+ All Categories
Home > Documents > 10OPnovembre11

10OPnovembre11

Date post: 23-Mar-2016
Category:
Upload: osservatorio-piemonte
View: 220 times
Download: 6 times
Share this document with a friend
Description:
Cartello degli Indignados Rivolta globale La geografia della politica In regione mai più dirigenti? L’uomo che verrà L’angolo di vista Unità d’Italia e Biella di Riccardo Manzoni qualcuno pensa ai referendum di Alessandra Lo Re di Massimiliano Pettino i n copertina sindacato il parco scippato ai torinesi diventerà una shopville… ricerca ricerca storia di Franco Balducci 2
28
Cartello degli Indignados in copertina Unità d’Italia e Biella storia Dal denaro alle banche ricerca L’angolo di vista di Alessandra Lo Re A proposito di banche qualcuno pensa ai referendum La Marmorina il parco scippato ai torinesi Rivolta globale di Riccardo Manzoni La geografia della politica ricerca Torino: Palazzo Nervi diventerà una shopville… L’uomo che verrà di Massimiliano Pettino In regione mai più dirigenti? sindacato novembre 2011 Periodico indipendente di politica e cultura Piemonte Osservatorio
Transcript
Page 1: 10OPnovembre11

Cartello degli Indignados in copertina

Unità d’Italia e Biella storia

Dal denaro alle banche ricerca

L’angolo di vista di Alessandra Lo Re

A proposito di banche qualcuno pensa ai referendum

La Marmorina il parco scippato ai torinesi

Rivolta globale di Riccardo Manzoni

La geografia della politica ricerca

Torino: Palazzo Nervi diventerà una shopville…

L’uomo che verrà di Massimiliano Pettino

In regione mai più dirigenti? sindacato novembre 2011

Periodico indipendente di politica e cultura

Pi

em

on

te

O s s e r v a t o r i o

Page 2: 10OPnovembre11

2

Unità d’Italia, Risorgimento ed alte terre novaresi

II risorgimento è il capitolo più im-portante della storia italiana mode-ra. La gestazione e la nascita del nostro Paese ha visto la parteci-pazione di uomini che per l'Italia unita sono finiti in prigione, han-no dovuto lasciare casa e fami-glia e sono andati esuli in altri Paesi o hanno dato la vita. Noi viviamo sull'eredità di questi uomini e mano a mano che la celebrazione del 150° anniver-sario dell'Unità prosegue, ab-biamo cercato di ricordare co-me e con quali protagonisti ha partecipato al nostro territorio. E' un piccolo scenario eteroge-neo dal quale risalta la co-scienza del momento: la realiz-zazione di una meta della quale bisogna essere orgogliosi. Ricordiamo anzitutto i 7 volontari di Novara che hanno partecipato con Garibaldi alla spedizione dei Mille, oltre i 33 volontari di Vigo-gna e Premosello che precedente-mente parteciparono alla 1° Guerra d'Indipendenza (Battaglia di Nova-ra, 1849), a comprova che il pro-getto unitario non è stato persegui-to esclusivamente dagli aristocratici e dalle classi più agiate. Inoltre Novara contribuisce alla causa risorgimentale con la raccol-ta di uniformi ed armi. Una menzio-ne a parte merita il Generale Paolo Solaroli, dalla vita avventurosa e guerriera e combattente anche alla

Bicocca di Novara. Inoltre alcuni industriali finanziaro-no, con elargizioni di denaro occor-rente per l'acquisto di due navi, la spedizione del 1860 partita da Quarto. Il contributo si riferisce anche all'apporto dato in quell'epoca al miglioramento della tecnologia militare e dell'equipaggiamento, come vedremo… Infatti le modifiche apportare alle nostre artiglierie, a retrocarica e a canna interna rigata, da parte del Generale Giovanni Cavalli (1808-1879), anch'egli novarese, hanno fatto la differenza essendo più pratiche, di più lunga gittata e più precise. E' doveroso inoltre ricordare che i geniali artigiani/artisti di Quarna, località di montagna all'epoca densamente popolata, produssero al ritmo di 100 pez-zi alla settimana quelle pratiche borracce militari di legno nate nel 1822, a doppio strato, a do-ghe e che conservavano fresca l'acqua per la sete dei soldati; vennero utilizzate in parte anche durante la Guerra '15/'18, sosti-tuite in seguito da quelle in allu-minio più pratiche e più igieni-che. Tali borracce, con capacità di circa 1/3 di litro, erano di le-gno stagionato di pesco, melo, acero, salice, pioppo e betulla; il tappo a vite, lavorato al tornio, presentava un forellino per un rapido uso ed era chiuso da un zeppo appuntito di legno, tratte-nuto da uno spago. La caratteristica forma semiel-littica impediva alla borraccia medesima, durante la marcia o la corsa, di girare su sè stessa. An-che l'esercito inglese a quell'epo-ca volle dotarsi di simili boracce, che venivano controllate all'inter-no da un ufficiale dell'esercito che, con un deciso colpo di sciabola ne tranciava un esem-plare su 100 per verificare che all'interno non fosse stata utiliz-zata della paraffina per rimediare a eventuali fessure o difetti di co-struzione.

di Franco Balducci

Nella città di Biella, all'epoca in provincia di Novara, venivano altresì confezionate le caratteristiche casacche rosse garibaldine….

Page 3: 10OPnovembre11

3

dei Reduci" dedicato alla Madonna S.S. Annunziata; come si evince da una scritta (vedi foto), fu costruita nel 1852 quale voto esaudito della I guerra d'Indipendenza 1848/'49. II maggiore Dionigi Superti, co-mandante della Divisione Parti-giana "Valdossola", nel 1945 scrisse una lettera autografa per ricordare i 515 Caduti della sua Divisione durante il IV Risorgi-mento, di cui fu testi-mone la Cappelletta (ora Santuario) della Madonna di Lüt, "già dal Risorgimento me-ta di pellegrinaggio dei Reduci di tutte le guerre per la Libera Italia". Ma in un'epoca in cui nessuna orga-nizzazione era stata ancora posta in esse-re per la cura dei feri-ti e per la tutela dei prigionieri, vogliamo concludere questo ricordo unitario e ri-sorgimentale dando merito alle donne novaresi per aver provveduto negli o-spedali, nelle Chiese, nelle Scuole e nelle abitazioni private alla cura dei feriti ed all'as-sistenza dei moribon-

Sempre a Quarna, paese ben noto an-cora oggi per la co-struzione di stru-menti musicali a fiato, venivano co-struite le trombe militari di cui era dotato l'esercito e che inviavano ai soldati i segnali sonori militari: a-vanzare, indietreg-giare, fermarsi, sparare, cessate il fuoco, marcia a pas-so di corsa, ecc. con tali trombe naturali, senza tasti, il trom-bettiere poteva suo-nare le note basi del SOL, DO, MI e SOL superiore, con le quali si potevano inviare i prescritti segnali militari e suonare, anco-ra oggi, il "Silenzio sempli-ce" (non d'ordinanza, che ri-chiede le 7 note base). Il trom-bettiere quasi sempre a caval-lo, si posizionava a stretto con-tatto degli Ufficiali e del Generale Comandante, pronto a trasmette-re gli ordinativi ricevuti mediante gli squilli onomatopeici che poteva-no essere percepiti anche fino a circa 500 metri. Nella città di Biella, all'epoca in pro-vincia di Novara, venivano altresì confezionate le caratteristiche ca-sacche rosse garibaldine, dopo che lo stock di quelle divise dei macellai sudamericani, confiscate da Gari-baldi e utilizzate a Montevideo in Uruguay nel periodo 1843/'46, risultarono esaurite e insufficienti. Ricordiamo che l'esercito garibal-dino ebbe in ruolo talvolta anche più di 30 mila soldati, regolar-mente pagati dall'Intendenza a-vente a capo lo scrittore Ippolito Nievo, non ancora trentenne all'epoca della famosa Spedizione dei Mille; a seguire le uniformi ros-se dell'epopea garibaldina furono utilizzate anche in occasione dell'in-tervento in Grecia nel 1887 e perfi-no nelle Argonne in Francia, nel 1914, dove i Volontari italiani era-no ormai guidati dai discendenti di Garibaldi, figlio e nipoti. In Valgrande, località Lüt della fra-zione Collòro di Premosello Chio-venda, esiste un piccolo "Santuario

di, Piemontesi e Austriaci, subito dopo la Battaglia di Novara del 23 Marzo 1849, assistenza che si è protratta anche per più di 3 giorni di seguito, tant'è che per sfinimento morirono una nobil-donna ed una suora anonima.

Battaglia di Novara

Novembre 2011 - Osservatoriopiemonte Periodico indipendente di politica, cultura, storia. aut. tribunale di Torino n° 5554 del 2-11-2001

Sede legale Cantavenna di Gabiano (AL) - Editore: Piemonte Futuro - P. Iva 02321660066 -

Direttore Responsabile: Enzo Gino. Per informazioni, collaborazioni, pubblicità e contatti:

[email protected]

cell. 335-7782879 – fax 1782223696 -

Distribuzione gratuita.

www.osservatoriopiemonte.it

Finito di stampare il 12 novembre 2011

Page 4: 10OPnovembre11

4

Chiamatelo come vi pare il denaro può distruggerci o fare la nostra fortuna, ha fatto crollare alcuni dei più grandi nomi di Wall Street e della City londinese. E mentre gli ex giganti della finan-za affrontano la bancarotta, noi comuni mortali, possiamo solo pre-occuparci se il nostro denaro sia più sicuro nel caveau di una banca o sotto il materasso. La grande crisi economica comin-ciata nell’estate del 2007 ci ha completamente spiazzati. Come è possibile che un trend ipotecario circoscritto agli Stati Uniti abbia innescato uno tsunami finanziario tale da distruggere alcuni dei nomi più illustri di Wall Street, costringe-re le banche americane ed europee alla statalizzazione e portare l’eco-nomia mondiale sull’orlo della re-cessione per non dire della depres-sione. Forse si dovrebbe parlare di crollo del denaro? Cercheremo di spiegare perché il denaro è giunto da avere un ruolo così determinante nelle vite di tutti noi. Cercheremo di capire perché le dinamiche finanziarie sono da sem-pre il grande motore che fa muove-re la storia. Le banche hanno pro-mosso il rinascimento, le obbliga-zioni hanno deciso le sorti dei con-flitti mondiali, i mercati azionari hanno dato vita a veri e propri im-peri, e le crisi monetarie hanno fomentato le rivoluzioni. Dall’antica Mesopotamia, alla Lon-dra dei giorni nostri, l’ascesa del denaro è stata una parte indispen-sabile dell’ascesa dell’uomo, ma la scalata del denaro è sempre stata difficile. Come vedremo la storia finanziaria spesso è stata interrotta da crisi dilanianti, e quella odierna è uno degli esempi più recenti. Dai prezzi fluttuanti del mercato immobiliare, alla rapidissima indu-strializzazione della Cina, il potere della finanza è ovunque si volga lo sguardo, e condiziona le vite di tutti noi. Ma siete a parte del segreto? sape-te cosa provoca la corsa a ritirare i soldi dal conto, i disastri monetari o il crollo della borsa?, sapete ricono-scere la differenza fra i mutui su-bprime e i prime ?

Crediamo che questi tecnicismi ac-quistino chiarezza solo una volta che se ne chiarisce l’origine, ed è per questo che la storia finanziaria va ben oltre il dibattito accademico, rimanerne all’oscuro potrebbe dan-neggiare seriamente i nostri rispar-mi. Crisi o non crisi la quantità di dena-ro che circola nel pianeta finanza va oltre ogni immaginazione, da un lato i titoli americani sono saliti a 8 . 7 0 0 . 0 0 0 . 0 0 0 . 0 0 0 $ (ottomilasettecento miliardi) di dol-lari, più del 12% rispetto all’anno precedente, e alcuni stanno già intascando una grossa fetta di quei capitali. Nel 2008 nonostante l’insorgere della peggiore crisi finanziaria dai

tempi di quella del 1929, l’High Found ha fruttato a George Soros 2.400 miliardi di dollari, una entra-ta 41.000 volte superiore a quella di una famiglia media americana. A Wall street direbbero: ben fatto!

Ora immaginiamo un mondo senza denaro

500 anni fa la civiltà più potente del sud America l’impero Inca non aveva il concetto del denaro. Gli Inca apprezzano le qualità esteti-che dei metalli preziosi, l’oro è il sudore del sole, l’argento le lacrime della Luna, nell’impero Inca l’unità monetaria è la manodopera, come sosterranno più tardi le società co-muniste. Ma nel 1532 gli Inca si imbattono in un uomo che spinto dalla avidità, intraprende una ri-schiosa traversa-ta oceanica. Francisco Pizarro col suo seguito di Conquistado-res, dalla Spa-gna parte per un territorio che chiamano alto Perù, attirato dal

Dal denaro alle banche*

Parliamo del regno del denaro, soldi, grana, contante, quattrini, entrate, capitali, moneta, finanze, risorse...

