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134 - Aracne · 2017-09-20 · Presentazione L’attenzione per gli studi che, a livello...

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La professoressa Mariela Pessolano ha scritto la presentazione diquesto libro e ha fornito preziosi consigli durante la stesura deltesto. A lei vanno i ringraziamenti dell’autore.

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Irpinia antica

Emilio Ricciardi

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Copyright © MMVIIARACNE editrice S.r.l.

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via Raffaele Garofalo, 133 a/b00173 Roma

(06) 93781065

ISBN 978–88–548–1091–4

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: aprile 2007

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A mia madre

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Indice

Presentazione 9

Parte I - L’immagine del territorio 13

Parte II - I centri abitati 37

Abbreviazioni 91

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Presentazione

L’attenzione per gli studi che, a livello territoriale, urbanisti-co e architettonico è stata dedicata, in tempi da considerarsi an-cora abbastanza recenti, al patrimonio di memorie costituitodalla miriade di centri sbrigativamente raccolti sotto la defini-zione di “minori”, ha messo in evidenza non solo la vitalità persecoli caratteristica dei nostri insediamenti, ma ha consentito diportare nuova luce sugli scambi tra “centri” e “periferie” chehanno caratterizzato i rapporti tra la capitale del Regno, gli ag-glomerati di maggiore rilevanza e i paesi e paesini spesso isola-ti, come nell’antica provincia di Principato Ultra, per la man-canza di collegamenti o di un agevole accesso.

La globalizzazione e la trasformazione sempre più acceleratanella nostra società hanno da un lato lasciato alla buona volontàdi pochi nostalgici l’attenzione verso i gravi problemi legatiall’emarginazione e all’abbandono del territorio e delle città sto-riche, dall’altro hanno indotto – nel nome del recupero di una“identità” collegata alle peculiarità dei beni culturali – iniziativespesso legate più al consumo che allo studio proprio di quei be-ni, spesso assai fragili e bisognosi di specifici provvedimenti,che ci si prometteva di difendere. La necessità di una compren-sione approfondita della stratificazione dell’insieme dei tantioggetti da tutelare (inseriti nel codice Urbani) porta come im-mediata conseguenza il bisogno di studi che nelle singole disci-pline migliorino la conoscenza storica dei contesti esposti acambiamenti a volte poco evidenti, che, applicati su vasta scala,rischiano di cancellare preziose memorie storiche.

All’opera dell’uomo occorre spesso sommare i danni causatidalla violenza della natura. I terremoti hanno nei secoli cancel-lato interi insediamenti urbani e inciso fortemente sulle caratte-ristiche dei territori colpiti da calamità naturali e proprio una

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Presentazione10

catastrofe come quella che ha investito l’Irpinia nel 1980 se-gnala il pericolo rappresentato dalla perdita della cultura edell’identità dei piccoli centri della provincia; solo l’opera deglistudiosi locali, da sempre preziosi per la conservazione dellamemoria di luoghi, storie e tradizioni, ha impedito la scomparsadi molte testimonianze del passato (spesso interi archivi perparlare solo di ‘carte’), condannate alla distruzione dallo spo-polamento dei paesi, da restauri affrettati e da una malintesaesigenza di “modernizzazione”.

Dalle considerazioni legate all’importanza “delle storie” edella loro conoscenza nasce il lavoro di Emilio Ricciardi, dedi-cato ai centri irpini, trasformati e spesso decontestualizzatidall’inserimento in un nuovo e diverso assetto del territorio. Lostudioso, con paziente ricerca dettata dalla sensibilità verso laqualità di quei luoghi, ha rintracciato e organicamente utilizzatodisegni, cartografia e documentazione scritta nel tentativo, ri-uscito, di ricostruire l’immagine di ambiti territoriali e insedia-menti che oggi appaiono molto diversi anche rispetto a pochidecenni orsono.

Lo studio è organizzato secondo parti ben distinte: nellaprima sezione sono state messe in rilievo le peculiarità che ca-ratterizzavano nei secoli passati la provincia e il suo territorio.Attraverso la documentazione rintracciata dall’autore è statopossibile delinearne un profilo articolato che spazia dalle carat-teristiche territoriali - variabili nelle diverse aree per qualità delpaesaggio, per ambiente agricolo, per diversa natura del suolo -a quelle delle popolazioni dai caratteri ben individuati perchéimpiegate in attività molteplici collegate alla produzione agri-cola e alle diverse specializzazioni artigianali. Nell’ampio qua-dro generale sono poi inseriti i centri abitati scelti per rappre-sentatività dei problemi o per specifiche qualità; alcuni inacces-sibili, altri distrutti da antichi terremoti, altri ancora sedi di mo-deste e modestissime diocesi o di mercati fiorenti per le possi-bilità offerte da colture pregiate, quasi tutti domini feudali rac-colti intorno a castelli medievali che, diventati poco utili per ladifesa, venivano abbandonati o trasformati in residenze dei feu-datari.

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Presentazione 11

La seconda parte del volume è dedicata all’approfonditalettura di venti centri abitati con caratteristiche diverse edesemplari, individuati tra quelli di cui era possibile rintracciarealmeno un’immagine databile tra il XVI e il XIX secolo; le raf-figurazioni dei paesi sono state messe a confronto con le testi-monianze scritte, selezionando quelle che più significativa-mente restituivano l’aspetto dell’abitato (un esempio è la Calitridi fine Seicento raccontata dalla penna di Domenico AntonioCastellano), oppure appuntando la scelta su quelle meno cono-sciute, come la descrizione di Ariano tratteggiata in poche righeda Nicola Nisco nel 1840, che ricalca, a oltre un secolo di di-stanza, la veduta disegnata da Francesco Cassiano de Silva, ilmigliore tra gli incisori-vedutisti attivi nel Regno di Napolinello scorcio del XVII secolo.

Le illustrazioni che corredano il volume provengono in partedalle raccolte iconografiche dell’Età Moderna, dal Regno inprospettiva di Giovan Battista Pacichelli al Regno di Napolianotomizzato di Cassiano de Silva, ma, ogni volta che è statopossibile, si è data la preferenza ai disegni di autori meno noti,non di rado artefici di raffigurazioni di grande suggestione. Lanecessità di selezionare ha imposto il sacrificio di molte testi-monianze, elencate comunque nelle bibliografie allegate alleschede dei singoli centri urbani.

Articolato con chiarezza e precisione, il lavoro di EmilioRicciardi, nel momento in cui tratteggia con grande efficacial’immagine degli antichi centri irpini, costituisce agile, aggior-nato e prezioso strumento per la conoscenza degli abitati suiquali ferma l’attenzione, e si pone come esempio metodologi-camente assai corretto di studio utile all’acquisizione di quelle“conoscenze storiche” che sono l’indispensabile premessa diogni intervento preordinato alla salvaguardia dei nostri beniculturali.

MARIA RAFFAELA PESSOLANO

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Presentazione12

Sigle

ASNa – Napoli, Archivio di StatoASVat – Roma, Archivio Segreto VaticanoBNNa – Napoli, Biblioteca Nazionale “Vittorio Emanuele III”SNSP – Napoli, Società di Storia Patria

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Parte I

L’immagine dell’Irpinia

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Il territorio

A causa della sua posizione a cavallo dell’Appennino, laprovincia irpina presentava un territorio in prevalenza montuo-so, ricco di acque e di boschi e attraversato da valli lungo lequali si sviluppavano le principali vie di comunicazione. I mon-ti, pur non altissimi, avevano un aspetto imponente, come ilTerminio, che gli abitanti dei paesi vicini chiamavano“Montagnone”; la morfologia del territorio è ben visibile nelleimmagini antiche, che mostrano montagne incombenti su pic-coli abitati sparsi tra la vegetazione, oppure lunghe teorie di al-ture sormontate da paesini e castelli.

Lo spartiacque seguiva una linea che passava per Montema-rano, Bagnoli, Montella e Calabritto, scendendo da un lato ver-so la valle dell’Ofanto e dall’altro lato verso il fiume Sele, con-fine naturale tra i due Principati, che nasceva con grande ab-bondanza di acque dal monte Paflagone:

Attorno a questo monte dunque da varie orribili fessure nascendo, eprecipitandosi in una voraginosa lacuna, così n’esce grande, che nonpuò guazzarsi, onde gli abitatori della terra di Caposele (che dal sorge-re del fiume è così detta) han fatto varj ponti sopra diversi canali diquest’acque, sopra a’ quali gli uomini, gli animali, e i calessi como-damente passano.1

I corsi d’acqua che solcavano la regione erano tutti“rapidissimi” e il loro impeto nei mesi invernali causava vitti-me e distruzioni. La furia dell’Ofanto nei periodi di piena eranota dall’antichità; Orazio aveva parlato di un fiume“tauriforme”, a causa delle onde che ricordavano la schiena diun toro2. L’Albe, un affluente del Calore che nasceva nel For-

1 G. ANTONINI, La Lucania, Napoli 1745, II/I, p. 183.2 Q. ORAZIO FLACCO, Odi, VIII/14.

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Parte I16

micoso di Bisaccia, in estate portava «pochissima acqua, manell’inverno gonfiasi molto, e parecchi ci han perduta la vita»3.Il Fredane, che da Guardia dei Lombardi scendeva versoSant’Angelo, appariva «secondo le stagioni, un rigagnolo o untorrentaccio» e i campi che lo fiancheggiavano andavano sog-getti «a frequenti disastrose valanghe»4. A Caposele le sorgentidel fiume avevano «di già rovinate porzioni della medesima ter-ra, e forse un giorno le recheranno l’ultima rovina. I nuovisbocchi di acqua, che nascono da giorno in giorno versol’abitato, seguiteranno a fare rovinare quelli meschini edificj, ecosì costringere i naturali di abbandonare del tutto il suolo pa-drio»5. Fiumi e torrenti erano ricchi di pesci d’ogni tipo e inmolti luoghi, tra cui Ariano, Conza, Trevico, Frigento e Lace-donia, era possibile pescare trote, capitoni, anguille e poi «cefa-li, tinche, sardelle, ed anche chiocciole»6.

La grande quantità di boschi faceva della provincia irpina ilterritorio preferito dai cacciatori e ogni descrizione conteneval’elenco della «cacciagione dell’una e dell’altra sorte»7, cioèselvaggina “di pelo” e “di penne”. Nelle campagne di Lacedo-nia era possibile trovare lepri, volpi, starne, beccacce e «uccel-lini da reti, e da vischio, trattenimento de figliuoli non ancoradisposti per la fatica»8, ma l’uccellagione, sia col vischio sia coirapaci, si praticava anche nei boschi tra Lioni e Sant’Angelo,così come la caccia al daino e al cinghiale9; luoghi rinomati perla caccia erano Conza, Teora, Montella, Guardia, Bagnoli, Cai-

3 L. GIUSTINIANI, Dizionario geografico ragionato del Regno di Napoli, IX, Napoli1805, p. 248.

4 F. MIGNONE, Schizzi storici su Sant’Angelo de’ Lombardi, Sant’Angelo dei Lom-bardi 1893, p. 6.

5 GIUSTINIANI, III, Napoli 1797, p. 118.6 Ivi, p. 415.7 Vienna, Österreichische Nationalbibliothek, ms. Alb. 161 a, F. CASSIANO DA

SILVA, Regno di Napoli anotomizzato dalla penna di D. Fran. Cassiano de Silva nobilemilanese…, 191. Su questo manoscritto cfr. G. AMIRANTE – M. R. PESSOLANO, Imma-gini di Napoli e del Regno. Le raccolte di Francesco Cassiano da Silva, Napoli 2005.

8 CASSIANO, p. 270.9 De’ giornali di Gio: Vincenzo Imperiale dalla partenza della patria …, a cura di

A. G. Barrili, Genova 1898, riportato in G. CHIUSANO, Gian Vincenzo Imperiale signo-re di Sant’Angelo dei Lombardi. Soggiorno nel santangiolese, estratto da “Economiairpina”, Avellino 1972, 23.

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L’immagine dell’Irpinia 17

rano e Bisaccia, abbondante «di lepri, di beccacce, di pernici, distarne, e d’altri uccelli», anche se, ammoniva Giustiniani, «irettili velenosi si fanno spesso vedere per quelle campagne»10.

Gli stessi boschi erano il rifugio dei banditi che per secoli in-festarono quelle contrade; e nonostante i cronisti secenteschiaffermassero che grazie all’azione dei viceré «può hoggi ognipassaggiero caminar franco, e più che sicuro»11, il brigantaggioebbe fine solo dopo l’Unità d’Italia. Ancora nel 1838 lo scien-ziato pugliese Luca de Samuele Cagnazzi riferiva di avere af-frontato il viaggio in Irpinia «con molto spavento vedendo de’continui pericoli a cui eravamo esposti»12.

Cagnazzi non trascurò di osservare «la varietà del suolo diquelle precipitose montagne»13, modellate dalle forze endogenee dai frequenti terremoti; e Lorenzo Giustiniani era stato altret-tanto attento osservatore descrivendo il suolo di Ariano:

Il territorio arianese ha tutti i segni indubitati di esservi accadute dellefisiche rivoluzioni ne’ tempi a noi sconosciuti. Egli è tutto arenosotramezzato di strati argillosi di grossezze diverse, e per conseguenzanon è dappertutto ugualmente fertile o atto ad ogni specie di produ-zione. È sparso ancora di molte grotte con de’ crostacei, che han fattonon senza ragione sospettare, che un tempo fosse stato letto di mare.Le fermentazioni spesso, o han fatto centro in quel territorio, o certo,che gli sono state in poca distanza. Quindi la città è stata più volte ro-vinata da’ terremoti, e posti i cittadini nella risoluzione di abbandona-re quel sito, in cui si vede.14

Alla varietà di paesaggi si affiancava la ricchezza del sotto-suolo; cave di “pietra viva”, utilizzata per le costruzioni, si rin-venivano ad Andretta, a Lacedonia e ad Ariano, mentre Gesual-do forniva una buona qualità di marmo, impiegato anche nellacostruzione della reggia di Caserta15; il marmo si estraeva anche

10 GIUSTINIANI, , II, Napoli 1797, p. 138.11 CASSIANO, , p. 191.12 L. DE SAMUELE CAGNAZZI, La mia vita (1764-1852), a cura di A. Cutolo [1943],

II ed. Milano 1964, p. 251.13 Ivi.14 GIUSTINIANI, I, Napoli 1797, p. 268.15 GALANTI, II, p. 390.

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Parte I18

a Montemiletto, ad Ariano e ad Atripalda, il sale ad Avellino e aMontefusco, l’argilla e il gesso dappertutto. Tra Rocca San Fe-lice e Frigento era possibile trovare scavare un’argilla rossachiamata “macra”16, ma la principale attrazione geologica dellazona, e forse dell’intera Irpinia, era la mofeta del lago di An-santo, alla quale era legato il culto della dea Mefite; VincenzoMaria Santoli (1736-1804), arciprete di Rocca San Felice, natu-ralista e archeologo, dedicò alla valle dell’Ansanto una celebreopera, ripresa e citata in tutte le descrizioni successive17.

Il clima della provincia era «più freddo, che temperato, main ogni modo salubre, che influisce robustezza, ed inclinazioneall’armi»18. Tra i paesi più freddi c’erano Nusco e Montemara-no, dove le case erano costruite in pietra per resistere «alla rab-bia dei venti»19, ma il clima peggiore era quello di Trevico,«horrida stanza a suoi habitatori per il sito così freddo, e cosìtormentato da venti, che toglie la curiosità a qualsisia passeggie-re, tutto che sfaccendato, di aggrapparsi per il suo ruvido gio-go»20, al punto che il vescovo preferiva risiedere nella vicinaterra di Flumeri.

In Ariano, città situata «in loco eminente, de bonissimo ae-re», secondo una descrizione di inizio Seicento, vivevano «consalute così l’huomini, come le donne, et fanciulli»21, e conside-razioni simili valevano per Sant’Angelo, di aria «pura, fresca,saluberrima»22, per Montella, luogo «di bonissimo aere […]esposta al sole di levante e ponente»23 e per quasi tutti i luoghiin posizione elevata. Al contrario la situazione di Volturara era

16 GALANTI, II, p. 402; GIUSTINIANI, p. 387.17 V. M. SANTOLI, De mephiti et vallibus Anxanti libri tres …, Neapoli 1783. Cfr.

anche F. SACCO, Dizionario geografico-istorico-fisico del regno di Napoli, III, Napoli1795, p. 205; GIUSTINIANI, VII, p. 45.

18 CASSIANO, p. 191.19 S. MONTORIO, Zodiaco di Maria ovvero le dodici provincie del Regno di Napo-

li…, Napoli 1715, p. 333.20 CASSIANO, p. 270.21 Napoli, Archivio di Stato (ASNa), Relevi, 335.22 MIGNONE, p. 6.23 ASNa, Archivio Doria d’Angri, I/300.

