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3. Il testo che si guarda - Apogeo Editore · Anche se le presentazioni multimediali sono una ......

Date post: 14-Feb-2019
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3. Il testo che si guarda 3.1 Storia Parole e immagini a tutto schermo 3.1.1 Immagini a 360 gradi 3.1.2 Il libro illustrato e affini 3.1.3 Immagini pubblicitarie 3.1.4 Cinema muto 3.1.5 Quando nasce la multimedialità? 3.1.6 Arte multimediale 3.1.7 In conclusione 3.2 Progettazione Presentazioni multimediali 3.2.1 Presentazioni audiovisive: definizione e tipologie possibili 3.2.2 Sequenze, ritmo e tempi di lettura 3.2.3 Sceneggiatura del testo 3.3 Stesura La scena come spazio di scrittura 3.3.1 La schermata come scena 3.3.2 La percezione dello spazio grafico 3.3.3 La percezione del movimento 3.3.4 La forma del testo a video 3.3.5 Parole da proiettare 3.3.6 Il testo e le immagini 3.3.7 Le immagini di una presentazione 3.3.8 Il sonoro: il testo parlato 3.3.9 Il sonoro: la musica 3.4 Pubblicazione I ritocchi finali 3.4.1 Il testo in movimento 3.4.2 Le transizioni 3.4.3 Public speaking “L’occhio aperto e l’orecchio vigile trasformano le più piccole scosse in grandi esperienze. Da tutte le parti affluiscono voci e il mondo risuona”. (Wassily Kandinsky, Punto linea superficie, Adelphi, Milano, 1997)
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3. Il testo che si guarda

3.1 StoriaParole e immagini a tutto schermo3.1.1 Immagini a 360 gradi3.1.2 Il libro illustrato e affini3.1.3 Immagini pubblicitarie3.1.4 Cinema muto3.1.5 Quando nasce la multimedialità?3.1.6 Arte multimediale3.1.7 In conclusione

3.2 ProgettazionePresentazioni multimediali3.2.1 Presentazioni audiovisive: definizione e tipologie possibili3.2.2 Sequenze, ritmo e tempi di lettura3.2.3 Sceneggiatura del testo

3.3 StesuraLa scena come spazio di scrittura3.3.1 La schermata come scena3.3.2 La percezione dello spazio grafico3.3.3 La percezione del movimento3.3.4 La forma del testo a video3.3.5 Parole da proiettare3.3.6 Il testo e le immagini3.3.7 Le immagini di una presentazione3.3.8 Il sonoro: il testo parlato3.3.9 Il sonoro: la musica

3.4 PubblicazioneI ritocchi finali3.4.1 Il testo in movimento3.4.2 Le transizioni3.4.3 Public speaking

“L’occhio aperto e l’orecchio vigile trasformano le più piccole scosse ingrandi esperienze. Da tutte le parti affluiscono voci e il mondo risuona”.(Wassily Kandinsky, Punto linea superficie, Adelphi, Milano, 1997)

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Questo capitolo è dedicato a una specifica tipologia di testi entrati ormaia far parte della nostra tradizione culturale, sotto vari aspetti e secondousi diversi. Le presentazioni multimediali differiscono da un audiovisi-vo e anche da una semplice slide di diapositive, eppure di entrambi

riassumono alcune caratteristiche e da entrambi traggono ispirazione: la combi-nazione di immagini, suono e animazione in un caso e il ricorso alle grandidimensioni dall’altro, sembrano essere le peculiarità di questi testi.

I testi in questione sono difficilmente definibili, poiché alla categoria appar-tengono tipologie diverse che per comodità abbiamo riunito sotto la stessadenominazione. In questo capitolo, tuttavia, ci riferiremo soprattutto alle pre-sentazioni utilizzate da relatori durante lezioni, convegni, conferenze. Le imma-gini o le parole delle schermate servono a catturare l’attenzione degli ascoltatorie a creare un ambiente percettivo dilatato che favorisca la comprensione e lamemorizzazione.

Anche se le presentazioni multimediali sono una categoria di testi di naturaassai recente, è comunque possibile rintracciare nella storia della comunicazio-ne qualcosa che le ricordi e che possa rappresentare il loro diretto antenato:abbiamo creato un filo conduttore che, attraverso l’uso ricorrente dell’immaginecome elemento di divulgazione e l’uso della proiezione, conduca dai libri illu-strati, passando per il cinema e la pubblicità, ai nuovi testi di oggi.

3.1 StoriaParole e immagini a tutto schermo

3.1.1 Immagini a 360 gradi

Ogni volta che si entra in una grande cattedrale gotica o in una piccola chiesa siè colpiti dalla nudità austera delle colonne e delle pareti ed è difficile immagi-nare che i frammenti di affreschi presenti in qualche angolo dell’edificio occu-passero in origine tutto lo spazio visibile. L’interno di una chiesa era come ungrande testo preparato per gli occhi di fedeli analfabeti, denso di simboli e dirichiami chiari a quanti affollavano le cerimonie. La chiesa cattolica aveva accet-tato prima con riluttanza poi con crescente convinzione il ricorso a immaginisacre per spiegare, “illustrare”, ai credenti i dettami della fede. E così durante leomelie il fedele seguiva con lo sguardo la raffigurazione più o meno verosimiledi ciò che le parole del predicatore esprimevano: la beatitudine dei santi, itormenti dell’inferno, episodi salienti del Vecchio e del Nuovo Testamento.

La Cappella degli Scrovegni di Padova, affrescata da Giotto, è un chiaroesempio di uno spazio interamente “figurato”, all’interno del quale il visitatoresi trovava avvolto da immagini che raccontavano, suggerivano, evocavano. Iquadri seguono una loro precisa disposizione cronologica lungo le pareti dellacappella, secondo un andamento che va da sinistra a destra, dall’alto in basso.Un quadro, un’azione; con la volta celeste al di sopra e uno sfondo azzurro,

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elemento costante di ogni quadro, che diventa il vero filo conduttore del rac-conto per immagini. Lo spazio è pensato per circondare l’osservatore di signi-ficati, per guidare il suo sguardo lungo un percorso preordinato: si guarda difronte, poi ci si sposta verso destra, in alto, si scende e si procede il girocompleto seguendo un racconto in cui si riconoscono personaggi ed eventinoti. Non c’è bisogno di parole scritte, né di parole dette, le immagini parlanoda sole attraverso un intreccio di cliché e di rimandi molto chiari all’osservato-re contemporaneo, un po’ meno per chi ha perduto la conoscenza di quelcontesto.1

Nel suo Trattato della pittura Leonardo da Vinci delinea alcuni dei suoiconvincimenti sull’esecuzione di pitture murali. Secondo la sua concezione rea-listica della pittura, è impensabile dipingere scene suddivise in riquadri, cosìcome era stato comune a tutta la pittura medioevale; egli è sostenitore dell’alle-stimento di scene unitarie per le quali valga la concezione aristotelica dell’unitàdi tempo, di luogo e di azione. I suoi affreschi sono, dunque, concepiti come lariproposizione fedele di un evento in un determinato momento, secondo unaconcezione assai “fotografica” della pittura. Nel caso in cui il committente ri-chiedesse al pittore di illustrare sulla parete di una chiesa la vita intera di unsanto, Leonardo optava, ancora una volta, per una soluzione “unitaria”: la pare-te diventava lo scenario per i vari episodi disposti nello spazio, in modo che glieventi degni di nota fossero collocati in primo piano con “men quantità d’ariainterposta in fra sé e l’occhio che ’l giudica”, e le vicende ad essi precedentifossero sistemate nello spazio retrostante, secondo un’immaginaria linea di pro-gressione chiamata a rappresentare la dimensione temporale dei fatti. La pro-spettiva visiva restituiva così la prospettiva storica, e l’azione si snodava comeun film continuo, senza stacchi: dalla nascita del personaggio fino alla suamorte.2 A noi osservatori del 2000 questo modo di rappresentare una vicenda,riunendo in un medesimo spazio eventi appartenenti a tempi diversi, apparetutt’altro che realistico. Siamo viziati da una consuetudine che ci ha abituato aconcepire il fluire di azioni secondo un ordine di comparsa che non è affidatoal potere esplorativo dell’occhio, ma alla tecnica di strumenti in grado di pro-porre alla nostra attenzione un’immagine alla volta. L’ordine sequenziale appar-tiene alla nostra cultura più e meglio di una lettura sincretica e globale. Forse èproprio la lettura alfabetica che ci ha irrimediabilmente condizionato con la suaprogressione lineare e continua da sinistra a destra, dall’alto in basso.

Le immagini, invece si presentano intere all’occhio dell’osservatore, almenoquelle fisse, perché il cinema ripropone, a sua volta, uno scorrimento di se-quenze che frammenta il vissuto in singole inquadrature disposte in successio-ne. Il cinema, tuttavia, sarebbe piaciuto a Leonardo che, della sua immediatezza

1 Ringrazio la dottoressa Emanuela Centis per le sue preziose parole di “illustrazione” deisegreti della Cappella.2 Vedi anche Leonardo da Vinci, Scritti artistici e tecnici, BUR, Milano, 2002, p. 73.

