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10 Domenica 26 marzo 2017 · BRESCIA E PROVINCIA1.3498808... · «Do-po tanti anni abbiamo il...

Date post: 18-Aug-2020
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BRESCIA E PROVINCIA [email protected] /«Ga crede mia». Guido Vi- scardi scuote la testa e ripete: «Ga crede mia, come foi a fi- dàm?». Chi è questa giovane che compare improvvisamen- te, dice di essere la figlia di Ma- nolo e indica la sua tomba? «Sono anni che attendo di sa- pere la verità sulla morte di quell’assassino, senza avere ri- sposte da nessuna autorità. Ti- rino fuori quel corpo dalla tom- ba e facciano l’esame del dna con il fratello in galera nelle Marche. Solo allora, se ci sarà corrispondenza, ci crederò». A patto, «di esserci anch’io quan- do faranno l’autopsia sul mor- to». La strage. Sono le 10 di sabato a Torchiera di Pontevico, Vi- scardi guarda la pagina del Giornale di Brescia che riferi- sce sul ritrovamento della (pre- sunta) tomba di Ljubisa Vrba- novic, in Serbia, a pochi chilo- metri da Kragujevac. L’uomo che, il 15 agosto 1990, fece stra- ge della sua famiglia nella casa di Torchiera: papà Giuliano, 58 anni, mamma Agnese Ma- ringoni, 53, il fratello Luciano, 28, e la sorella Maria France- sca, 23. All’inizio non avrebbe voglia di parlare con il croni- sta, poi si lascia andare, espri- me ad alta voce i dubbi e gli in- terrogativi. «Dov’è stata finora questa donna che dice di esse- re la figlia? Perché ha chiama- to voi al giornale e non me? So- no troppi anni che chiedo di sapere senza avere risposte. Come foi a fidàm?». Le minacce. Per Guido quel fer- ragosto del 1990 non è mai pas- sato. È un giorno infinito, lun- go quasi 27 anni. Una storia an- cora sospesa, con il dubbio sul- la sorte di Manolo. L’immagi- ne sconvolgente dei suoi cari massacrati senza pietà non si cancella, insieme al dolore, al- la rabbia, al timore che Ljubi- sa, o qualche suo sicario, pos- sa comparire nella villetta di Torchiera. «Me lo ricordo be- ne lo sguardo di Manolo in au- la, durante il processo a Kra- gujevac nel 1996. Mi minac- ciò. Come faccio ad essere si- curo che lui oppure qualcuno altro per conto suo non arrivi a fare del male a me e alla mia famiglia? Sono vent’anni che vivo con questa paura, per me e i miei cari». Viscardi vuole le prove di quella morte. «Devo fidarmi delle autorità serbe? Di una che sostiene di essere la figlia di Manolo? Figuriamo- ci...». Dimenticare. Spesso gli dico- no di lasciar perdere, che or- mai è passata una vita, che bisogna andare avanti, di- menticare. «Sì, è bello parlare per chi non ha provato quello che ho pro- vato io. Troppo fa- cile. Questa storia finirà quando sarò sicuro della morte di quell’ani- male. E poi, se mio padre fosse stato un politico, uno di quelli che contano, le autorità italia- ne avrebbero fatto chiarezza. Invece siamo contadini, dei paesani, non contiamo nulla». Nel giardino della villetta c’è la grande croce ricavata dal parquet della carneficina. Ogni ferragosto, qui davanti, si celebra la messa di suffragio per Giuliano, Agnese, Luciano e Maria Francesca. Il pensiero corre alla croce di legno del ci- mitero nella frazione di Kra- gujevac, con inciso il nome di Ljubisa Vrbanovic. Sarebbe morto tre anni fa di un tumo- re. Sepolto senza folle e clamo- re, quasi in segreto. «Voglio le prove», mormora Viscardi. Sul- la strada comunale, davanti all’allevamento di polli dei Vi- scardi, passano rare automobi- li. La villetta è isolata fra la stra- da e i campi, alla periferia di Torchiera. La domanda che si ripropone è sempre la stessa: come sono arrivati qui, quella sera di ferragosto, Manolo e il cugino Ivica Bairic (morto poi in uno scontro a fuoco con la polizia serba)? Il destino, il caso oppure una se- gnalazione da par- te di qualche com- plice locale? «Pen- savano di trovare in casa dei quadri di valore». Guido, all’epoca della strage, abitava in una casa di Torchiera, poco distante. Dopo decise di veni- re ad abitare nella casa dei ge- nitori. «Bisognava andare avanti con l’allevamento, era difficile vendere tutto, e a chi? E poi, questo è l’unico posto in cui mi sento libero». Nono- stante il pensiero di Manolo. «Dicono che è morto: come foi a fidàm?». // / Maddalena ha 87 anni porta- ti bene. «Non mi lamento, a parte le gambe che non reggo- no più come una volta». In ma- no ha un mazzetto di löertis «per la frittata di mezzogior- no», spiega. Quando arrivia- mo a Torchiera, alla villetta di Guido Viscardi, sta parlando con il nipote sul ciglio della strada. Maddalena è la sorel- la di Giuliano, il capofamiglia massacrato da Manolo e Ivica Bairic. Ha letto sul nostro gior- nale le notizie che riguardano l’assassino, la figlia, la tomba, e le sta commentando con il ni- pote. La pensa come lui. «Do- po tanti anni abbiamo il dirit- to di sapere la verità, di cono- scere finalmente che fine ha fatto Manolo. Non si può la- sciare la gente senza certezza, non è rispettoso verso i morti e verso chi resta». Maddalena, dopo Guido che scoprì il massacro la matti- na del 16 agosto, fu la prima a sapere. Abita nella cascina al principio della frazione. «Ven- ne da me, sconvolto, e mi dis- se: "Iè morcc töcc"». Sono tutti morti. «Io pensavo che Guido si riferisse ai polli dell’alleva- mento, a qualche malattia, a qualcuno che li aveva avvele- nati». Era l’inizio dell’incubo. «Non posso dimenticare ciò che ho visto quella mattina en- trando in casa. Una scena terri- bile». Racconta il sangue, i cor- pi, la dinamica ricostruita poi dagli inquirenti. «Non si rime- dia a un dolore così, a un di- spiacere così grosso». Perciò, ripete, «abbiamo diritto alla ve- rità, abbiamo il diritto di sape- re cosa è successo a chi ha compiuto la strage». Domenica 19 agosto tremila persone parteciparono al fune- rale, con la chiesa di Torchiera troppo piccola per contenere anche una parte di quella fol- la. La messa fu celebrata dal ve- scovo Bruno Foresti, che si ap- pellò ai responsabili del massa- cro: «Uccidere l’innocente ge- nera cupa disperazione, per questo nel nome di Dio onni- potente e misericordioso invi- to gli sterminatori di questa fa- miglia a pentirsi e a cercare pa- ce nell’espiazione volontaria del loro delitto». Parole rima- ste inascoltate. // E. MIR. Viscardi: «Manolo è in quella tomba? Ci crederò solo dopo l’esame del dna» Le reazioni Dopo il ritrovamento della sepoltura del bandito in Serbia «Da anni vivo nel timore che lui oppure qualche suo amico venga a fare del male a me e ai miei cari» Nel camposanto. La tomba di Manolo nel cimitero di Ilicevo Enrico Mirani [email protected] Il superstite della famiglia massacrata a Torchiera chiede le prove: «Le autorità facciano chiarezza» Guido. Viscardi chiede di sapere la verità // FOTO NEW EDEN GROUP «Quando mio nipote venne da me e disse: sono tutti morti» Maddalena. La zia di Guido. «Venne da me quella terribile mattina» La testimonianza La sorella del capofamiglia Giuliano: «Come si fa a dimenticare?» 10 Domenica 26 marzo 2017 · GIORNALE DI BRESCIA
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Page 1: 10 Domenica 26 marzo 2017 · BRESCIA E PROVINCIA1.3498808... · «Do-po tanti anni abbiamo il dirit-to di sapere la verità, di cono-scere finalmente che fine ha fatto Manolo. Non

