+ All Categories
Home > Documents > 12OPfebbraio12

12OPfebbraio12

Date post: 15-Mar-2016
Category:
Upload: osservatorio-piemonte
View: 223 times
Download: 0 times
Share this document with a friend
Description:
La prevalenza del cretino Alberto Goffi ed Equitalia Equitalia was ist das ? Assicurazioni ? Olocausto: commemorare non basta Tutti i genocidi hanno pari dignità Petizione internet : fate girare… Quando è l’uomo a procurar danno Speciale : Casale Monferrato
44
Febbraio 2012 P eriodico indipendente di politica e cultura Piemonte Osservatorio Sommario La prevalenza del cretino Alberto Goffi ed Equitalia Equitalia was ist das ? Assicurazioni ? Olocausto: commemorare non basta Tutti i genocidi hanno pari dignità Petizione internet fate girare… Quando è l’uomo a procurar danno Speciale Casale Monferrato
Transcript
Page 1: 12OPfebbraio12

Febbraio 2012

Periodico indipendente di politica e cultura

Pi

em

on

te

O s s e r v a t o r i o

Sommario La prevalenza del cretino Alberto Goffi ed Equitalia Equitalia was ist das ? Assicurazioni ? Olocausto: commemorare non basta Tutti i genocidi hanno pari dignità Petizione internet fate girare… Quando è l’uomo a procurar danno Speciale Casale Monferrato

Page 2: 12OPfebbraio12

2

Partiremo da alcuni episodi real-mente accaduti in grado di rappre-sentare un fenomeno che in Italia è particolarmente accentuato rispetto al resto d’Europa e che viene sinte-tizzato nel titolo. Il primo esempio prende le mosse da un problema legato alla circola-zione di un particolare tipo di mezzi pubblici urbani i tram. Notoriamente questi pachidermi di latta ed acciaio hanno una capacità di frenata alquanto limitata rispetto ai mezzi si gomma. E’ conseguenza della presenza di un ridotto attrito volvente fra ruota d’acciaio e bina-rio. Una accoppiata che da una parte riduce i consumi energetici, ma dall’altra non favorisce l’arresto repentino quando necessario. Di-venta importante quindi per garan-tire efficienza nella circolazione, ossia velocità relativamente eleva-te, limitare gli attraversamenti dei binari. Capita che in prossimità di aree mercatali, uscite da fabbriche o scuole, una massa di persone com-prensibilmente ansiose di tornarse-ne a casa invada repentinamente le strade ed anche le corsie cosiddet-te marciatram quelle cioè riservate alla circolazione di tram. In questi casi non è facile discipli-nare gli attraversamenti che do-vrebbero avvenire solo sulle strisce e nei passaggi previsti. Così ecco sorgere cartelli che fanno obbligo di attraversare solo dove stabilito, ai quali si aggiungono spesso lun-ghe teorie di transenne che per molti metri ai lati del passaggio dovrebbero convogliare le masse di pedoni impedendo l’attraversa-

mento casuale. Ma tutto ciò spesso non basta perché cittadini indisciplinati riescono anche a scavalcare dette transenne per evitare di allungare di qualche me-tro il loro percorso. Così facendo mettono a rischio non solo la pro-pria salute ma anche quella dei viaggiatori sul mezzo pubblico o nel

migliore dei casi lo costringono a ridurre la velocità per prevenire sinistri. In certi casi le pubbliche ammini-strazioni sono arrivate a costruire sottopassaggi stradali per evitare questo genere di “conflitti” fra pe-doni e mezzi pubblici siano essi su gomma che su ferro. A Torino ricordiamo il sottopasso di Porta Palazzo dove sorge anche il più grande mercato di Torino e fra i più grandi d’Italia. In un incontro internazionale fra tecnici addetti alla gestione dei co-siddetti impianti fissi destinati alla circolazione (tram e relativa rete di circolazione, impianti di risalita in montagna ecc.) venne affrontato il problema della sicurezza degli at-traversamenti. L’Italia risultava all’avanguardia nei complessi e costosi interventi per prevenire gli incidenti, nel caso dei tram infatti alcuni tecnici stranieri segnalarono che nelle rispettive città era sufficiente mettere un cartello con il divieto di attraversa-mento pedonale e nessuno violava la disposizione per cui non necessi-tavano gli altri costosi interventi da noi necessari e spesso ancora in-sufficienti!. Questo valeva anche per gli im-pianti di risalita (seggiovie e simili) dove una maggior attenzione alle disposizioni di sicurezza da parte degli utenti evitava la presenza di personale aggiuntivo, con relativi costi, per garantire il rispetto delle norme, presenze da noi necessarie. Altro episodio: in uno dei classici sabati notte che i giovani passano in discoteca, un’auto con quattro ragazzi percorrendo un lungo retti-lineo, probabilmente anche con qualche birra di troppo in corpo si schianta ad alta velocità contro uno, della lunga fila di platani che affiancano la statale, muoiono tutti. I platani sono alberi grandi maesto-si ed erano lì praticamente da sem-pre davano un po’ d’ombra special-mente in estate, ai lunghi rettilinei assolati. A seguito degli incidenti dopo infi-nite polemiche sulla responsabilità

La prevalenza del cretino

Pare che in Italia le leggi vengono tarate non su criteri di buon senso, ma sul comportamento del più cretino...

Page 3: 12OPfebbraio12

3

venne deciso di abbattere tutti i platani perché costituivano un peri-colo per gli automobilisti. Altro episodio: siamo in estate, strada “dritta senza vento” come direbbe un navigatore di rally, un signore di mezza età viaggia con la moglie sulla sua auto attraverso un centro abitato, trent’anni di paten-te, assicurato in classe 0 in quanto da anni non fa incidenti, viaggia a 60 km/h e un autovelox lo fulmina, multa salata e riduzione dei punti patente, è la stessa sorte che tocca al ragazzino un po’ gasato che vuo-le fare il galletto con la sua fidanza-tina. Su quella stessa strada d’in-verno con nebbia e ghiaccio, transi-tano TIR di oltre 40 tonnellate ai 50 km/h che non vengono ovvia-mente multati. Secondo voi cari lettori fra i tre casi citati qual è la situazione più peri-colosa? ed i limiti di velocità corre-dati da “oggettivi” impianti di re-pressione delle violazioni offrono o no una adeguata prevenzione dei sinistri? Altra situazione un camionista che da una vita macina chilometri si ferma per lo spuntino del pranzo, si fa un quartino di vino, riprende la strada e gli ritirano la patente per-ché l’etilometro segnala presenza d’alcool oltre i limiti, (poco più alta di quella che si avrebbe mangiando un cioccolatino al whisky). E’ la stessa sorte tocca a un giovanotto che esce dalla discoteca alle 3 del mattino pieno di birra. Cosa hanno in comune tutte queste vicende? Hanno una filosofia di fondo comune: la prevalenza del cretino, le leggi vengono tarate non su criteri di buon senso, ma sul comportamento del più cretino. Ci sono dei cretini che guidano u-briachi, allora vietato per tutti in assoluto assumere alcol, poco im-

porta se la maggior parte so-no persone responsabili che sanno gestirsi il bicchiere di vino senza problemi. Velocità: qualche cretino investe un pedone sulle strisce e magari poi fugge? Limitiamo tutti ai 50, poco importa se un Tir stracarico che viaggia a 50 km/h su strade innevate con nebbia è cento volte più peri-coloso di una vettura che in condizioni ottimali viaggia a 70 km/h; tutti adagio, men che meno che a superare di qualche km i limiti di velocità sia una conduttore con 30 anni di patente senza inciden-ti: multa e via i punti della patente. I platani poi colpevoli di non essersi spostati per evitare che i soliti cretini si schiantassero!. E’ una cultura secondo cui Stato e collettività devono farsi carico, non della sicurezza, che pure è una en-tità molto sfuggente, ma della stu-pidità dei cittadini incoscienti. Quando diciamo che la sicurezza è una entità molto sfuggente inten-diamo dire che qualunque misura di sicurezza si adotti (con relativi costi crescenti) ci sarà sempre la possibilità che qualche forma di incidente possa avvenire. In realtà gli interventi per la sicurezza pos-sono crescere all’infinito riducendo le probabilità di un sinistro, ma mai azzerandola. Tradotto: il buon sen-so non è surrogabile da nessuna misura di sicurezza. Anzi più si dif-fonde la cultura che “altri”, siano esse persone o istituzioni debbano farsi sempre carico di tutto, più diminuisce lo stimolo da parte dei cittadini ad usare il buon senso, a pensare, a riflettere, ad assumere comportamenti sicuri, a metterci del proprio per evitare spiacevoli

incidenti. Case co-struite in zone sog-gette a frane? Quan-do arriva il disastro basta chiedere il contributo dello sta-to! Rifiuti tossici ac-cumulati qua e là nell’indifferenza di tutti? aumentano i tumori? chiediamo la pensione di invalidi-tà! Vita sedentaria, mangiare e bere da schifo, fumare in

abbondanza, colesterolo e trigliceri-di al galoppo, infarti, ictus?, ci pen-sa l’ospedale a rimetterti a nuovo!. E se cominciassimo a introdurre delle “discriminazioni” sulla base del buon senso? Che ne dite se si cominciasse a premiare i comporta-menti virtuosi? Ad esempio per chi viene beccato a superare di qualco-sa i limiti di velocità o si è fatto una birretta in una calda giornata d’e-state, ma da vent’anni non fa inci-denti, si preveda una franchigia che gli permette di evitare la multe ed il taglio dei punti sulla patente? Se chi costruisce case in zone ido-nee godesse di qualche vantaggio che so, meno oneri urbanistici o sconti sulle tasse per la casa ad esempio; e se riconoscessimo che chi dedica un po’ di cura alla pro-pria salute aiuta, oltre sé stesso, anche la collettività? non sarebbe meglio per tutti. Sono solo esempi per aiutare a far prevalere il buon senso sul cretino.

Page 4: 12OPfebbraio12

4

Capita raramente in politica di sen-tire qualcosa di nuovo, o quanto-meno di originale. La struttura dei partiti, la ricerca del consenso di lobby e potentati, da anni hanno appiattito e reso estranea a quello che un tempo era la più bella delle arti, la maggioranza dei cittadini che non ne fanno parte e, talvolta, persino coloro che nella frequenta-zione dei Palazzi sono degli abituè . Qualche eccezione però pare esser-ci: dal Beppe Grillo dall’eloquio tra-scinante e multicolore ereditato dall’arte della comunicazione tea-trale comico-satirica, ormai bestia nera del “sistema”, alle originali iniziative popolane di Alfonso Luigi Marra contro le banche, oltre ai partiti “locali”, liste civiche che un po’ dappertutto si fanno sentire e vedere creando non pochi problemi ai pachidermi nazionali. Pensiamo alla giunta Bresso che ha perso le elezioni per le manciate di voti assegnati al movimento 5 stel-le, o ai voti di Scanderebech smar-catosi dall’UDC determinante nella vittoria di Cota in Regione Piemon-te o alle altre liste “creative” No Euro, No Tav, Azzurri, eccetera. T e r r e m o d ’ o c c h i o q u e s t i “guerriglieri della politica” che per alcuni sono solo affetti dal cancro del populismo, sperando riescano almeno a condizionarla prima di esser fagocitati dalle falangi parti-tocratiche, sostenute dalla cavalle-ria delle testate di informazione radio-tele-cartaceo-informatiche, dalle artiglierie della magistratura e dagli arcieri del gossip. Questa volta ci dedichiamo a un personaggio politico, nel senso no-bile del termine che, anche se cre-sciuto e da tempo dirigente di un partito tradizionale come l’UDC, riesce a staccarsi dall’approccio fazioso, conformista, subalterno, servizievole, tipico degli uomini di partito. Stiamo parlando del consigliere regionale del Piemonte Alberto Gof-fi. Sentendo i suoi interventi ci pare riesca nella difficile arte di coniuga-re tematiche strettamente legate ai

…dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior... (F. De Andrè - Via del Campo -) Per chi è avvezzo, dalla natura si imparano tante “leggi”. Una di queste ci insegna che spesso è proprio dalle situazioni abnormi, degradate, umanamente inaccettabili che nascono risposte, personaggi, storie in grado di trasformare lo sterco in un giardino...

problemi della gente facendosi por-tavoce della serrata e argomentata critica ad Equitalia, con una visione di ben altro respiro rispetto ai tradi-zionali “cinghialoni” partitocratici. Ci pare che l’avvocato abbia una marcia in più rispetto alla folla di politicanti che occupano a vario titolo istituzioni e relativo sottobo-sco. E’ anche originale rispetto agli altri menzionati outsider, la sua forma-zione politica è infatti tutta interna ad un partito. Nato a Mathi (TO), classe 1970 avvocato civilista titolare di uno studio legale con sede a Torino, dove risiede, e a Ciriè, comune presso cui è stato consigliere dal 1997 al 2007. È segretario regiona-le dell’UDC Piemonte dal 2005, in-carico seguito a quello di segretario provinciale UDC Torino durato 8 anni. Dal marzo 2008 al novembre 2010 ha ricoperto la carica di consi-gliere comunale a Torino, capo-gruppo dell’UDC e membro delle commissioni Patrimonio, Controllo di gestione, Diritti e Pari opportuni-tà, Urbanistica, Torino 2011. Dal 2001 al 2006 è stato consigliere presso i ministeri della Giustizia e dell'Economia e Ispettore superiore al Servizio Centrale Ispettorato del Tesoro (SECIT). Nel 2010 è stato eletto per la prima volta in Consi-glio regionale (quota proporzionale) nella circoscrizione di Torino, con

Alberto Goffi ed Equitalia

http://www.albertogoffi.com/

Alberto Goffi

Page 5: 12OPfebbraio12

5

4.046 voti di preferenza. Nel suo sito sono raccontate le sue “battaglie” anche attraverso filmati, dalla costituzione dell’associazione No-equitalia con la manifestazione del No equitalia day Riportiamo di seguito proprio il suo intervento alla manifestazione del - Movimento per la gente - costi-tuitosi a Fiano Romano il 15 no-vembre 2011 dove sono intervenuti alla manifestazione più di 4.000 persone arrivate da tutta Italia, dal Friuli, Piemonte, Sardegna, Sicilia e centro Italia in rappresentanza dei circa 6.000.000 di persone e 1.700.000 aziende colpiti da Equi-talia. Il Movimento ha preso corpo dopo che l’avvocato Goffi ha conosciuto il Presidente del Palermo Calcio Mau-rizio Zamparini e con l’aiuto di una radio di Roma – precisamente Ra-dio Radio di Ilario Di Giovanbatti-sta. Nel corso della manifestazione è stato proiettato un filmato a cui si fa riferimento nell’intervento che potrete vedere al link riportato su :

Intervento di Alberto Goffi: In un paese in cui pare impossibile trovarci insieme e parlare seria-mente di un problema, senza veder le vetrine spaccate, oggi qui ci so-no famiglie con bambini, ci sono tante persone che vivono un dram-ma, tutte hanno la rabbia ma sono civicamente e pacificamente qui, il primo ringraziamento è rivolto a voi. Ho pensato in questi giorni come iniziare questo intervento, ma vo-glio partire dal video per raccontar-velo questo intervento. Il video è fatto da persone vere così come siete voi non è fatto da attori che hanno prestato l’immagi-ne, quello che vedete nel secondo pezzo del filmato è mio padre. Mio padre è un artigiano, mi ha insegnato a rispettare le istituzioni, ad avere un grande rispetto per lo stato, a lavorare, mio padre non ha visto il mare per quarant’anni, non sa cosa vuol dire evadere, mio pa-dre ha sempre cercato di insegnare ai figli che il lavoro è un bene pri-mario, ma quando si è trovato che dallo Stato non arrivavano i soldi; i pagamenti arrivavano dopo 250, 300 giorni dallo Stato, si è trovato

in difficoltà, e quella difficoltà è diventata insormontabile, il suo debito è passato dai 200.000 € ai 600.000 € dopo pochi anni. Io ho iniziato questa mia battaglia il gior-no che mio padre ha versato con il sacrificio di tutti i figli l’ultimo € perché nessuno potesse accusarmi di utilizzare la mia battaglia politica per fini personali e ho iniziato a farla per voi. E ho iniziato grazie a tanta gente, forse nel silenzio, forse sottotrac-cia, insieme ai miei colleghi. Io all’-epoca ero consigliere comunale a Torino, ho cercato di capire quali fossero i numeri, e mi sono accorto che mio padre non era una ecce-zione, come lui ce n’erano tantissi-mi, in quel periodo erano 46.000 persone solo nella città di Torino che avevano la casa ipotecata, quindi c’erano 46.000 persone che con le loro famiglie facevano circa 120.000 persone, che ogni sera andavano a dormire con i sudori, ogni sera non sapevano se la mat-tina quella casa che era tutto il la-voro di generazioni sarebbe stata ancora loro. E allora ho detto devo fare qualcosa, io ho avuto una for-tuna che con grandi sacrifici in casa mia anche se in molti momenti mancavano realmente le possibilità ho avuto la fortuna di studiare, di fare l’avvocato e modestamente di essere un avvocato stimato nella mia città. Ho messo a disposizione la mia professione con quella macchina che prima Ilario ricordava e ho scritto una cosa che faceva un po’ ridere: -Consigliere a domicilio, prenota una visita -, ed ho messo il numero verde. E da lì, ho cominciato ed ho visitato in un anno oltre 300 aziende, an-dando a dare l’assistenza a tutte quelle persone che non avevano più la possibilità di pagare un avvo-cato o di pagare un commercialista, quelle persone mi hanno restituito 10 volte quella che è stata la mia forza. E quando ho cominciato a essere visibile all’esterno, sono arrivati i primi guai, mi hanno chiamato i leader dei principali partiti italiani dicendomi ma fai attenzione, ma qual è il vantaggio che ne ricavi da tutto questo?, L’unico vantaggio che ne ricavo è che io vorrei che in questo stato le istituzioni sapessero distinguere gli evasori dalle perso-

ne in difficoltà. Perché l’evasore per me tecnica-mente è colui che non dichiara al fisco, è colui che si nasconde dal fisco, e in questo stato chi si na-sconde dal fisco è un privilegiato, prima deve essere scoperto, ed è già difficile essere scoperto, ma se anche venisse scoperto ha degli straordinari strumenti. Può aderire allo scudo fiscale e pa-gare il 5% di somme che non ha mai dichiarato in Italia, oppure può, come nei casi che abbiamo visto nel video, presentarsi alla a-genzia delle entrate, questi casi sono arrivati al clamore delle princi-pali testate giornalistiche perché erano talmente famosi i personaggi che si erano mossi, lì sì, i direttori generali delle agenzie delle entrate i presidenti ed è stato applicato loro uno sconto che andava dal 50 al 70% di quello che avrebbero dovuto pagare. E allora io ho sempre cercato di spiegare, ma chi sono le vittime di Equitalia? ma voi politici, voi istitu-zioni, voi burocrati di stato, voi sa-pete chi sono le vittime di equita-lia?. Io lo so chi sono, sono nella stra-grande maggioranza delle persone che tutti i giorni alzano la serranda, sperano che qualcuno entri dentro, cercano i clienti, cercano i soldi, io so che cosa vuol dire quando la serranda non si apre e quando c’è il timore che quella giornata passi inutilmente, quella sensazione la conosco. Ma queste persone non la conoscono, a tal punto che queste persone che hanno dichiarato l’Iva, che hanno dichiarato l’Inps che hanno dichiarato tutto, nel momen-to in cui devono versare quanto hanno regolarmente dichiarato, si trovano in difficoltà, perché? Per-ché magari è intervenuto un pro-blema di salute, e il lavoratore au-tonomo molto spesso che ha un problema di salute non può lavora-re e quindi non può incassare, op-

http://www.osservatoriopiemonte.it/

Page 6: 12OPfebbraio12

6

pure perché lo Stato è in ritardo nel pagamento di 250, 300 giorni, e gli artigiani e i commercianti fanno molto spesso da banche allo stato, oppure perché la crisi economica è quella che consociamo tutti, il calo del fatturato è arrivato in alcuni casi al 70%. Io che ho dichiarato tutto, che so-no onesto, che ti ho dichiarato quello che effettivamente dovrei pagare, ma che ho queste difficoltà a me non applichi né il 5% né lo sconto del 50 o del 60% ma delle sanzioni che vanno dal 40 al 120%. Io solo questo ho cercato di spie-gare nel mio lungo tour che ho chiamato Equitalia Tour, e ho gira-to veramente ma ho girato non perché per me la politica è carriera, io ho una missione che è una mis-sione personale che è quella di re-stituire dignità a mio padre e insie-me alla dignità di mio padre la vo-glio restituire a tanti come voi che la dignità l’hanno persa. E quindi il movimento che parte oggi deve essere un movimento che aggrega le persone serie di questo paese, che non hanno biso-gno di spaccar le vetrine per prote-stare, sono qui civilmente per cer-care di proporre e di far capire a chi non capisce, perché qui è un problema di non capire: le leggi in Italia non le scrivono nemmeno più i politici le scrivono dei burocrati che non hanno idea di quello che capita fuori del palazzo, a me è capitato di sentire persone che hanno scritto quel provvedimento, dirmi: ma che cos’è Equitalia?. Se vado nel bar sottocasa, e dico che cos’è Equitalia mi fanno vedere una pila alta così di cartelle esattoriali, e mi raccontano chi è l’amministra-tore, chi è il presidente, sanno tut-to di Equitalia perché vivono rego-larmente e quotidianamente quel tipo di problema. Ma qui molte per-sone non hanno più idea di quali sono i problemi reali che stanno vivendo, e allora quando sono arri-vato a quel livello di visibilità, che qualcuno ha cominciato a preoccu-

qualcuno ha cominciato a preoccu-parsi, fortunatamente io ho avuto la stella di aver un numero enorme di persone che mi chiedevano aiu-to, non ce la facevo più fortunata-mente un giornale italiano molto importante ha scritto nel silenzio questa mia battaglia, e Maurizio Zamparini mi ha telefonato e mi ha chiesto di cosa hai bisogno, ho bi-sogno di un numero verde e di un aiuto economico per aiutare queste persone perché da solo come po-trai capire non ce la faccio più. Il giorno dopo io avevo il numero verde e 5 avvocati. Quindi noi oggi non siamo qui per fare parole ma per dare aiuto alla gente senza tornaconti, penso che ci sono persone che appartengono a partiti diversi, perché la politica ha deluso tanti anche coloro che hanno fatto politica e che hanno la passione per la politica, quindi dob-biamo andare oltre dobbiamo met-tere idee diverse insieme perché qui c’è un problema, un problema vero è che 6 milioni di persone in Italia vivono il dramma di Equitalia, 6 milioni di persone in Italia che sono tantissime non dormono la notte, e molto spesso sperano di prendere sonno ma non ci riesco-no, noi dobbiamo dare una speran-za di vita ed arrivo alla seconda parte di quel filmato, qella signora che è Eva Maier che ha detto io credo che non sia giusto morire per 6.000 €, suo marito è morto per Equitalia! Oggi avrebbe voluto es-ser qui con noi ma non è riuscita a venire, ma io ve la voglio racconta-re che è la storia di molti perché tutti insieme conoscendo quella storia dobbiamo cercare di darci coraggio. Suo marito era un artigiano restau-ratore a stoppino, è una vecchia pratica di restauro quasi ormai pas-sata alla storia, anzi con lui si per-de un grande patrimonio anche di professionalità, questo signore vie-ne intervistato durante una puntata di Report, e permettetemi di ringra-ziare la Gabanelli che è stata la

prima coraggiosa ad affron-tare questa storia, venne intervistato e lui disse una cosa, la casa è il lavoro di generazioni, sacrifici di mio padre di mia madre e dei miei nonni, se mi portano via la casa io non riesco a reggere, io morirò. Sono

passati 6 mesi da quella data nean-che a farlo apposta la casa viene messa all’asta, e lui muore pochi giorni dopo. Questa storia e questo libro io l’ho dedicato anche a lui, perché mi ha dato la forza e il coraggio come a tante persone di dire ora basta. Vi voglio dire che cosa ho proposto in questi anni, e quali sono stati gli strumenti che ho cercato di portare avanti: intanto una nuova idea di solidarietà, io voglio un nuovo mo-dello culturale morale, voglio cerca-re di fare una politica che non sia la solita finzione dei partiti che si contrastano ogni sera in televisio-ne, raccontando delle cose che francamente oramai sono parte del Risiko, quel famoso gioco in cui si facevano delle grandi guerre di fatto non c’era sostanza, io vorrei portare un nuovo modello in cui chiunque fa qualcosa lo faccia per gli altri, e allora la macchina è stato un modo per esser visibile e rin-tracciabile, il numero verde è stato un modo per fare assistenza gratui-ta e oggi grazie a Dio e a quel nu-mero verde che è partito da Torino oggi quel numero verde è a Roma, si sta estendendo nel Friuli, si sta estendendo in Sardegna e noi riu-sciremo a mettere insieme 200 300 avvocati che gratuitamente daranno il loro servizio a queste 6 milioni di persone. E poi il libro che se mi farete la cortesia e l’onore di leggerlo è la storia mia della mia famiglia, ma anche di tante altre famiglie rac-contate che poi finisce con un va-demecum: poche indicazioni su come difendersi da Equitalia. I proventi di questo libro che è mes-so in vendita a 10 € che servono a finanziare un piccolo fondo di chi ha perso la casa, di chi oggi non ha più speranza, e che io non voglio che finisca come Mauro… Alla politica dico solo poche cose, io ho chiesto pochi provvedimenti, ma significativi, il primo che mi pare di buon senso è che si possa-no compensare i debiti con i crediti, molte persone attendono dallo Sta-to dei rimborsi Iva dei rimborsi an-che decennali, che si possa com-pensare, a parità di condizioni, non che io pago una sanzione del 40 o 120% e voi non mi riconoscete neanche un € di interesse se aspet-to i soldi da 7-8 anni, questa è fur-beria. Il secondo è distinguere le

Page 7: 12OPfebbraio12

7

difficoltà ho dei documenti che comprovano la mia situazione di difficoltà ne senso che ho fatto ri-chiesta di cassa integrazione, op-pure sono in cassa integrazione, oppure ho perso il lavoro e sono in mobilità ma ho dichiarato la mia situazione patrimoniale allo stato, non mi son nascosto. Oppure dimostro con tutti i bilanci che ho avuto un calo del fatturato del 70 – 80% , oppure dimostro che ho avuto un grave problema di salute, cosa che purtroppo può capitare perché purtroppo siamo sotto la volta celeste, ed io non devo pagare dal 40 al 120% ma devo pagare come gli evasori del 5% . Lo stato se capisse questo, incasserebbe tre volte quello che oggi incassa, perché io mi son sempre chiesto, io ricevo dalle 10 del mattino alla mezzanotte di sera e c’è gente che aspetta anche 4-5 ore per poter parlare con me, ora mi chiedo questa persone che vie-ne 4 o 5 ore ad aspettare che io la possa ricevere e un evasore che vuol nascondersi o è una persona che vuole esser messa nelle condi-zioni di poter versare. Io credo che sia, se non è totalmente rincitrulli-to, la seconda ipotesi, è una perso-na che vuole semplicemente esser messa nelle condizioni di poter ver-sare. Io ho fatto tutto questo e credetemi spero di avervi trasmes-so anche la passione e il modo sin-cero di farlo, perché frutto proprio della sofferenza che ho visto negli occhi di mio padre, e che ho rivi-sto in migliaia e migliaia di cittadini che sono venuti a chiedermi aiuto. Io faccio tutto questo, con questo spirito, ebbene quindici giorni fa Attilio Befera capo di Equitalia, ca-po della Agenzia delle Entrate il cui stipendio ha cifre che no vi dico perché non sono qua per eccitare la rabbia di nessuno, ha annunciato che mi querelerà. Io sono onorato di avere una querela di Attilio Befe-ra! Ho esaurito le mie parole vi dico solo grazie facciamo in modo che

questo messaggio che portiamo a casa e lo trasmettiamo con a-more e senza fare contrasti con nessuno ma cercando di fare capire che questo è un paese onesto che non può essere di-menticato e che vuole semplicemente dare un futuro a loro stessi e ai loro figlio. Io ne ho due piccoli, e li vedo molto poco e vorrei che vivessero semplice-mente una vita serena parte della vita che io non ho vissuto.