(*) Liberamente tratto dal docu-mentario “L’ascesa del denaro per History Channel”

George Soros

Page 5: 10OPnovembre11

5

mito di Eldoa-rado, una regione dalle ricchezze leg-gendarie. Do-po avere sconfitto l’e-sercito Inca nella battaglia

di Cajamarca la ricerca può final-mente avere inizio a Potosì nella attuale Bolivia gli spagnoli fanno la loro fortuna scoprendo il Cerro Rico letteralmente la -montagna ricca- alta 4.900 metri s.l.m. la montagna trabocca di denaro, nei 250 anni di dominazione spagnola quasi 57.000 tonnellate di argento vennero e-stratte dalle sue miniere a più di 4.000 metri di quota sulle vette andine, ciò che gli Inca non riusci-vano a capire era la fame insaziabi-le di oro e di argento che avevano gli europei. Non potevano sapere che per Pizarro e si suoi Conquista-dores l’argento era ben più di un metallo lucente, poteva essere tra-sformato in denaro, una riserva di valore, una unità di conto, potere al portatore. Gli spagnoli avevano studiato un sistema di lavori forzati, che co-stringeva tutti gli indigeni di sana e robusta costituzione a lavorare in queste miniere, un indigeno su otto non sopravviveva alla terribile e-sperienza. Oggi nonostante siano passati 500 anni, le condizioni di lavoro dei minatori del Cerro Rico non sono migliorate molto, ma quantomeno la loro prestazione viene retribuita. Ai tempi di Pizarro la brama di profitto rasenta il geno-cidio. Il minerale d’argento viene estratto e raffinato con il mercurio e poi imbarcato per il mercato dell’-Europa dove viene forgiato in lin-gotti e monete. Le conquiste d’ol-treoceano sembrano arricchire la corona spagnola oltre ogni possibi-le immaginazione. Ma nemmeno tutto l’argento delle miniere di Potosì riuscirà a fermare l’inesorabile declino economico e politico dell’impero spagnolo. Com’-era possibile considerato che la scoperta di Pizarro era una fonte di ricchezza inestimabile. La risposta è che gli spagnoli avevano estratto talmente tanto argento per finan-ziare le loro guerre di conquista che il metallo si era incredibilmente svalutato. Una maggiore circolazio-ne di monete d’argento non rende-

va la Spagna più ricca, contribuiva solo all’aumento dei prezzi perché il maggior afflusso di denaro serviva ad acquistare la stessa quantità di merce. Gli spagnoli non avevano capito che il denaro acquista valo-re solo nel momento in cui diventa moneta di scambio. E che il denaro assuma le sembian-ze di monete d’argento, conchiglie, lingotti d’oro o banconote, l’affer-mazione era valida nell’antichità come ai giorni nostri, persino le tavolette d’argilla possono funzio-nare meglio delle monete d’argen-to, se un popolo sa come usarle. Nell’antica Mesopotamia quasi 4000 anni fa si usavano tavolette d’argil-la per concludere delle particolari transazioni finanziarie, su esse si riportava che uno specifico contadi-no doveva dare al suo creditore 330 misure di grano il giorno del raccolto, in un’altra si scrive che al

portatore della tavoletta dovrà es-ser versato un debito di 4 misure d’orzo. Ed è proprio l’idea del por-tatore l’aspetto affascinante. L’e-spressione risulta infatti familiare per un buon motivo, basta guarda-re una banconota da 20 sterline su cui sta scritto: -Prometto di pagare al portatore su richiesta la somma di 20 sterline-. Le banconote non hanno alcun va-lore intrinseco, sono una semplice promessa di pagamento, proprio come le antiche tavolette babilone-si di 4000 anni fa. Sul retro delle banconote da dieci dollari è riporta-to il motto - in God we trust- ossia -confidiamo in Dio-, ma non è solo

in Dio che confidiamo. Barattando beni di consumo e forza lavoro con una manciata di banconote confi-diamo che il ministero del tesoro americano non commetta lo stesso errore commesso dalla Spagna e non emetta così tante banconote che nel momento in cui vengono spese valgono anche meno della carta su cui sono stampate. Oggi sembriamo cavarcela bene col denaro cartaceo, e ancora meglio col denaro che non vediamo nem-meno. Ogni giorno milioni di dollari passa-no dal monitor dei computer degli intermediari internazionali, il cui lavoro consiste nel comprare e ven-dere denaro, ogni giorno in tutto il mondo 3 milioni di miliardi di dollari (3.000.000.000.000.000) passano di mano in mano in transazioni, e si basa tutto sulla fiducia, così dev’es-ser quando il denaro non è tangibi-le. E’ in questo che i Conquistado-res hanno sbagliato, non sono riu-sciti a capire che il denaro si basa sulla fiducia, sulla fede incondizio-nata, fiducia nel pagante, fiducia nella banca centrale che emette il denaro, fiducia nella banca com-merciale che onora l’assegno.

Il denaro non è metallo ma una forma di fiducia

messa per iscritto e non importa dove sia messa per iscritto, sulla carta, sull’argento, sull’argilla o su un monitor, l’impor-tante è che il beneficiario abbia fiducia. L’emergere del denaro co-me sistema di fiducia reciproca ha creato una possibilità straordinaria,

Pizarro

Tavolette Mesopotamiche

L’agguato di Cajamarca Pizzarro con 106 fanti, 62 soldati di ca-valleria e 3 cannoni uccise 2000 civili Inca e ne catturò 5.000. Le perdite spa-gnole furono 5 soldati morti e 2 feriti

Page 6: 10OPnovembre11

6

una possibilità che ha rivoluzionato la storia del mondo. L’idea di poter contare sulla credibilità dei debitori e vedere il debito sanato in un arco di tempo prestabilito, ecco perché il termine credito affonda le radici nel termine latino credere, ossia pre-stare fede, dare fiducia. Senza l’introduzione del credito il progresso economico del mondo intero non sarebbe stato realizzabi-le. Spesso diamo la cosa per scon-tata e tendiamo a sottovalutare in che misura la nostra civiltà si basi sui prestiti e le restituzioni di dena-ro, non è il denaro a fra girare il pianeta ma il denaro è in grado di far girare enormi quantità di perso-ne, beni di consumo e servizi in tutto il mondo, da Babilonia alla Bolivia. La cosa buffa è che i primi creditori non vengono gratificati per i loro servigi, al contrario la società li iso-la, trattandoli come dei paria. Per-ché? L’Italia settentrionale nell’anno del Signore 1200 è un territorio fram-mentato in molteplici staterelli in guerra fra loro, una terra in cui la fiducia scarseggia.

Fibonacci chi è costui? Tra i resti del defunto impero ro-mano vige un sistema numerico strano, veramente inadatto ai cal-coli matematici più complessi, per non parlare delle transazione com-merciali, la situazione è vissuta come un handicap soprattutto a

Pisa, dove i mercati faticano a fare affari con ben 7 monete in circola-zione, persino le transazioni più elementari diventano un fastidioso grattacapo, e richiedono l’utilizzo dell’abaco, a confronto la vita eco-nomica del mondo orientale nel califfato islamico e ai confini con l’impero cinese per esempio è mol-to più progredita. Per scoprire la nuova finanza l’Eu-ropa nella sua arretratezza, dovrà importarla.

A fare la differenza è un giovane matematico italiano, Leonardo Fi-bonacci detto da Pisa, figlio di un facoltoso mercante i cui affari han-no sede nella odierna Algeria. Fibonacci è ricordato ancora per una sequenza di numeri che esem-plifica i rapporti costanti presenti in natura, ma la famosa sequenza è solo una delle novità orientali che Fibonacci introdusse in Europa col rivoluzionario trattato -Libera aba-chi- ossia il libro del calcolo, anco-

ra più importante fu la dimostrazio-ne della superiorità dei numeri ara-bi su quelli latini, e quasi tutti gli esempi presenti nel trattato, face-vano riferimento al mondo degli affari. Sin dai tempi dell’impero romano, gli europei eseguivano i più ele-mentari calcoli aritmetici, con i nu-meri romani, l’introduzione dei nu-meri arabi o numeri hindu semplifi-cano enormemente ogni sorta di calcolo matematico. In particolare Fibonacci ci dimostra che i nuovi sistemi di calcolo possono essere applicati alla contabilità, alle con-versioni di valuta, e cosa ancora più importante al computo dell’inte-resse. Immaginate di dover calcola-re la percentuale con il sistema numerico romano, con il -Libera abachi- di Fibonacci il calcolo di-venta un gioco da ragazzi. Questa sarà la prima applicazione della matematica al mondo della finanza.

Chiesa, ebrei e usura Le città italiane si rivelano terreno fertile per far germogliare il nuovo seme finanziario, Pisa la città nata-le di Fibonacci è fra queste, ma è soprattutto Venezia esposta molto

più di altre ai contatti con l’oriente a trasformarsi in un immenso labo-ratorio di credito, ed è la patria del più famoso usuraio delle letteratura Shylock del Mercante di Venezia di Shakespeare. Nella commedia Shylock è disposto ad accettare la richiesta di denaro sulla condizione che il mercante Antonio amico di Bassanio faccia da garante al prestito: 3.000 ducati per tre mesi. Durante un prestito qualunque co-sa può andare storta, le navi pos-sono affondare ed è per questo che chiunque presti del denaro ad un mercante, seppur per un periodo circoscritto ad un viaggio oltreocea-no, esige un indennizzo, quell’in-dennizzo viene chiamato interesse, la somma versata al creditore in aggiunta alla somma prestata o principale. Il commercio oltremare da cui Ve-nezia dipende non potrebbero av-venire senza questa genere di tran-sazioni che rimangono tuttora le basi su cui poggiano le dinamiche del commercio internazionale. Ma perché Shylock dimostra tanta crudeltà pretendendo una libra di carne, in altre parole la morte di Antonio, se questi non sarà in gra-do di rispettare l’obbligazione. Per quale motivo l’usuraio sheakspea-riano è tanto spietato e si trasfor-ma nel prototipo dello strozzino succhiasangue che ricorrerà più e più volte nella letteratura occiden-tale. Un indizio sta nel fatto che Shylock è uno dei tanti usurai ebrei della storia. Gli ebrei che soggiornano a Venezia per più di due settimane sono co-stretti ad esibire una O gialla sul retro della tunica o un copricapo dello stesso colore, e vengono con-finati in una zona della città che verrà chiamata Ghetto. I confini del ghetto ebraico di Ve-nezia non potevano esser oltrepas-sati nelle ore notturne, gli ebrei erano tollerati a Venezia ma per una sola ragione; gli ebrei possono fornire un servizio rigorosamente vietato ai mercanti cristiani: adde-bitare un tasso di interesse alla somma concessa in prestito. Fibonacci mette a punto la formula matematica del prestito, ma sta ai Shylock concludere la trattativa. Presso l’edificio del banco Rosso a Venezia i ricchi ebrei mercanteggia-

Leonardo Fibonacci da Pisa

Page 7: 10OPnovembre11

7

vano dietro le loro tavole, seduti su delle panche chiamate banchi da cui trae origine la denominazione attuale di banche. Se i mercanti si recavano nel ghet-to ebraico per richiedere un presti-to c’era un buon motivo: per i cri-stiani la consuetudine di richiedere un interesse sulla somma versata era un peccato mortale. Per le leggi della chiesa medievale contro l’usura, l’applicazione del tasso di interesse sui prestiti sono

un ostacolo insormontabile per lo sviluppo delle finanze europee, dopo tutto quale mercante timora-to di Dio avrebbe voluto esporsi al tormento delle pene infernali. Basta veder la rappresentazione del Vasari e dello Zuccari all’interno della cattedrale di Firenze. Il duo-mo, in un affresco realizzato da Domenico di Michelino raffigurante il sommo poeta fiorentino Dante Alighieri che mostra il suo grande capolavoro la Divina Commedia, secondo la visione ultraterrena dantesca nel settimo cerchio del-l’inferno c’è un girone dedicato a chi in vita indulge nel peccato di usura. Qui gli usurai sono costretti a giacere sopra un sabbione arro-ventato sotto una pioggia di fuoco, ed appesa la collo recano una bor-sa appesa che avrebbe impresso lo stemma di famiglia.

