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16/04/2018 La fine di tutte le cose - exormaedizioni.com · Comincia tutto con il ghiaccio....

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17/4/2018 La fine di tutte le cose | L'indiscreto http://www.indiscreto.org/la-fine-di-tutte-le-cose/ 1/24 16/04/2018 La fine di tutte le cose Dall’immaginario del disastro ai cambiamenti climatici, la scomparsa dell’umanità è l’argomento più attuale che c’è, e se va di moda è per dei buoni motivi in copertina: Katja Novitskova alla Biennale di Venezia
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di Simone Sauza

Non c’è mai stata un’epoca che non abbia creduto di essereimmediatamente davanti ad un abisso. La lucida coscienza

disperata di stare nel mezzo di una crisi decisiva è qualcosa dicronico nell’umanità

(Walter Benjamin, I Passages di Parigi)

«Non penso niente», disse Schulhoff. «Aspetto la �ne»

(Antoine Volodine, Terminus Radioso)

Comincia tutto con il ghiaccio. Immaginiamoun’enorme massa di circa seimila chilometriquadrati. Ora �guriamoci questo iceberg del peso dimiliardi di tonnellate staccarsi dalla sua piattaformae cominciare un galleggiamento diretto verso unaltrove imprevedibile. È quanto accaduto meno diun anno fa alla piattaforma Larsen C, un processo dismembramento (ice calving) di una parte delghiacciaio, dovuto alla doppia azione delletemperature atmosferiche e delle temperaturemarine. Secondo buona parte dei glaciologi, puressendo quello del calving un processo naturale, lavelocità del fenomeno della piattaforma Larsen C èda imputare al riscaldamento globale.

L’evento, nel giro di poco tempo, �nì sulle pagine ditutti i giornali. La primissima reazione ful’allarmismo; poi arrivò l’indifferenza. La comunitàscienti�ca aveva invitato alla calma rispetto agliallarmi inondazioni che erano circolati in Rete.L’iceberg, in effetti, faceva parte di una piattaformagià galleggiante, quindi senza particolare in�uenzasul livello del mare (un cubetto di ghiaccio che siscioglie in un bicchiere non fa traboccare l’acqua).Ma l’episodio della piattaforma Larsen C èl’indicatore di qualcos’altro: la velocità con cuil’Antartide, che si pensava immune dagli effetti piùdevastanti del global warming, si sta scaldando. Loscioglimento del permafrost, che negli ultimidecenni si è rivelato inaspettatamente rapido, ad

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esempio, rilascia grandi quantità di metano. Unfenomeno solitamente più frequente e costantenella regione artica, che per l’effetto serra va a suavolta a riscaldare l’atmosfera, come in una brillanteghirlanda del disastro. Il riscaldamento globale è alcentro dell’aumento dell’intensità (e non dellaquantità) di tornado, uragani e alluvioni chemettono a rischio l’abitabilità di molte zone delpianeta. A meno di dodici mesi di distanza, la sortedi quell’iceberg – un evento che segna un prima eun dopo, un “undici settembre ecologico” – èscomparsa dall’immaginario delle persone.

Il senso della �ne è un fantasma che sta tornandoad abitare il nostro tempo. Se guardiamo allaproduzione culturale contemporanea, sembratornato in auge un certo gusto apocalittico. Eppure,gli allarmi climatici da parte di quella o quell’altraricerca scienti�ca che ogni tanto leggiamo suiquotidiani nazionali sembrano un contorno dicolore alla quotidianità di persone e governi.Questo neo-pessimismo di maniera ha le sembianzedi un fantasma. Facciamo un passo indietro. C’è unafrase, attribuita a volte a Fredric Jameson e a volte aSlavoj Zizek, che ultimamente va piuttosto di moda:“È più facile immaginare la �ne del mondo piuttostoche la �ne del capitalismo”. Ci sono numerosi motiviper cui alcune citazioni vanno di moda, così comece ne sono tanti per cui va di moda citare questafrase. Tra i tanti ce n’è uno molto serio: in circa 70caratteri tiene insieme i tre nodi che ossessionanouna parte della produzione culturale di quest’epoca.L’immaginario, la �ne del mondo �sico e il sistemasociale ed economico che abbiamo costruito pergestire il nostro abitare.

