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18. La Germania di Tacito: un mundus inversus · non sempre avevano valore, come si dimostrò a...

Date post: 09-Nov-2018
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18. La Germania di Tacito: un mundus inversus Da Teutoburgo (9 d.C.) all’età di Tacito: gli scontri tra Romani e Germani nelle parole di Tacito Nel cap. 37 della Germania Tacito ripercorre i momenti salienti degli scontri tra Romani e Germani. Dei Cimbri, che occupano una penisola in vicinanza dell'Oceano (l'attuale Jutland), dice dei grandiosi resti che hanno lasciato nel periodo della loro massima espansione e potenza. Roma aveva seicentoquarant'anni di vita, quando per la prima volta, al tempo dell'impresa di Mario, si sentì parlare delle armi dei Cimbri. Tacito continua: "Se calcoliamo da allora fino al secondo consolato dell'imperatore Traiano, si sommano quasi duecentodieci anni: da tanto tempo fatichiamo a vincere la Germania. Molte, in così lungo corso di tempo, le perdite reciproche". Tacito giudica che nessun'altra popolazione abbia rappresentato una così pesante minaccia per Roma: troppo forte è nei Germani l'amore per la libertà. Ricorda quindi le perdite subite da Roma, sia che fosse vittoriosa sui Germani, sia che fosse sconfitta. Evoca le vittorie di Gaio Mario, di Cesare, di Druso, di Nerone e di Germanico, ma continua col ricordare le campagne di Caligola, che sottovaluta dicendo: "… più tardi anche le terribili minacce di G. Cesare [Caligola] finirono in una farsa". Alludendo alle imprese di Domiziano aggiunge con sfumatura ironica: "su di loro [i Germani] furono celebrati piuttosto trionfi che ottenute autentiche vittorie" 1 . Dunque, secondo il parere di Tacito, il tempo delle certezze è finito; il pericolo rappresentato dai Germani è molto serio e le risposte di Roma (da 210 anni vince i Germani!) non riescono evidentemente ad essere definitive. 1 Tacito, Germania 37, 2-6, passim: ... Ex quo (dal tempo dell’impresa di Mario) si ad alterum imperatoris Traiani consulatum computemus, ducenti et decem anni colliguntur: tam diu Germania vincitur... Medio tam longi aevi spatio multa in vicem damna... Mox ingentes Gai Caesaris (Caligola) minae in ludibrium versae... triumphati magis quam victi sunt...
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18. La Germania di Tacito: un mundus inversus

Da Teutoburgo (9 d.C.) all’età di Tacito: gli scontri tra Romani e Germani nelle parole di Tacito Nel cap. 37 della Germania Tacito ripercorre i momenti salienti degli scontri tra Romani e Germani. Dei Cimbri, che occupano una penisola in vicinanza dell'Oceano (l'attuale Jutland), dice dei grandiosi resti che hanno lasciato nel periodo della loro massima espansione e potenza. Roma aveva seicentoquarant'anni di vita, quando per la prima volta, al tempo dell'impresa di Mario, si sentì parlare delle armi dei Cimbri. Tacito continua: "Se calcoliamo da allora fino al secondo consolato dell'imperatore Traiano, si sommano quasi duecentodieci anni: da tanto tempo fatichiamo a vincere la Germania. Molte, in così lungo corso di tempo, le perdite reciproche". Tacito giudica che nessun'altra popolazione abbia rappresentato una così pesante minaccia per Roma: troppo forte è nei Germani l'amore per la libertà. Ricorda quindi le perdite subite da Roma, sia che fosse vittoriosa sui Germani, sia che fosse sconfitta. Evoca le vittorie di Gaio Mario, di Cesare, di Druso, di Nerone e di Germanico, ma continua col ricordare le campagne di Caligola, che sottovaluta dicendo: "… più tardi anche le terribili minacce di G. Cesare [Caligola] finirono in una farsa". Alludendo alle imprese di Domiziano aggiunge con sfumatura ironica: "su di loro [i Germani] furono celebrati piuttosto trionfi che ottenute autentiche vittorie"1. Dunque, secondo il parere di Tacito, il tempo delle certezze è finito; il pericolo rappresentato dai Germani è molto serio e le risposte di Roma (da 210 anni vince i Germani!) non riescono evidentemente ad essere definitive.

1Tacito, Germania 37, 2-6, passim:

... Ex quo (dal tempo dell’impresa di Mario) si ad alterum imperatoris Traiani consulatum computemus,

ducenti et decem anni colliguntur: tam diu Germania vincitur... Medio tam longi aevi spatio multa in vicem

damna... Mox ingentes Gai Caesaris (Caligola) minae in ludibrium versae... triumphati magis quam victi

sunt...

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Il mundus inversus dei Germani L'ambiente naturale. I Romani avevano precisi paradigmi culturali per valutare l'ambiente naturale: un bel paesaggio doveva essere ubertoso e fecondo ad opera dell’uomo, che vi aveva impresso un ordine, una forma e ne aveva trasformato le linee. Diverse invece le valutazioni dell’ambiente naturale nordico, connotato dal disordine e dall’eccesso. E questo vale anche per Tacito, il quale ci dice che la Germania si estende tra paesaggi desolati, in un clima rigido, in una terra triste da vedere e da starci se non per chi vi sia nato: Germaniam ... informem terris, asperam caelo, tristem cultu adspectuque, nisi

si patria sit (cap. 2). E ancora: il territorio dei Germani è irto di selve, paludoso, umido, ventoso, inadatto a messi ed alberi, adatto all'allevamento del bestiame: Terra etsi aliquanto specie differt, in universum tamen aut silvis horrida aut paludibus foeda, umidior qua Gallias, ventosior qua Noricum ac Pannoniam adspicit; satis ferax, frugiferarum arborum inpatiens, pecorum fecunda, sed plerumque improcera (5, 1). Non diversamente si era già espresso Seneca 2. La Germania è dunque definita da Tacito con una serie di aggettivi (informis, aspera, tristis, horrida, foeda) di cui possiamo analizzare le diverse sfumature di significato.

Informis, dal Thesaurus linguae latinae: forma carens, non formatus. Il nucleo semantico implica qualcosa di imperfetto, disordinato, non caratterizzato da interventi in grado di introdurre caratteri interni distintivi (estetici/culturali), non coltivato, ai margini, connotato negativamente, brutto. Il Thesaurus riporta un passaggio di Virgilio, Georgiche III, 354-356, a proposito della Scyitia (i popoli barbari del nord sono descritti con caratteristiche simili). Virgilio dice: iacet aggeribus niveis informis et alto/ terra gelu late septemque adsurgit in ulnas. /Semper hiems, semper spirantes frigora Cauri. Servio commenta: “la Scizia è 2cfr. Seneca, De providentia 4, 14-15: 14. Omnes considera gentes in quibus Romana pax desinit, Germanos

dico et quidquid circa Histrum vagarum gentium occursat: perpetua illos hiems, triste (minaccioso, ostile, che

opprime) caelum premit, maligne solum sterile sustentat; imbrem culmo aut fronde defendunt, super durata

glacie stagna persultant, in alimentum feras captant. 15. Miseri tibi videntur? nihil miserum est quod in

naturam consuetudo perduxit; paulatim enim voluptati sunt quae necessitate coeperunt. Nulla illis domicilia

nullaeque sedes sunt nisi quas lassitudo in diem posuit; uilis et hic quaerendus manu victus, horrenda iniquitas

caeli, intecta corpora: hoc quod tibi calamitas videtur tot gentium vita est.

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informis perché nivis superfusione carens variegate formarum nullisque agnoscenda limitibus, inlimitata. Dunque: un territorio definito informis ha incerti – o non ha – confini ed assume i tratti della vastità e della dismisura (immanitas)3. Asper, dal Thesaurus linguae latinae, in generale: de eis quae sensus offendunt; in particolare, riferito ad agenti atmosferici, vale: procellosus, exagitatus. Tristis, dal Thesaurus linguae latinae: tristia sunt quaecumque tristes faciunt. Se accompagnato alla parola adspectus equivale ad horridus. Horridus, come i corradicali horrendus, horror, è riferibile a quanto si pone fuori da ogni paradigma di ordine e senso: è il caos fisico ed emotivo, anomalo, marginale. Il Thesaurus, a proposito del passo di Tacito, lo riferisce a locis asperis, squalidis, incultis4. Secondo Tacito (cap. 5) il territorio presenta una certa varietà ed anche fertilità di seminati (Cesare aveva tuttavia precisato che i Germani preferivano la caccia alla coltivazione dei campi), ma l’aspetto più rilevante è quello delle paludi e delle selve (capp. 2, 28, 39, 46)5. Foedus, il campo semantico di questa parola si muove tra deformità e ripugnanza; mancanza di forma che ingenera sgradevolezza6.