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L’immagine dell’Irpinia 19

molto infelice essendo tutta cinta di monti, e le acque, che calano, da’medesimi, non avendo un libero esito si ristagnano nel piano, e cagio-nano un’aria niente sana alla sua popolazione. Se non vi fossero alleradici di un monte due bocche, chiamandole del Dragone, che se lesogliono assorbire, certo che cagionerebbero un’aria molto pestifera, eda rendere spopolato il luogo.24

Teora, «situata sopra una collina del monte Gallo», era«d’aria alquanto umida»25, mentre Flumeri, «sebbene in situa-zione non bassa, pure non gode di un’aria molto buona, a ca-gione delle acque, che tiene nelle sue vicinanze»26 e un’aria si-mile si respirava anche a Tufo, a causa del fiume Sabato27. An-cora peggiore era il clima di Caposele, per l’aria «niente sana»,il luogo «poco ventilato» e le «nebbie […] continue, cagionatedalle acque di detto fiume», che ne facevano, a detta di Giusti-niani, «un paese infelice»28.

Conza nel XVII secolo risentiva della vicinanza dell’Ofanto,che «nell’estate giace senza vigore alcuno, ma con pochissimeacque, che sogliono esalare pessim’aria a quei miseri conzani,che di continuo si vedono mal’accetti di salute»29; le cose tutta-via cambiarono dopo il sisma del 1694, e una perizia redattaagli inizi del Settecento riferiva che «doppo l’ultimo terremoto,perché il fiume Ofanto corre più di prima, né tanto se ci stagnal’acqua», l’aria era divenuta più salubre ed essendo la città «peril suo sito assai ventilata, si vedono, che gl’abitanti vivono sa-ni»30.

Anche a Frigento, «città di aere molto sottile aggitata da tuttili venti», gli abitanti si mantenevano sani e robusti e ve ne erano«alcuni vecchi di molta età» 31.

24 GIUSTINIANI, X, Napoli 1805, p. 97.25 SACCO, IV, p. 17.26 GIUSTINIANI, IV, p. 292.27 GIUSTINIANI, IX, p. 269.28 GIUSTINIANI, III, p. 118.29 Sant’Angelo dei Lombardi, Archivio Diocesano, ms. del 1691, D. A.

CASTELLANO, Cronista conzana, libro I, capo V, discorso I.30 ASNa, Notai del XVII secolo, 1150/21.31 ASNa, Archivio Caracciolo di Torella, 88/1.

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Parte I20

Gli abitanti

La popolazione del Principato Ultra era composta in mag-gior parte di gente semplice, pastori e contadini; i documentidescrivono uomini e donne «di mediocre aspetto», ma nellostesso tempo «persone quiete, pacifiche non molto rissose»32.

Tra gli abitanti di Montemarano erano pochi quelli «di pellesottile e di genio simile»; i più mantenevano «la ruvidezza nati-va», essendo «intenti solo alla coltura, e tal volta al taglio de le-gni per fabrica de carboni»33, così come i nuscani, «più aplicatial travaglio della mano, che alle leggende»34; questi ultimi, tut-tavia, avevano reputazione di «uomini sinceri, e docili et […]persone molto oneste»35.

Monteverde era «priva di gente culta, e civile attendendo lamagior parte de’ suoi cittadini […] a vancar la terra […] oppurea custodire greggie, ed armenti»36; gli abitanti di Villamainaerano in maggior parte braccianti «che vivono alla giornatacolla zappa nelle mani»37, i conzani erano poveri e vestivano dipanni grezzi, ma erano «gente quieta»38; gli abitanti di Lacedo-nia erano «docili e mansueti, più amici del negotio e travaglioche dell’armi»39. Avevano invece fama di litigiosi i cittadini diTeora «e le donne ancora sono assai litigiose»40.

I calitrani, descritti nel Seicento come oziosi e dediti alle va-nità41, nell’Ottocento apparvero a Luca de Samuele Cagnazzi, invisita al paese, «docili e di ottima morale. Ho vedute – riferivalo scienziato pugliese – delle giovinette guidare gli asini collesome di legna sole, nella distanza di tre in quattro miglia e mi

32 Ivi.33 CASSIANO, p. 282.34 CASSIANO, p. 248.35 GIUSTINIANI, VII, p. 65.36 Napoli, Biblioteca Nazionale “Virttorio Emanuele III”, ms. XV. C. 38, Descri-

zione della provincia di Principato Ultra, s.d. (ma 1736-38), p. 48.37 ASNa, Archivio Caracciolo di Torella, 86/2.38 ASNa, Archivio Caracciolo di Torella, 71/9; ivi, Notai del XVII secolo, 1150/21.39 P. B. ARDOINI, Descrizione dello stato di Melfi (1674), a cura di E. Navazio, La-

vello 1980, P. 81.40 CASTELLANO, III, V, I.41 CASTELLANO, III, II, I.

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L’immagine dell’Irpinia 21

han detto non esservi esempio che soffran desse alcun insulto dagiovinastri»42.

I più semplici di tutti, e anche per questo i più puri di cuore,erano gli abitanti di Cairano, che i missionari di sant’AlfonsoMaria de Liguori, giunti in paese nel 1747, giudicarono «un po-polo d’oro: gli uomini sospesero i trafichi per attendere alleprediche, ed i figlioli pastorelli […] si ritrovarono d’una inno-cenza ammirabile»43.

Tuttavia l’antica fierezza dei progenitori sanniti aveva la-sciato una traccia nelle genti irpine, di carattere “aspro” e facilealle vendette; la frequenza con cui si verificavano in tutta laprovincia omicidi e crimini e il fatto che molti paesi mantenes-sero in opera le mura come protezione contro i malviventi rive-lavano una realtà molto meno idilliaca di quanto affermassero ledescrizioni44, anche perché la città di Benevento, appartenenteallo Stato Pontificio, costituiva un sicuro rifugio per tutti coloroche, macchiatisi di delitti, si davano alla latitanza.

La principale attività della popolazione era l’agricoltura che,vista la conformazione del territorio, risultava faticosa e ingrata;i prodotti principali erano grano, orzo, granturco, castagne, no-ci, nocciole e uva, mentre l’olivo, a causa del clima freddo, erapiuttosto raro.

La zona più fertile, e per questo adatta a colture di maggiorepregio, era la conca di Avellino, mentre la parte orientale dellaprovincia, meno favorita dal clima e coltivata con tecniche pri-mitive, presentava soprattutto seminativi, boschi e terreni incol-ti45. Il grano si coltivava ovunque, perfino a Trevico, città si-tuata a 1.000 metri di altezza ma il cui territorio riusciva «attoalla semina non meno, che alla piantagione di ogni sorta di albe-ri»46, e l’abbondanza di corsi d’acqua permetteva di azionare imulini presenti in ogni paese. A partire dal Cinquecento si era

42 DE SAMUELE CAGNAZZI, p. 251.43 Epistolae Ven. Servi Dei Caesaris Sportelli C.SS.R., Romae 1937, p. 138.44 GALANTI, II, p. 392.45 Cfr. F. BARRA, Paesaggio agrario, strutture produttive e proprietà fondiaria, in

Storia illustrata di Avellino e dell’Irpinia, a cura di G. Colucci Pescatori, E. Cuozzo e F.Barra, III, Avellino 1996, pp. 177-192 e 193-208.

46 GIUSTINIANI, IX, p. 248.

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Parte I22

diffusa in tutta la provincia la coltivazione del granturco o «gra-none», che attecchiva facilmente nel suolo irpino, e alla fine delSettecento Galanti annotava che

il furore di voler coltivare il frumentone è divenuto un male epidemi-co: si vuol seminarlo non solo nelle valli, dove per l’abbondanza delleacque potrebbe prosperare, ma anche sulla cima delle montagne, e siama esporsi ad un pericolo certo di perdere ogni fatica per la lontanasperanza di una buona raccolta in qualche anno piovoso47.

Galanti lamentava anche che, a causa dell’aumentato sfrut-tamento del suolo, i boschi, tanto importanti nel paesaggio irpi-no, andavano

sempre più mancando [...]. Uno degli abusi che contribuiscono a di-struggere i boschi è il voler coltivar troppo, senza distinguere i diversiprodotti che sono convenienti a’ diversi luoghi. Tutto si vuol seminarea grano; si vuol seminar molto e non si pensa a seminar bene per rac-cogliere assai48.

Tra le altre colture Bisaccia era famosa per gli asparagi49,Sant’Andrea per le cipolle50, Trevico per le pere51, Serino eVolturara per le castagne52; producevano buona frutta ancheAriano, Solofra, Montefusco e Sant’Angelo dei Lombardi, «ab-bondante di castagne gentili innestate, di noci, pera, mela, pru-gne, e ciriege»53, mentre le noci di Montella erano «decantate aragione, perché forse le migliori del Regno»54. A Conza, a Ca-litri e a Lacedonia si coltivavano piccole quantità di lino e dicanapa.

La vite era molto diffusa; i paesi più noti per il vino eranoTufo, Montefusco, Taurasi, Montemarano e Sant’Angelo, riccadi «abbondanti vigne, e quelle esposte a Borea non producono

47 GALANTI, II, p. 389.48 GALANTI, II, p. 340.49 De’ giornali di Gio: Vincenzo Imperiale, p. 23.50 CASTELLANO, II, III, VI.51 GALANTI, II, p. 404.52 GIUSTINIANI, IX, p. 15.53 MIGNONE, p. 6.54 GIUSTINIANI, VI, p. 93.

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vino dolce, come in altre, perché soggette al freddo […] onde ivini sono un poco più tartarei, ed acidi»55. Al contrario Teoraera «scarsissima di vino, e quelli che vi sono, sono di pessimaqualità»56.

L’intera provincia era ricca di pascoli, che favorivano la pa-storizia e l’allevamento. Le pianure di Conza abbondavano di«biade d’ogni specie, ed’in quantità»57, ma i pascoli più belli,stando alle descrizioni, erano quelli di Serino, di Montemarano,di Lacedonia, di Sant’Andrea e di Teora, dove prosperavano ingran numero «pecore, boini, et altri animali»58. Nel XVI e XVIIsecolo era diffuso anche l’allevamento dei cavalli; nella difesadel Formicoso, nei pressi di Bisaccia, si allevavano i destrieridei principi aragonesi59, mentre nei dintorni di Calitri pascola-vano i cavalli dei Gesualdo, conti di Conza.

Alcuni paesi, come Cairano, avevano «l’industria di animalivaccini, e pecorini, i di cui prodotti pur vendono altrove»60, maper la produzione di formaggi e latticini erano famose soprat-tutto Frigento e Serino61, mentre Trevico era rinomata per i pro-sciutti62.

Meno diffusi l’artigianato e il commercio, di cui gli osser-vatori più attenti auspicavano una maggiore diffusione, cheavrebbe permesso a quelle popolazioni di vivere «con qualchecommodo»63; era soprattutto Galanti a denunciare l’arretratezzadell’economia irpina, paralizzata, oltre che dai retaggi feudali edalla diffusione della manomorta ecclesiastica, dall’ignoranzadelle classi dirigenti «che curano molto la scienza del blasone eniente quella dell’agricoltura»64.

55 C. ORLANDI, Delle città d’Italia e sue isole adjacenti compendiose notizie sacre e

profane, II, Perugia 1772, 84.56 CASTELLANO, III, V, I.57 CASSIANO, p. 268.58 CASTELLANO, III, V, I.59 GALANTI, II, p. 390.60 GIUSTINIANI, III, p. 23.61 GIUSTINIANI, IV, p. 378 e IX, p. 15.62 GALANTI, II, p. 404.63 ORLANDI, II, p. 84.64 GALANTI, II, p. 391.

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Parte I24

Tra quelli che si dedicavano ad attività diverse da quelle deicampi, gli abitanti di Bisaccia e di Lacedonia erano ritenuti bra-vi artigiani, i santandreani e i serinesi erano “industriosi” e abilicommercianti, mentre Ariano Irpino già agli inizi del Seicentoappariva ricca di «molte hosterie, e boteche di diversi artisti»65,al contrario di Villamaina, che non aveva «botteghe […] di nes-suna maniera»66.

A Lacedonia le donne fabbricavano «i panni-lini, e i panni-lani»67, a Bisaccia lavoravano «i panni di lana, che poi tingonorossi, delle tele di lino, delle buone legaccie di lana, e di tela dibuona fattura, e finalmente delle buone bisacciotte»68; Calitriproduceva ceramiche e terrecotte, come Ariano, che aveva an-che «una buona manifattura di rosolj»69.

Conza nel Settecento poteva vantare «sette embriciari, chelavorano canali, mattoni, suoli, et embrici e di questo genere dirobba […], un pignataro di creta bianca e rustica, un ma-strod’ascia, un fabricatore, una vammana, e due tessitrici»70.

Una felice eccezione era rappresentata da Solofra, come rife-risce una descrizione anonima di metà Settecento:

In questa terra quantunque picciol territorio vi stasse, onde i proprjcittadini non avessero la necessaria, e util applicazione in coltivare iproprj terreni, pure a cagione di tal mancanza si sono così dati al traf-fico, ed all’esercizio della arti mercantili, che stimamo non esserciluogo in questo nostro Regno, ove maggiormente la mercatura si ado-perasse. Eglino oltre il comprare tuttoddì, e vendere quantità grande dilana, lavorano nella propria padria tutto ciò, che porta seco l’arte diconceria [...]; e spezialmente lavorano, e tirano in foglio, l’argento el’oro, d’onde quasi tutto il Regno se ne provede71.

Anche la città di Sant’Angelo dei Lombardi godeva di rela-tivo benessere in virtù di un antico privilegio, contenuto nei

65 ASNa, Relevi, 335.66 ASNa, Archivio Caracciolo di Torella, 86/2.67 GIUSTINIANI, III, p. 415.68 GIUSTINIANI, II, p. 138.69 GIUSTINIANI, I, p. 268.70 ASNa, Notai del XVII secolo, 1150/21.71 Descrizione, p. 85.

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patti stipulati tra la città e il feudatario, che consentiva a «cia-scun cittadino a suo piacimento, e per utile, e commodo pro-prio” di «costruire, e tenere molini, valchiere, taverne, e for-ni»72, condizione che permetteva ai suoi abitanti una maggioreagiatezza. Tuttavia, riferiva Giovan Vincenzo Imperiale, i san-tangiolesi, «dalla feracità della campagna fatti neghittosi, perquanto nascano robusti, si allevano tanto pigri, che più tosto amani spenzolate bene spesso si spasseggiano, di quel ch’a suoitempi con la vanga si lavorino», contentandosi «come se fossemolto, di quel poco che possiedono»73.

Lorenzo Giustiniani accusava invece di scarse capacità im-prenditoriali gli abitanti di Montella, i quali

dovrebbero essere, e non lo sono, commercianti, per essere molto ri-stretto il di loro territorio coltivabile [...]. La vicina terra di Bagnolopiù scarsa di territorio piano coltivabile, col commercio si rende flori-da, e dovrebbe servirli d’esempio, senz’aspettare che li forestieri vadi-no a comprarsi le castagne, le frutta, o a vendersi il grano, ed altre der-rate.74

In Montefusco risiedevano molti dipendenti della RegiaUdienza, che popolavano quella città altrimenti «scarsad’habitanti»75, e in molti centri, tra cui Ariano, Bagnoli, Calitri,Montella e Serino, esisteva un ristretto gruppo di “persone civi-li”, composto da giuristi, notai, ecclesiastici, medici e proprieta-ri terrieri.

La scarsità delle risorse determinava negli abitanti della pro-vincia una certa austerità di costumi; le poche famiglie di con-dizione agiata vivevano senza lussi e senza ostentazioni «me-diocremente ciascuno vestendo, e senza tener cavalli, e carroz-ze, od altre sì fatte grandezze»76, che si rivelavano inutili vanitàin luoghi tanto piccoli e lontani dalla capitale.

72 Ivi.73 De’ giornali di Gio: Vincenzo Imperiale, p. 23.74 GIUSTINIANI, VI, p. 93.75 CASSIANO, p. 269.76 Descrizione, p.13.

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Parte I26

Città e terre

I paesi dell’Irpinia erano tutti di fondazione molto antica;quasi sempre gli autori ricorrono a locuzioni come “città anti-chissima”, “esistente da tempo immemorabile”, “di origineignota” e così via. L’origine di Nusco, secondo Sacco77, erasconosciuta, e così quelle di Lacedonia, di Calitri, di Conza,«con tutto che si sappia che 500 anni prima della venuta del Si-gnore tra gli hirpini nella Lucania l’avesse descritta Tolo-meo»78. Bisaccia aveva avuto origine dall’antica Romulea «298anni prima del nascere del Signore»79 e Serino «dai popoli Sa-batini, di cui fa menzione Livio dopo la distruzione della lorocittà Sabatio, o Sabatha»80; Trevico poteva vantare una citazio-ne di Orazio, che vi aveva soggiornato nel corso di un viaggioda Roma a Brindisi, anche se, annotava caustico Giustiniani,«già vedesi che non dovea esser gran cosa»81.