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Le rotte dell’immaginario (mondo culturale)

Amitav Ghosh, nel suo ultimo lavoro La grandececità, scrive:

La cultura induce desideri – di mezzi ditrasporto, elettrodomestici, un certo tipo digiardini e case – che sono fra i principalimotori dell’economia basata sui combustibilifossili. Una veloce decappottabile non cientusiasma perché amiamo il metallo e lecromature, né per un’astratta conoscenzadella sua tecnologia, bensì perché evocal’immagine di una strada che guizza in unpaesaggio incontaminato; pensiamo allalibertà e al vento nei capelli; ci sembra divedere James Dean e Peter Fonda chesfrecciano verso l’orizzonte; pensiamo aJack Kerouac e a Vladimir Nabokov. […].Questa cultura è intimamente legata alla piùampia storia dell’imperialismo e delcapitalismo che hanno plasmato il mondo.

Non si desidera mai veramente solo un oggettosingolo. Si desidera sempre un insieme, unaconcatenazione di cose. Questa relazione vienemessa in opera da discorsi, istituzioni, strutturearchitettoniche e leggi vigenti in una data società. Il

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brano dello scrittore e antropologo indiano sembraparafrasare il concetto di “macchina desiderante” diGilles Deleuze, applicandolo ai cambiamenticlimatici. L’immaginario è una struttura mentale incontinuo divenire, una griglia percettiva attraversocui guardiamo e alteriamo la realtà, che si formadalla concrezione di forme simboliche cheincontriamo nel quotidiano. Una canzone pop, un�lm, un cartone animato, ma anche l’architettura ola piani�cazione urbanistica, direttamente oindirettamente, ci instillano un frammento dellasocietà che viviamo e costruiscono questa griglia.Tutto ciò che per noi si fa oggetto rimanda ad altro,a un orizzonte più ampio di senso. Marito e moglieche camminano per strada sono a loro insaputaesempli�cazioni di uno speci�co rapporto socialecostruito nel tempo: il matrimonio borghese cosìcome scaturisce da anni di diritto, eterosessuale,incarnato in una serie di gesti e posture, come ilmodo di baciarsi o la distanza che tengono l’unodall’altra, a sua volta scaturite dai codici e daicostumi erotico-sessuali del tempo. Esiste, cioè,una sorta di responsabilità dei signi�canti cheriempiono lo spazio pubblico.

Secondo Amitav Ghosh, il cambiamento climatico èil grande rimosso dell’immaginario. Uno deifenomeni più terri�canti e più in�uenti sulla vitaumana, ma per lo più assente nelle preoccupazioniimminenti dell’opinione pubblica. Il paradosso è chequesta indifferenza avviene proprio all’interno diuna pop culture in cui le narrazioni distopiche sonotornate a proliferare. Un articolo di FrancescoGuglieri poco tempo fa parlava della distopia comeunico realismo possibile. La fantascienza comeal�ere per comprendere il nostro tempo eadoperarsi per cambiarlo. Il problema è che quelruolo di “letteratura di resistenza”, come potevaancora essere ai tempi di George Orwell, RayBradbury o Aldous Huxley, sembra essere mutato

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nel suo contrario. La distopia oggi è un brand: daBlack Mirror a The Handmaid’s Tale, passando perThe Man in the High Castle. In ambito editoriale nonc’è progetto che non smani per mettere nellabandella di un libro l’etichetta “distopico”. L’urgenzaal cuore di questo genere letterario è passata dallacritica politica radicale a una forma diintrattenimento innocua. Se la distopia diventa dimoda, è inevitabile che venga in qualche modobanalizzata, normalizzata ed estetizzata per lafruizione del grande pubblico. È come se ci fosseuna legge: più una critica politica diventa unoggetto pop, meno inciderà sulle coscienze,venendo fagocitata dall’industria culturale. Unpassaggio di un articolo uscito su Vulture suimigliori libri distopici è particolarmente rivelatorein questo senso: “It’s fashionable to be pessimistic”,si dice a un certo punto. Il pericolo è abbastanzasemplice da intuire. Il pessimismo si basa su unottundimento cieco, svuotato da argomentazionirazionali, della capacità di pensare possibilitàulteriori a partire da un ragionamento sul presente.“Il pessimismo va di moda”: l’immaginario deldisastro non è più frutto di un pensiero critico, madiventa una posa priva di autoconsapevolezza. Lafrase apparsa su Vulture ricorda un passaggio de Lasocietà dello spettacolo di Guy Debord:l’insoddisfazione è diventata una merce. In questocaso la brandizzazione della distopia, purpresentandosi come narrazione massimamentepolitica, avrebbe così un effetto depoliticizzante.

