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18 Collana del Centro per la Filosofia Italiana · 93 Gramsci e Machiavelli. Il principe come...

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Passato e presente 18 Collana del Centro per la Filosofia Italiana diretta da Pietro Ciaravolo, Giuseppe Prestipino e Teresa Serra
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Passato e presente

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Collana del Centro per la Filosofia Italiana

diretta daPietro Ciaravolo, Giuseppe Prestipino e Teresa Serra

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Machiavelli tra Filosofia e Politica

a cura diTeresa Serra

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Copyright © MMXARACNE EDITRICE S.r.l.

[email protected]

00173 Romavia Raffaele Garofalo, 133 A/B

(06) 93781065

ISBN 978–88–548–3284–8

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

I edizione: gennaio 2010

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INDICE 9 Presentazione

RELAZIONI

13 La premialità nella storia: Niccolò Machiavelli e le ricompense Serenella Armellini 37 Machiavelli traduttore di Vittore Vita Ferruccio Bertini 51 Machiavelli, tra San Paolo e Carl Schmitt Giuseppe Cantarano 63 Tocqueville e Machiavelli: Può il liberalismo fare a meno della comunità politica? Dino Cofrancesco 71 Fortuna, virtù e prudenza nella costruzione del mito dello Stato Vittorio Dini 93 Gramsci e Machiavelli. Il principe come “autoriflessione” del popolo e il problema politico dell’avanguardia Fabio Frosini 109 La Repubblica di Machiavelli tra ideale classico e stru- mento di potere Stefano Maso

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Indice 6

121 L’eredità di Machiavelli nella teoria politica italiana del primo novecento Rita Medici 135 Parti politiche e forme istituzionali nella Firenze repub- blicana e medicea Antonio Tafuro 169 Crisi della politica non crisi economica Mario Tronti

INTERVENTI

175 Il conflitto produttore di armonia in Machiavelli Stefano Angeloni 193 L’’Esortazione alla penitenza’ di Niccolò Machiavelli Santino Cavaciuti 219 Machiavelli tra retorica del potere e potere della retorica Roberta Fidanzia 243 Note arendtiane per Machiavelli Aldo Meccariello 259 Il rapporto machiavelliano tra etica e politica nell’interpretazione di Benedetto Croce Alberto Nave 269 Il destino del Machiavelli e del machiavellismo dopo la caduta delle ideologie Aurelio Rizzacasa 279 I nuovi ‘Principi’ Antonino Russo

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Indice 7

TAVOLA ROTONDA Dopo Machiavelli: Natura umana e politica moderna

285 La radice empirica nel pensiero politico di N. Machiavelli Pietro Ciaravolo 295 Per una genealogia dei poteri Dario Renzi 303 Etica e politica dopo Machiavelli Giuseppe Prestipino 309 Dopo Machiavelli: Natura umana e politica moderna Rocco Brienza 315 Dopo o oltre Machiavelli? Teresa Serra

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VIII

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PRESENTAZIONE

Il Convegno su “Machiavelli tra filosofia e politica”, promosso dal Centro per la filosofia italiana in collaborazione col Comune di Mon-tecompatri, col Dipartimento di Teoria dello Stato dell’Università “Sapienza” di Roma e col Dipartimento di Filosofia dell’Università della Calabria, si è svolto a Montecompatri dal 4 al 5 Ottobre 2008 e nel suo corso ha ampiamente confermato, se pur ce ne fosse stato bi-sogno, oltre alla grande attualità del segretario fiorentino, “un ingegno che da quattro secoli e mezzo si cerca di intendere né mai bene fu in-teso” (Ridolfi), anche la ricchezza di suggestioni che ancora oggi il segretario fiorentino ci consegna.

Relazioni e interventi, sia programmati sia estemporanei, e ci di-spiace per questi ultimi che non vi sia stata la registrazione perché hanno arricchito il Convegno, hanno spaziato nei vari campi della scienza politica, della storia delle dottrine e della filosofia politica, mettendo in risalto i molteplici aspetti di un pensiero che mostra anco-ra la sua attualità. E’ stata forse, questa, la cifra più importante del no-stro Convegno che si è concluso proprio con una Tavola rotonda, in-trodotta da Pietro Ciaravolo, sul tema Dopo Machiavelli: natura uma-na e politica moderna nella quale è emerso come sia possibile, parten-do da Machiavelli, andare oltre senza peraltro abbandonarlo.