Dunque la Germania è un mundus inversus, relegato all’ambito del non strutturato / non organizzato – al contrario dell’orbis a cui appartengono i Romani – e con cui tuttavia i Romani devono confrontarsi. Che cosa contribuiva a questa immagine vicina alla tipologia del locus horridus? Certamente fattori ambientali reali, poi pregiudizi etnocentrici, ma anche le modalità del contatto tra Romani e Germani, e cioè un lungo e sanguinoso scontro militare. Le operazioni militari sviluppavano le conoscenze geografiche ed etnografiche indispensabili al buon esito delle guerre (Tacito stesso nel I capitolo della Germania, citando ampie penisole e isole di smisurata estensione, dice quos bellum aperuit). Gli scenari in cui i Germani si

3 Si possono citare a confronto: Plinio, Nat. 4, 102, che cita la Germania come una delle maximae partes

Europae, e Giuseppe Flavio, Bel. Iud. 2, 16, che la definisce “terra priva di confini”. 4 Cicerone (Verr. II 3,47) contrappone ager cultissimus a campus deformis et horridus. E Orazio, Carmina, IV, 5, vv. 25 e

segg.: Quis Parthum paveat, quis gelidum Scythen,/ quis Germania quos horrida parturit / fetus incolumi Caesare? Quis

ferae/ bellum curet Hiberiae? 5 Cfr. Cesare, De bello gallico, 10.

6 Cfr. Seneca, Hercules furens, 686, … in cui foeda è detto della palus Cocyti. Così Sallustio, Cat. 52,13: Bene et conposite

C. Caesar paulo ante in hoc ordine de vita et morte disseruit, credo falsa existumans ea, quae de inferis memorantur:

divorso itinere malos a bonis loca taetra, inculta, foeda atque formidulosa habere.

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nascondevano e tendevano agguati erano gli stessi che risultavano imprevedibili e paurosi ai legionari, luoghi dove la ratio bellica e la disciplina non sempre avevano valore, come si dimostrò a Teutoburgo. In una società in cui la guerra è una costante, la valutazione dei luoghi è legata anche a valutazioni d’ordine politico-strategico e si modifica in rapporto ai successi o agli insuccessi militari.

Le caratteristiche degli uomini (immanitas psico-fisica) Tacito tratta dell'aspetto fisico dei Germani e della loro sopportazione al freddo. In Germania 4, 27 dice che in tutti compaiono le stesse caratteristiche: occhi azzurri e minacciosi, chiome rossicce, alta statura, potenza nell'assalto. Applicando una specie di determinismo geoclimatico diffuso nell’antichità, Tacito sostiene che, dato il freddo, i Germani si sono abituati a sopportare freddo e fame, ma non sete e caldo. Anche Cesare (De bello gallico 4.2 e 6.2) e Seneca nel De ira (11, 3) avevano detto che nulla è più indurito ad ogni sopportazione (induratius ad omnem patientiam) dei Germani, temprati dal rigido clima. Per l’immanitas degli individui già precedentemente si era dilungato Pomponio Mela8.

Le valutazioni di Tacito sui Germani Tacito fa un impiego molto esteso della interpretatio Romana, cioè rapporta il diverso (il mondo germanico) all'orizzonte del conosciuto (la cultura romana). Questo atteggiamento può portare ad alcune distorsioni, accresciute da due fattori significativi:

• Tacito assume come punto di vista la cultura latina così come la percepisce e la giudica in un momento in cui molte certezze si sono incrinate. La latinità, il riferimento cardine per operare il confronto, è soggettivamente interpretata e valutata. Il preoccupato giudizio che Tacito ne dà, condiziona, nel confronto, il relativo giudizio a proposito del mondo germanico, a vantaggio di quest’ultimo;

• il trascrivere poi nella propria lingua le peculiarità specifiche di una cultura estranea implica una interpretazione non solo a livello denotativo, ma

7 Germania, 4. 2: Unde habitus quoque corporum, tamquam in tanto hominum numero, idem omnibus: truces et caerulei

oculi, rutilae comae, magna corpora et tantum ad impetum valida: laboris atque operum non eadem patientia, minimeque

sitim aestumque tolerare, frigora atque inediam caelo solove adsueverunt. 8 Mela, Chorographia, 3, 20-30.

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anche connotativo. A.A. Lund9 ne dà un esempio significativo: • "Al cap. 43,6 si dice che i guerrieri degli Harii atras ad proelia noctes

legunt ("scelgono per combattere le notti più buie"). In senso denotativo la frase significa soltanto che costoro combattono preferibilmente a notte fonda. Ma se si tiene conto delle connotazioni, è verosimile che il lettore romano avrà intuito che si viene descrivendo un ‘mondo alla rovescia’: l'espressione atra nox fa affiorare la connotazione della paura e del pericolo. A ciò si aggiunge il fatto che i Romani consideravano non

proeliares ("giorni in cui non era consentito intraprendere un'azione di guerra") i dies atri. Il contrasto diventa così esplicito".

Interpretare dunque il testo di Tacito è operazione complessa: quando Tacito si esprime attraverso enunciazioni chiare ed evidenti, il giudizio da lui espresso non lascia adito a dubbi interpretativi. In altri casi, quando le valutazioni di Tacito sono meno esplicite, possiamo rilevarne il senso sotteso secondo diversi metodi, precisamente:

• osservando l’enfasi retorica (presente in particolare nei passaggi in cui Tacito descrive i costumi germanici).

• Un esempio: Reges ex nobilitate, duces ex virtute sumunt. Nec regibus

infinita aut libera potestas, et duces exemplo potius quam imperio, si prompti, si conspicui, si ante aciem agant, admiratione praesunt (cap. 7.1) (“Scelgono i re per nobiltà di sangue, i comandanti in base al valore. I re non hanno potere illimitato o arbitrario e i comandanti contano per l'esempio che danno, non sull’autorità, suscitando ammirazione se sono coraggiosi, se si fanno vedere innanzi a tutti, se si battono in prima fila”). Possiamo osservare una particolare ricchezza retorica che concorre a connotare positivamente i costumi che Tacito attribuisce ai Germani. In particolare osserviamo: − un parallelismo nella stringata frase iniziale; − uno sviluppo solenne della frase successiva; − una triplice anafora: si… si… si; − una climax ascendente: prompti, conspicui, ante aciem agant

(ascendente in senso e volume); − un'allitterazione marcata: ante aciem agant, admiratione;

• confrontando enunciazioni della Germania con enunciazioni di altre

9 A.A. Lund, Introduzione all'ediz. della Germania, Heidelberg, 1988, pp. 56-57. Riportato in: Tacito, La vita

di Agricola - la Germania, Milano, Rizzoli, 1998, Introduzione e commento di Luciano Lenaz, p. 56.

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opere di Tacito e/o con dati storici accertati. • Un esempio: Tacito, al cap.19, tratta della pudicizia delle donne

germaniche. Sappiamo che nel 18 a.C. furono promulgate le leges Iuliae de adulteriis, de pudicitia, de maritandis ordinibus, e nel 9 d.C. la lex Papia Poppaea, tutte volte a censurare la licenziosità delle donne romane. Alla luce di questi confronti Tacito pare dirci: le donne dei Germani non hanno bisogno di leggi repressive, perché sono pudiche, al contrario delle donne romane, la cui immoralità nemmeno leggi promulgate riescono a reprimere; continua infatti dicendo Nemo enim illic vitia ridet (“nessuno là si prende gioco dei vizi”), nec corrumpere et corrumpi saeculum (“spirito dei tempi”) vocatur…, e chiude il capitolo con la celebre sententia: plusque ibi boni mores valent quam alibi bonae leges;

• confrontando enunciazioni della Germania con le nostre conoscenze storiche.

• Un esempio: la trattazione del comitatus (cap. 13), confrontabile con la realtà storica delle clientele romane. Tacito sembra dirci: in Germania si entra nella cerchia del capo – il comitatus, appunto – per particolari e conclamati meriti, non per opportunismi clientelari;

• valutando l’incidenza di parole dense di significati positivi per un romano: virtus ricorre 11 volte e libertas 8 in riferimento ai costumi germanici.