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Il senso del disastro imminente è strettamenteconnesso a un’esuberanza della capacitàimmaginativa. Immanuel Kant nel 1794 fa pubblicaresulla Berlinische Monatsschrift un piccolo saggiointitolato La �ne di tutte le cose. Il �losofo tedesco sichiede, tra le varie ri�essioni intorno al tema della�ne, perché gli uomini di ogni cultura e di ogniluogo si aspettino una �ne del mondo e siano, per dipiù, inclini a pensarla in termini terribili. «L’idea diuna �ne di tutte le cose non trae la sua origine daragionamenti relativi all’ambito �sico, ma dari�essioni sul corso morale delle cose di questomondo». La corruzione del genere umano,evidenziata da segnali mondani come l’ingiustiziacrescente tra ricchi e poveri, non può avere che una�ne drastica. Il mondo dura �nché gli esserirazionali sono «all’altezza dello scopo �nale dellaloro esistenza». Altrimenti, il mondo sarebbe comeun’opera teatrale senza conclusione. L’intento diKant è trasformare la �ne di tutte le cose nel �ne ditutte le cose: vale a dire il senso della �ne, chetrascende la nostra esperienza, è un ente di ragioneche ci spinge a rendere morale lo scopo �nale dellanostra esistenza. È la �ne come completamentodella maturità dell’umanità, vale a dire il momentoin cui l’uomo riesce, tramite la ragione pratica, amettere un freno alla sua opulenza e all’egoismo.Oggi siamo consapevoli di qualcosa di più. La

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“corruzione del genere umano”, per dirla con Kant,scon�na nel mondo �sico e diventa una variabilecausale dei cataclismi. Le forme sociali tramite cuiabitiamo il pianeta stanno avendo una direttain�uenza sull’ecosistema alterandolo a livello �sico,chimico e biologico. L’homo sapiens per la primavolta è diventato un agente geologico, una variabileingombrante nella complessità del globo. Com’ènoto, secondo una parte della comunità scienti�ca,sulla scia di un fortunato testo del chimico PaulCrutzen, la nostra era geologica andrebberinominata Antropocene.

 

Tropico del Caos (mondo �sico)

Cinque estinzioni di massa si sono succedute sullaterra in 540 milioni di anni. Il motivo principale èstato quasi sempre l’aumento di carbonionell’atmosfera. Secondo alcuni ricercatori, comeDaniel Rothman, geo�sico al MIT di Boston, siamoall’inizio di un processo che nel giro di 100 annipotrebbe portare alla sesta estinzione di massa. Lostudioso americano ha analizzato il tasso dicambiamento del carbonio nelle precedentiestinzioni e come, raggiunta una certa soglia,l’ecosistema sia crollato. Oggi non siamo lontani dalraggiungere la soglia calcolata. Il 2100,considerando il ritmo di aumento delle emissioni diCO2, è la data stimata per la catastrofe. E dopo? Lamodalità di realizzazione di un fenomenocataclismatico è qualcosa che va oltre laconoscenza umana. Hic sunt leones, come nel mitodelle carte geogra�che antiche. I segni del caosclimatico si leggono, ad esempio, nella diminuzionerepentina del numero di specie viventi. Il nostrosistema sociale ed economico sta alterandol’ecosistema in maniera sempre più irrimediabile.Questo sistema si presenta come eterno, comecompimento senza alternative della storia sociale

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umana. E questo stesso sistema si sta rivelandoinsostenibile per la sopravvivenza della specie. Setale modello esautora la possibilità di pensare unfuturo alternativo, allora non possiamo far altro cheimmaginare, come eventualità prossima, la �ne ditutte le cose. Se accettiamo il fatto che laproduzione narrativa rappresenti in qualche modo ifantasmi che agitano l’inconscio collettivo,potremmo dire allora che, da un decennio circa,l’immaginazione umana, come in unneomillenarismo secolarizzato, è tornata a lavoraresulle �gure della Fine. Uno degli autori che nella suaproduzione ha descritto meglio questo sentimentodi caducità è Antoine Volodine. Nel suo TerminusRadioso quella descritta è un’umanità che anelaall’estinzione. Mentre tutta la realtà circostanteassume i contorni di un in�nito decadimento eun’in�nita rovina, la morte sembra qualcosa diirraggiungibile. La morte, detto altrimenti, assumeuna prospettiva salvi�ca come termine del non-senso. Le radiazioni nucleari hanno trasformato unmondo post-totalitario – una terza UnioneSovietica in rovine – e i suoi abitanti in esseri né viviné morti, in un limbo che sembra un susseguirsi disogni e incubi incastonati l’uno dentro l’altro. Iltempo si sussegue in maniera inde�nita �no aperdere di signi�cato. Il disertore Kronauer eSchulhoff, il marito di una delle �glie dellosciamanico presidente del kolchoz Soloviei, – in unasorta di umorismo del disastro tipico di Volodine –aspettano una �ne che forse non verrà mai:

Mentre si abbandonavano entrambi altorpore e al declino di quasi tutte le funzioniorganiche e mentali, uf�cialmente perrimettersi dalle fatiche dello spettacolo eriprendere le forze, in realtà perché l’idea discomparire, a loro, non dispiaceva affatto, ilcorvo che li aveva ascoltati �no a quel

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momento sbatté le ali e il becco e atterròsulla parte alta del fossato

La letteratura di Volodine non parla di cambiamenticlimatici, ma è forse la produzione che cogliemeglio questo senso intimo del disastro. Unaletteratura dell’Altrove, come de�nita dallo stessoVolodine, che fa i conti con uno scenario tantopost-umano che post-politico. Un sentimento –anche qui senza toccare i territori letterari climate-�ction – analogo a quello presente in unastraordinaria uscita editoriale italiana, Voragine diAndrea Esposito. Il protagonista, Giovanni, si muovein un mondo ferino intriso di violenza e macerie. Lamorte del padre e del fratello gravano su uncammino di sopravvivenza sempre più prossimo algrado zero dell’umanità, alla nuda vita. Il capitolocentrale del romanzo, incentrato su una città sottoassedio, è più di una metafora. È, come in Volodine,un segno di una �ne di tutte le cose che apparecome terribile salvezza, ma che viene semprerimandata. La �ne del Senso e il senso della �ne sicompenetrano. Ciò che viene colto da unaletteratura di questo tipo è uno spartiacque conl’immaginario moderno. Il venir meno di un’idea divita sociale incentrata sull’ordine e sul dominio deifenomeni che ora deve far fronte all’incontrollabile.Nella produzione culturale moderna, questa idea diordine, questa ricerca del cosmos sul caos, rimane

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indelebile anche quando occultata o mascherata.L’immaginario borghese porta con sé un’idea dellapropria epoca come climaticamente stabile,ordinata, umanizzabile: vale a dire un ordinefunzionale all’idea di un’umanità che tramite latecnica forgia il proprio destino. Non che lanegatività sia assente, ma il romanzo moderno hadescritto più il tumulto che il caos. Dopo laletteratura moderna la �gura di un destino aportata di mano si è sgretolata. E con lafantascienza (e le ibridazioni a essa inerenti) che staemergendo sempre più dal contenitore dellaletteratura di genere, a venir meno è anche un tipodi narrazione incentrata sull’interiorità deipersonaggi.

C’è anche una dif�coltà intrinseca nell’oggetto dellanarrazione. I cambiamenti climatici sfuggonospesso alla previsione e all’oggettivazione. Non sonolocalizzabili spazialmente, ma in�uiscono sull’interovivere umano. La loro “invisibilità” s�da illinguaggio. Timothy Morton ha coniato il termine“iperoggetto” per descrivere questi enti, come ilriscaldamento globale, che sfuggono ai parametridell’ontologia classica: sono oggetti che nonpossono essere abbracciati epistemologicamente daun soggetto esterno, perché quest’ultimo ne èospite e parte allo stesso tempo. Oggetti chedecostruiscono la dicotomia esterno/interno.Scrive Morton in Hyperobjects: «Quanto piùsappiamo a proposito degli iperoggetti, tanto più cirendiamo conto che non potremo mai veramenteconoscerli. Eppure, per quanto ci sforziamo diallontanarli, non possiamo separarci da loro».Inadeguatezza del linguaggio, criticaall’antropocentrismo, rapporto con il non-umano:un �lo rosso che attraversa, ad esempio, la Trilogiadell’Area X di Jeff Vandermeer. Lo scarto tra parola erapporto dell’uomo con il non-umano è in �ligranaai tre libri. L’Area X è un Altrove situato in un luogo

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spaziale inde�nibile, forse causato dall’attivitàumana sul pianeta. Un Iperoggetto, appunto, cheinteragisce con il pensiero e con la materia organicache si trova nella sua prossimità, e il cui Con�ne inespansione, come un ulteriore organismo, sfuggealla comprensione umana. Quella di Vandermeer èuna delle uscite editoriali più notevoli cherispondono idealmente alla mancanza che AmitavGhosh imputa alla letteratura moderna: provare anarrare l’invisibile che sta de�nendo le nostre vite.

