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20 marzo chiostro n. IIX - unisob.na.it · Così la città si presenta agli occhi degli altri *...

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Spedizione in A.P. - 45% art. 2 - comma 20/b - legge 66/92 - Filiale di Napoli 20 marzo 2010 anno X n. II Simmo ’e Naples, paisà Mille facce di una metropoli dall’anarchia all’eccellenza Tra le colline e il Golfo: una ricetta per ogni polis di Giustino Fabrizio * Dalle ceneri di pizza pino e mandolino, l’immagine di Napoli è risorta plasmandosi su un altro stereotipo: camorra e spazzatura. Molto più negativo, ma purtroppo anche molto più vicino alla realtà. Già prima della grande crisi dell’immondizia, “L’espresso” aveva dedicato alla città una profetica copertina choc: “Napoli addio. Criminalità. Disoccupazione. Disagio gio- vanile. Viaggio nella città che non crede più nel futuro”. Poi, sullo sfondo delle guerre tra i clan, è intervenuta la drammatica vicenda dei rifiuti ad assestare il colpo di grazia. Qual è oggi l’immagine di Napoli al di là del Gariglia- no e al di là delle Alpi? È da questa domanda che ha preso le mosse questo numero di “Inchiostro”. Una persona non si può giudicare dall’idea che ha di se stessa, a maggior ragione una città. Siamo andati quindi a scrutare i media stranieri, a inter- rogare gli istituti di cultura internazionali, a chiedere opinioni autorevoli. Abbiamo messo insieme cifre e fatti della politica, dell’economia, della cultura, dello spettacolo e dello sport. Abbia- mo interrogato stranieri che vivono qui e napoletani che operano all’estero. Abbiamo cercato di capire che cosa significhi la parola “Napoli” anche per chi non ci è mai stato, come la gran parte degli abitanti delle altre città del mondo che si chiamano Napoli. Il risultato fa pensare a un patchwork. La città famosa per la sua fantasia offre tante facce, da quelle dei criminali interna- zionali al capitano della Nazionale di calcio che alza la coppa del mondo davanti a oltre un miliardo di telespettatori, dai politici che creano tumulti in Parlamento o finiscono sott’inchiesta a un presidente della Repubblica specchiato e rispettato. Sporca e ca- otica come nessun´altra in Italia, ma con punte di eccellenza che tutti le invidiano, Napoli è un pendolo che oscilla costantemente tra gli opposti. il Fratello di Abele Quasi vent’anni fa, come a chiudere un periodo davvero buio dell’immagine pubblica di Napoli e segnare l’inizio, per la città, di una nuova era cui non sarebbe mancato l’immaginoso e augurale nome di Rinascimento Napoletano, un ottimo storico di queste parti dava alle stampe un poderoso volume su Napoli e il Sud nell’immaginario Barocco e Illuminista europeo. A leggere, in gran copia, i giudizi dei viaggiatori stranieri e italiani capitati da queste parti, si comprende come il viaggio a Napoli costituis- se per i più “una tormentosa escursione ai margini della notte”, una sorta di pericoloso accesso ad un “oscuro spazio di orrore”, e quasi all’abisso degli inferi “in un luogo di ignoranza popolato di diavoli e masnadieri, ladroni e gran banditi”. Ci voleva tutta la buona volontà di E.A. Mario e soprattutto la distanza tra cielo e terra perché, agli albori del secolo XX Napoli, potesse essere con- siderata, da due professori di mandolino, uno dei “Duje Paravi- se”. Certo in seguito abbiamo avuto il Rinascimento Napoletano (Ah, Vico! Coi tuoi ricorsi storici!!), ma poi quello successivo come si chiama, Rimorimento?!? Per capire l’immagine attuale della città, riportiamo due ricette: Pane di Dante al sentire d’olio delle colline toscane Prendete un bel pezzo di buon pane toscano che normal- mente non sa di sale (essendo quello “altrui” che sa di pessimo sale e richiede per conquistarlo tante scale) cotto alla legna resi- nica di quelle colline benedette da Dio. Tagliatelo con un coltello possibilmente forgiato da quelle parti, dove ancora gli artigiani ripetono i sapienti gesti d’arte dei metalli con cui Benvenuto Cel- lini forgiò la tabacchiera di Luigi XIV e il Ghiberti la formella del “bel San Giovanni”. Quando il pane nell’aprirsi sotto il filo della LA CURIOSITÀ Quelle città unite dal nome A PAGINA 6 Così la città si presenta agli occhi degli altri * Capo della redazione napoletana di Repubblica IL FOTOGRAFO Masturzo non ama i luoghi comuni A PAGINA 9 L’ARTISTA Rustici, nato qui nutrito dall’universo A PAGINA 10 Foto di Lorenzo Marinelli Periodico a cura della Scuola di giornalismo diretta da Paolo Mieli nell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli www. unisob.na.it/inchiostro chiostro continua a pagina 8
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20 marzo 2010

annoX

n. II

Simmo ’e Naples, paisà

Millefaccediunametropoli dall’anarchiaall’eccellenza

TralecollineeilGolfo: unaricettaperognipolis

di Giustino Fabrizio *

Dalle ceneri di pizza pino e mandolino, l’immagine di Napoli è risorta plasmandosi su un altro stereotipo: camorra e spazzatura. Molto più negativo, ma purtroppo anche molto più vicino alla realtà. Già prima della grande crisi dell’immondizia, “L’espresso” aveva dedicato alla città una profetica copertina choc: “Napoli addio. Criminalità. Disoccupazione. Disagio gio-vanile. Viaggio nella città che non crede più nel futuro”. Poi, sullo sfondo delle guerre tra i clan, è intervenuta la drammatica vicenda dei rifiuti ad assestare il colpo di grazia.

Qual è oggi l’immagine di Napoli al di là del Gariglia-no e al di là delle Alpi? È da questa domanda che ha preso le mosse questo numero di “Inchiostro”. Una persona non si può giudicare dall’idea che ha di se stessa, a maggior ragione una città. Siamo andati quindi a scrutare i media stranieri, a inter-rogare gli istituti di cultura internazionali, a chiedere opinioni autorevoli. Abbiamo messo insieme cifre e fatti della politica, dell’economia, della cultura, dello spettacolo e dello sport. Abbia-mo interrogato stranieri che vivono qui e napoletani che operano all’estero. Abbiamo cercato di capire che cosa significhi la parola “Napoli” anche per chi non ci è mai stato, come la gran parte degli abitanti delle altre città del mondo che si chiamano Napoli.

Il risultato fa pensare a un patchwork. La città famosa per la sua fantasia offre tante facce, da quelle dei criminali interna-zionali al capitano della Nazionale di calcio che alza la coppa del mondo davanti a oltre un miliardo di telespettatori, dai politici che creano tumulti in Parlamento o finiscono sott’inchiesta a un presidente della Repubblica specchiato e rispettato. Sporca e ca-otica come nessun´altra in Italia, ma con punte di eccellenza che tutti le invidiano, Napoli è un pendolo che oscilla costantemente tra gli opposti.

il Fratello di Abele

Quasi vent’anni fa, come a chiudere un periodo davvero buio dell’immagine pubblica di Napoli e segnare l’inizio, per la città, di una nuova era cui non sarebbe mancato l’immaginoso e augurale nome di Rinascimento Napoletano, un ottimo storico di queste parti dava alle stampe un poderoso volume su Napoli e il Sud nell’immaginario Barocco e Illuminista europeo. A leggere, in gran copia, i giudizi dei viaggiatori stranieri e italiani capitati da queste parti, si comprende come il viaggio a Napoli costituis-se per i più “una tormentosa escursione ai margini della notte”, una sorta di pericoloso accesso ad un “oscuro spazio di orrore”, e quasi all’abisso degli inferi “in un luogo di ignoranza popolato di diavoli e masnadieri, ladroni e gran banditi”. Ci voleva tutta la buona volontà di E.A. Mario e soprattutto la distanza tra cielo e terra perché, agli albori del secolo XX Napoli, potesse essere con-siderata, da due professori di mandolino, uno dei “Duje Paravi-se”. Certo in seguito abbiamo avuto il Rinascimento Napoletano (Ah, Vico! Coi tuoi ricorsi storici!!), ma poi quello successivo come si chiama, Rimorimento?!? Per capire l’immagine attuale della città, riportiamo due ricette: Pane di Dante al sentire d’olio delle colline toscane Prendete un bel pezzo di buon pane toscano che normal-mente non sa di sale (essendo quello “altrui” che sa di pessimo sale e richiede per conquistarlo tante scale) cotto alla legna resi-nica di quelle colline benedette da Dio. Tagliatelo con un coltello possibilmente forgiato da quelle parti, dove ancora gli artigiani ripetono i sapienti gesti d’arte dei metalli con cui Benvenuto Cel-lini forgiò la tabacchiera di Luigi XIV e il Ghiberti la formella del “bel San Giovanni”. Quando il pane nell’aprirsi sotto il filo della

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Così la città si presenta agli occhi degli altri

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PRIMO PIANO pagina 2 inchiostro n. 2 – 2010

Nonsolocamorraemunnezza«Napolièunpo’unaGrandeMela»

di Ludovica Criscitiello e Antonio Frascadore

Negli ultimi anni l’immagine di Napoli sui giornali stranieri non è cambiata. Quotidiani inglesi, spagnoli e francesi, hanno ripercorso la storia di una città, sommersa dall’immondizia e sotto il controllo della criminalità organizzata. I giornali inglesi mettono in luce un quadro drammatico. Il Times descrive una metropoli in cui la camorra domina da decenni la situazione dell’immondi-zia in Campania. Da anni i clan hanno preso il controllo totale del ciclo dei rifiuti. Peter Popham, giorna-lista britannico e autore dell’articolo, si sofferma sulla situazione di Pianura, sobborgo di Napoli in cui i cumuli di spazzatura raggiungono l’altezza di otto-dieci metri e su Nola, Acerra e Marigliano, conosciuti all’estero come il triangolo della morte a causa dell’aumento dei tumori allo stomaco e alla prostata. La questione rifiuti è messa molto in risalto anche dall’Indipendent. In un articolo del 24 marzo 2008 il quo-tidiano britannico punta l’attenzione sulle conseguenze dell’inquinamento nell’ambito della produzione di mozzarella. Il prodotto caseario risulta avere elevati livelli di diossina che hanno diminuito l’esportazio-ne di mozzarella campana in tutta Europa. Rifiuti e malavita sono le due piaghe profonde di Napoli e di tutta la Campania anche per i princi-pali quotidiani spagnoli. Lo afferma con convinzione Angela Rodicio, inviata della tv spagnola: «In Spagna si ha l’idea di una Napoli caotica e disordinata, dove la camorra in molti casi la fa da padrone. Il libro di Saviano, infatti ha avuto una grande eco qui». El Pais, inoltre, punta l’attenzione sulla denuncia allo stato e sui fallimenti del governo, dietro al quale si cela la camorra, principale beneficiaria degli introiti derivanti dalle discariche illegali. Sul giornale spagnolo si ipotizza, infatti, che la mafia risolva tutto ciò che non è risolto da Roma e diventi ogni giorno globale e minacciosa. Lo dimostrerebbero episodi raccontati e seguiti nello specifico: la notizia dell’omici-dio di Mariano Bacioterracino nel rione Sanità ha fatto il giro del mondo attraverso le immagini di un video e compare più volte sulle pagine di El Mundo, altro importante quotidiano spagnolo. «Nel video- scrivono sul giornale – si vede un uomo con un berretto che esplode diversi colpi contro Bacioterracino, mentre questo aspetta davanti a un bar del rione Sanità, nel centro di Napoli». Il quotidia-no spagnolo continua a seguire la vicenda. Facendo riferimento a quanto scrive il Corriere della Sera, El Mundo pubblica un secondo articolo sulla cattura di Costanza Apice, autore dell’omicidio di rione Sanità. Da una visione negativa del capoluogo partenopeo si passa a una più moderata. Renzo Cianfanelli, inviato del Corriere della Sera a New York dal 2001, sostiene che almeno negli Stati Uniti l’immagine del capoluogo partenopeo non è così catastrofica. «Con mia grande sorpresa - dice il giornalista - in questi ultimi tre anni ho visto pochissimi titoli sul problema rifiuti a Napoli. Qualcuno è apparso sul New York Times quando è scoppiata la polemica del 2007». Il cronista italiano tende, dunque, a smentire i colleghi stranieri e afferma che il sistema Italia è criticato proprio per la mancanza di attenzione alla storia, ai musei, alle opere d’arte. «Gli americani si me-ravigliano di come utilizziamo il turismo e del poco rispetto che gli italiani rivolgono ai quadri, alle piazze, alle colonne. Per loro abbiamo tanto, ma sfruttiamo poco. In particolare a New York non si meravigliano molto per le sparatorie o gli omicidi – conclude Cianfanelli – la Grande Mela è un po’ come Napoli».

Dallemaceriedeldopoguerraall’emergenzarifiutisessant’annidimiseriaenobiltà

di Cristiano M.G. Faranna

«In sessant’anni di Repubblica quel che si salva di Napoli nella percezione internazionale sono sol-tanto l’immagine di piazza del Plebiscito liberata dalle auto e la testimonianza di Roberto Saviano». Luigi Necco, per 25 anni giornalista della Rai e voce critica dell’universo partenopeo, ripercorre il cambiamento della rappresentazione della città al di fuori dei suoi confini commentando otto fotografie; dalle macerie del secondo dopoguerra allo squallore dei rifiuti, passando per politici, terremoti e icone sportive.

«L’immagine di Napoli dilaniata durante la Seconda Guerra Mondiale ebbe un grande impatto sul mondo intero perché la città subì più di 100 bombardamenti ed ancora oggi non tutte le vittime hanno un nome. Insieme con l’umanità venne distrutta la cultura, ma da quelle macerie la cittadinanza seppe rial-zarsi e formare la Resistenza che nel settembre del 1943 cacciò i tedeschi con le famose Quattro Giornate».

Arriva il tempo della ricostruzione. L’Italia sceglie la Repubblica. Napoli è in controtendenza, al referendum la monarchia pare ottenga più voti e in pochi anni Achille Lauro, armatore e patron del Napoli Calcio, diviene sindaco. «Sono stati 15 anni perduti, il fenomeno del laurismo sfruttò le illusioni della gen-te. Sotto la sua gestione la ricostruzione si trasformò nel sacco della città. Spese molto per il Napoli senza vincere nulla, ma offrì alle persone un cocktail inebriante di ritorno al passato e speranze di vittoria».

Siamo negli anni Settanta, i terribili anni di piombo. Un napoletano, Giovanni Leone, sale al Qui-rinale. Giurista democristiano, la foto di lui che fa le corna in segno scaramantico per risposta ad un’im-precazione fa il giro del mondo. «Fu un atteggiamento ingenuo. Leone non era all’altezza di quei giorni difficili. Erano momenti in cui l’Italia avrebbe dovuto cominciare a misurarsi da pari a pari con gli Stati Uniti ma rimanemmo semplici alleati fedeli».

Il 23 novembre 1980 un terremoto colpisce l’Irpinia. Il mondo si mobilita in soccorso della Cam-pania e il malaffare la fa da padrone nella ricostruzione. «Verità e bugie, i paesi colpiti furono venti ma più di 600 ottennero i fondi. Napoli fallì. Alla rovina dei quartieri poveri rispose con le Vele di Scampia, dove è svanita la coesione sociale e la droga la fa da padrona».