Alcuni casi Domanda: Al di là dei modi poco legali con cui Equitalia risponde, come è possibile che hanno messo un fermo amministrativo su un au-to nel 2002 che io ho lasciato a loro disposizione, la tengo ancora in garage, perché non l’hanno mes-sa all’asta, nel frattempo continua-no a mandare cartelle quintuplicate per lo stesso debito. Risposta: Oltre a fare un danno a questo signora che ha le ganasce fiscali il fermo amministrativo fa un danno enorme alle regioni perché le regioni non possono incassare il bollo perché uno che ha il fermo amministrativo non può andare a pagare il bollo. Solo in Piemonte gli interessi porta-ti via dalla Regione da Equitalia valgono 20 milioni di €. Tu sei però obbligato a pagare il premio assicurativo anche se non usi l’auto.

————— Per il movimento stop Equitalia le norme sull’accertamento esecutivo con l’obbligo di pagare entro 60 giorni altrimenti partono le ganasce fiscali, la macchina non la usi più oppure ti ipotecano la casa, quindi non solo la perdita parziale della proprietà ma anche addio al credito perché le banche allertate dall’ipo-teca chiudono i rubinetti, rischiano di portare al fallimento più di 2000 aziende in Piemonte. Prima se il contribuente ricorreva la cartella era congelata, e solo due anni di tributo non pagato dava il via alle azioni esecutive punitive.

————— Una delle tante storie di vessati da Equitalia, quella di Pierluigi Vangi, piccolo imprenditore 60enne, da

trent'anni nel settore degli stampi per gomma nella provincia di Tori-no. La sua produzione è relativa a parti (in gomma) per auto, moto e scooter. Da sempre onesto e puntuale con-tribuente, ligio al fisco e alle istitu-zioni, poi arriva la crisi del settore auto-moto (2004-2009) e una ma-lattia (2010) che non da scampo: l' “ a t a s s i a s p i no c e r ebe l l a -re“ (patologia degenerativa come la SLA per la quale attualmente non esiste in Italia una terapia effi-cace per curarla o rallentarne gli effetti). Probabilmente qualche cu-ra esisterebbe anche, oltre oceano, ma a questo punto la scelta è: sal-vare l'azienda o curarsi? Vangi ha sempre dichiarato tutto allo Stato, le sue difficoltà derivano dalle sue condizioni di salute e da mancati pagamenti da parte di clienti (qualcuno dei quali fallito nel frattempo). Il suo debito oggi ammonta a 130-mila euro, ma l'importo originario era di circa 60mila, relativi a Iva, Inps, Inail e altre tasse locali. Un debito più che raddoppiato a causa di interessi e sanzioni, ma per molti politici e burocrati tutto questo è equo e normale! Nel giro di pochi mesi subentra Equitalia e iniziano i guai: si ritrova con un'ipoteca sul capannone e il fermo amministrativo sull'auto, in-dispensabile per lui perché impossi-bilitato a deambulare normalmen-te. Immaginiamoci la fatica fisica e psicologica nell'affrontare trafile burocratiche così lunghe e tortuo-se, rivolgendosi ad Enti e sportelli dislocati nel territorio torinese nelle sue condizioni. Ma Equitalia non guarda in faccia nessuno! Cosicché Vangi è costret-to a chiedere aiuto a parenti e co-noscenti per potersi spostare, dato che guidare l'auto lo porterebbe a infrangere la legge, con tutte le

Attilio Befera

Page 8: 12OPfebbraio12

8

conseguenze negative che ne deri-verebbero (multa di 2000 euro, sequestro immediato del mezzo, rivalsa dell'assicurazione in caso d'incidente) e a giorni la sua storia potrebbe finire con la chiusura del-l'azienda dopo la messa all'asta fissata per gennaio, oltre al licen-ziamento di quattro dipendenti. Cosa può fare ora Vangi visto che nessuno, banche o finanziarie pri-vate, si è dato disponibile a rilascia-re un prestito a fronte di un'esposi-z ione debi tor ia pregressa? Ricordiamo che l'iscrizione di ipote-ca dura vent'anni e la sua cancella-zione è contestuale all'estinzione totale del debito! La sua situazione

16 gennaio 2012 REGIONE PIEMONTE. Il presidente della Regione, Roberto Cota, vuole crea-re un ente o un’agenzia di riscos-sioni locale che non faccia più rife-rimento a Equitalia così da poter far rimanere in Piemonte 100.000 € l’anno che la stessa Equitalia in-cassa con il pagamento delle tasse, dal bollo auto, all’Imu, alla tassa

rifiuti, ai ticket sanitari, fino alle multe. Se così fosse, il Piemonte sarebbe la prima regione italiana con un servizio di riscossione a livello terri-toriale, come del resto vorrebbero l’Udc, la Lega e il Pdl. Tuttavia il consigliere del Partito dei Pensiona-ti, Michele Giovine, non vorrebbe che all’interno del progetto territo-

attuale, simile a quella di migliaia di altri imprendi-tori, è tragica; si può soltanto affi-dare ad un legale che non potrà certo opporsi a leggi emanate dallo Stato ma che al massimo potrà coadiuvarlo nel percorso vol-to ad impedire la vendita all'asta del capannone (sgravio di cartelle eventualmente illegittime o accesso alla rateizzazione del debito).

E per contro nell'ultima parte del video lo scandalo legato all'attuale presidente di Equitalia...

riale entrassero anche le multe stradali per paura di non avere un adeguato programma di recupero crediti, necessario e importante sopratutto quando si parla di multe stradali. In questo modo, se oggi Equitalia sulla cartella sanzionata acquisisce il 9%, qualora fosse la stessa Re-gione a riscuotere la medesima tassa si parlerebbe del 4,5%, con una dilazione dei pagamenti e una riduzione degli interessi di mora. I soldi recuperati serviranno a costi-tuire interventi là dove vi sono po-che risorse a disposizione della Re-gione. Per il momento un ruolo molto im-portante è stato affidato al Csi, ovvero il consorzio informatico pub-blico per monitorare le tassazioni locali e le sanzioni stradali dovute dai cittadini alla regione stessa, che attualmente opera con 612 comuni. Attualmente è solo un progetto, ma Cota è fiducioso sul fatto che possa relizzarsi in termini abbastanza ra-pidi.

...e la Regione Piemonte si fa un ente per conto suo

Page 9: 12OPfebbraio12

9

E’ la società pubblica (51% Agenzia delle Entrate e 49% Inps) italiana incaricata della riscossione naziona-le dei tributi. Il Gruppo Equitalia si compone delle società Equitalia S.p.a. (capogruppo), Equitalia Ser-vizi, Equitalia Giustizia e di 3 Agenti della riscossione presenti su tutto il territorio nazionale (Sicilia esclusa, la cui società si chiama Riscossioni Sicilia S.p.A.). Il servizio nazionale della riscossio-ne dei tributi è tornato in mano pubblica con la costituzione di Ri-scossione S.p.A., che nel 2007 (nata con il governo Prodi, poi por-tata avanti con il governo Berlusco-ni) ha cambiato nome in Equitalia S.p.A. La riforma della riscossione è avvenuta con l'entrata in vigore dell'art. 3 del decreto legge n. 203 del 30 settembre 2005, convertito con modificazioni nella legge n. 248 del 2 dicembre 2005. Fino al 30 settembre 2006 la ri-scossione era affidata in concessio-ne a privati (prevalentemente ban-che), in numero di circa 40. Equitalia dalla sua costituzione ha raggruppato i vecchi concessionari in 3 Agenti. Il gruppo negli anni prosegue la campagna di acquisi-zioni e fusioni, al fine di ridurre il numero totale degli Agenti della riscossione. Con le operazioni societarie del 1 luglio, del 1 ottobre 2011 e la mes-sa in liquidazione di Equitalia Basili-cata S.p.a partecipata da privati, dal 31 dicembre 2011 restano ope-rative : Equitalia Nord S.p.a., Equitalia Cen-tro S.p.a., Equitalia Sud S.p.a., E-

quitalia Servizi S.p.a., Equitalia Giu-stizia S.p.a.. Il Gruppo Equitalia esercita la ri-scossione dei tributi sull’intero terri-torio nazionale, esclusa la Sicilia. In particolare, Equitalia esercita sia la riscossione non da ruolo, che ri-guarda, per esempio, l’Ici e le en-trate pagate con modello F23, sia la riscossione a mezzo ruolo, che è effettuata sulla base della notifica di una cartella di pagamento. Equitalia spa ha funzioni prevalen-temente strategiche, di indirizzo e controllo dell’attività degli agenti della riscossione, mentre gli agenti si occupano degli aspetti operativi della riscossione, gestendo gli spor-telli e i rapporti con i contribuenti e con gli enti. Equitalia Servizi supporta gli agenti della riscossione sia come fornitore di soluzioni tecnologiche sia come interfaccia con gli enti. Equitalia Giustizia si occupa della riscossione delle spese di giustizia e delle pene pecuniarie conseguenti ai provvedimenti giudiziari passati in giudicato o diventati definitivi dal 1º gennaio 2008. Dal 1 gennaio 2012 la struttura degli Agenti della Riscossione, ossia delle filiali locali di Equitalia S.p.a., su pressoché tutto il territorio na-zionale, organizzati su base regio-nale, con competenza provinciale: Equitalia Nord S.p.a., Equitalia Cen-tro S.p.a., Equitalia Sud S.p.a., competenti su tutto il territorio; Riscossione Sicilia S.p.A., non fa-cente parte del gruppo Equitalia S.p.a. ma 60% Regione Siciliana e 40% Agenzia delle Entrate, compe-

tente per tutto il terri-torio regiona-le. Equitalia nel 2010 ha otte-nuto 1,29 miliardi di euro di ricavi, di cui 1,22 miliardi deri-vanti dall'in-casso di commissioni (aggi - 9% delle somme riscosse -,

rimborsi spese di notifica ecc.) sul-l'attività di riscossione conto terzi. Margine operativo lordo di euro 248,65 milioni, Ebit di 158,98 milio-ni, utili per 28,24 milioni. In questo periodo ha riscosso cre-diti per 8,87 miliardi di euro, 4,61 per conto dello Stato, 2,83 conto Inps/Inail, 1,42 conto Enti non sta-tali (Regioni, Comuni, Consorzi ecc.). I cosiddetti grandi debitori (coloro che sono iscritti a ruolo per importi maggiori di 500.000 euro) ammontano a 1.055 unità, da cui nel 2010 Equitalia ha riscosso 1,78 miliardi. Equitalia è stata molto criticata per la sua lentezza amministrativa (che a sua volta fa aumentare gli inte-ressi), per i tassi di interesse molto elevati (che molti definiscono "da usura") che fanno lievitare i costi, e per la facilità con la quale ricorre al pignoramento di beni (inclusi im-mobili) a fronte di debiti relativa-mente modesti. L'inefficienza am-ministrativa di Equitalia è tale che molto spesso il debitore non sa ne-anche di avere la casa ipotecata a causa di un debito inizialmente mo-desto. Può succedere infatti che una mo-desta multa stradale lieviti molto a causa degli elevati tassi di interesse e della lentezza amministrativa di Equitalia, rendendo impossibile il pagamento (per una persona che non vive in una situazione econo-mica agiata) e causando quindi il pignoramento di immobili o il fermo amministrativo di veicoli. Secondo la trasmissione TV Report, Equitalia punisce partiti, grandi im-prenditori e VIP con una severità minore rispetto a quella che usa con le persone meno abbienti, ac-canendosi con le persone non agia-te e chiudendo un occhio con le persone più ricche. Negli ultimi anni alcune procedure hanno agevolato la possibilità di velocizzare le attività di riscossione dei debiti da parte di Equitalia.[Se il contribuente non paga le somme provvisorie (anche di piccola entità) allo scadere dei termini (minimo 60 giorni, massimo 90) la società può mettere in atto misure cautelari come il fermo e l'ipoteca di proprie-tà del contribuente. All'aumento

Equitalia? was ist das ?

Page 10: 12OPfebbraio12

10

della velocità per la messa in prati-ca di azioni di forza per la riscossio-ne dei pagamenti si affiancano pro-cedure costose e onerose in termini anche di tempo (il ricorso deve es-sere presentato con bollo e atti giudiziari) e spesso poco chiare per come descritte nella cartella esatto-riale stessa. A seguito di un elevato numero di cartelle pazze (cartelle esattoriali contenenti errori palesi come: erra-to intestatario, richiesta di paga-menti non dovuti o già effettuati) inviate da Equitalia diverse manife-stazioni si sono tenute specialmen-te in Sardegna. Equitalia ha dovuto presentare an-che scuse ufficiali e in seguito sono state anche approvate procedure di autocertificazione (spesso non pub-blicizzate a dovere) per poter pre-sentare ricorso. Resta spesso comunque difficile e antieconomico (soprattutto per chi ha cambiato residenza o risiede all'estero) gestire i ricorsi (dovendo prendere giorni di ferie per potersi recare negli uffici o dover pagare avvocati) in confronto al pagamen-to delle piccole somme richieste con la minaccia di dover affrontare pignoramenti o ipoteche (l'ipoteca, ai sensi del decreto-legge n. 70-/2011, può essere iscritta solo per debiti superiori ad 8.000 euro; fino a 20.000 euro sono previste parti-colari limitazioni). Dal prossimo anno la società avrà anche un'altra arma: quella di agire direttamente sul contribuente infe-dele con indagini finanziarie che fino a oggi erano riservate all'Agen-zia e relegate alla procedura pena-le, e rispetto alle quali il contri-buente godeva di garanzie e tutele. Da domani, gli esattori potranno eseguirle in via amministrativa e guardare così nei conti correnti e negli investimenti di chiunque.

Martedì 31 gennaio 2012, FISCO: BEFERA, NON PRATI-CHIAMO L’USURA, APPLICHIA-MO LEGGI DELLO STATO “SENZA SANZIONI PESANTI NESSUNO PAGHEREBBE IMPO-STE (Il Sole 24 Ore Radiocor) - Roma, 31 gen - "Si continua a dire che Equitalia fa usura, ma l'usura non c'entra niente". Il direttore

dell 'Agenzia delle Entrate e presidente di Equitalia, Attilio Befera, difende l'atti-vita' della r i s coss ione c h i a r e n d o c h e l a "lievitazione" delle somme richieste al contribuente

a seguito dell' accertamento fiscale e' frutto esclusivamente dall' appli-cazione delle sanzioni stabilite dallo Stato, "a difesa dell' obbligo tribu-tario". E sottolinea, parlando da-vanti alla commissione Finanze del-la Camera, che "se non ci fosse una sanzione pesante nessuno pa-gherebbe le imposte". Befera spie-ga inoltre, che con la combinazione tra gli interessi di mora pari al 4-5% l'anno e la sanzione che oscilla tra il 30 e il 100% dell' imposta dovuta, si arriva a un maggior ag-gravio del 70 per cento. Ma, ribadi-sce, "non e' usura, perche' non si tratta di interessi su un credito" ed e' compito del Parlamento, even-tualmente, "ridurre la sanzione o modificarla". Bof-Mct-Tri FISCO: BEFERA, EQUITALIA NON E' AMMORTIZZATORE SO-CIALE Roma, 31 gen. (Adnkronos) - ''Nell'emergere

Ecco come si presenta Equitalia sul suo sito Attraverso l'armonizzazione delle procedure e dei comportamenti operativi, Equitalia si pone gli obiettivi di: - costruire con l'Agenzia delle entrate un governo unitario dell'azione di accertamento e di riscossione mediante ruolo, che garantisca uniformità di indirizzi, massimizzazione dell'efficacia della riscossione e ottimizzazione del rapporto con il contribuente; - armonizzare le procedure e i comportamenti operativi su tutto il territorio nazionale nell'attività di riscossione coattiva; introdurre un approccio al contribuente basato anche sulla possibilità di utilizzo di più efficaci strumenti di relazione, focalizzato sulla riscossione, orientato all'ascolto dei cittadini e all'efficacia dei risultati. Questi obiettivi rispondono alla necessità di produrre un forte effetto di deterrenza all'evasione, fine istituzionale primario di Equitalia e scopo prin-cipale dell'intero sistema di riscossione tributi. L’integrazione degli Agenti della riscossione nell’ambito di un unico Gruppo ha consentito la costruzione di un'unica squadra di specialisti, con lo scopo di armonizzare gli aspetti procedurali e creare una nuova relazione con il pubblico. Attualmente lavorano in Equitalia più di 8 mila persone, accomu-nati dalla medesima cultura e dagli stessi obiettivi.

Quanto guadagnano gli alti dirigenti di Equitalia? Il direttivo di Equitalia e composto da un Presidente: Attilio Befera, un Vice Presidente, Antonio Mastrapasqua, 6 Consiglieri: Vincenzo Busa, Vittorio Crecco, Stefano Crociata, Felice Serino, Francesco Tinelli, Direttore Genera-le Marco Cuccagna. Attilio Befera, direttore dell'Agenzie delle Entrate, per-cepisce dalla sola Equitalia una retribuzione annua di 25.000 euro, cui si sommano ogni anno altri 160.000 euro, più altri 50.000 euro di bonus al raggiungimento del target di riscossione, più, ancora, l'1% per i risultati a lungo termine su base triennale, per un totale di 235.000 euro all'anno. Il vice, Antonio Mastrapasqua è anche presidente dell'Inps. Il suo stipendio secondo la Corte dei Conti, è di 25.000 euro l'anno, più 350.000 fissi ogni dodici mesi, più un premio di 90.000 l'anno per la riscossione, in tutto quindi 465.000 euro l'anno. Marco Cuccagna direttore generale di Equitalia ha uno stipendi di circa 300.000 mila euro annui.

I comunicati stampa su Equitalia

Page 11: 12OPfebbraio12

11

della crisi si e' tentati di assegnare ad Equitalia l'improprio ruolo di ammortizzatore sociale''. La societa' di riscossione e' ''consapevole di dover agire contro dei soggetti che versano in particolari difficolta' eco-nomiche ma c'è anche chi ha fatto tutto per pagare'' le tasse. Lo affer-ma l'amministratore delegato di Equitalia, Attilio Befera, nel corso di un'audizione in commissione Finan-ze alla Camera. L'ad sottolinea quindi il ''clima di ostilita' e la cam-pagna denigratoria'' cresciute nel secondo semestre del 2011. Nello stesso periodo sono inoltre aumen-tate le ''iniziative di contestazione degenerate in atti violenza contro il personale'' che hanno portato a ''demotivazione e paura da parte dei dipendenti, con dei riflessi sui risultati''. Nonostante questi fattori, assicura Befera, ''Equitalia prose-gue nel suo lavoro''. FISCO: BEFERA, SUBITE 250 INTIMIDAZIONI, 70 SOLO NEL 2012 (ANSA) - ROMA, 31 GEN - '' Durante gli ultimi sei mesi del 2011 si e' verificato un crescendo di iniziative di contestazione comin-ciate con attacchi verbali e degene-rate poi in vere e proprie manife-stazioni di violenza'': lo ha detto il numero uno di Equitalia Attilio Be-fera precisando che gli episodi di intimidazione '' hanno superato dall' inizio dello scorso anno il nu-mero di 250, di cui 70 solo a gen-naio di quest' anno''. Cio' '' ha pro-vocato ovviamente demotivazione e paura tra i dipendenti del gruppo Equitalia''. FOL-CHO FISCO: BEFERA, NUOVO RED-DITOMETRO OPERATIVO EN-TRO META' 2012 Roma, 31 gen. (Adnkronos) - Il nuovo redditometro sara' operativo entro la prima meta' del 2012. Lo afferma il direttore dell' Agenzia delle entrate Attilio Befera, nel cor-so di un' audizione alla Came-ra. La sperimentazione, assi-cura Befera, si concludera' entro febbraio ed '' entro il primo semestre'' di quest' an-no lo strumento sara' operati-vo. (Sim/Col) martedì 31 gennaio 2012. FISCO: BEFERA, 3.100 GRANDI IMPRESE CON TUTOR FISCALE IN 2012 MILLE IN PIU' DELLO SCORSO ANNO (ANSA) - ROMA, 31 GEN - Nel 2012

anche l'istituto del ''tutoraggio'' dei soggetti di grandi dimensioni - che vede i contribuenti affiancati da un dipendente del fisco - entra a pieno regime: la platea dei soggetti si estende a tutti quelli con volume d'affari e ricavi non inferiori a 100 milioni di euro. Lo ha annunciato il direttore generale dell' Agenzia delle Entrate Attilio Befera preci-sando che ''i grandi contribuenti nei cui confronti sara' svolto il tutorag-gio passano quindi dai circa 2.000 del 2011 agli oltre 3.100 del 2012''. FOL-CHO martedì 31 gennaio 2012, FISCO: BEFERA, A GIUGNO MAXI - CONTROLLI DICHIARA-ZIONI REDDITI ' SVOLTA DI PRIMAVERA'; ALTRI BLITZ A NORD, POI CENTRO-SUD (ANSA) - ROMA, 31 GEN - ''La lotta all'evasione fiscale e' uno sfor-zo titanico, ma comincia a dare i suoi frutti. Ora con il controllo dei conti bancari, puo' partire la gran-de svolta di primavera''. Cosi' il di-rettore dell' Agenzia delle Entrate, tratteggia, in un colloquio con Re-pubblica, le linee di azione dell' agenzia per combattere l' evasione, partendo dal rafforzamento dei controlli sul territorio, compreso il Centro-Sud, e dalle '' dichiarazioni dei redditi di giugno'' dopo le quali ''scattera' un' operazione di control-li ' massivi' ''grazie al sistema infor-matico 'Serpico' e al redditometro, di cui saranno pronti gli ultimi ag-giornamenti '' entro febbraio''. ''Tanti politici - dice - cavalcano le proteste contro di noi per difendere chi evade. Ma con l' arrivo del go-verno Monti il clima nel Paese e' finalmente mutato'' e ''la lotta all' evasione e' tornata ad essere una priorita' politica oltre che un'emer-genza sociale''. A proposito del cla-more suscitato dai blitz di Cortina e Milano, Befera sottolinea che '' con-

trolli analoghi ne abbiamo sempre fatti. Certo - aggiunge - adesso c' e' un' attenzione diversa presso la politica e una sensibilita' maggiore presso i cittadini''. Peraltro, nel corso di questi con-trolli a Milano '' abbiamo trovato di tutto'', da chi denuncia ''4 tavolini all' aperto ma ne ha 40'', alla disco-teca dove '' ci hanno addirittura bloccato all' ingresso mentre uno dei titolari faceva scappare dal re-tro clienti e dipendenti''. Ma ''non siamo noi che facciamo tanto ru-more, sono i giornali che ne scrivo-no e i cittadini che giustamente si indignano quando vedono intorno a loro tanta infedelta' fiscale''. ''Ci siamo accorti - prosegue il numero uno dell' Agenzia delle Entrate - che l' effetto deterrenza comincia a funzionare. L'idea che i controlli possano scattare in ogni momento spinge i contribuenti a maggiore onesta' fiscale. Per questo andremo avanti rafforzando gli interventi sul territorio'', che interesseranno an-che il Centro-Sud, perche', come dice Befera, '' finche' fa freddo si va nelle stazioni invernali, quando arriva il caldo di passa alle localita' balneari''. L'altro lato della meda-glia sono le categorie'' gia' in fuga''. Dall' inizio del 2011, osserva Befe-ra, ''il flusso in uscita di capitali e beni pregiati e' in aumento espo-nenziale'' tanto che '' alcune ban-che svizzere hanno incominciato ad affittare le cassette dei grandi al-berghi perche' non sono in grado di esaudire le quantita' di richieste dei cittadini italiani''. Nonostante que-sto, pero', '' da qualche mese a questa parte - rileva - abbiamo registrato un miglioramento inco-raggiante anche sotto il profilo del-la compliance, che e' in aumento ed e' per noi motivo per continuare con la strategia adottata finora''. Y87-GN

Page 12: 12OPfebbraio12

12 Gli effetti dell’uragano Katrina su New Orleans

L’impulso finanziario più elementa-re di tutti è mettere da parte per i momenti peggiori, perché come ci ha dolorosamente ricordato il re-cente terremoto economico, il futu-ro sfugge alle nostre previsioni, il mondo può diventare un posto ve-ramente pericoloso. Spesso la vita è condita da un pizzico di malasor-te che per alcuni si trasforma in vera e propria sfortuna: si tratta solo di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato, come a New Orleans ad esempio durante lo sferzare dell’uragano Katrina. La domanda è come affrontare i rischi e le incertezze del futuro? Deve essere una responsabilità individuale quella di assicurarsi contro i disastri? o dovremmo poter contare sulla carità volontaria dei nostri simili nel caso di una calami-tà naturale?, o possiamo fare affi-damento sullo Stato in altre parole sulle tasse pagate dai contribuenti per salvarci dalla rovina economi-ca? E’ una maniera un po’ contorta per porvi una domanda basilare: siete assicurati? Gli inglesi sono convinti di esserlo, oggi a differenza di altre nazioni, una larga parte delle entrate di un cittadino inglese è destinata alle polizze assicurative, il che è al-quanto bizzarro considerando che l’Inghilterra è uno dei paesi più sicuri al mondo. La lotta per contrastare i rischi è una costante della storia finanzia-ria, dall’invenzione dell’assicurazio-ne sulla vita pensata dagli ecclesia-stici scozzesi all’ascesa ed al decli-no del welfare state fino alla diffu-sione dilagante dei fondi speculativi e dei loro profitti multimiliardari. La nostra lotta contro il rischio si basa su un conflitto insolubile, de-sideriamo la sicurezza economica quindi vogliamo un mondo prevedi-bile, ma il futuro sembra trovare sempre nuovi e spiacevoli espe-dienti per coglierci di sorpresa, vor-remmo un rischio calcolabile, ma siamo attanagliati dall’incertezza del caso. Quando l’uragano Katrina colpisce

Assicurazioni ?

New Orleans, l’ultima settimana di agosto del 2005, causa morte e distruzione, eppure non è una cata-strofe naturale quella che ora mi-naccia la sopravvivenza della città. La vera lezione generata dal disa-stro è di tipo economico, il pro-gramma di gestione dei rischi che noi chiamiamo assicurazione ha semplicemente fallito davanti ad una calamità di queste proporzioni. L’uragano non ha colpito diretta-mente New Orleans, i danni mag-giori si sono verificati a nord-est della città, ma è proprio quando i suoi abitanti tirano un sospiro di sollievo che inizia la vera catastro-fe. Un canale industriale collega il lago Pontchartrain con il Mississippi dopo l’uragano la piena causata dalla tempesta ha innalzato il livello dell’acqua che ha rotto gli argini, riversando un torrente in piena nella IX circoscrizione di New Orle-ans. Nella zona orientale della IX circo-scrizione sorge St. Bernard un sob-borgo abitato da un’alta percentua-le di operai tutti, almeno sulla carta coperti da una assicurazione priva-ta. Qualcuno si rifiuta di abbando-nare la città e rimane al suo posto durante la tempesta, alla fine con il livello dell’acqua che continua a salire è costretto a rifugiarsi sul tetto del Municipio, il livello dell’ac-qua nell’edificio è salito di 4 metri e mezzo in 15 minuti. L’intero quartiere di St. Bernard viene inondato in 15 minuti, solo 5 case su 26.000 sfuggono alla cata-strofe. Più di 2000 persone restano vittime dell’uragano Katrina e della conseguente inondazione. A St. Bernard perdono la vita 148 abitanti del quartiere gran parte di

Assicurazioni, pastori scozzesi welfare state, Giappone, Allende e Pinochet, Friedman e i derivati. Le ricette per avere un futuro tranquillo… o no?