Attualità che ricompare apertamente in alcuni interventi, cito tra tutti il contributo di Mario Tronti, ma anche l’intervento di Antonino Russo e di Aurelio Rizzacasa, e meno esplicitamente in altri. Con Ma-chiavelli, ricorda Tronti, entra nella storia uno specifico della politica: i modi della conquista e i modi del mantenimento del potere sono due modi diversi che devono sempre essere comunque collegati se non si vuol far perdere questo specifico della politica.

Machiavelli appare un anticipatore dei temi destinati a svilupparsi nel corso della modernità, ma che non sono superati nella postmoder-nità ed è autore al quale ogni studioso dei problemi della politica non ha potuto e non può fare a meno di far riferimento. Da Croce a Gram-

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Presentazione 10

sci (si veda il pregevole contributo di Fabio Frosini su Gramsci, ma Gramsci e Croce ricompaiono qua e là in molte relazioni), a tutta la scienza politica del Novecento (Rita Medici), a Hannah Arendt (Mec-cariello mette ben in evidenza anche attraverso una interessante lettura degli appunti inediti della Arendt su Machiavelli tre temi decisamente interessanti per entrambi quali quello della fondazione, della violenza e della bontà), al rapporto tra Tocqueville e Machiavelli (Cofrancesco) per non citarne che alcuni. Ma Machiavelli è anche strettamente colle-gato al mondo classico. La relazione di Stefano Maso percorre questo campo mentre il primato del realismo politico e la laicità del pensatore non hanno impedito che si potesse fare un accostamento col realismo politico paolino (Cantarano).

Alcuni altri aspetti del convegno mi preme ancora ricordare: la ri-costruzione delle parti politiche della Firenze dell’epoca (Tafuro), il tema della premialità (per Serenella Armellini Machiavelli ha scardi-nato e innovato questa tematica), l’innovativo uso della retorica (Fi-danzia), l’accurata ricostruzione di Machiavelli traduttore (Bertini). Lascio, comunque, al lettore la curiosità di leggere i singoli interventi.

Ringrazio l’avvocato Marco de Carolis, sindaco di Montecompatri, per il sostegno e la presenza al Convegno e un ringraziamento speciale ai presidenti delle sedute: Dino Cofrancesco, Mario Alcaro, Francesco Mercadante e in particolare a Luciano Russi che ci ha lasciato prema-turamente, per la sapiente opera di conduzione delle sedute.

Mi corre l’obbligo di ringraziare a nome di tutta la società Pietro Ciaravolo senza il cui impegno e la cui totale dedizione il Centro per la filosofia italiana e questo Convegno non ci sarebbero stati.

Teresa Serra

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RELAZIONI

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Presentazione 12

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SERENELLA ARMELLINI

LA PREMIALITÀ NELLA STORIA

NICCOLÒ MACHIAVELLI E LE RICOMPENSE 1. I termini della questione

Machiavelli ha un posto di rilievo nella storia della premialità? Il suo contributo ha inciso in maniera significativa, segnando uno snodo in una tematica che risale alle origini stesse della nostra civiltà, per non parlare delle altre1? La risposta, trattandosi del Segretario fioren-tino, non può che essere, al tempo stesso, positiva e negativa. Machia-velli si inserisce nel filone per il quale le ricompense sono un dato di fatto, non c’è molto da discutere su di esse, vanno sicuramente usate al meglio, sono uno degli strumenti per governare e così confermare e rinsaldare il potere politico. Ad una prima lettura dei brani in cui fa ri-ferimento ad esse, coerentemente, non c’è alcun accenno alla dimen-sione morale e/o giuridica, non è implicata la libertà e per essa il libe-ro arbitrio, non si ritrova alcun riferimento ad una analisi motivaziona-le delle azioni umane, non è coinvolta la giustizia e non si danno inter-rogativi su bene o male, giusto o ingiusto, legittimo o illegittimo e, questo, massimamente ne Il principe, perché nei Discorsi, com’è ov-vio, il testo presenta una maggiore articolazione.

