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388 GIUSEPPE VERDI LA FORZA DEL DESTINO Una "scintilla" per il Teatro di Pietroburgo Gennaio 1861: da ormai due anni Verdi è inoperoso. "Sedici anni di galera", conclusi con Un ballo in maschera, sono alle sue spalle e ora egli considera pressoché terminata la propria carriera: "Spero d'aver dato un addio alle Muse e desidero non mi venga la tentazione di prendere la penna di nuovo", aveva scritto a Piave nel settembre 1859. Oltre ai lavori d'ampliamento della villa di Sant'Agata, impegni di natura politica, peraltro indesiderati, occupano ora il maestro: in un'Italia finalmente unita (solo Roma e Venezia mancano al completamento dell'unità) sono già convocati i comizi generali che dovranno eleggere il primo parlamento nazionale. A contribuire al suo decoro "dentro e fuori d'Italia" Cavour, principale artefice con Garibaldi del processo d'unificazione, vuole che in esso siedano anche alcuni rappresentanti d'alto merito nelle arti e nelle scienze. Cavour si rivolge personalmente a Verdi perché accetti di candidarsi; il maestro si precipita a Torino per rifiutare l'incarico, ma invano: Cavour riesce a persuaderlo della necessità della sua candidatura per recare prestigio alla nuova assemblea; Verdi accetta, ma alla condizione, qualora eletto, di potersi dimettere dopo alcuni mesi. Quasi contemporaneamente all'arrivo di Cavour perviene a Verdi dalla lontana Russia una lettera del tenore romano Enrico Tamberlick: facendosi interprete della direzione del teatro imperiale di Pietroburgo egli invita il maestro "a conservare una scintilla del (suo) genio" per quel teatro, insomma a comporre per esso un'opera nuova. Contrariamente al proposito, più volte espresso, di non volersi più occupare di teatro, Verdi questa volta accetta l'offerta prestigiosa sul piano artistico e assai remunerativo su quello economico, proponendo come argomento il Ruy Blas di Victor Hugo; ma tale argomento incontra la recisa opposizione delle autorità russe.
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GIUSEPPE VERDI

LA FORZA DEL DESTINO

Una "scintilla"

per il Teatro di Pietroburgo

Gennaio 1861: da ormai due anni Verdi è inoperoso. "Sedici annidi galera", conclusi con Un ballo in maschera, sono alle sue spalle e oraegli considera pressoché terminata la propria carriera: "Spero d'aver datoun addio alle Muse e desidero non mi venga la tentazione di prendere lapenna di nuovo", aveva scritto a Piave nel settembre 1859.Oltre ai lavori d'ampliamento della villa di Sant'Agata, impegni di naturapolitica, peraltro indesiderati, occupano ora il maestro: in un'Italiafinalmente unita (solo Roma e Venezia mancano al completamentodell'unità) sono già convocati i comizi generali che dovranno eleggere ilprimo parlamento nazionale. A contribuire al suo decoro "dentro e fuorid'Italia" Cavour, principale artefice con Garibaldi del processod'unificazione, vuole che in esso siedano anche alcuni rappresentantid'alto merito nelle arti e nelle scienze.Cavour si rivolge personalmente a Verdi perché accetti di candidarsi; ilmaestro si precipita a Torino per rifiutare l'incarico, ma invano: Cavourriesce a persuaderlo della necessità della sua candidatura per recareprestigio alla nuova assemblea; Verdi accetta, ma alla condizione,qualora eletto, di potersi dimettere dopo alcuni mesi. Quasicontemporaneamente all'arrivo di Cavour perviene a Verdi dalla lontanaRussia una lettera del tenore romano Enrico Tamberlick: facendosiinterprete della direzione del teatro imperiale di Pietroburgo egli invita ilmaestro "a conservare una scintilla del (suo) genio" per quel teatro,insomma a comporre per esso un'opera nuova. Contrariamente alproposito, più volte espresso, di non volersi più occupare di teatro, Verdiquesta volta accetta l'offerta prestigiosa sul piano artistico e assairemunerativo su quello economico, proponendo come argomento il Ruy

Blas di Victor Hugo; ma tale argomento incontra la recisa opposizionedelle autorità russe.