Molte città conservavano vestigia del passato; nei dintorni diMontemarano erano stati rinvenuti «varj pezzi di antichità»82,Conza era cosparsa di ruderi che in più occasioni avevano for-nito materiale per nuove costruzioni, in Sant’Angelo dei Lom-bardi un antico sarcofago di marmo era stato reimpiegato comevasca di una fontana83 e a Lacedonia si potevano osservare gli«sconcatenati vestiggi» delle mura e alcune «inscrizioni he-bree»84; a Rocca San Felice, uno dei luoghi più ricchi di testi-monianze archeologiche, erano stati rinvenuti «avanzi di vetustemuraglie […] affusti di colonne marmoree scavezzate e infran-te, e bauli mortuarii», oltre alla statua marmorea di Cerere «chetuttora si ammira sulla loggia di Santoli»85.

77 SACCO, II, p. 425.78 CASSIANO, p. 268.79 Ivi, p. 263.80 GIUSTINIANI, IX, p. 15.81 Ivi, p. 248.82 Ivi, VI, p. 103.83 ORLANDI, II, p. 84.84 CASSIANO, p. 270.85 A. M. IANNACCHINI, Topografia storica dell’Irpinia, II, Avellino 1889, p. 188.

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Quasi tutti i paesi erano situati sulle alture, una posizioneche garantiva aria buona e vedute panoramiche. Ariano aveva«un orizonte vago non meno, che molto esteso, guardando […]non poche città, terre, e monti, tra i quali il Vultore, ed il Mate-se»86; Lacedonia godeva di «un ameno orizzonte, e special-mente dalla parte di oriente, e di settentrione, guardando la Pu-glia»87, Sant’Angelo dei Lombardi offriva allo sguardo «ungrosso quadro di vedute variate e stupende»88 e da Sant’Andreadi Conza si aveva una «bellissima vista indeterminata»89. Mon-tefusco, riferiva Pacichelli, godeva «la prospettiva» dei suoinumerosi casali90, e Frigento, posta «sulla summità d’una colli-na tra il Mezzogiorno e l’Oriente», mostrava «molte miglia dibelle campagne»91. Anche Morra offriva bellissimi panorami,felicemente descritti dalla penna di Francesco de Sanctis:

Dunque una costa in pendio avvallata è Morra. Ed è tutto un bel vede-re, posto tra due valloni. A dritta è il vallone stretto e profondo diSant’Angiolo, sul quale premono le spalle selvose di altre vette, e co-lassù vedi Sant’Angiolo, e Nusco, e qualche punta di Montella, e inqua folti boschi che ti rubano la vista di Lioni. A sinistra è la valledell’Isca, impetuoso torrente che va a congiungersi coll’Ofanto, e so-pravi ignudi e ripidi monti, quasi un anfiteatro, che dalla vicina Guar-dia si stende sino a Teora e ti mostra nel mezzo il Formicoso, quelprato boscoso dietro il quale indovini Bisaccia, e ti mostra Andretta, eil castello di Cairano, avanguardia di Conza, e Sant’Andrea. L’occhionon appagato, navigando per quell’infinito, si stende là dove i contorniappena sfumati cadono in balìa dell’immaginazione, e a dritta indovi-na Salerno e Napoli e vede il Vesuvio quando fiammeggia, e a manci-na corre là dov’è Melfi e dov’è Campagna92.

Serafino Montorio decantava il territorio di Bagnoli Irpino,che «tra le asprezze inaccessibili di montagne e dirupi racchiu-

86 GIUSTINIANI, I, p. 268.87 Ivi, III, p. 415.88 MIGNONE, p. 6.89 CASTELLANO, II, III, VI.90 G. B. PACICHELLI, Memorie de’ viaggi per l’Europa christiana scritte a diversi

in occasion de’ suoi ministeri, IV/1, Napoli 1685, p. 434.91 ASNa, Archivio Caracciolo di Torella, 88/1.92 F. DE SANCTIS, Un viaggio elettorale [1876], Milano 1977, p. 80.

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de, per così dire, i Campi Elisi di una felice campagna, così fer-tile di verdure, ed abbondante di limpidissimi fonti, che fuscelta dal Sannazzaro per luogo atto a componere la rinomatasua Arcadia»93, mentre per la forma urbana erano belli RoccaSan Felice, Lioni, «luogo assai commodo per abitazioni, emolto ricco per industrie»94, Ariano, adagiata su tre colli, con uncircuito urbano lungo oltre tre chilometri, e Calitri, collocata

in luogo alto e sollevato con buona costruzione di case, le quali sonoedificate tutte in prospettiva, cioè le fenestre sono tutte ad una parte,cioè alla parte sottana, e le porte tutte alla parte soprana, che dalla via,che viene dalla Puglia compare una bellissima prospettiva ad uso diteatro, a segno che l’ilustre principe di Venosa antico, quando volevafar vedere ai suoi hospidi cavalieri una bella vista, faceva di nottetempo mettere lume a dette fenestre, che dimostravano un grandissimosplendore, et ordinata vista95.

Tra le città meno attraenti c’erano Nusco, definita da Paci-chelli «angusta, et inelegante»96, e Lacedonia, giudicata da Ar-doini «pocho di sito» e con edifici «cattivissimi […] e mal com-posti»97. Montemarano, formata da «non più di 200 case coltetto di legno», non aveva «nulla affatto di riguardevole»98, cosìcome Bisaccia, «scarsa di abitatori, e di fabbriche»99.

Una diversa struttura urbana caratterizzava Serino, «una rac-colta di casali»100 composta da una ventina di piccoli abitatisparsi intorno ai resti dell’antica città di Sabatia, mentre Mon-tella era formata da «ventidue nomi di casali […] divisi in setteparrocchie»; Trevico invece aveva avuto origine da alcuni vil-laggi divenuti col tempo un unico agglomerato urbano101, comeSolofra, composta da «diecinove casali, o siano suborghi, i quali

93 MONTORIO, p. 347.94 De’ giornali di Gio: Vincenzo Imperiale, p. 21.95 CASTELLANO, III, II, I.96 G. B. PACICHELLI, Il Regno di Napoli in prospettiva [1703], r. a., I, Bologna

1997, p. 143.97 ARDOINI, p. 81.98 MIGNONE, p. 6.99 ASNa, Archivio Doria d’Angri, I/302.100 CASSIANO, p. 247.101 GIUSTINIANI, IX, p. 248.

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a riserba di quello, che chiamasi S. Agata», erano talmente vici-ni tra loro da sembrare un’unica terra102.

Più articolata la configurazione di Sant’Angelo dei Lombar-di, la cui popolazione era

sparsa in piccola parte ne’ tre sobborghi del Piaggio, S. Maria e S.Rocco (un migliaio circa), un’altra parte (un due migliara), nella città;e la parte maggiore, su ventidue casali e villaggi, nelle circostanticampagne; per lo che, lontana la gente minuta, i contadini e i lor ani-mali agricoli, la città propriamente detta spicca per la politezza dellevie e delle piazze103.

Erano belle anche le vie di Montella «per la maggior partepiane, et polite per esserno manufatte in molte parti in seliciata,che se ci può andare in carrozza da detta terra, sino alla terra diCassano»104, ma in generale le strade dei paesi irpini somiglia-vano più a quelle di Frigento, prive di pavimentazione in pietrae dunque «commode d’estate, ma d’inverno fangose»105.

In origine molti centri avevano castelli circondati da cintemurarie, e se i castelli, perduta l’originaria funzione militare,erano stati lasciati in abbandono o trasformati in residenze pa-trizie, mura e porte, quando ancora presenti, costituivano unaprotezione contro briganti e malviventi.

Sant’Andrea alla fine del Seicento era «complita di murate, evi sono belle porte ed assai fortificata per l’invasione di malegente»106; le due porte di Villamaina erano tenute «in ordine,che se possono aprire e serrare» e tutta la terra era «cinta, e mu-rata […] però non è totalmente forte, poi che volentieri può es-ser oltraggiata da nemici, e gente di malavita»107, così come La-cedonia, cinta di mura «poco forti»108, e Nusco, altra città mu-rata, che secondo Giustiniani era stata «ridotta nello stato dipicciolezza da’ contaggi, non meno che dalle stesse scorrerie

102 Descrizione, p. 85.103 MIGNONE, p. 6.104 ASNa, Archivio Doria d’Angri, I/302.105 ASNa, Archivio Caracciolo di Torella, 88/1.106 CASTELLANO, II, III, VI.107 ASNa, Archivio Caracciolo di Torella, 86/2.108 ARDOINI, p. 81.

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de’ fuorusciti, che un tempo per lo Regno cagionarono delle ter-ribili sciagure a paesi diversi»109.

Piccoli paesi come Trevico, «anticamente […] tutta muratacon tre porte, due delle quali tuttavia esistono»110, e Cairanoerano difesi dalla loro posizione elevata, così come Sant’Angelodei Lombardi, terra murata con due porte e «con un castello bengrande, e forte situato in un rialto, che dalla parte di Ponente sirende quasi inaccessibile»111.

Ariano era «rechiusa da una parte de muro con bellissimaporta de sopra la strada nova reale de tutta la Puglia, dove è si-tuato il borgo di detta città»112, Conza non aveva «riparo di mu-ra, ma se ne vedono le antiche, e magnifiche vestigia, comeugualmente le reliquie del superbo palagio baronale»113, mentreuna «terra murata con quattro porte» circondava il castello diCalitri, «carrico d’habitationi, circa a 300 camere che vi posso-no stare comodamente da cinque corti di signori ben munito didue ponti a levatoio, con bellissimi bastioni […] e guarnito ditutte comodità»114, trasformato fin dal Cinquecento in una son-tuosa dimora patrizia che aveva ospitato i principi e i prelati dicasa Gesualdo.

Magnifiche residenze erano anche i castelli di Gesualdo, diTorella, con un giardino pensile costruito dai principi Carac-ciolo, di Bisaccia¸ dimora dei Pignatelli, «con un nobil loggiatodi 28 archi di pietre a scarpello»115, e di Teora, dal quale i feu-datari della famiglia Mirelli avevano ricavato «un commodopalazzo baronale con una torre rotonda, ed antica»116.

Tra le costruzioni più vetuste c’era il castello di Ariano,

construtto da Aragonesi e da Angisiani, et ampliato con baluardi at-torno come ne fanno testimonianza e mostra l’arme delle dette nationi

109 GIUSTINIANI, VII, p. 65.110 GIUSTINIANI, IX, p. 248.111 ORLANDI, II, p. 84.112 ASNa, Relevi, 335.113 ASNa, Notai del XVII secolo, 1150/21.114 CASTELLANO, III, II, I.115 ASNa, Archivio de la Rochefoucauld, 5.116 SACCO, IV, p. 17.

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in le muraglie di detto castello, al presente tutto diruto, et inhabitabile,remasto solo le mura con molte ficture, al riparo del quale vi bisogna-ria grandissima spesa, senza utile né ritratto, ma solamente per memo-ria dell’antiquità di detta città117.

Ugualmente antichi il castello di Trevico, «con forti mura-glie, opera de’ bassi tempi, da cui scoprivansi diverse provinciedel Regno»118, quello di Monteverde, «ch’è l’unico ornamentodella città»119, quello di Conza, che una descrizione del XV se-colo ricorda composto di «membri assay»120, quello di RoccaSan Felice, riprodotto in una bella incisione di Santoli, quello diMontella, «sopra un monte della parte di ponente […] che visono rimaste le muraglie d’intorno intorno molto grosse, e alte,dentro delle quali vi è un torrione molto grande, e alto, e vi citrasiva per ponte»121, e quello di Lacedonia, fatiscente e perciòutilizzato come granaio122; dall’antico palazzo baronale diSant’Andrea gli arcivescovi di Conza avevano ricavato primal’episcopio e, dalla fine del Seicento, anche il seminario, mentreil castello di Montefusco era utilizzato come residenza per imagistrati della Regia Udienza e come carcere.

Per quanto riguarda le abitazioni, nel centro di Ariano erano«di bonissimo aspetto»123 e a Calitri di «buona costruzione»124,mentre gli edifici di Solofra apparivano «assaj commodi»125 equelli di Frigento mostravano anche «qualche pocod’architettura»126. Le case di Sant’Angelo e di Nusco erano «neldi fuori rustiche, nel di dentro polite», ma solo poche di essepotevano definirsi «comode»127. Le abitazioni di Conza eranoper la maggior parte «anguste, essendovi cospicua, e nobile la

117 ASNa, Relevi, 335.118 GIUSTINIANI, IX, p. 248.119 SACCO, II, p. 267.120 ASNa, Relevi, 322.121 ASNa, Archivio Doria d’Angri, I/302.122 ARDOINI, p. 81.123 ASNa, Relevi, 335.124 CASTELLANO, III, II, I.125 Descrizione, p. 85.126 ASNa, Archivio Caracciolo di Torella, 88/1.127 De’ giornali di Gio: Vincenzo Imperiale, p. 22.

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casa dell’odierno signor vicario capitulare, e decenti quelle dellireverendi canonici, e poche de laici»128, mentre quelle di Villa-maina erano fatte «di pietra cruda, e mala mistura di calce e po-che ne sono in ordine, mentre al generale sono case matte, co-verte di scandole et embrici»129.

Le abitazioni di maggior pregio erano costruite in pietra vi-va, sia per offrire maggiore resistenza ai venti e ai terremoti, siaper la bellezza del materiale; in molti paesi i lapicidi realizzava-no con la pietra locale ornie di finestre, portali di chiese e dipalazzi e porte urbane, come la «Porta Nova» di Villamaina, co-struita «con tagli di pietra lavorata», dalla quale partiva unastrada «ben fatta, matonata, e cruciata di pietre marmo lavorataper mezzo, e per quella strada si va alla chiesa maggiore, et alistesso palazzo baronale»130.

Tra gli edifici sacri erano considerate di buona architettura lecattedrali di Conza e di Ariano, meno belle quelle di Bisaccia,di Sant’Angelo e di Frigento; la cattedrale di Trevico e quella diLacedonia erano invece «di struttura antica»131; le chiese par-rocchiali più belle erano quelle di Guardia dei Lombardi, di Ca-litri, di Teora e di Andretta, «di ben intesa architettura, e riccadi finissime pietre, che si scavano ne’ contorni»132.

Religiosi, conventi e monasteri

Quasi un terzo delle circoscrizioni ecclesiastiche in cui eradivisa la Campania ricadevano all’interno del Principato Ultra,giustificando il detto secondo il quale, quando a un vescovocampano sfuggiva di mano il pastorale, questo cadeva nella dio-cesi vicina; il vescovato di Trevico racchiudeva in tutto sei cen-tri abitati, quelli di Nusco e Montemarano quattro ciascuno, lacircoscrizione di Bisaccia abbracciava tre paesi e due sole terreformavano le diocesi di Lacedonia e di Monteverde.

128 ASNa, Notai del XVII secolo, 1150/21.129 ASNa, Archivio Caracciolo di Torella, 86/2.130 ASNa, Archivio Caracciolo di Torella, 86/2.131 SACCO, IV, p. 81; CASSIANO, p. 270.132 SACCO, I, p. 40.

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Tanti minuscoli vescovati concentrati in uno spazio limitatoe tredici prelati133 per governare poco più di duecentomila ani-me, quando nello stesso periodo l’intera Lombardia contava intutto nove diocesi per una popolazione dieci volte maggiore, sispiegano con la morfologia accidentata del territorio, che ren-deva difficili i collegamenti tra i paesini sparsi tra le montagne,e con l’esistenza di antichi privilegi legati a centri decaduti; adesempio la città di Frigento, sebbene la sua circoscrizione fossestata da tempo accorpata con quella di Avellino, manteneva ildiritto di eleggere un proprio vicario capitolare e il vescovo diAvellino periodicamente celebrava anche nella cattedrale fri-gentina.

Non sempre i prelati dimoravano nella città principale delladiocesi: il vescovo di Conza, secondo le stagioni, risiedeva inSantomenna o in Sant’Andrea, quello di Trevico a Flumeri o aCastelbaronia; ma l’uso di risiedere stabilmente all’interno dellapropria circoscrizione, a differenza di quanto accadeva nelleepoche più remote, si andava sempre più affermando.

In ogni paese il clero annoverava decine di sacerdoti e chie-rici; Ariano contava nel XVII secolo più di centocinquanta reli-giosi134, ma gli ecclesiastici oltre che nelle città vescovili, eranonumerosi anche a Calitri, a Montella, a Sant’Andrea, a Frigentoe in molti altri centri. Nell’intero Principato Ultra c’erano, afronte di oltre ottanta case maschili, meno di quindici monasterifemminili; la grande differenza si spiega col fatto che questi ul-timi potevano trovarsi solo all’interno delle mura urbane, men-tre conventi e monasteri maschili non di rado erano situati inluoghi distanti dall’abitato.