Gli uomini sono fatti in una determinata maniera, bisogna solo prenderne atto e uniformarsi di conseguenza, per cui nelle opere ma-chiavelliane si riscontra un’asettica rappresentazione di un uso dettato dall’opportunità e dalla convenienza per il fine supremo: la sopravvi-venza dello stato2. Questo porterebbe a concludere che il tema delle

1 A questo riguardo, nella II Appendice si è ritenuto opportuno fornire ai lettori alcuni punti di riferimento sulla presenza della premialità in culture diverse dalla nostra, in maniera da consentire, nei limiti del possibile, d’ampliare la prospettiva.

2 A questo riguardo, può essere interessante ricordare che Carl Schmitt nell’intervista Un giurista davanti a se stesso, rilasciata nel 1982 a Fulco Lanchester, si è riferito al concetto del premio proprio dello stato nel suo monopolio del potere legale: «Il premio (o il plusvalore) del possesso del potere legale. Lo stato è un fenomeno ristretto temporalmente; lo stato esiste solo

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ricompense non abbia originalità e, pertanto, ad escludere una sua pre-senza incisiva nella storia della premialità.

Ma è proprio in questa asettica rappresentazione che è possibile, invece, individuare la novità apportata da Machiavelli: tutto è identico e, al tempo stesso, tutto è diverso, a tal punto, che paradossalmente il suo contributo è ben più rilevante di quello di Jean Bodin, il quale si è occupato dei premi e delle pene in diverse sue opere e in numerosi punti del suo capolavoro, ma in questa sede è sufficiente citare questi due passaggi: «Il primo e fondamentale scopo dello stato deve essere la virtù: il fine di un buono e autentico legislatore deve esser quello di rendere i sudditi buoni e virtuosi. Per ottenere ciò, occorre mettere sot-to gli occhi di tutti il premio dovuto alla virtù: come un bersaglio bianco al quale ciascuno si sforza di arrivare il meglio che può. Ora, è ben certo che l’onore non è altro che il premio e la ricompensa della virtù, la quale non può essere valutata in relazione al profitto; anzi la virtù non ha nemico più capitale che il profitto disgiunto dall’onore. Perciò se cariche, uffici, commissioni onorevoli sono sottratti alla ge-neralità dei sudditi per essere sempre rinchiusi e confinati nelle case particolari di gente indegna, che li ottiene per favore o per denaro, non c’è da stupirsi che la virtù non sia apprezzata, visto ch’è così difficile attrarre ad essa gli uomini anche con l’allettamento di grandi premi. È questa la prima considerazione che deve indurre principi e legislatori a porre cariche, uffici e tutto ciò ch’è premio al merito in chiara vista di tutti, e farne parte ai sudditi secondo i meriti di ciascuno, cosa che essi non potranno fare se concedono le cariche a perpetuità»3. Nel Libro V, nel capitolo intitolato Del premio e della pena, Bodin scrive: «Occorre ora trattare sommariamente dei premi e delle pene; chi infatti volesse da cinquecento anni, dal 1500 al 2000, un mezzo millennio insomma. Poi viene qualcosa d’altro; di più non posso dire. Lo stato diviene uno strumento, una macchina. Ci si serve della macchina e poi la si getta via» (C. Schmitt, Un giurista davanti a se stesso (1982), cit. da Id. Un giurista davanti a se stesso. Saggi e interviste, a cura di Giorgio Agamben, Neri Pozza, Vicenza, 2005, p.154. Vedi sempre nello stesso volume La rivoluzione legale mondiale. Plu-svalore politico come premio sulla legalità e sulla superlegalità giuridica (1978), pp.193-4, nota 7, ed anche Legittimità e legalità, in Id., Le categorie del politico, a cura di Pierangelo Schiera, il Mulino, Bologna,1972, pp. 243-4. G. Azzariti, Critica della democrazia identita-ria, Laterza, Roma-Bari, 2005.