Liberamente tratto da “L’ascesa del denaro” di History channel curato dal Prof. Niall Ferguson

Page 13: 12OPfebbraio12

13

loro intrappolati in casa dall’acqua che saliva. Si possono ancora vedere i segni dipinti sulle case abbandonate che indicano i punti in cui sono stati trovati i cadaveri, quando l’acqua si è ritirata, un po’ come accadeva a Londra ai tempi della peste. Eppure tre anni dopo non è un’allu-vione o la peste a minacciare New Orleans ma la crudele realtà econo-mica emersa dalle sue macerie. La gente non può più vivere qui perché non può assicurare le abita-zioni. Un uomo ha intrapreso la missione di dimostrare i limiti dell’assicura-zione privata, inadatta a fronteg-giare crisi di questa portata, si trat-ta dell’ex pilota della marina Dickie Scruggs uno di quegli avvocati che sembra solo l’America sia in grado di creare. Scruggs ha ottenuto un risarcimento di 50 milioni di dollari dalle industrie produttrici di amian-to, e poi di 240 miliardi di dollari dalle aziende di tabacco, ree di non aver avvertito i fumatori dei rischi legati all’uso delle sigarette, il suo è un mestiere che sa ricompensare, la parcella di Scruggs per la causa contro le multinazionali del tabacco si aggira intorno al miliardo e mez-zo di dollari. L’ultimo bersaglio del battagliero

avvocato, sono le compagnie assi-curative americane, i suoi clienti le centinaia di persone che hanno perso la casa con l’uragano Katrina, sostengono che le compagnie si rifiutano di erogare il risarcimento danni, un punto di vista che gli as-sicuratori contestano. In questa causa Scruggs è coinvolto in prima persona, anche la sua abitazione sulle rive del Mississippi è rimasta danneggiata da Katrina, tanto che ha dovuto demolirla, anche se Scruggs ha i mezzi per ricostruirla non tutti hanno la sua fortuna.

Se gli chiediamo cosa farebbe se avesse il potere di cambiare le cose e garantire alla gente una vera as-sicurazione e se c’è un modo per far funzionare davvero il sistema lui risponde: “sì c’è, basterebbe un po’ più di chiarezza, un po’ come fun-ziona per il foglio illustrativo dei medicinali, che ne elenca i benefici e le controindicazioni, al contrario di questo congegno chiamata mo-derna polizza assicurativa, impossi-bile da capire o da interpretare”. Sembra che le compagnie assicura-tive siano state giustamente colpite dal flagello Scruggs, una delle più importanti d’America ha patteggia-to centinaia di casi difesi da Scruggs, casi in cui in precedenza non era stato accordato alcun dirit-to al risarcimento. Ma in questa lotta all’ultimo sangue le Compa-gnie assicurative si sono prese una rivincita, dopo ave vinto la causa Scruggs è stato condannato a scontare 5 anni di prigione per aver tentato di corrompere un giudice e influenzare la distribuzione dei ri-sarcimenti. I grandi enti assicurativi rispondo-no al peso delle richieste post Ka-trina dichiarando la zona del tutto non assicurabile. Oggi come ha scoperto il Consiglie-re Joe di Facta assicurare una casa in questo quartiere di New Orleans è praticamente impossibile, non possono nemmeno ipotecarla, de-vono scegliere fra il costruirsi una casa qui o spostarsi in un’altra zona dove l’assicurazione costi meno e l’assicurazione rientri nelle loro possibilità. La comunità è ferita perché il disastro ha sradicato il nucleo storico di questo quartiere. A tre anni dal disastro il quartiere di St. Bernard conta solo 1/3 della popolazione pre Katrina. La vita è sempre stata pericolosa, la vera lezione imparata da Katrina e da tutte le grandi catastrofi è che pur pensando di esser corazzati contro il rischio, non sempre lo sia-mo. Persino reclamare modesti risarci-menti può rivelarsi più complicato del necessario, verrebbe da chie-dersi perché mai ogni anno spen-diamo così tanto per le polizze assi-curative, da dove deriva questa singolare consuetudine? Risparmiare per i momenti peggiori è il principio cardine delle assicura-zioni, ma il trucco sta nel sapere

cosa fare con i propri risparmi per esser sicuri che a differenza di quanto è accaduto a New Orleans, siano lì nel momento del bisogno, e per farlo bisogna esser più che pre-videnti, questo ci porta nel luogo dove la storia della moderna assi-curazione ha origine: e dove altro se non nella bella e previdente Sco-zia?. Si dice che gli Scozzesi siano un popolo pessimista, sarà colpa del clima con tutta la pioggia che cade ogni anno, o delle continue delusio-ni sportive, o forse del Calvinismo dilagato al tempo della Riforma. Certo è che sono due ministri della chiesa Scozzese a guadagnarsi il merito di aver inventato il primo vero fondo assicurativo nel 1744, e di aver creato un business multimi-liardario. Il convento di Great Prayers deve la sua notorietà ai profanatori di tombe: gli uomini della Resurrezio-ne che sul finire del XVIII secolo venivano qui a rifornirsi di cadaveri per la facoltà di medicina di Edim-burgo. Ma la vera importanza di Great Pra-yers è legata all’opera di un eccle-siastico locale Robert Wallace e a quella del suo amico Alexander Webster. E’ in qualche modo appropriato che siano stati dei pastori scozzesi ad inventare il moderno sistema assi-curativo, dopotutto siamo soliti ac-comunarli all’incarnazione della prudenze e della parsimonia, appe-santita dal fardello del castigo divi-no conseguente a ogni minima tra-sgressione. In verità Robert Wallace era un bevitore incallito, ma era anche un prodigio della matematica, e la co-sa che gli piaceva di più era tracan-

Dickie Scruggs

Robert Wallce

Page 14: 12OPfebbraio12

14 Effetti del bombardamento sul Giappone

nare vino rosso con i suoi allegri compagni di sermoni. A Wallace e Webster non piace come vengono trattati le mogli e i figli dei loro colleghi che sono stati portati via dal “tristo Mietitore” e che spesso si ritrovavano senza una casa e senza soldi. Il piano escogitato da Wallace e Webster è ingegnoso: il primo vero fondo assicurativo della storia. Negli archivi nazionali di Scozia sono conservati una quantità di documenti con i minuziosi calcoli effettuati da Wallace. In essi si cal-cola minuziosamente il numero massimo di vedove e orfani che avrebbero potuto essere assistiti. Da questo momento in poi i Pastori non avrebbero solo versato una quota che sarebbe stata usata per sostenere i familiari del defunto, ma avrebbero pagato premi che sarebbero stati usati per creare un fondo, e il fondo sarebbe poi stato usato per investimenti speculativi. Le vedove e gli orfani da quel mo-mento sarebbero stati sostenuti dai profitti del fondo, lasciando così che l’ammontare dello stesso au-mentasse. Perché il sistema funzioni servono proiezioni accurate sul probabile numero di orfani e vedove da so-stenere in futuro, un calcolo che Wallace e Webster svolgono con straordinaria precisione. La creazione del fondo pensioni per le vedove scozzesi rappresenta una pietra miliare della storia finanzia-ria, perché fornisce un modello non solo agli ecclesiastici scozzesi ma a tutti coloro che aspirano a provve-dere alle eventualità della vita. Nel 1815 il concetto di polizza assi-curativa era già abbastanza diffuso da essere impiegato per le vedove

di quei soldati che avessero perso la vita combattendo contro Napole-one. Nella battaglia di Waterloo le probabilità di morire erano 1 su 4, ma pensando per tempo a una po-lizza c’era almeno la consolazione che la propria vedova e i propri figli non sarebbero rimasti in mezzo a una strada. La parola copertura assume tutta un altro significato. Il fondo dei pastori scozzesi si tra-sforma nel famosissimo fondo per le vedove scozzesi, e persino gli scrittori non certo rinomati per la prudenza finanziaria possono pren-dervi parte. Lo scrittore Walter Scott sottoscrive la polizza nel 1826, per assicurare ai suoi creditori un risarcimento nell’eventualità che passi a miglior vita. Dalla metà del XIX secolo es-sere assicurati costituisce una cre-denziale di rispettabilità come an-dare in chiesa alla domenica. Nel 1744 nessuno poteva prevede-re che i calcoli minuziosi di due pastori scozzesi si sarebbero tra-sformati nella mastodontica indu-stria assicurativa. Come Wallace capì 250 anni fa, nell’ambito assicurativo la quantità è tutto, perché più gente contribui-sce a un fondo più facile è preve-dere con il calcolo delle probabilità quanti risarcimenti verranno effet-tuati ogni anno. Pur essendo impossibile predire la morte di un individuo la matemati-ca attuariale è in grado di calcolare la mortalità media di un gruppo di individui con una precisione stupe-facente. In altre parole l’assicurazione si basa sul tentativo di fare i conti con i rischi futuri, sulla capacità di prevedere qualsiasi eventualità. Ma

nonostante il numero dei fondi assicura-tivi costituiti ci sarà sempre qualcuno che resterà scoper-to perché trop-po povero o troppo inetto per provvedere in tempo di magra. Un tempo es-sere poveri era molto duro, essi potevano

dipendere dalla carità di privati o dal duro regime di un ricovero au-stero nel cuore di Edimburgo. Eppure sul finire dell’800 si comin-ciò a capire che anche i perdenti meritavano di meglio. Si era gettato il seme di un approc-cio totalmente nuovo al rischio, il seme che poi germogliò nel moder-no welfare state. Questo sistema di assicurazione statale era progettato per sfruttare la massimo l’economia di scala, garantendo a tutti i cittadini una assistenza dalla culla alla tomba. Di solito tendiamo a pensare alla Welfare state o stato sociale come a una invenzione inglese, ma in realtà la prima superpotenza assi-stenzialista della storia è il Giappo-ne. Nella prima metà del XX secolo i disastri sono all’ordine del giorno in Giappone, nel 1923 un violento terremoto devasta Tokio, come accadrà a New Orleans anche qui le polizze private si rivelarono poco più che carta straccia, così in Giap-pone inizia a farsi strada una nuova idea, è lo stato che deve assumersi l’onere del rischio. Ma in questo caso la protezione statalista va a braccetto con l’ambi-zione imperiale. I giapponesi inaugurano il sistema di previdenza sociale e lo fanno per promuovere la guerra. E’ l’insaziabile appetito statale di giovani soldati e operai, non una sorta di compassionevole altruismo che a metà del XX secolo porta alla nascita del welfare. I funzionari statali vogliono assicu-rare una popolazione adeguata e una fornitura di reclute sane alle forze armate dell’imperatore cre-ando per lui un impero. Lo slogan di guerra “siamo tutti soldati” si trasforma nel tempo in “tutti devono esser assicurati”. L’unico problema è che il Giappone entra in conflitto con gli Stati Uniti d’America, il sistema previdenziale giapponese si rivelerà quindi un grosso sbaglio, escludendo i tre milioni di soldati morti per saziare la fame di espansionismo, nel 1945 il valore del capitale azionario giap-ponese, è ridotto in cenere dai bombardieri americani. Le città costruite in gran parte di legno so-no incenerite, e quasi 1/3 della po-polazione urbana si trova nella schiera dei senzatetto.

Page 15: 12OPfebbraio12

15

L’unica città a sopravvivere intatta è Kyoto l’ex capitale imperiale. Nel 1945 si assiste al crollo del wel-fare giapponese, ma non è l’ultimo degli esperimenti tentati di tal sen-so, in Giappone come in tanti altri paesi combattenti la lezione era stata chiara, il mondo era un luogo troppo pericoloso per le compagne assicurative private, con tutta la buona volontà, la gente non poteva aspettarsi di sottoscrivere una po-lizza contro l’Air Force Americana. In tutto il mondo la risposta fu grosso modo la stessa, i governi dovevano farsi avanti e statalizzare il rischio. Il più noto sistema previdenziale dalla culla alla tomba nato dalle rovine della guerra, è opera dell’e-conomista inglese William Beveri-dge. Quando i Giapponesi mettono a punto il loro sistema previdenziale nell’ottobre del 1947 la commissio-ne per la sicurezza statale si racco-manda che sia un Beveridge in ver-sione nipponica, e si va ben oltre a quanto Beveridge avesse inteso, come si può leggere dalle copie conservate nella biblioteca naziona-le del parlamento Giapponese che chiama in causa il governo perché provveda a qualunque causa di povertà: malattie, incidenti, disabi-lità, morte, parto, nuclei familiari numerosi, vecchiaia e disoccupazio-ne. Qualunque fosse la causa la Previdenza nazionale doveva ga-rantire ai bisognosi uno standard di vita minimo. D’ora in poi i Giapponesi non do-vranno più fare appello alla bene-volenza dei signore feudale o al sostegno divino, ci sarà il welfare state a proteggerli dai capricci e dalle vicissitudini della vita moder-na. Chi non potrà permettersi un’i-

struzione riceverà un contributo statale, chi non ha lavoro riceverà un contributo statale, chi sarà troppo malato per lavorare riceverà un contributo statale. Al momento della pen-sione sarà sempre lo stato a pagare, e quando sopraggiunge-rà la dipartita sarà lo stato ad aiutare i fami-gliari a carico del de-funto. Ciò che si verifica nel

Giappone post-bellico è semplice-mente una estensione del welfare state della guerra, lo slogan ora diventa tutti dobbiamo avere una pensione. L’assistenzialismo nipponico sem-bra un miracolo di efficienza, nel campo della salute pubblica e dell’i-struzione il Giappone è leader mon-diale, sul finire degli anni ’70 i Giapponesi possono vantarsi di es-ser una superpotenza assistenziali-sta. Gestito in questa maniera il welfare sembra aver molto più senso, il Giappone è riuscito a garantire si-curezza per tutti e a eliminare il rischio, crescendo in maniera tal-mente rapida che nel 1968 è diven-tato la seconda potenza economica mondiale. Un economista americano aveva predetto che nel 2000 il reddito procapite Giapponese avrebbe sur-classato quello americano. Il wel-fare funzionava laddove la guerra aveva fallito facendo del Giappone una potenza planetaria. Il segreto si rivelò essere non un impero all’estero ma la sicurezza nei confini di stato. Eppure c’è una cosa che non fun-ziona, c’è una debolezza fatale nel welfare state post-bellico, cosa ha impedito alle previsioni de trionfo nipponico di di-venire realtà? Il sistema assi-stenzialista sem-bra funzionare senza intoppi nel Giappone degli anni ’70 ma al-trove la situazio-ne sembra dare i primi segni di cedimento. In Inghilterra e

in tutto il blocco occidentale il wel-fare state sembra aver eliminato gli incentivi senza i quali una econo-mia di tipo capitalistico stenta ad ingranare: la prospettiva di un grosso guadagno per gli ambiziosi ed il timore degli stenti per gli svo-gliati. Il risultato è la stagflazione: un binomio che lega la bassa crescita e l’inflazione. Qual è la soluzione? Un uomo e i suoi allievi pensano di conoscere la risposta, grazie infatti alla loro influenza uno dei più im-portanti trend economici dei 25 anni precedenti, è stato quello di smantellare il welfare, e riproporre alla gente lo shock derivante dal mostro dell’imprevedibile da cui si credeva in salvo: il rischio. Nel 1976 Milton Friedman un pro-fessore che insegna all’Università di Chicago vince il premio Nobel per l’economia. Friedman si guadagna la celebrità nello star sistem economico ristabi-lendo una semplice equazione:

L’osservazione di Friedman è sem-plice se la moneta in circolazione sale, sale anche il livello dei prezzi, ed ecco la teoria quantitativa della moneta. Ma serve ben altro per rispondere alla seconda domanda cruciale nel-la carriera di Milton Friedman: cosa non ha funzionato nel welfare sta-te? Il Cile si rivela il laboratorio perfet-to per verificare le sue teorie. Nel settembre del 1973 i carri armati avanzano per le strade di Santiago per rovesciare il governo del presi-dente marxista Salvador Allende il

m v = p q m sta per moneta in circolazione, v per velocità di circolazione, p per livello generale dei prezzi e q per totale della produzione.

William Henry Beveridge, primo barone Beveridge, KCB (Rangpur, 1879 – O-xford, 1963), è stato un economista e sociologo britannico, celebre per aver redatto nel 1942 un rappor-to sulla "sicurezza sociale e

i servizi connessi" (Report of the Inter-Departmental Committee on Social Insurance and Allied Services, meglio conosciuto come "Rapporto Beveridge"), che è servito da base per la riforma dello stato sociale britannico messa in atto dal governo laburista eletto nelle elezioni generali del 1945.

Milton Friedman (Brooklyn, 31 luglio 1912 – San Francisco, 16 novembre 2006) è stato un economista statunitense. Il suo pensiero ed i suoi studi hanno influenzato molte teorie econo-miche, soprattutto in campo monetario. Fondatore della scuola monetarista, è stato insignito del Premio Nobel per l'economia nel 1976.

Page 16: 12OPfebbraio12

16

cui tentativo di trasformare il paese in uno stato comunista si era con-cluso nel caos economico e con l’appello del Parlamento Cileno a un colpo di stato militare. All’Hotel Carrera di Santiago gli oppositori di Allende festeggiarono con un brindisi quando i jet dell’a-viazione cilena sfrecciarono in dire-zione del Palacio de la Moneda do-ve Allende si preparava ad affron-tare l’ultima battaglia armato di Kalashnikov come aveva imparato dal suo alter ego cubano Fidel Ca-stro. Affacciandosi alla finestra e vedendo i carri armati avanzare inesorabilmente Allende capì che il suo sogno di un Cile marxista era finito per sempre, decise a quel punto di togliersi la vita. Dopo 35 anni sono ancora visibili i fori sulle pareti degli edifici che sovrastano la piazza. Quel che è avvenuto qui nel set-tembre 1973, è stata la manifesta-zione della crisi mondiale del welfa-re state, che ha segnato una sorta di spartiacque storico fra i due si-stemi economici alternativi. Con il crollo della produzione e l’in-flazione alle stelle, il sistema Cileno basato sui benefici universali era a tutti gli effetti in bancarotta, per Allende l’unica soluzione era impo-stare l’economia del Paese sul mo-dello sovietico. Ma i generali e i loro sostenitori sapevano di non poterlo tollerare, cosa fare allora per superare uno statu quo ormai insostenibile? È qui che entra in scena Milton Friedman. Nel marzo del 1975 Friedman giun-

ge in Cile per rispondere a quella domanda. Oltre a tenere lezioni e seminari Friedman si reca al palazzo della Moneda per incontrare il nuovo presidente cileno, il generale Augu-sto Pinochet. Friedman passa tre quarti d’ora con Pinochet sostenen-do la necessità di ridurre il deficit governativo che egli aveva identifi-cato come la causa principale del-l’inflazione Cilena, salita a un tasso annuale del 900% Un mese dopo l’incontro la Junta cilena annuncia che l’inflazione de-ve essere fermata ad ogni costo, il regime taglia i costi governativi del 27%. Il problema dell’inflazione ha radici antiche, nasce dalle tendenze so-cialiste emerse 40 anni fa, ed ha raggiunto il suo logico e terribile apice nel regime di Allende. Per aver offerto il suo consiglio Friedman viene accusato di aver incoraggiato una giunta militare accusata di aver fucilato 2.000 pre-sunti o veri filocomunisti, e di aver-ne torturati almeno 40.000. L’apporto di Chicago al nuovo regi-me cileno andò ben oltre la visita di Friedmann, dagli anni ’50 si verificò un afflusso di giovani e brillanti economisti che dall’Università cat-tolica di Santiago partivano per specializzarsi a Chicago e tornava-no in patria convinto della necessi-tà di bilanciare il budget, tirare la cinghia e liberalizzare il commercio, si tratta dei Chicago boys la fante-ria di Friedman. Eppure le loro idee più radicali an-

davano ben oltre a quello che era stato il consiglio di Friedman a Pinochet, miravano alla destituzio-ne totale del welfare state. La rivoluzione economica dei con-servatori non è partita dall’Inghil-terra tatcheriana, o dall’America di Reagan, è nata in Cile. L’ideatore dello smantellamento generale del sistema assistenzialista è un giova-ne economista di nome Josè Piñera che così si esprime: “L’economia cilena era distrutta, eravamo reduci da 50 anni di protezionismo e inter-venti statali alla maniera socialista e l’esasperazione massima si era raggiunta durante il governo di Allende, avevano creato una sorta di welfare state che in Cile si era trasformato nella bancarotta più nera.” Fra il 1979 e il 1981 Piñera e il suo gruppo attuano una rivoluzionaria riforma pensionistica, dando ad ogni lavoratore la possibilità di sce-gliere un sistema alternativo. Inve-ce di pagare i contributi con le tas-se ogni lavoratore può versare il 10% del proprio stipendio su un fondo pensionistico privato gestito da compagnie assicurative in com-petizione fra loro, c’è anche un pic-colo premio per la disabilità e la assicurazione sulla vita. L’idea è quella di convincere il lavo-ratore che il denaro messo da par-te sia di sua proprietà, che resti un capitale privato. Piñera scommette e concede ai lavoratori di mantene-re il vecchio sistema contributivo od optare per i nuovi fondi pensio-nistici privati. E’ una scommessa

Salvador Isabelino del Sagrado Corazón de Jesús Allende Gossens (Valparaíso, 26 giugno 1908 – Santiago del Cile, 11 settembre 1973) è stato un politico e medico cileno, primo Presidente marxista democraticamente eletto nelle Americhe. Allende fu Presidente del Cile dal 3 novembre 1970 fino alla destituzione violenta a seguito di un colpo di stato militare appoggiato dagli USA, avvenuta l'11 settembre 1973, giorno della sua morte. Laureatosi in medicina

all'Universidad de Chile, ne fu allontanato e venne inquisito per motivi politici alla fine degli studi. Nel 1933 partecipò alla fondazione del partito socialista cileno. Successivamen-te eletto deputato del parlamento cileno nel 1937; quindi nel 1943 venne scelto come segretario del partito socialista e ricoprì la carica di ministro della sanità; infine nel 1945 divenne senatore. Nel 1970 ottenne la vittoria elettorale come candidato "marxista" alla nomina a presidente della repubblica del Cile, quindi presiedette un governo di coali-zione. Nel 1973 un "golpe" organizzato dall'esercito causò la sua morte in circostanze drammatiche - probabilmente suicida - nel palazzo presidenziale a Santiago del Cile, por-tando al governo il generale Augusto Pinochet che instaurò una dittatura militare. I suoi sostenitori si riferiscono a lui come Compañero Presi-dente ("Compagno Presidente").

Page 17: 12OPfebbraio12

17

v i n c en t e , c o n v i n t o dagli argo-menti di Piñera l’80-% dei lavo-ratori passa al piano pensionisti-co privato. Ma ne è valsa la pena? Ha avuto sen-so il com-p romesso

morale attuato dei Chicago boys dagli uomini di Harvard con una dittatura responsabile di torture e omicidi? La risposta dipende in lar-ga misura da quanto si ritiene che le loro riforme abbiano favorito il ritorno di una democrazia pacifica in Cile e molti credono che ci siano riusciti. Nel 1980 Pinochet concede una nuova costituzione, e prevede una transizione di 10 anni prima di tor-nare alla democrazia, 10 anni dopo si dimette dall’incarico di Presiden-te, la Democrazia viene restaurata e a quel punto è in atto un miraco-lo economico che contribuisce ad assicurare la sua sopravvivenza. La riforma pensionistica non solo ha creato una nuova classe di pos-sidenti, certa di un giaciglio sicuro al sopraggiungere della vecchiaia, ha dato un forte impulso alla eco-nomia cilena nel suo complesso. I broker del Banco del Cile investo-no i contributi pensionistici dei la-

voratori cileni sul mercato aziona-rio, e stanno facendo un ottimo lavoro, i profitti medi dei fondi pen-sionistici privati superano il 10%, grazie anche al fatto che dal 1987 il mercato azionario cileno è cresciu-to di 18 volte. Ma il sistema ha an-che i suoi aspetti negativi, non tutti in Cile hanno un lavoro regolare e a tempo pieno, quindi non tutti possono beneficiare della riforma, il che lascia una larga fetta della po-polazione senza alcun tipo di co-pertura pensionistica. In quello che può essere considera-to il quartier generale comunista di La Victoria, un sobborgo di Santia-go che un tempo ospitava il cuore della opposizione al regime di Pino-chet, in molti sono disoccupati o lavorano in nero, quindi non rien-trano nel sistema pensionistico e non ne traggono alcun beneficio. Questo è il quartier in cui si inneg-gia a Che Guevara non certo a Josè Piñera. I poveri del Cile non dispongono di un fondo pensionistico e dovranno accontentarsi della misera elemosi-na statale durante la vecchiaia, eppure persino loro hanno tratto beneficio dalla rapida crescita eco-nomica del Paese. Per Piñera: “Lo sviluppo economico ha cambiato la vita di tutti, il tasso di povertà in Cile è passato dal 50% al 13%, questo può essere considerato un successo e la rifor-ma pensionistica è stata un ele-mento chiave del cambiamento.” La crescita economica del Cile dai tempi delle riforme dei Chicago

boys è indiscutibile, nei 15 anni precedenti alla visita di Friedman la crescita annua sfiorava lo 0,17% annuo, nei 15 anni successivi è passata al 20% ed il tasso di po-vertà è sceso al 15% a confronto del 40% del resto dell’America Lati-na, e quando guardiamo al nuovo cuore economico di Santiago com-prendiamo perché la riforma pen-sionistica Cilena sia stata presa a modello in tutto il continente e poi nel mondo intero. Per Margaret Thatcher il dittatore Cileno e il professore di Chicago sono due eroi perché hanno dimo-strato che solo destituendo il welfa-re state i governi possono ravvivare la crescita economica. Eppure c’è un paese in cui la ricetta non è stata sperimentata e forse è il paese che più ne ha bisogno: il Giappone. La superpotenza assistenzialista nipponica ha avuto tanto successo che dagli anni 70 detiene il record mondiale della durata media della vita. Il problema è che il welfare state giapponese ha avuto sin troppo successo. I programmi portati avanti attual-mente dal ministero del welfare giapponese contano su un numero sempre più basso di lavoratori attivi a supportare la crescente popola-zione dei pensionati. Negli anni ’60 c’erano in media 11 lavoratori in servizio per ogni pensionato, ma nel 2025 quel numero potrebbe scendere a 2 in altre parole ci sarà 1 pensionato ogni due funzionari

Augusto José Ramón Pinochet Ugarte (Valparaíso, 25 novembre 1915 – Santiago del Cile, 10 dicembre 2006) è stato un generale, politico e dittatore cileno. A seguito di un golpe militare si nominò Presidente e governò il Paese da dittatore dall'11 settembre 1973 all'11 marzo 1990; durante la sua dittatura militare venne attuata una forte re-pressione dell'opposizione, ritenuta un vero democidio, con l'uccisione di circa 3000 oppositori politici su 130.000 arrestati in maniera arbitraria, e sistematiche violazioni di diritti umani. Generale dell'esercito, di orientamento fortemente conservatore, è stato da alcuni de-finito un simpatizzante del fascismo, da altri una figura ultramilitarista e reazionaria distante dai fascismi storici. Arrivò al potere a seguito del golpe del 1973 (il colpo di Stato militare - appoggiato da Stati Uniti, esponenti di ceti elevati, che rovesciò il legit-timo governo del Presidente socialista Salvador Allende, il quale perse la vita nel gol-pe). Attuò una politica economica fortemente liberista, con l'assistenza di un gruppo di giovani economisti cileni, guidati da José Piñera, detti Chicago boys, poiché formati a

Chicago da Milton Friedman. Per alcuni questa politica durante il periodo di Pinochet, provocò una grande crescita economica, il cosiddetto miracolo del Cile. Un referendum nel 1988 mise fine alla dittatura, lo costrinse ad avviare la transizione, e reintrodusse la democrazia con libere elezioni nel 1989. Lasciò ufficialmente il potere solo nel 1990, rimanendo però capo delle forze armate fino al 1998. Divenne poi senatore a vita, godendo dell'immunità parlamentare. Arrestato nel Regno Unito su mandato del governo spagnolo, per la sparizione di cittadini iberici, non fu però mai condannato per motivi di salute: rientrò in Cile, dove riuscì ad evitare i processi e dove morì nel 2006.

Josè Piñera

Page 18: 12OPfebbraio12

18

impiegati al ministero, in appena 30 anni il costo della previdenza sociale in rapporto al reddito na-zionale giapponese si è addirittura quadruplicato. Oggi quasi tutte le compagnie assi-curative giapponesi sono in deficit, e i fondi pensionistici non se la pas-sano certo meglio. Il Giappone un tempo superpotenza assistenziali-sta minaccia di ridurre sul lastrico un popolo intero. La polizza assicurativa sembrava una idea geniale nei calcoli dei due pastori scozzesi e ancor più geniale nel welfare state paternalista giap-ponese, ma come abbiamo visto anche il piano migliore può esser mandato a monte da un inaspetta-to volgere degli eventi. C’è forse un modo migliore per gestire il rischio in un mondo tanto incerto? Disastri come l’11 settembre e Ka-trina mettono in luce i limiti delle polizze tradizionali e del welfare state, ma questi non sono certo gli unici due modi per acquistare una protezione dai duri colpi inferti dal futuro, oggi esiste una maniera più intelligente: speculare. Tutti avrete sentito parlare di fondi speculativi, ma cosa sono esattamente? E da dove saltano fuori? Per molti i fondi speculativi sono un mistero, sappiamo solo che genera-no fortune degne di Creso. Il gestore di un fondo speculativo di successo ha speso 60 milioni di dollari per un Cezanne e si è con-cesso anche il lusso di un Degas per non parlare di tante opere d’ar-te con quotazioni milionarie. Ken Griffin è il fondatore del Cita-del Investiment Group, uno dei fondi speculativi più importanti del mondo, l’anno scorso se l’è cavata tanto bene durante la crisi finanzia-ria da avere un attivo superiore al miliardo di dollari, a molti di noi il rischio fa paura, ma l’enorme fortu-na accumulata da Griffin si basa su un metodo per gestire il rischio che coniuga la precisione matematica, ad una intuizione geniale.