A proposito di invisibile che sta de�nendo le nostrevite, nel 1962, Il mondo sommerso di J. G. Ballardraccontava profeticamente di una Londrasprofondata sotto il livello delle acque a causa delloscioglimento delle calotte polari. A febbraio l’Articoha visto un aumento delle temperature senzaprecedenti. Mentre l’Antartide, come detto all’inizio,per la prima volta sta andando verso un’inversionedi rotta. Fino a poco tempo fa, questa regionerisentiva poco del riscaldamento globale grazie auna peculiare circolazione delle masse d’acqua. Ilrapido scioglimento dei ghiacci artici venivacontrobilanciato da questa resistenza. Adesso, però,qualcosa è cambiato. Se prima il ghiaccio antarticoin diminuzione era quello marino, ora stasubentrando qualcosa di mai veri�cato nella storiaumana recente. Proseguendo per circa quattromilachilometri al di sotto dell’estremità del Sudamerica,si incontra Pine Island Bay, un’insenatura nel maredi Amundsen. Una zona in cui si trovano due tra ighiacciai più grandi dell’Antartide: Pine Island eThwaites. Oltre a un primato in termini didimensione, Pine Island e Thwaites sono anche idue ghiacciai che si stanno sciogliendo piùvelocemente in tutta la regione. Entrambi poggianosu un terreno solido. Le correnti oceaniche caldestanno pian piano sciogliendo le loro basi. Taleerosione crea delle piattaforme (ice shelf) cherischiano di collassare per il peso del ghiaccio land-

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based (cioè terrestre, non galleggiante) datrattenere, riversando così enormi quantità diacqua che si aggiungerebbe alla massa totale deimari. Come spiegato dal meteorologo Eric Holthausin un discusso articolo dal titolo icastico IceApocalypse:

Insieme agiscono come un tappo chetrattiene abbastanza ghiaccio da poterinnalzare il livello del mare oltre i 3 metri dialtezza – una quantità che sommergerebbeogni città costiera del pianeta. Per questomotivo, scoprire quanto velocemente questighiacciai collasseranno è una delle questioniscienti�che più importanti al mondo oggi[traduzione mia].

L’eventualità di un collasso di proporzioni enorminella Pine Island Bay non è uno scenariofantapocalittico. È già successo, undicimila anni fa,allagando le coste di tutto il mondo. Un collassoodierno potrebbe essere una questione di tempo. Aquesto proposito nel 2015 era stato avviato unprogetto di ricerca intitolato “How much, howfast?” con operazioni di rilevamento sul campo chesarebbero partite nel 2018. L’amministrazioneTrump, nell’ultima proposta di bilancio della CasaBianca, ha mostrato l’intenzione di tagliare i fondialla National Science Foundation, che �nanziabuona parte dei progetti di ricerca in Antartide. Untaglio che si presenta come un unicum nella storiarecente degli Stati Uniti. Il punto di congiunzionetra politica, immaginario e letteratura è anche qui.Le �nanze globali seguono le rotte dell’immaginariodel capitalismo fossile conosciuto �nora.

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Politica dell’Apocalisse (mondo sociale)

Dopo la combustione fossile (65%), ladeforestazione è la maggior causa dellaconcentrazione nell’atmosfera di diossido dicarbonio. «Le attività umane sono la principalecausa della distruzione di vari ecosistemi a un tassoche ha le caratteristiche del cataclisma», scriveDavid Quammen in Spillover, il suo celebre testosull’evoluzione delle pandemie. Il 2018 segna icinquant’anni dalla prima volta in cui l’industriadell’energia fossile riceveva un’analisi dettagliatasull’impatto delle emissioni di CO2. Era il primogennaio 1968. La Stanford Research Institute (SRI)fece recapitare un report intitolato Sources,Abundance, and Fate of Gaseous AtmosphericPolluters alla American Petroleum Institute (API), laprincipale associazione di categoria nel campodell’industria fossile. Il termine global warmingsarebbe arrivato circa dieci anni dopo. Mentre altrivent’anni dopo il climatologo James Hansen avrebbetestimoniato al Senato sull’aumento delriscaldamento globale e sulla relazione conl’inquinamento atmosferico. Nel 1968, le particelledi CO2 nell’atmosfera erano a quota 323ppm (partiper milione), oggi si parla di 408,79 ppm. In mezzo,cinquant’anni di politiche e attività di lobbying tese