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STRALCIO DELLO SPARTITO

Verdi non si scompone; pur lasciando aperte le trattative avverte: "Nullavarrebbe a farmi segnare un contratto che potesse più tardi forzarmi amusicare in tutta fretta un soggetto che fosse o no di mia soddisfazione".Per disincagliare le trattative viene inviato in Italia Achille Tamberlick,parente del tenore. L'incontro avviene a Torino dove Verdi, frattantoeletto deputato, risiede da alcuni giorni per partecipare alle sedute delnuovo parlamento "fra cui quella del 14 marzo in cui viene conferito aVittorio Emanuele II il titolo di re d'Italia".L'accordo viene raggiunto in breve; a Verdi viene lasciata facoltà dimusicare “quel che voleva", fosse pure il Ruy Blas, sul quale però è oralo stesso maestro a mostrarsi perplesso. Esauriti gli impegni parlamentariVerdi comincia a occuparsi dell'opera per Pietroburgo ponendosi allaricerca di possibili argomenti da musicare; ma è solo all'atto della firmadel contratto, avvenuta in giugno, che si apprende il titolo dell'argomentoscelto: La forza del destino, dal dramma in versi e in prosa La fuerza del

sino di Angel Perez de Saavedra duca di Rivas. Scritta a Parigi fra il

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1830 e il 1833 sotto l’influsso dei grandi drammi di Hugo e rappresentataa Madrid nel 1835, La fuerza del sino segna l'avvio del teatro romanticospagnolo."Il dramma è potente, singolare, e vastissimo; a me piace assai: non so seil pubblico lo troverà come io lo trovo, ma è certo che è cosa fuori delcomune", scrive Verdi al suo editore in Francia, Escudier. Unatraduzione italiana apparsa a Milano nel 1850, a Verdi già nota (traccia diun suo interesse per quel dramma risale appunto a quegli anni) serve dibase per la stesura del libretto, da Verdi stesso affrontato in prima fase,secondo un sistema operativo adottato sin dagli anni del Macbeth,attraverso la stesura di un programma (ovvero un canovaccio) in prosa.La versificazione è affidata a Piave, giusto in quel tempo assunto allaScala come direttore di scena. Mentre Piave procede nella versificazione,in agosto Verdi risolve d'inserire nel terzo atto alcune parti delWallensteins Lager di Schiller, dramma il cui "misto di comico e diterribile (ad uso Shakespeare)" già lo aveva affascinato al tempo dellacollaborazione con Cammarano. In settembre inizia la composizionedell'opera e il 22 novembre, alla vigilia della partenza per la Russia,annuncia a Tamberlick: "L'opera è finita dal lato composizione; mi restasolo a metter in partitura i due ultimi atti, e l'istrumentazione che faròdurante le prove a cembalo".Il 6 dicembre Verdi con la moglie arriva in treno a Pietroburgo. Ma ilviaggio si rivela inutile: Emma La Grua, destinata al ruolo di Leonora, èseriamente ammalata. Non disponendo il teatro di Pietroburgo diun'adeguata sostituta e non volendo Verdi arrischiare l'opera conun'interprete di secondo piano, di comune accordo viene deciso dirinviare l'opera all'inizio della stagione successiva. Il 19 febbraio delnuovo anno, dopo una visita a Mosca, Verdi riparte alla volta di Parigi,dove si trattiene per definire l'ingaggio del soprano Caroline Barbot,destinata a sostituire la La Grua; quindi si reca a Londra, dove era statoinvitato a comporre una musica d'occasione per l'esposizioneInternazionale: L'inno delle Nazioni, su testo del giovane Arrigo Boitoche viene eseguito il 24 maggio. Rientrato in Italia il maestro procede aterminare la strumentazione della Forza e a limarne alcune parti,assumendo intanto l'impegno di porre in scena l'opera, dopo Pietroburgo,anche a Madrid, nella patria del duca di Rivas.In settembre, sempre con la moglie, Verdi riprende il viaggio perPietroburgo, dove arriva il 24 per iniziare tosto le prove. L'opera va in