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espressiva, avrebbe colto tutti i vantaggi. La visione ha per lui il predominiosugli altri sensi e, tra la poesia e la pittura, assegnava a quest’ultima un primatocomunicativo:

La pittura immediate ti si rappresenta con quella dimostrazione per la qualeil suo fattore l’ha generata, e dà quel piacere al senso massimo, qual darepossa alcuna cosa creata dalla natura. E in questo caso il poeta, che mandale medesime cose al comun senso per la via dell’audito, minor senso, nondà all’occhio altro piacere che s’un sentisse raccontare una cosa. Or vediche differenzia è da udire raccontare una cosa che dia piacere a l’occhiocon lunghezza di tempo, o vederla con quella prestezza che si vedeno lecose naturali. Et ancora che le cose de’ poeti sieno con longo intervallo ditempo lette, spesse sono le volte che le non sono intese, e bisogna farlisopra diversi comenti, de’ quali rarissime volte tali comentatori intendenoqual fusse la mente del poeta; e molte volte li lettori non leggano se nonpiccola parte delle loro opere per disagio di tempo. Ma l’opere del pittoreimmediate è compresa dalli suoi rigardatori.3

Molto prima della nascita del cinema, spetta ancora alla chiesa cattolica ilprimato di un uso tutto particolare dell’immagine per intenti divulgativi. Nel1600 un gesuita, Atanasius Kircher, si spinse fino a utilizzare lanterne magiche(Approfondimento 3.1) e altri simili congegni che proiettavano sulle pareti im-magini atte a convincere gli infedeli della verità della sua religione. Interessatoa una lingua universale, che potesse parlare alle popolazioni di tutta la terra,Kircher intravide nell’immagine un potere comunicativo straordinario. La babe-le delle lingue poteva essere superata grazie a un alfabeto comune a tutti, ingrado di parlare tramite la raffigurazione fedele di scene delle scritture o altrerappresentazioni.

La proiezione di immagini su uno schermo avevano, del resto, origini antichis-sime: i testi dell’antica Cina parlano già di teatri delle ombre, anche se il primo veroproiettore si suppone sia stato costruito dal monaco Bacone intorno al 1200.

Con le lanterne magiche del 1600, la proiezione prese una certa voga e sitentarono anche mille ingegnosi meccanismi per dare all’immagine fissa unasorta di animazione, per rendere il più possibile fedeli alla realtà le riproduzionipittoriche.

Sono le prime presentazioni audiovisive di cui si ha notizia, più multimedia-li e sorprendenti delle proiezioni multischermo di oggi.

3.1.2 Il libro illustrato e affini

Sempre alla Chiesa spetta anche il merito di avere, per prima, favorito la diffu-sione di libri riccamente illustrati. Prima ancora dell’invenzione della stampa a

3 Leonardo da Vinci, op. cit., pp. 190-91.

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Approfondimento 3.1 Lanterne magiche

«Verso la fine del 1500 nel libro Magiae naturalis libri XX di Giovan Battistadella Porta viene descritta in modo assai accurato e completo, una cameraoscura e tutte le sue possibilità di utilizzazione.

‘Insegneremo anchora’ scrive Della Porta ‘come si possa fare che in unacamera si vegga una caccia, una battaglia e altri prodigi. Ora aggiungerò per farfine a questa materia un segreto che non so se potrassi trovar cosa più ingegno-sa né più bella per dar piacere à gran signori che in una camera all’oscuro,sopra lenzuoli bianchi si veggano caccie, conviti, battaglie d’inimici, giochi efinalmente ciò che ti piace, così chiaramente e minutamente proprio come sel’havessi davanti à gli occhi’.

E davanti alla sua camera Della Porta racconta di aver preparato in passatoimmagini di ‘alberi, case, selve, manti, fiumi, animali, veri o finti, cervi, cinghia-li, elefanti, leoni, rinoceronti e altri animali … e poi venghino i cacciatori e sianvii suoni di corna, di trombe e di conche marine … così coloro che saranno dentrola camera vedranno gli arbori, gli animali, le facce de’ cacciatori che non sa-pranno giudicare se siano veri … Molte volte ho dato questi spettacoli à gli amicimiei che l’hanno mirati con gran meraviglia e stupore che dandole le cagioni difilosofia e di prospettiva non volevano credere che fossero cose naturali, finchéaprendo le porte li feci conoscere l’artificio’.

[...] Se Leonardo e Della Porta sono i profeti del Nuovo Mondo della visio-ne, Athanasius Kircher, la cui vita ha attraversato tutto il Seicento, si può consi-derare l’individuo messianico, l’autentico portatore del nuovo verbo. [...] Nel-l’Ars Lucis et Umbrae, pubblicato nel 1646, non solo vengono date le indicazio-ni tecniche per la costruzione di una lanterna magica, ma si parla di un mate-matico che, in base alle sue indicazioni, ne costruisce e vende molti esemplariin Italia e all’estero.

Kircher racconta inoltre le sue esperienze di organizzatore di spettacoli dilanterna magica (‘nel nostro collegio noi mostriamo cose straordinarie in unbuoi corridoio suscitando grandissimo stupore’) e di illusionismo ottico. In se-guito a questi spettacoli verrà accusato di negromanzia e di scoperto commer-cio con le forze demoniache. È un’accusa che, del resto, si può trovar ein formaassai diffusa in tutti i processi per magia in cui l’accusato sia stato trovato inpossesso di specchi o di qualsiasi altro mezzo di riproduzione delle immagini.Riprodurre le immagini del reale significa affermare un potere che non rientranella sfera dell’umano.

Quando ripubblicherà, a distanza di qualche decennio, il suo trattato Kir-cher godrà ormai di una fama enorme in tutta Europa. A diffondere la suabuona novella visiva saranno stati non solo altri studiosi quanto piuttosto cen-tinaia di ambulanti che avranno cominciato a far girare e diffondere capillar-mente nelle chiese, nelle piazze, nelle case, nei palazzi, immagini sacre e pro-fane, racconti edificanti e meravigliosi.»

(Da Prima del cinema. Le lanterne magiche. La collezione Minici Zotti, Catalo-ghi Marsilio, Venezia, 1988, pp. 8-9)

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caratteri mobili si diffusero in Europa i primi libri xilografici o tabellari, compo-sti di figure e di brevi didascalie di accompagnamento incise sullo stesso legnodestinato alla stampa. Seguendo la convinzione che la pittura fosse la scritturadei laici e che le immagini costituissero una “muta predicazione”,4 i libri inquestione proponevano sequenze iconografiche assai leggibili, accompagnateda due o tre righe di testo. Una ventina di tavole raccontavano in manierasufficientemente esplicita la Passione di Cristo, scene dell’Apocalisse eccetera.

Se vi è mai capitato di vedere la riproduzione di qualche pagina di questirari esemplari, avrete chiaro il rapporto esistente tra il testo scritto e l’immagine,a tutto vantaggio di questa in termini di dimensioni occupate nella pagina. Alleimmagini era lasciato il compito di narrare una storia di grande suggestione,mentre le parole rivestivano il ruolo secondario di commento, erano cioè unulteriore strumento espressivo atto solo a rafforzare il significato di quanto sivedeva. Le parole, d’altra parte, creavano con l’immagine un tutto armonico,inserite non come elementi esterni, ma contestualizzate secondo espedientigrafici di grande effetto (ad esempio: due angeli che reggono uno striscione sulquale appaiono le parole); quanto ai caratteri usati, fondevano le loro linee conquelle dell’immagine in modo da non creare nessun rapporto di rottura conessa. Era un testo che si leggeva osservando, “muto” appunto, come recita lacitazione riportata.

Indagare la fortuna dei volumi illustrati da quel momento in avanti ci porte-rebbe ad approfondire lo stesso concetto di fondo: il ricorso alle immaginiquando si ha necessità di attrarre un pubblico demotivato o poco colto; a menoche non si tratti di volumi di prestigio, con illustrazioni di grande pregio.

Il 1700, secolo dei Lumi e dell’Encyclopédie, vede la riscoperta dell’immagi-ne come elemento in grado di parlare e diffondere conoscenza. Le tavole del-l’Encyclopédie sono uno degli esempi più significativi dell’uso dell’immagine ascopi divulgativi. L’accuratezza, la descrittività delle figure ne fanno un testounico nella storia dell’editoria. Dopo una lunga pausa, da quel momento leimmagini tornano a “illustrare” i testi a stampa, siano essi romanzi o letteraturadi divulgazione. Jean Jacques Rousseau farà stampare una serie di dodici tavoleda vendere assieme alla Nouvelle Heloïse. Qualche decennio dopo si diffonderàuna vera e propria moda dei volumi illustrati (vedi capitolo 2).

È solo nei primi decenni dell’Ottocento che il Tommaseo/Bellini, dizionarioitaliano compilato proprio in quegli anni, usa per la prima volta il termine“illustrazione” associandolo a una figura: fino a quel momento, con “volumeillustrato”, si è inteso un testo corredato di ampi commenti critici volti a spiegar-ne e chiarirne il contenuto. L’immagine dunque “sostituisce” il commento, assu-mendosi il compito di rendere più accessibile ciò che le parole esprimono.

Durante l’Ottocento, alcune innovazioni nelle tecniche di incisione e distampa permettono agli editori di realizzare volumi con immagini a costi relati-

4 “Pictura est laicorum scriptura”, in Paola Pallottino, Storia dell’illustrazione italiana,Zanichelli, Bologna, 1991.

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Figura 3.1 Pagina di libro xilografico.

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vamente bassi: è un ulteriore impulso all’industria del libro e alla sua diffusionepresso gli strati meno abbienti della popolazione. La letteratura così detta popo-lare, si avvale di ornamenti e figure come non succedeva da anni. Le strenne,libri destinati ai pacchetti natalizi, oggetti di scarso interesse letterario ma fine-mente illustrati, sono spesso il pretesto per vendere stampe. Le immagini simoltiplicano, vengono riutilizzate per testi diversi, mentre la passione per lagrafica, anche sganciata da esperienze editoriali, cresce.