Il più famoso dei numerosi conventi francescani che punteg-giavano l’Irpinia era quello di San Francesco a Folloni, situatoin un bosco nei pressi di Montella, mentre Bagnoli, ricca di edi-fici sacri, era sede di un importante convento domenicano e di

133 Ai dieci vescovi che governavano le circoscrizioni ecclesiastiche della provincia

vanno aggiunti l’abate di Montevergine, che aveva dignità vescovile, e gli arcivescovi diBenevento e di Salerno, le cui diocesi comprendevano anche molti centri del PrincipatoUltra.

134 ASNa, Relevi, 335.

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Parte I34

una «sontuosa chiesa collegiale»135, rinomata come l’altra diSolofra, adornata «di vaghe pitture […] di mano del celebreFrancesco Guarino di lei cittadino»136. Numerose anche le ab-bazie; oltre a quella di Montevergine, le più note erano SantaMaria Incoronata, San Guglielmo al Goleto, nel territorio diSant’Angelo, e Santa Maria di Fontigliano, presso Nusco, sededi un celebre santuario.

I religiosi delle congregazioni fondate nell’età della Contro-riforma, che di solito preferivano aprire case solo nei centri diuna certa importanza, erano meno diffusi nei paesinidell’interno; tuttavia, a partire dal XVII secolo, sacerdoti mis-sionari visitavano periodicamente le terre più remote, per cate-chizzare popolazioni che avevano grande necessità di cura pa-storale, e gli arcivescovi più avveduti incoraggiavano le missio-ni popolari, utilizzandole anche per moralizzare, attraverso gliesercizi spirituali, il clero della propria diocesi. Particolare favo-re incontrò tra le genti irpine la congregazione dei Redentoristi,fondata nel XVIII secolo da Sant’Alfonso de Liguori, che grazieall’aiuto di monsignor Giuseppe Nicolai, arcivescovo di Conza,aprì nei pressi di Caposele il «bellissimo, e grandioso edifi-cio»137 di Materdomini, divenuto in breve tempo uno dei princi-pali punti di riferimento spirituali della provincia.

I terremoti

In più occasioni i terremoti avevano trasformato il paesaggioirpino, e nelle fonti è rimasta ampia memoria dei eventi più ro-vinosi, da quello del 990, che distrusse le città di Frigento e diConza, all’altro del 1456, che «danneggiò gravissimamente piùcittà, e castella del Regno di Napoli»138.

135 SACCO, I, p. 83.136 Descrizione, p. 85.137 GIUSTINIANI, III, p. 118.138 Sui terremoti cfr. N. DI GUGLIELMO I terremoti in Campania. Profilo storico.

Considerazioni critiche e documenti, Avellino 2003, al quale si rimanda per ulteriorebibliografia.

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L’immagine dell’Irpinia 35

Numerosi sismi si verificarono nel XVII secolo, da quellodel 1688, che colpì soprattutto Mirabella, Serino, Montoro,Montecalvo e Ariano139, a quello del 1694, che distrusse Conzae Sant’Angelo dei Lombardi, dove il vescovo scampò per unsoffio alla morte; si salvò, «per mero miracolo del gloriosoSanto Gaitano», anche il presule di Conza, monsignor GaetanoCaracciolo, che si trovava nel suo palazzo in Santomenna140,mentre a Bisaccia rimase uccisa la duchessa Pignatelli, feudata-ria del paese141.

A Calitri, il paese più vicino all’epicentro, il castello rovinòsulle case sottostanti, uccidendo decine di persone, tra cui quasitutta la famiglia del feudatario Carlo Mirelli, salvatosi perché inquei giorni si trovava a Napoli insieme al primogenito142.

Ugualmente catastrofico, il terremoto del 1732 non rispar-miò nessuna terra:

Il danno maggiore si sente accaduto nella provincia chiamata il Prin-cipato Ulteriore, ove la città d’Ariano è stata tutta distrutta, a riserva dipochi edifizi [...] di 12 parrocchie, 6 chiese di religiosi, e circa 30 altrechiese della città, non vi è rimasto luogo da potersi celebrare la santaMessa, e amministrare al popolo si SS. Sacramenti, il che si fa dentroalcune grotti [...] e sebbene il numero de’ morti in essa città [...] nonascendono secondo l’ultime notizie, che a 160, ciò è stato, perché neltempo accadde il terremoto, la gente si trovò uscita per le campagne[...]. La stessa disgrazia si sente accaduta alla terra di Pietra delli Fusicon morte di circa 100 persone. Carifri nella stessa forma [...] Mira-bella è anche rovinata, con molta mortalità [...] Montefusco, Flumari,Torella, S. Mango, Mercogliano, Arpaja, S. Barbato, due casali diMontella, Guardia Lombarda, Sant’Angelo Lombardo, Tufo, San

139 Vera, e distinta relatione dell’horribile, e spaventoso terremoto accaduto in Na-

poli, & in più parti del Regno il giorno 5 giugno 1688 co’l numero delle città, terre, &altri luoghi rovinati, Napoli 1688.

140 Cronista Conzana. Aggiunta doppo la morte dell’Authore, ms. s.d. [ma primadel 1709], ff. 411-420, in E. RICCIARDI, Gaetano Caracciolo arcivescovo di Conza(1682-1709), in «Archivio Storico per le Province Napoletane», CXXIII (2005), pp.319-358.

141 G. B. PACICHELLI, Lettere famigliari, istoriche et erudite tratte dalle sue memo-rie recondite. In occasione dei suoi studi, viaggi e ministeri, II, Napoli 1695, p. 353;GIUSTINIANI, I, p. 138.

142 Vera e distinta relatione dello spaventoso e funesto terremoto accaduto in Na-poli e parte del suo regno il giorno di 8 settembre 1694 (...) et in particolare nelle treProvincie di Principato Ultra, Citra e Basilicata..., Napoli - Roma 1694.

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Parte I36

Nazzaro, Dentecane, Grotta Minarda, Gesualdo, Leoni, S. Gio:, Teora,Calabritto, ed altre moltissime terre hanno patito colla rovina delleabitazioni, e morte di più persone. 143

Nell’intera provincia si contarono 1778 morti e oltre 1000feriti; i danni maggiori si verificarono nella Baronia e nell’areaarianese, ma tutti i paesi lamentarono lutti e distruzioni. A Con-za crollarono la cattedrale e molte case, con più di 50 morti; aSant’Andrea fu raso al suolo l’arcivescovado e rimasero dan-neggiate la chiesa di San Michele e la parrocchiale di San Do-menico, mentre in Calitri si aprirono profonde lesioni nei muridella chiesa madre.

Anche nel XIX secolo si verificarono numerosi eventi sismi-ci, a partire da quello del 26 luglio 1805 (il «terremoto diSant’Anna»), ma nessuno di gravità paragonabile a quelli deisecoli precedenti.

* * *

Le descrizioni antiche delineano, al di là delle differenze traun paese e l’altro, un contesto abbastanza uniforme, soprattuttose si prende in considerazione la parte più remota dell’Irpinia,quella a est dell’Appennino. Dalle testimonianze emerge il pro-filo di una provincia in prevalenza rurale, costellata di minu-scoli centri abitati e penalizzata da un’economia arretrata, concaratteri ancora feudali e con gran parte della proprietà terrieraconcentrata nelle mani degli ecclesiastici; un territorio con po-che vie di comunicazione, ma con una qualità ambientale note-vole, nel quale si inserivano senza difficoltà fabbriche semplicie decorose, raccolte intorno ai castelli o ai campanili oggiscomparsi, ma ancora visibili nelle immagini pervenuteci daisecoli passati.

143 Relazione del terremoto sentitosi in Napoli ed in alcune provincie del Regno a’

27 di novembre 1732, Lucca 1732.

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Parte II

I centri abitati

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I centri abitati 39

ArianoFonti: SNSP, ms. XXII. E. 15, S. AGOSTINO, Descrittione d’Ariano [1587-

90]; ASVat, Archivio Boncompagni-Ludovisi, 274, Descrittione della città diAriano… [1623 - B. Sansonetti]; ASNa, Relevi, 335 [1631 - O. Conca],CASSIANO, 246; BNNa, Descrizione, 27.

Bibliografia: CIARLANTI, I, 66; UGHELLI, VIII, 212; PACICHELLI, I, 303;ORLANDI, II, 194; T. VITALE, Storia della regia città di Ariano e sua diocesi,Roma 1794; SACCO, I, 56; GIUSTINIANI, I, 266; N. FLAMMIA, Storia della cittàdi Ariano dalla sua origine sino all’anno 1893, Ariano Irpino 1893; G.MUOLLO- P. MELE, Ariano Irpino città dei Normanni, Viterbo 1998.

Vedute: CASSIANO, PACICHELLI (due vedute), ORLANDI.

F. Cassiano de Silva, Ariano [fine XVII secolo], da CASSIANO.

Detta città posa e risiede in loco eminente, de bonissimo ae-re, dove, verso la Puglia, risiede il castello antichissimo con-strutto da Aragonesi e da Angisiani, et ampliato con baluardiattorno come ne fanno testimonianza e mostra l’arme delledette nationi in le muraglie di detto castello, al presente tuttodiruto, et inhabitabile, remasto solo le mura con molte ficture,al riparo del quale vi bisognaria grandissima spesa, senza utilené ritratto, ma solamente per memoria dell’antiquità di dettacittà, la quale viene rechiusa da una parte de muro con bellis-

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Parte II40

sima porta de sopra la strada nova reale de tutta la Puglia, do-ve è situato il borgo di detta città, con molte hosterie, et botechede diversi artisti. Tiene la detta città il suo territorio de migliatrenta sei in circa, con fontane d’acqua dolce diviso in vigne,seminatori, bosco, piano, et valle per pascoli d’animali abun-dantissimo, et fertile di cose commestibile per uso, et vitto hu-mano non solo per li suoi cittadini, et habitanti, ma anco pervendita a forastieri. Dentro la detta città, nel piano di essa, etsituata l’ecclesia vescovale con l’habitatione del vescovo, offi-ciata da venti canonici, et altri preti; vi sono dodeci ecclesieparrocchiale che ministrano il Santissimo Sacramento, divisecon dodeci quartieri di detta città incluso il borgo, due di essecollegiate officiate de canonici quali viveno con bonissime ren-dite et intrate. Vi sono oltre centocinquanta preti, tra sacerdotiet clerici; vi sono conventi de monaci et frati come de SantoFrancesco, Santo Augustino, Santo Benedetto, Santo Domenico,un monastero con clausura de monache sotto titulo de SantoSalvatore. Nella piazza maggiore risiede la casa con le carceredove habita il governatore; all’incontro vi è un teatro seu seg-gio dove si congregano li cittadini; le case et habitationi didetta città sono comode, l’habitationi di bonissimo aspetto, vi-veno con salute così l’huomini, come le donne, et fanciulli. (A-SNa, Relevi, inc. 335).

Principalmente fui mosso a meraviglia per lo prospetto diAriano. Imperocché lasciata Grotta-Minarda col castello di Fi-lippo II e passato su pel ponte di diecessette archi con maestriacostruito sul Calore, si presenta Ariano a’ piedi degli Appenni-ni sopra tre colli larghi e pieni, massime verso i fianchi, di fa-cili eminenze ed ornate dalle capanne de’ villici e dalle pianta-gioni di viti e di olivi. Quelle vecchie mura che difendono lacittà, la sommità delle cupule e de’ campanili del Duomo, di treinsigni collegiate e di dodici parrocchie e di molti monasteri,fanno giudicare che quella era stata una terra ricca e possente[…]. Finalmente dopo molte investiture, fu nel 1586 liberatadal dispotismo baronale. Pervenuta a città regia la illustrarono

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I centri abitati 41

molti valentuomini, e fu la prima tra le città del Principato Ul-tra. (N. NISCO, Escursioni nel Principato Ulteriore dal Cubantead Ariano, Napoli 1840).

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Parte II42

AvellinoFonti manoscritte: ASNa, Regia Camera della Sommaria. Consultatio-

num, IV, 222 [1576]; CASSIANO, 254; Descrizione, 35.Bibliografia: CIARLANTI, I, 85; UGHELLI, VIII, 188; PACICHELLI, I, 238;

SACCO, I, 72; GIUSTINIANI, II, 73; ORLANDI, II, 327; F. SCANDONE, Storia diAvellino, Napoli 1956; M. A. DE CUNZO - V. DE MARTINI, Avellino, Roma-Bari 1985; Storia illustrata di Avellino e dell’Irpinia, a cura di E. Cuozzo e F.Barra, 10 voll., Avellino 1996.

Vedute: PACICHELLI , CASSIANO, ORLANDI.

Ignoto, Avellino [fine XVII secolo], da PACICHELLI.

Più probabile pare l’opinione di chi vuole, che questa cittàtraesse il suo nome dal frutto del quale abbonda tutto il suo ter-ritorio, di avellane, dette volgarmente nocciole, che non quelledi tanti autori che la fanno derivare chi dall’antica Avella, chidalla vicinanza di Vellia, ò Avellia, e chi dalla dea Bellina, òBellona, ma lasciandone indagare la verità a’ più scrupolosi,

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I centri abitati 43

bastarà credere, ch’ella sia antichissima, prima col titolo dicontea, hora di principato più che nobile della chiarissima fa-miglia de’ Caraccioli de gran cancellieri del Regno, situata alleradici del Monte Vergine. Sino da primi secoli vi campeggiò laSanta Fede, officiandovi nella sua vescoval chiesa dedicata allaAssunzione di Maria Santissima tre dignità, e quatordici cano-nici oltre un numeroso clero, e custodendovisi una delle spinedel Redentore con un pezzetto della sua Croce, una mascella, emolte ossa dei SS. Modestino, Flaviano, e Fiorentino suoi pro-tettori, una ampollina col latte di S. Anna, sangue e grasso di S.Lorenzo, quale nella vigilia, e giorno della sua festa si vede li-quefatto, e bollente, un dente molare di S. Appollonia, e moltealtre ossa di tutti gli Apostoli, di S. Gennaro, con altri molti. Viha un seminario così per lettere, come per musica. Conta dasette cospicui conventi, de Domenicani, Agostiniani, Conven-tuali, e Cappuccini, oltre i frati di S. Giovan di Dio in un gran-de hospitale, Benedettini, di Monte Vergine, e li Camandolensidi S. Maria dell’Incoronata con due monasterij di monache, emolte congregazioni con più monti per opere pie. Il suo ingres-so è di maestra porta con linea dritta spalleggiata da innume-rabili pioppi d’un miglio di lunghezza che incamina verso Na-poli, il suo clima è temperato, e salubre, onde abbonda di tuttoil necessario. Vi si fabrica carta, panni, ferro, e vi si cava ne’pozzi il sale. Fa 600 fuochi con 3.mila anime. [CASSIANO, 254].

Di presente Avellino la migliore dell’altre città della provin-zia si riputa, non solamente per lo suo matteriale, essendogrande, spaziosa, e ripiena di buoni edifizi, e commode abita-zioni, e le stradi piane, aggiate, e vistose si sono, annoverando-si in Avellino sei conventi di religiosi uomini, e due munisteri disuore, oltre al duomo, ed altre chiese; ma eziandio per lo com-modo ed abbondanza de’ viveri; mentre sebbene il suo territo-rio altra frutta non producesse che nocciuole, castagne, e pocovino, pure perché da convicini luoghi, e da quelli di quasi tuttala provinzia di continuo vi si portan a vendere vittovaglie, frut-ta, ed altre spezie di robbe, precise nel lunedì, mercoledì, e ve-

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Parte II44

nerdì di ciascuna semmana, che grandissimo smaldimento so-pra ognaltra cosa di grano, e d’orzo, vi si fa, perciò gli avelli-nesi obertosamente senza sentire verun incommodo di scarsezzasi vivono. In questa città, ove l’anime giungono al numero disettemila, ottocento ventiquattro, vi risiede il proprio vescovo,che di quelle ha cura nello spirituale, e governasi la Universitàda un sindaco, e quattro eletti, che da quel pubblico in ciascunanno si eliggono; e l’amministrazione della giustizia vien te-nuta dal governadore, e dal giudice delle seconde cause, chedall’util padrone del luogo si destinano. Vi risiede parimente inAvellino il reggio percettore, che tiene colà la cassa delle ren-dite reali della provinzia. L’util padrone di Avellino si è pre-sentemente D. Marino Francesco Maria Caracciolo Rosso,possedendola questa assai ragguardevol casa sin dall’anno1586 per compera fattane dal Regio Fisco, fruttandole oggi-giorno, tra burgensatici, e feudali, l’annual somma di ducatisedecimila. Che si è quanto possiamo della città di Avellino ri-ferire, tralasciando d’annoverar qui le famiglie, mentre quasiche tutta la gente civile, e lontana dalla plebbe ugualmente sivive. (BBNa, Descrizione, 35)

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I centri abitati 45

BisacciaFonti: CASSIANO, 263; BNNa, Descrizione, 40; ASNa, Carte de la Ro-

chefoucauld, 5 [1786 - F. Villani]].Bibliografia: CIARLANTI, I, 81; UGHELLI, VI, 836; PACICHELLI, I, 245;

SACCO, I, 109; ORLANDI, III, 306; GIUSTINIANI, II, 138;Vedute: CASSIANO; ASNa, Carte la Rochefoucauld, 5; Archivio comunale

di Bisaccia.