Nemmeno gli ebrei in teoria po-trebbero prestare denaro a usura, ma l’Antico Testamento nel capitolo 23 del Deuteronomio fornisce un escamotage convincente, proibisce di prestare denaro a usura ad un amico, ma con uno straniero è tut-ta un’altra storia, in altre parole un ebreo non poteva concedere un prestito ad un altro ebreo, ma a un cristiano sì. Il prezzo pagato dagli ebrei per questo servizio è l’esclusione socia-

le da cui deriva la ghet-tizzazione, e la singolare associazione fra ebrei e finanza una delle poche forme di attività economi-ca da cui gli ebrei non erano esclusi, Alla fine ovviamente Shylock viene ostacolato, nonostante il tribunale gli riconosca il diritto alla libra di carne, la legge gli impedisce di versare una sola goccia del sangue di Antonio, ed essendo un ebreo, la legge lo con-

danna alla confisca dei suoi beni, e lo condanna a morte per aver tra-mato la morte di un cristiano. Shylock evita la condanna solo ac-cettando di abiurare la propria fe-de. Prestare denaro a usura si rive-la una attività molto rischiosa. Il mercante di Venezia solleva im-portanti questioni di carattere eco-nomico e antisemitico. I debitori debbono comunque a-dempiere ai loro impegni, anche se il creditore appartiene ad una mi-noranza etnica impopolare? La sto-ria darà forse ragione a Shylock. Per comprendere meglio il funzio-namento della pratica dell’usura non è necessario viaggiare molto a ritroso nel tempo. Esistono migliaia di Shylock nel nostro tempo ad un palmo dal nostro naso, e non sem-pre devono esser ebrei per patire un destino simile a quelli dell’ebreo di Venezia. Shepherd town nella

periferia orientale di Gla-sgow, con le sue tipiche im-poste d’acciaio è forse uno dei posti più tetri dell’Europa occidentale. La durata media della vita di un uomo qui non supera i 64 anni, ed è di po-co inferiore a quella del Ban-gladesh, ciò vuol dire che un abitante di Shepherd town di norma non arriva a percepire

la pensione di stato. Penserete che nessuno sarebbe così pazzo da for-nire servizi finanziari qui, ma qual-cuno lo è. Stiamo parlando degli usurai, voi consegnate la vostra benefit card come garanzia, e loro vi concedono un prestito, quando la carta viene caricata l’usuraio ve la restituisce, voi vi recate all’ufficio postale a incassare il denaro e gli versate gli interessi. E’ una versione in chiave moderna del modello finanziario promosso da Shylock. L’usura è viva e vegeta in quest’angolo della Scozia, dal registro della contabilità di uno strozzino di Glasgow, risulta il funzionamento di questo sistema di prestiti; se presti 10 sterline a qualcuno, te ne vedrai tornare in-dietro 12,50 alla fine della settima-na. Stiamo parlando del 25% a settimana, all’anno sono gli 11 mi-lioni percento. Ma allora perché degli operai che sbarcano il lunario per sole 5,90 sterline al giorno acconsentono di pagare un tasso di interesse così alto? Bisognerebbe esser matti per veni-re meno a un simile impegno di pagamento. Qui a Glasgow infatti l’inadempienza è alquanto sconsi-gliata, c’è il rischio concreto di ri-metterci una libbra di carne. E’ risaputo che le lesioni personali sono una conseguenza diretta del-l’insolvenza a danno dei creditori. Molto semplicemente gli strozzini devono esser crudeli e spietati, perché anche le perdite legate ad un solo insolvente sono altissime, e questo spiega il perché dall’Italia rinascimentale, alla Scozia dei gior-ni nostri, l’usuraio è una figura tan-to disprezzata, fornisce un servizio ma ad un prezzo socialmente inac-cettabile. Come hanno fatto gli usurai della storia ad aggirare questo nodo cru-ciale? Troppa generosità non a-vrebbe dato profitto, troppa indul-genza avrebbe al contrario indotto i debitori all’insolvenza. La soluzione è ingrandirsi e acqui-stare potere.

E’ arrivato il momento di inventare le banche

Nell’Italia del XV secolo l’importan-te servizio di fornitura crediti esce dal muro dei ghetti e diventa una prerogativa legittima delle banche, questa transizione è simboleggiata dall’ascesa di una famosa famiglia

Inferno di Dante : gli usurai

Banco Rosso a Venezia

Page 8: 10OPnovembre11

8

da seduti su dei banchi di legno. Infatti il primo banco dei Medici era situato in via dell’Arte della Lana dal nome della relativa corporazio-ne. Prima del 1390 i Medici incarnano il corrispettivo fiorentino dei Sopra-no, un clan di nuova formazione, più famosa per le bassezze violente che per l’alta finanza. Nell’arco di 17 anni almeno 5 mem-bri della famiglia dei Medici, vengo-no condannati a morte dal tribuna-le di Firenze per crimini capitali. Poi entra in scena Giovanni di Bicci de Medici il cui obiettivo è legittimare il buon nome della famiglia, il se-greto del suo successo sta nell’in-trodurre un ingegnoso cavillo con-tabile che sottrae e i Medici alle limitazioni delle leggi antiusura. I libri mastri del banco mediceo sottolineano l’importanza della cambiale per finanziare il commer-cio internazionale. E’ vero la chiesa proibiva di applicare un tasso di interesse sui crediti, ma nulla impe-diva ad un mercante accorto di trarre profitti ad un transazione come questa che implicavano l’uso di valute straniere, niente interessi quindi niente peccato, esiste sem-plicemente una commissione de-dotta dalla transazione fra valute differenti. Se il commerciante chie-de espressamente un versamento anticipato, la commissione sale sensibilmente. Allo stesso modo ai depositanti che affidano il loro denaro al Banco Mediceo viene concessa la “discrezione”, una somma per ri-compensarli del fatto di aver messo a rischio i loro risparmi. Si tratta di una forma di credito in altre parole che maschera discreta-mente l’applicazione degli interessi, per la prima volta nella storia il prestito a usura diventa un servizio bancario. La vera storia del successo dei Me-dici è narrata nel Libro Segreto compilato da Giovanni de Bicci de Medici. Il segreto del suo successo sta tutto nelle diversificazione, le prime banche italiane erano mono-litiche particolarmente vulnerabili all’insolvenza del singolo creditore, ma il Banco Mediceo si reggeva su una serie di partnership ad inca-stro, ciascuna in qualche misura indipendente dalle altre, fu questa decentralizzazione a favorire i suoi straordinari profitti.

fiorentina i Medici. Con la loro affermazione politica il concetto di credito subisce una profonda trasformazione, il prestito di denaro acquisisce un nuovo sta-tus, da atto disonorevole, diventa sinonimo di grandezza su cui basa-re un nuovo tipo di potere. L’abba-gliante eredità del potere dei Medi-ci è ancora viva nella Firenze di oggi. Nell’arco di 400 anni due Me-dici vengono incoronate regine di Francia, e tre di loro diventano pontefici, ed è proprio Machiavelli il supremo teorico del potere a rac-contare la loro ascesa. Nessuna altra famiglia lasciò un impronta tanto evidente su un’epo-ca come quella dei Medici nel Rina-scimento, e non è azzardato affer-mare che sono proprio loro a pro-muoverlo finanziando menti geniali del calibro di Michelangelo e Galile-o. Nella galleria degli Uffizi è con-servata la collezione privata dei Medici, una delle più spettacolari mai esibite al pubblico.

La domanda che i milioni di turisti che gremiscono il centro di Firenze non si fanno è come abbiano fatto i Medici a permettersi tanto fasto. La risposta è semplice, erano degli intermediari finanziari, membri del-l’arte del cambio, una corporazione di cambiavalute che godeva di grande potere a Firenze, erano noti come banchieri o tavolieri perché come gli ebrei a Venezia conclude-vano i lori affari sui tavoli per stra-

Sotto la guida di Giovanni il Banco Mediceo oltrepassa i confini di Fi-renze e si estende a Venezia e a Roma, la portata e la diversità delle operazioni rappresentano il segreto per ridurre i rischi legati ai prestiti, e quindi i costi spettanti ai debitori. E’ questa la differenza sostanziale fra gli strozzini e le banche; fra Shylock ed i Medici. La prova che il movimento funzionò è nelle pagine e pagine di movi-menti bancari annotati a fini tribu-tari, che culminano in un totale complessivo di 91.089 Fiorini, una bella somma per quei tempi. Alla morte di Giovanni nel 1429 le sue ultime parole rappresentano una esortazione rivolta ai suoi eredi finalizzata a mantenere intatto l’a-cume finanziario. Al suo funerale partecipano 26 membri della fami-glia de Medici venuti a rendere o-maggio all’uomo che aveva contri-buito a trasformare le banche in istituti rispettabili e remunerativi, come non erano mai state prima di allora. Per il figlio Cosimo l’accumu-lo di ricchezze si somma inestrica-bilmente all’accumulo di potere. A 20 anni dalla morte del padre Cosi-mo de Medici diventa l’incarnazione della Signoria fiorentina, è il ponte-fice in persona a sostenerlo: le questioni politiche si pacificano presso la sua dimora, gli uomini da lui scelti detengono i più alti uffici, è lui a decidere la pace e la guerra a controllare le leggi, è il re in tutto e per tutto, tranne che nella carica. Il dipinto del Botticelli –Ritratto di giovane con medaglia di Cosimo il vecchio - è famoso per la bellezza del suo soggetto, ma in realtà va inteso come un tributo al banchiere

Giovanni de’ Medici

Botticelli: Ritratto di giovane con medaglia di Cosimo il vecchio

Page 9: 10OPnovembre11

9

Cosimo de Medici, la sua immagine incisa sul medaglione affiancata alla iscrizione Pater Patriae. In 150 anni i Medici da usurai dei vicoli sono giunti a rappresentare il potere finanziario più influente di tutta l’Europa. Ma è il dipinto della -Adorazione dei magi- del Botticelli che meglio di qualunque altro sintetizza la trasfi-gurazione finanziaria operata dai Medici. A uno sguardo più attento i tre uomini sono Cosimo de Medici intento a lavare i piedi al bambin Gesù, e i figli Piero e Giovanni, il giovane raffigurato sulla sinistra è Lorenzo. Il dipinto venne commis-sionato dal capo della corporazione dei banchieri come tributo alla fa-miglia, forse avrebbe dovuto essere intitolato - l’Adorazione dei Medici . Prima condannati alla dannazione, i banchieri ora vengono collocati a un passo dalla divinità, nulla po-trebbe esemplificare meglio l’asce-sa del denaro, perché le conquiste raggiunte dai Medici altro non rap-presentano che moderno sistema bancario. Molti ci avevano provato in prece-denza ma i Medici furono i primi banchieri a conquistare il potere politico, ci riuscirono facendo teso-ro di una lezione fondamentale: di rado nel mondo della finanza picco-lo è bello, espandendo e diversifi-cando la loro banca i Medici aveva-no trovato il sistema per spalmare i rischi e, concentrandosi sui tassi di cambio, oltre che sui semplici pre-

stiti ridussero la minaccia di insol-venza da parte dei debitori. Cosimo e la sua famiglia rappre-sentano un modello finanziario pressoché perfetto. Ma neanche i Medici sono invulne-rabili, il Banco Mediceo subisce grosse perdite dovute ad un ecces-so di prestiti concessi a debitori di sangue blu che non si fanno alcuno scrupolo a contravvenire agli accor-di prestabiliti. Un debito insolvibile contratto da un debitore che poi dichiara banca-rotta è una eventualità che da sempre le banche sono costrette ad affrontare. Eppure per un certo periodo i ban-chieri sembrano aver trovato una soluzione all’annoso problema, for-se il loro acume è andato oltre a quello dei Medici?

Dalla patria dei Medici a quella di Elvis

Memphis in Tennessee, dista mi-gliaia di chilometri da Firenze, e l’economia mondiale ha fatto passi da gigante dai tempi del Rinasci-mento, un ruolo cruciale in questa trasformazione è rivestito dalla dif-fusione del nuovo sistema bancario che dalla sua patria d’origine, l’Ita-lia, è arrivato in un Paese in cui il denaro assume sempre più la for-ma di credito facile. Gli Stati Uniti si fondano sul presti-to di denaro, ma laddove i Medici intendevano concedere prestiti solo a chi fornisse una garanzia di solvi-bilità, le banche americane almeno

sino a qualche anno fa, non sem-bravano operare questa distinzione cruciale. Memphis è famosa per il blues, il rock & roll, per le grigliate di carne e per le… bancarotte. Si potrebbe dire che qui la gente ha qualche difficoltà a pagare i de-biti, per intuire il livello di povertà basta guardare le insegne dei ne-gozi, fast food senza troppi fronzo-li, consulenti tributari che spiegano come ottenere il credito di imposta rimborsabile, un negozio che con-cede prestiti garantiti dal valore di un automobile, un posto dove in-cassare un anticipo sullo stipendio, per non parlare del Monte di Pegni delle dimensioni di un grande ma-gazzino. E alla fine una volta esau-riti i beni da vendere o impegnare, l’alternativa è una sola: fare un salto alla banca del plasma, dove per ogni prelievo del sangue c’è una ricompensa di 25 dollari… un salasso. Un intero settore economico basato su gente ridotta sul lastrico, per certi versi sembra la periferia orien-tale di Glasgow, eppure c’è una differenza abissale, fra il mondo in cui gli strozzini pretendono una libbra di carne dai debitori insol-venti. Qui nell’America dei sub-prime l’i-nadempienza è un fenomeno diffu-so, molto diffuso. Nel clima di bancarotta americano il pignoramento delle auto è all’or-dine del giorno. Ogni settimana la United Auto Recoveris vende 500 auto pignorate. Le automobili ven-gono pignorate , messe all’asta nei parcheggi consueti e vendute… quasi sempre ai loro iniziali posses-sori, e quando questi non rispetta-no le scadenze mensili, le auto vengono pignorate di nuovo, e la trafila ricomincia. Tecnicamente i pignoratori di Mem-phis non sono molto diversi dagli agenti di recupero crediti del resto del mondo, la differenza a parte le spropositate dimensioni del feno-meno, sta nella relativa facilità con cui le insolvenze vengono risanate e i prestiti liquidati. I debitori non sono colpiti dallo stigma sociale e nessuno sembra soffrirne più di tanto. Il grande mistero è: perché il si-stema capitalista più forte del mon-do poggia le sue fondamenta sul fallimento economico più o meno

