolla - 25 g di pinoli - 25 g di uva passa - zafferano - 4 filetti di acciughe salate - 1/2 bicchiere d'olio. Preparazione Lessare il finocchietto in abbondante acqua salata per almeno un quarto d'ora scolarlo e tritarlo facendo attenzione a conservare l'acqua di cottura. In una capace pentola di terracotta soffriggere nell'olio la cipolla tritata, aggiungere poi

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i filetti di acciuga dissalati, l'uvetta fatta precedentemente rinvenire nell'acqua, i pinoli, infine le sarde sfilettate tritate grossolanamente. Lasciare alcune sarde sfilettate, ma ancora unite nel dorso, toglierle appena cotte e tenerle da parte al caldo. Unire il finocchietto tritato, il peperoncino e amalgamare bene la salsa a fuoco moderato. Nell'acqua di cottura dei finocchietti cuocere i bucatini e saltarli per cinque minuti nella pentola della salsa. Portare in tavola decorando il piatto con le sarde lasciate intere. Tra le tante c'è una variante della quale occorre dar conto: nella salsa aggiungere una punta di zafferano ma ancora più importante, invece di saltare i bucatini in una pirofila, fare strati di pasta e strati di salsa terminando con la salsa e cospargendo con mandorle sbucciate. Passare poi in forno molto caldo per dieci minuti.

Aguglie arrosto Ingredienti per 4 persone 1 kg. di aguglie - 50 g di olio - sale, pepe e limone q.b. Preparazione Dopo averle nettate, allineare le aguglie su una vasta gratella e arrostirle sulla brace. Un pizzico di sale, uno di pepe e poche gocce di olio per ungerle, ecco i soli condimenti necessari. Appena cotte da una parte, ciò che avviene in pochi minuti, voltarle delicatamente e lasciarle finire di cuocere, servendole bollenti e accompagnate da spicchi di limone.

4.5. Valutazione nutrizionale dietetica del gruppo alimentare (a cura di Carlo Cannella e Giuseppina Colicci)

Le popolazioni, nelle quali l'alimentazione è costituita prevalentemente dai prodotti della pesca, hanno maggiore resistenza fisica e durata della vita media più lunga in confronto a quelle che consumano sopratutto carni o vegetali. Le malattie del cuore e dei vasi sanguigni (infarto, angina, aterosclerosi, ecc.) sono meno frequenti nei consumatori abituali di pesce. Gli studiosi di nutrizione hanno collegato questo fatto alla particolare composizione dei prodotti della pesca. La carne del pesce è molto digeribile in quanto le fibre muscolari sono corte e sfaldabili, perché prive di collageno, e quindi facilmente masticabili. I pesci contengono proteine di elevato valore biologico, quantità variabili di grassi, tra i quali quelli essenziali, e trascurabili quantità di carboidrati. Nei pesci il contenuto in proteine varia dall’11% al 20 %, mentre nei crostacei e molluschi dal 9% al 16 %. Il valore biologico di queste proteine è equivalente a quello delle carni in quanto ricche di aminoacidi essenziali (ad es. lisina, metionina, triptofano). Il pesce azzurro ha un contenuto proteico elevato: 16-20 %; il grasso varia tra 1 e 4 %, ad eccezione dello sgombro che raggiunge il 10-12 %; pertanto come qualità nutrizionale il pesce azzurro non è inferiore al pesce commercialmente più costoso. Nei grassi dei pesci sono abbondanti gli acidi grassi

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Sicurezza alimentare e valorizzazione dei prodotti di qualità della Provincia di PSicurezza alimentare e valorizzazione dei prodotti di qualità della Provincia di PSicurezza alimentare e valorizzazione dei prodotti di qualità della Provincia di PSicurezza alimentare e valorizzazione dei prodotti di qualità della Provincia di Palermoalermoalermoalermo

Provincia Regionale di Palermo – Assessorato Agricoltura, Caccia, Pesca – Direzione Attività produttive

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polinsaturi che grazie al loro basso punto di fusione svolgono una funzione di antigelo stante la bassa temperatura dell' habitat. Ad una particolare famiglia di acidi grassi polinsaturi, denominati omega 3 a causa dell'insaturazione sul terzultimo atomo di carbonio, viene attribuita l'azione preventiva per l'uomo nei confronti delle malattie cardiovascolari. Si tratta degli acidi eicosapentaenoico (EPA) e docosaesaenoico (DHA), rispettivamente con 5 e 6 insaturazioni, che si sono dimostrati benefici nella prevenzione delle malattie cardiocircolatorie per la loro azione antitrombotica. Questi acidi grassi polinsaturi sono particolarmente abbondanti in diverse specie quali: lo sgombro, il tonno, il cefalo, il merluzzo, il salmone, la seppia, il calamaro, il polipo. Il contenuto di grassi del pescato è piuttosto variabile e per questo i pesci sono classificati in:

� magri (grasso 1-3%) : aragosta, calamaro, gambero, mitili, nasello, orata, ostrica, palombo, polipo, razza, rombo, seppia, sogliola, spigola, vongola;

� semigrassi (grasso 3-10%) : alice, dentice, pesce spada, sarago, sarda, triglia, tonno;

� grassi (grasso superiore al 10%) : anguilla, aringa, sgombro. Il contenuto di colesterolo è di circa 50 mg % nei pesci, mentre arriva a valori di 150 mg % nei crostacei. Il pesce rappresenta un'ottima fonte di iodio, calcio, fosforo, rame, magnesio, ferro, selenio e sodio. Il ferro, in particolare, si trova in forma facilmente assorbibile ed in quantità elevate soprattutto nei mitili e nelle ostriche, 5-6 mg per 100 grammi di prodotto, mentre per lo iodio ed il selenio è bene sapere che 150 g di pesce forniscono quantità sufficienti a soddisfare il fabbisogno giornaliero di un adulto. Il contenuto di vitamine è consistente per le vitamine B1, B2, B12 e PP, ma il pesce è un importante e quasi esclusivo vettore di vitamine A e D presenti come tali nel fegato (olio di fegato di merluzzo).

4.6. Porzione di riferimento (a cura di Carlo Cannella e Giuseppina Colicci)

L'apporto energetico dei prodotti della pesca dipende dal contenuto di grasso e può variare da 70 a 200 kcal per 100 g di alimento al netto degli scarti. La porzione di riferimento (QB) è pari a 150 g e se ne raccomanda un’assunzione settimanale di almeno 2 QB quindi bisognerebbe consumare 1 porzione o QB di pesce due volte la settimana.


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