Ignoto, Pianta topografica della Comune di Bisaccia [fine XVIII secolo], Bi-saccia, Archivio comunale.

Bisaccia i Longobardi nominarono questa città, la quale po-sta nella parte orientale di questa provincia fu dagli Irpini, se-condo che rapporta il Cluverio, Romulea appellata. Di tal cittàscrive Livio, che negli anni di Roma 486, che si furono ducentonovanta prima del nascimento di Cristo, fu presa, e saccheg-giata da P. Decio console. Di presente scarsa di abitazioni, e diabitatori ella si dimostra, non essendoci in tal paese, che 4.066

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anime, le quali vengono per lo spirituale regolate dal propriovescovo, il qual suol fare sua dimora in S. Angelo de’ Lombar-di, alla di cui chiesa, perché potesse con parteciparne maggiorrendita più decorosamente il vescovo mantenersi, si fu quelladella città di Bisaccia da papa Leone X nell’anno 1515 unita.Vi è in Bisaccia, sicome in ognaltro luogo del Regno, il gover-nadore, che annualmente il baron del luogo vi destina, da qualgovernadore amministrasi la giustizia; sicome dal sindaco conquattro eletti la sua Università, e ciò che al di lei interesse im-porta, si governa. Il terreno di questa città pochi grani, orzi, evini produce, e quantunque i di lei cittadini in tenere animalivaccini, e pecorini s’industriassero, pure non aggiungono atanto le industrie, che gli potessero dalla scarsezza del viver lo-ro sottrarre. Vien posseduta questa città presentemente con ti-tolo di duca da D. (…) Pignatelli conte di Egmont, a cui rendein ciascun anno ducati 3.000 in circa. (BNNa, Descrizione, 40).

Bisaccia, ed anche Bisaccio, città di poco conto nel Regnodi Napoli in Principato Ulteriore, è distante da S. Angiolo de’Lombardi, e dalle rive del Tronto circa 12 miglia. Fu questacittà edificata sulle rovina dell’antica Romula, o Romulea […].Di presente Bisaccia è situata sovra un picciol giogo degli Ap-pennini, scarsa di abitatori, e di fabbriche. […] La cattedralesotto l’invocazione della Vergine Assunta è uffiziata da tre di-gnità, e nove canonici. Ha una sola cura. Vi ha un solo con-vento di regolari, che sono i Francescani. Vi si contano quattrocongregazioni di laici, e uno spedale. Ne’ suoi ristretti confiniabbraccia la diocesi i castelli di Murra, e Vallata, a’ quali inparrocchia replicata presiede un arciprete con dodici sacerdoti[…]. Serbansi in questa città alcuni antichi marmi, oltre unacolonna milliaria infranta, che vedesi nel ducal palazzo […].Compatisco i cittadini di questo luogo, che non abbiano saputodare verun ragguaglio de’ pregi della lor patria, poiché in essacosa non vi è che meriti attenzione. (ORLANDI, III, 306).

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I centri abitati 47

CairanoFonti: CASTELLANO, III/ III/ I.Bibliografia: SACCO, I, 144; GIUSTINIANI, III, 23; G. ORLANDO CAFAZZO,

Cairano, Napoli 1895; G. C. MAZZEO, Memorie di Cairano, Calitri 1990.Vedute: CASTELLANO; ASNa, Corte di Appello di Napoli. Perizie, 9/654,

n. 1.

G. P. Fusco, Terra di Cairano [1691 circa], da CASTELLANO.

Terra nella provincia di Montefusco, ed in diocesi di Conza,situata sopra un alto monte, d’aria buona, e nella distanza ditre miglia dalla città di Conza, che si appartiene con titolo dibaronia alla famiglia Cimadoro. In essa terra sono da notarsiuna parrocchia sotto il titolo di San Martino; ed una confrater-nita laicale sotto l’invocazione dell’Immacolata Concezione. Ilsuo territorio poi abbonda di vettovaglie d’ogni genere, di frut-

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ti, di vini, e di pascoli per greggi. Il numero finalmente de’ suoiabitanti ascende a cinquecento in circa sotto la cura spiritualed’un arciprete. (SACCO, I, 144).

Terra in Principato ultra, in diocesi di Conza, dalla qualecittà è lontana miglia 3. Sotto Guglielmo II era feudo di VI mi-liti […] val quanto dire, che fin da quei tempi era un luogo con-siderevole. Questa terra vedesi edificata sull’eminenza di unamontagna tra gli Appennini, dove l’aria è salubre, e il di lei ter-ritorio è fertile nel dare varie specie di vettovaglie, soprabbon-danti al bisogno della popolazione. I cittadini hanno qualchecommercio con altri luoghi della provincia per cagion dellosmercio delle loro derrate, e hanno similmente l’industria dianimali vaccini, e pecorini, i di cui prodotti pur vendono altro-ve. Vi è della caccia di lepri, volpi, lupi, e di varie specie dipennuti. […] In oggi ascendono i suoi naturali al numero di1500. (GIUSTINIANI, III, 23)

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I centri abitati 49

CalitriFonti: CASTELLANO, III/ II/ I; ASNa, Notai del XVII secolo, scheda 723,

prot. 3 [1696 - A. Caracciolo].Bibliografia: PACICHELLI, I, 254; SACCO, I, 148; GIUSTINIANI, III, 33; V.

ACOCELLA, Storia di Calitri [1946], r.a., Calitri 1984; E. RICCIARDI, Calitri.Studi e ricerche 1996-2005, Napoli 2005.

Vedute: CASTELLANO; PACICHELLI.

F. Cassiano de Silva (?), Calitri [fine XVII secolo], da PACICHELLI.

È situata nella provincia de Principato Ultra, seu de Mon-tefuscoli, in luogo alto e sollevato con buona costruzione di ca-se, le quali sono edificate tutte in prospettiva, cioè le fenestresono tutte ad una parte, cioè alla parte sottana, e le porte tuttealla parte soprana, che dalla via, che viene dalla Puglia com-pare una bellissima prospettiva ad uso di teatro, a segno chel’ilustre principe di Venosa antico, quando voleva far vedere aisuoi hospidi cavalieri una bella vista, faceva di notte tempo

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mettere lume a dette fenestre, che dimostravano un grandissimosplendore, et ordinata vista. […] In detta terra vi è un famosis-simo castello, carrico d’habitationi, circa a 300 camere che vipossono stare comodamente da cinque corti di signori ben mu-nito di due ponti a levatoio, con bellissimi bastioni, atteso dettocastello sta posto sopra un monte, e guarnito di tutte comodità,et altre tanto la terra è tutta murata con quattro porte, che sirende assai sicura. (CASTELLANO, libro III, capo II, discorso I).

È questo abitato posto in faccia ad una precipitosa faccia diun monte di sasso arenario non molto consistente, e tutte lestrade dal basso fino all’alto sono a ciglioni. Gli abitanti sonodocili e di ottima morale. Ho vedute delle giovinette guidare gliasini colle some di legna sole, nella distanza di tre in quattromiglia e mi han detto non esservi esempio che soffran desse al-cun insulto da giovinastri. Vedemmo le grandi possessioni dellafamiglia Zampaglione, specialmente il bosco nomato Castiglio-ne di sua proprietà di grande estensione, ove ci tiene granquantità di vacche e giumente, ed anche pecore in alcuni tempidell’anno, quali vengono dalla posta ben grande che ha in Pu-glia, propriamente vicino Cerignola. Quel clero ci fece molteobbliganti parti in occasione che si celebrò durante la nostradimora la festa del loro protettore S. Canio. Parimenti tutte lesignore monache […] ci fecero molti tratti di obbligante genti-lezza. (L. DE SAMUELE CAGNAZZI, La mia vita (1764-1852), acura di A. Cutolo [1943], II ed. Milano 1964, 251).

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I centri abitati 51

ConzaFonti: CASTELLANO, I/ V/ I; Aggiunta; ASNa, Archivio Caracciolo di To-

rella, 71/ 9 [1696- A. Caracciolo]; Ivi, Notai del XVII secolo, 1150/21 [1713 -A. Di Gennaro]; BNNa, Descrizione, 44; CASSIANO, 268.

Bibliografia: CIARLANTI, I, 93; UGHELLI, VI, 796; PACICHELLI, I, 304;SACCO, I, 344; GIUSTINIANI, IV, 119; G. GARGANO, Ricerche storiche su Con-za antica, Avellino 1934; S. Erberto e la cattedrale di Conza, Conza dellaCampania 2005.

Vedute: PACICHELLI; CASSIANO.

F. Cassiano de Silva, Conza [fine XVII secolo], da CASSIANO.

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Parte II52

Detta città stà situata sopra una collina, che ritrovasi in unsemipiano, circondata da’ colli, e monti in proporzionata di-stanza, e parte delle falde di detta città vengono bagnate dalfiume Ofanto, e se per antica tradizione, dicono i vecchi delpaese, che fosse di fuochi diecisettemila, unita con li casali di-strutti, chiamati la Madalena, Santo Marco, Santa Chrystina,Sansano, Santa Barbara, Santo Lorenzo, la Fontana de Fiori,lo Chiazzaro, et altri, al presente tutti sono stati dal tempo di-strutti, e secondo la numeratione ultima dell'anno 1669 portasiper fuochi trentasei, benché oggi vadasi augumentando, e ilnumero dell’anime al presente ascende a quattrocento settanta[…]. Non hà detta città riparo di mura, ma se ne vedono le an-tiche, e magnifiche vestigia, come ugualmente le reliquie delsuperbo palagio baronale, che fù collocato nel più alto, e pianodella collina da dove con amena veduta si scoprono quasi tuttele terre confinanti. Ritrovasi la città, e quasi tutte l’abitationiesposte à mezzo giorno, e sono al generale formate di pietre vi-ve, con primo, e secondo ordine, coverte con embrici, e canali,e si ripartiscono con più strade parte penninose, e parte piane,e la maggior parte di esse anguste, essendovi cospicua, e nobilela casa dell’odierno signor vicario capitulare, e decenti quelledelli reverendi canonici, e poche de laici. […] Si vedono i suoiabitanti la maggior parte di buon aspetto, et alcuni di essi vec-chi, de quali tal uno mi riferì, che doppo l’ultimo terremoto,perché il fiume Ofanto corre più di prima, né tanto se ci stagnal’acqua siasi l’aria resa migliore, e men soggetta all’infermità,et essendo per il suo sito assai ventilata, si vedono, chegl’abitanti vivono sani. È gente quieta, applicata alla cultura, escorgesi, che tuttavia la città si và accrescendo […] Sono i suoiterritorij di ottima qualità, abbondanti, e fertili di grano, orzo,grano turco, tutte sorti di legumi, vino, e verdumi, e parimentevi è abbondanza di pulli, et ova à buon prezzo, abbondante dicaccia di penne, e particolarmente d’arcere, qualche lepre, enel fiume d’estate si prendono dell’anguille, et altri piccoli pe-sci, manca solo l’oglio, che se ne provedono dalle terre convi-cine, copiosa d’acqua, benché in qualche picciola distanza dimezzo miglio à torno il monte, ma nella porta della Città vi è

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fontana perenne, la di cui acqua è un poco salimastra, che nonlo sono più l’altre in poca distanza descritte. […] Si fa in dettaCittà se non fiera, almeno la perdonanza alli 20 agosto festa diSanto Erberto protettore, concorrendoci le terre convicine perla compra di panni, tele, scarpe, fettuccie, et altro. (ASNa,Notai del XVII secolo, scheda 1150, prot. 21).

Ignota resta l’origine di questa arcivescoval città di Conza,con tutto che si sappia che 500 anni prima della venuta del Si-gnore tra gli hirpini nella Lucania l’avesse descritta Tolomeo.Certo è che essa fu potente prendendo l’armi contro di Anni-bale in favor de Romani, a cui sola diede alcune sconfitte. Hog-gi dimostra l’antichità delle sue grandezze, dirroccate, e postein terra dalla ferocità de terremoti, e particolarmente in questiultimi del 1688, e 1696, che fanno arrestare la penna a pale-sarne la qualità delle compassionevolissime sue rovine, resi-dendo l’arcivescovo nella Terra, o castello di S. Menna col Ca-pitolo con dignità d’archidiacono, cantore, primicerio ed’ottocanonici, non havendo parocchia alcuna per esser quasi disa-bitata: si dilata però la sua diocesi per 40 miglia in 24 castelli.Sta ella situata fra colli non malagevoli d’accesso presso ilfiume Ofanto, dal quale si pescano pesci non mediocri, e le suepianure biade d’ogni specie, ed’in quantità. Gli suffraganei inquesta metropoli sono i vescovi di Murano, Monteverde, Lace-donia, Bisaccia, S. Angelo de’ Lombardi, e Satriano, col titolodell’Assunta è la catedrale, ricca d’argenti, e preziose suppel-lettili, riposandovi in urna di scelti marmi il corpo di S. Erbertosuo arcivescovo. Non più di 36 fuochi vien numerata. Oh peri-pezie fatali di questo mondo, quando fruttava l’ArcivescovalMensa sopra 3500 scudi. (CASSIANO, 268).

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Parte II54

FrigentoFonti: ASNa, Archivio Caracciolo di Torella, 88/1 (1635 - S. Pinto e O.

Tango); Ivi, 89/1 (1684 - O. Tango); BNNa, Descrizione, 68.Bibliografia: UGHELLI, VIII, 284; SACCO, II, 58; GIUSTINIANI, IV, 378; O.

FLAMMIA - P. G. FLAMMIA, Saggio storico sulla città di Frigento…, Napoli1846.

Vedute: ASNa, Archivio Caracciolo di Torella, 88/16; SANTOLI.

N. Canale, Frigento [XVIII secolo], Napoli, Archivio di Stato.

È posta la città predetta sulla summità d’una collina tra ilMezzogiorno, e l’Oriente, scopresi da essa una bella vista moltemiglia di belle campagne per la sua eminenza aggitata da’ tuttiventi, e gode tutti li suoi territorj piani, seminatorij, boscosi,vigne, colline, et altro, che la circuiscono. […] li suoi territori[…] vengono bagnati dal fiume Fredano dalla parte di Mezzo-giorno, e dal fiume Colbi dalla parte di Levante […]. È la dettacittà aperta con poche habitationi, è di fuochi 138 all’ultimanumerazione, e per la sua antichità non vi appareno vestigij dimuraglie, ma solo si scorgono alcune conserve di acqua sor-

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gente di molta antichità, ma non sono buone per uso degli ha-bitanti, ma per altri usi. Dividesi la città predetta con moltestrade commode d’estate, ma d’inverno fangose, sono senzapietre, ma cretose, et anco con alcuni vichi. Sono l’habitationiin primo e 2° ordine, e con qualche poco d’architettura, ma lamaggior parte sono case matte per il gran vento, che di conti-nuo le strapazza, e scopre, sono coverte a scannole, le fabrichesono di pietra viva. Nella detta città vi è il suo vescovo, se benenon vi resiede, ma resiede nella città d’Avellino, vien’alcunevolte a celebrare il detta città […]. Nel mezzo d’essa città vi èchiesa maggiore parrocchiale, sotto titolo dell’Assunzione diNostra Signora chiesa grande a tre navi […]. Fuori di cittàdalla parte di Mezzogiorno vi è altra chiesa grande sotto il ti-tolo di S. Pietro apostolo […]. Fuor di città alla parte di Po-nente, vi è la chiesa sotto titolo di Santo Marciano […]. Vi èanco in detta città un ospedale con cinque camare […]. È ladetta città di aere molto sottile aggitata da tutti li venti, man-tengonsi in essa l’habitatori sani, e robusti, ve ne sono alcunivecchi di molta età, de giovani, e fanciulli di poco numero. So-no così l’huomini, come le donne di mediocre aspetto, e popu-lata mediocremente […]. Sono persone quiete, pacifiche nonmolto rissose. (ASNa, Archivio Caracciolo di Torella, inc. 88,n.1).