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BOZZETTO

scena la sera del 10 novembre incontrando generale consenso ma senzasollevare soverchi entusiasmi. È un momento di grande fermento per lavita musicale pietroburghese: proprio in quell'anno 1862 AntonRubinstein, esponente della tendenza "germanofila", aveva fondato ilConservatorio; e sempre in quell'anno avevano cominciato a riunirsi incasa di Balakirev alcuni giovani musicisti di tendenza nazionalista (ilfuturo "gruppo dei cinque"), sostenitori dell'opera russa. E proprio daquesto partito proviene nel corso delle repliche una certa opposizione,non tanto nei confronti di Verdi quanto di un'opera forestiera. Il maestronon sembra darsene pensiero; si reca intanto a Madrid per porre in scenala Forza a quel teatro Real (21 febbraio 1863): l'accoglienza è buona,anche se il duca di Rivas non cela la propria insoddisfazione. L'operaviene eseguita anche in Italia: a Roma (nella versione della censurapapalina, dal titolo Don Alvaro), a Reggio Emilia, a Senigallia, a Trieste,ma senza sollevare entusiasmi.

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Di fatto l'opera stenta a "girare". Già nel maggio 1863 Verdi avevaosservato: "Si dice che La forza del destino sia troppo lunga, e che ilpubblico sia spaventato dai tanti morti! D'accordo: ma una voltaammesso il soggetto come si trova altro scioglimento? Il terzo atto èlungo! Ma quale è il pezzo inutile? L'accampamento forse?". Il maestrogià medita di ritoccare l'azione finale e si rivolge a Piave perché trovi "ilmodo di evitare tanti morti".Nella versione pietroburghese l'opera si conclude infatti non solo con lamorte di Don Carlo e di Leonora ma anche con il suicidio di Don Alvaro;più precisamente dopo la " Melodia" di Leonora ("Pace, mio Dio").Alvaro e Carlo s'avvicinano all'eremo di Leonora duellando in scena,mentre sta per scoppiare un temporale; Alvaro ferisce a morte losfidante: e corre all'eremo per invocare un confessore; esce Leonora:riconosce Alvaro, quindi si precipita in soccorso del fratello, ma è daquesti mortalmente ferita; mentre infuria la tempesta accorrono il PadreGuardiano e la comunità dei frati: intanto Alvaro, al colmo delladisperazione, corre su una rupe e imprecando si getta in un burrone; ifrati s'inginocchiano implorando misericordia.Ma né Piave né altri collaboratori riescono a trovare uno scioglimentoche soddisfi il compositore, il quale dal canto suo è sempre più convintoche il dramma non può concludersi che con la morte di Carlo e diLeonora, escludendo una sorta di pentimento generale e quindi unaconciliazione fra le due famiglie rivali, come da qualcuno suggerito. AGiulio Ricordi, che aveva espresso l'intenzione di dare l'opera alla Scala,Verdi scrive nel settembre 1864: "Non bisogna arrischiare la Forza del

destino come è, ma il difficile sta nel trovare questo maledettoscioglimento. Non è il pezzo di musica a farsi che mi dia fastidio (.........);ma bisogna cambiare in modo che il nuovo non sia peggiore delvecchio".La Forza viene insistentemente richiesta anche da Parigi: argomento,ambientazione, cambi di scena, varietà di situazioni, movimenti di massebene si prestano per una messinscena in stile grand - opera. Verdi sembracedere alla richiesta di Perrin, direttore dell'Opèra, il quale propone a suavolta un nuovo scioglimento che tuttavia comporta alcune modifiche inaltre situazioni del dramma; in maestro si reca a Parigi per concordarel'operazione, ma alla fine piuttosto che rimetter mano all'intero spartitopreferisce firmare un contratto per un'opera nuova: sarà il Don Carlos.Nel corso della laboriosa composizione di quest'opera (andrà in scena