Botticelli - Adorazione dei magi -

Page 10: 10OPnovembre11

10

indolore? Nel Tennessee quando l’appartamento viene svuotato e la vostra auto pignorata finite nelle mani di un avvocato fallimentarista, insieme ad altre 13.000 persone

che hanno dichiarato bancarotta negli ultimi anni, ogni settimana si incontrano per appianare i loro de-biti con i creditori, esiste persino una corsia preferenziale. Dal 1996 al 2006 negli Stati Uniti si contano dagli 1 ai 2 milioni di casi di banca-rotta all’anno, e quasi tutti riguar-dano persone che hanno scelto il fallimento piuttosto che l’adem-pienza del debito. Nell’Italia medie-vale o nella Glasgow di qualche anno fa la bancarotta veniva consi-derata un disastro, ma non qui. In realtà questa capacità di uscire illesi dai debiti insostenibili e rico-minciare tutto daccapo è una carat-teristica peculiare del capitalismo americano, all’inizio dell’800 qui non esistevano prigioni per debitori insolventi, nello stesso periodo in cui i debitori inglesi marcivano in una cella per anni e anni. Dal 1898 ogni americano ha avuto il diritto di citare il capitolo 7 della liquidazione o il capitolo 13 della legge fallimentare: la riorganizza-zione personale volontaria, sia per i ricchi che per i poveri, la bancarot-ta è diventata un diritto inalienabi-le, al pari della vita e della libertà del perseguimento della felicità. Teoricamente la legge americana serve per incoraggiare l’imprendito-ria e facilitare la creazione di nuove attività economiche, ma ciò signifi-ca concedere un pausa all’impren-ditore quando le cose non vanno per il verso giusto, una prima o una seconda volta.

I temerari per vocazione impare-ranno così a non lascarsi scoraggia-re e a fare tesoro degli errori lungo la strada che conduce al primo mi-lione di dollari, perché i falliti di

oggi potrebbero essere i miliardari di domani. La teoria sembra funzio-nare, molti americani di successo falliscono ai loro primi tentativi, fra essi lo scrittore Mark Twain, il co-mico Buster Keaton e persino Henry Ford il grande magnate del-l’industria. Questi grandi uomini raggiungono la celebrità perché viene data loro la possibilità di ten-tare, fallire e poi ricominciare, da parte loro le banche si limitano a riconoscere che una parte dei pre-stiti concessi non andrà a buon fine, dopotutto gran parte degli insolventi dispone di somme relati-vamente esigue. Il capitolo 13 non basta a cancellare i debiti si limita a rinegoziarli. E’ un errore quindi pensare ai creditori dal punto di vista dell’Antonio shakespeariano consideran-doli dei parassiti intenti a succhiare il sangue degli sfor-tunati debitori. Il credito e il debito sono le fondamenta su cui regge lo sviluppo econo-mico, ma servono le banche per elevare quel rapporto oltre il mero legame esistente fra lo strozzino e la sua sven-turata vittima. Solo quando i debitori come quelli della pe-riferia di Glasgow avranno accesso ad una efficiente rete di credito potranno sfuggire dalle grinfie degli strozzini come Shylock, solo quando i risparmiatori potranno conta-re su istituti bancari affidabili

i loro denaro potrà avviarsi nella direzione della operosità. Domanda: ma se le banche sono la risposta, perché negli anni scorsi gli istituti di credito hanno avuto un crollo impressionante gettando il mondo finanziario nel caos più to-tale. Per capire come mai i debitori insolventi come quelli di Memphis abbiano causato un simile mara-sma, bisogna prima comprendere il motivo della rottura fra banca e debitori, nel momento in cui i pre-stiti diventano obbligazionari e ven-gono venduti a investitori incauti. Tanto tempo fa quello bancario era un mestiere piuttosto noioso, si fondava sulla regola del 3, 6, 3, versavi il 3% sui depositi, racco-glievi il 6% dai prestiti e alle 3 eri già sul campo da golf. Ma negli ultimi tempi è diventato un mestiere fin troppo interessan-te. Una lunga serie di innovazioni fi-nanziarie ha trasformato i prestiti ordinari concessi alla povera gente di posti come Memphis, in opera-zioni dai nomi fantasmagorici, co-me nel caso delle -Obbligazioni collaterali di debito-. Questa alchimia finanziaria in grado di tramutare il piombo in oro e i rifiuti tossici in investimenti sicuri, è stata possibile solo perché alla a-scesa delle banche ha fatto seguito il consolidamento del secondo grande pilastro del sistema finan-ziario moderno, il mercato dei Bond, e per capire come tutto ciò sia avvenuto, i nostri pazienti lettori dovranno attendere la prossima

Henry Ford

Page 11: 10OPnovembre11

11

le statunitense. I soggetti possono, in alternativa, ricorrere a leggi sta-tali, spesso più rapide e snelle, per gestire situazioni di insolvenza. Funzionamento: Quando un im-prenditore negli Stati Uniti non è in grado di onorare i suoi debiti, que-st'ultimo o i suoi creditori possono chiedere ad una corte federale la protezione prevista dal Chapter 7 o dal Chapter 11. Con il Chapter 7 l'impresa cessa la sua attività e un trustee vende tutti i suoi beni e distribuisce il ricavato ai creditori. È equivalente alla normale procedura fallimentare della normativa italia-na. Nel Chapter 11 l'imprenditore rima-ne solitamente in possesso di tutti i suoi beni ed è però sottoposto al controllo e alla giurisdizione della corte. Con l'ingresso nel Chapter 11 tutte le azioni dei creditori volte a pretendere il pagamento dei loro debiti sono automaticamente bloc-cate (esattamente come nella leg-ge fallimentare italiana). Alcuni contratti, conosciuti come contratti esecutivi, possono essere cancellati se è finanziariamente conveniente

Il Chapter 11 (letteralmente 'Capitolo 11') è una parte della legge fallimentare statunitense che permette alle imprese che lo utilizzano una ristrutturazione a seguito di un grave dissesto fi-nanziario. Il Chapter 11 è utilizzabile sia delle imprese, in forma societaria o individuale, sia da privati citta-dini nell'ordinamento statuniten-se, infatti, anch'essi sono sogget-ti al fallimento). L'utilizzo di gran lunga prevalente è però quello da parte delle società. È grossomo-do equivalente all'amministrazio-ne controllata un tempo prevista nella legislazione italiana. Il Chapter 7, per contrasto, ri-guarda il fallimento vero e pro-prio che sfocia nella liquidazione totale dei beni dell'impresa men-tre il Chapter 13 è relativo alle procedure che coinvolgono privati individui con debiti di importo relativamente limitato (il tetto al 2007 era pari a circa 300.000 dollari di debiti non garantiti e 1 milione di debiti garantiti). Il Chapter 11 è una legge federa-

per la procedura. Tali contratti includono i contratti di lavoro, i leasing immobiliari, contratti di manutenzione o fornitura. Chapter 11 è una procedura di riorganizzazione e non di liquida-zione. Il suo scopo è quindi quel-lo di risanare l'impresa. A tale scopo viene impostato un piano che nel giro di alcuni mesi o anche anni, a seconda della dimensione e della complessità della procedura, dovrebbe risa-nare la situazione e far uscire l'impresa dal Chapter 11. Il piano di risanamento deve essere pro-posto dall'impresa stessa e ap-provato dal giudice. Nel caso in cui un piano non venga accetta-to o non si riesca a portarlo a-vanti il giudice può convertire la procedura nel Chapter 7 e inizia-re la liquidazione. Nel Chapter 11, come nelle altre procedure, il pagamento dei de-biti avverrà seguendo un ordine di priorità, prima i crediti garan-titi (secured creditor) poi i dipen-denti e i fornitori di beni ed infi-ne tutti gli altri.

Fallire negli Usa

Vi spiego come funziona un gioco. Ogni giocatore ha 100 numeri che penseremo come lavoratori. Ognu-no di questi, a seconda della posi-zione, può raggiungere un ‘peso’ massimo di 10. Il giocatore se riesce a utilizzarli al meglio, otterrà come prodotto 1000: il suo ricavo. Non dimentichiamo che sono nu-meri e come tali li tratteremo. Il ricavo ha logiche di bilancio. Il gioco ha lo scopo di cristallizzare lo status quo di ogni giocatore. Pena la perdita della posta. La difficoltà sta nella possibilità che qualche numero ‘impazzisca’, che diventi una variabile e come tale, non sia più prevedibile. Il numero impazzisce al punto da

arrivare a credere di poter ten-dere verso la dignità umana, di poter essere gratificato per il suo valore, di potersi ammalare, di poter partorire! La follia arriva, nei casi più e-stremi, a far rivendicare al nu-mero una dignità pari al giocato-re che lo amministra. In questi casi l’unica soluzione è arginare la variabile, per poi eli-minarla e rimpiazzarla con un altro numero (uno qualsiasi), che come tale, darà nuovamente un risultato certo. E’ quanto di più logico si possa fare. Così il prodotto finale sarà nuovamente garantito e il gioco potrà proseguire. E’ un gioco spietato, ma pur sempre un gioco! E soprattutto, non dimentichiamo che si parla di numeri, mica di persone.

L’angolo di vista di Alessandra Lo Re

[email protected]

Page 12: 10OPnovembre11

12

Non vogliamo entrare nel merito in quanto, ad oggi, non disponiamo delle necessarie informazioni in materia, tuttavia riteniamo dovero-so segnalare ai nostri lettori una iniziativa di Alfonso Luigi Marra autore di diversi siti: www.marra.it, www.signoraggio.it, www.fermiamolebanche.it Il tema è chiaro: la lotta contro il debordante potere delle banche. In epoche come queste il tema certamente trova molti ascoltatori, basta pensare che il suo sito se-gnala oltre un milione di contatti. Marra oltre a fondare un partito il P.A.S. (Partito d’Azione per lo Svi-luppo) intende partire con la rac-colta firme per abrogare 6 norme salva banche. Il personaggio è cer-tamente originale: classe 1947, avvocato, specializzato dal 1980 in

cause contro le banche, con una esperienza politica che lo vede eu-roparlamentare dal 1994 al 1999 per Forza Italia dalla quale si dimi-se nel 1996. Ha scritto libri sui temi più disparati ed affida la pubblicità per la pro-mozione del comitato referendum, che si terrà a Roma il 26 novembre p.v. ad una signorina… nuda. Ci sembra personaggio fuori dagli schemi, una specie di Don Chisciot-te moderno. Ma come scrisse un altro personag-gio “strano” un certo Albert Ein-stain “Analizzando ogni giorno tutte le idee, ho capito che spesso tutti sono convinti che una cosa sia im-possibile, finché arriva uno sprov-veduto che non lo sa e la realizza”. Riportiamo i testi dei sei referen-dum. E chissaà che in futuro non si debba tornare a parlarne.

A proposito di Banche: qualcuno pensa ai referendum...

Sono 6 le leggi, 4 delle quali recen-tissime, con le quali sono stati re-galati alle banche centinaia di mi-liardi di euro annuali. E poiché (non so se stupisce) nessun partito si è opposto, non resta che il referen-dum. -La più recente è il DL n. 70\13.7.2011 ('decreto sviluppo'), art. 8, secondo cui l'usura, che prima scattava quando il tasso medio ve-niva superato del 50%, scatta ora quando viene superato di 8 punti, o anche del 25% + 4 punti. Due cri-teri il secondo dei quali è in realtà 'fumogeno' (serve a confondere), perché è un po' più vantaggioso per i cittadini solo con tassi molto alti, tipo 20%, come quelli dei cre-diti al consumo. Ma per fare invece l'esempio che interessa il maggior numero di italiani, nei mutui a tas-so variabile, ora in media del 2,79%, prima, per verificarsi l'usu-ra, la banca doveva praticare il 4,18%, mentre ora il 10,79%. An-che se, secondo la Banca d'Italia

(un'illecita azienda privata di pro-prietà di quelle stesse banche che finge di controllare), andrebbe ap-plicato il criterio del 25% + 4 punti, per cui l'usura sui mutui inizierebbe 'solo' dal 7.48%, contro il 4,18% di prima. Una posizione questa an-ch'essa rivolta a confondere, nel senso che Banca d'Italia ha per il momento indicato il criterio del 25% + 4 punti sapendo però che, di fatto, in sede penale, ove occor-ra, le banche hanno sempre la pos-sibilità di difendersi invocando il criterio del +8%. Un innalzamento che, ora che la barriera del 'tasso soglia' è stata comunque elevata, innescherà un aumento strisciante del costo del denaro, e che serve inoltre alle banche per evitare le condanne per usura, da ultimo sempre più frequenti. -La seconda è la L. n. 10, art. 2, comma 61, del 26.2.11, con cui, in contrasto frontale con decenni di giurisprudenza anche delle Sezioni Unite della Cassazione, si è stabilito

Le sei leggi regala-soldi alle banche

di Alfonso Luigi Marra

Marra un personaggio fuori dagli schemi, una specie di Don Chisciotte moderno, ma...