Napoli diventa protagonista nel calcio. Arriva Maradona, il genio del pallone. «L’ennesimo espe-rimento negativo. Un giocatore irripetibile ma con un vizio terribile. Capimmo che la ribellione che lui suscitava non veniva dal rifiuto della società, ma era la conseguenza dell’uso di cocaina. Le vittorie sul campo non ci tolsero la vergogna dalla faccia, come è stato detto».

Anni Novanta. Tangentopoli spazza via la prima Repubblica, a Napoli governa Antonio Bassolino. Il presidente del Consiglio Ciampi sceglie la città come sede del G7. Inizia la cosiddetta “rinascita”. Em-blema ne è piazza del Plebiscito che da parcheggio a cielo aperto ritorna spazio per la cittadinanza. «Senza

Napoli dopo i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale

Achille Lauro, sindaco dal 1952 al 1957 Giovanni Leone, capo dello Stato dal 1971 al 1978

pagina 3

L’immaginepenalizzailturismoStranieriincalo,un2009dadimenticare

di Annalisa Perla

Nel 2009 i ricavi di tour operator, albergatori e agenzie di viaggio in Campania hanno registrato perdite notevoli soprattutto per quanto riguarda il mercato estero. A Napoli e provincia sono in positivo solo i dati relativi agli arrivi e alle presenze di turisti italiani mentre calano di oltre il 10 per cento le pre-senze di stranieri. Questi i dati in linea con la crisi generale che il settore turistico italiano ha registrato nel 2009, un calo dei ricavi di oltre 10 punti percentuali, secondo le indagini dell’Isnart, l’Osservatorio del turismo di Unioncamere. Ma il 2010 potrebbe essere l’anno della ripresa. Buone le premesse a giudicare dal successo dello stand Campania alla recente Borsa Internazionale del Turismo di Milano. L’area espo-sitiva ha registrato una grande affluenza da parte dei tour operator italiani e anche esteri.

«Dopo un 2009 da dimenticare, un segnale positivo», afferma Dario Scalabrini, dirigente coordi-natore dell’Ente Provinciale del Turismo di Napoli, tra gli organizzatori dello stand campano alla Bit.

Secondo Scalabrini il dato negativo dello scorso anno è legato soprattutto alla crisi globale che ha colpito tutti i settori produttivi. «Nel lungo periodo, tuttavia, mete come Napoli e dintorni paradossalmente potranno trarre beneficio dalla crisi perché soddisfano un target medio basso per disponibilità economica ma con interessi culturali, che rappresenta ormai la fetta di domanda più cospicua».

L’elemento vincente alla fiera milanese, secondo il dirigente coordinatore dell’Ept «è stato l’aver obbligato gli operatori a fare sistema, a presentare cioè pacchetti concreti, con un’offerta combinata di hotel, guide ed escursioni».

Tuttavia i dati relativi al turismo campano restano di gran lunga inferiori a quelli di altre regioni italiane, in primis Toscana, Veneto e Lazio. Scalabrini ritiene che il problema sia la mancanza di strut-ture adeguate come un buon sistema di accoglienza turistica, città pulite, strutture all’avanguardia: «I fondi sono pochi e gli enti locali non riescono a coprire tutte le spese legate alla gestione, manutenzione e pubblicità dei siti turistici. In più c’è un problema di marketing. Si è capito che promuovere il prodotto Campania nel suo complesso non dà i frutti sperati. E’ preferibile puntare sulle singole destinazioni. Ad esempio Sorrento, Capri, Ischia e soprattutto Pompei, hanno un grande appeal».

Con questa tesi concorda Gino Acampora, amministratore unico della Acampora Tour, uno dei principali tour operator che tratta di incoming in Italia e in particolar modo in Campania. «Il problema – spiega - è legato alla cattiva gestione amministra-tiva. L’assenza di servizi adeguati, la mancanza di strutture di informazione turistica soddisfacenti insieme alla pessima pubblicità esportata nel mondo dalle immagini dell’emergenza rifiuti, hanno disincentivato l’ingresso di stranieri nel-la nostra regione». Il prodotto Campania attual-mente è richiesto al 65 per cento da tour operator italiani. Fanno parte del restante 35 per cento di stranieri soprattutto inglesi, tedeschi, statunitensi e negli ultimi tempi russi.

Anche il manager sorrentino, però, scor-ge segnali di ripresa, specie dal mercato estero. I primi mesi del 2010 hanno già fatto registrare ad albergatori e strutture extralberghiere i primi dati positivi.

riserve quest’immagine diede al mondo l’impressione che la città si liberava di un certo peso del passato. Ancora oggi rimane un segnale. Quando le piazze dei Quartieri Spagnoli e dei vicoli si libereranno dalla camorra allora piazza del Plebiscito sarà compiuta».

Nel 2006 Giorgio Napolitano diventa il primo presidente della Repubblica proveniente dall’ex Pci. È il terzo napoletano a ricoprire la carica. Necco fa una precisazione sul capo dello Stato: «Il presidente, sia pur partendo da Napoli, non è un’icona propriamente partenopea. Rappresenta la Napoli intellettuale, capace di leggere Croce e Gramsci, ma al contempo una Napoli che ha distrutto l’Italsider».

Nell’ultimo decennio tra i protagonisti della scena politica campana ci sono i coniugi Mastella con le loro vicissitudini giudiziarie. «Il classico esempio tutto napoletano di come quello che conta di più è la famiglia e il suo benessere. È l’immagine che molti politici napoletani danno all’esterno».

Una donna anziana cammina tra cumuli di immondizia, metafora di un viaggio che dalle macerie della guerra giunge ad un’ennesima catastrofe. «La munnezza ha cancellato quel poco di buono che si per-cepiva all’estero. E’ come se un passato oscuro e indicibile uscisse da sotto al tappeto per ricoprire la nostra vita di immondizia. Per fortuna si è compreso che la colpa non è della gente, ma di un sistema politico ed imprenditoriale basato sulla corruzione».

Piazza del Plebiscito, diventata zona pedonale nel 1994

1980: terremoto in Irpinia Diego Armando Maradona

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano

2007-2008: emergenza rifiuti in Campania

ECONOMIA E POLITICA pagina 4 inchiostro n. 2 – 2010

Questipolitici,quantocicostanoEspessononsivivedisolostipendio

Traicostidellapoliticabisognaannoverareglistipendideidirigenti,pubblicatiobbligatoriamenteperlalegge69/2009art.21c.1cheimponelatrasparenzaatuttiglientiistituzionali.

•ComuneDiNapoli:Idirigentisono256eguadagnano19.746.557eurolordiall’anno,compreseindennitàepremipromozione.

•Provincia:Sono57,compresii9acontrattodeterminato,ehannoricevutointotale6.858.957euronel2008,ultimidatidisponibili.

•RegioneCampania:Ilcompensoannuodei316dirigentiregionalièdi26.278.705euro.

di Angelo De Nicola, Egidio Lofrano e Francesca Saccenti

La politica made in Italy fa scandalo. E quando le imma-gini fanno il giro del mondo non c’è più scampo. II 24 gennaio scorso, la fotografia dell’onorevole Tommaso Barbato, durante la seduta del Senato, invade la carta stampata. Il politico invei-sce contro il collega Nuccio Cusumano, colpevole di aver dato fiducia al governo Prodi. Un faccia a faccia che finisce con uno sputo in faccia del senatore al collega. Cusumano è costretto a lasciare l’aula a causa di un mancamento.

L’immagine diventa lo slogan pubblicitario della com-pagnia di Michael O’Leary “Calma! calma! c’è posto per tutti” affiancata dalla riproduzione di quel momento fatidico.

Per Massimo Villone, che insegna diritto costituzionale all’univesità Federico II «la trascrizione della politica italiana e la sua diffusione attraverso i media fuori confine hanno rag-giunto un livello imbarazzante, fatto di battute e gesti curiosi da osteria. Siamo arrivati a un livello basso, adesso si può solo risalire: l’emergenza rifiuti, le ultime vicende del capo della pro-tezione civile Guido Bertolaso. Paghiamo un prezzo salatissi-mo, siamo al limite, possiamo finire sott’acqua». Se l’immagine dell’Italia di Villone è apocalittica, quella della Campania non è certo delle migliori.

Da tre mesi e mezzo il presidente del Consiglio regio-nale Sandra Lonardo, dopo lo scandalo dell’Arpac, è costretta a risiedere a Roma dall’obbligo di domicilio per concussione e agevolazione delle assunzioni. L’immagine del suo “esilio” è fresca nella memoria collettiva, ma questo non le ha impedito di candidarsi alle prossime regionali. Altro tasto dolente della situazione politica, tema portato alla luce dagli autori de “La Ca-sta”, Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo. Secondo lo studio, la Spagna per fronteggiare la crisi avrebbe ridotto i fondi a dispo-sizione dei partiti, con un taglio di 17 milioni di euro, mentre in Italia la spesa è doppia. Un deputato italiano costa 1 milione 630 mila mentre in Spagna in totale 281mila euro.

«Sebbene siano paragoni da prendere con le molle», come scrive il Corriere della Sera in un articolo del 15 novembre 2008 di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, i dati che emer-gono sono difficili da digerire. Lo stesso discorso vale per le campagne elettorali il cui bilancio è duro da affrontare. «Prima era il partito a governare le spese della campagna - spiega Vil-lone -. Adesso invece la raccolta fondi viene affidata in parte al singolo candidato, mentre per quanto riguarda gli stipendi dei consiglieri comunali e regionali non ci sono grandi differenze di città in città. Non bisogna però dimenticare gli sprechi, figli

del malcostume, che non possono essere quantificati». Guadagni e sperperi dei politici sono problemi a lungo

dibattuti e difficili da quantificare. Non sempre si vive solo di politica, soprattutto nei gradini più bassi della scala delle retri-buzioni.

Partiamo dalle Municipalità. Il Comune di Napoli è intervenuto nel 2005 sul decentramento amministrativo ri-ducendo il numero delle Circoscrizioni da 21 a 10 e ognuna è composta da un presidente, un vicepresidente, 3 assessori e 30 consiglieri di Municipalità. Un presidente riceve uno stipendio annuale di 22.560 euro netti mentre il compenso del vicepre-sidente e degli assessori ammonta rispettivamente al 75 e al 65 per cento di questa somma. I consiglieri ricevono un gettone di presenza (con un limite di 15 al mese) di 54,10 euro, che corri-sponde ad uno stipendio annuo massimo di 9.738 euro.

Il Consiglio comunale è a sua volta composto dal sinda-co e dal suo vice, da 16 assessori e da 60 consiglieri (la compo-sizione di ogni città con più di 1.000.000 di abitanti). Il primo cittadino Rosa Russo Iervolino ha un compenso di 84.223,80 euro lordi l’anno e gli assessori guadagnano in totale 618.293 euro (che oscillano tra i 63.167 euro del vicesindaco Sabatino Santangelo e i 24.559 euro di 3 assessori). Il gettone di presen-za per un consigliere comunale è di 97,61 euro ma il limite di guadagno mensile non può superare un quarto dell’indennità di carica del sindaco, che significa 21.055,95 euro annui.

Le indennità annuali della Provincia sono di poco supe-riori: 98.840 euro per il presidente, 64.896 euro per il presi-dente del Consiglio provinciale mentre i 12 capigruppo consi-liari e i 45 consiglieri provinciali sono retribuiti con gettoni di presenza del valore di 123,27 euro. Il tetto massimo dei gettoni mensili è 17, che porta ad un compenso complessivo massimo di 25.147,08 euro.

Infine la Regione. I compensi, al netto, sono forniti dai Parlamenti regionali e corrispondono all’80 per cento dello sti-pendio dei parlamentari. I presidenti di Consiglio e di Giunta tra indennità e rimborsi ricevono 148.656 euro all’anno, ognu-no dei 12 componenti della Giunta 135.136,56 euro e, passando per le varie cariche di presidente di commissione e capogruppo consiliare, si arriva ai 60 consiglieri regionali, che guadagnano 129.804 euro di compenso annuo. A questi compensi bisogna sommare i premi di buonuscita in caso di mancata elezione. Nel 2005 la Regione ha pagato indennità per 4 milioni di euro ai 35 consiglieri regionali uscenti.

Queste le cifre ufficiali, che non tengono conto dei pos-sibili abusi e delle storture del sistema degli indennizzi e rim-

borsi. Due scandali hanno riguardato comuni campani nelle scorse settima-ne: San Giorgio a Cremano e Castel-lammare di Stabia. Nel primo caso ha destato clamore la richiesta di un rim-borso per 152.320 euro da parte di un consigliere comunale, sommando l’in-dennità di funzione con l’indennizzo nei confronti del proprio datore di la-voro, un’azienda napoletana. A Castel-lammare 27 dei 30 consiglieri comuna-li sono invece indagati dalla Procura di Torre Annunziata per falso e truffa ai danni dello Stato. Avrebbero falsificato, complici 3 dipendenti del Comune che lavoravano come segretari, gli atti per risultare presenti nelle commissioni consiliari, ottenendo il compenso mas-simo in gettoni di presenza. «Fanno ri-flettere gli stipendi enormemente gon-fiati dei manager e dei rappresentanti del Consiglio regionale», dice Guido D’Agostino. «Ho fatto politica fino a dieci anni fa al Comune di Napoli e mi ricordo che lo stipendio medio non superava i 2.000 euro mensili. Anzi in alcuni casi molto di meno», prosegue

il docente di Discipline Storiche presso l’Università Federico II di Napoli. Uno dei problemi più rilevanti è il dislivello degli stipendi dei politici in Campania. «Analizzando i dati sui costi della politica in Campania si evince che il rapporto spesa-guada-gno è negativo. Chi vive solo di politica non può auto sovvenzio-narsi per proseguire, costantemente nel tempo, nel suo viaggio attraverso Comune, Provincia e Regione. Per quanto riguarda invece gli esponenti che costituiscono il Consiglio comunale e provinciale sono appena sufficienti per il proprio sostentamen-to».

Anche la lievitazione dei costi delle elezioni assume il valore di una spina nel fianco per chi è impegnato in attività politiche. «Quello che fa aumentare vertiginosamente i costi della politica, secondo il mio parere, è l’illegalità. Bisognerebbe distinguere tra buona e mala politica. Può verificarsi la parados-sale situazione in cui un esponente politico, per sovvenzionare la propria campagna elettorale, ricorra a introiti non proprio legali. La cosiddetta mazzetta è figlia di quel bisogno che ha l’esponente politico di ricercare il proprio guadagno al di fuori della stessa attività politica».

Secondo D’Agostino svolgere una doppia attività per i politici potrebbe essere una soluzione al problema del negativo rapporto spesa-guadagno. «I consiglieri, i sindaci e i presidenti provinciali non dovrebbero svolgere solo l’attività politica, ma abbinare tale attività a un secondo lavoro. Questo può contri-buire a ridurre il fattore del guadagno illecito. Sicuramente il momento più facile, in termini di guadagno, per il politico è il passaggio dalla Provincia alla Regione. Lo stipendio cresce gra-dualmente e di conseguenza l’esponente politico non dovrebbe più temere i costi della campagna elettorale».