3 J. Bodin, I sei libri dello stato, L. IV, 4, Se è opportuno che gli ufficiali di uno stato sia-no perpetui, ed. a cura di M. Isnardi Parente e D. Quaglioni, Utet, Torino, 1988, vol.II, pp. 480-1.

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VITTORIO DINI

FORTUNA, VIRTÙ E PRUDENZA NELLA COSTRUZIONE DEL MITO DELLO STATO

Nel corso dei secoli, varie ondate di diverse, discordanti, antagoni-

stiche interpretazioni si sono succedute sulla lettura dei testi di Ma-chiavelli, prima di tutti Il Principe, incrementate poi dalle varie risco-perte e scoperte di altre opere. Esse hanno profondamente segnato non solo la fortuna del Segretario fiorentino, ma la sua penetrazione nello sviluppo del pensiero politico e perfino nel linguaggio comune. A co-minciare dal famoso, meglio famigerato, machiavellismo, etichetta con la quale si è diffusa, fino a diventare espressione usuale nel lin-guaggio comune, un’immagine di Machiavelli come cinico e interes-sato suggeritore di pratiche immorali per ogni tipo di governatore o semplice amministratore, con la copertura morale del «fine giustifica i mezzi». Certo più sottile, e più articolata sul piano dell’elaborazione storica, la tesi del ‘volto demoniaco del potere’, ma altrettanto ridutti-va e falsa. Come esasperata appare la sua più recente ― e fortunata, anche per lo spessore del suo enunciatore ― di Machiavelli «a teacher of evil», secondo l’espressione consapevolmente provocatoria di Leo Strauss. Meno ingombrante, e anche meno diffusa, la visione di Ma-chiavelli come fondatore della scienza politica moderna, il Galilei del-la politica, come suggerisce lo stesso Francesco De Sanctis: tesi inso-stenibile, sia sul piano del metodo, esplicitamente mai tematizzato ― anzi, è costante il riferimento alla varietà e alle ‘mutazioni’ in tutto l’arco del suo pensiero e della sua scrittura ― né, tantomeno, sul pia-no del contenuto della sua opera, sempre aliena dal riscontro di verità scientifiche, concepite come assolute ed eterne. Così come risulta ri-duttiva e sostanzialmente impropria la tesi che vede in Machiavelli il fondatore dello stato moderno, il primo teorizzatore e ispiratore della ‘ragion di Stato’, secondo la ben nota tesi di Meinecke. Che lo stato costituisca lo sfondo della sua riflessione non è soltanto indicato dallo

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scopo proposto nel capitolo conclusivo de Il Principe, l’unificazione della patria italiana sotto un’unica sovranità, ma soggiace all’intera scrittura machiavelliana e alla stessa riflessione sulla pratica di gover-no (si vedano le Legazioni e Commissarie, e le relazioni in particolare su Spagna e Francia) e si manifesta nello stesso lessico ‘costituziona-le’. Ancora unilaterale e forzata, appare la tesi del ‘repubblicanesimo’ romano, della libertà repubblicana romana, espressa con ampiezza e vigore specie da Pocock, Skinner e Viroli1. O la tesi, ancor più radica-le del fondamento del ‘potere costituente’ e della democrazia moltitu-dinaria, sostenuta da Negri. O, ancora, quella che oggi viene definita la posizione del “momento machiavelliano” francese, espressa in par-ticolare da Miguel Abensour.

La complessa ricchezza di tutto questo bagaglio, che la storia delle interpretazioni di Machiavelli reca con sé, può complicare ogni sforzo di penetrazione dei testi machiavelliani. Mentre l’aspetto positivo, ap-punto la ricchezza del bagaglio, rende indispensabile e necessaria la sua piena utilizzazione.

La considerazione più opportuna e proficua da cui prendere la mos-se, mi sembra dunque quella di verificare e controllare la comprensio-ne dei termini essenziali del lessico politico machiavelliano, rico-struendo insieme il significato profondo del suo contributo alla mo-dernità politica, e cogliendo anche quanto la sua ricezione abbia co-perto, o distorto, l’originario senso.