«Nella tomba che c’è?». È laprima domanda chel’investigatore di allora,Nando Dominici,

all’epoca della strage dirigente dellaSquadra Mobile di Brescia, si è posto nelleggere del ritrovamento in Serbia del luogoin cui è sepolto, Liubisa Vrbanovic. Alla lucedella conoscenza che aveva del bandito,tiene a precisare, non basandosi suelementi certi. Vuole parlare delle sue«suggestioni», più che dei «ricordi», ma lamemoria da poliziotto non lo tradiscenemmeno a distanza di 27 anni dai fatti.«Quando il mio vice Calderozzi mi chiamòper avvertirmi della strage, quel Ferragostolo stavo trascorrendo a Roma, in vacanza.Partii immediatamente e in tre ore volai aBrescia. Raccogliemmo subito informazionisulla presenza di un’auto vista quella seradavanti alla villetta, con una strana asticella.Pensammo si potesse trattare di un taxi».Gli investigatori immaginarono potessetrattarsi dell’auto dei banditi che entraronoe trucidarono Giuliano, Agnese, Luciano eMaria Francesca Viscardi. Si trattava di unaMercedes grigia, proprio di un taxi rubatoad Ascoli Piceno. «Verificammo con ilcasellante dell’autostrada, a Pontevico,uscita vicinissima alla casa dei Viscardi, e lìraccogliemmo la sua dichiarazione relativaal passaggio di un uomo su una vettura chepoteva essere un taxi. Ritrovammo laMercedes abbandonata a Latisana.Trovammo che sull’auto c’era un telefono ecominciammo a verificare i tabulati.Scoprimmo alcune chiamate in Jugoslavia».Tutta la Mobile di Brescia si mobilitò perrintracciare Manolo, insieme allaCriminalpol lombarda che aveva sede aMilano. Una trentina gli uomini impiegati

giorno e notte per dare la caccia al banditodagli occhi gialli. «Quando scoprimmo laMercedes abbandonata immaginammoche fosse scappato rubando un’altra auto ecosì fu. Rubò una Golf e poi abbandonòpure quella ma lì, sulla parte retrostante losterzo, trovammo un’impronta digitale. Lasua». Bastò inserirla nei data base ecomparve una fotografia con 21 nomidiversi. Pari a tutte le volte che fu fermato inItalia. La foto segnaletica erasostanzialmente sovrapponibile all’identikitfatto dal casellante di Pontevico e si potècosì finalmente dare un nome all’autoredella strage. Che nel frattempo però - dopoaver seminato terrore e violenza in diversecittà - era tornato nel Paese d’origine.