Fondamentali per D’Agostino sono le motivazioni dei politici italiani. Se il guadagno è il solo ed unico scopo, l’attività stessa non potrà essere né longeva né lecita. «Sono convinto che la prima vera motivazione di un politico italiano sia quella di do-ver portare a termine un proprio progetto per migliorare la vita degli elettori. Se si pensa solo ed esclusivamente al guadagno allora la carriera politica avrà sicuramente breve vita. Il politico quando raggiungerà i vertici, come ad esempio il Parlamento Europeo, potrà abbinare le soddisfazioni del proprio lavoro a un congruo guadagno. Questo però non deve mai distogliere l’at-tenzione dall’obiettivo di tutelare gli interessi degli elettori». In base al rapporto spesa-guadagno, che risulta essere negativo, il problema è la scelta d’intraprendere la strada della professione politica nella Regione Campania. «Non conviene fare politica se si pensa solo al guadagno – conclude D’Agostino – è preferibile che i politici svolgano una doppia attività capace di garantire la sovvenzione delle campagne elettorali».

InchiostroAnno X numero 2 - 20 marzo 2010 chiuso in redazione lunedì 15 marzowww.unisob.na.it/inchiostro

Periodico a cura della Scuola di giorna-lismo diretta da Paolo Mieli nell’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa

Direttore editorialeFrancesco M. De Sanctis

CondirettoreLucio d’Alessandro

Direttore responsabilePierluigi Camilli

Coordinamento scientifico-didatticoArturo Lando

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Impaginazione Biagio Di Stefano

Ecco i compensi dei dirigenti

pagina 5

LosprecodellerisorsefaaumentareildebitopubblicoLaproduzionearretraelosvilupporestaunachimera

di Alessandro Di Liegro

Nel 1993 termina ufficialmente l’intervento straordina-rio per il Sud, iniziato negli anni Cinquanta, che ha avuto il suo apice nella creazione della Cassa del Mezzogiorno. È di pochi giorni fa la notizia della creazione della “tremontiana” Banca del Sud che, seppur in maniera diversa, tenta di perseguire lo stesso scopo di motore dell’economia nel Mezzogiorno.

Il quadro che gli studi statistici fanno dell’economia del-la Campania é per molti versi allarmante. Sono sette anni che il Meridione cresce meno del Centro-Nord; il peggiore trend dal dopoguerra in avanti. I dati Svimez riportano una crescita nega-tiva del prodotto interno lordo campano per l’anno 2008 pari a 2,8 punti percentuali, a fronte della media nazionale del meno 1 per cento.

L’andamento negativo del pil ha interessato la totalità dei settori produttivi regionali: il dato peggiore è quello relativo alle costruzioni, con una perdita del 6,9 per cento, condizionato dal forte calo delle transazioni immobiliari e dagli investimenti in opere pubbliche.

Anche il comparto dell’agricoltura, classicamente uno degli asset di riferimento della regione, riporta un meno 1,9 per cento di media annua nel periodo 2001-2008, con una ri-duzione delle esportazioni del meno 12,62 per cento nel mondo rispetto all’anno precedente. Comunque migliore dei numeri relativi all’intero Mezzogiorno, il cui export perde 30 punti per-centuali rispetto all’anno passato.

La Campania è la regione del Sud con il più basso Pil pro capite: 16.746,2 euro contro i 17.970,8 euro dell’area ed è pari ad appena il 63,7 per cento del livello medio nazionale. Nel corso degli anni 2000, e soprattutto nel 2005, la regione ha mo-strato una tendenza all’aumento del divario con il Mezzogiorno e con il resto del Paese. Un altro indicatore storico rende l’idea della situazione stagnante: nel 1951 il Mezzogiorno produceva il 23,9 per cento del Pil nazionale. A distanza di 60 anni la percen-tuale è cambiata di poco: 23,8 per cento.

Dal 2002 le regioni meridionali hanno registrato una crescita sempre inferiore a quella del resto del Paese (0,6 contro 1 per cento). Secondo la Svimez, la quota di spesa pubblica in conto capitale effettuata nel Sud è passata dal 40,4 per cento nel 2001 al 35,3 nel 2007: un progressivo declino che nel biennio 2008-09 si stima sia sceso al 34,8 per cento, cifre lontane dal 45 per cento programmato nei documenti di politica economica. Si tratta di valori inferiori al “peso naturale” del Mezzogiorno che si valuta intorno al 38 per cento, dato dalla media tra quota di popolazione (35 per cento) e quota del territorio (40,8). La spesa corrente è aumentata del 4,5 per cento al netto degli interessi sul debito, con un’incidenza sul Prodotto lordo che ha raggiunto il livello record del 40,4 per cento.

«L’assenza di risultati soddisfacenti in termini di cresci-ta e di convergenza è in gran parte dovuta anche a una ridotta ef-ficacia della politica regionale di sviluppo, che trova spiegazione in una dimensione della spesa pubblica assai inferiore a quanto programmato” afferma Nino Novacco, presidente dello Svimez

che continua: “L’analisi dei dati relativi alla spesa serve a smen-tire l’idea, purtroppo assai diffusa anche nella pubblicistica, di un Sud inondato da un fiume di risorse pubbliche».

Le entrate delle pubbliche amministrazioni sono cre-sciute di appena l’1 per cento, per effetto di una flessione del Pil rispetto al 2007 dell’1 per cento e delle misure di riduzione del carico fiscale, dall’abolizione dell’Ici sulla prima casa – nono-stante il vantaggio per le famiglie campane sia stato mediamen-te di 195 euro annui – alla parziale detassazione degli straordi-nari e dei premi di produttività, decise dal Governo.

L’intervento pubblico straordinario, cioè ad hoc per il Sud, è in media pari allo 0,8 per cento. Tra i fattori responsabili del mancato sviluppo c’è l’andamento della produttività, troppo ridotto, anche perché legato a elementi di contesto fortemente deficitari nel Sud, come il capitale umano, le infrastrutture e il capitale sociale. Fra i provvedimenti più recenti quello relativo all’emergenza rifiuti a Napoli. Il governo ha destinato alla riso-luzione del problema circa 450 milioni di euro, a fronte dei 150 inizialmente previsti dal Dpef (documento di previsione econo-mico-finanziaria) del 2008.

Oltre alle entrate statali, l’economia regionale viene ir-rorata dai fondi europei che giungono tramite i Por (piani ope-rativi regionali). Dall’ultimo piano strategico europeo scaturisce che fino al 2013 le casse campane riceveranno oltre 6 miliardi di euro.

Dal 1999 al 2007 le entrate tributarie in Campania sono cresciute del 25 per cento, a fronte di un aumento del 16,9 per cento al Nord. Nonostante la forte crescita delle entrate tributa-rie, l’ente Campania ha chiuso il 2007 – ultimo anno rendicon-tato dalla commissione bilancio regionale – con un passivo netto di quasi cinque miliardi e mezzo di euro.

I conti non tornano: il debito pubblico della regione Campania dall’inizio del nuovo millennio a oggi è aumentato di quasi il 500 per cento. Praticamente 900 euro di debito per abitante.

di Anna Lucia Esposito Dal 1995 il Banco di Napoli ha il gruppo dirigente a

Torino. Svenduta, di fatto, all’istituto San Paolo Imi e in seguito accorpata al gruppo Intesa, la banca simbolo del Mezzogiorno riesce solo nel 2007 a riappropriarsi del nome ma non delle proprie competenze. Non è un caso se alla presentazione del ritorno alla vecchia denominazione, Rosa Russo Iervolino si appella all’amministratore delega-to del gruppo Intesa per non impoverire ulteriormente il quadro dirigenziale del Banco. Cedute infatti tutte le filiali dell’Italia settentrionale e centrale al gruppo torinese e per-sa sostanziale autonomia decisionale, del precedente istitu-to di credito rimane poco. Attualmente solo il marchio della più antica istituzione bancaria del Mezzogiorno ricorda la natura familiare e locale di un istituto di credito ormai defunto.

L’8 aprile del 2009, approda alla presidenza del Banco di Na-poli Enzo Giustino. Meridionale e meridionalista, ha un lungo curri-culum di attività imprenditoriali, associative e culturali. «Oggi il Banco di Napoli è totalmente di-verso - afferma - I rapporti con In-tesa – San Paolo si sono equilibrati e possiamo parlare di reale autonomia territoriale, finanziaria e amministrativa». L’influenza della dirigenza torinese sulle scelte dell’unica banca del Mezzogiorno rimane comunque forte. «Faccia-mo parte di uno dei più grandi gruppi d’Europa - continua - Nessuna banca locale attualmente può dare le stesse ga-ranzie del Banco di Napoli. E ciò è possibile esclusivamente grazie a Intesa – San Paolo».

In realtà la discussione sull’inesistenza di istituti fi-nanziari meridionali continua da anni. I toni si sono ac-cesi soprattutto quest’estate con l’intervento del ministro dell’Economia Giulio Tremonti e con il suo progetto di una banca del sud. La Banca del Mezzogiorno è stata in-fatti approvata a inizio dicembre con la legge finanziaria. I dubbi espressi sono stati tanti. La stessa votazione della legge alla Camera ha visto contrari i ministri meridionali Fitto e Prestigiacomo. In controtendenza Enzo Giustino: «L’iniziativa di Tremonti è lodevole. Qualsiasi aiuto per il meridione è sempre ben accetto». E sui futuri rapporti tra Banco di Napoli e Banca del Mezzogiorno dice: «Operere-mo sullo stesso territorio e sarà normale collaborare ma avremo competenze diverse».

di Sergio Napolitano

Secondo il rapporto Uil sul lavoro som-merso, il fenomeno è una piaga che dilania, da sempre, la Regione Campania. I suoi effetti sono reali e devastanti. Nel 2009 il tasso di ir-regolarità lavorativa nazionale si è attestato al 15,6 per cento sul totale degli occupati coinvol-gendo oltre 3,7 milioni di lavoratori.

L’economia sommersa ha prodotto nel 2009 un fatturato di oltre 154 milioni di euro, sottratti a ogni tipo di tassazione, con un’inci-denza sul Prodotto Interno Lordo del 10,3 per cento.

Misurare l’effettiva portata del lavoro sommerso è difficile; per questi motivi si può ricorrere solo a delle stime.

Pietro Senesi, docente di economia po-litica presso l’Università degli studi “L’Orienta-le” di Napoli, delinea un quadro generale della situazione nel Mezzogiorno e in particolare nella città di Napoli.

Il 2010 fa seguito a un lungo periodo di crisi economica globale. Secondo lei, la cri-si quanto ha realmente influito su Napoli e la Campania?

«In attesa dei dati Istat, possiamo esser certi che un calo del 5 per cento del Pil in ter-mini reali e nazionali ha influito molto».

Da persona esterna alla Campania,

come valuta nel complesso il sistema econo-mico campano?

«La Campania abbonda in risorse, prin-cipalmente naturali e culturali, dalla fertilità della terra, alle acque, ai tesori artistici e cul-turali, fino all’energia geometrica e solare. La numerosità della popolazione rende la Campa-nia “pesante” in termini di consenso politico e questo attrae un grande flusso di finanziamen-ti pubblici. Con i problemi di debito pubblico che vagano per l’Europa, un giorno i flussi di denaro potrebbero ridursi parecchio».

Quali sono le maggiori criticità? A suo parere, quali sono le possibili vie d’uscita?

«La maggior criticità è il basso capitale pro capite dove per capitale intendo tutto ciò che aumento la produttività di una persona, dal capitale umano alle infrastrutture. Una via d’uscita è detassare il risparmio e attrarre in-vestimenti da altre aree geografiche garanten-do i diritti di proprietà. Un investitore estero correrebbe l’azzardo di acquistare quote di pro-prietà di un albergo quando una legittima, ma imprevedibile, inchiesta giudiziaria potrebbe decretarne il sequestro che per un investitore è equivalente a una espropriazione? Chi investe in Campania, che non è in grado di garantire nemmeno la disponibilità di un approdo per l’America’s Cup? La prima cosa è garantire i diritti di proprietà privata».

Le istituzioni da dove dovrebbero partire? «Da se stesse. Dotarsi di incentivi com-

patibili che si propongono di raggiungere. La purezza d’intenti e le dichiarazioni di alti valori sono inutili quanto generiche».

In particolare, il lavoro nero/sommer-so quanto deprime ulteriormente l’economia napoletana?

«È difficile affermare che il lavoro nero e sommerso deprime un’economia. Non è il migliore dei mondi possibili. Tutti preferi-remmo un’economia che cresce di più senza lavoro nero e, probabilmente, si può vincere un’elezione promettendo qual-cosa del genere. Un’economia di ministeriali con tutela sindacale e sostenuta dal debito pubblico cer-tamente consumerebbe di più, ma il sommerso non deprime ulte-riormente l’economia napoletana a meno di aspirare ad un modello di economia composta da bottegai e costruttori».

In percentuale qual è il rap-porto tra lavoro sommerso e lavoro nero? Possono essere definiti due sistemi paralleli?

«Non credo sia possibile stimare una percentuale affidabile. Le definizioni teoriche, giuridiche

ed economiche, pongono diversi problemi am-plificati nella scelta delle corrispondenti defi-nizioni operative. Comunque, sono istituzioni socialmente diffuse e stabili poiché datore di lavoro e lavoratore trovano un accordo in cui si spartiscono il gettito fiscale che spetterebbe allo Stato. Questo equilibrio si diffonde fra si-tuazioni di estremo sfruttamento e casi in cui il lavoratore non è del tutto “vittima”, né il da-tore di lavoro spietato “sfruttatore”. Con il get-tito fiscale sottratto allo Stato, entrambi potreb-bero finanziare l’acquisto di un’assicurazione privata».

Due banche per il Sud

L’intervista-PietroSenesi«Bisognadaregaranzieachiinveste»

Enzo Giustino

MONDO pagina 6 inchiostro n. 2 – 2010

Napoletanisinasce,stranierisidiventaL’ambasciatoreacuimancailmare

di Francesca Marra

“Napoletani si nasce ed io lo nacqui”. La celeberrima frase del principe De Curtis, ri-veduta e corretta, si adatta bene al messaggio che ha voluto lanciare un napoletano all’estero. L’ambasciatore Terracciano si chiama Pasquale, praticamente un marchio di napoletanità. Pre-

siede la sede diplomatica a Madrid, nonostante l’importanza del ruolo non manca di celebrare con fierezza la sua città natale. «Sono orgoglioso di essere napoletano, ma non mi identifico nei classici cliché parteno-pei. Non bevo caffè. Mai». Ambasciatore Terracciano qual è l’immagine che gli stranieri hanno della città di Napoli? «Sicuramente positiva per storia e tradizioni culturali. Le condi-zioni di vivibilità e la scarsa sicurezza di una città difficile ne danno, in-vece, un’immagine negativa. Spesso mi trovo a dover smentire le visioni apocalittiche presentate dai media all’estero. La cronaca quotidiana dà risalto a episodi allarmanti. Uno su tutti, la questione della spazzatura. Titoli a tutta pagina, per mesi e mesi, sono stati propinati all’opinione pubblica spagnola condizionandone l’immaginario collettivo. Potrem-

mo dire che Napoli vista attraverso un ideale astratto è ammirevole, il resto non convince».