Contemporaneamente, questo rinato culto dell’immagine determina la dif-fusione di spettacoli ambulanti basati su inusitati congegni che mostrano alpubblico immagini di luoghi lontani o sequenze di racconti. Lo spettacoloottico, accompagnato da rudimentali colonne sonore, attrae in modo irresisti-bile e diventa sempre più raffinato: già al tempo della Rivoluzione francese, lefamose fantasmagorie di Robertson avevano terrorizzano i parigini resuscitan-do Marat e la folla dei ghigliottinati; negli anni seguenti si diffonderanno pa-norami, fantascopi, diorami, pantoscopi e tanti altri congegni e sistemi pervisualizzare o proiettare su parete immagini fisse. Varie ditte di fine Ottocento,in Inghilterra, si specializzano nella produzione di lastre di vetro dipinte dedi-cate alla storia, alla geografia, all’insegnamento dell’astronomia e della medi-cina, mentre fanno la loro comparsa i primi castigati spogliarelli. Col tempo siapriranno addirittura sale pubbliche di proiezione che precorrono gli spetta-coli cinematografici.

Figura 3.2 Lanterna magica in legno e ottone (h cm 67), Venezia, secolo XVIII.

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Eredi degli antichi cantastorie, che narrano le vicende di personaggi raffigu-rati su grandi quadri appesi a improvvisate strutture di legno, gli organizzatoridi spettacoli ottici mostravano l’illusione di luoghi sconosciuti, di vicende fanta-stiche e di avvenimenti storici lontani nel tempo. Se in alcuni casi la visionebastava da sola ad avvincere l’attenzione dello spettatore, altre volte la proiezio-ne era accompagnata da un commento, una sorta di lettura delle immagini daeffettuare in simultanea. Parole dette e immagini in sincrono erano il segreto delsuccesso delle proiezioni, ma anche dei volumi illustrati, meno suggestivi eappariscenti, ma più maneggevoli. La lettura a voce alta traeva vantaggio dal-l’ausilio delle immagini stampate e la memoria di chi ascoltava trovava appiglioin quelle visioni. Ancora una volta è possibile nominare illustri predecessori: lalettura sacra è una delle prime forme di lettura pubblica. Tre secoli dopo Grego-rio Magno, sui rotoli liturgici illustrati, compaiono immagini che raffiguranoscene bibliche, moduli liturgici o scene politiche:

Poiché il diacono li leggeva dal pulpito srotolandoli a poco a poco, le illustra-zioni erano capovolte rispetto al testo, in modo che apparissero nel versogiusto ai presenti. Venivano poi lasciati appesi al pulpito per più giorni,perché il pubblico ne fruisse più volte e potesse comprenderli meglio.5

5 AA.VV., Dalla selce al silicio, a cura di Giovanni Giovannini, Gutemberg 2000, Torino,1991, p. 75.

Figura 3.3 Zootropio di Corner completo di 18 bande disegnate e dipinte, Parigi1890 ca.

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6 Anna Maria Testa, La parola immaginata, Pratiche Editrice, Milano, 2000.

3.1.3 Immagini pubblicitarie

Le immagini di grandi dimensioni, corredate di testi accattivanti, sono l’ingre-diente chiave dei cartelloni pubblicitari. Ai primi del Novecento pittori e scrittorivengono assunti dalle agenzie per realizzare gli annunci che tappezzeranno imuri delle città. In Italia i cartellonisti sono nomi noti come Dudovich, Cappiel-lo e Depero. Dopo la seconda guerra mondiale si aprono in Italia agenzie diimprese statunitensi e inglesi, che importano il loro modo più “disinvolto” diintendere la promozione, scevro dai connotati artistici che fino ad allora aveva-no dominato in Italia e in Francia. Da quel momento in avanti si assiste a uncrescendo nella diffusione degli annunci e nella loro varietà: dai muri e dallepagine dei giornali, gli annunci pubblicitari si diffonderanno poi alla radio e allatelevisione, che diventeranno canali preferenziali per il lancio dei prodotti. Ognicanale presenta le sue strategie, e le operazioni di promozione diventano veree proprie campagne che offrono prodotti differenziati in base al medium utiliz-zato: dai grandi manifesti, ai piccoli spazi sui giornali fino a Carosello. Sia glispot che i manifesti basano la loro efficacia sulla capacità di sintesi espressiva,su una comunicazione veloce e immediata concentrata su un’idea.

La forza della tecnica di comunicazione pubblicitaria risiede proprio nellacapacità di offrire, in uno spazio o un tempo molto ridotti, una notevolequantità di informazione e di emozione attraverso l’integrazione di duemodalità espressive (quella verbale e quella visiva).6

La pubblicità rappresenta ancora oggi uno dei tentativi più convincenti direalizzare la fusione tra parola e immagine e di impressionare, talvolta anchetramite l’uso della grande dimensione, l’attenzione del passante, possibile ac-quirente. È al linguaggio pubblicitario, sapiente mistura di competenze lingui-stiche e grafiche, che ci si ispira tutte le volte che si devono scrivere testi aeffetto, da concentrare in un solo riquadro.

La pubblicità stampata generalmente affida la comunicazione di un’idea allacommistione di parole e immagini: l’headline e il visual (il body-copy è la partepiù propriamente testuale, che integra le informazioni del messaggio in manierapiù esaustiva) concorrono assieme alla creazione di un unico contenuto, che halo scopo di colpire l’attenzione dell’utente e di farsi ricordare.

Sui muri delle città le affissioni pubblicitarie possono raggiungere dimensio-ni notevoli (settanta centimetri per un metro, fino a immagini di trecento perseicento metri, come grandezza massima), proprio perché devono colpire ilpassante, catturare in tempi brevi (nell’ordine di qualche secondo) l’attenzionedi un utente impegnato in altre attività e per lo più in movimento. Il titolo dovrà

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Figura 3.4 M. Dudovich, Fiera del Santo, Padova 1899.

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essere particolarmente leggibile, grande e molto breve, accattivante e suggesti-vo nella forma; l’immagine ben visibile, anche da lontano.

Nel corso degli anni le strategie promozionali si sono affinate e si è passatidal semplice annuncio all’uso di affissioni che tendono a costruire una sorta ditrama comunicativa che oltrepassa i limiti del singolo manifesto: la tecnica teaserconsiste nella creazione di una serie di annunci che, ordinati in sequenza, sugge-riscono al lettore un messaggio che viene rivelato per gradi, solo alla fine; l’ulti-mo manifesto contiene l’informazione per intero e allenta la suspence preceden-temente creata. Credo che ognuno di noi ne abbia avuto prova, osservando unaserie di cartelloni appesi in successione magari sugli alberi di un viale cittadino.

L’impatto comunicativo della pubblicità stampata è spesso affidato a un’am-biguità che si crea tra le parole e le immagini; un’ambiguità che può essererelativa ai contenuti, o alla forma tramite la quale si esprime. Il testo pubblicita-rio, infatti, si basa raramente sulla ridondanza, ma tende a esprimere una fonda-mentale contraddizione tra i due codici: se le parole enunciano un concetto,l’immagine dovrà, se non ribaltare, almeno aggiungere elementi di innovazioneal messaggio. Se le parole fanno ricorso a una certa figura retorica, inoltre,l’immagine dovrà possibilmente utilizzare altre forme espressive per evitareinutili ripetizioni, poco efficaci in una logica di economia comunicativa comequella del linguaggio pubblicitario.

La forza espressiva della pubblicità si basa dunque su una retorica cheprevede uno studio accurato dell’aspetto visivo (immagini che impressionano,grandi dimensioni, colori), degli slogan (l’incisività delle parole utilizzate) edella loro sapiente commistione. Parole, immagini e grandi dimensioni sono treingredienti di grande effetto che, se uniti al movimento, creano un linguaggio digrande potere suggestivo (Approfondimento 3.2).

Approfondimento 3.2 Consigli per la scrittura di un testo pubblicitario

«L’uso delle immagini

La gente guarda le immagini prima di leggere i titoli. Allora, più l’immagineriesce a raccontare la storia, più informazioni siete in grado di comunicareimmediatamente. [...]

A proposito di impaginazione, anche le foto scontornate secondo me van-no usate con parsimonia. In libri, giornali e quotidiani le foto più significativesono generalmente nei loro bei riquadri rettangolari e ritengo che in questomodo siano generalmente più credibili e facili da leggere.

L’importanza del titolo

La seconda tappa del nostro viaggio a cavallo dello sguardo del lettore è iltitolo. Come copywriter, nessun errore ti è concesso: il titolo è la parte piùimportante dell’annuncio. Se non riesce a comunicare niente, tutto l’annuncio

(continua)

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Figura 3.5 Un esempio di Pubblicità e Progresso realizzata da G. Cella eM. Degrada nel 1972.

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comunicherà molto poco, a dispetto di quanto possa essere forte la foto, o conquanta abilità sia stato impaginato. [...]

C’è un punto che non sottolineerò mai abbastanza. Possono esserci dellevolte in cui un titolo non ha bisogno di un’illustrazione; ma non ci sarà mainessun caso in cui un’illustrazione non abbia bisogno di un titolo. [...]

Che cosa rende buono un titolo?

Per prima cosa titolo e immagine dovrebbero andare sempre d’accordo. Il pri-mo dovrebbe raccontare una parte della storia, mentre la seconda il resto.Qualche volta il titolo, da solo, può non significare niente. Così come un’imma-gine da sola può essere misteriosa. Ma quando parole e immagini procedonoassieme, si svela l’intera storia con forza, personalità e originalità.

Un titolo non deve mai ripetere quel che l’immagine ha già detto. E l’imma-gine non limitarsi semplicemente a illustrare il titolo. Occorre far sì che ognunafaccia la metà del lavoro: la comunicazione è convincente quando titolo eimmagine saranno una cosa unica, in modo chiaro e immediato come dovreb-be essere un’affissione.»