Frigento, o Fricenti, città in provincia di Principato Ulterio-re, unito il suo vescovado a quello della città di Avellino, dallaquale ne dista miglia 18 in circa, da Montefuscolo 9, da Bene-vento 21, e dal mare di Salerno 33. […] Questa città non èmolto lungi dalla famosa valle di Ansanto [...] e vedesi edificatasopra un monte tra i gradi 40,18 di latitudine, e 33,7 di longitu-dine. il suo territorio confina da oriente con Castello, da mez-zogiorno con Gesualdo, e con Grottaminarda, e da settentrionetiene un gran bosco appellato di Frigento, o di Migliano, al di-sotto del quale evvi il famoso lago di Ansanto. tiene quattro ca-sali, uno detto de’ Greci, il secondo degli Angioli, il terzo Stur-no, e il quarto Barone. Le produzione del suddetto territorio

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consistono in frumento, castagne, e vino. Non vi manca la cac-cia, specialmente nelle parti boscose, di lepri, lupi, volpi equella ancora di più specie di pennuti secondo le loro stagioni.Un tempo mi dicono, ch’era maggiore. Nel territorio frigentinovi sono delle cave di gesso, di macra, o terra rossa; e dellemolte sorgive di acque. vi passa pure il fiume Tripaldo, il qualesi scarica poi nel Calore. [...] Gli abitanti ascendono in oggi acirca 2400, buona parte de’ quali è addetta all’agricoltura, allapastorizia, ed al trasporto, e negoziazione delle soprabbondantiderrate, non avendo però niun’altra manifattura degna darammentarsi. Vi si fanno soltanto ottimi salami porcini, e sapo-rosi latticinj vaccini. (GIUSTINIANI, IV, 378).

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LacedoniaFonti: ASPz, Archivio Doria Pamphili 15/7, P. B. ARDOINI, Descrizione

dello stato di Melfi del vicegovernatore Ardoini [1674]; CASSIANO, 270;BNNa, Descrizione, 42.

Bibliografia: CIARLANTI, I, 83; UGHELLI, VI, 838; PACICHELLI, I, 241;SACCO, II, 122; GIUSTINIANI, III, 415; P. PALMESE, Notizie storico cronologi-che di Lacedonia, Napoli 1877; G. LENZI, Il castello di Melfi e la sua costru-zione. Note e appunti, Amatrice 1935; P. B. ARDOINI, Descrizione dello statodi Melfi (1674), a cura di E. Navazio, Lavello 1980.

Vedute : PACICHELLI ; CASSIANO.

Ignoto, Lacedonia [fine XVII secolo], da PACICHELLI.

Cedonia […] è pocho di sito, ma dalle vestigia apparenticonvien sia stata maggiore; è cinta di mura, ma sono poco forti,ha cattivissimi casamenti e mal composti ed anche quello delvescovo, è poco buono. Fa da 1.200 anime, et a pari dell’altreterre è più tosto accresciuta che sminuita, et è numerata per

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fuochi 213, ma saranno per verità da 250. Le persone non sonodel tutto civili, ma né tampoco del tutto rurali ed a paridell’altre terre procedono meglio d’ogni altra. La chiesa madreè fuori della città, ed è poco ben tenuta, e dentro vi è una altrachiesa in cui più sovvente assiste il vescovo per la lontananza diquella. […] Vi è un castello per fuori, ma vicino alle mura […]è assai antico e per accomodarlo bene da poterlo habitare vivorrebbe buona spesa, e serve quando il governatore va allavisita, vi si pongono dall’erarij i grani, che si raccolgono.L’aria non è stimata mala, ma neanche del tutto perfetta, mas-sime per l’acqua de quale sommamente penuria. È discosta 12miglia da Melfi, tre dalla Rocchetta, né più di sei da Candela;da Forenza miglia 28, così da San Fele e Avigliano da trenta incirca. Vi risiede continuamente il vescovo, ed il moderno è mes-sinese di casa Bartoli. […] Il territorio di questa città e mon-tuoso, et assai boscatico, ma abondante di grano, vi nasce vino,vi sono frutti; pascoli bellissimi per animali, tanto d’està ched’inverno […]. È soggetta la città al Principato Ultra etall’Audienza, che hoggidì si dimora in Montefuscoli, e non èmolto travagliata da detta audienza, si’ perché non vi è occa-sione, che per esser quei cittadini assai docili e mansueti, piùamici del negotio e travaglio che dell’armi. (P. B. ARDOINI,Descrizione dello stato di Melfi (1674), a cura di E. Navazio,Lavello 1980, 81).

Con più nomi viene questa Città addittata da diversi scritto-ri, e ciò si confronta dai sconcatenati vestiggi, che tutto di nemostrano i suoi paesani, come anchora dalle inscrizioni hebree,scoperte in più tempi, che la fanno apparire, e credere di lun-ghissima età, e memorabile. Il volgo però la chiama al presenteCedogna dominata dalla casa Doria genovese. Si fa ella vederein angusta circonferenza dentro terra, trattenendo da milleanime in circa con poco, o nulla di curioso, o di vago. Pochipassi fuori mostra la sua catedrale di antica forma col titolodell’Assunta, ove officiano sette canonici, e cinque dignità. Nonha il vescovo largo passeggio nella sua diocesi, non estenden-

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dosi fuori la contigua villa della Rocchetta; è però fertile il suoterritorio coltivato da 213 fuochi, con caccie di poca fatica,cioè d’uccellini da reti, e da vischio, trattenimento de figliuolinon ancora disposti per la fatica. (CASSIANO, 270).

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MontefuscoFonti: ASNa, Notai del XVII secolo, 504/15 [1682 - L. Ruggiano]; Ivi,

666/35 [1716 - G. Galluccio]; CASSIANO, 269; BNNa, Descrizione, 15.Bibliografia: E. DANZA, Cronologia di Montefuscolo, Montefuscolo 1642;

G. B. PACICHELLI, Memorie de’ viaggi per l’Europa christiana, IV/1, NAPOLI1685, 434; PACICHELLI, I, 255; SACCO, II, 247; GIUSTINIANI, VI, 83; P.SAVOIA, Montefusco già capoluogo del Principato Ultra [1962], II ed., Acerra1972.

Vedute: PACICHELLI; CASSIANO; ASNa, Pandetta nuova IV, 991/55.

P. Vinaccia, Montefusco [1727], Napoli, Archivio di Stato.

Scuopresi a sinistra Montefuscolo, terra del prencipe Ludo-visio, con titol di signoria in sito eminente, già qualificata perla stanza del re Ferrante, il quale ristaurò il tempio maggiorechiamato S. Giovanni del Baglio, lo costituì sua cappella, videputò dodeci canonaci con mozzetta, e anello, priore, e sagri-sta, con facoltà di elegger fra loro i mancanti; edificò due pa-

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lazzi al Covante, sua pianura, che abonda d’acque, particolar-mente della Verdicara, permessa da’ medici a’ febricitanti, ovein marmo di 370 anni si legge “Haustus aquae huius Mercuriinectar erit”. È habile a sostener assedij, vien circondata damolti casali, e ne gode la prospettiva […]. L’illustrano hoggidiversi baroni, ed altri signori di titolo con molti dottori, e virisiede l’Udienza provinciale del Principato Ultra, non peròella è più numerosa, di centocinquanta due fuochi. (G. B.PACICHELLI, Memorie de’ viaggi per l’Europa christiana, IV/1,Napoli 1685, 434).

In questa città, che da sé sola fa il numero di mille ed otto-cento anime, ed unitamente con suoi casali di S. Paolina, S. Na-zaro, S. Angelo e S. Pietro Indelicato quello di seimila anime,perfettissimo, e sottil aere vi si gode, e nulla vi manca, che alnecessario vitto sembra bisognevole; mentre, oltracche il di leiterritorio, e grani, ed ogni altra sorte di vittovaglie, e vini, chein taluni siti nascono squisitissimi, e frutta produce, fassi quiviin ciascun sabbato della semmana un abondevol mercato, oveda convicini casali, e terre concorrono i di loro abitanti a ven-dervi varie spezie di robbe, spezialmente commestibili.Vi sonoancora in essa città molti buoni edifizi, come, oltre alla di soprariferita chiesa collegiale, due conventi de’ frati, uno de’ Cap-puccini, e l’altro de’ PP. Minori Conventuali, ed un munisterodi religiose donne dell’Ordine di S. Domenico sottoposto per lospirituale alla giurisdizione dell’arcivescovo di Benevento, main quanto al temporale, godendo della real protezione, gover-nasi per gli suoi laici fondatori, che sono delle famiglie Agiuto-rio, Giordano, Cutillo, e Reggina, le di cui armi veggonsi in-sieme con una iscrizione affisse sopra la porta di esso muniste-ro. Ma soprattutto osservasi il famoso palaggio presidale, abi-tazione di essi presidi pro tempore della Provinzia, essendovi didentro il Tribunale dell’Udienza, e di sotto, le carceri della me-desima, che per lo passato orride, e malaggevoli assai, e per ladi loro strettezza, e per la malvaggia condizione, e natura delluogo, in cui trovansi situate, di modo che sovventi volte ne’

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calorosi tempi riuscivano di sepolcro ai poveri imprigionati, alpresente si veggono ampie, agiate, e di assai buona forma,mercé l’ammirabil clemenza, e la real munificenza del nostrosempre invitto glorioso monarca, che le ha fatto in cotal guisarestaurare col danaio del suo Real Erario; così come ha fattocollo stesso dar riparo alle stanze del Tribunale, ed alla diluicappella, all’intutto rovinata per lo terremoto dell’anno 1732.Vien regolata la gente di Montefusco intorno allo spiritualedall’arcivescovo di Benevento, ordinario del luogo, ed inquanto al temporale, per ciò che contiene interessedell’Università, governasi da un sindaco, e quattro eletti, poic-che per quello che alla giustizia si appartiene, oltre del Tribu-nale, che qui vi risiede, vi è il governadore destinato in ciascunanno dall’util padrone di questa città, che l’amministra. Ella lacittà di Montefusco, sebbene una volta fuori d’ogni baronal si-gnoria, e per molto tempo, si fosse veduta, pure passata di poiin dominio di particulari signori, e baroni del Regno, trovasioggidì posseduta dal Monte della Misericordia della città diNapoli, al quale pervenne dal principe di Piombino Ludovisio,ultimo possessore, fruttandole annualmente insieme con suoicasali, e passo di Venticano la somma di docati 4.800. [BNNa,Descrizione, 15].

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I centri abitati 63

MontellaFonti: ASNa, Archivio Doria d’Angri, I/300 [1613 - G. B. de Sapio].Bibliografia: SACCO, II, 251; GIUSTINIANI, VI, 93; D. CIOCIOLA, Montella.

Saggio di memorie critico cronografiche, Montella 1877; F. SCANDONE,Montella antica, Napoli 1911; P. SAVOIA, Il feudo ed il municipio di Montella,Palermo 1916.

Vedute : ASNa, Archivio Doria d’Angri, I/302.

S. Guerrucci, Prospetto di alcune montagne di Serino, confinanti con quelle diMontella [1735], Napoli, Archivio di Stato.

Mi sono conferito nella terra di Montella, quale sta situatain luoco parte piano, parte in costa, e colle, e di bonissimo ae-re, e loco aperto senza muraglie, circundato d’alte montagne,esposta al sole di levante e ponente, e tiene ventidue nomi dicasali, li quali sono divisi in sette […] parrocchie […] la madreecclesia nominata Santa Maria del Piano […] tiene campanilegrande, non ancora finito, una nave longa, et larga, e in testa latribuna […] e lo coro di noce con più cappelle dell’una, edell’altra mano, appatronate […]. In detta terra vi sono due

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conventi di frati, uno nel luogo detto lo Castiello sopra d’unmonte verso ponente dell’ordine de Zoccolanti reformati, nomi-nata Santa Maria del Monte, dove è la cona della MadonnaSantissima con grandissima divozione […]. L’altro conventode’ frati della Scarpa, situato in un piano alla fine del boscodetto Folluni, nominato S. Francesco, dove vi è una bella chie-sa […]. In detta terra anticamente vi era castello sopra unmonte della parte di ponente per abitazione del barone, sin co-me al presente si vede […] che vi sono rimaste le muraglied’intorno intorno molto grosse, e alte, dentro delle quali vi è untorrione molto grande, e alto, e vi ci trasiva per ponte […]detta terra all’ultima numerazione sta numerata per fuochi cin-quecento […] al presente per essere moltiplicata è di fuochiottocento cinquanta, e più. Le strade di detta terra sono per lamaggior parte piane, et polite per esserno manufatte in molteparti in seliciata, che se ci può andare in carrozza da detta ter-ra, sino alla terra di Cassano per essere questo territorio tuttopiano, distante miglia due di bona strada. In detta terra li uo-mini sono per moltiplicare si per la bona aere, come per li buo-ni, e fertili territorij assai, ed abbondantissimi d’acque sorgen-ti, oltre lo fiume detto Calore, vi sono molte sorgente di acqueper dentro il territorio per commodo d’animali. (ASNa, Archi-vio Doria d’Angri, parte I, inc. 300).

Terra in Principato ulteriore, compresa nella diocesi di Nu-sco, distante da Montefuscolo miglia 18, e da Napoli 40. Lamedesima è un aggregato di più casali […] circondata da col-line, e solo dalla parte di mezzogiorno s’innalzano altissimimonti, specialmente Tremino, o volgarmente detto Montagnone.Vi si respira buon’aria. Il territorio è atto alla semina del fru-mento, alla piantagione delle viti, e non vi mancano ancorabuoni pascoli. Vi si raccolgono in abbondanza castagne, noci,nocelle. Le noci sono decantate a ragione, perché forse le mi-gliori del Regno. I suoi naturali oltre dell’agricoltura, esercita-no assai poco, e meglio esercitar dovrebbero la pastorizia. Neldetto territorio vi è abbondante acqua. La caccia in ogni tempo

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I centri abitati 65

vi si trova di lepri, volpi, lupi, e più specie di pennuti. Dallaparte meridionale sorge il Calore, e sotto la Savina evvi unagrotta, in cui congelandosi le acque formano degli scherzi assaid’ammirarsi. Gli abitanti qui ascendono a circa 6.000. Essi do-vrebbero essere, e non lo sono commercianti, per essere moltoristretto il di loro territorio coltivabile. Addetti alla semina, esboscate le montagne, sono esse, per lo discorrimento delle ac-que, gran parte denudate di terra e si sono privati della semina,e delle legna. La vicina terra di Bagnolo più scarsa di territoriopiano coltivabile, col commercio si rende florida, e dovrebbeservirli d’esempio, senz’aspettare che li forestieri vadino acomprarsi le castagne, le frutta, o a vendersi il grano, ed altrederrate. Il vino si vende a piedi, ed ogni piede è composto diquattro barili ognuno di cinquanta carafe di once 33. […]Mancò la sua popolazione di fuochi 185 forse per la peste del1656. Vi sono varj luoghi pii laicali, e tra questi un monte perdiverse opere di sollievo della popolazione. Veggonsi in Mon-tella su di un monte gli avanzi di un castello, che colle sue fa-briche dimostra essere opera de mezzi tempi. Poco al di sottodel detto castello vi è un convento con noviziato de' frati Fran-cescani riformati introdotti nel principio del secolo XVI. Nellesponde del fiume Calore, dove termina il bosco denominatoFalconi vi è altro ampio convento di Francescani Conventuali,che si vuole fondato da S. Francesco d'Assisi […] Nella piazzaesiste una collegiata […] eretta sotto Leone X. Io non posso as-segnare con certezza epoca della fondazione di questa terra;ma oltre di diversi ruderi di fabbrica, i quali mostrano abba-stanza la sua antichità, abbiamo ancora monumenti di scrittori,che fan vedere essere stata non solo una città, ma una città as-sai ragguardevole, la quale diede nome ad uno de' castaldati,che composero il Principato di Salerno. (GIUSTINIANI, VI, 93).

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MontemaranoFonti: CASSIANO, 282; ASNa, Notai del XVIII secolo, 94/62 [1750 - B. De

Lellis]; BNNa, Descrizione, 47.Bibliografia: UGHELLI, VIII, 332; PACICHELLI, I, 242; MONTORIO, 333;

SACCO, II, 252; GIUSTINIANI, VI, 103; A. SENA, Cenno istorico cronologicointorno alla città di Montemarano Napoli 1846.

Vedute: CASSIANO.

F. Cassiano de Silva, Montemarano [1705 circa], da CASSIANO.

Nulla affatto di riguardevole ha questa città, sollevata necolli, chiusa dal nascer del sole, benché in aperta valle lo va-

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gheggi al suo morire. Non scopre nelle proprie angustie più di200 case col tetto di legno per impegnare l’orgoglio de venti.Opaca è la sua campagna, occupata da ombrose selve e tratte-nuta dalle nevi, che di rado svaniscono. Gli suoi habitanti, fraquali pochi di pelle sottile e di genio simile, mostrano la ruvi-dezza nativa, intenti solo alla coltura, e tal volta al taglio de le-gni per fabrica de carboni. Si sa che la sua catedrale sin dasette secoli hebbe prelato con sette canonici, e cinque dignitàcon poca, o nessuna prebenda. Ha per protettore S. Giovannidell’ordine di S. Benedetto suo quinto vescovo col suo corpodepositato nell’altar maggiore, la di cui santa memoria si fe-steggia alli 17 d’Agosto con qualche concorso. Ella è l’unicaparocchia, e governa altre due picciole chiese. Fuori vi sog-giornano pochi Conventuali, e 43 fuochi formano il baronaggiodella famiglia Strambone de duchi di Salsa. (CASSIANO, 282).