E invece come sono i napoletani all’estero? «I napoletani tendono a inserirsi molto bene in ogni contesto. Hanno una particolare attitudine all’adattamento. Sono legati alle proprie radici culturali partenopee, ma il loro grado d’integrazione è soddisfacente, soprattutto qui in Spagna, dove vi è una stretta comunanza di tradizioni, di usi, di costumi, comuni a entrambe le culture». La cultura napoletana e quella spagnola sono molto simili. Quali sono le differenze? «Le culture sono sicuramente vicine, ma non uguali. Gli spagnoli hanno più radicato il concetto di Stato e si identificano in un comune spirito civico che, ahimè, manca ai napoletani. L’orgoglio di appartenere a una comunità di cittadini, un atteggiamento più costruttivo e impe-gnato nel fare per migliorare, sentirsi cittadini nella propria città: sono alcune differenze tra i due popoli, ma che li allontanano anni luce». E in Lei, quanto è ancora forte lo stile di vita “alla napoletana”? «Cerco di sentirmi napoletano anche lontano da casa. Mangio la pizza in Spagna, anche se è difficile trovare posti in cui poterla assaporare con gusto. Purtroppo qui non è rispettata l’antica arte della lievitazione del panello, si congela tutto. Ho un amore particolare per la can-zone, quando l’ascolto mi si muove più di una corda dentro. Fortunatamente, oltre i confini, la musica non ha assunto l’inflessione neo-melodica che tanto impazza a Napoli. Mi diverte ascoltare canzoni come “‘O Sole mio”, “‘O Surdato ‘Nammurato”, in contesti in cui mai mi sa-rei immaginato di sentirle. Ho assistito anche ad una performance di Santa Lucia in svedese». Come placa la nostalgia di Napoli? «Torno spesso a casa. Non mi piace mischiarmi al caos della città, preferisco restare nella mia casa di Posillipo. Sono affezionato a quei luoghi e ai suoi paesaggi, il vivere quotidia-no mi attrae di meno. Amo Napoli più come luogo dell’anima che come luogo fisico». Ci sono posti in Spagna che le ricordano Napoli? «Ci sono scorci della Spagna mediterranea, da Barcellona a Cartagena, che stupiscono per quanto possano sembrare simili alle vedute della città partenopea. Napoli è unica. La ritro-vo, però, spesso in piccoli dettagli delle città spagnole: un porticciolo, una veduta, una stradina del centro storico di Barcellona. È più vero il contrario. Napoli ha tanta Spagna dentro: Palazzo Reale, Castel Sant’Elmo, le chiese. Nell’architettura partenopea ritrovo i segni indelebili di una cultura spagnola che si è completamente fusa con quella napoletana».

di Francesca Romaldo

Da ragazzo posava per stilisti di fama internazionale. Oggi è un imprenditore di suc-cesso a Napoli. Al centro, da spartiacque, una laurea in Business Administration a Parigi e un master in Financial Economics in Gran Bretagna. Massimiliano Neri ha 33 anni e gestisce, con la sorella Monica, due ristoranti giappone-si nel centro di Napoli. La sua carriera nel mondo della moda inizia a 17 anni, quando a Capri il fotografo Bruce Weber lo nota e lo ingaggia per una campagna pubblicitaria di Versace. Dopo il diploma il suc-cesso arriva quasi immediato. Sfila e posa per le più grandi case di moda internazionali, Ferrè, Iceberg, Krizia, Versus, D&G. Lavora a Miami, New York, Sydney, Auckland, Tokyo e infine si stabilisce a Parigi. A 21 anni si rende conto che il mondo brillante delle copertine e delle passerelle non durerà per sempre. Si iscrive all’università in Francia e poi segue un master in Inghilterra. Per la tesi si trasferisce a Tokyo e resta lì un anno e mezzo. Concluso il master, apre a Napoli un piccolo take-away giapponese che piace subito ai napoletani. Kukai oggi è la più famosa catena di Sushi Bar partenopea. Lei ha iniziato giovanissimo a lavorare. Da bambino sognava un futuro nella moda? «No. Non avevo mai neanche immaginato di poter lavorare come modello». Per seguire sfilate e set fotografici ha viaggiato in tutto il mondo… «Ho iniziato a lavorare a Milano e durante le settimane della moda mi spostavo a Parigi e New York. Sono stato in Australia, in Nuova Zelanda, a Miami, a Tokyo». Poi ha deciso di ricominciare a studiare. «A 21 anni mi sono iscritto all’università. Ho scelto un corso di Economia a Parigi, poi un master in Inghilterra. Per la tesi sono stto a Tokyo 1 anno e mezzo. Da allora ci torno appena posso.». Quali sono le differenze culturali tra Napoli e il Giappone? «Napoli e Tokyo sono agli antipodi. Torno in Giappone così spesso proprio perché riesco a trovare quello che qui non c’è. La sicurezza prima di tutto. Il rispetto per la persona. Il senso estetico». Noi non abbiamo gusto per il bello? «Nella cultura occidentale il senso estetico appartiene a una classe acculturata. Per i giapponesi è invece un valore intrin-seco anche nelle caste sociali più basse». Cosa ci accomuna invece? «Sicuramente il senso dell’ospitalità». Qual è l’immagine che gli stranieri hanno di Napoli? «È considerata una città estremamente sporca e pericolo-sa». Cosa ha mantenuto delle sue abitudini napoletane? «Sono sicuramente napoletano nella gestione dei rapporti interpersonali». Cosa invece ha volentieri dimenticato? «La disorganizzazione burocratica. A Napoli la persona deve adattarsi alla città. In Giappone invece è l’esatto opposto». Alla fine ha comunque deciso di tornare a Napoli. «In realtà è successo per caso. Quasi per gioco, io e mia sorella investimmo in un pic-colo locale a Napoli che faceva sushi da asporto. Il successo fu inaspettato. Oggi gestiamo due ristoranti e 20 dipendenti». C’è un luogo napoletano al quale è particolarmente affezionato?«Faccio lunghe passeggiate sul lungomare, adoro il belvedere di Castel Sant’Elmo, il parco Vir-giliano. Amo profondamente Napoli. Per questo mi fa male e mi imbarazza il degrado cittadino e la mancanza di senso civico del popolo napoletano».

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di Romolo Napolitano

Al mondo ci sono troppi napoletani: quelli tunisini, quelli texani e quelli del Tenne-see. Tra quartieri, municipalità e città, esistono più di trenta località sul pianeta che hanno il nome del capoluogo campano. Tradotto o tran-slitterato diventa Naples in America, Nàpoles in Messico e Colombia, Neópolis in Brasile, Neapolis in Grecia, Nabeul in Tunisia e Nablus in Palestina. Molti di questi luoghi non hanno una relazione con Napoli, se non nell’etimolo-gia comune di “città nuova”, ma non mancano sorprese e riferimenti alla cittadina partenopea

che restituiscono le immagini che la nostra metropoli dà di sé all’estero.

La città di Naples in Florida, per esem-pio, ha un clima mite e un mare pescoso. I fondatori decisero di darle questo nome per-ché erano convinti (bontà loro) che la baia di Naples fosse più bella del Golfo di Napoli. Meno ambiziosi i cittadini di Naples nello sta-to di New York o quelli del Maine, che con il nome della città rendono un esplicito omaggio a Partenope. I “napoletani” di Long Beach in California invece non si fermano al nome del quartiere, ma hanno anche via Toledo, case con tetti rossi e canali con gondole in stile ve-

neziano, perché per loro Napoli rappresenta tutto il Belpaese.

Unico il caso di un paesino nello sta-to dell’Idaho (USA): qui nel diciannovesimo secolo alcuni operai napoletani costruirono la prima ferrovia della zona. Un evento che gli autoctoni vollero onorare dando il nome di Na-ples alla loro cittadina, credendo così di aver celebrato una città oltreoceano abitata da gran lavoratori. Ambiguo poi è il significato che a Napoli viene dato da uno dei più grandi narco-trafficanti della storia, Pablo Escobar. Il colom-biano, infatti, acquistò alla fine degli anni Set-tanta una proprietà rurale di 30 km quadrati, e la chiamò Azienda Nàpoles. Resta da capire se il nome fosse dovuto alla particolare ferti-lità del suolo o fosse un omaggio a una delle più grandi basi di spaccio d’Europa. Il simbolo dell’azienda Napoli, d’altronde, era la riprodu-zione dell’aereo con cui Escobar mandò il suo primo carico di cocaina negli Stati Uniti.

Esistono infine città che non si chiama-no Napoli, ma sono soprannominate così. È il caso di Kagoshima in Giappone: posizionata su una baia, con un clima mite e il vulcano Sa-kurajima alle spalle, la città nipponica è chia-mata “la Napoli del Sol Levante” per analogia con il capoluogo campano. Le due metropoli sono anche gemellate da mezzo secolo e i giap-ponesi hanno intitolato a Napoli una strada alberata con tre corsie per senso di marcia. I

partenopei hanno ricambiato il favore come potevano, dando il nome di via Kagoshima a una stradina angusta del Vomero con un’unica corsia a doppio senso di marcia.

Mare, sole, golfo. Sono sicuramente questi i leitmotiv che fanno intitolare città, quartieri e strade a Napoli. Ma se girando per il mondo, tutte le Napoli si assomigliano in bel-lezza, è anche vero che ogni Napoli è infelice a modo suo. E almeno in questo i partenopei sono più napoletani degli altri.

Pasquale Terracciano

Massimiliano Neri

Neaples in Florida

Kagoshima in Giappone

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IlpopoloemigranteCifreenumeridiunfenomeno

di Livio Pane

Sono 4 milioni gli italiani residenti all’estero. Il dato, che riguarda il 2009, è stato diffuso dalla fondazione Migrantes. L’Aire, l’anagrafe degli ita-liani residenti all’estero, rileva che dei 4 milioni che sono emigranti e hanno la residenza all’estero, un milone e ottocentomila sono donne, mentre 650 mila sono i minorenni. Sempre secondo questi dati, il 54,8 percento degli italiani all’estero è originario del Meridione, precisamente 1 milione e 400 mila pro-vengono dal sud e quasi 800 mila dalle isole. Nella classifica delle regioni con il maggiore numero di emigranti la Campania è seconda solo alla Sicilia.

Salerno e Napoli risultano rispettivamente quarta e quinta fra le città con il numero maggiore di iscritti all’Aire, precedute da Roma, Agrigento e Cosenza. Ma la Campania un primato in materia di immigrati ce l’ha, quello di Castelnuovo Di Conza, piccolo paesino in provincia di Salerno, che con i suoi 677 abitanti e 1930 residenti all’estero ha una percentuale di circa 3 emigranti per ogni 4 castelnovesi.

Quelli che oggi espatriano sono meno numerosi rispetto al passato, e con una preparazione culturale molto più elevata, per questo si parla spesso di fuga dei cervelli.

Nel 2007 gli universitari italiani iscritti negli istituti di studi superiori d’altri Paesi erano oltre 41 mila. Molti hanno avuto la possibilità di studiare all’estero anche grazie ai programmi dell’Erasmus, che tra il 2006 e 2007 con-tavano circa 18 mila studenti. La prima motivazione per la quale si decide di partire è sempre la ricerca di lavoro.

Buona parte dei cittadini italiani residenti all’estero è riuscita a trovare una condizione di vita e di lavoro soddisfacente, ammettendo che le difficoltà iniziali derivano quasi sempre dalla nuova lingua da imparare e dalla ricerca di un posto fisso.

Ciò che è importante fare in Italia, è riuscire a legare insieme i termini emigrazione e immigrazione. Nel nostro Paese, dopo i recenti avvenimenti di Rosarno e Castelvolturno, e l’esasperazione per i continui fatti di cronaca nera che interessano extracomunitari, si è portati a qualificare negativamente questi flussi, che altrove vengono considerati la chiave del progresso.

Il Rapporto Istat del 2006 ha rilevato che gli stranieri residenti nel no-stro Paese partecipano al mercato del lavoro più degli italiani. Il loro tasso d’atti-vità è pari al 73,7 percento, superiore quindi di ben 12 punti percentuali rispetto a quello della media della popolazione italiana. Gli immigrati, inoltre, svolgono prevalentemente professioni a bassa specializzazione che spesso non attirano gli italiani. Infatti quasi 3 stranieri su 4 sono operai o svolgono un lavoro non qualificato. Gli uomini in genere si collocano nei settori dell’edilizia, dei tra-sporti e dell’agricoltura, a eccezione dei cinesi che trovano largamente impiego nell’ambito della produzione tessile e dell’abbigliamento, mentre le donne pre-valentemente sono impiegate come domestiche.

Sono molti gli incontri nel mondo che sono legati a Napoli e alla sua cultura.Per saperne di più è possibile consultare i seguenti siti web.

L’elenco di tutti gli istituti di cultura italiana nel mondo è sul sito del ministero degli esteri:

http://www.esteri.it

Gli istituti di cultura italiana all’estero che al mo-mento hanno in programma eventi partenopei sono quelli di:

VARSAVIA: http://www.iicvarsavia.esteri.it

ZAGABRIA: http://www.iiczagabria.esteri.it

MARSIGLIA: http://www.iicmarsiglia.esteri.it

LONDRA: http://www.iiclondra.esteri.it

TUNISI: http://www.iictunisi.esteri.it

Per conoscere le sedi delle associazioni di Campa-ni all’estero è possibile consultare il sito web della Regione:

http://www.campaninelmondo.org

Per informazioni sulla “Pizza Therapy”:

http://pizzatherapy.com

Il sito del Museo del Mandolino di Tokyo è:

http://www5d.biglobe.ne.jp/mandolin/index.html

Pulcinella?No,misterPunchCosìviaggialaculturapartenopea

di Paola Cacace

Pulcinella, pizza e mandolino. Sono le parole più cercate su Google associate a Napoli, con picchi rispettivamente in Svizze-ra, Stati Uniti e Cile.

Quelli che sembrano i luoghi comuni più antiquati della cultura partenopea, espor-tati all’estero, diventano valore aggiunto. Nel resto del mondo, infatti, gli istituti di cultura italiana, e non solo, pullulano d’eventi legati a Napoli, ai suoi artisti, alle sue tradizioni, ai suoi frizzi e lazzi. E a riempire di pubblico questi incontri non sono solo i campani emi-grati ma gli stranieri stessi che apprezzano sempre più il nostro patrimonio culturale. Si creano così nuove tradizioni, eventi che diventano appuntamenti fissi con cadenza annuale, mensile se non settimanale.

Dopo un inverno ricco di autori par-tenopei, e retrospettive su Totò e i De Filip-po, la primavera è altrettanto promettente con molti impegni già stabiliti e altri in pre-parazione.

Un tour immaginario inizia dal Mu-seo del Mandolino di Tokyo con le sue “se-rate del venerdì” a base di pietanze della cu-cina campana, in sottofondo note di canzoni classiche partenopee suonate dal vivo.

Spostiamoci poi a Bruxelles. All’inse-gna della musica sono anche i weekend di marzo all’istituto italiano. A intrattenerci le tammuriate napoletane del gruppo Dama-dakà, nominato ambasciatore artistico della città di Napoli dalla Regione Campania dopo un recente tour francese. Rimaniamo in Bel-

gio per vedere la mostra “Aria Acqua Terra Fuoco” della napoletana Adriana Pignatelli Mangoni. L’esposizione, che proseguirà agli inizi di marzo a Instanbul, e poi a Malta e Atene, ripercorre l’itinerario fatto dai viag-giatori del Grand Tour alle falde del Vesuvio grazie a una rivisitazione della tecnica della gouache.