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FOTO DI SCENA

all'Opèra l'undici marzo 1867) prevale in Verdi la rinuncia a ognitentativo di modificare il finale della Forza, il cui spartito giace ormaipraticamente inutilizzato nei magazzini dell'editore Ricordi.Per colmo di sventura nel dicembre 1867 viene a mancare Piave, colpitoda una paralisi che lo costringe a vegetare, immobilizzato a letto, finoalla morte, avvenuta nel 1876. Tuttavia Ricordi, animato dalla vivavolontà di riportare Verdi a Milano, città da cui è assente da oltrevent'anni, non desiste dal proposito, e quasi forzando la mano al maestrofa inserire la Forza nel cartellone della Scala per la stagione 1868/69,non senza però aver prima stabilito un contratto fra Verdi e Ghislanzoni,futuro librettista di Aida, per un estremo tentativo di modifica del finaledell'opera. Scrivendo a Ricordi nel novembre 1868, Verdi osserva: "Èinutile; ammesso una volta questo maledetto soggetto, bisogna chemuoiano i due fratelli Carlo e Leonora. Trovare il modo di ammazzareCarlo, anche fuori di scena, è facile; ma è difficile assai far morireLeonora. Poco importa vi sia un Duetto, un Terzetto, un Coro: quibisogna badare unicamente alla scena. Non amerei sentire qui il Finale

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dell'atto secondo ("La vergine degli angeli").È una funzione, una consacrazione che non si può ripetere. Insommabisogna che il Poeta non abbia in vista qui che la scena; della musica nonbisogna curarsene. Per me anche un Recitativo sarebbe buonissimo. Se ilpoeta trova il modo di finire logicamente e teatralmente bene, anche lamusica finirà necessariamente bene".Finalmente Ghislanzoni "trova il modo" di far morire Carlo e Leonorafuori di scena e di evitare il suicidio di Alvaro attraverso unoscioglimento ispirato a cristiana rassegnazione: una soluzione "allaManzoni" di cui forse il maestro non era intimamente persuaso, ma chetuttavia consentiva di finire "teatralmente" meglio rispetto alla versioneprimitiva. Verdi si rimette al lavoro non solo rifacendo il finale, maanche sostituendo il preludio con una "sinfonia", aggiungendo una"Ronda" all'inizio della seconda parte del terzo atto, espungendoneun'aria per tenore e modificandone l'ordine dei brani (facendo cioèseguire alla "Ronda" il duetto Alvaro - Carlo e concludendo l'atto con il"Rataplan") e infine ritoccando alcune pagine (fra cui il duetto Leonora –Alvaro, il duetto Leonora - Guardiano, le strofe di Preziosilla nel terzoatto, l'aria buffa di Melitone, ecc.).Nella nuova versione l'opera va in scena alla Scala il 27 febbraio 1869(interpreti principali il soprano Teresa Stolz e il tenore Mario Tiberini)ottenendo - in virtù anche di una splendida esecuzione - musicalesorvegliata dallo stesso Verdi - un esito trionfale che segna lariconciliazione del maestro con il pubblico d'un teatro nel quale avevaesordito trent'anni prima e nel quale concluderà la carriera con Otello e

Falstaff. Con il successo milanese la Forza riprende il proprio camminosui palcoscenici, un cammino dapprima prudente (causa la sopraggiuntaconcorrenza di Aida), quindi sempre più spedito, diventando in breveopera di repertorio delle compagnie italiane. Essa tuttavia rimanepraticamente sconosciuta, almeno fino al primo Novecento, ai teatristranieri, che verso di essa, tenuto conto delle vette raggiunte in seguitoda Verdi con Aida, Otello e Falstaff, nutrono come una sorta didiffidenza: atteggiamento nient'affatto sorprendente se si considera chenel quarantennio a cavallo di secolo si assiste, in Italia e in Francia comein Germania e in Inghilterra, a una rapida decadenza dell'operatradizionale in coincidenza con il trionfo di Bayreuth e del drammawagneriano e con l'affermazione delle scuole nazionali e della cosidetta"opera verista”.