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a minimizzare l’impatto mediatico, �no alla nascitadi movimenti negazionisti: dall’orrore invisibiledell’Olocausto all’orrore invisibile del Disastro. Unanno fa Donald Trump �rmava l’ordine esecutivoche poneva �ne alle norme per la riduzione delleemissioni inquinanti delle industrie americane,regole contenute nel Clean Air Act dell’era Obama.La motivazione si reggeva su un calcolo elettorale esull’incapacità di riorganizzare ampi settoridell’attività umana: il ritorno all’era del carbonegarantisce posti di lavoro nelle fabbriche eindipendenza energetica, cioè consenso elettorale.A dominare è la politica a breve termine: come unde�cit della nostra coscienza temporale. In questosenso i cambiamenti climatici spingono a ride�nireil nostro modo politico e sociale di stare insieme:dalle frontiere all’azione collettiva degli Stati sullascena globale, passando per i focolai di guerra. Ladomanda da porsi è se le istituzioni che �noraabbiamo scelto per abitare il pianeta sono adeguate.Quelli come l’abolizione del Clean Air Act non sonoatti isolati di Stati che gestiscono sovranamente ilproprio settore energetico, ma decisioni capaci diin�uenzare il resto del mondo.

Per capire l’in�uenza dell’immaginario che stiamodescrivendo, pensiamo di dover dire a un nostroamico abitante di Los Angeles di doversi trasferire acausa della posizione della sua città. Ciprenderebbe per pazzi. La razionalità gradualista èquella che ha guidato il pensiero scienti�co �no apochi decenni fa. La natura è prevedibile, non fasalti, le sue mutazioni non sono repentine.Pensiamo ora a New York. Pensiamo al 2012. Èl’anno dell’uragano Sandy. Nonostante gli avvisi e ilmonitoraggio, l’evento viene in un primo momentosottostimato. Il sindaco Bloomberg – prima di“blindare” la città come poi effettivamente è stato –aveva riferito ai giornalisti che l’amministrazioneaveva iniziato a prendere precauzioni, ma che in

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quel momento non vi era alcuna richiesta dievacuazione obbligatoria e che non prevedeva disospendere la viabilità o di chiudere le scuole.Alcuni cittadini furono restii ad abbandonare leabitazioni anche dopo l’ordine di evacuazione,sottostimando l’evento. Nell’immaginarionewyorkese, semplicemente, quei disastri nonfacevano parte dell’Occidente. Sono scenari daterzo mondo. Vi è qui all’opera un certo paradigmadella vista. Un dominio della visionesull’immaginazione tipico della storia della cultura edella spiritualità occidentale: dal rendere visibile ilDio nel Cristianesimo attraverso l’Incarnazione, al“mito del dato” nella cultura scienti�ca (per usarel’espressione del �losofo americano Wilfrid Sellars).La nostra epistemologia, il nostro modo di pensarela conoscenza, è inadeguato a un’ontologia degliIperoggetti.

A volte le piccole apocalissi hanno un effettodirompente nell’immaginario. Esse aprono cioè allapossibilità del cambiamento nel nostro modo direlazionarci; vedere, ad esempio, che una dicituracome “disastro naturale” richiama una sorta dievento ineluttabile. La portata disastrosa di certifenomeni climatici, invece, spesso ha delle causesociali: come la vulnerabilità di aree urbane povereprive di infrastrutture adeguate, la scarsaattenzione delle amministrazioni nelle politiche diprevenzione garantita in quartieri e zone con fascedi popolazione a basso reddito, l’intensità deifenomeni ampliata dalle emissioni di CO2 del nostromodello di sviluppo. Il geografo Neil Smith,riferendosi principalmente al caso dell’uraganoKatrina e ai danni su New Orleans, ha sostenuto chei «disastri naturali sono in realtà il prodotto ditangibili diseguaglianze sociali. La presunta“naturalità” dei disastri diventa un camuffamentoideologico per le dimensioni sociali (e quindiprevenibili) di tali disastri, che coprono interessi