Page 13: 10OPnovembre11

13

che la prescrizione decennale nelle cause contro le banche, che decor-reva dalla chiusura del conto cor-rente, ora decorra dall'annotazione dell'operazione. Significa che, ad esempio, in rela-zione a un conto durato venti anni e chiuso nove anni fa potevi recu-perare tutto, mentre ora puoi recu-perare solo un anno, ovvero solo le somme di cui la banca si è indebi-tamente appropriata tra oggi e die-ci anni fa. -La terza è il D. Lgs n. 11 del 2-7.1.2010 con il quale – ora che si stavano vincendo le cause sulla 'valuta zero', cioè sull'accredito im-mediato dei versamenti – è stato stabilito l'accredito al terzo giorno. Una guerra iniziata invero proprio da me nel 1980 (ottenendo il primo risultato positivo nel 2004) in base al semplice argomento che se Tizio dà a Caio un as-segno di 1.000 euro il primo gennaio, e Caio lo versa subi-to sul suo conto, i 1.000 euro vengono stornati a Tizio il pri-mo gennaio e accreditati a Caio dopo alcuni (o molti) giorni, sicché, nell'intervallo, gli interessi vanno alla banca, che non è mai stata proprieta-ria dei soldi. -La quarta è il D Lgs 4.8.99, n. 342, art. 25, con cui si è stabi-lito che l'anatocismo (addebito trimestrale anziché annuale degli interessi) è legittimo pur-ché venga praticato anche all'attivo, 'dimenticando' però l'enorme differenza tra tassi attivi e passivi. Una 'amnesia' che ha colpito anche la Corte Costituzionale vanificando la sentenza in cui si dilunga a illustrare la legittimità del 'pareggiamento' senza però aggiungere (lo ha dato per scontato?) che sarebbe occor-so anche il 'pareggiamento' quantitativo dei tassi. Una 'amnesia' che, dal 22.4.2000, data di entrata in vigore di questo regime, al 31.12.2010, con un tasso attivo medio del-l'0,87% e un tasso passivo medio del 13,32 (10,08% + lo 0,81% trimestrale = 3,24% annuo di commissione di mas-simo scoperto), ha causato – per ogni 100.000 euro – in dieci anni, un guada-gno per i correntisti di 427

euro, ma un guadagno per le ban-che di 203.576 euro. -La quinta è il decreto legislativo 385 del 1993, art. 50, con il quale si è stabilito che è sufficiente una dichiarazione del direttore della banca (quindi 'di parte') per far diventare «certa, liquida ed esigibile» la somma scritta in fondo a un qualsiasi estratto conto banca-rio. Con la conseguenza, ove si rompano i rapporti, che la banca, anziché dover iniziare un giudizio civile con citazione, cosa che ti con-sentirebbe di difenderti adeguata-mente, può depositare un ricorso per decreto ingiuntivo: decreti in-giuntivi che spesso i giudici (sempre larghi di manica con le anche per motivi meglio noti a lo-ro) rilasciano in forma esecutiva,

sicché la banca può subito pigno-rarti quello che hai. Una norma assurda (solo le banche possono 'autocertificare' i propri crediti), oggi divenuta grottesca perché quasi tutte le voci dell'estratto con-to sono ormai oggetto di censura giurisprudenziale, per cui si sa a priori che il saldo, all'esito dei giu-dizi, risulterà errato. -La sesta è l'art. 2 bis, comma 1, legge n. 2 del 28.1. 2009, con il quale il nostro incredibile legislato-re', siccome la commissione di massimo scoperto, che in passato vigeva praticamente per prassi, è stata oggetto di clamoroso e gene-ralizzato superamento giurispru-denziale, anziché prenderne atto e vietarla, l'ha ri-introdotta per legge, per di più raddoppiandola quasi.

Prima pagina del Corrierino del Prestito (della Ricostruzione): Il Signor Bonaventura, 1946

Page 14: 10OPnovembre11

14

A Torino sorge la seconda discarica per rifiuti solidi urbani più grande d’Italia. E’ preceduta solo da quella di Roma che, a differenza di quella torinese è però gestita da privati anziché da un consorzio pubblico come l’Amiat. Questa discarica, nella parte più vecchia dovrebbe già esser un par-co pubblico da molti anni ma purtroppo così non è per que-stioni amministrative legate ai costi, cosicché il Comune di Torino, sul cui territorio sorge l’ex impianto di smaltimento, non se ne è ancora fatto cari-co nonostante sia il PRG che il Piano d’area del parco preve-da la destinazione a Parco pubblico. L’argomento presenta molti aspetti interessanti, sia dal punto ambientale che sociale vista l’utilità che potrebbe de-rivarne per i Torinesi e non solo. L’area iniziò a diventare un sito di deposito per rifiuti an-cora prima dell’ultima guerra. In assenza di normative speci-fiche e di sensibilità ambientali era probabilmente stata indivi-duata semplicemente perché era la propaggine territoriale più lontana dal centro urbano ai confini con Borgaro e la frazione Villaretto, inoltre sorgeva fra due fiumi la Dora e lo Stura e per la mentalità dell’epoca luogo partico-larmente “vocato”. Divenne discarica per inerti subito dopo la guerra e negli anni ’60 fu destinata ai rifiuti solidi urbani. Si dovette attendere la fine degli anni ’60 con la creazione dell’AMRR per vedere una gestione più controllata e razionale dell’area con l’avvio della realizzazione degli impianti per la messa in sicurezza dei depo-siti e la costruzione degli immobili che ancor oggi si possono vedere in via Germagnano. La discarica è divisa in due aree separate da uno stradello, quella più ad ovest che fiancheggia per circa un chilometro la tangenziale di Torino è la parte “nuova” nel senso che ha esaurito la sua attivi-tà di stoccaggio il 31 dicembre 2009, ed ha una estensione di cir-

ca 66 ettari. La parte “vecchia” di 23 ettari, ubi-cata più all’interno rispetto alla tan-genziale, ha concluso la sua funzio-ne di stoccaggio dei rifiuti sin dal 1982, e dal 1999 è stata completa-tala la sua rinaturalizzazione. Attor-no al 2004 questa parte venne re-cintata e fisicamente separata dalla

parte che abbiamo chiamato “nuova” all’epoca in piena attività. Il ciclo vitale di una discarica se-condo la recente normativa euro-pea richiede almeno trent’anni do-po la chiusura per esaurisrsi, in questo lungo periodo infatti le fasi di mineralizzazione e degrado delle componenti organiche dei rifiuti continuano generando anidride carbonica e metano. Ma come è nato questo impianto? Lungo la tangenziale a seguito dei prelievi di inerti utilizzati per la rea-lizzazione dell’arteria autostradale si erano formati dei laghetti come spesso accadeva nelle cave di pre-stito che si spingevano ben oltre il livello della falda. Quando il comu-ne acquisì l’area ricolmò in parte con i rifiuti inerti i laghetti quindi dispose strati di argilla e teli imper-meabili per evitare ai percolati di infiltrarsi nelle falde superficiali e quindi nello Stura. Venne mantenu-

La Mormorina: il parco... scippato ai torinesi

il Comune di Torino, sul cui territorio sorge l’impianto di smaltimento, non se ne è ancora fatto carico nonostante sia il PRG che il Piano d’Area del Parco preveda la destinazione a parco pubblico.

Page 15: 10OPnovembre11

15

l’esondazione della Stura causò un fuggi fuggi generale delle diverse specie verso la salvifica collina della vecchia discarica. Una collina che raggiunge quota 70 metri e che è preceduta per al-tezza solo da Su-perga, nonostante negli anni si sia abbassata di ben 5 metri a seguito della definitiva mi-neralizzazione dei rifiuti in essa accu-mulati. Il nuovo impianto anche se è stato chiuso e ricoperto di terra come prevede al legge continua a produrre metano. Circa il 50% dei gas generati è so-stanzialmente costituito da questo combustibile. Se fosse rilasciato in atmosfera oltre allo spreco verreb-be immesso un pericoloso gas ser-ra, il metano infatti ha un potenzia-le di riscaldamento di circa una ventina di volte superio-re alla fami-gerata CO2. Viene invece inviato ad un impianto di cogenerazio-ne realizzato sin dagli anni ’80 e che f u n z i o n e r à ancora per 14 anni dopo la chiusura della discari-ca. In esso

to però un canale che fiancheggia i 2/3 del perimetro della nuova di-scarica collegato con una chiusa sullo Stura. Si poteva così mante-nere sostanzialmente costante il livello di falda sotto l’impianto e controllare eventuali perdite di per-colato. Questo canale infatti con-sente alle istituzioni preposte, at-traverso le analisi delle sue acque, di verificare la “tenuta” della disca-rica. Il complesso delle due aree risulta particolarmente interessante sotto il profilo ambientale si è infat-ti dimostrato molto gradito sia alla fauna che alla vegetazione. Sotto il profilo alimentare il conti-nuo arrivo di tonnellate di rifiuti urbani che contenevano anche scarti alimentari era una fonte pressoché inesauribile per molte varietà di uccelli, a questo si som-mava la presenza del canale con le sue acque di falda limpide ed an-che popolate di pesci oltre la parte “vecchia” della discarica, ormai di-smessa, ma recintata e quindi inac-cessibile alle persone su cui negli anni, in assenza di manutenzione, si sono sviluppati boschi anche con grandi alberi di pioppi, faggi, quer-ce, robinie con un fitto sottobosco costituito da flora spontanea. Un’a-rea in cui lepri, fagiani, cinghiali, falchi, poiane, gabbiani, aironi, gar-zette, upupe, e tante altre specie si sono insediate in quella che di fatto assumeva le caratteristiche della tipica area rifugio. Nel canale poi anatre, germani ed altri uccelli a-manti delle zone umide trovavano un habitat ideale. Sull’importanza di questa area per la fauna se ne è avuta prova du-rante l’alluvione del 2000 quando

attualmente vengono generati 14 megawatt di energia. Un peccato che il parco della Marmorina nome preso da una vecchia cascina che negli anni è rimasta sepolta sotto la montagna di rifiuti resti chiuso al pubblico, in esso sono già stati pre-disposti tre capanni per l’avvista-mento della fauna, una centralina meteo, bacheche con la descrizioni dei luoghi, sentieri con tanto di transenne, guide in legno, oltre al citato interessante ed istruttivo impianto di recupero dei biogas, e lì di fronte la vista sul “nuovo” im-pianto di RSU che anche se chiuso è, e resterà ancora vivo per una trentina d’anni con i suoi tubi le fiaccole e le attrezzature per la rac-colta di biogas che vengono inviati alla centrale. Ma ciò che si perde è soprattutto una diversificata flora e fauna che

popola la collina ed una splendida vista a 360 gradi da cui si vedono le colline torinesi con la città diste-sa ai suoi piedi da cui spiccano i profili della Mole, e le grandi travi d’acciaio bianco dello Juventus Sta-dium per arrivare, oltre la tangen-ziale, oltre il verde della pianura a nord-ovest a vedere laggiù le Alpi.