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Un primo risveglio d'interesse sul piano internazionale si ha conl'allestimento del Metropolitan di New York nel 1919 (con Caruso e lagiovanissima Ponselle).

FOTO DI SCENA

Ma la vera riscoperta della Forza è merito precipuo della Verdi -

Renaissance tedesca: rappresentata nella traduzione di Franz Werfel (ilpromotore di questa rinascita e autore del discusso ma affascinanteVerdi). In due sole stagioni la Forza viene rappresentata in oltre trentateatri di lingua tedesca, un autentico boom destinato a durare negli anni,che conferisce a quest'opera, a lungo misconosciuta, il posto che le spettafra le grandi creazioni verdiane. Dopo la rappresentazione di Dresda,Eugen Schmitz scrisse su una rivista: "Verdi è per noi tedeschi per cosìdire lo Shakespeare dell'opera. Perciò abbiamo motivo di rallegrarci perquesto rinnovamento della Forza del destino; è come se il teatro di prosa

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tedesco avesse acquisito un dramma shakespeariano meno noto".La critica tedesca di quegli anni ebbe soprattutto il merito di sapercogliere (come del resto lascia sottintendere il giudizio testè citato) lareale dimensione artistica della Forza, e quindi il suo pregio effettivo,proprio in quell'aspetto che comunemente viene considerato suo difettoprincipale; cioè quell'apparente anarchia di struttura - derivante da unapluralità di materiali drammatici che invade il percorso di un'azionediluita nei tempi e nei luoghi - che, a detta di tanta critica di ieri e anchedi oggi, sembra impedire una visione unitaria e sintetica del dramma.Episodi collaterali e situazioni incidentali, apparentemente inessenziali alnucleo centrale della vicenda e che un tempo Verdi avrebbe trascurato edeliminato per correre fulmineo allo scioglimento del nodo drammatico,diventano qui materia di dramma.L'osteria, il convento, l'accampamento, la predica, la tarantella, laminestra, tutto si rivela funzionale al percorso musicale dell'azione. Lascena si popola di pellegrini, viaggiatori, carrettieri, frati, soldati,rivenduglioli, vivandiere, reclute, questuanti.Si trasforma in una galleria di varia umanità in cui accanto ai personaggiprincipali assumono rilievo quelli secondari: Preziosilla, Trabuco,Melitone. Il teatro verdiano qui tende a una pienezza di vita in cui iltragico non esclude il comico, l'umoristico s'intreccia al religioso, ilgrottesco al profano. In tal senso nessun'altra opera di Verdi (tranne,molto più tardi, Falstaff) è così vicina al teatro di Shakespeare (e diSchiller, e di Hugo). L'intensità di vita collettiva, che caratterizzaquest'opera scritta per Pietroburgo nell'anno in cui sta per verificarsi unmutamento radicale nella vita musicale russa, esprime l'esigenza d'unadrammaturgia più articolata e complessa attraverso la quale rinnovare etrasformare le tradizionali forme melodrammatiche. Si voglia o novedere in questa nuova drammaturgia ispirata al protagonismo dellemasse e dei personaggi cosiddetti minori una sorta di anticipazione delBoris Godunov, della Chovantschina, del Principe Igor, la Forza del

destino esprime comunque il costante tentativo da parte di Verdi diesplorare nuove vie per conferire al proprio teatro una valenza semprepiù europea, sempre più universale, al di là di ogni barriera culturale; untentativo che ora si colloca all'interno di un itinerario che va dai Vespri

siciliani all'Aida, con un occhio alle esperienze del teatro musicaleeuropeo coevo (del grand - opera in particolare, ma non solo di esso) eun occhio al tenace raggiungimento di una sintesi compiutamente

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musicale dei nuovi materiali drammatici.In tal senso essa è opera sperimentale e di crisi. Sperimentale come losono quasi tutte le opere di Verdi, e come specialmente lo sono Macbeth,

Stiffelio (autentico capolavoro ancora oggi misconosciuto), Rigoletto,

Traviata. Opera di crisi (crisi di crescita, ovviamente) come forse soloDon Carlos fra le opere di Verdi, perché anni di crisi furono per la vitamusicale italiana gli anni 1860: l'offensiva del grand - opera diMeyerbeer e Gounod; la penetrazione delle idee di Wagner; lafondazione delle prime società del quartetto; la ribellione degli"scapigliati", Boito in testa.........