«Nel corso delle indagini - raccontaancora Nando Dominici - siamo risaliti atutti gli accampamenti nomadi della suastessa etnia nel Bresciano, in cui era stato:proprio a Pontevico e anche a Desenzano. Equi, a furia di sostare in quegliaccampamenti trovammo qualcuno che cidiede una mano, dicendoci deglispostamenti di Manolo in Serbia. La Poliziaslava si muoveva sulla base delleindicazioni che noi da qui potevamo dargli.Come del punto in cui ci fu il conflitto afuoco in cui il suo complice si suicidò».Manolo fu catturato poco dopo. Addossoportava la 357 magnum che era la suafirma. Dominici non ha più sentito parlaredi lui fino alla notizia della sua morte. «Idubbi che si possono avere non sonosuffragati da elementi ma solo dasuggestioni. Adesso servirebbe unaccertamento scientifico come solo quellodel Dna può offrire». Per non restare conquella domanda sospesa nell’aria: «Inquella tomba cosa c’è?».

BRESCIA E [email protected]

/«Ga crede mia». Guido Vi-scardi scuote la testa e ripete:«Ga crede mia, come foi a fi-dàm?». Chi è questa giovaneche compare improvvisamen-te, dice di essere la figlia di Ma-nolo e indica la sua tomba?«Sono anni che attendo di sa-pere la verità sulla morte diquell’assassino,senza avere ri-sposteda nessuna autorità. Ti-rinofuoriquel corpodalla tom-ba e facciano l’esame del dnacon il fratello in galera nelleMarche. Solo allora, se ci saràcorrispondenza, ci crederò». Apatto,«di essercianch’ioquan-do faranno l’autopsia sul mor-to».

La strage. Sono le 10 di sabatoa Torchiera di Pontevico, Vi-scardi guarda la pagina delGiornale di Brescia che riferi-scesulritrovamento della(pre-sunta) tomba di Ljubisa Vrba-

novic, in Serbia, a pochi chilo-metri da Kragujevac. L’uomoche, il 15 agosto 1990, fece stra-ge della sua famiglia nella casadi Torchiera: papà Giuliano,58 anni, mamma Agnese Ma-ringoni, 53, il fratello Luciano,28, e la sorella Maria France-sca, 23. All’inizio non avrebbevoglia di parlare con il croni-sta, poi si lascia andare, espri-me ad alta voce i dubbi e gli in-terrogativi. «Dov’è stata finoraquesta donna che dice di esse-re la figlia? Perché ha chiama-to voi al giornale e non me? So-no troppi anni che chiedo disapere senza avere risposte.Come foi a fidàm?».

Le minacce. Per Guido quel fer-ragostodel1990nonèmai pas-sato. È un giorno infinito, lun-goquasi27 anni.Una storiaan-corasospesa,conildubbio sul-la sorte di Manolo. L’immagi-ne sconvolgente dei suoi carimassacrati senza pietà non sicancella, insieme al dolore, al-la rabbia, al timore che Ljubi-sa, o qualche suo sicario, pos-

sa comparire nella villetta diTorchiera. «Me lo ricordo be-ne lo sguardo di Manolo in au-la, durante il processo a Kra-gujevac nel 1996. Mi minac-ciò. Come faccio ad essere si-curo che lui oppure qualcunoaltro per conto suo non arrivi afare del male a me e alla miafamiglia? Sono vent’anni chevivo con questa paura, per mee i miei cari». Viscardi vuole leprove di quella morte. «Devofidarmi delle autorità serbe?Di una che sostiene di esserela figlia di Manolo? Figuriamo-ci...».

Dimenticare. Spesso gli dico-no di lasciar perdere, che or-mai è passata unavita, che bisognaandare avanti, di-menticare. «Sì, èbello parlare perchi non ha provatoquello che ho pro-vato io. Troppo fa-cile. Questa storiafinirà quando saròsicuro dellamorte di quell’ani-male. E poi, se mio padre fossestato un politico, uno di quelliche contano, le autorità italia-ne avrebbero fatto chiarezza.Invece siamo contadini, deipaesani, non contiamo nulla».

Nel giardino della villetta c’èla grande croce ricavata dalparquet della carneficina.Ogni ferragosto, qui davanti,si celebra la messa di suffragio

per Giuliano, Agnese, Lucianoe Maria Francesca. Il pensierocorre alla croce di legno del ci-mitero nella frazione di Kra-gujevac, con inciso il nome diLjubisa Vrbanovic. Sarebbemorto tre anni fa di un tumo-re. Sepoltosenza folle e clamo-re, quasi in segreto. «Voglio leprove»,mormora Viscardi.Sul-la strada comunale, davantiall’allevamento di polli dei Vi-scardi,passanorareautomobi-li. Lavilletta è isolatafra la stra-da e i campi, alla periferia diTorchiera. La domanda che siripropone è sempre la stessa:come sono arrivati qui, quellasera di ferragosto, Manolo e ilcugino Ivica Bairic (morto poi

in uno scontro afuoco con la poliziaserba)? Il destino, ilcasooppureunase-gnalazione da par-te di qualche com-plice locale? «Pen-savano di trovarein casa dei quadridi valore». Guido,

all’epoca della strage, abitavain una casa di Torchiera, pocodistante. Dopo decise di veni-re ad abitare nella casa dei ge-nitori. «Bisognava andareavanti con l’allevamento, eradifficile vendere tutto, e a chi?E poi, questo è l’unico posto incui mi sento libero». Nono-stante il pensiero di Manolo.«Dicono che è morto: come foia fidàm?». //

/ «Hai visto che non ti raccon-tavo una bugia? Hai visto cheManolo è sepolto dove ti hodetto? Hai visto?».