Città vescovile suffraganea di Benevento, in provincia diPrincipato ulteriore, sotto il grado 41 di latitudine e 32 42 dilongitudine. Da Montefuscolo è lontana miglia 10, dal golfo diSalerno miglia 28, e 70 in circa dall’Adriatico. Ella si vedeedificata su un monte di mediocre altezza, ove respirasi arianon insalubre. Alcuni si avvisarono […] che da Mario Egnazioavellinese duce de’ Sanniti avesse avuto i suoi primi fondamen-ti, il quale avendo imposto al monte il proprio suo nome, fudetta perciò dapprima Monte Mariano, e poi per corrotta fa-vella Montemarano. […]. Quel ch’è certo non possiamo asse-gnare verun tempo della sua edificazione […]. Da varj pezzi diantichità ritrovati ne’ suoi contorni può benanche congetturarsidi esservi stata qualche distinta popolazione, la quale nella suadispersione ebbe poi a dare occasione a questa nuova città. Nel1138 dal re Ruggiero fu fatta mettere a sacco e fuoco […].Quindi da altre sciagure alle quali sono state soggette le nostrecittà, venne pure a diminuirsi di abitatori, e sino a ridursi nellostato di meschinità, siccome scrive l’Ughelli, che fiorì circa lametà dell’antipassato secolo. il suo territorio presso a 19 mi-glia di circuito confina con Castelvetere, Volturara, Cassano,

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Nusco, e col fiume Calore. Produce buon grano, e granone,vendendosene il soprabbondante alle dogane di Sansevero, e diAvellino. In tempo di està abbonda di erbaggi, non cosìnell’inverno essendo quelle campagne quasi tutte coverte di ne-ve. Vi si fa pure del vino, che vendono a paio, che costa di 120rotoli di vino bollito, e 128 di vino musto. Poca è poi l’industriadegli animali. La diocesi comprende Castelvetere, Castello diFranci, e Volturara […]. Gli abitanti di questa città ascendonoa circa 1.800. (GIUSTINIANI, VI, 103).

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MonteverdeFonti: ASNa, Notai del XVII secolo, scheda 540, prot. 11[1693 - A. Gal-

luccio]; BNNa, Descrizione, 48.Bibliografia: PACICHELLI, I, 242; UGHELLI, VII, 802; SACCO, II, 267;

GIUSTINIANI, VI, 143; V. BUGLIONE, Monteverde, MELFI 1929.Vedute: SNSP, Piante e disegni, 6.O.I.6..

D. De Franco, Monteverde [1780], Napoli, Società di Storia Patria.

Città edificata su la cima d’un monte, che per la durevolverdura delle sue erbe ha dato cotal nome alla città, presso lariva del fiume Aufido, oggi chiamato Ofanto vedesi situata, di-videndo questa provinzia da quella di Basilicata per la volta diLevante. Dilei altra antica memoria presso i scrittori non tro-vamo, se non che di averla semplicemente nominata Paolo Dia-cono descrivendo la sua andata a Melfi e che nell’anno 1076Roberto Guiscardo la prese insieme con Carbonara, Gentiano,e Spinazzola; onde dice il Freccia di non potere il dilei vescovomostrare segno alcuno di antichità, né vantare nobiltà verunanegli abitatori della città di Monteverde. Ed infatti si è anche dipresente questa città priva di gente culta, e civile attendendo la

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magior parte de’ suoi cittadini, che in tutto compongono il nu-mero di millecencinquanta a vancar la terra, la quale loro por-ge, e vini, e grani, ed altre spezie di vittovaglie; oppure a cu-stodire greggie, ed armenti, colla poco industria de’ quali, e colpicciol frutto de propi territori eglino scarsamente si campano.Vi sono in questa città un sindaco, e due eletti, che il governodell’Università portano, siccome a portare quello della giusti-zia si destina ciascun anno il governadore dall’util padrone diquesta città, che oggidì la possiede il barone D. GiambattistaSangermano, cui le rende in ciascun anno ducati 800. Il vesco-vo di questa città si è lo stesso, che l’arcivescovo di Nazaret, ilquale per antico costume nella città di Barletta in provincia diBari risiede, tenendo colà sua giurisdizione in piccola parte diquella città, la quale per lo rimanente sta sottoposta nello spi-rituale alla giurisdizion del vescovo di Trani. (BNNa, Descri-zione, 48).

Città vescovile suffraganea dell’arcivescovo di Nazzaretnella provincia di Montefusco, situata sopra un alto monte,d’aria salubre, e nella distanza di sei miglia dalla città di Melfi,che si appartiene alla famiglia Sangermano, con titolo di baro-nia. Questa città, secondo Filippo Cluverio, è l’antica Aquilo-nia cotanto rinomata nella storia per la rotta sanguinosa, chequivi diede a’ Sanniti il consolo Lucio Papirio Cursorenell’anno quattrocentottanta di Roma, con averne uccisi trentamila trecento quaranta, e fatti prigionieri tremila ottocentoquaranta, per risarcire l’onore romano smaccato da essi nelleForche Caudine. Sono da marcarsi in questa città vescovile, laquale ha avuto per più secoli i proprj vescovi ma che oggi èdella giurisdizione dell’arcivescovo di Nazzaret, il quale risiedea Barletta, una cattedrale servita da dodici canonici, e daquattro mansionarj; tre confraternite laicali sotto l’invocazionedel Rosario, di Santa Maria di Nazzaret, e del Purgatorio; edun antico, e forte castello, ch’è l’unico ornamento della città.Le produzioni poi del suo territorio sono grani, granidindia, le-gumi, frutti, vini, ed erbaggi per pascolo d’armenti. La popola-

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zione finalmente ascende a duemila, e duecento in circa sotto lacura spirituale del capitolo. Questa stessa città comprendesotto la sua giurisdizione vescovile la sola terra di Carbonara,la quale è stata distintamente descritta a suo proprio luogo.(SACCO, II, 267).

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NuscoFonti: CASSIANO, 248; BNNa, Descrizione, 50.Bibliografia: UGHELLI, VII, 532; PACICHELLI, I, 143; MONTORIO, 344 e

349; SACCO, II, 425; GIUSTINIANI, VII, 65; L. PEPE, Collezione di documenti enotizie attinenti alla città di Nusco, Napoli 1809; P. ASTROMINICA, Cenno sto-rico della Chiesa vescovile di Nusco, Napoli 1848; G. PASSARO, Nusco cittàdell’Irpinia. Profilo storico, Napoli 1974.

Vedute: PACICHELLI; CASSIANO.

F. Cassiano de Silva, Nusco, [1705 circa], da CASSIANO.

Angusta, et inelegante città appare questa nel cupo de montifrà i fiumi Sabbato, e Calore, che corrono verso Benevento daquesta venti miglia discosta, più di questo non ne discorrono iscrittori restringendosi, che i suoi cittadini sono più aplicati altravaglio della mano, che alle leggende. Non oltre di ottocentoducati è la congrua del suo vescovo, frutto che giunge il suo pa-storale in altre due terre con insigni colleggiate. Otto canonicie quatro dignità officiano nella catedrale, dove si venera il sa-gro corpo di S. Amato suo, e buon patrizio anacoreta indi sposonell'anno 1093 di nostra redenzione, e finalmente suo tutelare.

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È feudo della casa Imperiale genovese con 150 fuochi.(CASSIANO, 248).

Non si sa l’origine di questa città nella regione degl’Irpini,ma si vuole antica, e dagli avanzi delle sue mura, e di altri edi-ficj, si rileva essere stata di qualche riguardo, che non lo è addìnostri. Vedesi edificata sulla cima d’un monte, cinta da boschidalla parte d’austro, e da montagne, parte aspre, e parte feraci.L’aria che vi si respira è buona, ma il freddo vi si fa molto sen-tire. Verso le radici del suo monte vi si veggono delle estesepianure tutte ben coltivate. In una di esse lungi due miglia dallacittà è la celebre badia di Goleto, o Goglieto, come altri scrive,in valle di Conza, governata da’ monaci di Montevergine. Sivuole edificata da S. Guglielmo nel 1138 sotto il titolo del Sal-vatore; detta poi di Goleto, o di Guglieti, dalla copia de’ giun-ghi. Dalla parte settentrionale della città havvi un colle chia-mato il Serrone, dalle cui falde sorge il fiume Ofanto, e dallacima del Lacino, o Laceno, verso Acerno, ergendosi l’altromonte appellato Cervalto, dal medesimo si scorge l’altro fiumeCalore. Questa città si vuole ridotta nello stato di picciolezzada’ contaggi, non meno che dalle stesse scorrerie de’ fuorusciti,che un tempo per lo Regno cagionarono delle terribili sciagurea paesi diversi; nulladimeno avvisa il Noia:“Non è però,ch’ella fra ’l poco numero de’ cittadini desideri ciò che deveavere ogni buona ordinata communità, imperciocché sono i Nu-scani uomini sinceri, e docili et hanno persone molto oneste,oltre a un clero ben disciplinato, et esemplare”. Gli abitantiascendono a circa 3.600. (GIUSTINIANI, VII, 65).

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Rocca San FeliceBibliografia: V. M. SANTOLI, De mephiti et vallibus Anxanti libri tres,

Neapoli 1783; SACCO, III, 205; GIUSTINIANI, VIII, 45; IANNACCHINI, II, 188;N. GAMBINO, Rocca S. Felice. Appunti di storia, Materdomini 1957.

Vedute: SANTOLI.

V. M. Santoli, Rocca S. Felicis [1779], da SANTOLI.

Terra nella provincia di Montefusco, ed in diocesi di Fri-gento, situata sopra un piccol monte, d’aria cattiva, e nella di-stanza di cinque miglia dalla città di Frigento, e di quindici daMontefusco, che si appartiene in feudo alla famiglia Capobian-co di Benevento, marchese di Carifi. In questa terra sono danotarsi una chiesa parrocchiale di mediocre struttura, e dueconfraternite laicali sotto l’invocazione del Corpo di Cristo, edel Rosario. I prodotti del suo territorio sono grani, granidin-dia, legumi, erbaggi per pascolo di greggi, ed una miniera digesso. Il numero dei suoi abitanti ascende a duemila duecento,e trenta sotto la cura spirituale di un arciprete. Questa stessa

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terra è rinomata per lo lago d’Ansanto, o sia di Mefite, il qualeha quaranta passi di lunghezza, e cinquanta di profondità, e lesue acque sono sì puzzolenti, che il fetore d’esse si sente sinoalla distanza di quindici miglia (SACCO, III, 205).

Una chiesetta ombreggiata da olmi annosi che ricordanotante generazioni sfilarvi di sotto, stassi in quel di Rocca S. Fe-lice, col nome di S. Felicita. Incantevole ne è il sito in un ampioorizzonte, con spianato che ci chiama a mente uno di quei ro-mitaggi medioevali descritto nei romanzi, e desiderato da chiva in cerca di pace. Lo si è questo luogo che, dopo tante vicen-de di tempo, non ancora è stato sfruttato, giacché ancora si di-seppelliscono cose antiche di non lieve momento. Quivi avanzidi vetuste muraglie, quivi si sono disepolti in grandissimaquantità tegoli tondi da colonne, ed altri a triangolo col mar-chio della fabbrica, e tutta la contrada e sopra tutto la discesanella valle è seminata di molti rottami, nonché affusti di colon-ne marmoree scavezzate e infrante, e bauli mortuarii vi si sonotrovati a iosa e ne hanno ancora presso l’edicola, innanzi de-scritta, e questi di pietra calcarea. Stupenda fino ad oggi appa-risce la statua di Cerere, ancora trovata in questi pressi, la è dimarmo da Carrara e che tuttora si ammira sulla loggia diSantoli in Rocca S. Felice. (IANNACCHINI, II, 188).

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Sant’Andrea di ConzaFonti: CASTELLANO, II/ III/ VI; Aggiunta, 414.Bibliografia: SACCO, III, 349; GIUSTINIANI, VIII, 282; A. BELLINO, S. An-

drea di Conza, Materdomini 1998; R. CIGNARELLA, Potito Cianci e il suotempo, Sant’Andrea di Conza 2005.

Vedute: CASTELLANO.

G. P. Fusco, S. Andrea [1691 circa], da CASTELLANO.

La terra di Sant’Andrea è posta nella provincia di Princi-pato Ultra (anzi l’ultima di detta provincia) sta sita in un luogoameno e sollevato con bellissima vista indeterminata con viepiane, ed abondantissima d’acque che passano per dentro laterra a sufficienza di macenarne molina. In tempo mio è com-plita di murate, e vi sono belle porte ed assai fortificata perl’invasione di male gente e viene habitata da 937 anime e

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l’habitatori si esercitano buona parte nella coltura di grani edaltri vittovagli, ed in particolare di cepolle, che in detto luogose ne fa gran abondanza, e sono di molta esquisitezza e per es-servi degnissimo pascolo in tempo d’estate per ciò vi vengonomolte pecore forastiere, e molte di cittadini esercitano l’arte dipastori, che ne sono abondante in detta terra. Vivono li cittadi-ni con ogni comodità di vivere essendo gente industriose, oltrel’essere terra di passaggio. (CASTELLANO, libro II, capo III, di-scorso VI).

Terra nella provincia di Montefusco, ed in diocesi di Conza,situata a pie’ di un ameno colle, d’aria temperata, e nella di-stanza di tre miglia dalla città di Conza, che si appartiene nellagiurisdizione civile alla Regia Corte, e nella criminale alla fa-miglia Mirelli principe di Teora. Sono da marcarsi in questaterra, ch’è la residenza dell’arcivescovo di Conza, una parroc-chia sotto il titolo di Sant’Andrea; una chiesa pubblica sottol’invocazione di San Michele Arcangelo, ove l’arcivescovo protempore fa uso de’ pontificali; una confraternita laicale sotto iltitolo dell’Immacolata Concezione; un convento de’ padri Mi-nori Riformati fuori l’abitato; un seminario diocesano capacedi settanta alunni, e fornito di tutte le scienze necessarieall’istruzione de’ cherici ed un palazzo arcivescovile di medio-cre struttura. Il suo territorio produce granidindia, legumi,frutti, vini, olj, ed erbaggi per pascolo di greggi. Il numero de’suoi abitanti ascende a duemila e sessantasei sotto la cura spi-rituale d’un arciprete. (SACCO, III, 349).

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Sant’Angelo dei LombardiFonti: CASSIANO, 263 (s. v. Bisaccia); BNNa, Descrizione, 54.Bibliografia: UGHELLI, VI, 829; PACICHELLI, I, 244; ORLANDI, II, 84;

SACCO, III, 354; GIUSTINIANI, VIII, 288; F. MIGNONE, Schizzi storici suSant’Angelo de’ Lombardi, Sant’Angelo dei Lombardi 1893; G. CHIUSANO, S.Angelo dei Lombardi. La città di De Sanctis, Lioni 1983.

Vedute: PACICHELLI.

Ignoto, S. Angelo [fine XVII secolo], da PACICHELLI.

La città di S. Angiolo de’ Lombardi […] è di figura rotonda,con un castello ben grande, e forte situato in un rialto, chedalla parte di Ponente si rende quasi inaccessibile, e da’ lativerso Borea, e Levante, poco d’appresso ad una placida pianu-ra, circonvallata con segni nel mezzo di magnifica porta, comese ne vedono anche attualmente le vestigia. E nella parte diMezzogiorno in un quasi piano perfetto sta situata la città, conqualche vestigio di muraglie antiche. […] Trovasi nella pubbli-ca fontana della città un tumulo sepolcrale, composto di una

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sana, ed intiera pietra marmorea, con il seguente epitaffio […].Due rinomati fiumi sono vicini a questa città, e sono il fiumeOfanto, ed il fiume Calore […]. È abbondante la città di legge-rissime acque, ed i territorj addetti alle vittovaglie, come granibianchi, germano, grano da orzo, fave, spelta, e legumi. È ab-bondante di castagne gentili innestate, di noci, pera, mela, pru-gne, e ciriege. Vi sono boschi di quercie, e cerri, e si vive conqualche commodo, quale si renderebbe maggiore se vi fossecommercio. Il più, che si gode, è un etere elastico, e molto sa-lutevole per il clima temperato. Vi sono abbondanti vigne, equelle esposte a Borea non producono vino dolce, come in al-tre, perché soggette al freddo […] onde i vini sono un poco piùtartarei, ed acidi. […] È al presente la città decorata dallacontinua presenza del vescovo, e degl’illustri padroni, che qua-si ogni anno da Napoli ne’ tempi estivi in calessi, e carrozzasogliono venire a diporto. (ORLANDI, II, 84).