Page 16: 10OPnovembre11

16

I FATTI Iniziate mesi fa nel mondo arabo, le ri-volte contro il siste-ma esistente si sono diffuse dapprima nei paesi mediterranei

europei e mediorientali (Spagna, Grecia, Israele) per poi varcare l’Oceano Atlantico e sbarcare negli USA. Fenomeni analoghi avvengo-no però anche nel Terzo Mondo non islamico, come emerge in In-dia, dove da mesi è in atto una rivolta contro la corruzione. Persino in Cina l’unico candidato indipen-dente ammesso a sfidare il rappre-sentante del PCC (Partito Comuni-sta Cinese) ha vinto contro il can-didato ufficiale. I contesti sociali e politici sono mol-to diversi tra loro, ma esistono le-gami tra questi avvenimenti, come ammesso sia dai manifestanti ame-ricani sia dal governo cinese. En-trambi infatti hanno come punto di riferimento le rivolte arabe, anche se i primi le considerano un model-lo da imitare ed il secondo un incu-bo da evitare a qualsiasi costo. Un altro elemento comune è la profon-da sfiducia che i popoli hanno ver-so le loro classi dirigenti e questo porta a mobilitazioni dal basso, spesso trasversali e nella stragran-de maggioranza dei casi acefale, cioè senza una guida precisa. Men-tre il primo elemento non è una sorpresa, il secondo è un’assoluta novità e può essere considerato figlio dei nostri tempi, definiti socie-tà liquida. Tensioni sociali, rivolte e rivoluzioni costellano da sempre la Storia, ma fin dai tempi più antichi hanno sempre avuto un capo forte e rico-noscibile che coagulava intorno a sé il dissenso e sfidava il sistema esistente. Inoltre molto spesso era-no il risultato di problemi rimasti irrisolti per moltissimo tempo e si ispiravano ad un’ideologia ben precisa, che magari aveva già in-fluenzato il modo di pensare in mo-do da spianare loro il terreno. Tutti questi elementi le rendevano da un lato distruttive verso l’ordine esi-stente, dall’altro costruttive con

idee ben precise sul tipo di società da edificare al suo posto. Oggi invece questi gruppi nascono in modo imprevisto, tanto che tutti i governi sono stati colti di sorpre-sa, e protestano verso l’esistente, ma non indicano una chiara alter-nativa, proprio per le loro caratteri-stiche viste in precedenza. Questo, però, non viene indicato come una loro mancanza, in quanto si dice che non è loro compito indicare delle soluzioni, ma è la politica che deve affrontare e risolvere i proble-mi sollevati da essi. Questo modo di pensare si contrappone radical-mente a quello delle vecchie sezio-ni di partito e può essere interpre-tato in modo malizioso. Per quel che riguarda il primo a-spetto, io ho militato diversi anni in Alleanza Nazionale e mi ricordo benissimo che il nostro capo locale ci diceva sempre di essere aperto al dialogo ed anche alle critiche, a patto però che fossero costruttive e non fini a sé stesse. A proposito del modo di valutare la benevolenza sopra ricordata verso un limite oggettivo di questi gruppi, si può pensare che essa sia funzio-nale al Sistema per sopravvivere e neutralizzarli. Essa, infatti, impedi-sce loro di maturare e di passare alla fase propositiva, che sarebbe la vera sfida contro l’esistente e permette così ai soliti politici di a-vere l’ultima parola. ESTERO: OPPORTUNITA’ E RISCHI La situazione venutasi a creare pre-senta grandi opportunità, ma an-che rischi che vanno evitati. Un aspetto positivo è la volontà di moltissime persone di opinioni e fedi diverse di riappropriarsi del proprio destino, anche in nazioni dove storicamente prevale netta-mente un modo di pensare ben preciso, come gli USA. Nella nazio-ne che da sempre esalta il capitali-smo come un pilastro fondamenta-le della libertà individuale e lo indi-ca al resto del mondo come som-mo modello da seguire, è infatti certamente una grossa novità la protesta contro Wall Street e le

Rivolta globale

Riccardo Manzoni tf 339.1002650 e-mail: [email protected]

In Europa e nel Terzo Mondo i politici non hanno legami chiari ed evidenti con particolari gruppi economici e così vengono considerati i veri responsabili in bene ed in male della situazione economica e sociale

Page 17: 10OPnovembre11

17

banche, simbolo vivente del siste-ma economico americano. Essa, inoltre, differenzia nettamente la situazione americana da quella di molti altri paesi, dove vengono contestati soprattutto i governanti, oppure la classe politica in genera-le. Questo si spiega con lo strapo-tere dei gruppi economici che so-stengono economicamente sia il GOP (Great Old Party, Repubblica-ni) sia i Democratici e sono quindi i veri padroni politici, in quanto riescono a fare in modo che en-trambi facciano gli interessi dei loro finanziatori. In Europa e nel Terzo Mondo i poli-tici invece non hanno legami chiari ed evidenti con particolari gruppi economici e così vengono conside-rati i veri responsabili in bene ed in male della situazione economica e sociale. Un altro elemento che sottolinea la “diversità americana” è costituito dai simboli e dalle parole d’ordine dei manifestanti. Moltissimi, infatti, sfilano in corteo con la bandiera nazionale e hanno come slogan

”Satana controlla Wall Street”, che rimanda ad una cultura nazionale profondamente radicata su base cristiana, scenario del tutto inim-maginabile in Europa. Questo slo-gan è particolarmente significativo se si pensa che col procedere dei giorni la stragrande maggioranza dei manifestanti è costituita da per-sone “di sinistra”, come gli apparte-nenti alle minoranze, gli studenti, gli iscritti ai sindacati, ed i simpa-tizzanti socialisti. Se si pensa che in Europa le stesse categorie usano simboli di parte, si basano su un’i-deologia laica molto spinta e che in Italia alcuni teppisti e delinquenti di estrema sinistra a Roma hanno rotto e preso a calci l’immagine della Madonna, la differenza non può che emergere in tutta la sua pienezza. Quanto appena detto sulla natura dei dimostranti fa proprio parte dei rischi che corrono questi ultimi. Sia nel mondo islamico sia nel Primo Mondo alcuni gruppi stanno cer-cando di indirizzare gli eventi se-condo il loro modo di pensare e

questo allontana gli altri indebolen-do così la protesta. Questo emerge molto bene in Egitto, dove i cristia-ni, inizialmente uniti ai musulmani contro Mubarak, iniziano a temere il nuovo contesto politico perchè si sentono più esposti agli attacchi degli estremisti islamici, ma anche in Europa. e negli USA. In Europa gli “indignati”, pur es-sendo comuni cittadini scontenti dell’esistente ed apartitici, avanza-no richieste definibili spesso di sini-stra. Questo, unito a quanto detto prima, può col tempo limitare il numero dei loro sostenitori e sa-rebbe una vera occasione sprecata. Infatti moltissime persone di destra non ne possono più di un sistema che non fa altro che ingabbiarci, umiliarci e farci morire giorno dopo giorno in una lenta agonia. Esse però non per questo si sentono automaticamente rappresentate da chi in molti casi mostra una forma mentis tanto diversa e lontana dal-la loro. Secondo me, quindi, esse sono quelle nella situazione peggio-re, in quanto prive di punti di riferi-

Page 18: 10OPnovembre11

18

mento davvero validi nei quali po-tersi identificare. Negli USA all’inizio anche esponenti del Tea Party facevano fronte co-mune con gli altri manifestanti mentre in seguito ne hanno preso le distanze, pur condividendo le critiche contro gli aiuti alle banche, perchè considerano la maggior par-te delle loro rivendicazioni battaglie di sinistra. Nonostante questa evoluzione, gran parte dell’opinione pubblica continua a simpatizzare con i dimo-stranti, anche perchè negli USA le contrapposizioni ideologiche sono meno accentuate rispetto all’Euro-pa. Un altro elemento che contraddi-stingue positivamente i manifestan-ti americani e che spiega questo sostegno nei loro confronti è l’e-strema civiltà della loro protesta. infatti concordano con i poliziotti gli spazi concessi, rispettano rigorosa-mente i patti e dicono alle Forze dell’Ordine di manifestare pure per loro. Va detto che queste caratteristiche si trovano anche in Spagna ed in Italia, ma da noi per motivi incom-prensibili i violenti riescono sempre ad infiltrarsi nelle manifestazioni ed a rubare la scena ai dimostranti pacifici. Questo sdoppiamento, pre-sente solo in Italia ed in Grecia, è emerso tragicamente a Roma, dove gli “indignati” solidarizzavano con

poliziotti e carabinieri, mentre i “black bloc” hanno cercato di ucci-derli.

LO SCENARIO IN ITALIA La situazione italiana è paradossa-le: Il fenomeno degli “indignati” per certi versi è nato proprio in Italia in netto anticipo rispetto agli altri paesi. Beppe Grillo con il “Vaffa Day” di qualche anno fa può infatti essere considerato il precur-sore di questo movimento. All’inizio erano quindi i manifestanti degli altri paesi a guardare al’Italia come ad un modello, proprio perchè da noi esisteva una voce importante in grado di coagulare lo scontento, situazione invece assente da loro. In seguito, però, Beppe Grillo si è in qualche modo istituzionalizzato creando un nuovo movimento poli-tico. Questo ha creato scontento in alcuni seguaci della prima ora che se ne sono allontanati e mentre gli “indignati” dilagavano da un paese all’altro, l’Italia assisteva da spetta-trice. Questa anomalia è stata fatta notare in un dibattito televisivo e la risposta è stata che da noi la fami-glia è un’importante istituzione an-che dal punto di vista sociale e ha contribuito ad evitare l’esplosione del malessere giovanile. Dopo poco tempo è però emersa l’altra anomalia, ben più preoccu-pante, quella dei teppisti in azione a Roma. Bisogna quindi chiedesi perchè solo in Italia ed in Grecia

esiste questo fenomeno. Esso si spiega a mio av-viso prima di tutto con una tolleranza di lunga data verso questi gruppi. Questo chiama in causa un’ambivalenza di fondo della sinistra. Essa ha sostenuto in passato, è vero, le istituzioni contro il terrorismo, ma è an-che vero che gran parte di quel mondo per lungo tempo ha avuto un at-teggiamento indulgente verso di esso, e non solo in Italia per la verità. Basti pensare alle prote-zioni di cui hanno godu-to ed ancora oggi godo-no diversi ex terroristi all’estero, considerati perseguitati da una giu-stizia faziosa, per ren-dersi conto di quanto grandi siano le totali

incomprensioni della realtà. Questo è dovuto probabilmente ad un a-spetto forse irrisolvibile della sini-stra: il considerarsi dalla parte degli oppressi la porta spesso a simpatiz-zare in modo romantico per chi si oppone in un modo o nell’altro al sistema esistente. Questo modo di pensare la spinge a non intervenire contro ambienti che si nutrono di odio puramente distruttivo verso l’esistente; anzi ogni volta intervie-ne qualche intellettuale o politico che, lungi dal condannare davvero la loro violenza, dice che questi sfasciatutto sono in realtà dei ra-gazzi vittime della società. Vi è poi, per quanto più indefinibile, una “maledizione mediterranea” dalla quale la Spagna è riuscita a liberarsi, ma Italia e Grecia non ancora. Essa non è solo di tipo economico, ma è soprattutto storico-culturale e si basa sull’atavica sfiducia dei cittadini verso le istituzioni. Questo porta alla disperazione e provoca un effetto ambivalente e contrad-dittorio, almeno all’apparenza. In-fatti da un lato li rende abulici e rassegnati, come se nulla e nessu-no potessero migliorare la loro con-dizione. Dall’altro questa disperazione può mutarsi in rabbia cieca e furiosa contro le istituzioni, viste come ne-miche. Non è un caso da questo punto di vista che i contrasti sociali e politici nei paesi mediterranei abbiano assunto spesso anche in passato toni particolarmente vio-lenti, del tutto sconosciuti al mondo anglosassone ed all’Europa del Nord. Per quel che riguarda gli “ indigna-ti” si può dire che questi movimenti di rivolta hanno davanti a loro un grande potenziale perchè il males-sere è diffuso ovunque, ma perchè questo diventi realtà devono trova-re guide sicure e proporre soluzioni condivisibili dal maggior numero possibile di persone in modo da mantenere la trasversalità origina-ria. Essa, se gestita male, può rivelarsi un elemento di debolezza, se coor-dinata e indirizzata ad una strate-gia a lungo termine, diventa un enorme punto di forza in grado di coagulare milioni di persone ed obbligare il Sistema quantomeno a prendere in considerazione quanto proposto da questi gruppi.

Page 19: 10OPnovembre11

19

La geografia della politica...

Se esaminiamo le elezioni politiche del 2006 in cui vinse Prodi si ha la chiara percezione di due fatti: il consolidamento del bipolarismo e il sostanziale equilibri fra le due rap-presentanza politiche del centro destra e del centro sinistra. Era quello che veniva espresso dai me-dia come l’Italia spaccata in due. Il fenomeno in sé avrebbe potuto essere elemento di stabilità. Quella stabilità tanto agognata dagli Italia-ni e da buona parte della classe politica che andava da Fini ai Radi-cali e che vedevano nel principio dell’alternanza, tipico delle demo-crazie anglosassoni, la risposta al susseguirsi, ininterrotto nella storia repubblicana, di governi brevi la cui durata media non arrivava all’anno di legislatura. Il sistema elettorale sulla spinta referendaria promossa da Segni e Guzzetti aveva portato ad un sitema maggioritario per cui lo schieramento che prendeva an-che un solo voto in più degli avver-sari aveva diritto ad un premio di

maggioranza, che attribuiva auto-maticamente il 55% dei seggi (tranne l'assai difficile ipotesi che su base proporzionale gliene spetti-no di più) che gli consentiva di go-vernare. E’ il cosiddetto Porcellum deformazione di Mattarellum se-condo la definizione del leghista Calderoli che pur essendone uno dei padri, lo definì una porcata. Alle elezioni del 2006 nello scontro Prodi Berlusconi vinse per la secon-da volta, nonostante il sostegno dei centristi di Casini dato al centrode-stra, Prodi anche se solo per una manciata di voti. Tutti sappiamo come andò a finire solo pochi mesi dopo con l’incrimi-nazione del Ministro di Grazia e Giustizia Clemente Mastella e la conseguente caduta del governo a cui l’UDR tolse il proprio appoggio. Nel 2008 si tennero le elezioni che portarono ad una schiacciante vit-toria del centro destra sempre rap-presentato da Berlusconi. Alleanza Nazionale rinunciò a pre-

Dopo i cenni sul rapporto esistente fra politica e comunicazione, riportati nel numero di ottobre di OP, continuiamo con una analisi della situazione politica...