Violetta, la trentenne che hascoperto una decina di giornifa di essere figlia del banditocui si deve la firma sulla stragedi Pontevico del ferragosto di27 anni fa, e che ci ha dato leindicazioni per arrivare sullasua tomba, è soddisfatta dellascoperta del Giornale di Bre-scia. Molto. «Non ho dormitoper più di una settimana - haproseguito - e per una settima-na ho mosso tutte leconoscen-ze che avevo per trovare le in-formazioni che mi mancava-no. Ne è valsa la pena. Ho sof-ferto molto, l’idea di essere lafiglia di Ljubisa Vrbanovic midisturba ancora tanto, ma senonaltrohodimostratodiesse-

re una persona affidabile, dinon essere come mio padre».

Non riesce a darsi pace Vio-letta.Dopounasequenza dido-mande su Kragujevac e sul ci-mitero di Ilicevo, dove da treanni c’è la croce del mostro diTorchiera, esprime il suo piùgrande desiderio. «Voglio esse-re utile alla giustizia italiana,spero che i giudici mi chiami-no al più presto - dice la donna-: sono disposta a farmi prele-vare un campione di dna perconfrontarlo con quello di Ma-nolo. Se lo vorranno sono di-

sposta ad andare personal-mente in Serbia, a farmi darequella salma. Io posso».

Violettaha ereditatoun debi-to con Guido Viscardi, ma an-cheunpeso chesivuolescrolla-re di dosso. «Voglio dare unamano - ha detto nuovamente -voglio che questo capitolo sichiuda. E soprattutto non vo-glio più essere serba. Non honientecontroiserbi, mamiver-gogno per quello che ha fattomio padre. Sono nata al Policli-nico di Roma, in Serbia ci sonostata poche settimane, mi ciaveva portato mia mammaquando Manolo era in carcere.Vivo in Italia da una vita, miofiglio è italiano. Sono stata eposso essere ancora utile achiudere una brutta vicenda.Dici che non mi merito la citta-dinanza italiana?». //

Violetta: «Hai visto?Ho detto la verità,mi merito un aiuto»

La richiesta

Pierpaolo [email protected]

Il mistero del tesoroe di quegli «eredi»celati tra i 4 fratelli

/ Maddalena ha87 anniporta-ti bene. «Non mi lamento, aparte le gambe che non reggo-no piùcome una volta». In ma-no ha un mazzetto di löertis«per la frittata di mezzogior-no», spiega. Quando arrivia-mo a Torchiera, alla villetta diGuido Viscardi, sta parlando

con il nipote sul ciglio dellastrada. Maddalena è la sorel-la di Giuliano, il capofamigliamassacrato da Manolo e IvicaBairic. Ha letto sul nostro gior-nale le notizie che riguardanol’assassino, la figlia, la tomba,elesta commentandocon ilni-pote. La pensa come lui. «Do-po tanti anni abbiamo il dirit-to di sapere la verità, di cono-scere finalmente che fine hafatto Manolo. Non si può la-sciare la gente senza certezza,non è rispettoso verso i morti everso chi resta».

Maddalena, dopo Guidochescoprì il massacro la matti-na del 16 agosto, fu la prima a

sapere. Abita nella cascina alprincipio della frazione. «Ven-ne da me, sconvolto, e mi dis-se: "Iè morcc töcc"». Sono tuttimorti. «Io pensavo che Guidosi riferisse ai polli dell’alleva-mento, a qualche malattia, aqualcuno che li aveva avvele-nati». Era l’inizio dell’incubo.«Non posso dimenticare ciòche hovisto quella mattina en-trandoincasa.Unascenaterri-bile». Racconta il sangue, i cor-pi, la dinamica ricostruita poidagli inquirenti. «Non si rime-dia a un dolore così, a un di-spiacere così grosso». Perciò,ripete,«abbiamo dirittoallave-rità, abbiamo il diritto di sape-

re cosa è successo a chi hacompiuto la strage».

Domenica 19 agosto tremilapersoneparteciparonoalfune-rale, con la chiesa di Torchieratroppo piccola per contenereanche una parte di quella fol-la.Lamessa fucelebratadalve-scovo Bruno Foresti, che si ap-pellòairesponsabilidel massa-cro: «Uccidere l’innocente ge-nera cupa disperazione, perquesto nel nome di Dio onni-potente e misericordioso invi-to gli sterminatori di questafa-miglia apentirsi e acercare pa-ce nell’espiazione volontariadel loro delitto». Parole rima-ste inascoltate. // E. MIR.