Per Griffin “Nulla e costante, tutto è destinato a cambiare, e chi sa affrontare questa realtà è dotato di grandi intuizioni e un istinto infalli-bile, si tratta di un sesto senso vi-scerale, la matematica è importan-te perché dimostra che hai inqua-drato il problema, ma la decisione finale di correre o no un rischio, è dettata dal giudizio umano, nell’ac-cezione più ampia del termine.” I fondi speculativi hanno origine nel mondo agricolo. Per un contadino nulla è più impor-tante del prezzo che avranno i suoi prodotti una volta immessi sul mer-cato, potrebbero essere molto più alti o molto più bassi di quanto lui si aspetti, un contratto a termine standardizzato gli permette di ven-dere i suoi prodotti a un commer-ciante allo stesso prezzo registrato nel momento in cui ha avuto luogo la semina. Il contadino dispone di un minimo sotto cui il prezzo non può scendere, e il commerciante di un tetto oltre cui non può salire. Firmando un contratto a termine standardizzato, sia il contadino che il commerciante eludono il rischio. Entrambe le parti ci guadagnano e quindi è il mondo intero a guada-gnarci, si incoraggiano la formazio-ne di capitali, di investimenti, si incoraggia la gente a fare ciò che è necessario per rendere il mondo un posto migliore. Con il contratto a termine standar-dizzato, delle sue norme, dei suoi organi di supporto, nasce il primo vero mercato dei Futures, e a dar-gli i natali non può essere altro che la città battuta dal vento: Chicago. Dopo la fondazione di una borsa per i contratti a termine nel 1874 i fondi speculativi diventano all’ordi-ne del giorno. Il passo successivo è quello che offre la possibilità di scelta nel futu-ro: l’Option. Spesso viene paragonata all’equi-valente finanziario dell’ingegneria aerospaziale, ma il principio alla base è molto semplice.

Derivando da azioni sottoscritte da tutti i contratti a termine standar-dizzati vengono definiti Derivati, ma un derivato ancor più interes-sante è l’Option. Il cliente di un Option call ha il diritto ad esempio di acquistare un barile di petrolio a 120 dollari entro un anno. Se il prezzo del petrolio sale a 150 dolla-ri al barile, l’Option va a buon fine e l’investitore incassa un profitto di 30 dollari. Ma se ciò non avviene, se il prezzo del petrolio resta lo stesso o scen-de l’investitore non è obbligato a portare avanti il contratto e non fa altro che scrivere a bilancio il costo dell’Option. E’ stato vendendo o comprando derivati complessi come le Option che Ken Griffin è diventato muti-miliardario. In teoria i Derivati offrono un nuo-vo sistema per affrontare i rischi del futuro, un sistema più intelli-gente della vecchia e noiosa polizza e ben più remunerativo. Nell’ultimo decennio i derivati sem-brano aver conquistato il mondo della finanza. Sul finire del 2007 il valore di tutti i contratti Derivati ha raggiunto la cifra astronomica di 596.000 miliar-di di dollari ossia 43 volte il volume della economia americana. Per Griffin “Esistono degli enormi benefici economici per chi fa que-sto mestiere, ventimila miliardi di dollari nelle mani di poche persone sono un fenomeno del XXI secolo, 50 anni fa non si sarebbe mai veri-ficato.” Ma anche i fondi speculativi hanno i loro lati negativi, quando l’investi-tore mutimiliardario Warren Buf-fett descriveva i derivati come le armi finanziarie per la distruzione di massa, non faceva altro che pro-fetizzare il crollo del colosso ameri-cano AIG. Crollato non per aver venduto polizze assicurative, ma dei Derivati che gli si sono pratica-mente ritorti contro. Il bisogno umano di premunirsi

Warren Edward Buffett (Omaha, 30 agosto 1930) è un imprenditore ed economista statuniten-se, soprannominato l'oracolo di Omaha. Nel 2007 e nel 2008, secondo la rivista Forbes, e' stato l'uomo più' ricco del mondo, mentre nel 2011, con un patrimonio stimato di 47 miliardi di dolla-ri, sarebbe il terzo uomo più ricco del mondo, dopo Bill Gates e il quarantesimo uomo più ricco di tutti i tempi. Tra i personaggi più significativi della storia della finanza, viene presentato nei suoi interventi con la formula "Ladies and Gentlemen, the legendary investor Warren Buffet". Nel 2006 ha do-nato 37 miliardi di dollari in azioni benefiche per le popolazioni del Terzo mondo.

Page 19: 12OPfebbraio12

19

contro i rischi si è rivelato difficile da soddisfare, le compagnie assicu-rative ci abbandonano, il welfare state annega nella insolvenza, e persino i derivati si rivelano delle armi a doppio taglio. Così per molte famiglie pensare al futuro si concretizza in una forma molto semplice: investire in una

casa, il cui valore si suppone che salga fino al giorno in cui il capofa-miglia andrà in pensione. Se il piano pensionistico dovesse rivelarsi inadeguato, non preoccu-patevi c’è sempre il fondo - Casa dolce casa -. Come i fondi pensionistici o specu-lativi anche questa strategia ha una

pecca di fondo, rappresenta una scommessa a senso unico e non speculativa su un solo fronte: il mercato immobiliare, ma anche scommetter sul mattone o sul buon vecchio legno giapponese, non è sicuro come il riparo che offre una casa. Ma di questo, forse, scrivere-mo sul prossimo numero di OP.

Negli ultimi tempi le notizie di di-sorganizzazione e di malcostume italiano riempiono le cronache dei media. Non sono una novità, ma il loro numero e la loro capillarità sta attirando l’attenzione dell’opinione pubblica su coloro che questi feno-meni dovrebbero contrastare e re-golare anche semplicemente dando il buon esempio. Il naufragio della motonave Costa, i disagi della neve su Roma, i treni bloccati dal ghiaccio, il denaro sot-tratto dai governanti alle casse pubbliche, le continue manifesta-zioni NO TAV, gli scioperi anti rifor-me, … Solo per citare gli ultimi e-venti. Ma cosa hanno in comune tutti questi eventi? La sconfitta delle regole. Sconfitta dettata dalla mancata applicazione, dalla poca credibilità di coloro che devono farle applicare ed acuita dalla sem-pre più ferrea “competizione” inter-nazionale fra i vari Paesi. L’assenza di applicazione delle regole (corruzione, malcostume, …) sta portando la Grecia al possibile de-fault economico e uscita dall’Euro, certamente la porterà alla maggio-re povertà. Assenza di modelli. L’Italia è il Paese che ha più regole e (inspiegabilmente?) è quello che le applica di meno almeno tra i Paesi civili. In Italia le regole esistono e spesso sono anche all’avanguardia, ciò che manca è invece la volontà di rispettare norme tecniche e mo-rali alla ricerca della furbata che porta spesso vantaggi personali a discapito della collettività. Si cresce ormai in assenza di riferimenti da seguire (politici, capi al lavoro, ge-nitori, …) o sono addirittura essi stessi i primi ad attaccare le regole, ad invitare a seguire le scorciatoie

o peggio ad invocare la riscrittura delle regole stesse come panacea della loro non applicazione. Modelli che nel tempo si sono autodistrutti in credibilità e sostanza. Ma perché seguire le regole? Qualsiasi comunità di persone che vogliono sopravvivere e fare risul-tato devono organizzarsi e per farlo devono darsi delle regole e dei ruo-li. Lo insegna il mondo delle azien-de, il mondo militare, lo sport in genere. Se l’Italia vuole sopravvive-re ed fare risultati, in un mercato globale sempre più agguerito, deve organizzarsi. Quindi rispettare re-gole e ruoli. Viceversa sarà il decli-no dell’intero sistema a vantaggio di sistemi più organizzati anche se meno “dotati”. Non solo un problema di appli-cazione. Non seguire o non far seguire le regole porta anche al lento disgregamento dei ruoli e della loro autorevolezza. Si entra in una spirale negativa in cui non si è più credibili e non si è più un punto di riferimento (per i giovani, per i figli, per i collaboratori, per gli elet-tori,…) e questo porta al disordine e alla confusione. Non si è più a-scoltati e diventa difficile coordina-re cose o persone. Il peggio lo si raggiunge quando persone di riferi-mento rimpallano la responsabilità su altri ergendosi a paladini dell’in-colpevoezza assoluta non ammet-tendo corresponsabilità o facendo passi indietro. Come far applicare le regole? La diffusio-ne dell’applicazione delle regole prende vita dalla consapevo-lezza che seguirle crea un vantaggio per tutti anche per coloro che potrebbero farne a

meno. Questa consapevolezza deve diffondersi attraverso un fenomeno top-down (dall’alto verso il basso) e non viceversa. Sono coloro che rappresentano la collettività a farsi carico di questo dovere civico e morale soprattutto verso i più gio-vani. Il passaggio successivo è mo-strare che chi non segue le regole, danneggiando il prossimo e non rispettando i ruoli, sarà punito con certezza (o elevata probabilità) e sarà educato a farlo. La sfida. Questa è la vera sfida che l’Italia deve intraprendere e sarà esclusivo appannaggio della classe dirigente politica e istituzio-nale. Sollevarsi dallo scadimento di risultati e credibilità raggiunto negli ultimi anni non sarà facile ma sarà necessario. L’economia seguirà a ruota. Seguire le regole è una con-dizione necessaria ma non suffi-ciente. Non è più possibile ripetere gli errori degli ultimi anni in cui solo il Presidente Giorgio Napolitano è stato tra i pochi a mantenere il pro-prio ruolo salvando il Paese da un tracollo di rispetto e di credibilità. La politica fortemente in crisi di ruolo deve selezionare una nuova classe dirigente e deve “rieducarsi” e rieducare l’Italia al rispetto delle regole. Solo così si attrarranno ca-pitali e si rilancerà l’economia. Solo così lo spread calerà e aumenterà la competitività del Paese a vantag-gio del benessere collettivo e dei singoli. Tutto senza scorciatoie.

Applicare le regole, la vera “sfida” italiana Domenico Idone Comunicazione e Relaz. Esterne – Circolo FLI 4 Stato - Torino

Naufragio della Concordia

Page 20: 12OPfebbraio12

20

I DILEMMI La ricorrenza del 27 gennaio, Gior-no della Memoria, pone interrogati-vi che via via che vengono meno percepiti dall’opinione pubblica, diventano viceversa essenziali alla comprensione della nostra storia recente. Perché ricordare proprio questo genocidio? A cosa serve dopo tanti decenni mantenere vivo questo ricordo? Esso ha ancora qualcosa da trasmettere, oppure è diventato qualcosa di eternamente uguale a sé stesso, ma sempre più lontano dalla nostra epoca? In che modo i giovani, spesso lontani dalle cele-brazioni ufficiali, possono invece sentirlo come qualcosa che appar-tiene loro? LE RISPOSTE Innanzitutto bisogna affrontare la domanda fondamentale: perché ricordare? Anche se diciamo spesso di essere figli della cultura greca, sotto questo aspetto la nostra con-cezione è opposta, in quanto nell’-antica Grecia si pensava che per andare avanti bisognasse mettere una pietra sopra il passato. Ciò emerge molto bene nelle tragedie, che mostrano come il rancore per torti passati porta necessariamente a nuove vendette e che questo ciclo può chiudersi solo con l’intro-duzione di una legge superiore che permette finalmente di guardare avanti. Anche in Dante troviamo un analogo modo di pensare, anche se riferito alla salvezza dell’anima; infatti prima di accedere al Paradi-so beve l’acqua del fiume Leté per dimenticare i proprii peccati ed arri-vare così alla purificazione spiritua-le. Per noi, invece, la vendetta è sempre sbagliata, quindi non si pone nemmeno il problema che ricordare offese subite porterà a nuovo odio e nuove rappre-saglie; al contrario, proprio la memoria è considerata fondamentale per superare i nostri errori e migliorarci moralmente. Risolto questo punto, va

Commemorare non basta...

questo punto, va detto che il geno-cidio degli Ebrei suscita così tanto interesse per motivi legati ai luoghi, ed agli anni nei quali si è verificato, ma anche ai metodi con i quali è stato compiuto. Esso è avvenuto nel cuore dell’Eu-ropa, che si è considerata per seco-li il continente della civiltà per anto-nomasia. Questo fatto lo rende particolarmente inquietante e mi-sterioso, tanto che ancora oggi molti europei si chiedono attoniti come sia stato possibile un evento simile senza riuscire a darsi una risposta adeguata. Inoltre esso è avvenuto poche decine di anni fa in complessi facilmente identificabili e così è particolarmente documenta-bile, a differenza di altri avvenuti in epoche precedenti oppure in luoghi aperti assai difficili da rintracciare. Infine ad impressionare profonda-mente è la dimensione industriale e l’uso delle più avanzate tecnolo-gie impiegate non per il migliora-mento dell’umanità, ma per l’an-nientamento sistematico di una sua parte. Questo è probabilmente l’a-spetto più sconvolgente, perché smentisce tragicamente certezze consolidate; infatti si é pensato per lungo tempo che la scienza fosse di per sé positiva e che essa avrebbe creato automaticamente un mondo migliore. Il genocidio degli Ebrei, invece, obbliga tutti noi ad assumerci le nostre responsabilità ed ad aprire gli occhi: la scienza è amorale, in quanto non è né buona né cattiva, ma diventa buona o cattiva a se-conda dell’uso che ne facciamo. Questo diventa sempre più impor-tante ai nostri giorni, caratterizzati

di Riccardi Manzoni mb 339.1002650 e-mail: [email protected]

Ansar al Banna

l’Europa condanna senza esitazione i negazionisti europei, ma ha reazioni molto più timide quando le stesse affermazioni vengono fatte da musulmani

Page 21: 12OPfebbraio12

21

da un grande progresso tecnologi-co, che offre enormi potenzialità positive e grandi comodità nella vita quotidiana, ma allo stesso tem-po presenta rischi notevoli, tanto da poter annientare l’intero piane-ta. Per questi motivi il genocidio degli Ebrei rimane più attuale che mai come monito costante ad usare lo sviluppo tecnologico in modo posi-tivo e non distruttivo, oltre che co-me esempio del livello di odio cui può arrivare l’essere umano. Ulteriore fattore di interesse, so-prattutto nei giovani, è legato con il nostro tipo di società. Un giornali-sta ha evidenziato che oggi è en-trato in crisi il principio di autorità, ma è valorizzata la figura del testi-mone. Ciò spiega perché i ragazzi ascoltano con grande attenzione i racconti degli ex deportati mante-nendo un silenzio quasi religioso, anche se a mio avviso ci sono cau-se più profonde che spiegano que-sto comportamento. Gli ex deportati sono anziani ed il rispetto per questo tipo di persone é presente in tutte le civiltà, così scatta nei loro confronti un senti-mento atavico che nasce con la notte dei tempi; inoltre proprio questa loro caratteristica li fa per-cepire dai giovani come loro nonni potenziali, il che accentua enorme-mente l’affetto nei loro confronti e la partecipazione verso quanto vie-ne raccontato. I PROBLEMI Commemorare il genocidio passato, però, non è sufficiente, in quanto per essere credibili non basta con-dannare l’antisemitismo passato, ma bisogna davvero combattere l’odio antiebraico dei nostri giorni, il che è facile a dirsi, ma molto più difficile a farsi. Infatti oggi esso proviene in gran parte dal mondo islamico, che unisce il nuovo rifiuto dell’esistenza di Israele alla trasmi-grazione dell’antisemitismo europe-o in questo nuovo contesto. I rap-porti risalgono alla fine degli anni Venti, quando nel 1928 in Egitto Ansar al Banna fonda “I Fratelli Musulmani”, organizzazione inte-gralistica che prende come modelli da imitare fascismo e nazismo. Va detto che in realtà anche il pa-narabismo, ideologia laica, è pro-fondamente influenzato dalla Ger-mania, tanto da poter essere consi-derato la variante araba del pan-

germanesimo. La riprova è che l’egi-ziano Nasser, primo esponente di questa ideologia, guardava con favore al nazi-smo e che in segui-to anche in altri contesti, come nel-l’Iraq baathista di Saddam Hussein, è rimasta viva l’ammi-razione per questo sistema politico. I legami si consoli-dano durante la Se-conda Guerra Mon-diale e sopravvivono ad essa, come di-mostrano gli esempi appena citati, così come il fatto che ancora oggi nelle formazioni di estrema destra esi-stono correnti filoislamiche per odio contro americani ed ebrei. Dopo il 1945, però, il mondo isla-mico si avvicina in gran parte all’U-nione Sovietica, che assume a sua volta posizioni sempre più antiisra-eliane, e così ha l’appoggio degli intellettuali terzomondisti, che ve-dono in esso popoli poveri ed op-pressi in lotta contro l’Occidente sfruttatore. A complicare ulterior-mente la situazione in Europa è la volontà di voler evitare ad ogni costo l’islamofobia. Il giornalista francese Alexandre Del Valle fa notare che questo impedisce di prendere posizioni nette quando i musulmani contestano i nostri prin-cipi fondamentali, come emerge bene proprio in relazione al genoci-dio degli Ebrei. Infatti l’Europa condanna senza esitazione i nega-zionisti europei, ma ha reazioni molto più timide quando le stesse affermazioni vengono fatte da mu-sulmani. Un caso emblematico è costituito dall’Iran, il cui presidente anni fa ha perfino organizzato un convegno negazionista internazio-nale sostenendo di essere così il vero difensore della li-bertà di pensiero perché in Occiden-te un evento simile non sarebbe asso-lutamente permes-so. Nonostante ciò e nonostante dica un giorno sì e l’al-

tro anche che Israele sparirà dalle carte geografiche, per molti paesi europei a cominciare proprio dall’I-talia, l’Iran rimane un paese col quale intrattenere ottimi rapporti economici; solo in questi ultimi giorni in seguito alle pesanti pres-sioni americane volte ad impedire all’Iran di dotarsi della bomba ato-mica i paesi europei stanno cam-biando atteggiamento. Un altro esempio può essere Yas-ser Arafat, che in un’intervista ave-va affermato che durante la Secon-da Guerra Mondiale gli Ebrei uccisi non erano sei milioni, come invece affermano gli storici, ma quattro-centomila. Anche in questo caso non ci sono state reazioni particola-ri ed Arafat in Occidente ha conti-nuato a godere di grande prestigio e popolarità. Per quel che riguarda i libri, mentre in Europa il “Mein Kampf” è consi-derato un libro maledetto ed “I Protocolli dei Savi di Sion” non han-no più alcuna credibilità perché riconosciuti un falso storico, questi testi nel mondo islamico sono mol-to venduti e popolari anche in paesi

ritenuti filoocciden-tali come la Tur-chia, ma neppure in questo caso l’-Europa ha qualco-sa da obiettare. Un atteggiamento simile da parte europea si spiega certamente con la “Realpolitik”, che si

Simbolo di Fratelli Mussulmani

Page 22: 12OPfebbraio12

22

del fatto che Israele è uno Stato “occidentale” e che la religione cri-stiana ha un legame importante con quella ebraica, tanto che la Bibbia, libro sacro per gli Ebrei, è sacra anche per tutti i cristiani, che la chiamano “Vecchio Testamento”. Questo li spinge coerentemente alla difesa di Israele, oppure alla lotta contro di esso, mentre l’Euro-pa è presa in mezzo, non solo in senso geografico, e rimane profon-damente divisa al suo interno sulla posizione da prendere. Infatti in Europa, come visto in precedenza, esistono gruppi culturalmente e politicamente influenti mossi da senso di colpa e risentimento verso la nostra storia passata, che impe-discono di attuare una politica in linea con essa. Ciò è stato notato anche dall’attuale Pontefice, che denuncia la deriva morale e dice che l’Occidente non si vuole più bene, mentre dovrebbe rivalutare la propria identità. Inoltre da un punto di vista storico bisogna collocare il genocidio ebrai-co all’interno di una lunga catena che lo ha preceduto, come quello degli Indiani in America, oppure quello degli Armeni nell’Impero Ottomano. Questo supererebbe le obiezioni di chi afferma che la Sho-ah gode di un risalto nettamente superiore ad altri eventi simili e non sarebbe una sua relativizzazio-ne, ma permetterebbe di inqua-drarla in un processo di lungo pe-riodo. Da questo punto di vista lo storico Domenico Losurdo afferma

padre Michel Le Long, vicino sia ai gruppi terzomondisti sia ai cattolici tradi-zionalisti. Oriana Fallaci e Ber-nard Henry Levy, invece sottolineano le affinità con il fa-scismo, al punto che questo intellettuale ha coniato l’espressione “fascismo verde” per indicare il regime irania-no, formula poi ripresa da George W. Bush a proposito di Osama bin Laden e dei suoi seguaci. In alcuni paesi, come la Francia, la situazione appena descritta sta già portando a gravi problemi interni; infatti diversi professori denunciano che sta diventando difficilissimo spiegare il genocidio degli Ebrei per le contestazioni compiute da stu-denti islamici che lo considerano una falsità creata ad arte, o co-munque enormemente ingigantita, per giustificare la nascita dello sta-to di Israele. Per quel che riguarda la Germania, l’enorme successo del libro “La Germania si autodistrugge” dell’ex banchiere Sarrazin (che accusa gli immigrati islamici di essere la causa del peggioramento della scuola e di non volersi integrare) è la dimo-strazione più evidente che anche in quel paese ci sono problemi, come ammesso anche dalla Merkel, che ha affermato che il multiculturali-smo ha fallito. LE SOLUZIONI Per affrontare questi problemi, de-stinati a divenire sempre maggiori col tempo, bisogna essere molto chiari sia a livello internazionale sia in politica interna; bisogna infatti fare capire che noi non siamo ne-mici di nessuno, ma che allo stesso tempo non abbandoneremo mai i nostri principi fondamentali e quin-di denunceremo e combatteremo davvero l’odio antiebraico da qual-siasi parte esso pro-venga, anche se ciò dovesse rivelarsi sco-modo e costoso. Da questo punto di vista va riconosciuto che americani e musulmani hanno una visione della realtà più lucida di noi europei. Entrambi sono perfet-tamente consapevoli

propone di man-tenere ottimi rapporti politici ed economici con i paesi mu-

sulmani, anche perché già nel 1973 questi ultimi hanno dimostrato di poter mettere in gravissima difficol-tà l’Occidente. Questo motivo, per quanto importantissimo, però da solo è insufficiente; una causa im-portante invece è proprio il soste-gno di cui gode il mondo islamico in Europa presso gruppi culturali e politici anche molto diversi. A volte questo si verifica per rapporti con-solidati, come avvenuto con Formi-goni che ha accolto con tutti gli onori Tareq Aziz, il numero due “cristiano” del regime di Saddam Hussein, proprio poco prima dell’i-nizio della guerra nel 2003. Spesso, però, i motivi di un soste-gno così trasversale sono più pro-fondi e hanno a che fare con l’op-posizione comune alla modernità, alla democrazia od al capitalismo. Va detto che spesso sono i giornali-sti e gli intellettuali più acuti a no-tare queste affinità, come dimo-strano i casi di Barbara Spinelli, Carlo Panella ed Oriana Fallaci in Italia ed Alexandre del Valle e Ber-nard Henry Levy in Francia. Tutti loro spiegano come gli “opposti estremismi” europei ed i fondamentalisti islamici hanno in comune l’odio verso il sistema libe-rale e liberista occidentale e so-stengono che ciò sia alla base del comune antisemitismo, in quanto gli Ebrei sono il simbolo vivente di tutti quei valori che loro vorrebbero cancellare. Alexandre del Valle in particolare mette in evidenza come gli estre-misti islamici riescano a presentarsi con più facce, tutte vere, a secon-da dell’interlocutore: radicalmente antimoderni, antilluministici ed an-tiglobalizzazione con l’estrema de-stra, pieni di rabbia verso l’Occi-dente corrotto e sfruttatore con i terzomondisti sia laici sia religiosi, ostili alla mentalità laica e materia-listica con i cattolici tradizionalisti. In questo modo l’Islam nella sua versione più dura diventa il punto di incontro di forze tra loro inizial-mente diverse e magari reciproca-mente ostili spinte ad unirsi dalla lotta contro il nemico comune. Ciò peraltro avviene anche a livello di singole persone, come nel caso di

Bernard Henry Levy

Oriana Fallaci

Page 23: 12OPfebbraio12

23

Febbraio 2012 - Osservatoriopiemonte

Periodico indipendente di politica, cultura, storia. - Aut. tribunale di Torino n° 5554 del 2-11-2001 - Direttore Responsabile: Enzo Gino. Sede legale 15020 Cantavenna di Gabiano (AL) - Stampato in proprio - Editore: Piemonte Futuro - P. Iva 02321660066 - Per informazioni, collaborazioni, pubblicità e contatti: [email protected] cell. 335-7782879 - fax 1782223696 Distribuzione gratuita. www.osservatoriopiemonte.it Finito di stampare il 16 febbraio 2012

che proprio quanto commesso negli USA e nell’Impero Ottomano è sta-to per Hitler un modello da imitare ed un’ispirazione per fare altrettan-to verso gli Ebrei. Non a caso la Francia ha approvato da poco una legge che condanna penalmente chi nega lo sterminio armeno, co-me già avviene per chi nega quello ebraico. Certamente anche la scelta france-se è opinabile e già in passato Do-menico Losurdo, comunista non sospettabile di simpatie neonaziste e negazioniste, aveva firmato con molti altri intellettuali contro questa legge sul genocidio ebraico soste-nendo che le falsità storiche si combattono sul piano storiografico e non in tribunale. Inoltre sembra che tanta fretta di approvare la legge sugli Armeni sia dovuta in realtà alla volontà di Sarkozy di accattivarsi il voto di questa comu-nità per essere rieletto. Nonostante queste critiche e questi sospetti, va detto che quanto ap-provato in Francia è storicamente giustissimo per il motivo visto in precedenza e lancia anche un mes-saggio politico molto preciso di co-raggio a livello internazionale, visto che la Turchia minaccia fuoco e fiamme, ma la Francia non cambia idea di un millimetro. Credo che questa sia la strada da seguire: per commemorare degna-mente il 27 gennaio non bisogna limitarsi a condannare quanto av-venuto in passato, ma lottare dav-vero ai nostri giorni contro i pericoli reali rimanendo sempre noi stessi e difendendo ciò in cui crediamo in ogni ambito. Certamente un com-portamento simile è più impegnati-vo e più rischioso, ma solo così saremo credibili sia verso i nostri interlocutori sia verso le generazio-ni future e potremo davvero impe-dire la ripetizione di atti simili.

Alexandre del Valle

Riceviamo e pubblichiamo

Page 24: 12OPfebbraio12

24

L’olocausto Il 27 gennaio è stato il giorno della memoria. La ricorrenza è stata isti-tuita dal Parlamento con apposita legge la numero 211 del 20 luglio 2000 aderendo a una iniziativa in-ternazionale che intendeva comme-morare le vittime delle persecuzioni razziali operate dal regime nazista e fascista. Ecco come recita l’art. 1 della leg-ge: “La Repubblica italiana ricono-sce il giorno 27 gennaio, data del-l'abbattimento dei cancelli di Au-schwitz, "Giorno della Memoria", al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italia-na dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della pro-pria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.”