(Da Alastair Crompton, Il mestiere del copywriter, Lupetti, Milano, 1997, pp. 88-90)

3.1.4 Cinema muto

La nascita del cinema (ufficialmente riconosciuta con la registrazione del bre-vetto eseguita dai fratelli Lumière il 13 febbraio 1895, ma già anticipata daEdison) segna l’inizio della fortuna delle immagini proiettate a grandi dimensio-ni. Inizialmente la settima arte affidò il suo potere narrativo esclusivamenteall’immagine e al suo movimento. Solo in seguito si sentì la necessità di inserirenelle sequenze sceniche le didascalie, ovvero brevi frasi che potevano di voltain volta riassumere l’accaduto o farsi portavoce dei dialoghi muti degli attori.Ancora una volta il testo sembra avere una funzione di secondo ordine rispettoall’immagine, tanto è vero che molti registi si rifiutarono di fare ricorso alledidascalie considerandole quasi un insulto alla nuova arte.

Le parole, d’altra parte, contrapponevano la loro fissità al movimento reali-stico dell’azione cinematografica, come pause all’interno del flusso narrativo; iltesto scritto ribadiva il suo carattere statico nei quadretti di intermezzo tra unascena e l’altra. Il movimento delle parole era affidato solo al loro suono e allavelocità secondo cui esso si articolava nella mente del lettore, secondo il tempodi lettura che gli era concesso. Le didascalie restavano ferme di fronte agli occhidel lettore un tempo tale da consentire a tutti di decifrare lo scritto e porsi inattesa della prossima scena.

In Italia si assisté anche a tentativi di nobilitazione letteraria dei testi delledidascalie, quando la loro composizione venne affidata ad artisti di grido,

(seguito)

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come ad esempio Gabriele d’Annunzio. Nel 1912 egli ottenne, infatti, uncontratto per la stesura dei testi che avrebbero commentato le sequenze diCabiria, il film di cui firmò anche la sceneggiatura, nonostante l’autore fossein realtà il regista Giovanni Pastrone. Erano gli espedienti scovati dal mondodel cinema nel tentativo di nobilitare un’arte che stentava ancora ad afferma-re il proprio valore e a essere considerata alla stregua delle altre, in modoparticolare del teatro.

Eppure, strano a dirsi, il testo alfabetico possiede una sua dignità all’internodi una narrazione cinematografica. Studi recenti sulla percezione visiva del te-sto filmico hanno dimostrato, infatti, come il lettore concentri la sua attenzionesulle parole scritte di fronte a un’inquadratura in cui compaia accidentalmenteun testo, sia esso una lettera, o un cartellone o un manifesto. Legge il testodistraendosi momentaneamente dall’azione e dal movimento. Ma si tratta, co-munque, di casi poco frequenti.

Solo nei titoli di testa e di coda del cinema (ma di quello più recente), leparole hanno acquistato un loro ritmo cinetico che esula da quello che lo spet-tatore gli attribuisce.

Oggi la tecnica degli effetti di comparsa e scomparsa delle parole che apro-no e chiudono uno spettacolo cinematografico si è affinata e rappresenta, perchi si diverta a esaminarne le tipologie, un grande campo di riflessione. Come sipuò accompagnare il lettore in una lettura che non risulta né necessaria néparticolarmente allettante per la comprensione del testo filmico? Quali espe-dienti si possono escogitare per far sì che lo spettatore cinematografico restifino alla fine dello spettacolo leggendo una serie interminabile di nomi?

Musica, immagini in sincrono, effetti speciali: la serie delle combinazioni èormai assai variata. In alcuni casi l’apertura e la chiusura di un film sono pezzid’opera a tutti gli effetti.

Si possono disporre le parole secondo una struttura trapezoidale, che inrealtà simula lo scorrimento su un piano prospettico profondo, come in Guerrestellari, dove il testo iniziale riassume e introduce l’episodio trasportando subitolo spettatore in una dimensione profonda dello spazio. Oppure si può trasfor-mare la chiusura in una sorta di proseguimento della scena finale, con un’alter-nanza sapiente di parole e inquadrature (come ne L’amore ha due facce). Oancora, si può fare come accade in una serie molteplice di thriller, in cui leparole sono “sparate” sullo schermo con la rapidità di un clic fotografico, richia-mando il tema generale del film. Il lungo testo a scorrere di sempre, magariaccompagnato da una colonna sonora di grande rilevanza evocativa, è oggiaffiancato da molti altri sistemi espressivi.

3.1.5 Quando nasce la multimedialità?

Agli inizi degli anni Novanta, un neologismo si affaccia nel panorama lingui-stico delle innovazioni tecnologiche. Il termine “multimediale” viene associa-to a certe presentazioni in azienda durante le quali un relatore accompagna il

150 Capitolo 3

suo discorso con proiezioni di immagini, che possono essere figure, grafici osemplicemente gli appunti schematici del testo che si accinge a pronunciare.7

La parola, che ha avuto poi un successo insperato, designa proprio la com-binazione di media diversi: la voce, un videoproiettore o una lavagna luminosache integrano la loro azione espressiva a vantaggio di una comunicazione piùefficace.

I vantaggi di tale procedura sono facilmente intuibili. Intanto c’è il tornacon-to del relatore che, senza la fatica di affidarsi completamente alla memoria,segue la sua scaletta ritrovando la dispositio degli argomenti, proprio nella se-quenza delle immagini proiettate. E c’è il tornaconto dell’ascoltatore, che vedeil suo compito ricettivo facilitato dagli appigli visivi che le immagini gli offrono.L’attenzione viene stimolata, la comprensione aiutata da una sintesi che vieneconsegnata già pronta, la memorizzazione facilitata dagli appigli visivi del testoche servono a fissare i concetti. Abbiamo avuto modo di dimostrare nelle pagi-ne precedenti quanto questo tipo di procedura fosse già ampiamente sperimen-tato, ovvero come la combinazione di elementi visivi e sonori di un testo siastata considerata sempre di grande efficacia comunicativa; tuttavia le innovazio-ni tecnologiche danno mano ad affinare ed estendere certi usi. È successo,infatti, che dagli anni Settanta in poi la diffusione delle così dette presentazioni“multimediali” sia andata gradualmente affermandosi, e oggi non c’è convegnoin cui almeno uno dei partecipanti non mostri una sua presentazione e si ap-poggi ad essa per il proprio intervento.

Nel frattempo la parola “multimedialità” ha assunto nuovi significati, espan-dendo il suo campo semantico fino a inglobare fenomeni di fatto inediti nelmondo della comunicazione. Oggi con il termine si tende a concepire un tipocomunicazione che viaggia su diversi canali utilizzando strategie diverse neidiversi casi. Per comunicazione multimediale si tende così a considerare unastrategia complessiva che riunisce ad esempio un programma televisivo, un sitoInternet e una pubblicazione a stampa coordinati.

“Multimedia” indica invece il prodotto di un tipo di comunicazione cheriunisce diversi codici linguistici combinando insieme parole immagini, anima-zione e suono.

Entrambi i significati, sostanzialmente differenti, si basano tuttavia sull’as-serzione di base che la combinazione di più strumenti comunicativi (siano essicanali o codici) determina un ampliamento delle possibilità espressive. Oggiche la comunicazione ha assunto un ruolo chiave all’interno di una societàcomplessa come la nostra, diventa sempre più consueto ricorrere a una serie dipossibilità espressive, che si tratti di combinare immagini e suoni o suoni eparole, o che si tratti di utilizzare veicoli di varia natura, canali come si diceva.

Forse la “multimedialità”, in qualche forma, è sempre esistita, perché multi-mediale è la comunicazione umana, ma non c’è dubbio che le moderne tecno-

7 Vedi Win L. Rosch, La grande guida alla mutimedialità, Jackson Libri, Milano, 1996.

Il testo che si guarda 151

logie della comunicazione offrano oggi potenzialità del tutto inedite e inimma-ginabili solo qualche anno fa.

Useremo il termine “presentazione” per indicare una precisa categoria ditesti, che sono ormai entrati a far parte della nostra esperienza anche grazie allafortuna di un software che ha preso piede per la sua semplicità d’uso, l’arcinotoPowerPoint della Microsoft, che si accompagna a una serie di altri programmimeno noti (tra cui alcuni gratuiti), ma altrettanto validi, che possiedono le stessefunzioni. Le presentazioni sono testi generalmente destinati alla proiezione suschermo, diversi da un filmato in quanto costituiti da sequenze di schermate piùo meno fisse, insomma, una strana mistura di libro e film.

3.1.6 Arte multimediale

Tutta l’arte degli ultimi decenni del secolo è caratterizzata da una ricerca “mul-timediale”, dall’esigenza di combinare forme di espressione tra loro distanti.

Le commistioni tra poesia e pittura o tra pittura e musica, già sperimentatealla fine dell’Ottocento e ai primi del Novecento da artisti come Mallarmé oApollinaire, teorizzate dal movimento futurista (vedi ad esempio le composizio-ni parolibere di Francesco Cangiullo o le più note pagine di Marinetti), diventa-no la sfida della corrente della Poesia Visiva (Approfondimento 3.3), nata neglianni Sessanta del Novecento. Le combinazioni inconsuete e anomale di imma-gini, parole e artifici tipografici spiazzano l’osservatore, dimostrando quanto lanostra intelligenza sia ormai irrimediabilmente condizionata dalle convenzionidei media. Intento della Poesia Visiva è mettere l’osservatore di fronte ad acco-stamenti che scuotano il suo abituale torpore percettivo.