IL RICORDO

Viscardi: «Manoloè in quella tomba?Ci crederò solo dopol’esame del dna»

Le reazioni Dopo il ritrovamento della sepoltura del bandito in Serbia

L’investigatore Nando Dominici, allora capo della Squadra Mobile

«IL TAXI, LA GOLFE QUELL’IMPRONTA»«Da anni vivo

nel timore che luioppure qualchesuo amicovenga a faredel male a mee ai miei cari»

Nel camposanto. La tomba di Manolo nel cimitero di Ilicevo

Enrico [email protected]

Il superstite della famigliamassacrata a Torchierachiede le prove: «Le autoritàfacciano chiarezza»

Guido. Viscardi chiede di sapere la verità // FOTO NEW EDEN GROUP

DifferenziataPorta a porta, domaniil kit per via VenetoProsegue in via Reverberi34 la distribuzione dei kitper la differenziata:domani dalle 9 alle 14 peri residenti in via Veneto.

In via MilanoMessa del Pellegrinoalla chiesa di S. GiacomoAlle 19 nella chiesa di SanGiacomo al Mella, in viaMilano 117 la Messa delPellegino con la consegnadelle credenziali a chi parte.

In Santa GiuliaIl monumentoa Giordano BrunoAlle 15,30 al Museo di S.Giulia conferenza sulmonumento a GiordanoBruno, con MassimoBucciantini (Univ. Siena)

Daniela Zorat · [email protected]

La casa di Manolo. L’ultimo domicilio conosciuto di Manolo

La figlia di Manolo ribadiscedi essere pronta a fare l’esamedel dna e chiede la cittadinanza

/ Gli operatori di Belgrado,che diffusero la lettera diLjubiša «Manolo» Vrbanovicperdiscuteredei disagidei con-dannati a "fine pena mai",nemmeno si erano accorti deicontenuti di quanto vergato daquel detenuto capo del clan diKragujevac. La lettera diLjubiša fu scritta nel 2000 dalcarcere di di Zabela, a Pozare-vac. Dopo la sua condanna amorte per fucilazione, il crimi-nale fu trasferito qui nel 2000con la pena commutata in 40anni di carcere.

Il 37enne scrive: «Zabelanon può sostituire altri carceri.Ero a Nis, a Belgrado. Sono sta-to qui 8 anni dopo aver vistocarceri italiane equelladi Poza-revac. Dal 1992 al 1998 sonostato a Sremska Mitrovica.Con la conferma della pena di

morte, ora vivo in isolamento.Più di una condanna a morte.Nessunoviene avisitarmi.Nes-suno mi manda nulla. Qui nonlavoro e non ho per comperarele sigarette. Perché? Lascioun’eredità a 5 persone che per iprossimi cento anni, non do-vranno lavorare... Quandouscirò, ho intenzione di trova-re una donna, una persona dai28 a 32 anni. Non importa seconfigli.Questapersonagià og-gi mi chiami o mi scriva in car-cere. Non se ne pentirà. Ho viametallo che non marcisce...».

Chi sono le cinque persone acui lasciare l’oro? I fratelli diManolo sono 4: Tomu (il piùvecchio) e Nenad, entrambi ar-restati nell’ 86 a Kragujevac,Dragisa (classe 1965) e il quin-to fratello Mileta, che vive one-stamente a Slavonski Brod.

I primi tre fratelli seguironoManolo dal 1985 nelle scorri-bande in Italia. All’arresto del-la banda vennero trovati dueetti di oro in lingotti appena fu-si e un sacco di gioielli. Ora glialtri lingotti sepolti tra i varicampi del Nord Italia descrittida Manolo diventano una leg-genda. Una storia che si rac-conta tra i clan. E forse non deltutto fantasia. // ROBERTO MANIERI

Il capobanda. Ljubiša «Manolo»Vrbanovic nella foto dell’arresto

Caccia all’oro

La refurtiva dellerapine sarebbe statanascosta in luoghisegreti: parte la caccia

«Quando mio nipote venne da me e disse: sono tutti morti»

Maddalena. La zia di Guido. «Venne da me quella terribile mattina»

La testimonianza

La sorelladel capofamigliaGiuliano: «Come si faa dimenticare?»

INCITTÀ

10 Domenica 26 marzo 2017 · GIORNALE DI BRESCIA

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«Nella tomba che c’è?». È laprima domanda chel’investigatore di allora,Nando Dominici,

all’epoca della strage dirigente dellaSquadra Mobile di Brescia, si è posto nelleggere del ritrovamento in Serbia del luogoin cui è sepolto, Liubisa Vrbanovic. Alla lucedella conoscenza che aveva del bandito,tiene a precisare, non basandosi suelementi certi. Vuole parlare delle sue«suggestioni», più che dei «ricordi», ma lamemoria da poliziotto non lo tradiscenemmeno a distanza di 27 anni dai fatti.«Quando il mio vice Calderozzi mi chiamòper avvertirmi della strage, quel Ferragostolo stavo trascorrendo a Roma, in vacanza.Partii immediatamente e in tre ore volai aBrescia. Raccogliemmo subito informazionisulla presenza di un’auto vista quella seradavanti alla villetta, con una strana asticella.Pensammo si potesse trattare di un taxi».Gli investigatori immaginarono potessetrattarsi dell’auto dei banditi che entraronoe trucidarono Giuliano, Agnese, Luciano eMaria Francesca Viscardi. Si trattava di unaMercedes grigia, proprio di un taxi rubatoad Ascoli Piceno. «Verificammo con ilcasellante dell’autostrada, a Pontevico,uscita vicinissima alla casa dei Viscardi, e lìraccogliemmo la sua dichiarazione relativaal passaggio di un uomo su una vettura chepoteva essere un taxi. Ritrovammo laMercedes abbandonata a Latisana.Trovammo che sull’auto c’era un telefono ecominciammo a verificare i tabulati.Scoprimmo alcune chiamate in Jugoslavia».Tutta la Mobile di Brescia si mobilitò perrintracciare Manolo, insieme allaCriminalpol lombarda che aveva sede aMilano. Una trentina gli uomini impiegati