Siede a cavaliere sull’altipiano d’un monte, epperò, nel suoampio e vasto orizzonte, presenta alla visuale un grosso quadrodi vedute variate e stupende […]. L’aria di S. Angelo, tempe-rata da’ venti, è pura, fresca, saluberrima. […] La popolazione,d’oltre 6800 abitanti, è sparsa in piccola parte ne’ tre sobbor-ghi del Piaggio, S. Maria e S. Rocco (un migliaio circa),un’altra parte (un due migliara), nella città; e la parte maggio-re, su ventidue casali e villaggi, nelle circostanti campagne; perlo che, lontana la gente minuta, i contadini e i lor animali agri-coli, la città propriamente detta spicca per la politezza delle viee delle piazze, mentre le case elevantisi al suolo smaglianti dicolori variopinti, fanno di S. Angelo una graziosa cittadina dimontagna. […] Da una parte è bagnato dal Fredane, che co-mincia sotto alle alture di Guardia, ed è propriamente, secondole stagioni, un rigagnolo o un torrentaccio […]. Da un’altraparte il territorio santangiolese è bagnato dall’Ofanto, il qualesorge tra le alture di Torella e Nusco […]. Le campagne di S.Angelo poste verso il Nord e chiamate col nome generale diCoste, sono argillose, frigide, sterili, più atte a pascolo o apiantagioni di alberi selverecci, anziché a coltivazioni di ce-

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reali. Le altre campagne invece che si estendono verso il sud, acominciar da Dietro le Mura insino alle rive dell’Ofanto, sonouna fertile valle, alternata da pianure e da colli, ove vegetanoegualmente bene l’ulivo, il mandorlo, l’albicocco e, meglio ditutto, la vite che dà vino generoso e abbondante. (F. MIGNONE,Schizzi storici su Sant’Angelo de’ Lombardi, Sant’Angelo deiLombardi 1893, 6).

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TeoraFonti: CASTELLANO, III/ V/ I.Bibliografia: PACICHELLI, I, 310; SACCO, IV, 17; GIUSTINIANI, IX, 153; V.

FORCELLA, Notizie storiche sul comune di Teora, Avellino 1883; F.DONATIELLO MAZZEO, Teora, Avellino 1998.

Vedute: PACICHELLI, CASTELLANO.

F. Cassiano de Silva (?), Tehora [fine XVII secolo], da PACICHELLI.

Terra […] abbondantissima di grano, orgio ed altre vetto-vaglie, ma scarsissima di vino, e quelli che vi sono, sono di pes-sima qualità. Vi è però abbondanza di pecore, boini, et altrianimali, atteso tengono bellissimi pascoli […] Li cittadini diquesta terra sono assai dediti alle liti, si civili che criminali e ledonne ancora sono assai litigiose, che molte vanno alla Corte adifendere le loro ragioni oretenus, e queste portano su la testaun certo trobante ad uso dei Greci guarnito di veli con alcunecampanelle che pendono alle tempie da esse dimandato

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“schinco”, e di queste usano le populane. (CASTELLANO, libroIII, capo V, discorso I).

Terra nella provincia di Montefusco, ed in diocesi di Conza;situata sopra una collina del monte Gallo, d’aria alquantoumida, e nella distanza di tre miglia in circa dalla città di Con-za, che si appartiene con titolo di principato alla famiglia Mi-relli. Sono da marcarsi in questa popolata terra, abitata untempo da Albanesi, una chiesa parrocchiale di ben intesa ar-chitettura; una confraternita laicale sotto il titolo del Monte deiMorti; un monastero di padri Conventuali fuori l’abitato sottol’invocazione di Santa Maria della Consolazione; ed un com-modo palazzo baronale con una torre rotonda, ed antica. Laproduzione del suo territorio sono grani, granidindia, legni,frutti, vini, castagne, ed erbaggi per pascoli di armenti. La suapopolazione ascende a tremila, e trecento sotto la cura di unarciprete. (SACCO, IV, 17).

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TrevicoFonti: CASSIANO, 270; BNNa, Descrizione, 56.Bibliografia: UGHELLI, VIII, 379; PACICHELLI, I, 245; MONTORIO, 355;

SACCO, IV, 81; GIUSTINIANI, IX, 248; C. PETRILLI, Trevico nella storia e nellatradizione, Trevico 1969.

Vedute: CASSIANO.

F. Cassiano de Silva, Trevico [1705 circa], da CASSIANO.

Venendo dal volgo chiamata questa città Vico della Baroniamarchesato della illustre famiglia Loffreda posta nel dorso

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dell’Appennino, che fa fronte a quella d’Ariano, senz’altro re-gistro, o norma d’antico e moderno autore, e poi hoggi col no-me di Trevico, lascia solo discorrersi, che da tre vichi, ne qualiella apparisce lo prendesse. O per questa, o per altra caggionenon lascia però d’essere horrida stanza a suoi habitatori per ilsito così freddo, e così tormentato da venti, che toglie la curio-sità a qualsisia passeggiere, tutto che sfaccendato, di aggrup-parsi per il suo ruvido giogo. Tuttavia ella è sede vescovale,tutto che la maggior parte del tempo il suo prelato dimori inFlumari terra grossa de signori d’Aponte. Viene servita la ca-tedrale, che unica parocchia da quatro dignità, otto canonici,ed alcuni capellani con due altre chiesolelle di semplice benefi-cio, numerata per 88 fuochi, ed in conseguenza di parchissimacongrua al vescovato. (CASSIANO, 270).

Quest’antica città degl’Irpini non se ne sa al pari delle altrela sua origine. Orazio ne fa menzione nel suo viaggio da Romaa Brindisi […] e già vedesi che non dovea esser gran cosa. Sivuole che avesse abbracciata la religion cattolica nel secolo VI,e che S. Marco primo suo vescovo con S. Cannio vescovo diAcerenza, e S. Tommaso vescovo di Benevento, de’ quali parla-si nel Martirologio nel primo settembre, avessero propagata lavera nostra sacrosanta religione in più altre parti del nostroRegno. Si congettura che questa città restasse poi distrutta da’barbari, o da’ terremoti, ch’è più probabile, essendovi quellaregione assai soggetta, e dispersi perciò i suoi cittadini anda-rono ad edificar diverse altre terre, e casali, e taluni de’ mede-simi andarono ad edificarsi alle falde del monte due continentidi case […] chiamando Vico la lunga strada, che frammezzavai detti edificj. Vi passarono poi ad abitare diverse famiglie didistinzione, e il vescovo ancora: ma poco reggendo all’asprezzadel clima, passò ad abitare in Acquara, ch’era uno de’ più co-spicui casali, sito poche miglia distante verso mezzogiorno, inuna amena collina con buonissime acque, dalle quali prese ilnome, e da più secoli è già distrutto. […] In oggi la residenzadel vescovo è in Castello. […] Per il suo territorio passa l’Albe,

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che nasce nel Formicoso di Bisaccia […] e va a scaricarsi nelCalore. Ne’ tempi estivi porta pochissima acqua, manell’inverno gonfiasi molto, e parecchi ci han perduta la vita.Vi si trovano de’ pesci bianchi, e capitoni di buon sapore. Seb-bene il detto territorio fosse tutto montuoso, ha nulladimeno de’piani, onde riesce atto alla semina non meno, che alla pianta-gione di ogni sorta di alberi. Qui fansi tutte le necessarie pro-duzioni al mantenimento dell’uomo. I carboni però e la legnada fuoco vengono da fuori […]. Anticamente la città era tuttamurata con tre porte, due delle quali tuttavia esistono, una cioèverso settentrione detta “della Piazza”, e l’altra verso orienteappellata “del Ricetto”. La terza era da occidente nella con-trada “de’ Caldarari”. Dappertutto vedesi la detta città rovi-nata da’ terremoti […] e nel 1794 vi furono frequenti le scossequasi in tutto l’anno, ed alla scossa precedea strepitoso vento.L’iscrizione nel suo episcopio indica abbastanza i danni soffertida’ terremoti. Gode di un bello orizzonte, sotto un clima peròassai rigido. I venti vi sono spaventevoli, frequenti le nevi, e lenebbie ancora. Abbonda di acqua, che scaturiscono quasi finsopra il monte, come la fontana, che appellano “di Jumolo”, el’altra “della Pescara”. Nel sito più alto eravi un castello conforti muraglie, opera de’ bassi tempi, da cui scoprivansi diverseprovincie del Regno. A poca distanza dalla città eravi un moni-stero di Verginiani soppresso sotto Innocenzo X. L’odierna po-polazione ascende a circa 2.000 individui, le loro derrate sivendono in Avellino. (GIUSTINIANI, IX, 248).

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VillamainaFonti: ASNa, Archivio Caracciolo di Torella, 86/2 [1661 – D. Cafaro].Bibliografia: SACCO, IV, 173; GIUSTINIANI, X, 72.Vedute: ASNa, Archivio Caracciolo di Torella, 86/7; SANTOLI.

Ignoto, Villamaina [1760 circa], Napoli, Archivio di Stato.

Siede detta terra dalla parte che guarda l’oriente sopra unmonte e dall’altra parte che guarda l’occidente sta in piano,circondata da selve, seu boschetti con le vigne contigue congiardini d’olive, selve, con arbori di cerque, et altri arbori frut-tiferi, et infruttiferi, è di mediocre aria, che ha più del buono,che del cattivo, gode circumcirca di territorij seu campagne unmiglio incirca […]. La campagna di essa terra è boscata, fuor-che dalla parte verso Giesualdo, e Frigento, che è netta, e pia-na, il territorio è seminatorio, atto a grano, et altre vettovaglie,

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che mediocremente frutta. La medesima terra sta cinta, e mu-rata, la maggior parte attaccata con le proprie habitationi, pe-rò non è totalmente forte, poiche volentieri può esser oltrag-giata da nemici, e gente di malavita, sta situata in piano in for-ma triangulare, e così di larghezza come di lunghezza è un tirod’archibuggio. S’entra in essa terra per due porte l’una grandeverso occidente chiamata porta nova vicino al palazzo baronaleavante attaccata, con esso palazzo si fa la piazza al intratadella medesima porta, quale è con tagli di pietra lavorata, lastrada doppo entrato in essa è ben fatta, matonata, e cruciata dipietre marmo lavorata per mezzo, e per quella strada si va allachiesa maggiore, et al istesso palazzo baronale. L’altra porta èpiù piccola chiamata porta vecchia al basso della terra versooriente, et ambedue stanno in ordine, che se possono aprire eserrare. Sono l’abitazioni di essa terra con poco ordine, le casela maggior parte deruta la fabrica de quali si vede essere dipietra cruda, e mala mistura di calce e poche ne sono in ordine,mentre al generale sono case matte, coverte di scandole et em-brici. […] Il territorio è parte cretoso, penninoso, e fangosod’inverno […] con poca caccia di pelo, ma bona di penne. […]Dentro di essa terra vi è la chiesa maggiore archipresbiteraledella diocese di Frigento sotto il titolo di Santa Maria della Pa-ce, sta situata vicino al palazzo baronale et è d’una nave di me-diocre capacità lammiata tutta […]. Vi è il palazzo baronalevicino, et attaccato con la detta porta nova […]. Li cittadini diessa terra sono la maggior parte bracciali, che vivono allagiornata colla zappa nelle mani […] Non vi sono huomini civili,o nobili, come sono dottori di legge, medici […] o altri, ne ancoci sono persone facoltose […] ne anco vi sono botteghe in ordi-ne con artisti di nessuna maniera. Non vi è barbiero […] ma viè solo una bambana, che serve allo figliare delle donne. (ASNa,Archivio Caracciolo di Torella, inc. 86, n.2).

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Parte II88

VolturaraBibliografia: SACCO, IV, 211; GIUSTINIANI, X, 97; IANNACCHINI, I, 11; G.

PENNETTI, Volturara Irpina. Sommario delle notizie storiche e dei documenti,Avellino 1911.

Vedute: ASNa, Piante e disegni, XXXII/7.

Ignoto, Volturara [XVIII secolo], Napoli, Archivio di Stato.

Terra in Provincia di Principato Ultra, compresa nella dio-cesi di Montemarano. Nelle carte spesso è detta Veturano, eBulturale. È distante da Montefuscolo miglia 8 incirca, 6 daMontella, 3 da Serino, 5 d’Atripalda, 6 da Avellino, e 18 dalmare di Salerno. La sua situazione è molto infelice essendotutta cintadi monti, e le acque, che calano, da’ medesimi, nonavendo un libero esito si ristagnano nel piano, e cagionanoun’aria niente sana alla sua popolazione. Se non vi fossero alleradici di un monte due bocche, chiamandole del Dragone, che

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se le sogliono assorbire, certo che cagionerebbero un’ariamolto pestifera, e da rendere spopolato il luogo. In tempo diestà disseccandosi le dette acque vi nasce dell’erba, chel’università affitta poi per pascolo degli animali. Un lago dicirca 3 miglia dura dall’ottobre sino a maggio. Questa terra hain comune il territorio con Montella, e Cassano, confinando poicon Montemarano, Castelvetere, Chiusano, Salsa, Sorbo, San-stefano, e Serino. Le produzioni consistono in grano, granone,non bastevole per gli abitanti, e castagne, che vendono altrovefacendone in abbondanza. Vi si trovano de’ buoni tartufi neri.Vi è della caccia di volatili, ma scarsa è quella poi de’ quadru-pedi, non ritrovandosi che poche lepri, e volpi. Gli abitantiascendono a circa 4.500 […]. L’industria è l’agricoltura, lapastorizie, e di comprare e vendere vettovaglie in altri luoghidella provincia. Sulla punta del monte Sanmichele vedesi un di-ruto castello, opera de’ tempi di mezzo. (GIUSTINIANI, X, 97).

Tra i monti testé notati hassi un altopiano, con uno avvalla-mento, ove, al liquefarsi delle nevi nei monti soprastanti, siforma un gran lago, le cui acque, per un meato posto nel suocentro, s’intromettono sotto terra e vanno ad animare le sotto-stanti fiumane. Questo lago, posto tra i monti di Serino Salsa eChiusano, ha il nome del Dragone, e Volturara che gli è dap-presso, assume l’aspetto di un villaggio svizzero, quandod’intorno è tutto biancicante per la neve. (IANNACCHINI, I, 11).

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Abbreviazioni

CIARLANTI

G. V. CIARLANTI, Memorie istoriche del Sannio … divise in cinque libri[1644], II ed., Campobasso 1823.

CASTELLANO

Sant’Angelo dei Lombardi, archivio della Curia arcivescovile, D. A.CASTELLANO, Cronista conzana [1691].

PACICHELLI

G. B. PACICHELLI, Il Regno di Napoli in prospettiva [1703], 3 voll., r. a.Bologna 1997.

CASSIANO

Vienna, Österreichische Nationalbibliothek, ms. Alb. 161 a, Regno diNapoli anotomizzato dalla penna di D. Fran. Cassiano de Silva nobilemilanese…,[s.d. (ma 1705)].

MONTORIO

S. MONTORIO, Zodiaco di Maria ovvero le dodici provincie del Regno diNapoli …, Napoli 1715.

UGHELLI

F. UGHELLI, Italia sacra, II ed. [1717-1722], 10 tomi, r. a. Bologna 1984.

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Descrizione

Napoli, Biblioteca Nazionale “Vittorio Emanuele III”, ms. XV C 38,Descrizione della provincia di Principato Ultra, [s.d. (ma 1736-38)].

ORLANDI

C. ORLANDI, Delle città d’Italia e sue isole adjacenti compendiose notiziesacre e profane, 4 voll., Perugia 1770-1777.

SACCO

F. SACCO, Dizionario geografico-istorico-fisico del regno di Napoli, 4voll., Napoli 1795-96.

GIUSTINIANI

L. GIUSTINIANI, Dizionario geografico- ragionato del Regno di Napoli, 13voll., Napoli 1797-1805.

IANNACCHINI

A. M. IANNACCHINI, Topografia storica dell’Irpinia, 2 voll., Avellino1889.

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AREE SCIENTIFICO–DISCIPLINARI

Area 01 – Scienze matematiche e informatiche

Area 02 – Scienze fisiche

Area 03 – Scienze chimiche

Area 04 – Scienze della terra

Area 05 – Scienze biologiche

Area 06 – Scienze mediche

Area 07 – Scienze agrarie e veterinarie

Area 08 – Ingegneria civile e Architettura

Area 09 – Ingegneria industriale e dell’informazione

Area 10 – Scienze dell’antichità, filologico–letterarie e storico–artistiche

Area 11 – Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche

Area 12 – Scienze giuridiche

Area 13 – Scienze economiche e statistiche

Area 14 – Scienze politiche e sociali

Le pubblicazioni di Aracne editrice sono su

www.aracneeditrice.it

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Finito di stampare nel mese di settembre del 2011

dalla ERMES. Servizi Editoriali Integrati S.r.l.

00040 Ariccia (RM) – via Quarto Negroni, 15

per la Aracne editrice S.r.l. di Roma


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