Continuando il giro degli istituti di cultura italiana, in Europa da marzo possia-mo vedere anche i film di Paolo Sorrentino: l’undici a Varsavia con “Le conseguenze dell’amore”, il 17 a Zagabria con “L’amico di famiglia” e con quest’ultimo film il 25 ritor-nare in Polonia.

Di Sorrentino è anche “L’uomo in più”, proiettato il 18 all’istituto di Cultura di Marsiglia, un omaggio a Toni Servillo che potremmo incontrare il 31 marzo allo stes-so istituto dove presenterà la “Trilogia della villeggiatura”, sui palcoscenici francesi ad aprile. Facendo la spola tra l’Inghilterra e la Tunisia la musica resta protagonista, quella della Tarantella e della zampogna a Londra e quella dei solisti del teatro San Carlo che il 17 marzo saranno a Tunisi con il concerto “Verdi a Napoli”.

E se il 20 marzo termina a Nairobi un corso di cucina italiana, ricco di piatti della tradizione partenopea, dal ragù della domenica al sartù di riso, si può andare in Australia per imparare la “Pizza Therapy”, ossia come fare la vera pizza napoletana e dimenticarsi i propri malanni. Invece, a Copenaghen il 26 avrà luogo un dibattito di alcuni studiosi di cultura e lingua italia-

na danesi, da seguire se vogliamo smentire i miti che ci vorrebbero mangiatori di sola pizza. Se, invece, si preferiscono i dibattiti impegnati, andiamo il 25 marzo a Melbou-rne, per una lettura di “Gomorra” di Roberto Saviano.

Seguiamo poi Erri De Luca negli Usa. L’autore napoletano presenterà il suo ultimo libro “Il peso della farfalla”, il primo aprile a San Francisco e il 7 a Los Angeles e a San Diego. Erri De Luca, che non vive più a Napoli da tempo, si prepara per il viaggio e commenta: «Esporto la mia origine. Vengo da Napoli. Napoli non mi è stata madre ma causa e io sono uno dei suoi effetti. Porto in giro la mia indifferenza meridionale alle ce-rimonie, la mia pazienza meridionale verso il peggio».

E “da Napoli” sono anche le fotogra-fie di Mimmo Jodice, che possiamo ammira-re dal 15 aprile fino al 21 maggio all’istituto italiano a Parigi, nella mostra “Napoli Inti-ma” che fa parte del ciclo “Volti di Napoli”.

E se la cultura napoletana è emigran-te come il suo popolo, lo è anche la sua ma-schera più famosa grazie al burattinaio Bru-no Leone in tournée tra Stoccolma, Città del Messico e Miami con “Storie di Pulcinella”. Non è la prima volta. Anzi, leggenda vuole lo stesso Pulcinella emigrante in Inghilter-ra per vivere nuove avventure con il nome di Punch e la moglie Judy. Così da cliché, stereotipo del napoletano tipo, Pulcinella è trasformato in mito dagli inglesi che gli de-dicano sia un museo a Brighton, sia uno dei pub più famosi di Londra.

Pizza, sole @ web

Per gentile concessione dell’archivio Parisio - Troncone

CULTURA pagina 8 inchiostro n. 2 – 2010

TralacatastrofeeilriscattoBocca:«Unamegalopoliinguaribile»

di Raffaele de Chiara

Pessimista per necessità più che per scelta, il giudizio su Napoli e i napoletani di Giorgio Bocca, il grande vecchio del giornali-smo italiano, non cambia. Classe 1920 è stato tra i maggiori fau-tori della lotta partigiana; nel corso della sua carriera ormai ultrasessantennale ha scritto per le migliori testate nazionali da “il Giorno” a “la Repubblica” passando per “l’Europeo” e “l’Espresso”. L’ultimo suo lavoro da poco usci-to in libreria è “Annus horribilis” un saggio pungente sui mali dell’Italia e della società at-tuale nel suo complesso. Raggiunto al telefono nella sua casa milanese, sebbene cortese e disponibile al confronto, non manca di lanciare il suo j’accu-se contro il proverbiale malcostume della città e dei suoi abitanti: «Una megalopoli inguari-bile. Non c’è alcuna possibilità di curare una città così». Nel 2006 nel suo saggio “Napoli sia-mo noi” scrisse suscitando non poche polemi-

che: “La Napoli delle persone perbene c’è ancora e pensa alla camorra con sdegno e vergogna. Ma sono volenti o nolenti, compagni di strada della Napoli senza leggi”.A quattro anni di di-stanza da “Napoli sia-mo noi” qual è il suo

giudizio sulla città? «L’Italia intera oramai è tutta come Napoli; il denaro come unico valore sta segnando la fine della morale non solo dalle vostre parti ma in tutto il mondo». Continua a parlare di una città amorale e priva di valori. C’è un ruolo che gli uomini di cultura potrebbero svolgere per risanarla e restituirle dignità? «Quelli che lei chiama gli uomini di cultura fanno di tutto per rendere la città peg-giore. Di intellettuali che si impegnano civil-mente ne conosco davvero pochi». Quali prospettive ci sono per i giovani della Napoli di oggi? «Pochissime, non a caso vanno via tutti». Trova giusto che si emigri altrove?«Se io fossi giovane scapperei, si va dove c’è

lavoro e dove ci sono prospettive di vita mi-gliori».Non sarebbe più op-portuno, specie da par-te delle giovani gene-razioni, rimanere qui e impegnarsi perché qualcosa migliori?«Opportuno sì, ma è un sacrificio. Per que-ste cose qui però è inutile fare i moralisti; i giovani hanno diritto di trovare le strade mi-gliori per la loro vita, anch’io quando ero giovane sono andato via dal mio paese di ori-gine in cerca di un’esistenza migliore».Se dovesse lanciare un messaggio ai ragazzi partenopei che hanno appena terminato il pro-prio corso di studi e che si accingono a entrare nel mondo del lavoro che cosa direbbe?«Venite via, come si fa a stare lì».Non le sembra con il suo atteggiamento di fare solo critica senza proporre assolutamente nul-la di costruttivo? «Cosa vuole che proponga, non è mica sem-plice. Io sono pessimista nel senso che voglio vedere le cose soltanto come stanno». Come vede la Napoli del futuro? «Non lo so. Di recente sono stato in costiera amalfitana per ritirare un premio di giornalismo. Lungo i tornanti che mi riporta-vano in albergo ho avuto modo di osservare la città dall’alto. La visione di questo mare di case, di questa megalopoli inguaribile mi ha raggelato il cuore. Non c’è alcuna possibilità di curare una città così». Lei continua a vedere una Napoli senza prospettive in cui a predominare sono soltanto l’amoralità e l’ingovernabilità, dove i giovani non hanno altre opportunità se non quelle di andare via. Quali sono le responsabilità della poli-tica in tutto questo sfacelo? «Lei mi fa domande troppo virtuose. Non basta la buona volontà. Il dato di fatto è che le megalopoli moderne fanno schifo».

di Violetta Luongo

«Napoli è la città dal-le mille anime che la rendono unica». Rachele Furfaro, ex assessore alla Cultura del Comune di Napo-li, presiede la Fonda-zione Campania dei Festival.Giorgio Bocca e Do-menico De Masi han-no un’immagine di Napoli catastrofica. È d’accordo?«Mi farebbe piacere conoscere l’immagi-

ne catastrofica di Boc-ca e De Masi. Entrambi non abitano e quindi non vivono quotidianamente Napoli che sicu-ramente ha molte contraddizioni, ma anche punte di eccellenza e una “normalità” che le permette, nonostante le difficoltà, di essere una grande capitale. Certo non mi rispecchio nella città che Bocca ha raccontato in “Napoli siamo noi e in “Inferno”. Sono convinta che dalle contraddizioni emergano i grandi cam-biamenti e gli adattamenti che una città è por-tata a fare nel suo evolversi. Penso inoltre che esistano una città oggettiva, una città percepita e una città immaginata. Queste tre città spesso non combaciano. Nella Napoli catastrofica di Bocca in realtà si ritrovano tante città di oggi: la sua, per me, è un’analisi dei rischi e dei pro-blemi che si trovano ad affrontare oggi le gran-di metropoli. E su questi elementi catastrofici anche Napoli sta proponendo le sue piccole grandi soluzioni che potranno valere anche per le altre metropoli che vivono i suoi stessi problemi. Dice Adonis poeta franco-libanese, ospite della prima edizione del Napoli Teatro Festival: Napoli non ha problemi diversi da al-tre città, ma li esprime con intensità inusitata». Cosa la spinge a tanto ottimismo? «In questi ultimi dieci anni abbiamo assistito all’emergere di due città opposte: la Napoli del rinascimento napoletano nella quale si è identificata e alla cui costruzione ha partecipato la parte sana della città, e la Napo-li avvilita dalle vicende dei giochi di potere e dai soprusi. Ci sono state fasi in cui Napoli e i napoletani sembrava avessero recuperato una propria identità e forza e che la città dei “lazza-

roni” aveva lasciato il posto alla nuova immagi-ne di città Europea unanimamente riconosciu-ta. Negli anni 90 si è pensato che il traguardo raggiunto fosse definitivo. La storia recente ci racconta, invece, che la cosa più difficile è il mantenimento di questa condizione». Cosa si contrappone alla città dei rifiu-ti, del malaffare, della litigiosità politica? «Alla città del malaffare si contrappo-ne la società civile, che vive nella legalità». Napoli è la città dei luoghi comuni, come nascono? «Sono il frutto di una stratificazione di cambiamenti economici, sociali che in questa città hanno avuto anche esiti molto drammati-ci, penso per esempio alla crisi post-industria-le e al terremoto». Il Napoli Teatro Festival è una vetrina per la città. Come ci vedono gli stranieri? «Ci considerano partner affidabili. Il Napoli Teatro Festival è una realtà giovane. Si è subito proposta alla realtà internazionale con professionalità alte, standard di qualità ed ele-menti innovativi». Come può Napoli riconquistare una forte immagine internazionale? «Proseguendo nel dialogo con Istitu-zioni e professionisti internazionali». Che cosa fa la Regione per valorizzare la città? «La Regione Campania ha creato in questi anni condizioni di stabilità affinchè si potesse lavorare con una prospettiva di lungo periodo. Questo ha permesso di far nascere profes-sionalità oggi in-dispensabili nelle cooperazioni con altre Regioni e Na-zioni».Come mai si re-gistrano ancora “fughe di cervelli”? Come si può evitare l’esodo? «La mobilità anche professionale non va vista sempre come una fuga. Oggi è im-portante coniugare l’identità locale con quella internazionale. I nostri giovani devono saper investire in entrambe le direzioni. Chi possie-de questa capacità ha una marcia in più in tutti i settori, ma soprattutto in quello della cultura. Come dice Italo Calvino: le cose vicine si vedo-no meglio da lontano».

Furfaro:«No,unagrandecapitale»

ONLINEDomenico De Masi:

“Questa città sprofonderà” http://www.unisob.na.it/inchiostro

Giorgio Bocca

Rachele Furfaro

“Il suonatore di liuto” di Caravaggio

lama simile a quella che uccise l’immortale Ferruccio avrà mostrato il suo bel colorito bianco come il Carrara prediletto da Michelangelo, avvolgete quelle morbide fette in un lino grezzofilato dalle gran drapperie toscane. Poi lasciatele per qualche minuto alla leggera brezza di quelle colline che conferirà loro un sentire d’olivo, di mandorlo e di sottobosco impregnando-si anche, come impercettibilmente, dell’eco delle corti d’amore che ancora sembrano accadervi fra Boccaccio e Fiammetta o fra Pietro Aretino e le donne di piacere che, nella sua penna, hanno guadagnato l’immortalità. Portate poi quelle fette al calore di una cantina di una vecchia stalla di un palazzo rinascimentale dove la terra toscana ha assunto tutto il vissuto e il colore dei rossi mattoni cotti nelle antiche fornaci e ponete quelle fette su un vassoio di cristallo che abbia tutto il nitore delle stoviglie di Cisti forna-io, protagonista di una novella di Boccaccio. Bagnate quel pane con l’olio sempre benedetto di quelle colline facendolo cadere goccia goccia da un orciuolo in cui prima avrete fatto brillare per qualche secondo il riverbero dei fuochi che scoppiettano nel grande camino del Palazzo. Condite con appena un pizzico di sale del Mar Tirreno raccolto all’estuario di Pisa ed essiccato secondo l’antica ricetta di Galileo. Forse non sarete tutti Lorenzo, ma vi sentirete tutti Magnifici!

Pane e Uoglio alla Napoletana Scippate un palatone a un rivenditore per strada e cercate di to-glierci di sopra almeno un po’ degli scarichi d’auto. Fate qualche scongiuro contro le bestemmie che i camorristi che lo hanno preparato vi hanno cer-tamente impresso. Tagliatelo a fette cercando di usare un pugnale che non sia servito, almeno di recente, per nessun accoltellamento, quindi schiaf-fateci sopra un poco d’olio, evitando almeno quello “extra-vertigine” usa-to degli aerei, normalmente venduto con l’etichetta di extra-vergine nelle salumerie di Napoli. Schiaffateci pure un poco di sale del Golfo inquinato. Non fa nulla, tanto il ricovero in ospedale, soggiornando da queste parti, è quasi inevitabile. Abbiate la furbizia di essere ricchi e di non farvi ricove-rare in un lazzaretto locale, ma in una clinica da qualche altra parte.

Estratto dal Trattato di gastronomia antropologica, Ignoto del XXI Secolo.

NovitaGuidaeditorisegue da pagina 1

pagina 9

Unpo’d’EuropaincittàBritish,Cervantes,GoetheeGrenoble:losguardodeglialtri

di Enrico Parolisi

Da Napoli a Teheran. È l’urlo disperato di tre donne iraniane nei giorni della rielezione di Mahmud Ahmadinejad lo scatto che vince il premio World Press Photo 2009. Dietro l’obiettivo un 30enne di Piano di Sorrento, Pietro Masturzo. Una foto rubata, come le altre scattate in Medio Oriente. Il reporter non aveva il permesso di fotografare, ma per raccontare la protesta contro il regime islamico non si è perso d’animo ed è salito sui tetti della capitale. Da fotografo di frontiera, il mondo invece che foto ha di Napoli? «Tutti la riconoscono come una città particolare, piena d’ener-gia. Positiva e negativa». Uno scatto di Napoli all’estero, oggi, è più vicino a un panorama da Posillipo o a una foto dei rifiuti? «In questo momento mi sento di dire più vicino alla foto dei rifiuti. C’è sicuramente una responsabilità dei media in questo. Quando c’è da raccontare qualcosa di negativo sono tutti più bravi. Il mandolino è passato in secondo piano rispetto alla monnezza, per intenderci». Qual è la differenza tra fotografare Napoli e fotografare l’estero?«Fotografare casa propria già di per sé è difficile, perché può mancare l’occhio critico di chi ha sempre quella realtà sotto gli occhi. Se poi casa si chiama Napoli, il rischio di cadere nei luoghi comuni è altissimo». I fotografi stranieri che oggi immortalano Napoli cadono in que-sti luoghi comuni?«Alcuni sì. È difficile fotografare Napoli, iconograficamente è stata rap-presentata in tutto il mondo. C’è qualcuno che la racconta con più ori-ginalità e obiettività, ma è facile finire a parlare dei panni appesi dei Quartieri spagnoli. Non è detto che sia sbagliato, Napoli è anche quello. Ma raccontarla nel profondo, nell’essenza, è molto più complicato». C’è qualche fotografo straniero che consiglierebbe per avere un’immagine di Napoli?«Sono stato qualche mese fa a una mostra di Johnnie Shand Kydd pro-prio a Napoli, al museo Madre. Una serie di foto in bianco e nero belle e mai banali. Ecco, consiglierei lui».