giorno e notte per dare la caccia al banditodagli occhi gialli. «Quando scoprimmo laMercedes abbandonata immaginammoche fosse scappato rubando un’altra auto ecosì fu. Rubò una Golf e poi abbandonòpure quella ma lì, sulla parte retrostante losterzo, trovammo un’impronta digitale. Lasua». Bastò inserirla nei data base ecomparve una fotografia con 21 nomidiversi. Pari a tutte le volte che fu fermato inItalia. La foto segnaletica erasostanzialmente sovrapponibile all’identikitfatto dal casellante di Pontevico e si potècosì finalmente dare un nome all’autoredella strage. Che nel frattempo però - dopoaver seminato terrore e violenza in diversecittà - era tornato nel Paese d’origine.

«Nel corso delle indagini - raccontaancora Nando Dominici - siamo risaliti atutti gli accampamenti nomadi della suastessa etnia nel Bresciano, in cui era stato:proprio a Pontevico e anche a Desenzano. Equi, a furia di sostare in quegliaccampamenti trovammo qualcuno che cidiede una mano, dicendoci deglispostamenti di Manolo in Serbia. La Poliziaslava si muoveva sulla base delleindicazioni che noi da qui potevamo dargli.Come del punto in cui ci fu il conflitto afuoco in cui il suo complice si suicidò».Manolo fu catturato poco dopo. Addossoportava la 357 magnum che era la suafirma. Dominici non ha più sentito parlaredi lui fino alla notizia della sua morte. «Idubbi che si possono avere non sonosuffragati da elementi ma solo dasuggestioni. Adesso servirebbe unaccertamento scientifico come solo quellodel Dna può offrire». Per non restare conquella domanda sospesa nell’aria: «Inquella tomba cosa c’è?».

BRESCIA E [email protected]

/«Ga crede mia». Guido Vi-scardi scuote la testa e ripete:«Ga crede mia, come foi a fi-dàm?». Chi è questa giovaneche compare improvvisamen-te, dice di essere la figlia di Ma-nolo e indica la sua tomba?«Sono anni che attendo di sa-pere la verità sulla morte diquell’assassino,senza avere ri-sposteda nessuna autorità. Ti-rinofuoriquel corpodalla tom-ba e facciano l’esame del dnacon il fratello in galera nelleMarche. Solo allora, se ci saràcorrispondenza, ci crederò». Apatto,«di essercianch’ioquan-do faranno l’autopsia sul mor-to».

La strage. Sono le 10 di sabatoa Torchiera di Pontevico, Vi-scardi guarda la pagina delGiornale di Brescia che riferi-scesulritrovamento della(pre-sunta) tomba di Ljubisa Vrba-

novic, in Serbia, a pochi chilo-metri da Kragujevac. L’uomoche, il 15 agosto 1990, fece stra-ge della sua famiglia nella casadi Torchiera: papà Giuliano,58 anni, mamma Agnese Ma-ringoni, 53, il fratello Luciano,28, e la sorella Maria France-sca, 23. All’inizio non avrebbevoglia di parlare con il croni-sta, poi si lascia andare, espri-me ad alta voce i dubbi e gli in-terrogativi. «Dov’è stata finoraquesta donna che dice di esse-re la figlia? Perché ha chiama-to voi al giornale e non me? So-no troppi anni che chiedo disapere senza avere risposte.Come foi a fidàm?».

Le minacce. Per Guido quel fer-ragostodel1990nonèmai pas-sato. È un giorno infinito, lun-goquasi27 anni.Una storiaan-corasospesa,conildubbio sul-la sorte di Manolo. L’immagi-ne sconvolgente dei suoi carimassacrati senza pietà non sicancella, insieme al dolore, al-la rabbia, al timore che Ljubi-sa, o qualche suo sicario, pos-

sa comparire nella villetta diTorchiera. «Me lo ricordo be-ne lo sguardo di Manolo in au-la, durante il processo a Kra-gujevac nel 1996. Mi minac-ciò. Come faccio ad essere si-curo che lui oppure qualcunoaltro per conto suo non arrivi afare del male a me e alla miafamiglia? Sono vent’anni chevivo con questa paura, per mee i miei cari». Viscardi vuole leprove di quella morte. «Devofidarmi delle autorità serbe?Di una che sostiene di esserela figlia di Manolo? Figuriamo-ci...».