Le immagini sono estratta da una studio della

Page 20: 10OPnovembre11

20

sentare il proprio simbolo ed entrò a far parte del Popolo delle Libertà. L’UDC preferì presentarsi autono-mamente con il rischio di vedersi schiacciare da un sistema elettorale sotanzialmente bipolare. Nonostan-te ciò Casini riuscì a portare 36 de-putati alla Camera e 3 Senatori. Un governo destinato a durare, vista l’ampia maggioranza parla-mentare uscita dal dispositivo elet-torale, che poteva contare su 344 deputati di cui 276 PdL, 60 LN, 8 MpA contro i 246 del centrosinistra: Pd 217 e IdV 29. Ben 98 deputati di differenza. Analogamente a palazzo Madama ai 178 senatori della maggioranza si opponevano 133 dell’opposizio-ne. Oggi possiamo dire che non sarà così. Come sia possibile che la più gran-de maggioranza Parlamentare della storia si sia sgretolata in soli 3 anni sarà oggetto di dibattiti per molti anni. Un dato certo però emerge con chiarezza. Il sistema elettorale maggioritario non ha funzionato. Molti si chiedono se tale fallimento è dovuto ad intrinseca incapacità del sistema o dai partiti che non riescono a interpretarne lo spirito. Non ci addentriamo in questo labi-

rinto, ci limitiamo a dire che ritenia-mo più valida la seconda ipotesi. Un altro dato consolidato infatti è che anche i precedenti sistemi non avevano funzionato. Il sistema elettorale proporzionale dal dopoguerra al 1993 oltre a non garantire governi stabili è fra le cause del decollo del debito pubbli-co eccessivo che attorno al ‘94 eb-be il suo picco. Il ‘93 è l’anno in cui a seguito del referendum di Segni venne intro-dotto il Matterellum una sorta di maggioritario misto. Ciò detto risulta oggi altrettanto evidente che l’attuale sitema elet-torale non sta garantendo né stabi-lità, né a quanto vediamo governa-bilità. Inoltre la politica deve fare i conti anche con un altro aspetto: già dalle elezione europee del 2009 che confermarono sostanzialmente i rapporti elettorali dell’anno prece-dente si può rilevare un sostanziale calo della partecipazione al voto. I votanti passano dall’80,7% nelle elezioni politiche del 2008 al 69,6 in quelle europee del 2009 calando ulteriormente al 63,6% in quelle regionali nel 2010. Diversamente dal passato questa

volta tutti i partiti sono interessati dall’astensione. A tutto questo va inoltre collegato un altro fenomeno recente, il movi-mento di protesta che a partire dai Paesi arabi sta interessando l’Euro-pa, l’America e persino l’oriente (vedi articolo di Riccardo Manzoni su questo numero di OP). Che fare? Le risposte che vengono date sono diverse e talvolta contraddittorie. Si vai da Grillo con i suoi Vaffa day e la contestazione globale del siste-ma, idea espressa anche da altre frange “rivoluzionarie” e talvolta violente come i Black bloc, ai rotta-matori del sindaco di Firenze, Ren-zi, che auspica un ricambio della classe politica, a chi ne fa una que-stione di sistema elettorale. Ci sembra che queste letture della politica abbiano tutte una serie di limiti. Primo credere che il problema sia meramente nazionale, quasi che l’italia fosse una variabile indipen-dente rispetto all’Europa e al resto del pianeta. Ci sembra una risposta strumenta-le, utile a cacciare gli incapaci che ci governano per consentire agli oppositori di prendere il loro posto.

Page 21: 10OPnovembre11

21

Ma con quali alternative e prospettive credibili di cambiamento non ci è per nulla chiaro. Chi fra i nostri lettori cre-de che un governo dei centristi e della sinistra con un PdL all’opposizo-ne saprà convincere gli Italiani che i sacrifici che oggi si contestano nelle piazze diventeranno giu-sti? Ed un Ulivo 2 ossia una coalizione di tutte le sini-stre, quanto riteniamo possa resistere? Sarebbe possibile un go-verno di coalizone naziona-le che coinvolga il centro con i mo-derati della sinistra e della destra? E se sì, che possibilità avrebbe di sopravvivere alle riforme di lacrime e sangue?. E Monti? Che speranze hanno i po-litici di scaricare su un tecnico le colpe di una manovra lacrime e sangue, quando saranno i loro de-putati e senatori ad approvare bi-lanci e leggi. Se si vuol essere realisti e non fare banale e logora propaganda eletto-rale non ci pare di vedere soluzioni chiare e risolutive. Chiunque gover-ni se la dovrà vedere con i Bot e gli spread, la disoccupazione, i precari, la recessione e con i Grillo che in questi contesti si trovano a loro agio. Quindi? Crediamo che l’unica possibilità possa essere la flessibilità senza rivoluzioni. Traduzione: un nucleo di governo in grado di garantire la continuità necessaria per fare le riforme che richiedono anni e inevitabilmente quote essenziali di consenso popo-lare, in grado quindi anche di coin-volgere i soggetti politici emergenti che, se lasciati alla opposizione, rischiano di paralizzare ogni pro-cesso riformatore. Il Governo Berlusconi con il falli-mento della sua poderosa maggio-ranza ne è la prova provata ed è lì a raccontarci che i numeri da soli non bastano. E’ la antica logica del - Solve ed coagula - attorno ad un centro di gravità permanente. La forza di una opposizione è data dal prodotto fra numeri di eletti e la sua “magnitudo” , ossia la sua

carica di contestazione nei Palazzi come nelle piazze. Una opposizione che in politica è minoritaria può esprimere una con-testazione estremamente intensa o al contrario di facciata. Questo è stato probabilmente uno degli errori di Berlusconi, quello di credere che avere i numeri consen-tisse sic et simpliciter di fare il bel-lo e il cattivo tempo, al governo come nel “suo” partito. Nei sistemi democratici il potere reale è molto più frammentato e distribuito fra istituzioni, gruppi, associazioni, lobby. Se ogni cittadi-no conta per un voto, un giornali-sta, un giudice, un direttore o un funzionario di un ministero o di una istituzione ha un potere reale assai maggiore. Chi meglio di tanti altri ha rappre-sentando questo potere di veto è il ministro Tremonti che non su basi politiche ma in nome di scelte “tecniche” ha di fatto commissaria-to ogni decisione politica del gover-no.

* Il dato si riferisce al voto alla Camera. Per gli anni 1994 1996 è stato utilizzato il dato relativo al voto proporzionale così da ottimizzare la com-parazione ai sistemi proporzionali pre e post mattarellum. Fonte: Ministe-ro dell’Interno

In questo contesto quindi ci pare evidente che l’unico soggetto politi-co in grado di dare risposte credibili possa essere il centro. Le motiva-zioni sono tante. Perché meno di altri ha fondato la propria politica sull’alternativa se non addirittura sulla contrapposi-zione all’uno o all’altro schieramen-to potendosi così rapportare e se necessario allearsi sia a destra che a sinistra garantendo così una quo-ta di continuità; perché arriva da un back-ground culturale (la DC) in cui l’arte della mediazione è sta-ta praticata per anni; perché ve-nendo meno le certezze ideologi-che del passato, il pragmatismo diventa l’elemento in grado di dare qualche risultato (non importa se i gatti sono bianchi o neri, l’impor-tante è che acchiappino i topi: Mao Zedong). Il problema quindi non è allearsi con i post-comunisti o con i post-fascisti, il problema è il sup-porto che da essi può venire per risolvere i problemi. Chi può assumere questo ruolo?

Andamento negli anni del debito pubblico in percentuale sul Pil in Italia

Page 22: 10OPnovembre11

22

Berlusconi ?, Bersani ?, Vendola ?, Di Pietro? Bossi ? O Casini e i centristi? La domanda è, con evidenza, retorica. Non ci è dato certo sapere cosa accadrà negli italici Palazzi del po-tere nei prossimi giorni o mesi e men che meno, anni. Però ci pare di capire che l’unica via d’uscita dal labirinto in cui ci troviamo, in parte per colpa delle incapacità di una classe politica dedita alla caccia del potere fine a sé stesso, in parte dalla congiuntu-ra internazionale, possa essere il recupero di un “fare politica” (che è diverso dalla politica del fare) che rimetta al centro l’arte ed il primato del governare. E’ un processo che richiede anni e un costante lavoro di mediazione, coinvolgimento, in-clusione, partecipazione che ricosti-tuisca un tessuto sociale che oggi vede tutti contro tutti. Non c’è tempo, non è facile, ma non ci pare di vedere scorciatoie. Qui spendiamo due parole di analisi rispetto a chi ha tentato un'altra strada e ci pare abbia fallito (sarà il tempo a sentenzaiere). Chi gridava al mondo (e agli eletto-ri) di avere chiare le chiavi del suc-

cesso: riforme liberali, infrastruttu-re strategiche, riduzione delle tas-se, meritocrazia, impresa, le famo-se tre I, chi ha fatto dello scontro il suo principale strumento di affer-mazione, riuscendo anche credibile, tanto da avere maggioranze strepi-tose, legislature intere, oltre che disporre di suo di mezzi di comuni-cazione di massa che nessun politi-co poteva prima, durante e proba-bilmente dopo di lui potrà uguaglia-re, ha sostanzialmente fallito. Per chi ci credeva è stato un bel sogno, un sogno a cui molti hanno creduto. Un sogno che come tutti i sogni non sono da buttare solo perché non si avverano, anzi prima che qualcuno li enunciasse, molti non sapevano nemmeno della loro esistenza. Ora quesi sogni tornano ad essere orfani tornano ad essere lontani obiettivi, quello che deve cambiare sono le strategie, gli strumenti e le persone con cui per perseguirli. Il fallimento di Berlusconi apre an-che una serie di riflessioni per chi ritiene che la politica debba avere il primato sull’economia, sui poteri forti, come sulle burocrazie più o meno consolidate.

Molti italiani speravano che dalla sintesi fra potere politico, potere mediatico e potere economico, mai così unite in un sol uomo nella sto-ria d’Italia, la prima, cioè la politica, diventasse il dominus, fosse real-mente in grado, finalmente di go-vernare tutte le spinte egocentriche corporative, disgregatrici. Da sempre vengono richieste a gran voce riforme di sistema, strut-turali, radicali ecc. per combatterle per ridare prospettive di sviluppo ma queste riforme non arrivano mai. Probabilmente sarebbe stato possi-bile; sarebbe stato possibile se il Premier uscente avesse saputo indossare i panni dello statista la-sciando quelli dell’imprenditore, se avesse saputo indossare quelli del pater familias invece che del putta-niere, se… ma così non è stato. Quindi non resta che tirarsi su le maniche e provarci per un’altra strada. Quella proposta dai centri-sti. Come tutte le suggestioni questa più di altre pare possa consentire di andare avanti di coagulare ener-gie, di attuare, attraverso quel sol-ve ed coagula di cui abbiamo scrit-

Page 23: 10OPnovembre11

23

to le riforme tanto agognate. Ve-dremo se sarà così. Non ci facciamo grandi illusioni, ma riteniamo che l’ottimismo della vo-lontà debba sempre prevale rispet-to al pessimismo della ragione che

deve comunque sempre essere strettamente legata alla conoscen-za, ecco perché Op si spende in queste ricerche. Sono sttai riportati due grafici da

cui si può rilevare l’andamento a-stensionista (sopra) nelle regionali 2010. Un chiaro segno del progres-sivo allontanamento dell’elettorato dalla politica che finisce inevitabil-mente per indebolirla ulteriormen-

Page 24: 10OPnovembre11

24

SeL

Federazione sinistre

5 stelle

te. Se non si riuscirà a invertire questo trend difficilmente si riu-sciranno a fare riforme struttura-li, o se si faranno saranno pe-santemente condizionate dalle componenti economiche più forti a scapito della gente. Completiamo il quadro della ge-ografia politica riportando uno dei possibili scenari a cui si può andare incontro con una affer-mazione del terzo polo (schema alla pagina precedente). Ripor-tiamo anche una rappresentazio-ne dello stato di fatto alla regio-ne Piemonte con i partiti rappre-sentati per dimensioni in funzio-ne delle percentuali conquistate alle ultime elezioni regionali del 2010. Si può notare come Scandere-bech attuale coordinatore regio-nale di FLI abbia conquistato lo 0,64% (12.154 voti) diventando determinante per la vittoria della lista Cota. La base di partenza quindi per il

PdN in Piemonte è attualmente di quasi il 5%, anche se è tutto da verificare alla luce dei 5 anni di governo presieduto dalla Lega con cui è in maggioranza.