Lettere alfabetiche, ideogrammi, corsivi, arabeschi, immagini, geroglifici,combinati in modo da scuotere il linguaggio e la lettura d’uso abituale, sonoi “materiali” della Poesia Visiva. Segni che significano se stessi e rimandanoad altro da sé, consentendo interpretazioni mutevoli. A volte si tratta diesprimere un’idea più prepotentemente, raddoppiando l’intensità del mes-saggio; si ricorre all’antitesi del segno e della figura.8

Tra gli artisti più significativi si ricordano Ugo Carrega, Adriano Spatola,Emilio Isgrò, Franz Mon, Tom Ulrichs e molti altri, ognuno dei quali ha operatosecondo metodologie diverse: talvolta accentuando il carattere visivo degli ele-menti verbali, in altri casi utilizzando la tipografia per comporre forme o riba-dendo il potere linguistico della lettera. Collage di testi e immagini, pezzi difogli a stampa ricomposti secondo figure, oggetti ai quali la parola attribuisce ilsenso; oppure la variante della Poesia Concreta che crea composizioni con lesole parole. Famoso il “rebus” di Mirella Bentivoglio: una semplice composizio-ne grafica che abbina a una grande bocca femminile aperta le lettere dell’espres-

8 Lea Vergine, L’arte in trincea, Skira, Milano, 1996, p. 108.

152 Capitolo 3

Figura 3.6 Mirella Bentivoglio, (AM) TI AMO, 1970.

sione “ti amo”; il messaggio, che potrebbe sembrare una ridondanza espressiva,di fatto crea una forte ambiguità, spezzando le parole in modo tale che i suoni“am” siano collocati all’interno della bocca, riproducendo in maniera onomato-peicamente inquietante l’atto di divorare qualcosa o qualcuno.

Ricordiamo anche le recenti opere di Barbara Kruger: tra queste una stanzacolma di parole proiettate sulle pareti, sul pavimento e sul soffitto, frasi casualiche avvolgono l’individuo, rendendolo il centro di una serie di messaggi alfabe-tici che giungono da più parti.

Se gli artisti citati hanno cercato una stretta correlazione tra parola e imma-gine, altri, appartenenti al movimento Fluxus, hanno coniugato nella loro espe-rienza artistica elementi visivi e sonori. Il movimento Fluxus prende avvio allafine degli anni Cinquanta, tra Europa, Stati Uniti e Giappone. I primi festivalFluxus ebbero luogo in Europa tra il 1962 e il 1963, il primo a Wiesbaden. Artistidi varia provenienza si riunirono grazie a George Maciunas che provò a pubbli-care, contro il volere di molti, un manifesto del movimento. Si stabilì, comun-que, tra gli artisti una rete di comunicazione mondiale: tutti avevano in comuneil concetto di arte quale Inter Media.

L’Inter Media rifiuta l’arte e la comunicazione in quanto produzione e cercainvece, attraverso un’innovazione costante, di svolgere una ricerca fonda-mentale nell’articolazione umana. L’opera qui non è un’unità demarcata.

Il testo che si guarda 153

L’opera è aperta e sottoposta a un cambiamento continuo perché include lospettatore.9

Arte fluxus, secondo la definizione dei suoi stessi estensori, può esseremolte cose diverse. Ricordiamo qui, a sostegno di quanto stiamo dicendo, gliesperimenti audiovisivi di uno dei più noti rappresentanti del movimento: NamJune Paik, già citato nel capitolo 1.

Figura centrale della Video Art, considerato uno degli artisti chiave del no-stro tempo, Paik propone allo spettatore una profonda riflessione sui temi dellapercezione e del ruolo della tecnologia nella nostra vita, trasformando la televi-sione in un oggetto scultoreo e lo schermo televisivo in uno spazio pittorico. Lavisione è il tema dominante di tutta la sua opera, ma anche le relazioni chequesta stabilisce con il sonoro.

Approfondimento 3.3 Sulla poesia visiva

«Il poeta si sa, è un esploratore di parole, ma che fare quando la parola non sipresenta più allo stato puro e tende a combinarsi sempre più con l’immagine?Nella pubblicità, nei giornali, al cinema, alla televisione parole e immaginestanno insieme. Neppure adesso il poeta può rinunciare alla sua esplorazione.

Il poeta visivo non idolatra i contenuti, ma neanche li rifiuta; anzi, è da essistimolato continuamente, tuttavia, nel momento operativo, varranno per luisoltanto le leggi della composizione, e nessun’altra legge. Il poeta visivo ècome chi si accinge a risolvere un cruciverba. Egli risponde a precise domande,preoccupandosi soltanto di osservare il numero di lettere prescritto; ma le suerisposte, alla fine, saranno leggibili orizzontalmente e verticalmente, come struttu-re linguistiche autonome rispetto alle domande di base. È però innegabile chequelle strutture rimanderanno sempre a qualcosa d’altro, allo stimolo iniziale.

L’analisi del mercato (altro esercizio che l’operatore moderno deve compie-re) stavolta non è completamente sfavorevole al poeta, forse è l’immissione dinuovi segni in quello che fu il recinto sacro della parola a moltiplicare i signifi-cati, a ricaricare ciò che sembrava definitivamente scarico, di fatto accade chetutti questi segni rimandino lo spettatore, anche con violenza, ad altrettantioggetti; come ciò sia possibile, non tocca al poeta dirlo: egli gira la domanda,per una verifica, alla scienza linguistica.

Ora non c’è che una conclusione, e relativa per giunta: non è più possibileuna poesia come arte esclusiva della parola. La nuova poesia vuole essereun’arte generale del segno.»

(Dichiarazione n. 1, intervento tenuto ai Congressi internazionali di poesia diAbbazia e di Gorizia, maggio 1996, in Lea Vergine, L’arte in trincea, Skira,Milano, 1996, p. 115)

9 The fluxus constellation, a cura di Sandra Solimano, Museo d’arte contemporanea di VillaCroce, Genova, 2002.

154 Capitolo 3

3.1.7 In conclusione

Questo rapido excursus attraverso i secoli, che riunisce esperienze tra loroprofondamente diverse, tenta di sintetizzare alcuni concetti di fondo, indivi-duando un filo conduttore tra le esperienze citate: l’importanza attribuita alleimmagini, considerate spesso come un linguaggio più diretto e immediato diquello alfabetico. Accanto a questo, emergono la ricerca del superamento deiconfini posti tra i diversi codici espressivi e la sperimentazione di forme comu-nicative inedite che hanno teso a combinare i diversi linguaggi nel tentativo ditrarre da ognuno il meglio; infine, il ricorso alle grandi dimensioni, oltre i con-fini della pagina stampata, utilizzate per impressionare l’immaginazione crean-do un ambiente percettivo che avvolge lo spettatore. Ogni strategia comunica-tiva ha avuto come obiettivo primo quello di favorire la comprensione del testoe di rendere quest’ultimo particolarmente efficace.

Figura 3.7 Man Ray, Logique assassine, 1919.

Il testo che si guarda 155

• Vorremmo a questo punto concludere questa prima parte del terzo capitoloponendo una serie di interrogativi. Si può condividere l’idea avanzata dapiù parti che ogni codice sia in qualche modo equivalente? Che un testoscritto possegga le stesse valenze comunicative di un’immagine o di unfilmato? Che, quindi, uno stesso messaggio possa essere espresso tramitecodici differenti senza perdere la sua valenza di fondo?

• Oppure ancora: è vero che il medium è il messaggio? Possiamo, dunque,affermare che ogni canale comunicativo è portatore di per sé di un messag-gio in esso già implicito? In questo caso gli effetti di un testo scritto sarebbe-ro profondamente diversi da quelli prodotti da un film o da un quadro.

• Un libro, ad esempio, pone il suo utente nella condizione di dover necessa-riamente interpretare il testo che legge. La lettura chiama in causa tutte lefacoltà immaginative di un individuo per colmare il vuoto esperenziale la-sciato dall’assenza di immagini: ogni descrizione, ogni dialogo, ogni eventorichiederà da parte del lettore uno sforzo di completamento che trasformeràin immagini visive ciò che nel libro è solo suono.

• Viceversa il cinema muto porrà l’osservatore nella condizione di assegnareun suono a ogni silenzioso evento della scena, a immaginare i dialoghi e itoni di voce di personaggi, che comunicano solo con gesti e sguardi, perquanto eloquenti. Quando io mostro un sequenza filmica che è la riprodu-zione di uno spaccato di vita, lo sforzo dell’osservatore è senz’altro ridottorispetto alla lettura su carta della narrazione della stessa scena. Eppure pos-siamo affermare che l’utente cinematografico diventi per questo un osserva-tore meno intelligente?

Sicuramente, e gli studi sulla psicologia della percezione ce lo dimostra-no, un’animazione possiede una capacità di “presa” maggiore sullo spettatorerispetto ad esempio a un’immagine fissa. Di fronte a un’immagine fissa, infat-ti, lo sguardo dell’osservatore è libero di esplorare lo spazio secondo movi-menti che possono essere influenzati dalla disposizione e dalla forma deglielementi presenti, ma che, tuttavia, gli consentono un ampio margine di auto-nomia. Diverso è il caso dello sguardo “prigioniero” del movimento, chepossiede la prerogativa di essere una potentissima calamita per l’attenzionedi qualsiasi osservatore. Per questo motivo un testo che utilizza immagini inmovimento cattura maggiormente l’utente e lo rende, in qualche maniera,meno libero.