Dimenticare. Spesso gli dico-no di lasciar perdere, che or-mai è passata unavita, che bisognaandare avanti, di-menticare. «Sì, èbello parlare perchi non ha provatoquello che ho pro-vato io. Troppo fa-cile. Questa storiafinirà quando saròsicuro dellamorte di quell’ani-male. E poi, se mio padre fossestato un politico, uno di quelliche contano, le autorità italia-ne avrebbero fatto chiarezza.Invece siamo contadini, deipaesani, non contiamo nulla».

Nel giardino della villetta c’èla grande croce ricavata dalparquet della carneficina.Ogni ferragosto, qui davanti,si celebra la messa di suffragio

per Giuliano, Agnese, Lucianoe Maria Francesca. Il pensierocorre alla croce di legno del ci-mitero nella frazione di Kra-gujevac, con inciso il nome diLjubisa Vrbanovic. Sarebbemorto tre anni fa di un tumo-re. Sepoltosenza folle e clamo-re, quasi in segreto. «Voglio leprove»,mormora Viscardi.Sul-la strada comunale, davantiall’allevamento di polli dei Vi-scardi,passanorareautomobi-li. Lavilletta è isolatafra la stra-da e i campi, alla periferia diTorchiera. La domanda che siripropone è sempre la stessa:come sono arrivati qui, quellasera di ferragosto, Manolo e ilcugino Ivica Bairic (morto poi

in uno scontro afuoco con la poliziaserba)? Il destino, ilcasooppureunase-gnalazione da par-te di qualche com-plice locale? «Pen-savano di trovarein casa dei quadridi valore». Guido,

all’epoca della strage, abitavain una casa di Torchiera, pocodistante. Dopo decise di veni-re ad abitare nella casa dei ge-nitori. «Bisognava andareavanti con l’allevamento, eradifficile vendere tutto, e a chi?E poi, questo è l’unico posto incui mi sento libero». Nono-stante il pensiero di Manolo.«Dicono che è morto: come foia fidàm?». //

/ «Hai visto che non ti raccon-tavo una bugia? Hai visto cheManolo è sepolto dove ti hodetto? Hai visto?».

Violetta, la trentenne che hascoperto una decina di giornifa di essere figlia del banditocui si deve la firma sulla stragedi Pontevico del ferragosto di27 anni fa, e che ci ha dato leindicazioni per arrivare sullasua tomba, è soddisfatta dellascoperta del Giornale di Bre-scia. Molto. «Non ho dormitoper più di una settimana - haproseguito - e per una settima-na ho mosso tutte leconoscen-ze che avevo per trovare le in-formazioni che mi mancava-no. Ne è valsa la pena. Ho sof-ferto molto, l’idea di essere lafiglia di Ljubisa Vrbanovic midisturba ancora tanto, ma senonaltrohodimostratodiesse-

re una persona affidabile, dinon essere come mio padre».

Non riesce a darsi pace Vio-letta.Dopounasequenza dido-mande su Kragujevac e sul ci-mitero di Ilicevo, dove da treanni c’è la croce del mostro diTorchiera, esprime il suo piùgrande desiderio. «Voglio esse-re utile alla giustizia italiana,spero che i giudici mi chiami-no al più presto - dice la donna-: sono disposta a farmi prele-vare un campione di dna perconfrontarlo con quello di Ma-nolo. Se lo vorranno sono di-

sposta ad andare personal-mente in Serbia, a farmi darequella salma. Io posso».

Violettaha ereditatoun debi-to con Guido Viscardi, ma an-cheunpeso chesivuolescrolla-re di dosso. «Voglio dare unamano - ha detto nuovamente -voglio che questo capitolo sichiuda. E soprattutto non vo-glio più essere serba. Non honientecontroiserbi, mamiver-gogno per quello che ha fattomio padre. Sono nata al Policli-nico di Roma, in Serbia ci sonostata poche settimane, mi ciaveva portato mia mammaquando Manolo era in carcere.Vivo in Italia da una vita, miofiglio è italiano. Sono stata eposso essere ancora utile achiudere una brutta vicenda.Dici che non mi merito la citta-dinanza italiana?». //

Violetta: «Hai visto?Ho detto la verità,mi merito un aiuto»

La richiesta

Pierpaolo [email protected]

Il mistero del tesoroe di quegli «eredi»celati tra i 4 fratelli

/ Maddalena ha87 anniporta-ti bene. «Non mi lamento, aparte le gambe che non reggo-no piùcome una volta». In ma-no ha un mazzetto di löertis«per la frittata di mezzogior-no», spiega. Quando arrivia-mo a Torchiera, alla villetta diGuido Viscardi, sta parlando

con il nipote sul ciglio dellastrada. Maddalena è la sorel-la di Giuliano, il capofamigliamassacrato da Manolo e IvicaBairic. Ha letto sul nostro gior-nale le notizie che riguardanol’assassino, la figlia, la tomba,elesta commentandocon ilni-pote. La pensa come lui. «Do-po tanti anni abbiamo il dirit-to di sapere la verità, di cono-scere finalmente che fine hafatto Manolo. Non si può la-sciare la gente senza certezza,non è rispettoso verso i morti everso chi resta».