La data è stata scelta in quanto le truppe sovietiche dell'Armata Ros-sa, arrivarono presso la città polac-ca di Oświęcim, nota con il suo no-me tedesco di Auschwitz, scopren-do il suo tristemente famoso cam-po di concentramento e liberando-ne i pochi superstiti. La scoperta di Auschwitz e le testimonianze dei sopravvissuti rivelarono compiuta-mente per la prima volta al mondo l'orrore del genocidio nazista. Il 27 gennaio è celebrato anche da molte altre nazioni, tra cui la Ger-mania e la Gran Bretagna, così co-me dall'ONU, in seguito alla risolu-zione 60/7 del 1º novembre 2005. In realtà i sovietici erano già arriva-ti precedentemente a liberare dei campi, Chełmno e Bełżec, ma que-sti campi detti più comunemente di "annientamento" erano vere e pro-prie fabbriche di morte dove i pri-gionieri e i deportati venivano im-mediatamente gasati, salvando solo pochi "sonderkommando", in italiano: unità speciale. Tuttavia l'apertura dei cancelli ad Auschwitz, dove pochi giorni prima i nazisti si erano rovinosamente

Le memorie di tutti i genocidi… hanno pari dignità

ritirati portando con sé in una "marcia della morte" tutti i prigio-nieri sani, molti dei quali morirono durante la marcia stessa, mostrò al mondo non solo molti testimoni della tragedia, ma anche gli stru-menti di tortura e di annientamento del lager. Ricordare non solo l’olocausto ma tutti i genocidi Da parte nostra la domanda che ci poniamo è: l’olocausto è storica-mente un fatto così eccezionale nella sua brutalità, da richiedere una attenzione particolare tanto da introdurre un ricorrente richiamo della memoria affinché i posteri non dimentichino o al contrario l’umana storia è costellata di altri terribili analoghi se non ancor più efferati stermini di massa? Purtroppo la seconda opzione è quella giusta, tutta la storia dell’u-manità è “cosparsa” di massacri che sono cresciuti per dimensioni ed efferatezza proporzionalmente allo sviluppo delle tecniche di ster-mino di massa, tanto che il XX se-colo è stato addirittura ribattezzato da qualche autore “Il secolo dei genocidi” e la shoah è uno di questi genocidi e purtroppo nemmeno l’ultimo in ordine di tempo. Per avere un quadro chiaro è ne-cessario però partire dalle definizio-ni. Sotto il profilo lessicale genoci-dio è un termine greco-latino che unisce la parola greca γένος ossia ghénos : razza, stirpe e la parola latina caedo : uccidere. Ed ecco brevemente le definizioni date dalle istituzioni, dagli storici e dai sociologi: Per L’ONU riportiamo alcuni articoli estratti dalla Convenzione per la Prevenzione e la Repressione del Delitto di Genocidio General Assembly Resolution 260 A (III) New York, 9 dicembre 1948 Le Alte Parti contraenti - considerando che l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, nella Risoluzione 96 dell'11 dicembre 1946 ha dichiarato che il genocidio è un crimine di diritto internaziona-le, contrario allo spirito e ai fini

Partire dal giorno della memoria per la shoah per arrivare a ricordare tutti i genocidi della storia superando le inaccettabili reticenze...

Page 25: 12OPfebbraio12

25

delle Nazioni Unite e condannato dal mondo civile; - riconoscendo che il genocidio in tutte le epoche storiche ha inflitto gravi perdite all'umanità; convinte che la cooperazione inter-nazionale è necessaria per liberare l'umanità da un flagello così odio-so, convengono quanto segue: Art. I: Le Parti contraenti confer-mano che il genocidio, sia che ven-ga commesso in tempo di pace sia che venga commesso in tempo di guerra, è un crimine di diritto inter-nazionale che esse si impegnano a prevenire ed a punire. Art. II: Nella presente Convenzio-ne, per genocidio si intende ciascu-no degli atti seguenti, commessi con l'intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazio-nale, etnico, razziale o religiose, come tale: (a) uccisione di membri del grup-po; (b) lesioni gravi all'integrità fisica o mentale di membri del gruppo; (c) il fatto di sottoporre deliberata-mente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzio-ne fisica, totale o parziale; (d) misure miranti a impedire na-scite all'interno del gruppo; (e) trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro. Art. III: Saranno puniti i seguenti atti: (a) il genocidio; (b) l'intesa mirante a commettere genocidio; (c) l'incitamento diretto e pubblico a commettere genocidio; (d) il tentativo di genocidio; (e) la complicità nel genocidio. Art. IV: Le persone che commetto-no il genocidio o uno degli atti e-lencati nell'articolo III saranno pu-nite, sia che rivestano la qualità di governanti costituzionalmente re-sponsabili o che siano funzionari pubblici o individui privati.

In verità la risoluzione n° 96 da cui discende la riportata risoluzione 260 faceva riferimento ad “Una negazione del diritto alla vita di gruppi umani, gruppi razziali, reli-giosi, politici o altri, che siano stati distrutti in tutto o in parte”. Non sfuggirà ai nostri lettori che il ter-mine “politici” presente nella for-mulazione della risoluzione 96 è scomparsa, ciò fu dovuto alle pres-

sioni sovietiche, i motivi oggi, sono evidenti. Senza entrare nel dibattito sul si-gnificato che storici, sociologi dan-no del genocidio ci limitiamo ad alcune espressioni: “distruzione fisica intenzionale degli esseri umani in ragione della loro appartenenza ad una qualunque collettività umana" Pieter N. Drost "La distruzione strutturale e siste-matica di persone innocenti". Irving Louis Horowitz “Un omicidio calcolato perpetrato su una parte o sulla totalità di un gruppo da un governo, un'élite, un gruppo o una massa rappresentati-va" Helen Fein “Tentativo coordinato di distrugge-re un gruppo predefinito razziale, religioso o politico nella sua totali-tà" Gérard Prunier “Una forma di massacro di massa unilaterale con cui uno stato o u-n'altra autorità ha intenzione di distruggere un gruppo, gruppo che è definito, così come i suoi membri, dall'aggressore" Frank Chalk e Kurt Jonassohn Quanti genocidi? Ci domandiamo esiste la macabra contabilità dei genocidi?, certamen-te sì, anche se spesso è ancora oggetto di dibattiti con negazionisti più o meno interessati. Il riconoscimento di tutti i genocidi perpetrati nel tempo meriterebbe di entrare nelle agende degli orga-nismi internazionali come l’ONU e anche in quelle di tanti parlamenti nazionali. Purtroppo ciò avviene solo in mini-ma parte perché c’è ancora troppa reticenza su tante stragi, stermini, genocidi. Un reticenza che ci de-scrive una politica e una cultura ancora subalterna ad una sorta di difesa dell’immagine storica dello stato che prevale sui valori della civiltà e del diritto. Un atteggia-mento politico che richiama una sorta di malinteso nazionalismo che dovrebbe diventare invece motore per l’affermazione di valori positivi e non di difesa degli errori commessi in passato. Così la Cina non rico-nosce i genocidi di Mao Tze Tung, la Francia, che il 22 di-cembre 2011 ha ema-nato una legge in cui

è reato negare lo sterminio degli Armeni nel 1915-18 da parte del-l’Impero Ottomano, non ha però ancora riconosciuto lo sterminio dei ribelli della Vandea da parte dei repubblicani nel XVIII secolo dove François-Noël Babeuf coniò il termi-ne antesignano di genocidio: il po-policidio. L’Argentinache riconosce i genocidi ucraini o Armeno non riconosce la mattanza di Napalpi nel 1911 e le altre azioni di sterminio in cui ven-nero massacrate popolazioni indi-gene, la Turchia nega il genocidio Armeno. La Germania che per la sua storia è oggi più attenta al rico-noscimento delle proprie responsa-bilità, il 16 agosto 2004 nel cente-simo anniversario della decisiva battaglia di Waterberg in cui nel 1905 nella colonia della attuale Namibia venne decimata la popola-zione degli Herero, per bocca del suo ministro tedesco Heidemarie Wieczorek-Zeul affermò che i tede-schi accettavano la propria respon-sabilità storica e morale e ricono-scevano la propria colpa ricono-scendo il genocidio, tuttavia, rifiutò di concedere un indennizzo econo-mico alla Namibia, sostenendo che i torti subiti dalla popolazione erano stati ampiamente ripagati con anni di aiuti economici stanziati a favore della Namibia (oltre 11 milioni di euro). E se l’Italia ha riconosciuto quanto commesso in Libia nel pe-riodo coloniale, mai si è espressa sull’uso dei gas in Etiopia o le re-pressioni nei paesi occupati nel II conflitto mondiale. Tutti questi avvenimenti sono stati oggetto di ricerca e della pubblica-zione di numerosi libri ne citiamo uno per tutti: Il secolo dei genocidi di Bernard Bruneteau che però non li elenca nemmeno tutti.

E’ noto che il genocidio sin dall’an-tichità era, non l’eccezione, ma la regola. Chi conquistava un territo-rio dopo aver battuto i nemici in battaglia provvedeva a vere e pro-

Dal film Spartacus : schiavi ribelli crocifissi lungo la strada da Roma a Capua

Page 26: 12OPfebbraio12

26

prie pulizie etniche, come oggi le chiameremmo, che prevedevano spesso e volentieri l’uccisione di massa dei maschi idonei alle armi o, nel migliore dei casi, la loro tra-duzione in altri territori come schia-vi e analoga sorte toccava donne e bambini. Sotto questo profilo i civilizzati ro-mani non erano certo da meno, anzi proprio per la loro superiorità organizzativa e tecnica anche le pratiche di sterminio erano partico-larmente efficienti. Basta ricordare le campagne di Giulio Cesare in Gallia, si stima in oltre 1 milione le vittime fra le tribù galliche di cui solo una parte mino-ritaria erano soldati uccisi in batta-glia o il triunviro Crasso che dopo aver sconfitto gli schiavi ribelli di Spartacus uccidendone 60.000 in una sola battaglia fece crocefiggere i 6.000 prigionieri sopravvissuti, questo è forse il primo sterminio di classe della storia. Riportiamo di seguito, in un nostro particolare giorno della memoria, alcuni cenni dei principali genocidi “pescati” fra i più recenti, indicando nei titoli dopo il periodo storico, la denominazione con cui il genocidio è passato alla storia e la stima della vittime. Fra il XVI e il XX secolo : Ge-nocidio dei nativi dell'America Latina e dei nativi del Norda-merica con circa 70.000.000 di vittime Iniziamo con uno dei più noti geno-cidi: la conquista del centro e sud America da parte di spagnoli e por-toghesi e le guerre contro gli india-ni del nord America.

A partire dal 1492, gli euro-pei che sbarcaro-no nelle Americhe portarono alla quasi t o t a l e scompar-sa dei p o p o l i nativi del continen-te. I mezzi furono sostanzialmente due: lo sterminio diretto delle po-polazioni in competizione territoria-le con i nuovi arrivati, dotati di tec-nologie belliche, strategia e tattiche superiori, e quello parzialmente indiretto di tipo microbiologico ad opera di virus e batteri portatori di patologie come il vaiolo, l'influenza, la varicella, il morbillo. Queste ma-lattie erano pressoché inesistenti nelle Americhe; la maggioranza di questi microorganismi era presente su uomini e animali come cavalli, bovini o suini lì approdati, quando nel vecchio continente erano pre-senti da millenni, per cui le popola-zioni di Europa, Asia e Africa ave-vano sviluppato anticorpi specifici. Nel Nuovo Mondo questi mammife-ri non erano presenti e gli indigeni erano stati pressoché isolati dal continente antico per più di 40 mil-lenni. Si stima che circa l'80% della popolazione indigena delle Ameri-che perì in un periodo di tempo che va dal 1491 al 1550. Circa un deci-mo dell'intera popolazione mondia-le di allora (500 milioni circa) fu decimato. I ricercatori Cook e Bo-

rah, dell'Università di Berkeley, do-po alcuni decenni di ricerche, so-stennero che quando Cortés sbarcò in Messico, la popolazione della regione arrivava a circa 25,2 milioni di persone e che 100 anni dopo ne rimanevano meno di un milione. Nella stessa epoca Spagna e Porto-gallo assieme non arrivavano a 10 milioni di abitanti e in tutta Europa vivevano circa 57,2 milioni di per-sone. Il Messico ha recuperato la popolazione del XV secolo solo ne-gli anni sessanta del XX secolo. Per quanto riguarda l’America del Nord ricordiamo l’ultimo atto della decimazione dei cosidetti pelleros-se, il massacro di Wounded Knee. Il 28 dicembre 1890 la tribù dei Miniconjou guidata da Piede Grosso fu intercettati da quattro squadroni di cavalleria Settimo Reggimento guidato dal maggiore Samuel Whi-tside, che aveva l'ordine di condurli in un accampamento di cavalleria sul Wounded Knee. 120 uomini e 230 tra donne e bambini furono portati sulla riva del torrente, ac-campati e circondati da due squa-droni di cavalleria e sotto tiro di due mitragliatrici Hotchkiss. Il co-mando delle operazioni fu preso dal colonnello James Forsyth e l'indo-mani gli uomini di Piede Grosso, ammalato gravemente a causa di una polmonite, furono disarmati. Pare che Coyote Nero, un giovane Miniconjou sordo, tardò a deporre la sua carabina Winchester, fu cir-condato dai soldati e, mentre depo-neva l'arma, partì un colpo a cui seguì un massacro indiscriminato. Il campo venne falciato dagli Ho-tchkiss ed i morti accertati furono 153. Secondo una stima successi-va, dei 350 Miniconjou presenti, ne morirono quasi 300. Venticinque soldati furono uccisi, alcuni proba-bilmente vittime accidentali dei loro

Fossa comune per le vittime indiane di Wounded Knee

Capo Piede Grosso (Big Foot) a Wounded Knee

Page 27: 12OPfebbraio12

27

compagni. Dopo aver messo in salvo i soldati feriti, un distaccamento tornò sul campo dove furono raccolti 51 in-diani ancora vivi, quattro uomini e 47 tra donne e bambini. Trasportati a Pine Ridge, furono in seguito am-massati in una chiesetta ove (per gli addobbi natalizi) si poteva leg-gere la scritta: Pace in terra agli uomini di buona volontà. Il termine di Guerre indiane è il nome usato dagli storici statuniten-si per descrivere una serie di con-flitti prima con i coloni, principal-mente europei, e poi con gli Stati Uniti, in opposizione ai popoli nati-vi, comunemente e impropriamente denominati "Indiani d'America" o "pellerossa" del Nordamerica. Alcune delle guerre furono provo-cate da una serie di paralleli atti legislativi, come l'Atto di rimozione degli indiani, unilateralmente pro-mulgate da una delle parti e poten-zialmente considerabili alla stregua di guerra civile. Le guerre, che spaziarono dalla colonizzazione europea dell'Ameri-ca del XVIII secolo fino al massacro di Wounded Knee e alla chiusura delle frontiere USA nel 1890, risul-tarono complessivamente nella conquista, nella decimazione, nel-l'assimilazione delle nazioni india-ne, e nella deportazione di svariate migliaia di persone nelle riserve indiane. Esse costituiscono una delle basi della discriminazione raz-ziale su base etnica, e del proble-ma del razzismo che affliggerà gli USA fin a tutto il XX secolo. Le ana-lisi contemporanee hanno appurato fra i cinquanta e i cento milioni di nativi americani persero la vita tra il 1494 e il 1891, classificando la conquista del nuovo mondo come il più grande genocidio della storia dell'umanità. 1793-1796 Guerre di Vandea 130.000 - 200.000 A seguito della rivoluzione francese furono introdotte leggi che oltre a sottrarre i beni della chiesa limita-vano la libertà religiosa riportando sotto il controllo dello stato le atti-vità degli ecclesiastici, molti di essi rifiutarono tali imposizioni. Si creò così un blocco fra nobili nostalgici della monarchia e contadini cattolici che portò ad una insurrezione che si protrasse dal 1793 al 1815 che contrappose l’esercito Repubblica-

no ed i Vandeani. Nelle diverse guerre che ne scaturi-rono questi ultimi vennero uccisi senza considerare l'età o il sesso delle persone che si trovavano di fronte e a morire non furono solo i soldati dell'armata vandeana, ma anche le loro donne e i loro bambi-ni. Oltre a questi, tra le vittime ci furono anche alcuni che non aveva-no preso parte all'insurrezione, ma questo sembrava non avere impor-tanza, come testimonia l'ordine che darà il comandante Repubblicano Grignon alla sua colonna: “Compagni, entriamo nel paese insorto. Vi dò l'ordine di dare alle fiamme tutto quanto sarà suscetti-bile di essere bruciato e di passare a filo di baionetta qualsiasi abitante incontrerete sul vostro passaggio. So che può esserci qualche patriota in questo paese. È lo stesso. Dob-biamo sacrificare tutto”.

I soldati delle colonne, prima di uccidere le proprie vittime, compi-rono su di loro le peggiori atrocità: dallo stupro alla mutilazione, a vol-te per accelerare i tempi essi incen-diarono interi edifici nei quali riuni-vano i condannati; diedero fuoco anche agli ospedali per uccidere i malati al loro interno. Addirittura conciarono pelle umana, presa dai cadaveri, per creare abiti, come dirà un testimone Claude-Jean Hu-meau che denunciò al tribunale di Angers questo fatto il 6 novembre 1794. La valutazione esatta delle vittime della guerra di Vandea è sempre stata piuttosto complicata e non si è mai potuta stabilire con certezza. All'epoca, da quello che emerse dalle parole degli storiogra-fi del tempo o dagli stessi protago-

nisti della guerra, spesso si tentò di fornire un bilancio, ma sempre in modo piuttosto approssimativo. Nel 1797, lo storico Louis Marie Prudhomme, nel suo "Histoire gé-nérale et impartiale des erreurs, des fautes et des crimes commis pendant la Révolution Français"

stima 120.000 persone morte in Vandea. Secondo l'analisi statistica di Donald Greer del 1935, su 35-40.000 persone giustiziate in tutta la Francia durante il periodo del terrore (di cui 16.594 condannati a morte dai tribunali rivoluzionari), il 75% è costituito da ribelli presi con le armi in mano, di questi, il 52% venivano dall'Ovest (quindi vandea-ni e chouan), il 19% dal Sud-Est ed il 16% da Parigi. Questa stima, considerata come riferimento, è stata ripresa da tutti gli storici suc-cessivi. Queste cifre comprendono però solo le esecuzioni e non ten-gono conto delle morti legate alla guerra c iv i le, direttamente (battaglie, massacri) o indiretta-mente (epidemie, malnutrizione). Nel 1986, Reynald Secher ha ana-lizzato gli archivi parrocchiali e quelli di stato di 700 comuni dei quattro dipartimenti della "Vandea Militare": nel periodo compreso tra il 1780 e il 1789 e quello compreso tra il 1802 e il 1811, considerando la crescita demografica, ha preso il numero di abitanti della regione prima e dopo la guerra di Vandea e sottraendo la popolazione totale degli anni del 1800 con quella degli anni del 1780 risultò la mancanza di 117.257 persone su un totale di 815.029, cioè il 14,38% della popo-lazione e dal punto di vista immobi-liare ha stimato la distruzione di

Si sperimentano sistemi di uccisione più rapidi: tra questi, gli annegamenti di gruppo («les noyades»)

Page 28: 12OPfebbraio12

28

10.309 edifici su un totale di 53.273, cioè il 20% degli immobili registrati. Un altro storico nel 1987, Jean-Clément Martinha ha fatto un suo bilancio: basandosi su un'analisi dei censimenti del 1790 e del 1801, stimando la crescita de-mografica annuale attor-no all'1%, nel 1801 man-cavano da 200.000 a 25-0.000 persone, sia van-deani che repubblicani, particolarmente difficile è stato però calcolare il numero di questi ultimi che essendo militari pro-venivano da tutte le re-gioni francesi. Un'altra stima fatta utilizzando lo stesso metodo di Martin, è stata fornita da Louis Marie Clénet, secondo il quale le guerre di Vandea hanno fatto 200.000 morti vandeani, di cui 40.000 sono morti a causa delle colonne infernali di Turreau. Nel 2007, Jacques Hussenet, tenendo conto dei lavori precedenti, fornisce un suo bilancio di 170.000 morti. Il 21 febbraio 2007 venne presen-tata all'Assemblea nazionale fran-cese, da un gruppo di deputati ap-partenenti all'UMP e al MPF, una proposta di legge per riconoscere il genocidio vandeano, basandosi sulla tesi di Secher. Nell'esposizione dei motivi di questa proposta viene spiegato che il tribunale internazio-nale di Norimberga definì il genoci-dio come:«[...] la progettazione o la realizzazione parziale o totale, o la complicità nella progettazione o la realizzazione dello sterminio di un gruppo umano di una specifica etnia, razza o religione.». Mentre il codice penale francese, definisce il genocidio come: «[...] la distruzione totale o parziale di un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso o di un gruppo determina-to a partire da tutt'altri criteri arbi-trari [...]». Queste definizioni, si afferma, corrispondono perfetta-mente al caso vandeano. Attual-mente la proposta di legge fa parte dei lavori della Commissione per gli Affari Culturali, Familiari e Sociali. 1870 Patagonia Altro evento fu la "Strage di Napal-pí" nell’attuale Argentina. Nel 1911 fu fondata la "Reducción" di Napal-pí (la parola significa "cimitero"

poiché lì seppellivano i morti), che occupava una superficie di 8 leghe quadrate in corrispondenza del 142° km della linea ferroviaria del Chaco. Essa si autofinanziava con la vendita del cotone prodotto dagli indigeni (Toba, Pilagà, Abiponi e

Mocoví). Nel 1924 il governo Ar-gentino volle ampliare la sua area di coltivazione, diede terreni a stra-nieri e creoli e relegò gli indigeni in riserve. Gli indigeni si rifiutarono di consegnare i raccolti e attraverso la voce dei loro leader opposero resi-stenza a questo abuso. Ebbe luogo un vero e proprio massacro. Il 19 luglio del 1924 uscirono da Quitilipi 130 uomini armati, si schierarono ben nascosti e attesero il momento opportuno per attaccare. Il gover-natore Centeno, che aveva richie-sto il servizio di un aereo dell'Aero Club del Chaco, fece in modo che il velivolo passasse sopra l'accampa-mento. Sentendo il rumore del mo-tore dell'aereo, gli indigeni uscirono all'aperto, ignari del fatto che la polizia li stesse osservando e, al-l'improvviso, vi furono violente sca-riche di proiettili. Si dice che furono sparate 5.000 cartucce. Dopo le scariche la polizia avanzò verso le tende e uccise i sopravvissuti a colpi d'arma da fuoco o di macete. Si stimano in circa 500 le vittime indios. 1894-1896 Massacri hamidiani (prima fase del genocidio ar-meno del 1915) 80.000 - 300.000 Il 26 agosto 1896, un gruppo di rivoluzionari armeni assalirono la sede centrale della Banca Ottoma-na ad Istanbul. Le guardie vennero uccise e più di 140 impiegati ven-nero presi in ostaggio con lo scopo di guadagnare l'attenzione del

mondo internazionale per le riven-dicazioni del popolo armeno. La reazione a questo colpo di mano clamoroso fu il massacro di decine di migliaia di armeni ad Istanbul e nel resto del territorio ottomano. Il segretario privato di Abdul Hamid scrisse nelle sue memorie che Ab-dul Hamid aveva deciso di perse-guire una politica di fermezza e terrore contro gli Armeni ed ordinò di non intraprendere nessun nego-ziato o trattativa con essi. Gli eccidi continuarono dal 1895 fino al 1897. In questo ultimo an-no, il sultano Sultan Hamid dichiarò chiusa e risolta la questione Arme-na. Tutti i rivoluzionari armeni ven-nero uccisi o dovettero fuggire in Russia. Il governo Ottomano chiuse tutte le associazioni e le società armene e attuò un giro di vite sui movimenti politici. Molti stimano il numero delle vitti-me armene dei massacri tra le 80.000 e le 300.000 persone. L'etnografo britannico William Mi-tchell Ramsay, che visitò l'Impero Ottomano per i suoi studi, stimò che dal 1894 al 1897 fossero stati uccisi circa 200.000 Armeni. Arme-nophile Johannes Lepsius stimò una cifra di 89.000 morti. Il gover-no tedesco fece una stima, risalen-te al 20 dicembre 1895, di 80.000 persone. L'ambasciatore britannico White, basandosi sulla stima data-gli dai suoi consoli, ai primi di di-cembre del 1895 stimò una cifra, di circa 100.000 vittime. Il ministro tedesco degli affari esteri e noto turcofilo E. Jackh fece una stima di 200.000 armeni morti e un milione di persone derubate. R. J. Rummel, uno studioso che coniò il termine democidio, fece una stima di 15.000 vittime. La stima più com-pleta venne data probabilmente dallo storico francese Pierre Renou-vin, Presidente della Commissione in carica per raccogliere e classifi-care i documenti diplomatici fran-cesi. In un volume basato su docu-menti autentici, egli fa una stima complessiva di 250.000 vittime. Questi omicidi di massa furono sol-tanto un primo passo verso il geno-cidio Armeno del 1915-1917 1904-1906 Herero 24.000 - 75.000 Le guerre Herero, spesso ricordate anche come genocidio degli Herero e dei Nama, ebbero luogo nell'Afri-

Murales che ricorda l’eccidio di Napalpi

Page 29: 12OPfebbraio12

29

ca Tedesca del Sud-Ovest (oggi Namibia) fra il 1904 e il 1907, nel periodo della spartizione dell'Africa. Il conflitto ebbe inizio dalla ribellio-ne del popolo Herero (a cui si ag-giunse in un secondo momento il popolo Nama) contro l'autorità co-loniale tedesca. Il generale Lothar von Trotha, incaricato di sopprime-re la ribellione, utilizzò pratiche di guerra non convenzionale che in-cludevano l'avvelenamento dei poz-zi e altre misure che portarono alla morte per fame e per sete di una rilevante percentuale della popola-zione Herero e Nama. Nel 1985, le Nazioni Unite (con il rapporto Whi-taker) identificarono nella guerra contro gli Herero uno dei primi ten-tativi di genocidio (inteso come sterminio di una intera popolazio-ne) del XX secolo. In merito a que-sto episodio, il governo tedesco ha dichiarato nel 2004: "noi tedeschi accettiamo la nostra responsabilità storica e morale". La decisione di Von Trotha di ucci-dere a vista gli Herero e ricacciare donne e bambini nel deserto fu in seguito annullata dal Kaiser, ma il massacro era già cominciato. In particolare, Von Trotha mise in atto misure volte a sterminare per fame e per sete i nemici, il citato avvele-namento dei loro pozzi (risorse e-stremamente preziose nel territorio arido della Namibia). La vittoria definitiva tedesca si eb-be in agosto, quando le truppe gui-date da Von Trotha sconfissero un esercito di 3.000-5.000 Herero nel-la battaglia di Waterberg, presso l'altopiano omonimo. Alcuni ribelli

l'altopiano omonimo. Alcuni ribelli ricevettero asilo politico nel Be-chuanaland britannico. Circa 24.000 Herero si diedero alla fuga attraverso il Kalahari; la maggior parte (circa 23.000) mo-rirono nel tentativo di attraversa-re il deserto. In seguito alla cessazione delle stragi imposta da Berlino, gli He-rero furono raccolti in campi di concentramento, dove molti di loro morirono di stenti; le autori-tà tedesche tennero un registro

molto accurato delle morti. I prigio-nieri in condizioni migliori furono ceduti come schiavi ai coloni tede-schi, ma molti di loro morirono di fame e per il troppo lavoro. Nel campo di concentramento dell'isola di Shark l'eugenista Eugen Fischer ebbe modo di condurre esperimenti medici su cavie umane che furono d'esempio per un suo allievo, che li riutilizzerà qualche decennio più tardi, Josef Mengele. Secondo il Whitaker Report delle Nazioni Unite, fra il 1904 e il 1908 morirono circa il 50% o l'80% degli Herero, e il 50% dei Nama, per un totale di 75.000 vittime secondo alcune fonti. Molti storici moderni, e le stesse Nazioni Unite, considerano le guer-re Herero come il primo caso di genocidio del XX secolo, in quanto lo scopo esplicito dell'azione di Von Trotha fu, come ebbe a dire l'etno-loga Larissa Förster, "eliminare tutti coloro che appartenevano a un determinato gruppo etnico, solo perché appartenevano a quel grup-po etnico". Come nel caso dell'olo-causto, ci sono autori revisionisti che rifiutano di accettare la defini-zione delle guerre Herero come "genocidio". Nel 1998, mentre il presidente te-desco Roman Herzog si trovava in visita in Namibia, ricevette una ri-chiesta pubblica di scuse da parte del capo Herero Munjuku Nguvau-va. Herzog espresse rammarico ma non scuse formali, e non accolse la proposta di versare un indennizzo nei confronti delle comunità native

namibiane. Nel 2001, gli Herero pre-sentarono un'istanza agli Stati Uniti chiedendo un indennizzo da parte della Germania e della Deutsche Bank. La Germania non poté essere condannata

perché all'epoca del massacro nes-suna legge garantiva la protezione dei civili e le convenzioni interna-zionali avrebbero contemplato il reato di genocidio soltanto qualche decennio dopo, mentre troppi anni erano trascorsi per intentare una causa civile di fronte a un tribunale tedesco. Scuse ufficiali da parte tedesca vennero il 16 agosto 2004 (centesimo anniversario della deci-siva battaglia di Waterberg) da par-te del ministro tedesco Heidemarie Wieczorek-Zeul. Wieczorek-Zeul affermò che i tedeschi accettavano la propria responsabilità storica e morale e riconoscevano la propria colpa. Wieczorek-Zeul ammise an-che che quanto avvenuto nel Da-maraland rispondeva alla definizio-ne di genocidio. Anche Wieczorek-Zeul, tuttavia, rifiutò di concedere un indennizzo economico alla Na-mibia, sostenendo che i torti subiti dalla popolazione erano stati am-piamente ripagati con anni di aiuti economici stanziati a favore della Namibia (oltre 11 milioni di euro). 1915-1916 Armeni 200.000 - 2.000.000 Il 24 aprile 2010 è stato comme-morato il 95º Anniversario del Ge-nocidio Armeno. Negli anni fra il 1915 e il 1918 l'Im-pero Ottomano attuava il secondo e più noto genocidio mediante deportazione ed eliminazione di armeni ma aveva condotto (o al-meno tollerato) attacchi simili con-tro altre etnie, come gli Assiri e i Greci, e per questo alcuni studiosi credono che ci fosse un progetto di sterminio. Sul piano internazionale, ventuno stati fra cui l’Italia hanno già ufficialmente riconosciuto un genocidio negli eventi descritti. Rafael de Nogales Méndez (1879-1936), ufficiale di origine venezue-lana che ha servito nell'esercito ottomano, riportò un resoconto dettagliato dei massacri nel suo libro Quattro anni sotto la mezzalu-na. Nel periodo precedente la pri-ma guerra mondiale all'impero Ot-tomano era succeduto il governo dei «Giovani Turchi». Costoro te-mevano che gli armeni potessero allearsi coi russi, di cui erano nemi-ci. Il 1909 registrò un eccidio di almeno 30.000 persone nella regio-ne della Cilicia. Nel 1915 alcuni battaglioni armeni