Page 25: 10OPnovembre11

25

Sarà capitato a tutti i torinesi e anche a molti che da fuori città vi arrivano, di percorrere corso Unità d’Italia nel quartiere Italia ’61. L’area era stata attrezzata con una serie di immobili e infrastrutture fra cui ricordiamo il palazzo Vela, il la-ghetto artificiale con la monorotaia e il più noto di tutti: il palazzo Nervi. Quante scolaresche, quanti studenti di ingegneria e architettura si sono recati a vedere quest’opera realizzata da Nervi in pochissimo tempo, qualche settimana. E quanti sono coloro che percorrendo corso Unità d’Italia e le strade adiacenti come corso Maroncel-li, non hanno dovuto lamentarsi per il traffico caotico e spesso anche per gli autovelox disposti giusto per rendere ancora più difficile attraversare quella zona. Che dire poi della trasformazione del Lingotto in un grande supermercato con decine di negozi e di attività ricre-ative fra cui la multisala dell’Otto Gal-lery o il Lingotto Fiere che periodica-mente si affolla di decine di migliaia di visitatori. Tutte strutture che attirano una gran quantità di traffico che noto-riamente non è propriamente un toc-casana per la qualità della vita dei torinesi. I parcheggi sono quello che sono, comunque insufficienti, special-mente in occasione delle frequenti manifestazioni del Lingotto o sul Po. Risultato: traffico insostenibile anche perché certe strutture attirano gente da fuori Torino che del metrò non sanno proprio cosa farsene. Per fortuna il Valentino e i giardini di Italia ’61 hanno costituito negli anni un polmone verde in grado se non di

c o m p e n s a r e almeno di miti-gare il caos in cui gli abitanti del quartiere si trovano a vive-re. Sembra però che al comune di Torino questi aspetti risultino secondari di fronte alla ri-chiesta di rea-lizzare un area c o m m e r c i a l e

nel palazzo Nervi. Evidentemente dagli accurati studi urbanistici risulta che il quartiere abbi-sognava di questa essenziale struttu-ra, e se non era il quartiere ad averne bisogno, certamente erano i Torinesi che notoriamente non sanno dove andare a spendere i loro soldi. Così come immaginiamo sia certamen-te stato fra i sogni di Nervi immagina-re che la sua opera sarebbe diventata un giorno un centro commerciale. E che dire delle aree parco che inevi-tabilmente andranno perse, degli albe-ri abbattuti, in fin dei conti basta attra-versare il corso per trovarsi in una lingua di parco che fiancheggia il Po che basta e avanza per uno dei quar-tieri più affollati di Torino, o no? Ci sembra di capire che il perverso ingranaggio con cui le strutture com-merciali più grandi divorano le più pic-cole continua. Dapprima l’introduzione dei supermercati ha causato la chiusu-ra dei piccoli esercizi, poi ipermercati sempre più grandi hanno portato a loro volta alla chiusura dei super mer-cati diventati di colpo piccoli per reg-gere la concorrenza. Risultato: il bacino degli utenti cresce, aumentando con essi anche la distan-za di provenienza e con essa il traffico. Come sempre naturalmente delle “esternalità” non si tiene conto: traffi-co, inquinamento, rumore, incidenti, ecc. di quelli se ne farà come sempre carico “pantalone”. La gente del quartiere protesta, ed è prevedibile che molte attività nei din-torni chiuderanno, diminuirà il verde pubblico, e si abbasserà la qualità del-la vita di tutti. Spiegatemi a questo punto dove sa-rebbe la differenza fra sindaci progres-sisti e sindaci “berlusconiani”, qualcu-no mi dica perché si continua a rac-contare la fola che a sinistra ci sareb-be più attenzione per il sociale, per il popolo, per laggente, che dall’altra parte invece si pensa solo ai danè. Su questa fola da…. tanti anni, non ricordiamo più nemmeno quanti (forse da Valentino Castellani in poi) a Torino la sinistra ha sempre vinto. Beh certo se c’erano i reazionari pro-babilmente avrebbero chiuso i centri sociali tollerati invece dai sindaci pro-gressiti, tutta qui la differenza ?

Addio Palazzo Nervi, anche tu diventerai un ipermercato...

E’ ora di mettere a frutto anche le Porte Palatine. Che bella facciata sarebbero per un condominio di lusso...

Page 26: 10OPnovembre11

26

L’uomo che verrà avrà un sogno, lo stesso di noi italiani. Alzare gli occhi verso l’orizzonte e guardare il futuro senza più remore, senza più timori. Custodirà l’idea di un coraggioso oggi per inventare insieme un fecondo domani. L’uomo che verrà farà dell’etica il suo stile di vita. Perché l’esempio sia la migliore forma di comando e la progressività un lume irrinunciabile. Solo così l’essere potrà infiltrarsi nella mente degli italiani più di quanto abbia già fatto l’apparire. L’uomo che verrà avrà le mani oneste. Racconteranno di studi, di gavetta, di progetti e soddisfazioni. Non puzzeranno di umori di minorenni, né saranno sporche del

sangue dei servitori dello Stato. L’uomo che verrà forse si chiamerà Mario Monti. Una persona dal basso profilo ed elevate e riconosciute capacità.

A lui affidiamo il nostro presente, la nostra speranza di un vero miracolo italiano. L’uomo che

verrà è chiunque di noi. Colui che si è destato dal letargo dell’interesse civile e nutre sincera fame e sete di giustizia sociale. Non è più il tem-po di reclamare, ora è il tempo di costruire.

L’uomo che verrà sarà lungimirante. Della competenza farà motivazione dell’agire, del suo scopo un’eco plurale. Non più suonerà l’esiziale monologo del grassatore, non più incanterà la sua insulsa poesia. L’uomo che verrà avrà sulle spalle il peso della speranza di un popolo. Ma dovrà gestire l’isterica egolatria di questa gente così stupidamente convinta di esser la migliore al mondo pur annegando in un mare

di “monnezza” e fango. L’uomo che verrà avrà cultura nel concetto più alto e sublime del termi-ne. Nella mente

l’accademico sapere di chi dei giochi causa effetto ha scoperto la logica sostanziale e la competenza di una concione di eletti proprio perché non eletti. L’uomo che verrà parlerà della natura delle cose. Descriverà gli eventi con cipiglio scientifico, cercherà soluzioni con metodo zetetico. Non argomenterà facondo per piacere solipsistico o per imburrare il santolo burattinaio. L’uomo che verrà conterà con la mano i semi dei nostri sacrifici. Grano intriso di sudore e sangue di cui per far stiva in questo mare in tempesta. Non lo servirà nella mensa degli ingordi, non lo sprecherà come avere degli stolti.

L’uomo che verrà di Massimiliano Pettino [email protected]

Giulio Cesare

Vittorio Emanuele II

Benito Mussolini

Alcide De Gasperi

Mario Monti

Silvio Berlusconi

Giulio Andreotti

Page 27: 10OPnovembre11

27

L’interesse della pubblica opinione sulle questioni poli-tiche viene spesso (o sempre?) attratto dalle dispute che coinvolgono le mag-gioranze che gover-nano o amministra-no rispetto alle mi-noranze più o meno istituzionalizzate che contestano certe scelte. Eppure esi-stono una quantità di decisioni che ven-gono prese di co-mune accordo e che pare non interessino né gli operatori del-la comunicazione né i cittadini. Merite-rebbe fare l’analisi di queste decisioni, meriterebbe andare a capire con quali criteri vengono prese certe decisioni da chi, avuto il mandato popolare, ma anche come vengono decise le ri-spettive contestazioni. Temiamo che non sempre sia il buon senso e men che meno l’interesse comune. E’ appena il caso di citare come esempi il finanziamento pubblico dei partiti che nonostante un refe-rendum che lo aveva bocciato pro-cede indifferente attraverso governi di destra e di sinistra. E che dire degli infiniti privilegi della casta?, in materia sono pressoché nulle le critiche espressa dai cittadini, scrit-te su libri e giornali, che si traduca-no in atti e fatti concreti nelle sedi competenti. Questo incipit per in-trodurre una delle (tante) scelte fatta alla regione Piemonte che ha raccolto il consenso di tutti, destra, sinistra e perfino i sindacati nono-stante sia… illegittima. L’Ammini-strazione regionale con l’approva-zione dell’articolo 8 della legge re-gionale 27 dicembre 2010, n. 25, proroga a tempo illimitato le graduatorie già scadute dei con-corsi pubblici per dirigenti espletati nel passato, disattendendo quanto

previsto dal comma 5 ter, dell’art. 35 del DECRETO LEGISLATIVO 30 marzo 2001, n. 165, il quale pre-vede che le graduatorie dei concor-si per il reclutamento del personale presso le amministrazioni pubbliche rimangano vigenti per un termine di tre anni dalla data di pubblica-zione. Una buona fetta di candidati in graduatoria sono stati assunti negli anni scorsi, e molti sono lì che aspettano, ma evidentemente qual-che amico/a del giaguaro non è stato/a ancora assunta e così con l’articolo 8 delle citata legge regio-nale, maggioranza, opposizione e triplice sindacale si sono trovati tutti d’accordo a fregarsene di cosa diceva la norma nazionale ed a prorogare le graduatorie… per sempre. E visto che la lista d’attesa è lunghissima, non si faranno più concorsi per dirigenti in Regione con buona pace per i giovani, per i disoccupati, e anche per ogni altro dipendente regionale. Con questa norma di fatto l’assunzione di diri-genti diventa quindi “cosa nostra” da cui viene escluso tutto il resto del mondo. Ora sappiamo che i concorsi pubblici, e quello della regione non fa eccezione, non bril-lano per trasparenza, basti pensare

Quando sono tutti d’accordo: in Regione mai più dirigenti?

In dispregio alla legge, le graduatorie per l’accesso alla dirigenza delle Regione Piemonte sono state prorogate… per sempre...

Il coordinatore CSA dell’Ente Regione Piemonte

Arch. Luigi Serra

Page 28: 10OPnovembre11

28

lano per trasparenza, basti pensare ai criteri stabiliti per superare gli scritti. Il candidato dirigente regio-nale è stato valutato sulla base di due indici di professionalità strin-genti: - il rispetto della consecutio temporum - non andare fuori tema Con questi criteri siamo quindi certi che quelli in fila d’attesa sono stati selezionati su basi meritocratiche… Un sindacato autonomo il CSA dell’-Ente Regione Piemonte, sigla più rappresentativa in Italia dopo la triplice che ha sollevato la questio-ne avviando una raccolta firme. Ecco in sintesi, come il giornale del CSA ci racconta la vicenda. Com’è noto, grazie all’emen-damento “bipartizan” pre-sentato in Consiglio Regio-nale dai Consiglieri: RE-SCHIGNA - RONZANI (pd); ARTESIO (fed. sinistra euro-pea); CERUTTI (sinistra e-cologia libertà con vendola); BUQUICCHIO (italia dei va-lori); BURZI - VIGNALE (pdl); CAROSSA (lega); è stato approvato all’interno della Legge finanziaria re-gionale per l'anno 2011 (l.r. n. 25/2010), un apposito articolo (l’art. 8) attraverso il quale viene stabilito il se-guente principio: … le gra-duatorie vigenti dei con-corsi pubblici per esami, per l'accesso alla diri-genza e alle categorie, già approvate alla data di entrata in vigore della presente legge, sono uti-lizzate, in via prioritaria, oltre le rispettive sca-denze. La nostra Organiz-zazione si è già espressa in merito alla non liceità di tale norma. I Politici hanno vo-luto “blindare” i percorsi di assunzione intrapresi nell’ul-tima legislatura, è l’hanno fatto. Mantenuto quindi l’im-pegno anche con i restanti 48 idonei inseriti nelle gra-duatorie dei 10 Concorsi per l’accesso ai ruoli dirigenziali dell’Ente Regione Piemonte banditi nel 2005, nonché con gli idonei inseriti nelle graduatorie del concorso Cat. D3 per il profilo profes-sionale di "Funzionario ad-

detto alle attività di relazioni ester-ne e stampa" del 2009. Il nostro pensiero in questo mo-mento non può che essere rivolto verso quelle decine di donne e uo-mini (probabilmente ancora oggi disoccupati), che in questi ultimi anni hanno partecipato ai concorsi pubblici indetti dall’Ente Regione Piemonte, risultando idonei… inse-riti nelle graduatorie… e poi non assunti. A “questi nessuno”, con amarezza, va la nostra solidarietà. Sino all’ultimo, da soli, abbiamo cercato di far esaurire tali gradua-torie, ma i politici non hanno volu-to. The show must go on!!! Per questi motivi, il CSA ha avviato

una raccolta firme al fine di chiede-re al Consiglio Regionale l’abroga-zione dell’articolo 8 della l.r. 2-7.12. 2010, n. 25. Ovviamente la nostra iniziativa è indirizzata nei confronti dell’intera opinione pubblica italiana. Quindi possono apporre le firme sui moduli predi-sposti dal CSA tutti coloro che ri-tengono che la norma regionale rappresenti una discriminazione di fatto ed una palese ingiustizia. Se vuoi firmare anche tu, scrivi al se-guente indirizzo e-mail: [email protected] sarai im-mediatamente contattata/o. Inoltre sul sito di OP puoi scaricare i moduli per la raccolta firme.