Ma nonostante questo, ci sembrerebbe improprio stigmatizzare alcuneforme espressive che in realtà possono rivelarsi assai efficaci. L’approcciocorretto ci sembra un altro. Lungi dal dichiararsi apocalittici o integrati neiconfronti dei nuovi media, conviene chiedersi se il vero discrimine tra lediverse forme di comunicazione non risieda nella qualità del linguaggio. Unlinguaggio impoverito, ridotto alla replica di poche costanti, di cliché ripetuti,può appartenere a una narrazione sia scritta che filmica e rappresenta, co-munque, un insulto all’intelligenza del lettore, al suo bisogno di porsi doman-

156 Capitolo 3

de per capire. Viceversa un film o un’immagine o un sito Internet, che ricorraa un linguaggio più complesso, rappresenterà, comunque, un grande stimoloper l’osservatore.

3.2 ProgettazionePresentazioni multimediali

3.2.1 Presentazioni audiovisive: definizione e tipologie possibili

Prima situazione. Nella sala del convegno si abbassano le luci, si accende unoschermo collegato a un computer portatile e il relatore dà inizio al suo interven-to. Il suo discorso si appoggia a una sintesi riassuntiva che gli spettatori posso-no vedere alle sue spalle. Parole pronunciate e parole scritte proiettate sullaparete sono l’essenza del comunicato.

Seconda situazione. Sempre luci basse. Ma questa volta siamo a una mostra.Un PC mostra in sequenza un testo che si ripete in automatico. Un commentomusicale accompagna le immagini di opere di artisti appartenenti al movimentodella Xxxx Art. Di quando in quando un testo alfabetico descrive sullo schermoquanto l’osservatore sta vedendo.

Terza situazione. A una fiera, presso uno stand, un PC, come un piccolotelevisore, mostra in automatico le meraviglie della ditta yyyy produttrice dizzzzzzzz. Sullo schermo scorrono velocemente schermate costituite da foto,grafici, tabelle, mentre un commento parlato illustra il tutto. Anche in questocaso il pubblico non ha da far niente: solo guardare e ascoltare.

Sono solo alcuni esempi di ciò che abbiamo definito “presentazioni multi-mediali”.

I testi in questione, assai diversi tra loro, sono comunque riconducibili allastessa categoria: testi multimediali in cui il grado di interazione dello spettatoreè azzerato e che si ispirano a modelli che li hanno preceduti (proiezione conlavagna luminosa, proiezione di diapositive, filmati in analogico).

Oggi, semplici programmi permettono la gestione di slide o di brevi filmatisenza sforzo alcuno. Quando un commento sonoro, sia esso musicale o parlato,si somma a una sequenza di immagini più o meno fisse, ci troviamo di fronte aquella che abbiamo chiamato “presentazione multimediale”. Che differenza c’ètra un video e una presentazione? Sostanzialmente il primo è uno spezzonecinematografico, mentre la presentazione che pure unisce musica, immagine eparole risulta in qualche modo ancora vicina al testo stampato e rappresenta lafusione dei due sistemi comunicativi. Una strana mistura tra film e libro, dun-que, dove l’andamento assomiglia allo scorrere delle pagine sì, ma con l’intro-duzione di elementi caratteristici del video, quali eventi sulla scena e transizionitra inquadrature.

Gli ingredienti sono sempre gli stessi: immagini fisse, testo alfabetico scritto,testo alfabetico recitato, musica; le animazioni, poi, sono possibili per le imma-gini e anche per il testo scritto.

Il testo che si guarda 157

Le combinazioni possibili sono svariate:

1. Immagini fisse + voce del relatore in presenza (ovvero la presentazioneprevede il discorso di un relatore presente di persona)

2. Immagini fisse + voce registrata3. Testo alfabetico + voce del relatore in presenza4. Testo alfabetico + voce registrata5. Musica + immagini6. Musica + immagini + testo scritto7. Un po’ di tutto ... sempre secondo gli obiettivi che mi propongo di ottenere.

1. Immagini + voce (con relatore in presenza)È forse il caso più semplice di presentazione: una serie di diapositive che servo-no da supporto a un discorso. L’immagine ha una funzione meramente esplica-tiva e il relatore può stabilirne la successione e i tempi di scorrimento. Il testodella presentazione può avere un senso anche senza il commento di un relato-re, ma sicuramente il suo significato è accresciuto grazie all’intervento di que-st’ultimo. Le parole pronunciate, da parte loro, si appoggiano all’immagine e daessa traggono la loro ragion d’essere.

2. Immagini fisse + voce registrataLe parole che si ascoltano risultano sicuramente più efficaci se sostenute daimmagini che le rappresentano. Pensate ad esempio a quanto sia diversoseguire le istruzioni di un corso sulla fotografia, ascoltando semplicementeuna voce che spiega, o viceversa seguire la stessa lezione supportata daimmagini che illustrano le procedure da seguire. Due codici espressivi com-binati risultano sicuramente più efficaci di uno solo. È difficile seguire il flus-so di un discorso, soprattutto se lungo e complesso, se non si ha la possibilitàdi “stoppare” il testo, che segue i suoi tempi di svolgimento. Le immaginiservono a fissare alcune pause nel flusso ininterrotto del testo orale, possonoapportare contributi significativi alla sua comprensione e alla memorizzazio-ne: ancorare, fissare il testo, enfatizzarne il contenuto, favorire la memorizza-zione sono le funzioni attribuite alle immagini scelte a sostenere un discorsopronunciato.

Possiamo provare a fare un semplice esperimento, che consiste nel mostra-re a un gruppo di utenti uno spezzone audiovisivo costituito da una serie diimmagini a supporto di una voce che spiega un certo argomento x. Si chiedeagli ascoltatori di prestare attenzione alla presentazione e di scrivere su unfoglietto le parole chiave del discorso. Alla fine dell’esperienza, si nota come leparole registrate corrispondano quasi fedelmente ai termini pronunciati dallavoce narrante nel momento in cui si verifica il cambio di immagine: gli stacchicreati dalla successione delle immagini creano cioè una scansione interna altesto sottolineando i momenti di passaggio tra un’immagine e l’altra. Questosemplice espediente serve a dimostrare l’importanza di una perfetta sincronia

158 Capitolo 3

tra immagini e parlato. La scansione di un testo orale è affidata senza dubbioalle pause espressive e al tono di voce, ma risulta sicuramente enfatizzata dauna successione di “ancore” visive.

3. Testo alfabetico + voce con relatore in presenzaFino a qui si è parlato di una combinazione di voce e immagini. Può accadereanche che siano parole scritte a svolgere la funzione di sostegno: è il caso di undiscorso pronunciato oralmente e accompagnato dalla proiezione di un testoscritto che ripete, in maniera sintetica, ciò che la voce recita. In questo caso lepause del discorso risultano efficaci, perché fissano in una sintesi i concettiespressi con tutti i vantaggi sia per il pubblico che per l’oratore.

Questo tipo di presentazione è molto utilizzata per lezioni o convegni etende a sostituire il vecchio sistema dei lucidi su lavagna luminosa. Il testoscritto corrisponde spesso alla scaletta ideale che l’oratore si è preparato e servea porre in evidenza, visualizzandoli, alcuni dei concetti chiave esposti durantela relazione.

4. Testo alfabetico + voce registrataOppure, pensiamo al caso in cui non è necessaria la presenza fisica del relatore,ma il testo è già compiuto in sé. Questo tipo di testo è più simile a uno spot,procede in automatico e mostra allo spettatore una proiezione di sequenzealfabetiche accompagnate da un commento sonoro. Chi avrà progettato e mes-so a punto il testo si sarà preoccupato di sincronizzare in maniera perfetta iltesto delle parole pronunciate e quello delle parole scritte a video, in modo dacreare un’unità coerente e significativa. Molta attenzione, in questo caso, vadata alla definizione dei tempi di scorrimento. I tempi di lettura e di attenzionedegli utenti rappresentano, infatti, una variabile assai rilevante: uno scorrimentotroppo veloce impedirebbe di ultimare la lettura, uno scorrimento eccessiva-mente lento, al contrario, potrebbe demotivare i lettori più rapidi. Ancora unavolta, la definizione dell’utente medio e degli obiettivi da assegnare al propriotesto costituiranno la guida più efficace nella scelta.

5. Musica + immaginiImmagini e musica sono sempre una combinazione di grande effetto e la ripro-va ci è fornita dal successo dei video musicali con i quali, per esempio, MTVaffascina ogni giorno un numero assai elevato di giovani e meno giovani.

I video musicali sono testi studiati in modo tale che le immagini (si trattasempre di filmati) siano di supporto al testo musicale. Il filmato nasce dopo,come reinterpretazione dello stesso pezzo musicale.

Può succedere tuttavia anche il caso contrario: trovarsi di fronte a testi in cuile immagini hanno preceduto la musica che deve accompagnarle. Molte colon-ne sonore nascono, ad esempio, dopo che il testo filmico già esiste.

In alcune esperienze artistiche contemporanee le immagini e la musica na-scono contemporaneamente formando una sinestesia indissolubile. Il caso estre-

Il testo che si guarda 159

mo è senza dubbio rappresentato da una serie di programmi che, lavorandosulle onde sonore di un suono, traducono le sue frequenze direttamente inimmagini, non figurative ma estremamente suggestive.

6. Musica + immagini + testo scrittoLe sigle televisive degli ultimi anni ci hanno ormai assuefatto all’uso combinatodi codici espressivi diversi. Alcuni studi sulla percezione dei filmati hanno di-mostrato come l’utente (deve trattarsi naturalmente di un utente alfabetizzato)tende a dare sempre una priorità al testo alfabetico: quando in un filmato com-paiono lettere scritte, è quasi automatico che l’occhio abbandoni momentanea-mente le immagini per volgere tutta la sua attenzione alla decifrazione delsenso del testo che compare. L’immagine diventa in quel caso uno sfondo checontinua tuttavia ad avere un ruolo fondamentale. Come sappiamo, infatti, molteimmagini dello sfondo lasciano nella nostra mente, anche a nostra insaputa,un’impressione determinante e vengono registrate in memoria in maniera quasiautomatica (è la tecnica utilizzata per il passaggio di tanti messaggi subliminali).La musica poi, si sa, è sempre l’elemento di maggiore impatto emotivo in qual-siasi comunicazione e determinerà, prima di tutto il resto, l’impressione inizialedell’utente nei confronti del testo.