Caratteri positivi dei Germani secondo Tacito Doni in vasi d’argento tenuti in nessun conto, tranne che nelle popolazioni vicine al confine romano e che di Roma subiscono l’influenza (cap. 5, 3). Nessuna ostentazione di ornamenti (6,1). Abilità e valore nei comportamenti militari (6, 1-4). Sobrietà dell’abbigliamento (17, 1-2). Severità nei rapporti matrimoniali; monogamia (18,1). Dote del marito alla moglie, e non volta a soddisfare delicias muliebres, ma costituita di buoi, cavalli, scudi: la donna non è estranea né ai rischi né alle glorie della guerra (18, 2). Solidarismo delle donne anche in situazioni di pericolo (18,3). Pudicizia delle donne, loro fedeltà, anche alla memoria del marito, punizione delle adultere; nessuna limitazione delle nascite (19). Educazione rude. Le madri allattano personalmente. Assenza di matrimoni precoci (20). Senso conviviale e dell'ospitalità (21). Non praticata l’usura (26,1). Nessuno sfarzo nei funerali né nei monumenti funebri (27,1).

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Sono molti i caratteri positivi, soprattutto morali, che Tacito attribuisce ai Germani, tuttavia non si può negare che idealizzi i costumi germanici. Due esempi:

• a proposito della pudicizia delle donne del cap. 19, è detto che non hanno nessuna abitudine alle corrispondenze segrete (litterarum secreta viri pariter ac feminae ignorant), cosa che sappiamo essere diffusa in Roma. Ma come potevano i Germani scriversi messaggi d’amore se non utilizzavano la scrittura?

• così in 5.3, quando dice che non consideravano vasi d’oro e argento più di quelli di argilla: i reperti archeologici sembrano negarlo. Stessa annotazione può essere fatta a proposito dell’excursus sull’ambra (45).

Caratteri negativi Cattiva gestione della libertà (11,3). Intemperanza nel bere. Le risse, frequenti, come accade spesso tra avvinazzati, raramente finiscono con semplici insulti, più spesso con morti e feriti (22). Se si asseconda il loro debole per l'ubriachezza, offrendo quanto desiderano, possono essere vinti inducendoli al vizio meglio che con le armi (23,2). La temeritas nel gioco d’azzardo induce i Germani a mettere in gioco perfino la propria libertà (24, 2). Sacrifici umani (9,1 e 39,2).

Passaggi in cui il giudizio è positivo, ma viene parzialmente attenuato I passi esulano dai primi 27 capitoli in esame, ma è opportuno citarli perché particolarmente significativi: all’interno di un giudizio positivo dei Catti che, tra altri pregi, sapevano fortunam inter dubia, virtutem inter certa numerare, “porre la fortuna tra le cose incerte e il valore tra quelle certe”, Tacito aggiunge una valutazione limitativa dicendo multum, ut inter Germanos, rationis ac sollertiae, “capaci, per essere Germani, di grande intelligenza e solerzia” (30,2). Si noti inoltre una annotazione quasi crudele, di indubbia fede romana, a proposito dei Butteri: Super sexaginta milia non armis telisque Romanis, sed, quod magnificentius est, oblectationi oculisque ceciderunt, “Ne caddero più di sessantamila, non in virtù delle armi romane, ma – cosa ancora più splendida – per diletto dei nostri occhi” (33,2). Scarsa considerazione per i Cherusci, la popolazione di Arminio (cap. 36). Indicibile selvatichezza dei Fenni (46,3). Divisione interna delle popolazioni germaniche, passim.

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Passaggi in cui il giudizio è negativo, ma viene parzialmente attenuato La valutazione di costumi ritenuti negativi dalla cultura romana è attenuata da considerazioni volte a vedere il lato positivo delle cose. Un esempio: nel cap. 22, a proposito dell’intemperanza nel bere propria dei Germani, Tacito conclude: deliberant, dum fingere nesciunt, constituunt, dum errare non possunt, “trattano di un problema con sincerità quando non sono in condizione di dissimulare perché annebbiati dal vino, decidono il giorno dopo con lucidità”.

Conclusioni Tacito appare ostile all’incondizionato espansionismo romano in terra germanica: Nec defuit audentia Druso Germanico, sed obstitit Oceanus … Mox nemo temptavit ... (34, 3-4), “Non mancò l'ardimento a Druso Germanico, ma l'Oceano si oppose ... Nessuno in seguito tentò più l'avventura ...”. Tacito è critico nei confronti degli eccessi del potere di Roma: sostiene che furono le vessazioni di prefetti e centurioni romani a causare la sollevazione antiromana dei Batavi (Historiae IV, 12-37, 54-79). Tacito libertario: si possono confrontare il discorso di Arminio (Annales I, 59, 4) in cui prevale la componente passionale, pulsionale, e quello di Germanico, in cui prevale la componente razionale (Annales II, 14, 2-4), quindi leggere il passo (Annali II, 88) in cui Tacito celebra Arminio con queste parole: “Senza alcun dubbio egli fu il liberatore della Germania, colui che sfidò il popolo Romano non al principio della sua potenza… ma nel momento più splendido del suo impero. Se ebbe incerta fortuna nelle battaglie, uscì invitto dalla guerra. Morì a 37 anni dopo dodici anni di signoria. Si canta di lui ancora presso le genti barbare…”. Anche ammettendo condizionamenti culturali (per esempio, la corrente idealizzatrice, esaltatrice delle terre remote e intatte dalle contaminazioni della civiltà, cfr. Orazio, epodo 16), possiamo per Tacito parlare di germanofilia, o, piuttosto: Tacito, tra germanofilia e patriottismo, condizionato dall’atteg-giamento critico nei confronti dell’espansionismo romano in terra germanica, dalla consapevolezza sia del declino morale di Roma sia della forza e della fierezza dei barbari incombenti (Urgentibus imperii fatis, 33.3). Paratore parla di “primo rintocco funebre nell’opera di Tacito”, che mette in forse la tradizionale fiducia della cultura romana nelle proprie capacità di espansione e di inclusione dell’altro.

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I passaggi più controversi nelle interpretazioni dei posteri • Teoria della purezza razziale e carattere inospitale dell’ambiente

naturale germanico. In Germania 2.1 Tacito, a proposito dei Germani, parla di popolazioni autoctone (indigenas). Giustifica la sua affermazione sostenendo che le popolazioni poste a sud (Italia, Africa, Asia) rispetto alla Germania non avevano interesse ad occupare territori naturalmente così ostili, poi, dato che nell’antichità chi cercava nuove sedi le raggiungeva per mare, si sarebbero trovati a dover attraversare un mare ignoto e burrascoso. Ipsos Germanos indigenas crediderim minimeque aliarum gentium adventibus

et hospitiis mixtos, quia nec terra olim, sed classibus advehebantur qui mutare

sedes quaerebant, et inmensus ultra utque sic dixerim adversus Oceanus raris

ab orbe nostro navibus aditur. Quis porro, praeter periculum horridi et ignoti

maris, Asia aut Africa aut Italia relicta Germaniam peteret, informem terris,

asperam caelo, tristem cultu adspectuque, nisi si patria sit?....

In Germania 4.1 Tacito dice di ritenere che le popolazioni della Germania non si siano mai mescolate con altre genti e che abbiano conservato i caratteri loro propri.

• L’aspetto fisico, uguale in tutti, per quanto possibile dato il numero degli abitanti.

Ipse eorum opinionibus accedo, qui Germaniae populos nullis aliis aliarum

nationum conubiis infectos propriam et sinceram et tantum sui similem gentem

exstitisse arbitrantur. Unde habitus quoque corporum, tamquam/quamquam in

tanto hominum numero, idem omnibus ( “Personalmente inclino verso l'opinione

di quanti ritengono che i popoli della Germania non siano contaminati da

incroci con gente di altra stirpe e che si siano mantenuti una razza a sé,

indipendente, con caratteri propri. Per questo anche il tipo fisico, per quanto è

possibile, benché così numerosa sia la popolazione, è eguale in tutti: occhi

azzurri d'intensa fierezza, chiome rossicce, corporature gigantesche, adatte solo

all'assalto. Non altrettanta è la resistenza alla fatica e al lavoro; incapaci di

sopportare la sete e il caldo, ma abituati al freddo e alla fame dal clima e dalla

povertà del suolo”).