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sociali piuttosto speci�ci». La maggioranza dellapopolazione urbana mondiale oggi vive in paesi invia di sviluppo. Secondo Ashley Dawson, autore diExtreme Cities, molti di questi sono cittadini vittimedella deregulation agricola e delle politiche imposteda FMI e Banca mondiale che hanno favorito lecorporation a scapito dei contadini,standardizzando la produzione, intensi�cando l’usodi prodotti chimici e facendo crollare i prezzi deiprodotti agricoli. Politiche «che hanno spintomilioni di contadini negli slums delleconglomerazioni urbane largamentedeindustrializzate del Sud Globale». Spesso si trattadelle zone più a rischio per quanto riguarda glieffetti dei cambiamenti climatici. Terreni esclusidallo sviluppo urbanistico proprio per la naturadell’area, soggetta a smottamenti e inondazioni. Lapiani�cazione urbanistica, prima ancora dei �ussieconomici, è un elemento chiave per capire einquadrare le diseguaglianze. Un esempioemblematico è Haiti, dove gli effetti devastanti di unterremoto sono stati ampliati da infrastruttureinadeguate, mancato accesso all’acqua pulita,assenza di servizi igienici e medici di base. Nonsolo. Nel 1923 le foreste coprivano il 60% di Haiti,ora ne ricoprono il 2%. Questa deforestazione non èsenza conseguenze. Ogni anno, senza foreste, 6000ettari di terra coltivabile vengono erosi,aumentando la vulnerabilità di Haiti aglismottamenti causati da uragani che spazzano viafattorie, strade, comunità. Un altro esempio chiaveè l’uragano Katrina negli Stati Uniti. Tra le aree piùcolpite ci furono quelle ad alta densità dipopolazione afroamericana come New Orleans,dove sotto l’amministrazione Bush furono venduteai costruttori privati vaste porzioni di terrenoumido poco adatto all’edi�cazione. SidneyBlumenthal, ex Senior Advisor di Bill Clinton,affermò che i danni di Katrina potrebbero nonessere stati semplicemente un risultato di un “act of

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nature”. Blumenthal, nello speci�co, sottolineòcome sotto Bush vennero interrotti dei progetti diricerca dello US Army Corps Of Engineers su comeprevenire gli effetti catastro�ci degli uragani a NewOrleans. Inoltre, a cominciare dal 2003, i fondifederali cominciarono ad essere dirottati sullaguerra in Iraq. Secondo quanto riportato daBlumenthal, a partire dal 2004, l’amministrazioneBush ha ripetutamente tagliato i fondi dello USArmy Corps Of Engineers. David Harvey, in Cittàribelli, sostiene che «la domanda riguardo a chetipo di città vogliamo non può essere separata dalladomanda circa che genere di persone vogliamoessere, quali tipi di relazioni sociali ricerchiamo,quali relazioni con la natura apprezziamo, qualestile di vita desideriamo o quali valori esteticicoltiviamo».. Esiste, per così dire, una lotta di classeecologica. Una necessità di politicizzarel’Apocalisse, di dare contenuto politico al sensodella Fine.

La parte di popolazione meno responsabile delleemissioni di anidride carbonica, o delle politichepredatorie ambientali, è quella che ne soffre di piùle conseguenze. La rivista Climate Change, adesempio, nel 2017 ha pubblicato uno studio secondocui le emissioni dei 90 produttori più importanti dicombustibili fossili (aziende private come BP,Chevron, Shell, Total, ExxonMobil, ma anche bigstatali come Gazprom, Pemex, Aramco, Coal India,Kuwait Petroleum, Petroleos de Venezuela, NationalIranian Oil Company) sono responsabili di quasi il50% dell’aumento di temperatura, del 57% delleemissioni di CO2 e del 30% dell’innalzamento dellivello del mare �n dal 1880. Oggi un verocapolavoro di colonizzazione della mente è quellodell’individualizzazione, della responsabilizzazioneradicale dei singoli che elude sempre una messa inquestione delle grandi decisioni politiche. Se soffridi stress da lavoro, sindrome da burnout, le aziende

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offrono supporto psicologico o, se te lo puoipermettere, vai in psicoterapia. Se non riesci acomprarti casa è perché non ti sei impegnatoabbastanza o non sei bravo abbastanza da avere uncerto reddito. Nel discorso ecologico, invece, se siparla di riscaldamento globale, la soluzione, vienedetto, è il riciclo, la raccolta differenziata, le autoelettriche, la bicicletta. Pratiche che non sono dacondannare in sé (alcune di queste hanno unimpatto importante sulla salute e la qualità dellavita), ma, secondo i dati sulle emissioni di CO2prima citati, sono inin�uenti per quanto riguarda icambiamenti climatici. «La libertà di queste societàdi inquinare, e la �ssazione sullo stile di vita comerisposta, non è un caso – ha scritto il giornalistaambientale Martin Lukacs sul Guardian – È ilrisultato di una guerra ideologica, condotta negliultimi 40 anni, contro la possibilità di un’azionecollettiva».

I cambiamenti climatici �niranno inevitabilmenteper mutare il nostro modo di abitare il pianeta. LaBanca Mondiale ha da poco stilato un reportsecondo cui, entro il 2050, circa 143 milioni dipersone, provenienti principalmente da Africa SubSahariana, Sud Asia e America Latina, diventerannodei migranti climatici.