1 Queste tesi hanno ricevuto e continuano a ricevere un notevole credito, e hanno

l’indubbio merito di avere accresciuto le conoscenze del dibattito politico e teorico soprattutto nell’ambiente fiorentino e italiano dell’umanesimo e del Rinascimento e di avere sviluppato, sia pure in maniera esasperata, la proposta di una lettura ‘liberale’ di Machiavelli, aperta dall’originale tesi della «originalità di Machiavelli» di Isaiah Berlin; ma sono sempre più sot-toposte ad un esame critico, talora aspramente polemico, e a mio parere giustamente, per la pretesa universalistica che sostengono. La libertà che Machiavelli propugna è essenzialmente la libertà politica, legata al conflitto inevitabile tra i Grandi che desiderano dominare e la mol-titudine che non vuole essere dominata. Cosa, evidentemente, ben diversa, dalla libertà come la intende il liberalismo moderno, la libertà come libertà individuale, prima che collettiva, in quanto esclusione di ogni limitazione esterna al volere e all’azione. Le critiche più radicali al-le tesi del «momento machiavelliano», nei recenti contributi di S. Audier, Machiavel, conflit et liberté, Vrin, Paris, 2005; D. Canfora, Prima di Machiavelli, Laterza, Bari, 2005; M. Gaille, Machiavel et la tradition philosophique, PUF, Paris, 2007; C. Vivanti, Niccolò Machiavelli. I tempi della politica, Donzelli, Roma, 2008; S. Landi, Machiavel, Ellipses, Paris, 2008.

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RITA MEDICI

L’EREDITÀ DI MACHIAVELLI NELLA TEORIA POLITICA ITALIANA DEL PRIMO

NOVECENTO1

Nell’intento di appurare quale sia stata effettivamente l’eredità teo-rica di Machiavelli nella teoria politica italiana del primo novecento, vorrei trattare in primo luogo degli elitisti Mosca e Pareto, ai quali è generalmente attribuita una appartenenza machiavelliana2. In linea con la tradizione anglosassone, che ritiene il Machiavelli uno strenuo so-stenitore del repubblicanesimo, James Burnham nel suo celebre libro del 1943 definiva i neo–machiavellici come “difensori della libertà”. In base a questo stereotipo, Gaetano Mosca, ad esempio, che col se-gretario fiorentino ha avuto un rapporto piuttosto critico, potrà a buon diritto essere annoverato tra i seguaci di Machiavelli; la sua riflessione matura, consegnata alla sua opera principale3 ― che presenta uno svi-luppo in senso liberale, ed è caratterizzata da una moderata eppure de-cisa rivalutazione del sistema parlamentare, del quale il giovane Mo-sca era stato un critico aspro4 − si presta ad essere letta in questa chia-ve. Meno comprensibile, alla luce delle stesse premesse, è la defini-

1 Al rapporto tra la scienza politica italiana del primo novecento e il pensiero di Machia-velli chi scrive ha dedicato le prime due parti di un libro, La metafora Machiavelli. Mosca Pareto Michels Gramsci, Mucchi, Modena, 1990. Le parti III e IV trattano invece del pensie-ro di Gramsci, sempre in relazione al Machiavelli.

2 R. Medici, La metafora Machiavelli. Mosca Pareto Michels Gramsci, cit.; v. in partico-lare la parte I, pp. 7-88.

3 Questo spostamento interno al pensiero moschiano è avvertibile nella sua opera princi-pale, che come è noto esce in due parti, separate da un arco temporale ampio, e presenta per-ciò sviluppi interni piuttosto importanti. G. Mosca, Elementi di scienza politica, I e II (1895 e 1922), ora in Scritti politici, a cura di G. Sola, vol. II, UTET, Torino, 1982 (le due parti dell’opera occupano l’intero volume).

4 Sulla rivalutazione del regime parlamentare, v. il cap. X (VI) della parte I degli Elementi di scienza politica, nonché il cap. VI (VI) della parte II (G. Mosca, Scritti politici, vol. II, cit., pp. 843-8, 1112-8); Mosca stesso ammette di avere cambiato opinione sul regime rappresenta-tivo (ivi, p. 1113 s.).