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Si tratta di un motivo etnografico diffuso nell’antichità e trasferito dall’una all’altra popolazione, quello del tantum sui similem gentem, di una razza che si mantiene integra nel tempo (Ecateo lo riferì agli Egizi, Posidonio ai Celti), è uno dei cosiddetti “motivi etnografici erranti”, presenti fra gli storici dell’antichità, ma anche nel folklore (per una legge di trasferibilità, come dice E. Norden, in La prosa d'arte antica dal VI secolo a.C. all'età della Rinascenza, Roma, 1986). Non mancarono le voci discordanti: Seneca, nel suo umanitarismo cosmopolita (Dial. XII,7,10) sostenne l’assurdità storica delle razze pure.

• Carattere del nome Germania.

Ceterum Germaniae vocabulum recens et nuper additum, quoniam qui primi

Rhenum transgressi Gallos expulerint ac nunc Tungri, tunc Germani vocati sint:

ita nationis nomen, non gentis evaluisse paulatim, ut omnes primum a victore ob

metum, mox etiam a se ipsis, invento nomine Germani vocarentur (2.5).

Confronti: In precedenza l’insieme dei dati etno- e antroponomastici ci dice che i Romani ebbero inizialmente una conoscenza onomastica del mondo germanico mediata attraverso il versante gallico. Lo stesso nome Germani si fa derivare dall’ie. Gar- (“chiamare, gridare”) presente nel celtico e dal suffisso celtico m ni, da cui per es. Cenom ni (ceno = lontano). Altra derivazione potrebbe essere dal tedesco gehren “desiderare, bramare” (“bramosi” o “desiderati, amici”).

• Il comitatus. Nihil autem neque publicae neque privatae rei nisi armati agunt. Sed arma

sumere non ante cuiquam moris, quam civitas suffecturum probaverit. Tum in

ipso concilio vel principum aliquis vel pater vel propinqui scuto frameaque

iuvenem ornant: haec apud illos toga, hic primus iuventae honos; ante hoc domus

pars videntur, mox rei publicae. Insignis nobilitas aut magna patrum merita

principis dignationem etiam adulescentulis adsignant: ceteris robustioribus ac

iam pridem probatis adgregantur, nec rubor inter comites adspici. Gradus quin

etiam ipse comitatus habet, iudicio eius quem sectantur; magnaque et comitum

aemulatio, quibus primus apud principem suum locus, et principum, cui plurimi

et acerrimi comites. Haec dignitas, hae vires, magno semper et electorum

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iuvenum globo circumdari, in pace decus, in bello praesidium. Nec solum in sua

gente cuique, sed apud finitimas quoque civitates id nomen, ea gloria est, si

numero ac virtute comitatus emineat; expetuntur enim legationibus et muneribus

ornantur et ipsa plerumque fama bella profligant (13).

“Nessun affare trattano, né pubblico né privato, se non armati ma, per

consuetudine, nessuno prende le armi se non quando la comunità l'ha giudicato

idoneo. Allora, in assemblea, uno dei capi o il padre o un parente ornano il

giovane dello scudo e della framea: questa è per loro la toga, questo il primo

attestato d'onore per i giovani: prima di quel momento sono considerati parte

della famiglia, poi dello stato. Il titolo di nobiltà o le grandi benemerenze degli

antenati conferiscono dignità di capo anche agli adolescenti; gli altri si

aggregano ai capi più maturi e già sperimentati, senza vergognarsi di figurare

nel seguito che, secondo il giudizio di chi comanda, comporta una gerarchia. Di

conseguenza esiste una grande emulazione per conquistare il primo posto

presso il capo, e, fra i capi, per avere i seguaci più numerosi e combattivi.

Questo è il prestigio, questa la potenza dei capi: essere attorniati sempre da

una folta schiera di giovani scelti dà decoro in tempo di pace e in guerra. Ed è

motivo di gloria e di rinomanza, non solo presso la propria gente, ma anche agli

occhi delle popolazioni vicine, segnalarsi per il numero e il valore del seguito. I

capi sono ricercati nelle ambascerie, colmati di doni e spesso con la loro fama

decidono le sorti della guerra”.

• Solo i degni partecipano alle assemblee. Scutum reliquisse praecipuum flagitium, nec aut sacris adesse aut concilium inire

ignominioso fas; multique superstites bellorum infamiam laqueo finierunt (6,4)

(“L'onta peggiore è abbandonare lo scudo e a chi così si sia disonorato non si

concede più di presenziare ai riti o di intervenire alle assemblee, tanto che molti

scampati alla guerra posero fine al loro disonore con un laccio al collo”).

• La corresponsabilità nelle decisioni. De minoribus rebus principes consultant; de maioribus omnes, ita tamen, ut ea

quoque, quorum penes plebem arbitrium est, apud principes pertractentur (11.1).

(“Sulle questioni di minore importanza decidono i capi, su quelle più importanti,

tutti; comunque, anche quelle di cui è arbitro il popolo subiscono un preventivo

esame da parte dei capi”).

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• Il capo. Cum ventum in aciem, turpe principi virtute vinci, turpe comitatui virtutem

principis non adaequare. Iam vero infame in omnem vitam ac probrosum

superstitem principi suo ex acie recessisse. Illum defendere, tueri, sua quoque

fortia facta gloriae eius adsignare praecipuum sacramentum est. Principes pro

victoria pugnant, comites pro principe (14).

(“In battaglia poi è disonorevole per un capo lasciarsi superare in valore ed è

disonorevole per il seguito non eguagliare il valore del capo. Inoltre costituisce

un'infamia e una vergogna, che dura per tutta la vita, tornare dal campo di

battaglia, sopravvivendo al proprio capo: difenderlo, proteggerlo, attribuire a

sua gloria anche i propri atti di valore è l'impegno più sacro: i capi combattono

per la vittoria, il seguito per il capo”).

• Conclusioni Nella concezione dei Romani, lo straniero è dunque diverso e per molti aspetti inferiore. Questo non implica separatezza. Roma non discrimina, ma sa riconoscere, integrare e valorizzare “l’altro”. Infatti la spinta espansionistica di Roma comporta l'assimilazione, se pure a certe condizioni: i Romani assimilano ( = rendono l'altro simile a sé) lo straniero vinto purché non interferisca con l'assetto politico e sociale dello stato. Lo tollerano se si identifica col gruppo di appartenenza. Gli lasciano margini di autonomia, ma sempre sotto il controllo dell'autorità centrale. Solo allora si attua una convivenza pacifica, ma, almeno inizialmente, tra diseguali.

Tacito e l’ideologia nazista

Gli inizi della fortuna della Germania di Tacito Un imperatore del III sec. d.C., Marco Claudio Tacito, che si vantava, pare senza fondamento, di discendere dallo storico, volle che ogni anno dieci copie dell’opera di Tacito fossero depositate negli archivi a spese pubbliche, per preservarne la conservazione. Successivamente Ammiano Marcellino partirà dalla fine del racconto tacitiano per iniziare la sua opera storica. L’opera di Tacito mantiene grande vitalità nel tempo. Alla metà del sec. IX la Germania è tra le letture di Rodolfo di Fulda. A quest’epoca risaliva il manoscritto Hersfeldensis contenente le opere minori ed