Masturzo:«Fotografatemanoniluoghicomuni»

di Giulia Savignano

L’Europa a Napoli. Non è l’appuntamento per una sessione di lavori dell’Unione Europea, ma la fotografia di un interesse sempre più vivace che la cultura della città su-scita nei confronti di alcuni Paesi del vecchio continente. In un’area di pochi chilometri quadrati che va dal Vomero a Chiaia, si concentrano i 4 istituti simbolo dei Paesi europei più importanti. Per José Vicente Quirante Rives, direttore dell’Isti-tuto Cervantes da 5 anni, Napoli è la sua città d’adozio-ne. «E’ un punto di riferimento importante per la storia dell’Europa; una culla della civiltà con un ricco patrimo-nio culturale, condiviso per ben 3 secoli con la Spagna», spiega il direttore, sottolineando di non voler parlare di ‘dominazione’ ma piuttosto di appartenenza della città all’allora Corona spagnola. L’amore per una città problematica che contrap-pone il caos e i disservizi alla proverbiale creatività dei suoi abitanti, tanto che “a Napoli tutto è possibile”, ha spinto Rives a fondare in Spagna la casa editrice ‘Parteno-pe’, che ha pubblicato i maggiori romanzieri napoletani contemporanei, come La Capria, Rea e Montesano. «Il Forum delle Culture del 2013 è un treno da non perdere. La ripresa della città deve passare per una rinascita culturale». Anche il responsabile dei corsi al British Council Jeff Fawler denuncia il senso di abbandono della città da parte dello Stato. «Quanto è bella Napoli, anche se potreb-be esserlo ancora di più».

L’immagine che arriva in Inghilterra è quella di un gioiello paesaggistico e culturale; una città vivace e ac-cogliente dove «si fa subito amicizia e da un momento all’altro ti trovi a prendere il caffè con quello che hai appe-na conosciuto». Ma a colpire l’immaginario collettivo è anche la fotografia impietosa di una città pericolosa e trascurata, dove i turisti non si sentono sicuri. «L’emergenza rifiuti e lo scarso intervento delle forze dell’ordine negli episodi quotidiani di inciviltà contribuiscono ad alimentare que-sta percezione», conclude Fawler. «Potrei dire tante cose che non vanno a Napoli, ma se sto qui da 16 anni non è per puro masochismo», afferma sorridendo Marion Bouveris, insegnante di fran-cese all’Istituto Grenoble. «La città è divisa in due, ma grazie al mio carattere sono riuscita a integrarmi bene sia nei quartieri popolari che in quelli benestanti. I napoleta-ni sono persone meravigliose, premurose ed è bello sape-re di potersi appoggiare a loro». L’immagine che arriva Oltralpe è sicuramente quella stereotipata della città difficile, ma è solo vivendoci che si riesce a comprendere e amare Napoli. «Certo, l’inciviltà regna sovrana e per sopravvivere in questa giungla sono stata costretta a procurarmi delle buone dosi di furbizia e menefreghismo. All’inizio ero puntuale e precisa, poi vedendo la scorrettezza degli altri ho iniziato a eliminare lo stress, e il mio fegato ringrazia». Anche in Germania Napoli viene percepita con tutte le sue contraddizioni. Maria Carmen Morese, di-rettrice dell’Istituto Goethe, si definisce un ibrido tra la cultura italiana e quella tedesca. Napoletana d’origine, ha studiato per molti anni in Germania, e con il suo libro “Istruzioni per l’uso di Napoli”, premiato alla Borsa Inter-nazionale del Turismo a Berlino nel 2009 come miglior guida turistica letteraria, è riuscita a far dimenticare l’im-magine negativa di Napoli, la città di montagne di spazza-tura maleodorante. «La mia città è straordinaria, una bellezza paesag-gistica senza eguali con un popolo che non si lascia mai demoralizzare. Purtroppo, soprattutto nelle riunioni in-ternazionali a cui mi capita di partecipare, il nome Napoli evoca ancora ‘immondizia’ e ‘camorra’. Mi auguro davve-ro che la città possa superare questi problemi strutturali, che non sono degni del suo valore e della sua tradizione».

Neilibricompaionoleferitesospette di Gennaro Di Biase

Rintracciati da un demone intervistatore, Dickens, Goethe o Sartre concorderebbero: se volete un regolare esempio di sregolatezza, segnatevi Napoli.

Città viscerale e struccata, provocatoria e provo-cante; gente enigmatica, che ozia e brucia nella sua sto-ria frenetica e a tratti non infelice: «Lazzaroni in abiti di stracci dormono sdraiati nei vani delle porte, nelle fosse di scolo, sotto gli archi; i signori, i ben vestiti, scarrozzano su e giù per via Chiaia». Vitalità e marciume: così è la folla di Parthenope vista da Dickens in “Impressioni di Napoli” del 1844. Sul traffico urbano si è andati avanti ma non ci si è evoluti, «poiché parrebbe che tutti gli abitanti di Napo-li abbiano lasciate le loro case per correre a gran velocità su e giù per le strade con le loro carrozze. E non è a dire che rechino un carico leggero». Dickens sentenzierebbe che i napoletani si intrappolano nella loro stessa furbizia, nell’indifferenza tutta partenopea tra imbroglio e sim-patica lezione d’astuzia: «Eccola che si risveglia coi suoi Pulcinella, borsaioli, buffi, mendicanti, stracci, splendo-re e sporcizia e generale degradazione», «e accattonaggi e furti per ogni dove e ad ogni ora». Al fascino «sudicio della sudicia Napoli» risponde quello polveroso della vita immortalata dal Vesuvio, minacciosa sentinella, «crudele arbitro della sorte dell’intera amenissima regione»; e il pallore eterno di Ercolano, dove «nulla è più terribile delle molte prove della capacità della cenere, chiari indizi del suo potere irresistibile e dell’impossibilità di sfuggirvi». Secondo Jensen, che in “Gradiva” (novella del 1903, caso freudiano) è impazzito d’amore per la modella scolpita sulla pubblicità di un bassorilievo, Pompei è dello stesso erotismo indeperibile e perturbante, assieme sepolcrale e viva: «Ogni strada correva fra le antiche costruzioni mu-rarie come un gigantesco nastro bianco inteso a candeg-giare. Tutto era divenuto immobile e silenzioso, giacché in quest’ora degli spiriti la vita deve tacere e nasconder-si, perché i morti risorgano e comincino a parlare il loro muto linguaggio».

Sartre, negli “Spaesamenti” del 1952, dice di una Na-poli intestinale, genuina e tossica: «Un bagno fetido e dol-ce» di strade che si aprono «come l’incavo di un’ascella». Da buon turista gastronomico-esistenzialista, desideran-do vomitare tra i vicoli, illustrerebbe di Parthenope una verità inamovibile: «A Napoli ho scoperto l’immonda pa-rentela tra l’amore e il Cibo. Napoli non si rivela imme-diatamente: è una città che si vergogna di se stessa; tenta di far credere agli stranieri che è bianca, che è una città di casinò e di ville; e molti ci erano cascati, non sapevano vedere le ferite sospette che i viali borghesi avevano ai loro fianchi». «Mi sentivo immerso in un’enorme esistenza carnivora: un’esistenza sudicia e rosa che si rapprendeva su di me. ‘È fatta: sono a Napoli’». Insomma: secondo Sar-tre, Napoli puzza, e dove c’è puzza c’è vita.

Goethe, con meno violenza e un po’ d’entusiasmo preromantico, troverebbe salutari «le confusioni delle idee», la superstizione rituale, i movimenti di stomaco messi in vetrina: «Tutti scorrazzano in paradiso da mane a sera senza preoccuparsi troppo, e quando comincia a ri-bollire la vicina bocca d’inferno chiedono aiuto al sangue di san Gennaro; e con che cerca di difendersi tutto il resto del mondo dalla morte e dal diavolo, se non col sangue?». Napoli, credulona perchè incredula, rovescia le pupille e contagia la pelle di chi la vede: «È un paradiso dove si vive in una sorta d’ebbrezza obliosa. Mi par d’essere un altro. Ieri pensavo: ‘O eri matto prima, oppure lo sei adesso’». Né superlavoro né inefficienza: già nel 1787 il turista nor-dico è rapito da un’attiva forma di leggerezza: «Ho osser-vato attentamente questo popolo, e ho potuto constatare che vi è molta gente mal vestita, ma nemmeno uno che sia disoccupato».

Il demone avrebbe tra le zampe un foglietto di di-chiarazioni armonizzate: Parthenope, nel suo golfo, della civiltà obitorio e culla, ospita Apollo come uno straniero e Dioniso come uno di casa. Ma lei è di quelle dee che non badano alle differenze, che indossano la vergogna abbina-ta alla gloria.

di Pasquale Napolitano

Dati sconfortanti sull’Università di Napoli. Il 28,3 per cento dei neo dot-tori non trova lavoro a un anno dalla laurea mentre la media nazionale è praticamente la metà, il 14,9 per cento. “Bisogna – sostiene Malik Abrah, professore di lingua araba all’Orientale – cambiare strategia e preparare i ragazzi a un mercato globale”. Tre carriere universitarie in modo diverso guardano all’Università di Napoli. Francesca, studentessa pugliese iscritta a Napoli; Marco, napoletano laureatosi nella sua città; ed Emanuele, napoletano che ha deciso di studiare fuori.Come ha scelto la città in cui studiare?FRANCESCA. «Ho preferito l’Orientale a un altro ateneo perché preve-de lo studio della lingua giapponese, per me importante».MARCO. «Ho scelto la strada più semplice: proseguire con l’ambito di studi già affrontato, quello informatico, restando vicino casa».EMANUELE. «Volevo cambiare aria rendendomi più indipendente. Così ho scelto Siena e il suo corso di laurea in Scienze della Comuni-cazione».Come descrive la sua esperienza universitaria?F. «Soddisfatta della scelta, anche se le strutture universitarie sono spesso mal organizzate. Sicuramente è molto più utile rivolgersi ad altri studenti».M. «Avendo conosciuto ottimi compagni di studio, la strada è stata tutta in discesa».E. «Siena è una città tenuta benissimo e il suo polo universitario è dav-vero efficiente. Per me è stata preziosa l’esperienza Erasmus in Spagna, a Granada».Che opinione ha di Napoli e delle sue Università?F. «Riesco più o meno ad avere quello che mi serve. Uno dei principali problemi resta quello della sicurezza».M. «Napoli ha Università e professori ottimi ma soffre la mancanza di fondi».E. «Ho un’opinione negativa del funzionamento delle Università di Na-poli. Il caos della città sicuramente non aiuta».Ha intenzione di vivere a Napoli in futuro per proseguire gli studi o lavorare?F. «Sceglierò un’altra città per proseguire gli studi. Spero che Napoli si riveli un buon inizio».M. «Ora sono a Londra per un master. Credo di ritornare in Italia, non so se a Napoli».E. «Perché dovrei tornare dove c’è un livello di disoccupazione altissimo e i precari sono tanti?».

Università, studiare e dirsi addio

Schizzo d’inchiostro - A. L. Esposito

La foto di Masturzo, vincitrice del World Press Photo 2009

SPETTACOLI pagina 10 inchiostro n. 2 – 2010

InteatrosiparlanododicilingueNapoliFestival,palcoscenicosulmondo

di Emanuela Vernetti

Palcoscenico teatrale per sua naturale vocazione, Napoli si trasformerà per un mese nella metafora di se stessa. E non solo. Nella città partenopea sarà il mondo ad andare in scena con la terza edizione del “Napoli Teatro Festival Italia” dal 4 al 28 giugno. Non si tratta di uno dei tanti festival-rassegna, a volte un po’ autoreferenziali ed elitari, ma di un pantagruelico conte-nitore di programmi di lavoro comune. Più un cantiere aperto di progetti che cartellone.

Tutti gli spettacoli sono coproduzioni con le principali istituzioni europee e nazionali, una rete di relazioni che progres-sivamente ha creato un “siste-ma”, perché il Festival è diventato una moderna impresa culturale che dialoga con l’Europa.

Sui palcoscenici della cit-tà 3000 artisti parlano 12 lingue provenienti da 24 Paesi del mon-do, mentre solo nella scorsa edi-zione sono state 20 le creazioni coprodotte con i teatri e festival di Germania, Spagna, Gran Bre-tagna, Francia, Portogallo, Ar-gentina, Singapore e Stati Uniti.

L’obiettivo è realizzare una solida istituzione culturale, in grado di interagire con il resto del Paese e con le istituzioni straniere.

Il “come” è semplice: co-struendo progetti teatrali, dove la civiltà culturale italiana parte-cipi ad altre culture e saperi. Il percorso, però, è anche inverso, il dialogo di reciprocità non è a senso unico perché a essere rappresentata non è solo la Napo-li raccontata dagli stessi napoletani ma da altri punti di vista. Sguardi stranieri per interpretare i mille volti di una città com-plessa e multiforme. Durante la seconda edizione, l’americana Karole Armitage, coreografa dell’American Ballet e di icone pop come Michael Jackson e Madonna ha creato “Made in Naples” uno spettacolo sulla canonica figura di Pulcinella che sul suo

palco è diventato “altro” dall’iconografia tradizionale. Il count-down è già iniziato per la kermesse teatrale che

vede la città protagonista di un grande palcoscenico dal respiro multietnico e crocevia di culture teatrali diverse. Specchio del mondo di oggi, luogo deputato al confronto, il teatro non poteva non rilevare l’inevitabile evoluzione dei concetti di nazionalità e internazionalità, vestendosi così di un carattere fortemente multiculturale.

Il Festival ha promosso compagnie teatrali internazio-nali, composte da attori e registi italiani che hanno lavorato con artisti provenienti da diversi Pa-esi, formate appositamente per i progetti del Festival. La prima Compagnia Teatrale Europea è nata a Napoli nel 2008 con “L’Europèenne” di David Lescot e quest’anno gli attori europei che la comporranno saranno italiani, inglesi e immigrati di se-conda generazione appartenenti a comunità che risiedono da anni in Europa mentre la regia sarà affidata all’inglese Alexan-der Zeldin che presenterà la sua versione di “Romeo e Giulietta”.

Gli sconfinamenti dei pro-getti teatrali non hanno solo una dimensione esterofila ma anche regionale, si allunga oltre lo Stretto la mano tesa del Na-poli Teatro Festival: il direttore artistico della rassegna napole-tana Renato Quaglia ha chiesto al regista colombiano Enrique Vargas, un progetto su Palermo mentre “Napoletango” di Gian-

carlo Sepe sarà coprodotto dal Teatro Biondo dove arriverà la prossima stagione.