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zione analoga data ad autori come Sorel e Pareto, nei quali alcuni a-spetti della tradizione liberale si trovano in un coacervo di concezioni ideologiche diverse (ispirate talora al socialismo e al marxismo, nel caso di Sorel), non facilmente riconducibili in modo chiaro al liberali-smo classico5. Individuando nel Machiavelli una costante, seppure implicita, distinzione tra due tipi di uomini, il «tipo dirigente» e il «ti-po dominato», il Burnham attribuiva in questo modo al Fiorentino il merito di aver costituito la premessa teorica del “presupposto minori-tario” (o della minoranza dirigente), punto di vista comune agli elitisti Mosca, Pareto e Michels6.

Occorre osservare che Gaetano Mosca aveva dato, in origine, del pensiero del segretario fiorentino una valutazione fortemente critica, che, presente fin dalla sua opera giovanile, è rintracciabile ancora chiaramente nella prima parte dei suoi Elementi di scienza politica: dove il Mosca a proposito del Principe osserva che si tratta di un’opera «troppo vituperata, troppo lodata, e alla quale in ogni caso si è attribuita soverchia importanza»7. Valutazione critica che si eviden-zia anche nel rifiuto netto del Mosca ad accettare la proposta machia-velliana, formulata nei Discorsi, per cui se si vuole che le istituzioni

5 J. Burnham, The Machiavellians. Defenders of Freedom (1943), I difensori della libertà,

tr. it. di E. Mari, Mondadori, Milano, 1947. Il Burnham difende Machiavelli da chi lo ha co-perto di infamia, perché ritiene che «se le verità politiche affermate (…) da Machiavelli fosse-ro largamente conosciute dagli uomini», il successo della tirannia e delle altre forme di dispo-tismo politico diverrebbe molto meno probabile; di conseguenza «nella società sarebbe possi-bile una più profonda libertà, più di quella che Machiavelli stesso riteneva raggiungibile» (J. Burnham, I difensori della libertà, cit., p. 86). Sulla proposta di lettura che il Burnham fa dei tre elitisti Mosca, Pareto e Michels come Machiavellians, R. Medici, La metafora Machiavel-li. Mosca Pareto Michels Gramsci, cit., pp. 8-10; su Michels, v. in particolare le pp. 117-51, dove chi scrive ha tentato di dimostrare la scarsa consistenza della tesi che attribuisce al Mi-chels la qualifica di autore machiavelliano.

6 Queste tesi sui tre elitisti sono correlate ad una certa interpretazione che il Burnham da-va del Machiavelli, visto tra l’altro come colui che aveva iniziato un modo scientifico di con-siderare la politica, intesa essenzialmente come «la lotta per il potere che viene condotta dagli uomini». J. Burnham, I difensori della libertà, cit., pp. 62-8. Machiavelli per il Burnham di-fendeva la libertà mettendo in luce i meccanismi del potere politico.

7 Elementi di scienza politica, I, cap. VIII (I), G. Mosca, Scritti politici, vol. II, cit., p. 780. Che il giudizio del Mosca su Machiavelli non fosse dei più benevoli era già stato rilevato a suo tempo da Bobbio (N. Bobbio, Saggi sulla scienza politica in Italia, Laterza, Bari, 1969, p. 178).