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altro. La prima menzione della Germania di Tacito dopo la rinascita carolingia, durante la quale lo storico era caduto nell’oblio, risale all’opera di E. S. Piccolomini, di cui occorre fare brevemente la storia, per comprendere il valore che il testo assumerà da subito nel mondo tedesco. Il cardinale E. S. Piccolomini, poi Papa Pio II nel 1458, grande umanista e uomo politico di notevole spessore, scrisse un testo di carattere etnografico, intitolato, come il testo di Tacito, La Germania (anzi esattamente De ritu, situ, moribus et conditione Germanorum), in risposta alle lettere di lagnanza di Martin Mayer, cancelliere dell’arcivescovo di Magonza. Perché il Mayer si lagnava? Ovviamente per le esose richieste di denaro che la curia romana faceva pressantemente alla Germania, gravamina dice Mayer, che testimoniavano in quale disprezzo Roma tenesse i Barbari al Nord delle Alpi, oppressi e spolpati dall’avidità della Chiesa. Nella lettera del Mayer, che non possediamo ma che si può ricostruire nel tenore generale, non mancavano velate minacce di rivolta contro il potere dei papi. Il Piccolomini, che aveva percorso l’intera Germania in lungo e in largo, prima della nomina a cardinale, sia in qualità di ambasciatore che in quella, diremmo ora, di attento osservatore, per smontare le accuse del Mayer descrive con dovizia di particolari la Germania del ’400, notando segni di grande prosperità: terre fertili, ben coltivate, città numerose e fiorenti, commerci assai sviluppati, ricchezza del clero, prestigio della nobiltà, valore dei soldati, agi della borghesia ecc. È evidente che il Piccolomini intendeva accentuare l’aspetto positivo della società tedesca, per dar forza alla sua argomentazione (Roma non affamava i tedeschi) e lusingare le popolazioni rendendole più docili rispetto alle richieste italiane. E veniamo all’argomentazione che ci interessa: proprio dopo aver proposto questa visione della Germania del suo tempo, Piccolomini ricorda la Germania del passato, che non può certo sostenere il confronto con quella moderna. Con l’occhio dell’umanista egli passa a descrivere le condizioni di vita del paese di un tempo, pagano e selvaggio, profondamente barbaro, abitato da predoni che non conoscevano l’agricoltura, né la la scrittura, non alieni dal compiere sacrifici umani, ecc. Questo, per dimostrare che la Chiesa e il Cristianesimo vi avevano portato il Vangelo, la pace, la civiltà e la prosperità, togliendo la regione dalla primitiva barbarie. I testi classici cui Piccolomini fa riferimento sono ovviamente i capitoli relativi ai Germani del De bello Gallico di Cesare, ma soprattutto quelli di Tacito, espressamente ricordato.

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L’inizio della fortuna di Tacito nel mondo tedesco Inizia proprio con l’opera di Piccolomini la fortuna di Tacito rinascimentale. Infatti gli umanisti tedeschi, alla ricerca di una nobilitazione dell’antico passato, passando sotto silenzio gli aspetti del testo latino in cui si mette in evidenza la ferocia e la barbarie dei Germani, misero l’accento invece sulle allusioni alla semplicità dei costumi. Ecco la prima strumentalizzazione, che successivamente avrà tanta parte nella costruzione, nell’immaginario collettivo dei tedeschi, del mito del buon selvaggio. Quello che nell’ottica dell’autore Tacito si può definire semplicemente un locus communis insieme ad altri, in ambiente tedesco diventa un segno di superiortà morale. Qualcuno, arriverà a chiedersi se i Romani abbiano veramente portato la loro civiltà in Germania e la risposta sarà che sì, i Romani hanno portato la civiltà, ma anche la corruzione. In conclusione, da un lato il testo del Piccolomini, verrà utilizzato nel senso esattamente opposto a quello cui aveva pensato di destinarlo il suo autore, dall’altro darà inizio alla fortuna di Tacito nel mondo tedesco sulla base di un’interpretazione del tutto tendenziosa. Non a caso il testo di Tacito verrà definito libellus aureus, consigliato come lettura scolastica e, dal 1497, entrerà nell’Università. Nel 1519 il Beato Renano apre la lunga serie dei commenti alla Germania e sette anni dopo l’opera è tradotta in tedesco. Un poderoso rinforzo alle tesi del nascente nazionalismo germanico si avrà poi nel 1515, quando vengono pubblicati i primi libri degli Annali attraverso i quali i tedeschi impareranno a conoscere Arminio, per farne un primo insigne esempio della capacità di riscossa degli antichi Germani contro la Roma di Varo e, per i moderni del ’500, contro la Roma dei papi. Sta per prender corpo ormai la Riforma luterana e un compagno di Lutero, Hutten, non a caso compone un testo, Arminius, in cui è già possibile intravedere l’atteggiamento della Germania verso il papato. Non si contano gli studi, i corsi universitari, i commenti monumentali che sono stati fatti successivamente sul testo da germanisti, storici, mitologi. Ma questi interessi sono spesso stati innescati e rinvigoriti proprio da intendimenti e umori più generali della società all’interno della quale lo studioso operava (cfr. Mazza, Studi Urbinati).

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Seconda fase della fortuna di Tacito Il secondo momento storico in cui Tacito incontra una nuova grande fortuna è il periodo antecedente alla nascita del Romanticismo. Possiamo citare Klopstock, che scrive un’opera sulla battaglia di Arminio nel 1770 circa. Arminio è un eroe romantico e l’opera un vero dramma patriottico. Herder e Fichte fondarono su queste pagine il mito del popolo originario, l’Urvolk. Per Herder i Germani sono il mondo nuovo contrapposto a quello esaurito, disfatto, snervato dell’impero romano: “Non arti, ma natura, non scienze, ma sano senso nordico, costumi non raffinati ma forti e buoni anche se selvaggi” (Una filosofia per l’educazione dell’umanità, 1773). Schiller pubblica nel 1781 i Masnadieri, dramma protoromatico di grande effetto, che diventa libretto per l’omonima opera di Verdi nel 1847 grazie alla fedele traduzione del conte Maffei. Ebbene, il libretto inizia con questa battuta: “ …oh, se nel freddo cenere dei miei padri ancor vivesse dello spirto d'Arminio una scintilla!”, a testimonianza della continuità insistentemente ricercata e costruita tra un mondo lontano ed eroico e il presente.

La fortuna in età romantica Nei Discorsi alla nazione tedesca di Fichte (1808) nasce il tema del legame fra sangue e suolo da opporre al Bildung und Besitz. La Battaglia di Arminio di Von Kleist (1809) propone l’autoesaltazione in senso razzistico della germanità: Arminio è il primo eroe integro di Kleist capace di mutare in fulgida vittoria una probabile sconfitta, mentre la moglie di lui, Thusnelda fa sbranare da un orso l’incauto romano Ventidio che le ha rubato una ciocca di capelli per mandarla a Roma. Legge del taglione e lezione razzistica si combinano perfettamente. I Romani sono presentati come frivoli e fatui, da loro Arminio ha imparato l’inganno.

Arminio Sulla figura di Arminio e sull’importanza che l’eroe riveste per i tedeschi occorre aggiungere alcune osservazioni. Arminio infatti appartiene alla tribù dei Cherusci, di cui Tacito parla nel cap. 36 con espressioni certo non entusiasmanti. Solo nel capitolo successivo, il 37, egli ricorda, in modo peraltro piuttosto informale (trisque legiones etiam Caesari abstulerunt) la celebre sconfitta di Varo, nel 9 d. C., nella selva di Teutoburgo, dove Arminio annientò le legioni 17, 18, 19esima, legioni che da Augusto non furono più rimpiazzate. Ma elogio ben più significativo Tacito riserva ad Arminio nel cap. 88 del

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secondo libro degli Annali dove il condottiero viene definito liberator haud dubie Germaniae …bello non victus… ma solo ucciso dolo propinquorum (“per tradimento dei congiunti”). Non a caso Arminio è un ex-soldato romano, descritto da Velleio come “più intelligente di un barbaro”, il quale aveva ottenuto la cittadinanza romana, era stato prefetto di una coorte cherusca dell’esercito, ma, come dice Mazzarino, “aveva coscienza nazionale germanica”. Ecco perché piace tanto ai tedeschi, che ne faranno il loro eroe, il capo di una guerra di indipendenza. Inutile sarà la rivincita romana di Idistaviso poichè dopo la morte di Varo il confine torna al Reno e al Danubio e i Romani rinunceranno per sempre alla sottomissione della Germania. Tacito stesso dirà in Annales I, 3 che le campagne di Germanico del 14 e del 16 furono fatte per cancellare l’onta più che per conquistare il territorio perduto. Ora su Arminio i Tedeschi costruirono un vero e proprio mito: basti pensare ai quadri di Friedrich o al celebre monumento nazionale “Hermannsdenkmal” posto nella selva di Teutoburgo per capire la valenza simbolica politica che il personaggio assume nell’immaginario collettivo e nel processo di nazionalizzazione delle masse. Naturalmente l’ultima incarnazione di Arminio è Hitler (secondo Rosenberg). Comunque il mito di Arminio fu letto anche con una valenza negativa, a dimostrazione della ambiguità del pensiero a seconda che si voglia dare rilevanza al discorso della nazionalità oppure alla apertura che un popolo non può rifiutare agli influssi stranieri. Si può ricordare infatti che in un celebre testo del 1943 (Il dissidio spirituale della Germania con l’Europa) Croce, affrontando lo studio sulle lontane radici e origini della Germania, per spiegare l’origine del nazionalsocialismo, individuava nella cultura tedesca tre deficit spirituali: il terzo era appunto, l’effetto della battaglia di Arminio, con la conseguente rinuncia alla romanizzazione della Germania, considerato dal filosofo anzi l’effetto “il più disperato di tutti”, per le terribili conseguenze che ne derivarono: quella vittoria riportata sui Romani avrebbe di fatto determinato l’abbandono della Germania da parte di Roma ed il paese, di conseguenza, lasciato a se stesso, sarebbe stato tagliato fuori dalla vitalità inesauribile della cultura latina, comune da secoli a tutte le stirpi da cui si svilupparono le nazioni moderne.