Bambini Herero ai lavori forzati

Herero impiccati dopo essere stati denudati

Page 30: 12OPfebbraio12

30

dell'esercito russo cominciarono a reclutare fra le loro fila armeni che in precedenza avevano militato nell'esercito ottomano. Intanto l'e-sercito francese finanziava e arma-va a sua volta gli armeni, incitan-doli alla rivolta contro il nascente potere repubblicano. Nella notte tra il 23 e il 24 aprile 1915 vennero eseguiti i primi arresti tra l'élite armena di Costantinopoli. L'opera-zione proseguì l'indomani e nei giorni seguenti. In un solo mese, più di mille intellettuali armeni, tra cui giornalisti, scrittori, poeti e per-fino delegati al Parlamento furono deportati verso l'interno dell'Anato-lia e massacrati lungo la strada. Arresti e deportazioni furono com-piute in massima parte dai «Giovani Turchi». Nelle marce della morte, che coinvolsero 1.200.000 persone, centinaia di migliaia mori-rono per fame, malattia o sfinimen-to. Queste marce della morte furo-no organizzate con la supervisione di ufficiali dell'esercito tedesco in collegamento con l'esercito turco, secondo le alleanze ancora valide tra Germania e Impero Ottomano (e oggi con la Turchia) e si posso-no considerare come "prova gene-rale" ante litteram delle più note marce ai danni dei deportati ebrei durante la seconda guerra mondia-le. Altre centinaia di migliaia furono massacrate dalla milizia curda e dall'esercito turco. Le fotografie di Armin T. Wegner sono la testimo-nianza di quei fatti. Malgrado le controversie storico-politiche, un ampio ventaglio di analisti concorda nel qualificare questo accadimento come il primo genocidio moderno, e soprattutto molte fonti occidentali enfatizzano la "scientifica" programmazione delle esecuzioni. La maggior parte degli storici tende a considerare le motivazioni addot-te dai Giovani Turchi come propa-ganda, e a sottolinearne il progetto politico mirante alla creazione in Anatolia di uno Stato turco etnica-mente omogeneo. Altri studiosi,

sostenendo l'ine-sistenza di un progetto di geno-cidio, richiamano l'attenzione sul fatto che non tutti i numerosi armeni d'Istanbul furono coinvolti nel massacro e che non fu ap-prontato un pia-no sistematico di eliminazione pa-ragonabile a quello messo in pratica dai nazisti contro gli ebrei durante la Se-conda guerra mondiale. Il governo turco continua ancora oggi a rifiutare di riconoscere il ge-nocidio ai danni degli armeni ed è questa una delle cause di tensione tra Unione Europea e Turchia. Una recente legge francese punisce con il carcere la negazione del genoci-dio armeno. Per converso, già da tempo la magistratura turca puni-sce con l'arresto e la reclusione fino a tre anni il nominare in pubblico l'esistenza del genocidio degli ar-meni in quanto gesto anti-patriottico. In tale denuncia, co-munque ritirata, è incappato lo scrittore turco Orhan Pamuk, a se-guito di un'intervista ad un giornale svizzero in cui accennava al feno-meno. Il governo turco attuale sta favorendo l'apertura al riconosci-mento di questa pagina di storia, come dimostrato anche dalla ria-pertura di alcune chiese armene nel sud-est del paese (la zona cur-da) a Van e a Diyarbakır, su inizia-tiva del sindaco del BDP Osman Baydemir. I socialdemocratici del Partito Repubblicano e i nazionalisti tuttavia si oppongono tenacemente a questi cambiamenti. Va ricordato che l'apparente coe-renza di tesi da parte della storio-grafia turca contro l'esistenza del genocidio è dovuta in buona parte al clima di repressione che si respi-ra nel paese. Ad esempio, lo storico turco Taner Akçam, il primo a par-lare apertamente di genocidio, vie-ne arrestato nel 1976 e condanna-to a dieci anni di reclusione per i suoi scritti; l'anno successivo riesce a fuggire e a rifugiarsi in Germania; oggi lavora negli Stati Uniti, presso lo Strassler Family Center for Holo-

caust and Genocide Studies della Clark University, dopo essere stato Visiting Associate Professor of Hi-story alla University of Minnesota. Questa è la lista dei paesi che ad oggi hanno ufficialmente ricono-sciuto il genocidio: Argentina (2 leggi, 3 risoluzioni), Armenia, Bel-gio, Canada, Cile, Cipro, Francia, Grecia, Italia, Lituania, Libano, Pae-si Bassi, Polonia, Russia, Slovac-chia, Svezia, Svizzera, Uruguay, Vaticano, Venezuela. Inoltre, il Congresso degli Stati Uniti ha ap-provato a marzo 2010 una risolu-zione che chiede al presidente O-bama il riconoscimento di tale tra-gedia. L'esatto numero di morti è contro-verso. Le fonti turche tendono a minimizzare la cifra, quelle armene a gonfiarla. Fonti turche stimano il numero dei morti in 200.000, mentre quelle armene arrivano a 2.500.000. Talat Pasha, Gran Visir nel 1917-1918 e importante Giovane Turco, stima la cifra in 300.000 morti. Toynbee ritiene che i morti furono 600.000, come pure McCarthy. Gli storici stimano che la cifra vari fra i 500.000 e 2.000.000 di morti, ma il totale di 1.200.000/1.300.000 è quello più diffuso e comunemente accettato. 1915-1916 Assiri-Caldei-Seriaci 200.000 - 275.000 L'espressione Genocidio si riferisce alla deportazione ed eliminazione di cristiani della Chiesa Assira, della Chiesa ortodossa siriaca, della Chiesa cattolica Sira e della Chiesa cattolica Caldea compiuta nell'Im-pero ottomano dal governo dei Gio-

Bambini Armeni in campo profughi

Page 31: 12OPfebbraio12

31

vani Turchi. Si valuta che negli anni 1915-1916 furono massacrati non meno di 275.000 cristiani e, secon-do alcune fonti, fino a 750.000. I cristiani erano abitanti originari del luogo, essendo sempre vissuti nei territori della Turchia, della Siria e della Mesopotamia (l'odierno I-raq). Oltre ai cristiani, vivevano nel territorio ottomano comunità di Nestoriani e Neo-Aramaici. I massacri coinvolsero l'intero terri-torio dell'attuale Turchia, e si con-centrarono fondamentalmente sui più popolati territori orientali giun-gendo a colpire anche la regione di Urmia, in Persia. I fatti avvenuti a Van e relativa provincia, sono tra i maggiormente noti e documentati. Il massacro è assai meno noto del genocidio armeno e greco del qua-le è tuttavia contemporaneo. Il 26 marzo 2007, finalmente, se n'è discusso per la prima volta al Parlamento Europeo. In vista del-l'ingresso della Turchia nell'Unione Europea il negazionismo del gover-no turco ha creato difficoltà al ne-goziato. La Turchia continua tutto-ra a negare il genocidio ai danni degli assiri. Ultimamente i libri scolastici del land Brandeburgo (in Germania) e di Israele hanno eliminato l'argo-mento. 1915-1916 Greci dell'Asia Mi-nore 1.500.000 - 2.000.000 L'espressione genocidio dei greci del Ponto si riferisce alla storia dei greci del Ponto durante e dopo la prima guerra mondiale, tra 1914 e 1923. Che si tratti o meno di geno-cidio è oggetto di controversia tra la Turchia e la Grecia. Vari Stati americani hanno già votato risolu-zioni volte a riconoscerlo come ge-nocidio. Secondo la Ligue Internationale pour les Droits et la Libération des Peuples, tra 1916 e 1923, quasi 350.000 greci del Ponto furono uccisi mediante omicidi, impicca-gioni, fame e malattie. Secondo Ismail Enver, un consulente per l'esercito tedesco, il ministro turco della Difesa ha riferito nel 1915 che voleva "risolvere il problema gre-co ... allo stesso modo in cui pen-sava di aver risolto il problema ar-meno". Testimonianze scritte del genocidio greco si trovano nel libro di George Horton, console generale degli USA a Smirne nel 1922, e nel

libro di Henri Morgentaw, ambas-ciatore americano a Costantinopoli. Inoltre c'è l'opera letteraria di Elia Venezis Il numero 31328 (1931), ritenuto dall'autore come "il libro della schiavitù", dove descrive le sue esperienze nel momento in cui viene preso come ostaggio all'inter-no dell'Asia Minore. Dei 3000 os-taggi presi con lui, soltanto 23 so-pravvissero. Altre opere conosciute su questi dettagli sono La catas-trofe minorasiatica (Atene 1970) e Terre sanguinose (Atene 1989) di Dido Sotiríou, e Neanche il mio nome di Thea Halo. Secondo fonti greche il genocidio e il conseguente scambio di popola-zioni ha portato solo in Grecia, se-condo il censimento del 1928, 1.221.849 profughi su un totale di 6.204.684 abitanti (il 20% circa della popolazione totale). In questo numero si devono aggiungere i decessi dei profughi per stenti e il loro flusso migratorio dalla Grecia verso gli Stati Uniti dal 1922 al 1928, le vittime delle operazioni di pulizia etnica e i greci rifugiati in altri paesi del Mar Nero e del medi-terraneo. La Grecia, così come Cipro hanno ufficialmente riconosciuto il genoci-dio e nel 1994 ne hanno dichiarato il 19 maggio giornata commemora-tiva. Negli Stati Uniti d'America di-versi stati hanno adottato delle risoluzioni volte a riconoscere il genocidio. Tuttavia tali risoluzione non sono state recepite a livello federale. Anche l’Armenia ha mos-so i primi passi verso il riconosci-mento. Nel dicembre 2007 l'associazione denominata International Associa-tion of Genocide Scholars (IAGS), ha approvato a larga maggioranza una risoluzione in cui afferma che la campagna del 1914-1923 contro i greci dell'Impero Ottomano costi-tuì un genocidio. Da parte sua la Turchia rigetta il termine di genocidio rite-nendo inoltre che indire la giornata com-memorativa il 19 maggio sia un provocazio-ne poiché tale data coincide con una festa

nazionale turca. Il ministro degli Esteri turco, a seguito della procla-mazione della giornata del ricordo in Grecia, ha aggiunto anche delle accuse: “con questa risoluzione il Parlamento greco, che in realtà deve scusarsi con il popolo turco per i massacri perpetrati in Anato-lia, non solo sostiene la politica tradizionale greca di distorsione della storia, ma mostra anche che lo spirito espansionistico greco è ancora vivo.” 1 9 3 2 - 1 9 3 3 H o l o d o m o r (Ucraina) 1.500.000 - 10.000.000 Noto informalmente anche come Genocidio ucraino o Olocausto u-craino, è il nome attribuito alla ca-restia, non generata da cause na-turali, che si abbatté sul territorio dell'Ucraina negli anni dal 1929 al 1933 e che causò milioni di morti. Il termine Holodomor deriva dall'e-spressione ucraina moryty holodom (Морити голодом), che significa "infliggere la morte attraverso la fame". In Ucraina, il giorno ufficiale di commemorazione dell'Holodomor è il quarto sabato di novembre. Prendendo come riferimento la de-finizione giuridica di genocidio e le diverse testimonianze storiche rac-colte dagli anni Trenta a questa parte, si può definire il fenomeno come un genocidio provocato dal regime sovietico, guidato all'epoca da Iosif Stalin. Nel marzo 2008 il parlamento dell'Ucraina e 19 nazio-ni indipendenti hanno riconosciuto le azioni del governo sovietico nel-l'Ucraina dei primi anni Trenta co-me atti di genocidio. Una dichiara-zione congiunta dell'ONU del 2003 ha definito la carestia come il risul-tato di politiche e azioni “crudeli” che provocarono la morte di milioni di persone. Il 23 ottobre 2008 il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione nella quale ha rico-

Page 32: 12OPfebbraio12

32

nosciuto l'Holodomor come un cri-mine contro l'umanità. Nella seconda metà degli anni '20 del XX secolo, Stalin decise di av-viare un processo di trasformazione radicale della struttura economica e sociale dello stato sovietico, allo scopo di fondare un'economia e una società completamente regola-te. Le terre meridionali erano quel-le più produttive dal punto di vista agricolo: agli inizi del XX secolo l'Ucraina forniva oltre il 50% della farina di tutta la Russia imperiale. Secondo il progetto del regime, la ricchezza prodotta dall'agricoltura doveva essere interamente trasferi-ta all'industria, il vero motore del-l'economia pianificata. Affinché il processo si realizzasse compiuta-mente, le terre e tutta la produzio-ne dovevano passare sotto il con-trollo dello stato. Nel 1927 fu av-viato il processo di accorpamento degli appezzamenti in cooperative agricole (Kolchoz) o in aziende di stato (Sovchoz), che avevano l'ob-bligo di consegnare i prodotti al prezzo fissato dallo stato. Ma l'U-craina aveva una lunga tradizione di fattorie possedute individual-mente. I piccoli imprenditori agrico-li (Kulaki) costituivano la compo-nente più indipendente del tessuto sociale ed economico locale. L'azio-ne dello stato ebbe in Ucraina ef-fetti particolarmente drammatici. Sulla popolazione contadina ucrai-na si concentrò l'azione coercitiva dello stato sovietico, che non rinun-ciò al sistematico ricorso alla vio-lenza per attuare il suo piano di trasformazione della società. La strategia fu attuata in due periodi successivi: nel primo periodo dal 1929 al 1932 furono varate due misure, dette “collettivizzazione” e “dekulakizzazione”. La prima comportò la fine della proprietà privata della terra. Tutti gli agricoltori dovettero trovare un impiego nelle fattorie collettive cre-ate dal partito. La “dekulakizzazione” significò l'eli-minazione fisica o la deportazione nelle regioni artiche di milioni di contadini. Queste misure furono contenute nel primo piano quin-quennale, approvato in una riunio-ne del Partito comunista sovietico nel dicembre 1929; Nel secondo periodo fra gli anni 1932-1933 vennero attuate misure governative tali da mettere in gi-

nocchio la popolazione sopravvissu-ta, quali: la requisizione totale di tutti i generi alimentari; l'obbligo di cedere allo stato quantità di grano talmente elevate da non lasciare ai produttori neanche il minimo ne-cessario per il loro stesso sostenta-mento. I contadini, compresi i kulaki, si opposero fermamente alla colletti-vizzazione, imboscando le derrate alimentari, macellando il bestiame ed anche utilizzando le armi. Stalin reagì ordinando eliminazioni fisiche e deportazioni di massa nei campi di lavoro; questi provvedimenti colpirono milioni di contadini. "Per eliminare i kulaki come classe non è sufficiente la politica di limi-tazione e di eliminazione di singoli gruppi di kulaki [...] è necessario spezzare con una lotta aperta la resistenza di questa classe e privar-la delle fonti economiche della sua esistenza e del suo sviluppo". (Josif

Stalin) Contrariamente alle aspettative del governo, la collettivizzazione fu alquanto impopolare tra la popola-zione rurale. Fintanto che essa fu volontaria, infatti, pochi vi aderiro-no; il regime iniziò quindi a porre pressioni sui contadini e, per acce-lerare il processo, furono inviati in campagna, tra il 1929 e il 1930, decine di migliaia di funzionari go-vernativi. Contemporaneamente, "venticinquemila" lavoratori dell'in-dustria, perlopiù devoti bolscevichi,

dustria, perlopiù devoti bolscevichi, furono inviati dalle città nelle cam-pagne per aiutare a condurre le fattorie e combattere le forme di resistenza attiva e passiva, lotta che fu eufemisticamente denomi-nata "dekulakizzazione". Nella sua opera di propaganda, il partito co-munista sovietico additò i contadini alla pubblica esecrazione come “classe sociale” privilegiata. Ma negli anni attorno al 1930 i kulaki non esistevano più, essendo scom-parsi come tipologia sin dal 1918. Con tale appellativo si definiva in realtà chiunque possedesse almeno due o tre mucche. I contadini op-posero una strenua resistenza all'e-sproprio dei loro beni. L'opposizione prese all'inizio la for-ma dell'abbattimento del bestiame e dei cavalli, piuttosto che vederli collettivizzati: “[...] Tra il 1928 e il 1933, il numero dei cavalli si ridus-se da quasi 30.000.000 a meno di 15.000.000; da 70.000.000 di bovi-ni, di cui 31.000.000 vacche, si passò a 38.000.000, di cui 20.000.000 vacche; il numero dei montoni e delle capre diminuì da 147.000.000 a 50.000.000 e quello dei maiali da 20.000.000 a 12.000.000.[...] Alcuni contadini assassinarono funzionari locali, in-cendiarono le proprietà della collet-tività e arrivarono a bruciare le pro-prietà della collettività. Altri, e in numero ancora maggiore, si rifiuta-rono di seminare e di raccogliere.” Con l'accusa falsa di rubare il grano ed opporsi alle misure del regime, migliaia di kulaki vennero arrestati e poi deportati insieme alle loro famiglie nei gulag siberiani. Il ter-mine kulak fu applicato a chiunque resistesse alla collettivizzazione. Negli anni Quaranta Stalin disse al primo ministro inglese Winston Churchill che erano stati messi sot-

Page 33: 12OPfebbraio12

33

"la gran massa era stata annienta-ta", mentre circa un terzo fu man-dato nei campi di lavoro. Ci sono documenti che provano che circa 300.000 ucraini ne subirono le con-seguenze nel 1930-31. Malgrado la riduzione di ren-dimento, le autorità sovieti-che richiesero un sostanziale incremento del raccolto nel 1932, portandolo ad un o-biettivo irrealizzabile. Il 7 agosto 1932 il governo di Mosca introdusse la pena di morte per il furto allo Stato o alla proprietà collettiva includendo, tra i reati, anche l'appropriazione da parte di un contadino di grano per uso personale. A settembre il Poli-tburo approvò delle misure che riducevano la pena a dieci anni di detenzione per i casi meno gravi, limitando la pena di morte ai casi di furti sistematici di cibo. Malgrado ciò, alla fine di ottobre Mosca ricevette soltanto il 39% del grano richiesto. Quando divenne chiaro che la spedizione di grano non avrebbe raggiunto le aspettati-ve del governo, la riduzione del rendimento agricolo fu imputata ai kulaki, ai nazionalisti e ai "Petluravisti". Secondo un rapporto della Corte Suprema degli Stati Uniti, nel 1932 oltre 103.000 perso-ne furono condannate in base al decreto del 7 agosto; di queste, 4.880 furono giustiziate, mentre 26.086 furono condannate a dieci anni di prigione. Le condanne a morte colpirono principalmente i kulaki mentre la maggior parte del-le condanne a dieci anni riguarda-rono i contadini che non lo erano. Una speciale commissione capeg-giata da Vjačeslav Molotov fu invia-ta in Ucraina per sorvegliare la re-quisizione del grano ai contadini. Il 9 novembre 1932 un decreto se-greto ordinò alla polizia e alle forze di repressione di aumentare la loro "efficacia". Molotov ordinò anche di non lasciare grano nei villaggi u-craini e di confiscare anche barba-bietole, patate, verdure ed ogni tipo di cibo. Il 6 dicembre furono imposte le seguenti sanzioni ai vil-laggi ucraini: - divieto di conservare nei villaggi alcun bene o cibo: il cibo o il grano trovato sarebbe stato requisito, - divieto di commercio e confisca di tutte le risorse finanziarie. Fre-

quentemente, delle "brigate d'as-salto" effettuavano incursioni nelle fattorie per portar via il grano rac-colto, senza tener conto del fatto che ai contadini rimanesse cibo sufficiente per nutrirsi e senza ac-

certarsi che conservassero sementi per la semina successiva. Tutto ciò, combinato col divieto di commercio e la quarantena armata imposta dalle truppe dell'NKVD ai confini dell'Ucraina, trasformò il paese in un gigantesco campo di sterminio. La carestia del 1932-33 In pochi mesi la campagna ucraina, una delle più fertili regioni al mon-do, fu lo scenario nel quale imper-versò una terribile carestia. La pe-nuria alimentare colpì soprattutto la popolazione che viveva nelle cam-pagne. A paragone della preceden-te carestia russa del 1921-1923, causata dalla concomitanza delle requisizioni e della siccità, e di quella successiva del 1947, la care-stia del 1932-1933 in Ucraina non fu causata da un collasso infra-strutturale, né fu un effetto a lunga distanza della prima guerra mon-diale, ma fu un deliberato atto poli-tico e una decisione amministrati-va. Il governo sovietico negò gli iniziali rapporti sull'evento e impedì ai giornalisti stranieri di viaggiare nella regione. Alcuni autori affer-mano che "il Politburo e i comitati del Partito regionale si impegnaro-no affinché fossero prese azioni immediate e decisive contro la ca-restia cosicché gli agricoltori non avessero a soffrire; da parte loro, i comitati di Partito dei singoli di-stretti avrebbero dovuto fornire latte ad ogni bambino e perseguire chiunque mancasse di mobilitare le risorse per sfamare o ospitare le vittime della carestia". Nell'agosto 1932 fu stabilita la pena di dieci anni di prigione per qualunque fur-to di cereali, di qualsiasi entità. La realtà fu molto differente, se-

condo il racconto di migliaia di te-stimoni oculari. Le masse di bambi-ni in fuga dalle campagne furono arrestate e deportate nei "collettori" e negli orfanotrofi, dove morirono in poco tempo di malnu-

trizione. Lo stato sovietico tentò, ad un certo livello, di limitare gli effetti della carestia, autorizzan-do l'utilizzo di un totale di 320.000 tonnellate di grano per uso alimentare. Le esportazioni di grano continuarono nel 1932-33, tuttavia, anche se a un livel-lo significativamente inferiore agli anni precedenti. Per prevenire il diffondersi di informazioni sulla carestia furo-no proibiti viaggi dalla regione

del Don, dall'Ucraina, dal Caucaso settentrionale e dal Kuban con le direttive del 22 gennaio 1933 (firmate da Molotov e Stalin) e del 23 gennaio (direttiva congiunta del Comitato Centrale del Partito e del Sovnarkom). Le direttive afferma-vano che i viaggi "per il pane" da queste aree erano organizzati da nemici dell'Unione Sovietica con lo scopo di fomentare agitazioni nelle aree settentrionali dell'URSS contro le fattorie collettive; pertanto i bi-glietti ferroviari dovevano essere venduti soltanto dietro permesso dei comitati esecutivi (ispolkom) e chiunque fosse diretto a nord dove-va essere arrestato. Ciò contribuì ad aggravare il disastro. Nel frattempo Stalin stava anche centralizzando il potere politico in Ucraina. Nel gennaio del 1933, in seguito alle lamentele da parte del Partito riguardanti i disastrosi effet-ti della collettivizzazione forzata, egli mandò Pavel Postyshev in U-craina come vicesegretario, insieme a migliaia di funzionari russi. Po-styshev eliminò tutti i funzionari ucraini contrari alla collettivizzazio-ne o che avevano appoggiato l'u-crainizzazione degli anni '20, seb-bene alcuni sopravvissero, come Stanislav Kosior e Vlas Chubar. Nell'annata 1933 le scorte di grano disponibili per la popolazione rurale erano ridotte, ma grazie alle buone condizioni climatiche della stagione, la mietitura del 1932-33 fu suffi-ciente ad evitare l'aggravarsi della carestia. Nonostante ciò in prima-vera le requisizioni di grano furono ulteriormente incrementate, poiché le città si trovarono in difficoltà. Allo stesso tempo continuarono

Page 34: 12OPfebbraio12

34

però le esportazioni, sebbene ad un livello ridotto. Le esportazioni erano viste come necessarie dal governo sovietico per ottenere va-luta pregiata con cui rafforzare l'in-dustrializzazione. La popolazione rispose a questa situazione con un'intensa opera di resistenza civi-le, che però non divenne mai orga-nizzata su vasta scala, anche per la bassa densità della popolazione rurale dell'Ucraina. Inoltre le autori-tà sovietiche replicarono aspramen-te ad ogni manifestazione di dis-senso, deportando spesso intere comunità. Un alto funzionario ebbe a dire a un cittadino ucraino, che il raccolto del 1933 «fu una prova della nostra forza e della loro resi-stenza. Ci è voluta una carestia per dimostrare loro chi è il padrone qui. È costata milioni di vite, ma il siste-ma delle fattorie collettive deve restare. Noi abbiamo vinto la guer-ra». Nei 13 anni tra il 1926 e il 19-39, la popolazione dell'Ucraina, invece di aumentare, si ridusse da 31 a 28 milioni. Il congresso Canadese-Ucraino del 2005 riconobbe l'Holodomor come genocidio di oltre 7 milioni di per-sone. Mentre il corso degli eventi, così come le cause sottostanti, può essere tuttora oggetto di dibattito, nessuno nega il fatto che milioni di persone morirono d'inedia, o co-munque non di cause naturali, fra il 1932 e il 1933. L'Unione Sovietica ha negato a lungo che ci sia mai stata una carestia e gli archivi del-l'NKVD (e più tardi del KGB) relativi all'Holodomor sono stati aperti con riluttanza. Oggi il numero di vittime ricono-sciuto ufficialmente è di 7 milioni. Il ministro degli esteri ucraino dichia-rò alla 61a assemblea delle Nazioni Unite che le vittime furono tra i 7 ed i 10 milioni. Ricerche indipendenti stimano le vittime tra 1,5 e 10 milioni. Secon-do Stanislav Kulchytsky, moderni metodi di calcolo indicano una cifra compresa tra 3 e 3,5 milioni di morti. Il numero esatto di vittime rimane sconosciuto e probabilmen-te non sarà mai noto. La comunità internazionale sta gra-dualmente prendendo posizione sul riconoscimento dell'Holodomor co-me genocidio, o più in generale, come crimine contro l'umanità. Nel quadro delle organizzazioni internazionali, vanno elencate le

risoluzioni adottate da: Assemblea del Baltico, Assemblea Generale delle Nazioni Unite, Consiglio d'Eu-ropa, OSCE, Parlamento Europeo e l'UNESCO. Per quanto riguarda le singole na-zioni, riconoscimenti espliciti sono giunti da parlamenti, capi di gover-no e capi di stato. L'elenco aggior-nato comprende: Andorra, Argen-tina, Australia, Brasile, Canada, Cile, Città del Vaticano, Colombia, Ecuador, Estonia, Georgia, Italia, Lettonia, Lituania, Messico, Para-guay, Perù, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Spagna, Ucraina, Ungheria, Stati Uniti d'America 1941-1945 Olocausto 1-3.000.000 - 20.000.000 (di cui 6.000.000 Ebrei) Su questo genocidio abbiamo dedi-cato in altra parte di questo nume-ro un servizio 1949-1976 Rivoulzione Cinese e Mao Tse-tung 20.000.000 - 80.000.000 Nella Cina di Mao Zedong vennero intrapresi progetti di industrializza-zione forzata su grande scala, fina-lizzati alla costruzione di una mo-derna infrastruttura nazionale. Tra il 1950 ed il 1952 un numero eleva-tissimo di proprietari terrieri venne di fatto sterminato; si trattava di grandi possidenti, ma anche e so-prattutto di piccoli contadini pro-prietari; ancora oggi il numero del-le vittime è contestato: Mao stesso li quantificava in almeno 800.000 ma secondo gli storici esso va da alcuni milioni a diverse decine di milioni. Nel 1958, Mao lancia il "grande balzo in avanti", un piano inteso come modello alternativo per la crescita economica, il quale con-traddiceva il modello sovietico ba-sato sull'industria pesante che veni-va sostenuto da altri all'interno del Partito. In base a questo program-ma economico l'agricoltura cinese sarebbe stata collettivizzata e sa-rebbe stata incentivata la piccola industria rurale a base collettivista; l'intenzione era cioè di compiere una rapidissima industrializzazione del paese, convertendo i contadini in operai. Nel mezzo del grande balzo, Khrushchev ritirò il supporto tecnico sovietico, non condividendo le idee economiche di Mao. Il gran-de balzo finì nel 1960, dopo che la

scarsità di generi alimentari afflisse sia la città natale del presidente che la stessa Shaoshan. Sia in Cina che fuori, il Grande Balzo in Avanti è unanimemente riconosciuto come una politica disastrosa che causò la morte di milioni di persone, falciate non solo dalla fame, ma anche dal-le operazioni militari poste in esse-re dell'esercito per controllare le ribellioni dei piccoli proprietari ter-rieri. Secondo il governo cinese, morirono 14 milioni di persone nei due anni del Grande Balzo in Avan-ti, ma al di fuori della Cina tale nu-mero è considerato una sottostima, e si tende a credere che il totale delle vittime sia di 30 milioni di per-sone, un numero doppio rispetto alle vittime causate dalla seconda guerra sino-giapponese. Le stime del numero di vittime totali del pe-riodo 1949-1976 sono molto discor-danti fra loro e variano da 20 a 80 milioni: comprendono da 2 a 5 mi-lioni di contadini durante il terrore della riforma agraria nel 1951-1952, da 20 a 40 milioni per la ca-restia del 1959, alcuni milioni per i laogai (campi di lavoro forzato) e da 1 a 3 milioni per la Rivoluzione Culturale. 1975-1979 Cambogia, massa-cri degli Khmer Rossi 1.000.000 - 2.200.000 Kampuchea Democratica è stato il nome ufficiale della Cambogia tra il 1976 e il 1979, mentre erano al potere i Khmer Rossi di Pol Pot, inizialmente il dittatore riuscì ad accattivarsi molte simpatie tra gli intellettuali della Sinistra occidenta-le e in particolare europea, grazie agli anni di studi trascorsi a Parigi in cui acquisì il suo radicalismo an-ti-imperialismo opposto agli 'odiati' Stati Uniti, ma soprattutto grazie al buio totale che calò sulla Kampu-chea Democratica. È però vero che più di un governo occidentale era al corrente di ciò che avveniva nel Paese (l'allora

Pol Pot agli arresti

Page 35: 12OPfebbraio12

35

Germania Est, ad esempio, produs-se documentari filmati molto cri-tici nei riguardi del regime di Pol Pot, i quali con-tenevano prove evidenti dei mas-sacri in atto).