3.2.2 Sequenze, ritmo e tempi di lettura

Qualunque sia la sua natura e i codici utilizzati, una presentazione è semprecostituita da un certo numero di schermate, nelle quali possono essere visibiliparole e immagini e verificarsi eventi quali animazioni, trasformazioni di og-getti o transizioni. Il testo può procedere in automatico, secondo tempi chesono stati definiti in fase di progettazione, o può essere “azionato” da unrelatore che “volta pagina” all’occorrenza, seguendo il filo del suo discorso. Iltesto sarà sempre, comunque, organizzato secondo una sequenza che scandi-sce gli argomenti affrontati, secondo un preciso ritmo espositivo (Approfon-dimento 3.4).

Qualsiasi tipo di scrittura ha sempre un proprio ritmo. In narrativa il ritmodi un racconto è dato, ad esempio, dalla maggiore o minore velocità con cuisi procede verso una certa risoluzione finale, attraverso il corpo centrale deltesto. Gli eventi narrati possono accelerare o rinviare lo scioglimento: digres-sioni, indugi descrittivi o lunghi dialoghi tenderanno a frenare lo svolgimento,che in alcuni casi può invece seguire un ritmo incalzante, privo di esitazioni.

La prosa in genere possiede un proprio ritmo sonoro determinato dallastruttura dei periodi e dei paragrafi: una prosa serrata sarà caratterizzata daperiodi brevi, frasi spezzate da un’abbondante punteggiatura; viceversa ilritmo si allenterà nel caso di un testo composto da periodi lunghi e articolati,che si distenderanno per più righe. La cosa risulta evidente nel caso di testiletti a voce alta: in questo caso l’interpunzione acquista un valore espressivoche va oltre alla funzione puramente sintattica. La scelta delle parole e la loro

160 Capitolo 3

Approfondimento 3.4 Il ritmo come fattore di memorizzazione

«L’efficace ritenzione mnemonica viene favorita dalla ripetizione. I bambini, cheamano la ripetizione della stessa storia, vogliono essere in grado di ricordarlaper gustarla. La ripetizione è collegata a un sentimento di piacere, fattore diprimaria importanza per capire il fascino della poesia orale. Ma la sempliceripetizione di un identico contenuto non porta lontano. L’ambito di conoscenzaorale così fornita sarà limitato. Ciò che serve è un metodo di discorso ripetibile(nel senso di schemi sonoramente identici) che sia nondimeno in grado dimodificare il proprio contenuto onde esprimere significati diversi. La soluzionedell’uomo primitivo fu quella di convertire il pensiero in discorso ritmico. Ciòforniva quanto era automaticamente ripetibile, l’elemento monotono in unacadenza ricorrente creata da corrispondenze nei valori puramente acustici dellinguaggio così com’era pronunciato, indipendentemente dal significato. Enun-ciati variabili potevano quindi venir intessuti in identici schemi sonori in mododa costruire uno speciale sistema linguistico che era non solo ripetibile, marichiamabile per il reimpiego, che poteva indurre la memoria a passare da unparticolare enunciato a un secondo, diverso, che nondimeno appariva familiaredata la somiglianza acustica. [...]

Il ritmo acustico è una componente dei riflessi del sistema nervoso centrale,forza biologica di primaria importanza per l’oralità. In epoca assai antica, essoindusse un effetto secondario, incoraggiando un’abitudine supplementare diritmo semantico o contrapposizione equilibrata di idee (o piuttosto di “nozio-ni”, giacché “idea” è un termine alfabetizzato). Lo vediamo all’opera nella co-struzione di certe massime mediante il bilanciamento di opposizioni (comepure nella familiare espressione greca “da una parte … dall’altra”) e ancora nelbilanciamento responsionale di episodi narrativi, che hanno una somiglianza difamiglia, formando gli “schemi” tematici osservati dagli studiosi dell’epos ome-rico. Tali “sistemi compositivi” (altro termine alfabetizzato) estendono il proce-dimento dell’eco a livello ideologico.»

(Da E. Havelock, La musa impara a scrivere, Laterza, Bari, 1986, pp. 91-93)

collocazione sono ulteriori elementi che determinano la resa ritmica di unperiodo, qualcosa che l’orecchio avverte, senza necessariamente coglierne leimplicazioni retoriche o grammaticali. Una naturale predisposizione al ritmosembra caratterizzare, del resto, tutta la percezione umana, rendendo sponta-nea la predilezione verso la musica o la poesia; una predisposizione giàriconosciuta dagli antichi:

L’orecchio o l’attenzione ha in sé un certo senso istintivo di misura di tutti isuoni. Infatti giudica ciò che è troppo lungo e ciò che è troppo breve e siaspetta sempre espressioni complete e ritmate; si accorge di talune frasimutile o quasi tronche, dalle quali, come se fosse defraudato di cosa dovu-

Il testo che si guarda 161

ta, si sente contrariato, avverte altre troppo lunghe e trascinate fuori dimisura le quali ancor di più ripugnano all’orecchio.10

Se per la prosa è difficile definire e stabilire con precisione cosa determini ilritmo e quali ne siano le regole, in poesia la cosa diventa misurabile e certa inbase alla presenza dei versi. Ogni verso ha un suo ritmo, determinato dagliaccenti posizionati su certe sillabe delle parole:

La dimensione ritmica della poesia è il dispiegarsi dei tempi forti e debolinel fluire dei versi. Ha dunque una natura dinamica, al contrario del metroche invece ha una dimensione statica.11

La percezione del ritmo non passa solo attraverso l’udito. Anche l’occhio è ingrado di identificare scansioni ritmiche dello spazio. Oltre ai ritmi sonori, esistonoritmi visivi e ritmi tipografici, determinati, ad esempio, dalla disposizione fisicadelle parole sulla pagina, dall’alternanza di spazi vuoti e pieni. Di qualunque tiposi parli, sonoro o visivo che sia, il ritmo si basa sempre e comunque sugli stessi dueprincipi di fondo, la variazione e la ripetizione:

Per variazione deve intendersi l’approfondimento di sequenze che mutanoin parte la loro struttura pur mantenendo un rapporto tra loro formale. [...]Per ripetizione va intesa quella particolare scansione che si ripete dopo undeterminato intervallo senza apporvi modifiche alcune. Si può ripetere tuttao parte della scansione, raddoppiandola o diminuendola sempre tenendocomunque fisso il dato della riconoscibilità.12

Continuità e variazione, ripetizione e contrasto sono ingredienti determi-nanti di qualsiasi scansione ritmica, anche nella costruzione grafica di una pagi-na, di immagini che risultano gradevoli all’occhio:

La ripetizione è la riproposta di forme identiche o simili in una relazionespaziale armonica che crea una struttura compositiva con elementi diegual peso visuale. Si ha del contrasto quando nella sequenza ripetitivavengono introdotti elementi dissimili. Il ritmo consiste nel ripetere ele-menti simili in una varietà di forme o intervalli spaziali, creando varietànella ripetitività. Il ritmo è un fluire e un defluire di elementi ricorrentinello spazio.13

10 Cicerone, L’oratore, Mondatori, Milano, 1998, p. 129.11 Michelangelo Coviello, Il mestiere del copy, Franco Angeli, Milano, 1998. p. 135.12 Coviello, op. cit., p. 135.13 Meggs P.B., Immagine e lettering, Ikon, Milano, 1990, pp. 102-3.

162 Capitolo 3

Ma quali sono gli elementi che possono definire il ritmo di una presentazio-ne multimediale?

In una presentazione multimediale il ritmo può essere determinato da di-verse variabili: il tempo di scorrimento delle diapositive, il loro contenuto lin-guistico e il loro aspetto visivo.

La prima variabile, il tempo, è determinata dalla maggiore o minore velocitàdi scorrimento delle schermate. Naturalmente la velocità di scorrimento saràlegata alla natura del testo contenuto nella schermata e ai presunti tempi difruizione da parte dell’utente. Se la presentazione è azionata da un relatore, ilproblema del tempo di scorrimento non si pone a priori, poiché di volta in voltail relatore stabilirà il momento di transizione tra una schermata e l’altra a secon-da delle sue necessità espositive. Viceversa, se la presentazione è già fissata, sipuò optare per diverse soluzioni: stabilire tempi di permanenza fissi per ognischermata, variarli ogni volta o creare blocchi di diapositive che scorrano se-condo ritmi diversi. Se i tempi di permanenza saranno costanti, di conseguenzaanche i contenuti di ogni schermata dovranno in qualche modo essere equiva-lenti, richiedere, più o meno, mediamente, lo stesso tempo di fruizione. Nerisulterà una presentazione estremamente calibrata e uniforme.

La seconda variabile, quella che abbiamo definito costruzione linguisticadelle singole schermate, è legata alla scelta di realizzare o meno una sequenzadi diapositive più o meno uniformi per quantità di testo o di immagini presenti.Il ritmo di lettura sarà determinato in questo caso dalla lunghezza e dalla strut-tura delle frasi e dalla natura dei periodi utilizzati. Anche in questo caso si puòoptare per una tendenziale omogeneizzazione dei testi, costruire cioè scherma-te “equivalenti” nella loro dimensione, o comportarsi in maniera alquanto liberae incoerente.