La tesi di Grimm L’epoca in cui si pongono le basi teoriche più consistenti per la lettura di Tacito in senso nazionalistico è quella che va dal 1830 circa al 1870. Fondamentali

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sono gli studi di Jacob Grimm, il quale analizzando dettagliatamente il testo di Tacito nel corso tenuto a Gottinga e procedendo contemporaneamente alla definizione dei testi sacri della germanicità, rivolge la sua attenzione alle stirpi germaniche, alla loro geografia, distribuzione, rapporti, costumi e usanze, alle loro antichità giuridiche e mitologie. La tesi di Grimm è che i Tedeschi dell’età romantica sono i continuatori dei Germani dell’epoca classica. L’idealizzazione dei costumi e delle virtutes antico-germaniche fu ben presto deformata. La tesi tacitiana dei Germani gens tantum sui similis si impone come dogma e diventa la ricerca nazionalistica della superiorità tout-court dei Germani. Sul tema poi del comitatus dei capp. XIII e XV Grimm e i successivi interpreti poggiano le basi del diritto statale “antico-germanico” e cercano di spiegare la differenza che intercorre tra principes e reges in Tacito e poi nel medioevo germanico. Gli studi fatti confluirono in una famosissima, per l’epoca, storia della costituzione tedesca, ma ciò che a noi importa è constatare che storiografia e politica si uniscono nell’interpretazione dello scritto di Tacito. In questi anni la tesi sostenuta è che i principes sono autorità elette dalla comunità, e non derivano il loro potere dalla nascita, che può non essere nobile, ma solo dall’ufficio che sono degni di ricoprire. Ben diversa sarà l’interpretazione che verrà proposta dello stesso concetto nell’epoca tra le due guerre mondiali.

Nel periodo dei nazionalismi La riproposizione ossessiva della germanità riappare verso la fine del 1891. Qui lo studio di Canfora fornisce ampio e dettagliato materiale per procedere alla disamina del problema. Tacito è letto non solo dai filologi, ma da tutti coloro che intendono ricercare nobili fondamenti teorici per la potenza dei Germani, compresi ministri delle finanze come il Micvel citato da Meinecke. Un episodio significativo, sufficiente a fare comprendere l’importanza che veniva attribuita al testo di Tacito, viene proposto da un aneddoto riferito nel libro di memorie di F. Meinecke (1862-1954), il celebre storico tedesco che formulò la più compiuta teorizzazione dello storicismo. Egli, giovane già appassionato di storia e fervente studioso, incontra a cena dallo zio il potente ministro delle finanze Micvel, che gli chiede di quale periodo storico si stia occupando. Quando il giovane Meinecke chiarisce che si sta occupando del sec. XIX, l’altro risponde seccato che l’argomento non lo incuriosisce affatto, in quanto lui si interessa solo degli antichi Germani e perciò legge Tacito.

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I modelli della Germania Innanzi tutto quali sono i modelli di Tacito? Per il genere etnogeografico, cui va ascritta la monografia della Germania, ricordiamo il greco Posidonio, conosciuto da Tacito probabilmente attraverso Livio, Cesare (citato da Tacito stesso al cap. XXVIII), l’opera perduta di Plinio il vecchio. È comunque importante rilevare che Tacito presenta modalità compositive proprie del genere e che alcune sue affermazioni, che i filologi tedeschi assumono come fondamenti delle loro tesi (compreso il celebre concetto del comitatus), non sono altro che loci communes del genere etnografico. Inoltre, come afferma il Lenaz nella sua prefazione al testo della Bur, Tacito afferma di aver scritto il testo urgentibus imperii fatis: tale affermazione viene subito letta dai filologi come “profezia” del futuro potere della Germania, mentre Tacito l’aveva usata probabilmente per sottolineare il pericolo del declino dell’impero.

I capitoli più significativi (Germania I, II, IV, V, XIV, XIX) Le affermazioni di Tacito su cui si fonda l’interpretazione distorta di cui parliamo sono essenzialmente le seguenti:

• i Germani sono indigeni … minimeque aliarum gentium et hospitiis mixtos (“non mescolati da immigrazioni o rapporti con gli altri popoli”, cap. I);

• i Germani sono una stirpe nullis aliarum nationum conubiis infectos, tantum sui similem gentem… tamquam in tanto hominum numero… (“un popolo non contaminato da mescolanze con altre popolazioni, una razza pura, schietta, simile soltanto a se stessa” (occhi fieri, azzurri, capelli rossicci, corporature grandi, adatte all’assalto…, cap. IV);

• non li attrae il possesso di oro né l’uso di monete (cap. V); • eleggono i re secondo la nobiltà, i capitani secondo il valore … i capitani

più che con la loro autorità comandano con l’ammirazione che nasce dall’esempio (cap. VII);

• immergono nel fango di una palude i vili e i colpevoli di delitti contro la morale, perché le azioni infamanti devono essere nascoste (cap. XII);

• il prestigio e la forza dei capi è quello di avere sempre intorno a sé un gran numero di giovani scelti (comitatus) (cap. XIII);

• valgono là più i buoni costumi che altrove le buone leggi (cap. XIX); • il trattamento dell’ospite è cortese (fine del cap. XXI) • gens non astuta nec callida, la gente dei Germani apre i segreti del cuore

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nell’espandersi dell’allegria conviviale; deliberano mentre non sanno fingere, decidono quando non possono errare (cap. XXII).

Come Tacito vede il paesaggio geografico della Germania L’interpretazione dello spazio varia a seconda delle griglie culturali con cui lo si osserva, lo si percepisce, lo si vive e lo si giudica. Assai diverse possono essere le modalità di intervento per modificarlo. Poniamo la nostra attenzione sugli aggettivi che Tacito riserva alla descrizione delle terra dei Germani nei primi capitoli dopo l’incipit famoso Germania omnis a Gallis… separatur, che ricorda volutamente il celebre Gallia omnis… di Cesare. L’idea che lo storico impone è subito di una smisurata vastità che fa tutt’uno con un senso di paura, di desolazione, di grigiore. Egli pone in primo piano i latos sinus ( “vaste penisole”) e gli insularum inmensa spatia (“isole di grande estensione”). Quando parla del fiume di confine, il Reno, avverte che esso deriva da inaccesso ac praecipiti vertice (“nasce da una cima scoscesa ed inaccessibile”, cap. I). Le acque che bagnano la Germania non sono quelle note del Mediterraneo, ma quelle di un adversus oceanus (“oceano ostile”), horridi et ignoti maris (“di un mare terribile ed ignoto”). La regione si caratterizza per un aspetto assai poco accattivante, poiché si presenta come informem terris, asperam caelo, tristem cultu aspectuque…: l’asindeto trimembre (“un paese squallido, rigido, triste, ad abitarsi ed a vedersi se non per chi vi è nato”, cap. II) ci prospetta un territorio e uno sfondo piuttosto sgradevoli. Uno scrittore morto a Breslavia nel 1912, Felix Dahn, autore di romanzi storico-patriottici, affermava che “nei giudizi e apprezzamenti del clima e del paese germanico da parte degli autori greci e romani è presente una inconsapevole esagerazione…” . Ciò era determinato, a suo avviso, in primo luogo dal fatto che spesso lo storico non era testimone oculare ed era perciò indotto ad esagerare le notizie di cui veniva in possesso, in secondo luogo dal fatto che il raffronto con il clima italico era sempre a sfavore delle regioni nordiche. Per Greci e Romani è bello il paesaggio fecondo, lavorato, squadrato, mentre risulta decisamente brutto quello selvaggio, grandioso, diremmo ora, romantico. Ai tempi di Tacito inoltre in Germania c’erano paludi, foreste vergini e inospitali, boschi estesi che nascondevano spesso la luce del sole per molti mesi all’anno, distese di ghiaccio, neve. Nel cap. V, per esempio, lo storico parla di una terra horrida silvis et paludibus foeda, humidior quam Gallia (“un paese irto di selve e infestato di paludi, più umido della Gallia”, ventosior, “più esposto ai venti”, frugiferarum arborum impatiens, “sterile di alberi da frutta”).