Tuttavia, dopo la caduta del regime, diffusi i primi resoconti del reale stato della Cam-bogia, la situazione si rovesciò. Carestie, purghe politiche e massa-cri di civili inermi più una guerra scatenata contro il Vietnam e persa rovinosamente produssero un vero e proprio genocidio. Campi di con-centramento e di sterminio come quello di Choeung Ek, in cui si sup-pone siano state soppresse 10.000 persone e terribili prigioni come l’ S-21, l'ex liceo della capitale, Tuol Sleng, in cui morirono quasi 20.000 persone, tra cui 2.000 bambini co-stellavano l'intero Paese. Le esecuzioni molto spesso veniva-no realizzate attraverso metodi estremamente cruenti, infliggendo indicibili torture alle vittime, anche bambini, picchiandole, bastonando-le o accoltellandole a morte, altre volte si ricorreva al soffocamento per mezzo di un sacchetto di plasti-ca in cui veniva infilata la testa del condannato, oppure a colpi di zap-pa sul cranio, od ancora versando gasolio nella vagina delle donne ed appiccando il fuoco. Quasi mai ve-nivano utilizzate pallottole, conside-rate troppo preziose per tali scopi. Alcuni testimoni cambogiani e stra-nieri, tra i quali il segretario del-l'ambasciata francese Denise Affon-co, descrissero terribili episodi di cannibalismo ai danni di adulti e bambini, che sarebbero stati spesso sventrati ancora vivi allo scopo di divorarne il fegato cotto o la cisti-

fellea essiccata (considerata curati-va nella medicina tradizionale khmer), o ancora di berne la bile. Sempre secondo alcune testimo-nianze, le cistifellee essiccate delle vittime venivano anche vendute come farmaco in Cina. Tra le guar-die sarebbe stata diffusa la pratica di mutilare orrendamente i condan-nati prima di ucciderli, recidendo ad esempio loro le orecchie, e co-stringendoli poi ad ingerirle, men-tre i resti umani sarebbero stati frequentemente utilizzati come fer-tilizzante nei campi. Agli stranieri era severamente vie-tato l'ingresso nel Paese, soprattut-to agli occidentali, e coloro che hanno infranto tale divieto sono stati eliminati senza lasciare alcuna traccia. Tra di essi vi furono anche vietnamiti, laotiani, indiani, pakista-ni, britannici, statunitensi, francesi, neozelandesi e australiani. Il numero totale dei morti tra il 19-75 e il 1979 per esecuzioni, prigio-nie, carestie, epidemie, cattive con-dizioni di vita e episodi di pulizia etnica, principalmente ai danni del-l'etnia vietnamita, è conteso. Il governo pro-vietnamita successi-vo alla caduta di Pol Pot indicò una cifra di 3,1 milioni. Lon Nol sosten-ne che i morti fossero 2 milioni e mezzo. Il sacerdote François Pon-chaud suggerì una cifra di 2,3 mi-lioni, ma in questa cifra sono inclu-se 600.000 persone morte prima dell'ascesa dei Khmer Rossi. L'Uni-vers i tà Ya le ne l progetto "Cambodian Genocide Program", indica una cifra di 1,7 milioni. Am-nesty International invece propen-de per un numero inferiore, di 1,4 milioni di morti. Il Governo degli Stati Uniti, che però, va sottolinea-to, dopo il 1979 addirittura suppor-tò i Khmer Rossi in funzione anti-sovietica, rappresentò la fonte uffi-ciale che in Occidente sostenne la

cifra più bassa: 1,2 mi l ion i . Khieu Samphan optò per 1 milio-ne, mentre Pol Pot fornì un'indi-cazione di circa 800.000 morti. Quella comune-mente menzio-nata è di circa 2 milioni di morti. Dopo la caduta della Kampuchea

Democratica furono scoperti testi-moni, foto, archivi e fosse comuni comprovanti il genocidio. Secondo alcune testimonianze, nei discorsi alla radio, interamente controllata dal governo Pol Pot e i suoi funzionari proclamavano aper-tamente frasi quali: "Basta un mi-lione o due di buoni rivoluzionari per costruire la nostra utopia co-munista. Quanto agli altri, tenervi non comporta alcun beneficio, eli-minarvi non comporta alcuna perdi-ta". Non è quindi da escludersi che, coerentemente con la filosofia che governò le deportazioni dalle città alle campagne, il regime ritenesse la nazione "sovraffollata", e dunque auspicabile ridurne la popolazione, anche per mezzo di omicidi di mas-sa, da circa 7 milioni ad 1 milione. Va però sottolineato che la maggio-ranza delle morti fu provocata dalle carestie, dalle malattie e dalle guerre dovute alla fallimentare poli-tica del regime, e non direttamente dalle pur sempre massicce opere di epurazione, liquidazione dei pre-sunti oppositori e pulizia etnica. All'immediato calo della popolazio-ne evidenziato nei primi anni di dominio dei Khmer Rossi avevano prece-d e n t e m e n t e contribuito in modo determi-nante la guerra del Vietnam e le brutali azioni repressive di Lon Nol. Nono-stante ciò, le persone uccise sono calcolate in centinaia di migliaia. Le stime arrivano fino ad 1 milione. La CIA stimò inoltre tra 50.000 e 100.000 le persone uccise non im-mediatamente, ma a seguito di un periodo di detenzione e orribili tor-ture. Nonostante le pratiche brutali siano sempre state molto numerose e ampiamente avallate e promosse dalle alte sfere nelle aree controlla-te dai Khmer Rossi, alcuni analisti e alcune testimonianze dirette evi-denziano che le purghe più cruente si verificarono solo a partire dal 1977, quando la contrapposizione tra la fazione filo-vietnamita e quel-la nazionalista di Pol Pot, tenuta fino ad allora nascosta, culminò in una rivolta e in un complotto con-tro la leadership, repressi nel san-

Pol Pot leader

Vittima dei Kmer Rossi

Ossa delle vittime dei Kmer rossi

Page 36: 12OPfebbraio12

36

gue nel 1978. Questo segnò una forte regressio-ne economica, politica e sociale del Paese, che piombò nella più totale anarchia, situazione a cui il regime pose rimedio con estrema radicali-tà, ponendo cioè in atto una para-noica "caccia alle streghe" contro il "Khmang Siroung ptie khnong" (il "Nemico Interno") e quei crudeli massacri di civili furono tra le cause della sua caduta. Ma l’elenco dei genocidi non finsice qui ricordiamo anche: 1975-2002 Timor Est: stragi indonesiane nella regione occupa-ta, il cui apice si raggiunse apice con il Massacro di Dili e con atti di violenza a seguito del referendum per l'indipendenza si stimano fra le 60.000 e le 200.000 vittime; 1991-1993 Georgiani in A-bkhazia vittime 10.000 - 30.000; 1994 Ruanda 800.000 - 1.050.000 1992-1995 Bosnia-Erzegovina apice fu il Massacro di Srebrenica 93.837 morti accertati. 2003-2007 Darfur fra le 200.000 e le 400.000 vittime. E gli Italiani? Per quanto riguarda l’Italia segna-liamo episodi di genocidio di civili durante le guerre coloniali in Libia ed Africa orientale. Secondo Angelo del Boca uno storico del coloniali-smo italiano che nel suo libro, “Italiani, brava gente?”, ci racconta che erano regola le “Deportazioni di massa, bombardamenti con bombe di iprite, campi di concen-tramento, rappresaglie indiscrimi-nate, stragi di civili, confisca di beni e terreni.” Uno degli episodi più gravi fu il massacro nella città santa di Debre Libanos dove nel maggio 1937 fu-rono uccise quasi duemila persone, in gran parte preti, sacerdoti e pel-legrini. Un’altra strage dimenticata che riaffiora insieme agli orrori commessi dall’esercito italiano in Etiopia. La “foiba” abissina scoper-ta da uno studioso di Torino, Mat-teo Dominioni e raccontata il 22-5-2006 da Repubblica. Tra il 9 e l’11 aprile 1939 a Debra Brehan, 100 chilometri a nord di Addis Abeba, furono fucilati e avvelenati con i gas centinaia di guerriglieri che si erano rifugiati in una grotta insie-me alle loro famiglie. Donne, vec-chi, bambini. Mille morti, almeno.

«Ed è soltanto uno dei tantissimi massacri che devono essere piena-mente indagati». Nel massacro di Debra Bre-han furono usati contro la popolazione gas e persino lanciafiamme. Dopo la proclamazione dell'Impero, il mare-sciallo Badoglio fu ri-chiamato in Italia e passò le consegne a Graziani, nel frattempo promosso Maresciallo d'Italia. Il 20 maggio 1936, l'ufficiale ciociaro fu investito del triplice incarico di viceré, governatore generale e co-mandante superiore delle truppe. Rispettivamente in data 5 giugno e 8 luglio 1936, Mussolini telegrafò a Graziani, dal Ministero delle Colo-nie, i seguenti ordini: "Tutti i ribelli fatti prigionieri devono essere pas-sati per le armi" e "Autorizzo anco-ra una volta V.E. a iniziare e con-durre sistematicamente politica del terrore et dello sterminio contro i ribelli et le popolazioni complici stop. Senza la legge del taglione ad decuplo non si sana la piaga in tempo utile. Attendo conferma". Il 19 febbraio 1937 il viceré Grazia-ni invitava nel suo palazzo di Addis Abeba la nobiltà etiope per festeg-giare la nascita del principe di Na-poli e per l'occasione decideva di distribuire una elemosina ad invali-di del luogo (ciechi, storpi, zoppi). Ma un fallito attentato al viceré che causò nove morti e una cin-quantina di feriti, tra cui lo stesso Graziani, scatenò immediatamente la rappresaglia, da parte degli oc-cupanti italiani. Il giornalista Ciro Poggiali affermò: “Tutti i civili che si trovavano in Addis Abeba hanno assunto il com-pito della vendetta, condotta fulmi-neamente coi sistemi del più auten-tico squadrismo fascista. Girano armati di manganelli e di sbarre di ferro, accoppando quanti indigeni si trovavano ancora in strada. Vedo un autista che, dopo aver abbattu-to un vecchio negro, gli trapassa la testa da parte a parte con una baionetta. Inutile dire che lo scem-pio si abbatte contro gente ignara e innocente.” Il 21 febbraio Mussolini inviava a Graziani questo telegramma: “Nessuno dei fermi già effettuati e

di quelli che si faranno dovrà essere rilasciato senza mio ordine. Tutti i civili e religiosi co-munque sospetti devo-no essere passati per le armi e senza indugi. Attendo conferma.” A tale ordine, Graziani rispondeva con succes-sivo telegramma: “Dal giorno 19 at oggi sono state eseguite trecento-ventiquattro esecuzioni sommarie tuttavia con colpabilità sempre di-scriminata e comprova-

ta (ripeto trecentoventiquattro). Senza naturalmente comprendere in questa cifra le repressioni dei giorni diciannove e venti febbraio. Ho inoltre provveduto a inviare nel campo di concentramento colà esi-stente fin dalla guerra numero mil-lecento persone fra uomini, donne e ragazzi” Dal 30 aprile 1937, in base ai rap-porti ufficiali, le esecuzioni passaro-no a 710, il 5 luglio a 1.686, il 25 luglio a 1.878 e il 3 agosto a 1.918. Dalla relazione del colonnello Azzo-lino Hazon, comandante dei carabi-nieri in Etiopia, si evince che i soli carabinieri passarono per le armi 2.509 indigeni, tra febbraio e mag-gio 1937. Il numero esatto delle vittime della repressione è tra i 1.400 e i 6.000 per inglesi, francesi e americani, di 30.000 per gli etio-pi. Il fatto che i due autori dell’attenta-to del 19 febbraio – peraltro due eritrei – fossero stati temporanea-mente ospitati nella città conven-tuale di Debra Libanos, nello Scioa,

Seguenze di una fucilazione di massa in Grecia

Foto di una fucilazione in un villaggio occupato

Page 37: 12OPfebbraio12

37

convinse Gra-ziani della correità dei monaci cri-stiani di rito copto ivi ospi-tati; inviò per-tanto un tele-gramma del seguente te-nore al gene-

rale Pietro Maletti: “ (l’avvocato militare Franceschino) Ha raggiunto la prova assoluta del-la correità dei monaci del convento di Debra Libanos con gli autori del-l’attentato. Passi pertanto per le armi tutti i monaci indistintamente, compreso il vice-priore” Maletti era partito il 6 maggio da Debre Berhan e, stando ai rapporti da lui stesso redatti, attraversando la regione del Menz, le sue truppe avevano incendiato 115.422 tucul, tre chiese, il convento di Gulteniè Ghedem Micael, dopo averne fuci-lato i monaci, e sterminato 2.523 partigiani etiopi. La sera del 19 maggio Maletti aveva circondato Debra Libanos: il grande monaste-ro risalente al XIII secolo, era stato fondato dal santo cristiano Tecle Haymanot e comprendeva due grandi chiese e i modesti tucul ove abitavano monaci, preti, diaconi, studenti di teologia e suore. Maletti provvide nella stessa gior-nata a cercare un luogo adatto per il brutale massacro. Il successivo 21 maggio Maletti trasferì nella piana di Laga Wolde, chiusa a o-vest da cinque colline e a est dal fiume Finche Wenz, tutti i religiosi. Le esecuzioni si protrassero sino alle 15:30 del pomeriggio e investi-rono 297 monaci, incluso il vice priore, e 23 laici sospettati di con-nivenza, risparmiando i giovani diaconi, i maestri e altro personale d’ordine, che furono trattenuti. Ma tre giorni dopo Graziani inviava a Maletti una nuova direttiva: “Confermo pienamente la respon-sabilità del convento di Debrà Liba-nòs. Ordino pertanto di passare immediatamente per le armi tutti i diaconi. Assicuri con le parole: “Liquidazione completa”. Il nuovo massacro fu eseguito in località Engecha, a pochi chilometri da De-bre Berhan, e nella mattina del 26 maggio furono sterminati altri 129 diaconi. In totale, dunque, la cifra dei religiosi massacrati fu di 449.

L’orrendo massacro scatenò una rivolta nella regione etiope del La-sta, a partire dall'agosto 1937, per stroncare la quale Graziani impartì i seguenti ordini: “La rappresaglia deve essere effet-tuata senza misericordia su tutti i paesi del Lasta... Bisogna distrug-gere i paesi stessi perché le genti si convincano della ineluttabile neces-sità di abbandonare questi capi... lo scopo si può raggiungere con l'im-piego di tutti i mezzi di distruzione dell'aviazione per giornate e gior-nate di seguito essenzialmente a-doperando gas asfissianti.” Generale Graziani “Nella giornata di oggi aviazione compia rappresaglia di gas asfis-sianti di qualsiasi natura su zona dalla quale presumesi Uondeossen abbia tratto armati senza distinzio-ne fra sottomessi e non sottomessi. Tenga presente V.E. che agisco in perfetta identità di vedute con S.E. Capo Governo” (telegramma di Graziani al generale Alessandro Pirzio Biroli) Graziani, alla fine dell'anno, verrà sostituito con il Duca d'Aosta Ame-deo. “Spesso mi sono esaminato la co-scienza in relazione alle accuse di crudeltà, atrocità, violenze che mi sono state attribuite. Non ho mai dormito tanto tranquillamente quanto le sere in cui questo esame mi è accaduto di fare. So dalla Sto-ria di tutte le epoche che nulla di nuovo si costruisce se non si di-strugge in tutto o in parte un pas-sato che non regge più al presen-te.” Nell'Africa Italiana si contavano diversi campi di prigionia (16 in Libia, 1 in Eritrea, 1 in Somalia). Nei campi vennero inviate sia le tribù allontanate dal Gebel Acdar sia gli indigeni appartenenti a tribù seminomadi vaganti attorno alle oasi o all'interno. Nei 4 campi di rieducazione veniva-no inviati giovani appartenenti a tribù più evolute per addestrarli come funzionari indigeni impiegati nell'amministrazione coloniale. Infine nei tre campi di punizione venivano inviati tutti coloro che avevano commesso reati o ostaco-lato l'occupazione italiana. Dalla testimonianza di un soprav-vissuto, Reth Belgassen recluso ad Agheila: “Dovevamo sopravvivere con un

pugno di riso o di farina e spesso si era troppo stanchi per lavorare... ricordo la miseria e le botte... Le nostre donne tenevano un recipien-te nella tenda per fare i bisogni... avevano paura di uscire rischiavano di essere prese dagli etiopi o dagli italiani… le esecuzioni avvenivano... al centro del campo e gli italiani portavano tutta la gente a guarda-re. Ci costringevano a guardare mentre morivano i nostri fratelli. Ogni giorno uscivano 50 cadaveri.” Alla fine degli anni Cinquanta, quando sono state ristabilite le re-lazioni tra l’Italia e l’Etiopia, il no-stro governo costruì una diga e versò dei soldi come risarcimento più che altro simbolico per i 300.000 morti della guerra non sarà stato granché molto ma fu comunque un riconoscimento. Il 23 ottobre 1911, nel corso della guerra per la conquista della Libia, due compagnie di bersaglieri furo-no accerchiate ed annientate nei pressi dell’oasi di Sciara Sciat. L’o-perazione si era conclusa con epi-sodi di incredibile brutalità da parte dei libici, che provocarono la morte di 21 ufficiali e 428 soldati italiani di truppa. In aggiunta alla rappre-saglia, nel corso della quale furono uccisi almeno un migliaio di arabi (altre fonti europee e libiche ne contarono circa 4.000), si dispose la deportazione in Italia dei “rivoltosi” arrestati. L’operazione riguardò circa quattromila libici,

Omar Mokhtar leader dellaresistenza Libica alla colonizzazione italiana

Generale Roatta

Page 38: 12OPfebbraio12

38

che furono trasferiti nelle colonie penitenziarie delle Isole Tremiti, di Ustica, Gaeta, Ponza, Caserta e Favignana. Gli scarsi dati rimasti rilevano che, per le pessime condi-zioni igieniche e lo scarso cibo, alla data del 10 giugno 1912, alle Tre-miti, erano già deceduti 437 reclu-si, cioè il 31% del totale. A Ustica, nel solo 1911, ne morirono 69; a Gaeta e Ponza, nei primi sette mesi del 1912, altri 75. Nel corso del 1912, furono rimpatriati 917 libici, ma le deportazioni continuarono, con punte notevoli intorno al 1915. Il 24 maggio 1915, in base a un rapporto dell’8 ottobre successivo, indirizzato dal consigliere politico di Misurata, Alessandro Pavoni al di-rettore per gli affari politici del Mi-nistero delle colonie Giacomo A-gnesa, risulta l’effettuazione di un barbaro massacro da parte dei ca-rabinieri e di ufficiali del Genio civi-le italiano. Per motivazioni non del tutto accertate (sembra che i libici avessero preso a deridere i militari italiani o che fossero partiti alcuni spari dall’edificio in questione), sei soldati italiani scalarono il tetto di un piccolo albergo, sparando alcuni colpi di fucile nel cortile; poco dopo un capitano dei carabinieri ordinò che l’edificio fosse incendiato, ope-razione che fu eseguita dopo la devastazione e la rapina di tutto ciò che potesse essere utile ai devasta-tori. Le vittime, quasi tutte bruciate vive, furono almeno trentadue, di cui solo otto uomini adulti. L'inchie-sta ministeriale si concluse con il

proscioglimento degli accusati. L’evento è ricordato da un piccolo monumento eretto alle spalle del municipio. Situazioni analoghe si sono ripetute in Grecia, Albania e in quegli stati che daranno poi vita alla Jugoslavia durante l’occupazione italiana nella seconda guerra mondiale, fra essi spicca il generale Roatta. La novità rispetto agli altri crimini di guerra commessi dalle forze ita-liane nel corso della storia sta nel fatto che nei Balcani non vi furono i battaglioni "indigeni" come in Africa a svolgere il "lavoro sporco", ma questo fu fatto direttamente e solo dagli italiani. In questo senso la "Circolare 3 C" emanata il 1º marzo 1942 dal generale Mario Roatta, un memorandum che inasprisce la lotta controguerriglia modificando l'atteggiamento italiano da difensi-vo ad aggressivo e al quale si sono attenuti i diversi comandi, è un documento ufficiale e una inoppu-gnabile prova contro il Regio Eser-cito, vi si afferma tra l'altro che eccessi di reazione non verranno tendenzialmente puniti. Ma oltre che la parte del carnefice gli italiani furono anche vittime di genocidi fra i più noti la pulizia etnica nell’Istria del dopoguerra. Non furono mai effettuate stime scientifiche del numero delle vittime delle Foibe, che venivano usualmente indicate in 15.000 (e talvolta aumentate fino a 30.000). Studi rigorosi sono stati effettuati solo a partire dagli anni novanta. Una quantificazione precisa è impossibile a causa di una generale mancanza di docu-menti. Il governo Jugoslavo e suc-cessivamente quello croato, non ha inoltre mai accettato di partecipare a inchieste per determinare il nu-mero di decessi. Alcuni commenta-tori ritengono inoltre che una parte della documentazione sia tuttora secretata negli archivi, in particola-re dell'ex Partito comunista italiano. Gli studi effettuati recentemente valutano il numero totale delle vittime, comprensive quindi di quel-le morte durante la prigio-nia o la deportazione, come compreso tra poco meno di 5.000 e 11.000. Di questi solo alcune centinaia furo-no gli "infoibati" veri e pro-pri, ma nell'uso comune anche gli uccisi in altre cir-

costanze legate all'avanzata delle forze jugoslave lungo il confine orientale italiano vengono comun-que considerati vittime o martiri "delle foibe". Ricordiamo ancora le stragi del 1960-1990 Guatemala 200.000 vittime, 1964 Zanzibar (Rivoluzione di Zanzibar) 5.000 - 12.000; 1965-1966 Indonesia 500.000 - 1.000.000; 1966-1968 Nigeria 1.000.000 1971 Genocidio in Bangladesh (Operazione Searchlight) 1.000.000 - 3.000.000; 1972 Ikiza (strage selettiva dell'etnia Hutu in Burundi) 150.000. Farla finita con il passato per non ricaderci nel futuro Ci chiediamo se non sarebbe il caso di rendere doverosa memoria non a questo o quel massacro, ma a tutte le vittime dei genocidi della storia che, come possiamo vedere, interessano praticamente tutti i popoli della terra, in taluni periodi storici nella veste di carnefici in altri come vittime. E’ forse il modo migliore se non l’unico per evitare strumentalizzazioni o inammissibili distinzioni e classificazioni fra geno-cidi che hanno dignità di memoria rispetto da altri che invece questa dignità non l’avrebbero. Ciò con-sentirebbe probabilmente a molti stati ancora reticenti di ammettere gli errori commessi in passato, ma

Manifesto negazionista delle foibe

Recupero di resti umani dalla foiba di Vines, località Faraguni, presso Albona d'Istria negli ultimi mesi del 1943

Il Giorno del ricordo in Italia si celebra il 10 febbraio, in memo-ria delle vittime delle foibe e del-l'esodo giuliano-dalmata. Istituito con la legge n. 92 del 30 marzo 2004. Tema trattato in Op di febbraio 2011

Page 39: 12OPfebbraio12

39

E' IN ATTO UNA VERA E PROPRIA RIVOLUZIONE POPOLARE TRAMITE internet !!!!

FATE GIRARE, FATE GIRARE! Cosa chiediamo a Monti?