Spettacoli in entrata ma anche in uscita, molte delle pièce teatrali campane saranno presentate in altre città italiane e in molte delle capitali europee. Un Festival itinerante, sì, ma che sta conquistando sul campo la permanenza stabile a Napoli: capitale internazionale di teatro.

di Emanuele De Lucia

SCUOLA DI RECITAZIONE “TEATRO BRACCO”, via Tar-sia, 40 - 0815645323COSTI – 100 euroDIRETTRICE ARTISTICA: Caterina De SantisREQUISITI DI AMMISSIONE: età minima 15 anni

SCUOLA DI REGIA, MONTAGGIO, FOTOGRAFIA E SCENEGGIATURA ‘PIGRECOEMME’, piazza Portanova 11 - 0815635188:COSTI – da 300 a 2700 euroMAESTRI – regista Antonio Mauriello, scenografo Renato Lori, fotografo Ugo Lo Pinto

SCUOLA DI BALLO “SAN CARLO”, via San Carlo 98\F - 0817972471COSTI: 100\160 euroDIRETTRICE: Anna RazziREQUISITI DI AMMISSIONE - superamento di una prova fisico -attitudinale

SCUOLA DI DANZA FOLKLORICA AFRO-CUBANA ‘LA SALSA SOY YO’, via Kagoshima 4/6 – 0813416616:COSTI – 40/60 euroMAESTRI – Annia Elena Ballagas Negrete, Massimiliano e Alessandro Miliano, laureati all’Università di danze folklori-che afro-cubane ‘I.S.A.’ (Istituto Superiore de Arte dell’Ha-bana, Cuba)

SCUOLA ‘MUSIC & ART’, via F. Palazzi 46/a – 0815566879:COSTI – 15 euro di iscrizione e 90 euro per i corsiMAESTRI – Fabiana Martone e Simone De FeliceREQUISITI DI AMMISSIONE - provino

Eccodoves’insegnal’arte

“Siamocomeunbelpesceinunacquario”DaSanFranciscoparlaCorradoRustici,artistanapoletanoecosmopolita

di Alberto Canonico

La musica è la protagonista della sua vita e la passione per le note ha portato Corrado Rustici a vivere esperienze straordinarie. Nato a Napoli nel ‘57, è tra coloro che hanno rinnovato il suono delle produzioni italiane, contribuendo ai successi di Zucchero, Elisa, Bocelli e Negra-maro, solo per citarne alcuni. Lo abbiamo contattato a San Francisco, dove ormai vive da anni, per parlare di Napoli e del legame con la città natale, per capire qual è l’immagine che arriva all’estero, attraverso gli occhi di un napoletano che, seppur a distanza, conosce bene la realtà par-tenopea. Considerazioni di un uomo che ha lasciato presto la sua città per rincorrere i suoi sogni e affermarsi sulla scena internazionale.

Quando inizia la passione per la musica? Come ha comin-ciato a suonare?

«Sono nato in una famiglia con una forte predisposizione per la musica e l’arte. All’età di 5 anni ho imparato a suonare il mandolino da mia nonna, poi ho cominciato a studiare la chitar-ra».

Iniziare dal mandolino, seguendo la tradizione, fino ad arrivare al rock progressivo. Come è avvenuta questa trasforma-zione?

«In modo naturale, attraverso le esperienze che ho fatto seguendo mio fratello Danilo e poi rincorrendo il forte desiderio di trascendere quello che era, all’epoca, la mia esperienza musicale».

Rustici a 17 anni fa parte del gruppo rock Cervello e pubbli-ca l’album “Melos” prodotto da suo fratello maggiore su etichetta Ricordi. Nel 1974 forma i Nova che si trasferiscono a Londra e ottengono un contratto dalla casa discografica Arista. Pubblicano 4 album: “Blink”, “Bimana”, “Wings of love” e “Sun city”. Questo permette a Rustici di conoscere molti artisti e produttori britanni-ci. I lavori dei Nova ottengono un buon successo anche in Ame-rica, tanto che Rustici decide di andare a vivere negli Stati Uniti. Dopo la pubblicazione del loro quarto album, l’artista partenopeo lascia la band e da New York si trasferisce prima a Los Angeles e poi a San Francisco, dove entra in contatto con i maggiori artisti della scena interna-zionale.

Prima a Londra, poi a New York e a Los Angeles, infine a San Francisco. Era difficile continuare a vivere e suonare a Napoli?

«Forse non all’inizio, ma verso la metà degli anni ‘70, non solo Napoli, ma tutta l’Italia

rappresentava un contesto molto limitante e inaccettabile per un giovane assetato di confronti musicali e umani con quelli che erano e sono tuttora considerati gli eroi della musica».

Lei ha collaborato con grandi musicisti del calibro di Herbie Hancock, Elton John, Aretha Franklin, George Benson, ma ha anche lavorato nel ’91 con Enzo Avitabile. I musicisti napoletani hanno un seguito all’estero o gli stranieri conoscono solo le tradizionali “O sole mio” o “Torna a Surriento”?

«La domanda, con mio rammarico, contiene anche la risposta».Dopo la crisi che ha investito Napoli e in generale la Campania, pensiamo al problema rifiuti,

da osservatore privilegiato qual è l’immagine che arriva oggi all’estero della città?«Esiste da tempo un’immagine molto romantica e insi-

diosamente anacronistica dell’Italia, nella quale trova la sua col-locazione anche la Campania e quindi Napoli, nell’immaginario delle società e delle culture all’estero. Se da una parte questa idea dell’Italia è “tranquillamente” carina e non minacciosa, è anche vero che è un po’ come un bel pesce in un acquario. Al di là di tutti i pregi e le bellezze infinite che questo Paese è stato capace di creare negli ultimi 2000 anni, trovo molto inquietante la condi-zione di stasi e di ibernazione socio-culturale in cui l’Italia si trova e che contribuisce a un’immagine sia del Nord che del Sud del Paese quasi mai positiva. Basta chiedere a qualunque agenzia di viaggi all’estero informazioni su dove andare, cosa fare, per avere un’idea di quella che è la percezione degli stranieri».

Le è capitato ultimamente di venire a Napoli?«Mi capita sempre più raramente, ma in quelle poche vol-

te, cerco sempre di proteggere le immagini più belle e care dei miei anni vissuti a Napoli dal “fall-out” socio ambientale che ha trasformato questà citta negli ultimi 30 anni».

Dopo tanti anni all’estero sente ancora vivo il legame con la città?

«In tutta onestà, dopo tanti anni passati all’estero, in tante diverse città, non sento più legami con un posto in particolare, perché sono consapevole che Napoli come San Francisco, New

York o Londra, sono solo concetti e sensazioni che porto dentro di me. Non esiste altro al di fuori del nostro “Essere” che non conosce limiti geo-politici-culturali, ma

pervade la percezione di quello che siamo e siamo sempre stati». Ma è nell’ultima frase che Rustici racchiude la sua filosofia di vita: «Nelle mie vene scorre

sangue di una persona che è nata a Napoli, cresciuta nel mondo, nutrita dall’universo».

I NUMERI DELL’EDIZIONE 2009• In 25 giorni 50 spettacoli per un totale di 266 rappresen-tazioni• 26 prime assolute, 5 prime europee, 11 prime nazionali• 20 testi originali di cui 8 commissionati dal Festival ad autori italiani e stranieri• 3000 artisti coinvolti • 12 lingue parlate di 24 Paesi del mondo• 300 giornali hanno scritto articoli sul Festival di cui 180 sono testate straniere• 8 spettacoli prodotti dal Festival che hanno iniziato una tournèe internazionale a Parigi, Bordeaux, Limoges, Lisbo-na, Madrid, Singapore, New York, Londra, Glasgow, Edim-burgo• 72000 spettatori• Il 48% del pubblico è composto da nuovi spettatori • 105000 le visite sul sito del Napoli Teatro Festival di cui 50000 solo nel mese di giugno• 48 alberghi, ostelli, bed and breakfast coinvolti per ospitare artisti, delegazioni, giornalisti• 30 diversi luoghi di rappresentazione tra teatri, chiese, monumenti e spazi aperti

Corrado Rustici

pagina 11

FilmografiadiunpopoloC’eranounavoltaEduardoeTotò,oraesportiamo“Gomorra”

di Anna Elena Caputano

«And the Oscar goes to…Robertooo!». Le parole di Sophia Loren sono nella storia del cinema. Nel marzo del 1999 l’attrice napoletana ha aperto la busta con il nome del vincitore come mi-glior attore designato dalla giuria dell’Academy. In un impeto di gioia ha urlato il nome di Roberto Benigni, vincitore del premio per il film “La Vita è bella”. Sophia Loren rappresenta la vera ico-na del cinema italiano nel mondo, più di Eduardo de Filippo e di Totò. Nessuna nostra attrice ha mai raggiunto una così solida e duratura popolarità internazionale. La Loren, dopo gli esordi come comparsa, negli anni ’50 ha interpretato prevalentemente la parte della popolana. È ancora famoso il suo sodalizio artistico

con Vittorio De Sica, con cui ha girato otto film. Aveva solo 26 anni quando ha interpretato uno dei ruoli più impegnativi della sua carriera: Cesira ne “la Ciociara”, che vive il dramma dello stupro, nel doppio ruolo di donna e di madre.

Napoli è sempre in bilico tra dramma e commedia nel cinema. L’immagine del dramma viene accentuata dal Neore-alismo, il movimento cinematografico sviluppatosi durante il secondo conflitto mondiale e nell’immediato dopoguerra. Nei

film girati si riflette sui cambiamenti dei sentimenti e delle condizioni di vita del dopoguerra italiano. Uno dei padri del Neorealismo è stato Vittorio De Sica, un regista che ha saputo rappresentare il dramma di Napoli anche senza esservi nato. “Sciuscià” è il caso-simbolo: De Sica tratta la tematica legata ai bambini e alla difficile vita e usa per titolo un termine dialettale napoletano ora in disuso che indicava i lustrascarpe del dopo-guerra (dall’inglese shoe-shine).

Anche la commedia ha i suoi nomi simbolo: Totò e Eduardo De Filippo. I due, amici anche nella vita, hanno lavora-to insieme nel 1950 nel film “Napoli milionaria!”. Totò è consi-derato una maschera nel solco della tradizione della Commedia dell’Arte. Molte sue memorabili battute e gag-tormentoni sono

entrate nel linguaggio comune e a distanza di decenni i suoi film riscuotono ancora grande successo. Eduardo De Filippo nel cinema è stato sia attore sia regista. Amico e collaboratore di Vittorio De Sica, per lui curò anche la sceneggiatura di “Ma-trimonio all’italiana”, remake di “Filumena Marturano”, film diretto da Eduardo nel 1951.

Altra figura importante è Francesco Rosi. Dopo esse-re stato l’aiuto regista di Luchino Visconti, negli anni ’60 ha

inaugurato il filone del film-inchiesta grazie al film “Le mani sulla città”. Il suo capolavoro è una denuncia della corruzione e della speculazione edilizia di quel periodo. La didascalia del film dice: “I personaggi e i fatti sono immaginari, ma autentica è la realtà che li produce”. La pellicola ha vinto il Leone d’Oro al Festival di Venezia.

Nel filone della commedia si inserisce Massimo Troi-si. Difficile dimenticare la frase nel film “Ricomincio da tre”: «Cà sembra che nu napulitano non pò viaggià, pò sulamente emigrà…». Nella pellicola Troisi interpreta Gaetano, un giovane timido che lascia la sua vita da “provincialotto” e si trasferisce a Firenze per ricominciare “da tre” (perché ha fatto tre cose buo-ne nella vita e pertanto non vuole ripartire da zero). Ma si scon-tra con la realtà dei fatti: anche se si trova in Italia viene sempre considerato un “emigrato”. In realtà Troisi un “emigrato” non lo è stato: è scomparso prematuramente nel 1994, a quarantu-no anni, per un attacco cardiaco. L’attore nel 1996 è stato candi-dato all’Oscar come miglior attore protagonista e per la migliore sceneggiatura non originale per il film “Il postino” di Michael Radford. La regia è anche attribuita a Troisi, morto proprio alla fine delle riprese. Il film, su cinque candidature, ha vinto solo la statuetta per la miglior colonna sonora drammatica, composta da Luis Bacalov.

L’immagine recente di Napoli è rappresentata da un film candidato dall’Italia per entrare nella cinquina della cate-goria “film straniero” nella corsa agli Oscar 2008 ma bocciato dall’Academy. È “Gomorra” di Matteo Garrone, tratto dal best-seller omonimo di Roberto Saviano. Una pellicola che ha un legame con l’attualità: rappresenta un viaggio nel mondo affa-ristico e criminale della camorra e dei luoghi dove è nata e vive. Attraverso quattro vicende si raccontano la questione dei rifiuti e della delinquenza. Quella che Garrone dipinge nel suo film è una terra buia, una terra che racconta la verità.

Ma la Napoli del cinema non è solo camorra e rifiuti. Ci sono altre figure che hanno esportato l’immagine della città fuori dalla città. Come il regista Paolo Sorrentino, che ha de-buttato nel 2001 con il film “L’uomo in più”. I successivi film (“Le conseguenze dell’amore” e “L’amico di famiglia”) sono stati presentati al festival di Cannes e hanno riscosso un buon successo. Il suo ultimo film, “Il Divo” (incentrato sulla figura di Giulio Andreotti), ha ricevuto la nomination agli Oscar 2010 nella categoria “miglior trucco”. E non bisogna dimenticare il produttore più importante degli ultimi anni: Aurelio De Lau-rentiis. È titolare della Filmauro, la società fondata nel 1975 col padre che è leader nella produzione e distribuzione cinemato-grafica italiana ed internazionale.

Sofia,un’iconainternazionale di Lorenzo Marinelli

Sofia Villani Scicolone, classe 1934, nata a Roma e adottata dalla città di Pozzuoli in tenera età: in due parole, Sophia Loren. Il suo nome lo si trova – assieme a quelli della Magnani, della Tebaldi, di Toscanini e di Bocelli – incorniciato in una delle stelle dorate sulla Hollywood Walk of Fame. Riper-correre l’ascesa verso l’olimpo dello star system, equivale a compiere un viaggio attraverso imma-gini che raccontano a mosaico la storia del nostro Paese negli anni d’oro del cinema. Anni che rie-mergono – irripetibili – dalle vecchie pellicole che riproducono, in bianco e nero, i tratti intensi del viso della Loren. La storia di questa donna è, in qualche misura, quella dell’Italia intera. L’Italia intera l’ha incoronata Regina della bellezza e dell’eleganza. E il resto del mondo non ha potuto fare altro che assentire.

L’attrice italiana più premiata di tutti i tempi – titolo che le è stato attribuito dal Guinness dei Prima-ti, nel 2009 – muove i primi passi nel mondo del cinema, nel 1950, come comparsa nel kolossal “Quo Vadis”. È poco più che una ragazzi-na quando, ritornata a Roma in cerca di successo, viene nominata “Miss Eleganza” nella competizio-ne di “Miss Italia”.