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Le paludi vengono successivamente ricordate anche nel cap. XII, nel passo in cui si parla delle pene riservate agli ignavos, imbelles et corpore infames i quali, appunto, sono immersi nel fango delle paludi e ricoperti da un graticcio (e su questo punto ritorneremo per trattare un’altra problematica). In sostanza, se per un romano lo spazio è attraente in quanto trasformato dall’intervento culturale dell’uomo, il paesagggio descritto da Tacito è l’esatto opposto. L’aggettivo informis esprime qualità negative, cioè suggerisce l’idea di qualcosa di imperfetto, indeterminato, disordinato, privo di forma, anomalo (Virgilio lo aveva usato per qualificare le terre della Scizia). Inoltre informis riconduce anche al senso di ingens, di smisurato, in quanto l’assenza di forma esprime sia indistinzione all’interno del paese sia nel rapporto tra questo e l’esterno. La seconda non-qualità del paese è l’asperitas: essa ritrae la selvatichezza dei luoghi, aggravata dalla rigidità del clima, ricordata anche in successivi passi del testo. Nel cap. IV per esempio Tacito rafforza l’idea dell’inclemenza del clima affermando che “dal clima e dal suolo i Germani sono abituati a sopportare il freddo e la fame, ma non la sete e il caldo”, sulla base di considerazioni che potremmo definire di determinismo ambientale. Il frigus diventa un aspetto fondamentale degli elementi che compongono l’etno-geografia germanica, secondo un motivo ricorrente, ripreso più volte anche negli Annales. La situazione climatica risulta insomma particolarmente sfavorevole – negli Annales Tacito afferma che la Germania per truculentia caeli (“asprezza del clima”) è superiore a tutti gli altri paesi – come si desume anche dalla insistita ripetizione dei corradicali horridus, horror, horrendus, che ricorrono spesso a sottolineare le caratteristiche di un ambiente non civilizzato, non sottoposto all’attività ordinatrice dell’uomo.

L’ottica dei lettori tedeschi Abbiamo insistito sulla descrizione dello storico perché essa è di grande efficacia e non può prestarsi a contraffazioni di sorta. Tacito è disposto a riconoscere con un certo sprezzante sarcasmo che solo chi è nato in un paese siffatto lo può amare o può ritenerlo attraente, ma afferma chiaramente che a nessuno verrebbe in mente di trasferirsi dall’Italia in quei luoghi. Sopprattutto nella seconda metà dell’Ottocento, quando si inizia a parlare di Volkisch, cioè di un concetto “nazional-patriottico”, si comincia a stabilire un forte legame tra le caratteristiche dell’animo umano e il suo ambiente naturale. La natura dell’anima di un Volk, di un popolo, è determinata dal paesaggio

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natìo: i tedeschi, figli di cupe foreste ammantate di nebbie, sarebbero profondi, misteriosi, reconditi. Proprio perché avvolti di nebbie, aspirerebbero al sole e sarebbero veri “uomini della luce”, mentre gli Ebrei, gente del deserto, andrebbero considerati come popolo superficiale, secco, incapace di profondità e mancante di creatività (ricavo queste tesi dallo studio di Mosse, Le origini culturali del III Reich, là dove lo storico cerca di individuare le origini delle tesi razziste diffusesi a partire dai primi del Novecento in Germania). La condizione primaria per un Volk è il suo radicamento in una natura antica, in quanto la vetustà del riferimento è certificazione di autorevolezza: più lontano si situa il radicamento, più antico è il paesagggio in cui esso può porsi, maggior peso avrà la forza della tradizione. Non solo: nel concetto di antichità è contenuta anche l’idea della giovinezza di un popolo, del suo movimento iniziale, quando le sue virtù non adulterate, ma pure ed eroiche, si affacciano alla storia per la prima volta: “I Germani di Tacito erano i Germani all’epoca della loro giovinezza” sosterrà in testo del 1920 lo storico A. Rapp.

La condanna dei Romani, l’esaltazione dei Germani Volendo descrivere le virtù di un popolo Tacito è particolarmente attento ai principi fondamentali e alle qualità originarie della civiltà romana. Questi principi e qualità (come lealtà, sincerità, rispetto, coraggio), che hanno fatto grande il popolo romano e lo hanno portato a governare il mondo e che ormai Tacito non riscontra più nell’epoca in cui vive, egli rievoca nostalgicamente e ritrova nel popolo giovane di cui sta esaminando le caratteristiche e le istituzioni. Dunque queste virtù Tacito le osserva non a Roma, in cui si sono perdute, ingenerando corruzione, mollezza e decadenza, ma nei Germani, rozzi, vicini allo stato di natura, e dai quali poteva venire un grande pericolo alla romanità. I Germani sono coraggiosi, anche troppo, vivono da uomini liberi e leali, disprezzano le ricchezze. A Roma chi potrebbe contare sugli amici in tempi di adulazione? Chi sul principe in tempi di intrighi? E quale principe sul popolo? Destini minacciosi pesano su Roma (cap. 33): sotto la minaccia del destino nulla di meglio ci può concedere la fortuna che la discordia dei nostri nemici. I filosofi greci avevano affermato che una città senz’anima non poteva sopravvivere, ora l’anima romana si è guastata, invece l’anima germanica è nuova, pura, incontaminata. Le forze dei guerrieri sono enormi, le loro donne li incitano a combattere, il loro capo ha un seguito di giovani pronto ad affrontare la morte.

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La terza fase della fortuna di Tacito: il periodo tra le due guerre Le affermazioni dello storico sopra ricordate vengono immediatamente percepite dai pensatori tedeschi soprattutto del XIX sec. come testimonianze della superiorità dell’animo tedesco. Come afferma Canfora, il testo di Tacito in Germania ha avuto una funzione pratico-polemico-apologetica. Si pensi che negli anni che vanno dal 1933 al 1942 si possono contare in Germania almeno 15 edizioni del testo di Tacito. L’ipotesi tacitiana relativa alla purezza della razza diventa, nei primi anni del Novecento, il fondamento del pensiero razzistico tedesco, in base al quale occorre preservare il popolo tedesco da pericolose commistioni con altri popoli, primo fra tutti il popolo ebraico e poi lo slavo. Uno dei maggiori sostenitori della teoria della razza pura non è tedesco ma inglese, Houston Chamberlain, marito della figlia di Wagner e amico personale di Guglielmo II. Egli sostiene (nel testo L’entrata dei Germani nella storia del mondo, libro di culto per tutto il pensiero successivo di Rosemberg) che i Germani, nel momento in cui entrarono nella storia, come afferma Tacito, erano incontaminati. Riguardo alla vexata quaestio relativa alla lezione tamquam/quamquam del cap. IV fu scelta la seconda che sottolineava, rafforzandola, la tesi della compattezza e uniformità del popolo germanico, in contrapposizione a quella (tamquam) che la attenuava: in sostanza invece che interpretare: “l’aspetto fisico è in tutti il medesimo, per quanto è possibile dato il numero degli abitanti”, si preferisce tradurre “l’aspetto è il medesimo sebbene siano tanti gli abitanti…”. È estremamente significativo, per la nostra tesi, evidenziare che tutte le prove filologiche a favore della lezione non razzistica (tamquam al posto di quamquam) vengono cassate o demolite, anche se sostenute da insigni filologi e solo dopo la seconda guerra mondiale si torna a preferire tamquam. Ovviamente stupisce che il testo di Tacito sia assunto come punto di riferimento attuale: infatti è a partire da queste affermazioni di Tacito che Chamberlain costruisce il modello ideale del dolicocefalo biondo, allegando come testimonianze inoppugnabili i ritrovamenti archeologici dell’età del bronzo. Anche l’archeologia, oltre alla filologia, è al servizio dell’ideologia. Assistiamo tra le due guerre ad una grande rinascita di studi preistorici (La battaglia per una preistoria germanica è il titolo di una conferenza tenuta a Tubinga nel 33). Significativa poi appare tutta la polemica successiva, a partire dagli studi del Norden il quale, citando vari testi antecedenti a Tacito, di autori greci e latini,