La terza variabile, di cui avremo modo di parlare a lungo, riguarda piùpropriamente l’aspetto visivo delle singole schermate, ossia la loro presenta-zione. L’uso di un lettering particolare, o di un colore di sfondo ricorrente,può contribuire a creare un ritmo visivo di particolare effetto. L’uso di certiespedienti grafici, come abbiamo già sostenuto, tende a caratterizzare un te-sto, creando non solo semplici suggestioni cromatiche, ma anche “appigli”logici in grado di suggerire precise scansioni concettuali: il cambiamento im-provviso del colore dello sfondo, dopo una serie di schermate, determineràsenza dubbio un forte richiamo all’attenzione nel lettore, rompendo una con-tinuità visiva a cui l’occhio si era assuefatto (la dissonanza, lo spiazzamento èun elemento decisivo nella comunicazione); il cambio di sfondo all’internodella serie delle diapositive (ma questo vale per qualsiasi altro elemento visi-vo della pagina che muta) può rappresentare un forte richiamo e indicare uncambiamento concettuale, ad esempio il passaggio a una tematica diversa. Seuna presentazione è stata pensata in maniera da contenere frasi di sintesi ecitazioni da altri autori a sostegno della tesi generale, si può decidere di sce-gliere un diverso sfondo alle schermate per caratterizzare i due diversi tipi ditesto: si tratta di un semplicissimo espediente grafico che contribuisce a orien-

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tare l’attenzione dello spettatore e a creare una sorta di “ritmo logico” nellasequenza delle schermate.

Su questo e su altri espedienti retorici nella costruzione delle sequenzetorneremo nei prossimi paragrafi.

3.2.3 Sceneggiatura del testo

Una presentazione è un tipo di testo complesso, sia per la sua natura composita(fa ricorso alla combinazione di codici diversi) sia per le sue modalità di fruizio-ne, un po’ a metà strada, come abbiamo detto, tra un testo a stampa e un video.Pensare a una scrittura improvvisata per testi di natura complessa è sempreimprobabile, e anche in questo caso la fase di progettazione risulterà determi-nante.

Così come capita per qualsiasi altro tipo di testo, anche per la messa apunto di una presentazione si partirà dalle consuete domande circa lo scopo,gli obiettivi, il tipo di pubblico a cui ci si rivolge, il materiale che si intendeutilizzare (immagini, grafici, tabelle eccetera) e, naturalmente, dall’elenco ap-prossimativo dei concetti che si intendono sviluppare. Un elemento aggiuntivoriguarda, come abbiamo già detto, la durata della presentazione, ovvero il tem-po complessivo a disposizione del testo, sia che esso sia presentato in automa-tico, sia che segua l’esposizione di un relatore.

Ogni presentazione è valutabile solo in relazione alle variabili d’uso e rara-mente si potrà stabilire a priori se contenga troppe schermate o poche immagi-ni, una copiosa abbondanza di testo scritto o di citazioni; di volta in volta gliobiettivi e il tipo di pubblico aiuteranno a definirne le caratteristiche di base.Esistono anche modelli preconfezionati a cui ci si può ispirare, gli stessi softwa-re per la costruzione di presentazioni ne propongono una serie. È vero chel’uso di schemi già consolidati mette il lettore in condizione di riconoscere equindi di capire con meno difficoltà quanto stia leggendo; ma è vero anche chela ripetizione fedele dei modelli rivela scarsa creatività ed è bene dunque evita-re il ricorso a tutto ciò che è standardizzato, se non come esempi da riadattaree modificare all’occorrenza.

Una volta definiti gli obiettivi del testo, il tipo medio di utenza a cui siintende rivolgersi, si tratta di definire la lunghezza del testo, in termini di tempidi scorrimento, di quantità delle schermate e di dimensione di queste ultime. Ladefinizione di una omogeneità nella strutturazione del testo è una possibilità davalutare sia per l’aspetto delle diapositive sia per l’impianto generale della pre-sentazione. Se si opta per un criterio di sistematicità si tratterà di definire apriori:

• la durata massima della presentazione• il tempo di scorrimento delle singole schermate e il loro numero• il tipo (o i tipi) di transizione tra le singole schermate• la lunghezza media del testo alfabetico presente in ogni schermata

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• la presenza di eventuali effetti speciali da attribuire al testo alfabetico• il ricorso a immagini, suoni, animazioni e la loro frequenza all’interno del

testo• una gabbia grafica ricorrente o variabile per ogni diapositiva.

Ognuna delle variabili elencate contribuisce alla connotazione del testo ene stabilisce lo stile di fondo. È facilmente intuibile come, a parità di numero dischermate, una presentazione più animata, contenente un numero maggiore diimmagini e una quantità ridotta di testo alfabetico, risulterà quasi necessaria-mente più fruibile rispetto a una in cui le videate siano riempite di parole daleggere, magari senza l’ausilio di efficaci espedienti tipografici.

Uno storyboard provvisorio, una traccia sommaria del testo possono costi-tuire, anche in questo caso, un efficace strumento di lavoro durante la fase diprogettazione. Potrebbe essere sufficiente uno schizzo a mano libera, con unadefinizione di massima del numero delle schermate e della loro struttura essen-ziale. Uno strumento che consenta di mantenere una visione complessiva dellapresentazione risulta fondamentale per valutarne l’efficacia e il ritmo di svolgi-mento. In questo senso i software di costruzione, come PowerPoint di Micro-soft, offrono un valido aiuto nella possibilità di visualizzare a video l’interasequenza delle schermate ridotte a miniature, ma pur sempre riconoscibili. Na-turalmente si tratta di un’operazione di visualizzazione che è possibile eseguiresolo a posteriori, dopo cioè che la presentazione è stata creata, ma si trattacomunque di un supporto strategico per non perdere di vista l’impianto genera-le del testo.

I software come PowerPoint consentono anche di definire a priori unostandard di presentazione delle singole schermate che può ricorrere in ognidiapositiva, come la gabbia grafica nelle pagine di un libro: lo schema di fondopuò essere impostato una volta per tutte con bordi e margini costanti, unospazio definito attribuito al testo alfabetico, uno alle immagini, un carattere e uncorpo di testo per le titolazioni e per gli altri livelli, eventuali posizioni di nume-razione, data, intestazioni eccetera. Ai fini della omogeneizzazione a cui si face-va prima riferimento, questo sistema risulterà assai utile, anche se la variazione,ossia l’inserimento di novità che spezzino la ripetizione monotona delle struttu-re tipografiche, può, ancora una volta, costituire un elemento di grande effica-cia comunicativa.

Impostare la struttura di fondo e impostare lo schema grafico della singo-la schermata costituiscono dunque due passaggi fondamentali nella messa apunto di un testo, ma non devono rappresentare vincoli insormontabili per lascrittura.

Ancora una volta la nuova scrittura ci pone di fronte a un dilemma. Mentresi ribadisce l’importanza della fase progettuale nella definizione delle caratteri-stiche di base di una presentazione, di una scrittura, cioè, molto ragionata epensata, si avverte la necessità di recuperare l’aspetto più immediato dell’attodello scrivere.

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Scrivere un testo multimediale, come una presentazione, dovrebbe risultarespontaneo come stendere il testo di una lettera. Si tratta cioè di acquisire unanuova sensibilità che consenta di avvicinarsi a scritture di questo tipo con glistessi automatismi che scattano di fronte a un testo tradizionale, a cui si è ormaiassuefatti come a tutto ciò che è esclusivamente alfabetico. Manipolare scher-mate, suoni e animazioni, testi brevi e tempi di scorrimento dovrebbero risulta-re operazioni semplici come mettere una parola dopo l’altra su una paginabianca. Questa è per il momento solo una prospettiva verso la quale è possibileorientarsi solo semplificando al massimo gli strumenti di scrittura (softwaresempre più facile da usare) e imparando a capire e utilizzare i diversi codiciespressivi con una nuova disinvoltura.

Per il momento sarebbe sufficiente comprendere come la progettazionedel testo, lo story-board (mentale o scritto che sia) debba possedere l’elasticitànecesaria a consentire riaggiustamenti, ritocchi, che solo una valutazione delprodotto finito può permettere. Una progettazione puntuale, chiamata in cau-sa dalla complessità delle nuove forme di scrittura, non deve ridursi a unvincolo incorruttibile che definisca il testo una volta per tutte. C’è una fasedella scrittura, di qualunque tipo essa sia, che reclama una libertà estempora-nea e una possibilità di improvvisazione secondo direzioni inimmaginabili almomento dell’avvio.

La struttura di fondo che costituisce l’ossatura di base di una presentazioneha senso solo se può essere rivista o riempita di contenuti variabili e imprevedi-bili, che tengano avvinta l’attenzione dell’osservatore e suscitino in lui un po’ dicuriosità e di interesse.

Per questo, chi ha scritto testi multimediali conosce il rapporto tra la proget-tazione e la messa a punto definitiva del testo: sa che, inevitabilmente, il testosubirà modifiche in corso d’opera, per risultare, spesso, sorprendentementediverso da quello che si era immaginato.

3.3 StesuraLa scena come spazio di scrittura

3.3.1 La schermata come scena

La stesura vera e propria di una presentazione ha inizio nel momento in cui,una volta predisposte le caratteristiche di base del testo, si passa alla prepara-zione delle singole schermate. Lo storyboard precedentemente elaborato sarà ilpunto di partenza, anche se è chiaro che durante la fase di stesura vi si appor-teranno una serie di modifiche.

La schermata è l’unità di informazione di una presentazione multimediale esu di essa si lavora in fase di scrittura, trattandola come un organismo autono-mo, indipendente e omogeneo rispetto agli elementi in esso contenuti. La scher-mata è la scena del testo, lo spazio grafico su cui compaiono gli “attori” e in cuisi possono verificare una serie di eventi. Ogni singola schermata, tuttavia, ap-


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