Negli anni immediatamente successivi, la Loren compare in numerose pellicole con lo pseu-donimo di Sophia Lazzaro, senza tuttavia conqui-stare realmente il pubblico. La svolta arriva qualche anno più tardi, nel ’53, quando incontra l’uomo che – tra la sorpresa generale e le ironie degli addetti ai lavori – sarebbe diventato suo marito: il produt-tore Carlo Ponti, il quale, colpito dalle potenzialità

di quella bellezza non perfetta ma unica e prorom-pente, offre alla ragazza un contratto di sette anni.

Da quel momento in poi il nome di Sophia – ormai “Loren” a tutti gli effetti – viene accosta-to a quelli di De Sica, Sordi, Monicelli, Risi, Cha-plin, Lumet. La consacrazione a icona del cinema arriva col primo premio Oscar, nel ’63, per la sua interpretazione nel film “La Ciociara”, di Vittorio De Sica. La seconda statuetta è targata 1991, questa volta alla carriera.

Un esempio su tutti è la raffinata sequenza di “Ieri, oggi, domani”, di Vittorio De Sica, in cui una

Sophia ammiccante ed ironica, lascia cadere gli abiti sotto gli occhi diver-titi di Marcello Mastroianni. La sua sensualità non ha mai sconfinato nei territori paludosi della banale volgari-tà venduta come arte. No, la Loren ha saputo valorizzare la bellezza mediter-ranea, assurgendo a simbolo di una femminilità piena, in cui si coniugano generosità popolare e signorile elegan-za. Un’icona, insomma, che lascia tra-sparire dalle forme statuarie, l’anima

di una donna che ha amato e sofferto ma non ha mai rinunciato a essere se stessa.

È l’ultima star italiana, e della star conserva il portamento e gli aristocratici lineamenti del volto in cui ancora si illuminano di profondi chiaroscuri gli occhi di una donna che ha visto e vissuto molte vite e che di molte vite ha raccontato pene e gioie. Per questo continuiamo ad amarla e a riconoscer-ci in lei: il suo volto è il volto delle donne italiane, popolane dalla sensualità animalesca; signore raffi-nate che lasciano appena intravedere dietro un filo di perle il morbido arrotondamento dei seni; mogli e madri capaci di ricominciare a lottare anche dopo brucianti sconfitte.

Sophia Loren

Una scena tratta dal film “Gomorra” Toni Servillo in “Le conseguenze dell’amore”

Massimo Troisi in “Ricomincio da tre”

UNIVERSITÀ DEGLI STUDÎ

SUOR ORSOLA BENINCASA

FACOLTÀ DI

GIURISPRUDENZA

CICLO DILEZIONI

MAGISTRALI 20092010

ANNO VI

L’unica facoltà di Giurisprudenzadel Mezzogiorno

a numero programmato150 studenti

16 PAOLO GROSSImar Il diritto tra universalismo e particolarismo

23 STEFANO RODOTÀmar Lo spazio planetario e la tecnologia. Una nuova dimensione dei diritti

30 C. MASSIMO BIANCAmar Il diritto tra universalismo e particolarismo: categorie privatistiche e istanze di giustizia sociale

13 RODOLFO SACCOapr Il diritto tra uniformazione e particolarismi

20 CLAUDIO CONSOLOapr Lo studio, la pratica e le radici del diritto processuale civile nell’osmosi internazionale

27 GIUSEPPE DE VERGOTTINIapr Il dialogo transnazionale tra le Corti

4 FRANCESCO PALAZZOmag Il diritto penale tra universalismo e particolarismo

11 GIUSEPPE MORBIDELLImag Diritto amministrativo tra universalismo e particolarismo

18 UGO VILLANImag Valori comuni e rilevanza delle identità nazionali e locali nel processo d’integrazione europea

IL DIRITTO TRA UNIVERSALISMOE PARTICOLARISMO

per saperne di piùwww.unisob.na.it

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un progetto ambizioso

Il Napoli 191 x 279.indd 1 15/03/10 15:24

SPORT pagina 12 inchiostro n. 2 – 2010

Vent’annidopoMaradonaQuandoiconfinideltifovarcanoilSanPaolo

di Ernesto Mugione

Nel processo di ritorno al calcio che conta, il Napoli vuole diventare grande anche in Europa. L’eco della rimonta partenopea, fatta di quattordici risultati utili consecutivi prima della sconfitta di Udine, è arri-vato fino a Zurigo. La Fifa, infatti, ha celebrato qualche mese fa la rinascita del club azzurro con un articolo sul proprio sito ufficiale dal titolo: “Mazzarri guida la scala-ta del Napoli”. Ampio spazio è stato dato, ovviamente, al ruolo del presidente De Laurentiis, “figura chiave nel-la rinascita dei partenopei”, secondo la Fifa. Dopo aver riportato la squadra azzurra tra le big della serie A, il patron sta lavorando all’internazionalizzazione del club. Un progetto ambizioso e non privo di insidie. Il divario da Inter e Milan, del resto, non è ancora colmato, figu-rarsi quello con le regine d’Europa.

La parola d’ordine a Castelvolturno è: “Program-mazione”. Una crescita graduale ma costante che già porta i suoi frutti. Ma che richiamo ha il Calcio Napoli all’estero? Antonio Corbo, una delle firme di punta dello sport di “Repubblica”, sostiene che «la forza del Napoli è data dal suo nome che suscita nostalgia e suggestione per gli immigrati che si identificano nel capoluogo cam-pano. Napoli, in fondo, corrisponde al concetto di patria ma con il fascino delle sue bellezze, della sua storia, del-la sua musica». Il Napoli all’estero, però, è ricordato so-prattutto per gli anni maradoniani. «L’acquisto di Diego fu una sorta di orgoglio municipalistico. In Spagna ci fu una campagna mediatica discriminatoria nei confronti degli azzurri perché venne fuori la notizia di un decreto ingiuntivo del Comune ai danni del Calcio Napoli reo di non aver pagato il fitto del campo. Il Barcellona chiese perciò come per l’acquisto di Maradona dei los avalos (garanzie, ndr) al banco di Bilbao. Nel nostro Paese, escluso il Milan degli olandesi, solo la Juventus poteva prendere un campione di quel calibro».

Il Napoli in Europa, comunque, significa soldi anche per la Fifa. Basti pensare ai 60.000 spettatori fat-ti registrare un anno e mezzo fa per le partite di Interto-to. Ma per Corbo «il Napoli a livello europeo vale poco o niente perché ha vinto solo una Coppa Uefa nell’89.

Le squadre forti sul campo internazionale sono quelle che hanno tradizione e il Napoli non ne ha». Per questo dovrebbe acquistare quanto meno prestigio. «Questa so-cietà sfrutta poco il marketing. Secondo Five, un’agen-zia leader del settore, il Napoli è la quarta società in Ita-lia, come bacino d’utenza, ad avere appeal all’estero. De Laurentiis ha speso bene ma poco. Adesso vanno fatti investimenti per dare alla società una struttura interna-zionale».

Il gap con il resto del mondo, dunque, è anco-ra ampio. Nel 2010 il rapporto annuale della Deloitte & Touche sul mondo del calcio colloca il club al 6° posto in Italia per fatturato e al 28° posto a livello europeo. «Nel calcio moderno l’immagine che si dà è fondamentale. Per ottemperare a questa filosofia del grandioso sono proprio le spese apparentemente superflue a dare pre-stigio. Lo sviluppo dell’immagine societaria è il primo passo verso l’internazionalizzazione. Ma questo non rientra nella filosofia pragmatica e affarista di questo Napoli». De Lauretiis ha comunque giocato un ruolo importante nella rinascita del Napoli. «Adesso però bi-sogna capire se vuol fare il salto di qualità. Il futuro di De Laurentiis lo leggo, però, nel suo passato. Lui fa bene i cinepanettoni e tocca i suoi picchi con Verdone e Vero-nesi. Non è, dunque, un produttore di film di qualità o di impegno internazionale. Ha trovato il suo equilibrio nel cinema incassando molto di più di quanto spende. E credo che questa filosofia d’impresa la utilizzerà pure nel calcio. Vedremo dunque un Napoli nelle posizioni medio/alte di classifica ma non in grado di competere con le big. Per farlo occorrono investimenti produttivi».

I tifosi azzurri hanno comunque lasciato un buon ricordo in Europa. «Si sono sempre comportati bene, a dispetto di episodi di intolleranza in Italia. Ci trattano con rispetto e i disordini di quest’estate a Lon-dra non hanno scalfito l’immagine sana della tifoseria azzurra». Ma i napoletani all’estero lamentano la scar-sa attenzione del club partenopeo. «In questo il Napoli dovrebbe imparare dalla Juventus che ha una struttura apposita che cura i rapporti con i club sparsi per il mon-do. Ma questo rientra nel discorso sull’immagine e di quelle spese forse inutili che però danno prestigio».

Inapoletanid’oro Peruginiallameta di Marco Cavero

Lo sportivo napoletano più rappresen-tativo di sempre? “Maradona”, potrebbe essere la risposta. Ma, naturalmente, Maradona non è napoletano. Chi sono i partenopei che sono entrati nella storia dei loro sport? L’elenco è lunghissimo. Restiamo in ambito calcistico, e trovia-mo subito Fabio Cannava-ro. Parliamo del capitano dell’Italia durante i campio-nati mondiali del 2006, il giocatore che conta il mag-gior numero di presenze in assoluto nella storia della nazionale, vincitore di un Pallone d’Oro e del premio Fifa World Player. Se nel calcio il tra-guardo massimo è rappre-sentato dalla vittoria di un campionato del mondo, per qualunque altro sport non c’è niente che possa eguagliare la gioia della medaglia d’oro alle Olimpiadi. Napoli è città di mare per antonomasia, inevitabile quindi partire dagli sport acquatici. Chi non ricorda l’epopea dei fratelli Abbagnale? Leggendari canottieri, Carmine e Giuseppe, in compagnia del timoniere Peppino di Capua, sono saliti sul gradino più alto del podio sia a Los Ange-les ’84 che a Seoul ’88. La bacheca di famiglia può sfoggiare anche i tre ori di Agostino, il più giovane, vincitore a Seoul, ad Atlanta e a Sid-ney. Proprio nelle vasche di Sidney nasce la stella di Massimiliano Rosolino. Padre napole-tano e madre australiana, lascia tutti a bocca aperta conquistando l’oro nei 200 metri misti con tanto di record olimpico. La simpatia e i modi stravaganti faranno di lui un personaggio

simbolo della napoletanità applicata allo sport. Rosolino era appena nato quando, alle Olimpiadi di Mosca del 1980, un altro atleta napoletano ha trovato la sua consacrazione. Battendo in finale il sovietico Konakbayev, il ventenne Patrizio Oliva ha conquistato l’oro nel pugilato, categoria superleggeri. Dopo il trionfo olimpico il passaggio al professioni-

smo e, in rapida successio-ne, titolo italiano, europeo e mondiale, successi che hanno collocato Oliva tra i migliori pugili italiani di sempre.Dai guantoni alle mani nude. Sempre a Sidney un ragazzo di Scampia si pre-senta con un palmarès di tutto rispetto nonostante i suoi 24 anni e con un so-gno: regalare all’Italia il se-condo oro della sua storia nel judo. Pino Maddaloni riesce nell’impresa e, non

contento, decide che qualcuno dovrà seguire le sue orme. Apre così una palestra che oggi permette a 1.200 ragazzi della periferia nord di muovere i primi passi in uno sport poco dif-fuso a Napoli. Poi la scherma, disciplina storicamen-te prodiga di medaglie per l’Italia. Nel 1996 ad Atlanta Sandro Cuomo, a 34 anni, vince il torneo di spada a squadre, titolo che mancava da Roma ’60. E non saranno Olimpiadi, ma vale la pena citare un episodio: ai mondiali del ’98 la finale del torneo di sciabola vede con-trapposti Raffaele Caserta e Luigi Tarantino. Entrambi napoletani, amici da sempre. Prima del punto decisivo si parlano e decidono di di-videre a metà il premio finale. Per la cronaca, vincerà Tarantino. La vera vincitrice però è sta-ta Napoli, città di grandi sportivi.

di Marco Borrillo

Chi vive lontano dai propri confini non dimentica la sua terra. Lo sa bene il pilone della nazionale azzurra di rugby Salvatore Perugini. Totò, così è conosciuto nel suo ambiente, dal 2006 vive e gioca in Francia. Oggi è un gio-catore di rugby a 15 del club Aviron Bayon-nais, della città di Bayonne. Prima di solcare i campi francesi Perugini ha militato nelle file dell’Aquila e del Calvisano, dove ha vinto una Coppa Italia nella stagione 2003/2004 e uno scudetto l’anno successivo. Poi la chiamata del prestigioso club di Tolosa e l’inizio della sua avventura oltralpe. Un’esperienza costellata da grandi soddisfazioni, campione di Francia nel-la stagione 2007/2008, accompagnata da un grande desiderio: tornare nella sua amata città. Che rapporto ha con la sua terra d’ori-gine? «Per molti anni ho vissuto a Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta. La mia famiglia ora vive a Pontelandolfo. Sono molto attaccato a questi luoghi e conto di tornarci al termine della carriera. Penso che la cultura cam-pana mi abbia insegnato tanto. Ovunque siamo co-nosciuti per le bellezze na-turali che ci circondano e per la calorosità del nostro popolo. Abbiamo dei lati particolari che ci rendono unici rispetto agli altri». Nel 2006 arriva il suo tra-sferimento al Tolosa. Per-ché è andato via?«Nella mia carriera si è pre-sentata un’occasione d’oro. Mi ha voluto il Tolosa che è il club di rugby più forte d’Eu-ropa. La decisione di trasferirmi è stata in un

certo senso obbligata. Non potevo rinunciare a un’occasione tanto grande. Ma vivere fuori mi ha dato la possibilità di guardare con occhio critico a ciò che avevo la-sciato alle mie spalle. Mi sono reso conto an-cora meglio dei nostri pregi e difetti. Insomma mi si è presentato un importante termine di paragone che mi ha permesso di mettere a fuoco il mio giudizio sulle nostre zone. E io ne sono innamorato». Come ci vedono all’estero, nel suo caso in Francia? «Ci sono stati momenti che hanno mes-so in seria discussione la nostra immagine. Ba-sti pensare all’emergenza rifiuti: quelle imma-gini hanno giustamente fatto il giro del mondo. Hanno scosso le coscienze degli altri, di quelli che non vivono lì, ma guardano e basta. Quello è stato un grosso colpo. Spesso ci vedono come un popolo che vive male, indisciplinato. E sono gli stessi che sanno quante bellezze accolga la nostra terra ma quando passano, ad esempio

per Napoli, hanno paura, non scendono». Italia e Francia. Due nazio-ni molto simili ma spesso in rivalità. Cosa ne pensa?«La zona di Tolosa e Ba-yonne è eccezionale, ricca di bellezze. Non posso che essere felice di vivere in luoghi così suggestivi ma il mio cuore è in Campania, dove voglio tornare appena possibile. La rivalità spes-so sottolineata tra Italia e Francia credo sia un luo-go comune. Siamo popoli simili, magari entrambi

troppo orgogliosi. Loro sono convinti di essere migliori, noi lo stesso. Ma al di là di una semplice connotazione caratteriale non credo a questo antagonismo».

Fabio Cannavaro ai mondiali del 2006

Salvatore Perugini


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