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dimostra che la tesi della purezza della razza germanica deve essere sfatata, in quanto motivo itinerante, noi diremmo ricorrente o topico della storiografia etnografica, per cui certe caratteristiche sono attribuite ai Celti o agli Sciti o ad altri popoli. La specificità germanica, la germanità, come la presentava il Norden era troppo debole rispetto al concetto di germanità voluta dal pensiero nazista. Nel 1934 l’opera del Norden fu considerata con sospetto e nel 38 lo studioso venne allontanato dalla Accademia delle Scienze. Insomma, quando gli studi del Norden arrivano a conclusioni “non rallegranti” per la scienza dell’antichità germanica, e l’autore propende per un uso non rozzamente nazionalistico del cap. IV, la sua fortuna inizia inquivocabilmente a decadere. Anche altri studiosi avevano correttamente messo in guardia dal pericolo di una lettura stravolta del testo dicendo che il concetto della razza pura era moderno e non giustificato dal testo latino. Norden invece non fa mai raffronti con i Germani del suo tempo, ma nel ’35 era uscito un testo I capelli biondi dei popoli indogermanici dell’antichità in cui l’autore si stupiva che Tacito avesse trascurato il colore chiaro della pelle dei Germani. Dall’idea della razza pura deriva la celebre affermazione: “Noi siamo quelli di allora”, saluto riservato al Führer nel raduno del 1934 pronunciato da Victor Lutze, cioè i tedeschi nati dalle foreste di Tacito, coi capelli rossi e gli occhi azzurri, in contrapposizione agli Ebrei, scuri di pelle e con gli occhi neri. Insomma la testimonianza di uno scrittore antico, romano, insospettabile in quanto nemico, quindi imparziale anzi critico, diventa nell’inconscio collettivo il fondamento su cui poggia il delirio tedesco del mito ariano. La purezza del sangue, nel periodo tra le due guerre diventa sinonimo di libertà, ma questa libertà si realizza solo contro qualcuno, contro gli elementi estranei, in particolare contro gli ebrei.

Il comitatus L’idea fondamentale per il periodo successivo, quello del Nazismo, è che il rapporto tra il capo e il popolo, o meglio tra il capo e il suo seguito, non deve essere mediato da alcuna forma partitica. Il concetto di comitatus, “séguito”, ci porta direttamente ai capitoli di Tacito in cui si parla di gruppi scelti di giovani che seguono i loro principes: i principi, dice Tacito, combattono per la vittoria, il seguito per i principi. I sostenitori della originalità del comitatus, come Rosenberg, il maggior teorico della superiorità tedesca, sostenevano che il comitatus era una specificità germanica, mentre ancora il Norden dimostrava che erano possibili raffronti con gli ambacti di cesariana memoria. In altre

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parole, quello che si vuole dimostrare è che il testo tacitiano costituisce la base per giustificare l’esistenza di corpi militari liberi, che disobbedendo alla repubblica agiscono in piena autonomia, in nome di una libertà tedesca che risale al concetto di comitatus. I cosiddetti Freikorps rispondono solo a capi di riconosciuto valore accettati dalla truppa. I capi sono ovviamente il Führer (“capo, guida, padrone, signore”) di cui il popolo è la Gefolschaft (“il seguito”). È questo uno sbocco estremo, secondo l’affermazione di Canfora, dell’interpretazione del concetto di comitatus, da altri filologi letto più prudentemente come base della ottocentesca monarchia costituzionale. In epoca nazista l’idea espressa dal comitatus-seguito verrà estesa a tutta la nazione: in sostanza il testo tacitiano diventa archetipo, come sostiene Canfora, per molte idee diffuse e condivise, idee portanti dell’ideologia nazionalsocialista, in un continuum indiscusso tra la Germania romana e il ’900. Ogni spunto diventa utile: nel cap. XVIII Tacito, dopo aver parlato della monogamia, afferma che solo in rari casi esiste una poligamia non libidine sed nobilitate, e allora si pensa ad una possibile poligamia novecentesca per i più valorosi. Nel cap. XX Tacito afferma che le fanciulle hanno la stessa robustezza dei giovani, e allora si dirà che la donna tedesca è forte oltre che bella, ecc.

Tacito “comunista” Accenno di sfuggita all’interpretazione di un Tacito comunista avanzata da Engels. Engels sorride davanti al monumento già citato dell’Hermansdenkmal ultimato nel 1875, ma poi giustifica comunque l’entusiasmo dei tedeschi per Arminio, esalta la fedeltà e l’onestà tedesca e ritrova persino l’esempio in Tacito di un antico diritto matriarcale. Ma ciò che risulta ai nostri occhi indubbiamente forzato, almeno quanto lo sono le interpretazioni razzistiche di Tacito, è il fatto che egli sostiene anche che i Germani avevano una primitiva forma di comunismo agrario, basandosi sulla espressione arva per annos mutant et superest ager (“e rimane la terra comune”, anziché “rimane sempre dell’altra terra”). Altro elemento fondamentale è la presunta assenza di distinzione dei poteri nell’antica assemblea germanica, laddove Tacito parla dell’amministrazione della giustizia da parte del potere politico. Infine vengono da Engels sempre rimarcate, sostenute e apprezzate le affermazioni tacitiane: per esempio, “Il vizio là non è materia di riso e non si chiama moda il

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corrompere e lasciarsi corrompere” (XIX), in cui l’apprezzamento morale dell’autore tratteggia il quadro di un popolo dedito a un’esistenza semplice, rude e naturale di buon selvaggio.

Bibliografia M. Mazza, La Germania di Tacito: etnografia, storiografia, ideologia nella cultura tedesca dell’Ottocento, in “Studi Urbinati di storia, filosofia e letteratura” 1979. M. Bettini (a cura di), Lo straniero, Laterza, Roma-Bari 1992. G. Mosse, Le origini culturali del terzo Reich, Il Saggiatore 1968. G. Mosse, La nazionalizzazione delle masse. Simbolismo politico e movimenti di massa in Germania dalle guerre napoleoniche al terzo Reich, Bologna 1975. L. Canfora, La Germania di Tacito da Engels al Nazismo, Liguori, 1979. L. Canfora, Studi di storia della storiografia romana, Edipuglia 1993. J. Ridé, La Germania d’Enea S. Piccolomini e la “Réception de Tacite en Allemagne”, in “Études germaniques” 1964. AA. vv., Lo spazio letterario di Roma antica, vol. IV, “L’attualizzazione del testo”. B. Luiselli, Storia culturale dei rapporti tra mondo romano e mondo germanico, Herder, Roma 1992. F. Borca, Per uno studio del paesaggio germanico nella letteratura greco-latina, in: Aufidus, “Rivista di scienza e didattica della cultura classica”, Roma, ed. Kepos, 1997. Tacito, La vita di Agricola - la Germania, Milano, Rizzoli, 1998, Introduzione e commento di Luciano Lenaz. http://users.libero.it/i3ltt/prova/Filosofia.htm http://www.giandomenicomazzocato.it/perunaletturadellagermania.htm

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I paesaggi romantici di Friedrich e il paesaggio della Germania di Tacito

Nei paesaggi che ti proponiamo di Caspar David Friedrich (Greifswald 1774 - Dresda 1840), pittore romantico tedesco la cui pittura nasce da un'attenta osservazione dei paesaggi della Germania e dei loro effetti di luce, ritrova alcune delle caratteristiche che Tacito attribuisce al paesaggio tedesco nella sua Germania.

Autoritratto, ca 1800, Copenaghen, Collezioni Reali.

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Viandante sul mare di nebbia, 1818, Amburgo, Kunsthalle.

Due uomini davanti alla luna, 1819, Dresda, Gemäldegalerie.

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Il mare di ghiaccio, 1824. Amburgo, Kunsthalle.

Sera, 1824, Mannheim, Kunshalle.

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Tombe di antichi eroi, 1812, Amburgo, Kunsthalle.

Monaco sulla spiaggia, 1808 - 1810, Berlino, Alte Nationalgalerie.

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Abbazia nel querceto, 1809-1810, Berlino, Schloss Charlottenburg.

La sera, 1822 Hannover, Niedersächsisches Landesmuseum.


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