L'EUROPA CI CHIEDE DI AUMENTARE L'ETÀ DELLA PENSIONE PERCHÉ IN EUROPA TUTTI LO FANNO. NOI CHIEDIAMO, inoltre, DI ARRESTARE TUTTI I POLITICI CORROTTI, DI ALLONTANARE DAI PUBBLICI UFFICI TUTTI QUELLI CONDANNATI IN VIA DEFINITIVA PERCHÉ IN EUROPA TUT-TI LO FANNO, O SI DIMETTONO DA SOLI PER EVITARE IMBARAZZANTI FIGURE. DI DIMEZZARE IL NUMERO DI PARLAMENTARI PERCHE’ IN EUROPA NESSUN PAESE HA COSI’ TANTI POLITICI !! DI ELIMINARE I POLITICI DELLE PROVINCIE PERCHE' CI SONO GIA' QUELLI DELLE REGIONI - DA 40 ANNI ! DI DIMINUIRE IN MODO DRASTICO GLI STIPENDI E I PRIVILEGI A DEPUTATI E SENATORI, PERCHÉ IN EUROPA NESSUNO GUADAGNA COME LORO. DI POTER ESERCITARE IL “MESTIERE” DI POLITICO AL MASSIMO PER DUE LEGISLATURE COME IN EUROPA TUTTI FANNO !! DI METTERE UN TETTO MASSIMO ALL’IMPORTO DELLE PENSIONI EROGATE DALLO STATO (ANCHE RETROATTIVAMENTE) MAX. 5.000,00 EURO AL MESE PER CHIUNQUE, POLITICI E NON, POICHE’ IN EURO-PA NESSUNO PERCEPISCE 15/20 OPPURE 30.000,00 EURO AL MESE DI PENSIONE COME AVVIENE IN ITALIA DI FAR PAGARE I MEDICINALI, VISITE SPECIALISTICHE, CURE MEDICHE AI FAMILIARI DEI POLITICI POICHE’ IN EUROPA NESSUN FAMILIARE DEI POLITICI NE USUFRUISCE COME AVVIENE INVECE IN ITALIA, DOVE CON LA SCUSA DELL’IMMAGINE VENGONO ADDIRITTURA MESSI A CARICO DELLO STATO ANCHE GLI INTERVENTI DI CHIRURGIA ESTETICA, CURE BALNEOTERMALI ED ELIOTERAPIOCHE DEI FAMILIARI DEI NOSTRI POLITICI !! Inoltre Cari MINISTRI, NON CI PARAGONATE ALLA GERMANIA DOVE ● NON SI PAGANO LE AUTOSTRADE, ● I LIBRI DI TESTO PER LE SCUOLE SONO A CARICO DELLO STATO SINO AL 18° ANNO D’ETA’, ● IL 90 % DEGLI ASILI NIDO SONO AZIENDALI E GRATUITI E NON TI CHIEDONO 400/450 EURO COME GLI ASILI STATALI ITALIANI !! mentre IN FRANCIA LE DONNE POSSONO EVITARE DI ANDARE A LAVORARE PART-TIME PER RACIMOLARE QUALCHE SOLDO INDISPENSABILE IN FAMIGLIA E PERCEPISCONO DALLO STATO UN ASSEGNO DI 500,00 EURO AL MESE COME CASALINGHE PIU’ ALTRI BONUS IN BASE AL NUMERO DI FIGLI. ed anche sempre IN FRANCIA NON SI PAGANO LE ACCISE SUI CARBURANTI DELLE CAMPAGNE DI NAPOLEONE, NOI LE PAGHIAMO ANCORA PER LA GUERRA D’ABISSINIA AI POLITICI CHIEDIAMO CHE LA SMETTANO DI OF-FENDERE LA NOSTRA INTELLIGENZA, IL POPOLO ITALIANO CHIUDE UN OC-CHIO, A VOLTE DUE, UN ORECCHIO E PURE L’ALTRO MA LA CORDA CHE STA-TE TIRANDO DA TROPPO TEMPO SI STA’ SPEZZANDO. CHI SEMINA VENTO, RACCOGLIE… TEMPESTA !!!

^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^

SE APPROVI, DIFFONDI LO STESSO MESSAGGIO

E CHIEDI AD ALTRI DI FARLO ! ! !

Numerosi amici via mail e facebook ci hanno inviato questa nota invitandoci a diffonderla. Fatto !

Page 40: 12OPfebbraio12

40

Fra i vari “artifici” costruiti dall’uo-mo sotto attacco da parte della natura ci sono anche gli argini dei corsi d’acqua. I loro nemici da qualche anno sono dei simpatici roditori che in fatto di danni non scherzano: le Nutrie (Myocastor coypus). In verità qualcuno le defi-nisce grosse pantegane o topastri di fogna, anche se hanno abitudini assai diverse dai loro più famosi cugini roditori: intanto sono vege-tariane e, a differenza dei topi, non predilige gli ambienti umani. Certo se si superano certe concen-trazioni come accade anche in am-biti urbani possono entrare in con-flitto anche con paperelle ed altri animali frequentatori del suo habitat e la sua presenza diventa visibile come accade in alcune zone di Milano e di altre grandi città o lungo certi corsi d’acqua visto che vivono in famigliole anche di dieci individui. Ma anche in questo conflitto ad iniziare le ostilità pare essere una certa colpevole superficialità uma-na. La Nutria infatti fu introdotta in Europa nel secolo scorso, per pren-dergli la pelliccia, il primo alleva-mento venne realizzato ad Alessan-dria nel 1921. Era il famoso Castorino, che ora pare si stia vendicando. Infatti pas-sata la moda del “pilu (di castorino) pettutti” gli allevatori non volendo spendere per disfarsi in modo ra-zionale degli esemplari ancora non scuoiati, non hanno trovato niente di meglio da fare che liberarli. La nutria come molti roditori è as-sai prolifica, raggiunge la maturità sessuale molto precocemente, già all’età di sei mesi i maschi sono in grado di riprodursi, una riproduzio-ne che non ha cicli stagionali ma si

sussegue per tutto l’anno, una ge-stazione media di 130 giorni con nascita da 3 a 6 piccoli, il tutto per due o tre volte all’anno. A questo aggiungiamo un ambiente naturale favorevole come la valle Padana ricca di corsi d’acqua e di… coltiva-zioni. Con questi presupposti è evi-dente che si sarebbe avuta una crescita esponenziale di questi ani-mali in breve tempo e negli anni ’70 iniziano i primi allarmi sulla sua indesiderata presenza. E così dal sud America, patria d’ori-gine, senza costruirsi Jumbo jet o pagare biglietti sfruttando il deside-rio di guadagno e la moda, oggi è presente su gran parte del territo-rio italiano ed europeo dove ne sono state stimati 250 milioni di esemplari. E come prima accennato la Nutria prediligere le zone umide di cui le risaie lombardo piemontesi, le più vaste d’Europa, sono per molti ver-si assimilabili. Fin qui niente di male se il “topone” non avessero il vezzo di farsi delle lunghe gallerie… proprio vicino all’-acqua dove i potenti consorzi irrigui in anni di lavoro hanno costruito argini per rogge, bialere e in gene-re per le reti di adduzione e allon-tanamento della acque per scopi irrigui e dove i risicoltori hanno realizzato le cosiddette “camere” come vengono chiamati gli appez-zamenti in cui si coltiva la pianta esotica, limitate proprio da arginelli anch’essi alquanto sensibili ai bu-chi. Sono stati addirittura segnalati ribaltamento di mezzi agricoli a seguito del passaggio su sentieri “minati” dalle sottostanti tane di nutria e in qualche caso in occasio-ne di piene l’indebolimento degli argini ridotti a un groviera hanno

ceduto con conseguente esondazione. A questo si aggiunga an-che il fatto che la Nutria si alimenta prevalentemente di alghe e piante acquati-che quali ninfee, germogli di cannuccia ed altre pian-te igrofile comunemente reperibili lungo i corsi d’-acqua, ma in caso di scar-sità di cibo si può nutrire di qualunque vegetale e

spingersi finanche nei campi colti-vati provocando danni spesso in-genti alle colture dove predilige mais e barbabietola da zucchero. Quelle che abitano i corsi d’acqua nelle vicinanze di zone abitate rie-scono ad abituarsi alla presenza umana pur mantenendo una certa diffidenza per la nostra specie (direi che fanno bene!) In questi caso accettano molto volentieri alimenti quali pane, biscotti e frutta che vengono lanciati loro. Fra l’altro non è neanche un anima-le schizzinoso, infatti frequenta anche le acque sporche o inquina-te. Come si vede: molto prolifica, ver-satile e intelligente, adattabile, ine-vitabilmente quindi: invadente; non a caso la Nutria è stata inclusa nel-le hit parade delle 100 specie più invasive. Aggiungiamo che per lo stile di vita che conduce (acqua e gallerie) non ha praticamente predatori (Homo poco sapiens a parte) giusto qual-che esemplare imprevidente viene catturato da cani, rapaci e qualche pesce predatore: luccio o siluro. Niente male per un roditore di circa 60 centimetri di lunghezza e peso compreso fra i 5 e i 10 kg. E se qualcuno persegue una sorta di sterminio di massa totale di que-sta specie introducendo taglie di qualche € su ogni capo abbattuto (un contadino visto che non gli rim-borsavano i 3 € a capo per le cattu-ra dei “toponi” ha deciso di liberarli in piazza), trappole al cloroformio per poi finirle a bastonate, veleni e tutto l’armamentario ben noto, du-bitiamo vincerà mai questa guerra. Molto meglio forse comprendere le esigenze e intervenire un po’ con-tenendole, un po’ prevenendo e anche un po’ cedendo in modo da garantire spazio alla vita in tutte le sue forme, anche quelle che a qualcuno non piacciono, in un equi-librio che sia agibile per tutti, uomi-ni e Nutrie compresi. Sempre che qualcuno non decida di introdurre nei nostri corsi d’acqua i caimani che in Sudamerica sono i principali predatori delle Nutrie: si fanno anche delle belle pelli con i caimani !. Hasta la vista hombre!

Quando è l’uomo a procurar danno...

Page 41: 12OPfebbraio12

41

Pi

em

on

te

O s s e r v a t o r i o

Casale Monferra

to

Giovedì 26 gennaio abbiamo parte-cipato all’incontro mensile che l’as-sociazione Nuove Frontiere di Casa-le Monferrato tiene con simpatiz-zanti amici e cittadini presso l’hotel Candiani. L’associazione che ha presentato una lista civica nelle ultime elezioni comunali di Casale, ha ottenuto un consigliere che siede nei banchi dell’opposizione della giunta presie-duta dal sindaco Demezzi eletto con i voti del centrodestra, anche se più volte ha avuto modo di e-sprimenetre un voto di convergen-za con la maggioranza. Dal suo sito:

così si definisce: “Nuove Frontiere”, Associazio-ne per la Difesa ed il Rilancio di Casale e del Monferrato è un sodalizio fortemente rappre-sentativo della Società Civile casalese e monferrina il cui scopo primario è arrestare il declino in corso e far riprende-re il ruolo di leadership territo-riale a quella che fu la Capitale del Marchesato e Ducato di Monferrato e promuovere l'in-tero Monferrato, senza campa-nilismi ed evitando appropria-zioni indebite della sua deno-minazione. Capita sempre più raramente di incontrare associazioni di liberi cit-tadini che, svincolati da partiti na-zionali, decidono in prima persona di dedicarsi alla Res Publica, per questo abbiamo deciso di conosce-re questi “temerari” che dedicano il proprio tempo non per conquistarsi

un seggio in qualche segreteria o coordinamento di partito che possa garantire l’accesso a qualche scran-no parlamentare, ma interpretando la politica secondo i più classici principi della democrazia partecipa-tiva, decidono di strutturarsi in una libera associazione per fare politica in prima persona. A rafforzare la nostra sensazione di trovarci di fronte a una rarità nel disastrato panorama politico, la scelta della rotazione nelle cariche elettive che, proprio in questi gior-ni, ha visto il consigliere Carlo Caire primo eletto nelle ultime elezioni comunali lasciare il posto al secon-

do eletto Massimo De Ber-nardi.

De Bernardi è molto conosciuto in città sia per alcune sue prese di posizione in tempi non sospetti (da sempre favorevole al gemellaggio con Mantova per via della presenza dei Gonzaga nella storia di entram-bi i territori) è stato, e lo è tuttora, molto attivo in alcune associazioni, come il Calca – Comitato alluvionati del Casalese dove è stato per di-verso tempo vice presidente e del comitato provinciale; “No porta a porta – Si differenziare” del quale è vice presidente. In questa veste organizzò nel 2008 una “marcia sul Municipio” partendo da Oltreponte contro la allora prossima entrata in vigore a Casale del sistema di rac-colta porta a porta e, ultimo della serie, del comitato SiAmo Oltrepon-te (Olpreponte è il quartiere dove vive) del quale è anche fondatore. Si può esser o non essere d’accor-do sulle posizioni assunte su taluni temi da Nuove Frontiere, ma al di

www.associazionenuovefrontiere.blogspot.com

Associazioni e Liste civiche per la difesa e il rilancio dei territori

Page 42: 12OPfebbraio12

42

là di questo, il metodo che è stato adottato ci piace e ci auguriamo che tanti altri cittadini seguano questo esempio, decidano cioè di fare politica organizzandosi in pro-prio in Liste civiche. Per chi ha avuto modo negli anni di partecipare a incontri organizzati dai partiti “parlamentari” ossia pre-senti su tutto o gran parte del terri-torio nazionale in tutti i livelli am-ministrativi possibili, la differenza è tangibile. In quei casi gli incontri, quando si fanno, vertono se non sempre in gran parte sulle comunicazioni che provengono dalle segreteria regio-nali o nazionali e l’attività politica si risolve spesso nel sostenere iniziati-ve lanciate dal “centro” sia esso Roma o Torino. Prevale quindi l ’att ività di “esecutori” delle istanze decise al-trove. Una attività chiamata mili-tanza, che ricorda l’ubbidienza mili-tare, condizionata sia qualitativa-mente che quantitativamente (il tempo per chi non è professionista della politica è comunque limitato) che lascia ben poco spazio per af-frontare i problemi della gente che ci è vicino ossia dei nostri concitta-dini o compaesani. Se a questo si aggiungono i nume-rosi momenti dedicati alla struttu-razione dei diversi livelli organizza-tivi di gestione dei partiti nazionali che spesso si esprimono attraverso conflitti interni più o meno accesi per questa o quella carica, si com-prende facilmente la difficoltà, o se preferite la diversità, rispetto alle liste civiche nell’espletare quella importante attività civile che è la partecipazione alle scelte pubbliche

soprattutto a livello locale. Non è un caso che da diversi anni assistiamo alla nascita di nuove liste e movimenti anche diffusi sul territorio nazionale in contrapposi-zione con i tradizionali partiti che sempre più stanno perdendo appeal presso gli elettori. Raramente ci è capitato di vedere partiti che come Nuove Frontiere di Casale regolarmente, in questo caso mensilmente, incontrare i cit-tadini per trattare argomenti legati alle vicende che li toccano diretta-mente per questo abbiamo dato la disponibilità a comunicare le attivi-tà ed iniziative che essi intendono svolgere. Ma vediamo i temi su cui si spende la Lista Nuove Frontiere: Treni sulla linea Vercelli Casa-le: I collegamenti ferroviari sono im-portanti per il lavoro, per lo studio e per il turismo sia verso Vercelli che verso Asti e Mortara che tra l’altro da pochi anni si è dotata di un importante Terminal Logistico Intermodale, altra direzione di col-

legamento verso Milano così come la direzione verso Asti - proseguen-do verso Castagnole Lanze - è im-portante per i collegamenti verso la strategica area turistica dell’Astigia-no, delle Langhe e del Cuneese. Sulla tratta Asti – Casale abbiamo sentito e visto per ora solo il Sinda-co di Ponzano e il suo Consiglio Comunale fare azioni concrete con l’approvazione di un OdG specifico per richiedere il mantenimento del collegamento Asti – Casale, tale Odg è stato inviato anche a tutti i Comuni interessati della tratta fer-roviaria… cosa aspetta il Consiglio Comunale di Casale ad approvarlo? Vogliamo mantenere realmente questo collegamento o da parte di qualcuno c’è interesse a smantel-larlo in modo da facilitare economi-camente il “famoso” collegamento con la bretella stradale tra l’uscita autostradale Casale sud e la strada verso Asti? E’ necessario agire con chiarezza, non servono incontri isolati in Regione Piemonte, se ci si muove singolarmente si sa già che sarà una battaglia persa, se si va a discutere per la tratta Casale – Ver-celli ci si aspetta che il Sindaco di Casale vada in Regione con il Sin-daco di Vercelli e tutti i Sindaci dei Comuni interessati dal tratto ferro-viario, perché allora non convocare a settembre nel previsto incontro con i Responsabili Regionali e delle Ferrovie TUTTI i Sindaci interessati dal ns. “Quadrante Ferroviario” compresi quelli di Vercelli, Asti e Mortara? Questo è quello che si aspettano i cittadini casalesi! Vo-gliamo vedere l’interesse reale e concreto a risolvere le questioni vitali per lo sviluppo del nostro ter-ritorio, interventi “di facciata” e senza alcun peso non hanno più senso. Provincia di Vercelli – Casale L’Associazione Nuove Frontiere, concepita per difendere e rilanciare Casale Monferrato, è tra le più atti-ve su questo tema, destinato quasi sicuramente a far discutere con il suo carico di novità e polemiche. L’obiettivo dichiarato dal gruppo è quello di dare vita a una Provincia Federata nella quale Casale otten-ga l’agognato status di co-capoluogo insieme a Vercelli. Nuo-ve Frontiere è convinta che il ruolo attuale rivestito da Casale all’inter-no della Provincia di Alessandria sia del tutto marginale e poco coeren-

Massimo De Bernardi

Page 43: 12OPfebbraio12

43

te con l’illustre e glorioso passato della città. Un tempo fu capitale del Marchesato del Monferrato, sede di Senato e di Corte d’Appello, mentre ora rappresenta uno dei più impor-tanti poli industriali della zona. E’ normale che l’essere costretti al ruolo di semplice Comune all’inter-no di una Provincia con a capo i “cugini” mandrogni rivali da sem-pre, sia stato un colpo durissimo da incassare per i casalesi. Oltre al danno, insomma, pure la beffa. Da qualche tempo, però si è aperta la possibilità della svolta: il sogno è quello di emulare altre Province Federate comparse recentemente (Massa-Carrara, Pesaro-Urbino, Monza-Brianza). In questo modo, potranno insediar-si a Casale numerosi Enti ed Istitu-zioni di livello provinciale che da-ranno così ulteriore valore alla città e forniranno un forte stimolo allo sviluppo e alla crescita. Ed ancora proposta per la realiz-zazione dell’archivio di Stato a Casale, per favorire lo sviluppo della Green-economy, proposte sulle isole per la raccolta diffe-renziata dei rifiuti, sul rimborso delle indennità per le vittime dell’amianto. Segnaliamo anche una iniziativa che riteniamo potrebbe e dovrebbe ottenere più spazio. E’ stato promosso dall’Associazione Nuove Frontiere, il marchio Casale capitale del Monferrato con l’in-tento di coinvolgere l’ampio territo-rio collinare che da sempre ha una relazione privilegiata con la città di Casale, però non ci pare di aver visto altre iniziative intercomunali che accomunassero interessi e svi-luppassero sinergie con queste re-altà. E’ evidente a tutti come da questa relazione potrebbero nasce-re un movimento con grande capa-cità di mobilitazione in grado di incidere sensibilmente nelle politi-che territoriali.

Una lettrice ci scrive: Egregio direttore Qualche giorno fa sono andata al canile di Casale Monferrato per prendere un cane da tenere a casa mia, pensando di fare cosa buona visto l’affollamento dei canili e le lamentele delle amministrazioni comunali per il mantenimento dei randagi. I gestori hanno voluto sapere come intendevo tenerlo. Ho risposto che abito in campagna, ho un grande spazio attorno alla mia casa con un boschetto, e che inten-devo comunque tenerlo in casa, mia figlia di dodici anni ha sempre avuto cani e gatti. Quando qualcu-no è a casa quindi il cane sta sem-pre con noi. Può capitare che al massimo per un paio d’ore al gior-no a casa non ci sia nessuno per-ché sia io che mio marito lavoriamo e la figliola va a scuola. In questo caso leghiamo il cane perché non vada in giro o sulla strada con il rischio di essere investito. A causa di questo aspetto la titolare che gestisce il canile ha rifiutato di affi-darci il cognolino. Una scelta che ovviamente ci è molto dispiaciuta e che riteniamo ingiustificata oltre che un vero e proprio abuso. Infatti non ci risultano leggi che vietino di tenere un cane legato anche se solo per due ore al giorno, né ci sono stati prospettati regolamenti approvati dal Comune sulle condi-zioni richieste per il suo affidamen-to. Siamo certi che a casa nostra la bestiola sarebbe stata certamente accudita come sempre abbiamo fatto in passato, con cura e affetto, tanto più che lo sottoscritta svolge l’attività di veterinaria. Certo fa riflettere che i nostri soldi (ci risulta che la gestione del canile sia affida-ta alla Cosmo che svolge la raccolta differenziata dei RSU anche nel mio comune) vengano gestiti in manie-ra così discrezionale da persone che tra l’altro non ci hanno nem-meno parlato. Pensavamo che i dipendenti pubblici come coloro che gestiscono una struttura paga-ta con i soldi delle collettività, do-vessero applicare le leggi esistenti non affidarsi a decisioni arbitrarie e incomprensibili basate solo su pen-sieri personali e senza nemmeno conoscere chi sta loro di fronte.

Un lettore da Gabiano: Egregio direttore So che da anni attraverso i periodi-ci che lei dirige si dedica al territo-rio e non solo. Chi le scrive abita in un paese del Monferrato non lonta-no da Casale, e da anni ha ormai scoperto a sue spese come le no-stre amate colline siano trascurate un po’ da tutti, basta vedere l’ab-bandono delle campagne o tutte le frane che ormai non vengono nem-meno più riparate, anche la linea ferroviaria Asti Casale a causa di una frana è stata chiusa e non ria-prirà mai più. I nostri paesi, il gran parte stanno perdendo popolazio-ne, quella che resta è costituita sempre più da anziani. Anche Casa-le che ha ben altre potenzialità ri-spetto al suo circondario ci pare però subisca la stessa sorte. Sono convinto che da questa situazione non sia facile uscire, ma che co-munque si debba fare ogni tentati-vo per invertire questa situazione. Sono altresì convinto che sono stati commessi molti errori da chi ci am-ministra e governa, il più grave forse è quello di preoccuparsi e-sclusivamente della propria realtà illudendosi di poter risolvere ciascu-no per conto proprio problemi che in realtà vanno ben al di là delle capacità di ciascun Comune. Anche Casale che dovrebbe essere capofila dei comuni Monferrini con-tinua ad illudersi di potre far da sé. Possibile che non ci sia un ammini-stratore, un partito, un associazio-ne per la tutela e lo sviluppo del territorio che non comprenda che se non ci si coordina, non si creano sinergie fra i tanti piccoli comuni della collina e la città di Casale o di Asti non si va da nessuna parte?. Possibile che nessuno proponga e soprattutto attui politiche di territo-rio per fare sistema? Eppure non è di ieri il detto che l’unione fa la forza. Credo che questa sia l’unica strada percorribile per sperare di conse-guire qualche risultato utile per il nostro territorio e per chi lo abita. Da sempre è l’organizzazione, il

L e t t e r e a l D i r e t t o r e Chissà se il sindaco di Casale ha qualcosa da dirci. G.R.

Page 44: 12OPfebbraio12

44

A che punto siamo con il processo

Eternit a Casale?

coordinamento, il coinvolgimento di soggetti che hanno interessi e de-stini comuni la chiave per ottenere qualche risultato tangibile. Non mi dica che non è facile, cosa lo è oggi? Spero che da te (permettimi di dar-ti del tu) che da anni scrivi e fai politica attiva al di fuori dei Palazzi del potere possano venire idee, proposte, iniziative in questo sen-so, altrimenti saremo destinati a rimanere tante piccole realtà divise e più o meno insignificanti incapaci di condizionare anche in minima parte il loro destino. Grazie V.B.

Dal mese di novembre la nostra città è dilaniata dall'offerta fatta dai legali del sig. Schmidheiny. Il Co-mune di Casale Monferrato pochi giorni fa ha deciso di respingere l’offerta dell’imputato svizzero e di rimanere nel processo ETERNIT come Parte Civile. Lunedì 13 feb-braio il tribunale di Torino emetterà una probabile condanna verso il sig. Schmidheiny ,come NUOVE FRONTIERE crediamo sia ora più che mai opportuno unire tutte le forze della nostra Casale e cercare in tempi brevissimi di ottenere dei risultati concreti .Dimenticando le polemiche degli ultimi 2 mesi ad esempio crediamo sia necessario recuperare i 4,6 milioni di euro ac-cantonati per la ricerca a seguito degli accordi pre-processuali otte-nuti tramite le “transazioni” dei singoli cittadini ( a ns. parere ab-biamo già perso 3 anni ! ). Disat-tendendo gli accordi presi nel 2009 pare che questi soldi non siano mai stati versati a nessun Centro per la Ricerca ma siano ancora nella di-sponibilità dei legali del sig. Schmi-dheiny e tutto ciò francamente è assurdo ! La nostra interrogazione presentata e protocollata il 24 gennaio vuole creare una costrut-tiva discussione in Consiglio Comu-nale e il nostra auspicio è che non si perda ulteriore tempo nel portare questi soldi sul nostro territorio per continuare la ricerca e contribuire a trovare una cura efficace per il mesotelioma e le malattie causate dall'amianto.

Alla Presidente del Consiglio Comunale di Casale Monferrato Al Sig. Sindaco INTERROGAZIONE CON RISPOSTA URGENTE IN CONSIGLIO CO-MUNALE (Rif. NF 12.01- tot. pag.02) Oggetto : ETERNIT - 4,6 milioni di Euro accantonati per la ricerca e non ancora disponibili Considerato che : -Ben prima che iniziasse il processo Eternit nel dicembre 2009 alcune cen-tinaia di persone , ammalati e famigliari delle vittime accettarono la propo-sta unilaterale portata avanti dai legali dell’imputato svizzero (S. Schmi-dheiny ) . - La proposta prevedeva un risarcimento di alcune decine di migliaia di eu-ro in cambio del ritiro dei singoli dal processo Eternit , una consistente parte di questi risarcimenti ( circa il 40%) sarebbero dovuti andare alla RICERCA di una cura per il mesotelioma e le malattie collegate all’esposi-zione da amianto . - E’ opportuno ricordare che , come evidenziato anche in un recente co-municato stampa dell’AFEVA (Associazione Famigliari e Vittime Amianto ) “…Dobbiamo inoltre ricordare che l’offerta ai singoli è stata pro-posta prima dell’inizio del processo quando il capo di imputazione recitava “ DISASTRO AMBIENTALE DOLOSO” solo successivamen-te è stato integrato con l’aggravante “PERMANENTE” che ha vani-ficato il rischio della prescrizione . Pertanto molti , specie tra i la-voratori, erano a rischio o nella certezza della prescrizione cosa che ha condizionato la loro decisione” - Buona parte dei singoli cittadini che accettarono la proposta proveniente dal Sig. Schmidheiny , lo fecero pensando anche di poter contribuire alla ricerca di una cura efficace per i mali causati dall’esposizione all’amianto Appreso che : - Da notizie apparse sui giornali locali la cifra totale disponibile per la ricer-ca tramite queste trattative è pari a circa 4, 6 MILIONI DI EURO Evidenziato che : - La rilevante cifra , sempre da notizie apparse sui giornali, pare sia ancora nella disponibilità degli avvocati dell’imputato svizzero . - L’AFEVA per evidenti motivazioni di opportunità e trasparenza ha dichia-rato in più occasioni di non poter/voler “gestire” tali ingenti somme di de-naro - Da più parti e a nostro parere si ritiene che la città di Casale Monferra-to ( Cittadini e Istituzioni ) debbano rimanere uniti nella lotta per la ricerca e la bonifica dall’amianto . Interroga il Sindaco per sapere : - Quali concrete possibilità ha il Comune di Casale Monferrato , in qualità di Ente rappresentativo dei propri Cittadini, di ottenere in tempi brevi la cifra di 4,6 milioni di euro ancora in mano ai legali dell’imputato svizzero . - Se quanto sopra non potesse avvenire se sia possibile allora verificare , tramite i legali del Comune , la possibilità di indirizzare tale importo verso una fondazione presente sul territorio di Casale ( ad esempio Fondazione Buzzi ), o altre fondazioni e associazioni dedite alla ricerca di una cura del mesotelioma e malattie collegate all’esposizione dell’amianto . - Se si ritiene ( vista la disponibilità immediata risalente agli accordi di 3 anni fa ! ) che sia necessario e prioritario per la comunità casalese rag-giungere questo importante obiettivo e cioè di portare in tempi brevi questi consistenti importi sul nostro territorio e metterli interamente a di-sposizione della ricerca , così da rispettare gli accordi stabiliti al momento delle transazioni accettate dai singoli cittadini . Massimo De Bernardi Lista Civica Nuove Frontiere