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TAVOLA ROTONDA

DOPO MACHIAVELLI NATURA UMANA E POLITICA MODERNA

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PIETRO CIARAVOLO

LA RADICE EMPIRICA NEL PENSIERO POLITICO DI N. MACHIAVELLI

Un titolo che ulteriormente approfondito conferisce al filosofo ori-

ginalità pur navigando in una certa confusione e cadendo di tanto in tanto in contraddizione. Un’ipotesi provocatoria che resta tale nono-stante la pacatezza argomentativa alla quale m’affido pur se alleggeri-ta perché privata di una ricca citazione di testi. Tuttavia lungi da me la presunzione d’arrogarmi l’assoluta verità dell’interpretazione. Una convinzione che mi nasce dal presupposto che ogni zona del sapere, argomentata o non, nasconde sempre al suo interno tratti di porosità, vuoti aperti. La completezza non è nemmanco della scienza nonostan-te la rigorosa metodica. La storia della scienza porta sempre qualcosa di nuovo. Il ‘mistero’ al quale erroneamente s’attribuisce un’esclusi-vità religiosa è dovunque. L’umiltà è d’obbligo. Il genio lo sa! R. Ar-digò traccia il percorso evolutivo del sapere partendo dal principio dell’Indistinto che s’accompagna a quello dell’infinita causalità casua-le. L’originalità del filosofo padovano sta nell’intuizione del-l’Inconoscibile che trova nell’idea di Fortuna del Machiavelli una sua correlazione. Il mistero è dietro ogni porta. Si nasconde nel fondo di ogni cervello che si cimenta nella conoscenza. Una spruzzata di relati-vismo nella coscienza con la quale bisogna fare i conti. La storia della filosofia continuamente varia. Il che prova se non seriamente ipotizza che nella mente umana sia geneticamente o soltanto empiricamente presente ed operante il senso del limite che nel comportamento diven-ta norma morale. Ignorarla mette in crisi il personale equilibrio. Qui avanzo il sospetto che a portare questa presunzione sia non la genuini-tà del pensiero dentro coltivato ma la concettualità del linguaggio che per una strana alchimia veste di universalità rendendo indiscutibile il

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PIETRO CIARAVOLO

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pensiero che è tale soltanto nell’articolazione dei segni linguistici. E che in quanto tali si fanno informatori di tutti i concreti dati empirici che hanno un qualcosa in comune, una simiglianza tra essi che fa da supporto, da referente della parola. Il segno concettuale rappresenta la simiglianza, l’aspetto generalizzante mentre resta inespressa la diver-sità del ‘dato’, quella che risalta nell’intendimento interlocutorio. Vie-ne alla luce della coscienza empirica al punto che se manca il dato cor-rispettivo l’intendimento non è possibile e la parola si riduce ad un flatus vocis, ad una sonora insignificanza. Il referente del concetto è la simiglianza mentre quello dell’osservazione è il lato di diversità che possiede la cosa. Quella che la distingue la ‘cosa’ l’una dall’altra la cui correlazione non porta ad un insieme caotico per l’infinita diversi-tà che provoca ma l’elevarsi di una visione d’ordine che incanta. L’armonia che è apprezzata dalla nostra razionale cultura si sostiene ed è motivata dalle correlazioni similari. Quelle stesse che entrano nel-la logica del linguaggio. Mentre l’ingegneria della pura Natura non conosce doppioni. L’identità è una parola vuota perché viene a cadere il referente empirico. Gli uomini e le cose sono tutti nel confronto in-confondibili. Quest’è la Natura testimoniata dalla nostra osservazione quotidiana qualunque sia la valenza della riflessione1.

1 Queste idee non sono fuori tema perché il pensiero del Machiavelli vi naviga den-tro pur seguendo la rotta politica. Anzi pur mantenendo lo spirito di opinabilità le i-dee espresse possono costituire il fondo di validità teoretica delle sue riflessioni che principalmente raccoglie nel “Principe” e nei “Discorsi”. Inoltre mi si possa consen-tire di entrare nel merito del tema facendo qualche precisazione sul termine indivi-dualità che tanta nostra letteratura filosofica e non impriglia in un groviglio semanti-co tale da farne un’entità inaccettabile e socialmente distruttiva. Il referente della si-gnificazione mentre da un lato s’appoggia alla simiglianza della ‘cosa’, dall’altro si collega incorporandosi nell’immagine concreta, quella ripresa dai sensi che porta singolarità alla parola. La parola si fa portatrice di due piani strutturali della “res” al-la quale corrisponde: il concetto e l’immagine colta dai sensi che fanno da sinolo conoscitivo. A connetterli operativamente fondendoli nell’unità della parola è la funzione dell’intendimento. Funzione che impegna sotto l’occhio della coscienza sia l’attenzione al referente empirico sia al referente della similarità.


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