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La prossimità al caos climatico causata dal nostromodello di sviluppo svolgerà sempre più unafunzione di decolonizzazione forzatadell’immaginario. New York come Bombay, Veneziacome Calcutta, alimentando nuove mitologie: cittàforse perdute, inghiottite dalla Natura, nuoveAtlantidi che potrebbero sorgere. La rottura di unmodo di vivere che “cannibalizza” le futuregenerazioni. Quei �gli del futuro che lo scrittore eantropologo Matteo Meschiari, nel suo ultimo libroNeghentopia, immagina collocati in un mondo inrovina in cui «la polvere è ovunque». È la storia diun ragazzo assassino e  un passero parlante direttiverso un luogo, Neghentopia appunto, crasi tra laNeghentropia (l’entropia negativa che si oppone allatendenza naturale al disordine) e l’Utopia, doveprovare a invertire la direzione del futuro. Un ibridoletterario che prosegue il percorso narrativo epolitico già visto con Artico nero, dove Meschiariaveva raccontato sette storie legate ai popoli deighiacci: dai Sami ai Nenet, dalla Groenlandia allaSiberia. Storie di colonialismo e rapporto ancestralecon l’ambiente, di violenza e appropriazioneculturale, dove già si vive in un mondo alla �ne delmondo senza bisogno di immaginare scenaridistopici. Siamo abituati a immaginare il futurocome un’epoca di avanzamento tecnologico. L’epocadell’IA e dell’automazione. Ma, anche qui, stiamosolo seguendo la griglia del nostro immaginario.Quella scaturita da eventuali disastri climaticipotrebbe avere i contorni di un’era postumana. Ilmondo potrebbe assomigliare più alle periferie delBlade Runner di Denis Villeneuve o a Mad Max: FuryRoad di George Miller. Oppure al mondo dei giàcitati Volodine e Vandermeer, che nelle rispettiveultime uscite editoriali italiane, Gli animali cheamiamo e Borne, immaginano territori devastatidall’attività umana. Deserti urbani in cui ciò cheresta dell’uomo vive l’incontro più radicale possibile,quello con la bestialità e con il non-umano.

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L’animale ci guarda e noi siamo nudi davanti a lui,direbbe il �losofo franco-algerino Jacques Derrida.L’animalità ha spesso funzionato come un concettonegativo: la bestia esiste solo come Altro, comecon�ne tramite cui de�nirci. L’uomo “è” ciò che “ha”in più rispetto alla bestia. Nel libro di Vandermeerdiventa allora centrale la domanda su cos’è e comeessere una persona. L’incontro con un’alteritàinappropriabile, Borne o l’Area X della trilogia nelmondo di Vandermeer, permette all’uomo comespecie di decentrarsi all’interno delle relazioniecologiche.

Il ghiaccio torna spesso nella nostra storia. È unelemento archetipale della mente. At the Mountainsof Madness di H.P. Lovecraft (ritradotto da poco perIl Saggiatore) colloca tra i misteri del ghiacciol’orrore abissale, in una regione antartica maiabitata dall’uomo, nell’ignoto dove nessuno sguardosi è mai posato. La realtà non è oggi così lontanadalle mostruosità innominabili che abitano leprofondità antartiche lovecraftiane. La penisola diYamal situata nel circolo polare Artico, nel 2016 havisto il ritorno dell’antrace. Basta la carcassa di unarenna di un secolo fa che riaf�ora nel terreno grazieallo scioglimento del permafrost causato dalriscaldamento globale. Gli strati di permafrost sonodei piccoli abissi. Animali, piante, muschi maidecomposti grazie all’effetto della bassatemperatura, che riportati alla luce cominciano unprocesso di marcescenza. Liberano gas, possonoliberare patogeni e batteri sconosciuti all’attualeumanità. Il riscaldamento globale scava attraverso16 milioni di tonnellate di permafrost che non è maistato toccato in milioni di anni. Secondo Quammen,sempre nel suo Spillover, quella dei virus è una dellecause più verosimili di �ne della specie umana.All’interno della rete bio�sica in cui siamo immersi– sostiene – tra le cose che più ci legano tra tutti gliesseri viventi, come un «collante naturale», ci sono

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cambiamenti climatici clima �loso�a riscaldamento globale

simone sauza sociologia thomas morton volodine

le malattie infettive. Virus a cui non siamo pronti eche noi stessi potremmo liberare. Tutto �nirebbecon il ghiaccio.

Simone Sauza nasce a Roma nel 1989. Giornalista, si occupaprincipalmente di cinema, culture pop e cultura tedesca. Hacollaborato con Linkiesta, Point Blank, Dude Mag e Sky Italia. Èlaureato in Filoso�a.


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