Maddalena, dopo Guidochescoprì il massacro la matti-na del 16 agosto, fu la prima a

sapere. Abita nella cascina alprincipio della frazione. «Ven-ne da me, sconvolto, e mi dis-se: "Iè morcc töcc"». Sono tuttimorti. «Io pensavo che Guidosi riferisse ai polli dell’alleva-mento, a qualche malattia, aqualcuno che li aveva avvele-nati». Era l’inizio dell’incubo.«Non posso dimenticare ciòche hovisto quella mattina en-trandoincasa.Unascenaterri-bile». Racconta il sangue, i cor-pi, la dinamica ricostruita poidagli inquirenti. «Non si rime-dia a un dolore così, a un di-spiacere così grosso». Perciò,ripete,«abbiamo dirittoallave-rità, abbiamo il diritto di sape-

re cosa è successo a chi hacompiuto la strage».

Domenica 19 agosto tremilapersoneparteciparonoalfune-rale, con la chiesa di Torchieratroppo piccola per contenereanche una parte di quella fol-la.Lamessa fucelebratadalve-scovo Bruno Foresti, che si ap-pellòairesponsabilidel massa-cro: «Uccidere l’innocente ge-nera cupa disperazione, perquesto nel nome di Dio onni-potente e misericordioso invi-to gli sterminatori di questafa-miglia apentirsi e acercare pa-ce nell’espiazione volontariadel loro delitto». Parole rima-ste inascoltate. // E. MIR.

IL RICORDO

Viscardi: «Manoloè in quella tomba?Ci crederò solo dopol’esame del dna»

Le reazioni Dopo il ritrovamento della sepoltura del bandito in Serbia

L’investigatore Nando Dominici, allora capo della Squadra Mobile

«IL TAXI, LA GOLFE QUELL’IMPRONTA»«Da anni vivo

nel timore che luioppure qualchesuo amicovenga a faredel male a mee ai miei cari»

Nel camposanto. La tomba di Manolo nel cimitero di Ilicevo

Enrico [email protected]

Il superstite della famigliamassacrata a Torchierachiede le prove: «Le autoritàfacciano chiarezza»

Guido. Viscardi chiede di sapere la verità // FOTO NEW EDEN GROUP

DifferenziataPorta a porta, domaniil kit per via VenetoProsegue in via Reverberi34 la distribuzione dei kitper la differenziata:domani dalle 9 alle 14 peri residenti in via Veneto.

In via MilanoMessa del Pellegrinoalla chiesa di S. GiacomoAlle 19 nella chiesa di SanGiacomo al Mella, in viaMilano 117 la Messa delPellegino con la consegnadelle credenziali a chi parte.

In Santa GiuliaIl monumentoa Giordano BrunoAlle 15,30 al Museo di S.Giulia conferenza sulmonumento a GiordanoBruno, con MassimoBucciantini (Univ. Siena)

Daniela Zorat · [email protected]

La casa di Manolo. L’ultimo domicilio conosciuto di Manolo

La figlia di Manolo ribadiscedi essere pronta a fare l’esamedel dna e chiede la cittadinanza

/ Gli operatori di Belgrado,che diffusero la lettera diLjubiša «Manolo» Vrbanovicperdiscuteredei disagidei con-dannati a "fine pena mai",nemmeno si erano accorti deicontenuti di quanto vergato daquel detenuto capo del clan diKragujevac. La lettera diLjubiša fu scritta nel 2000 dalcarcere di di Zabela, a Pozare-vac. Dopo la sua condanna amorte per fucilazione, il crimi-nale fu trasferito qui nel 2000con la pena commutata in 40anni di carcere.

Il 37enne scrive: «Zabelanon può sostituire altri carceri.Ero a Nis, a Belgrado. Sono sta-to qui 8 anni dopo aver vistocarceri italiane equelladi Poza-revac. Dal 1992 al 1998 sonostato a Sremska Mitrovica.Con la conferma della pena di

morte, ora vivo in isolamento.Più di una condanna a morte.Nessunoviene avisitarmi.Nes-suno mi manda nulla. Qui nonlavoro e non ho per comperarele sigarette. Perché? Lascioun’eredità a 5 persone che per iprossimi cento anni, non do-vranno lavorare... Quandouscirò, ho intenzione di trova-re una donna, una persona dai28 a 32 anni. Non importa seconfigli.Questapersonagià og-gi mi chiami o mi scriva in car-cere. Non se ne pentirà. Ho viametallo che non marcisce...».

Chi sono le cinque persone acui lasciare l’oro? I fratelli diManolo sono 4: Tomu (il piùvecchio) e Nenad, entrambi ar-restati nell’ 86 a Kragujevac,Dragisa (classe 1965) e il quin-to fratello Mileta, che vive one-stamente a Slavonski Brod.

I primi tre fratelli seguironoManolo dal 1985 nelle scorri-bande in Italia. All’arresto del-la banda vennero trovati dueetti di oro in lingotti appena fu-si e un sacco di gioielli. Ora glialtri lingotti sepolti tra i varicampi del Nord Italia descrittida Manolo diventano una leg-genda. Una storia che si rac-conta tra i clan. E forse non deltutto fantasia. // ROBERTO MANIERI

Il capobanda. Ljubiša «Manolo»Vrbanovic nella foto dell’arresto

Caccia all’oro

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Maddalena. La zia di Guido. «Venne da me quella terribile mattina»

La testimonianza

La sorelladel capofamigliaGiuliano: «Come si faa dimenticare?»

INCITTÀ

GIORNALE DI BRESCIA · Domenica 26 marzo 2017 11


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