FOTO DI SCENA

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Capolavoro discusso e popolare, romanzo d'appendice in cui tutto apparesuperfluo, gratuito o assurdo (a cominciare dall'accidentale colpo dipistola.........), attraverso scene che non sembrano correlate fra loro e chefra loro tuttavia si saldano in una visione d'insieme come in un enormeaffresco dove il particolare appare in sé insignificante ma tuttaviaessenziale nel quadro generale, in esso si ripropongono e siricompongono molti grandi temi del teatro verdiano: i rapporti familiari,l'amore filiale (di Leonora per il padre naturale, Calatrava, e per il padreelettivo, Padre Guardiano), l'amicizia, la vendetta, il pregiudizio di casta,gli orrori della guerra. La ricchezza episodica della Forza del destino, haosservato uno studioso quale Massimo Mila, alfine anch'egli arresosi allagrandezza artistica di quest'opera, " non è dispersiva, ma al contrariorisponde al proposito d'immergere i personaggi entro un ambiente reale,e di sottolineare, per l'appunto, la forza imperscrutabile del destino, chein un mondo tanto grande, pullulante d'immense folle popolari, si divertea ricongiungere quelle tre creature, Leonora, don Carlo e don Alvaro, treaghi in un pagliaio, per travolgerle verso il tragico destino". Ma aconferire questa unità d'insieme soccorre soprattutto il proposito e lacapacità, che furono sempre in Verdi, di tradurre il dramma in terminiessenzialmente e autonomamente musicali.

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BOZZETTO ATTO I

LA TRAMA

ATTO I

Siviglia

In una sala della sua villa ormai in cattivo stato, alla periferia dellacittà, il Marchese di Calatrava si congeda dalla figlia Leonora e le auguraaffettuosamente la buona notte. Ma Leonora è assai triste e tormentatadai rimorsi, poiché ha deciso di fuggire quella notte stessa con DonAlvaro. L'idea di lasciare per sempre la casa paterna la addoloraprofondamente (Romanza " Me pellegrina ed orfana"). La sua camerieraCurra, al contrario, vorrebbe solo partire al più presto. Si ode intanto unrumore di cavalli al galoppo; Don Alvaro entra dal verone e si getta tra lebraccia di Leonora (Duetto " Ah, per sempre, o mio bell'angiol").Presto però si accorge con stupore che Leonora esita a fuggire con lui:l'amata gli chiede infatti di aspettare ancora un giorno soltanto. Maquando Alvaro, amareggiato, si accinge ad abbandonare ogni proposito

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di fuga, Leonora muta improvvisamente idea. La loro gioiosa Cabaletta(" Seguirti fino agli ultimi") viene presto interrotta da rumori provenientidall'esterno. Il marchese irrompe nella sala seguito dai suoi servi, ai qualiordina di arrestare il "vil seduttore".Ma Alvaro intende consegnarsi solo nelle mani del Marchese, e getta aterra la pistola che, battendo sul pavimento, lascia partireaccidentalmente un colpo. Il Marchese cade al suolo ferito mortalmente,ed esalando l'ultimo respiro scaglia la maledizione sulla figlia.

FOTO DI SCENA

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ATTO II

Scena I

Villaggio d'Hornachuelos e vicinanze

Diciotto mesi sono trascorsi dagli avvenimenti dell'attoprecedente. La confusione seguita alla morte del Marchese ha separatoLeonora da Alvaro, che da allora non si sono più rivisti. Ma il fratello diLeonora, Don Carlo, che ha giurato vendetta, è sulle loro tracce. Lotroviamo ora nelle vesti di uno studente di nome Pereda in una locandadel villaggio di Hornachuelos, insieme con un gruppo di avventori.Nella stessa locanda è giunta anche Leonora, travestita da ragazzo; èdiretta al vicino convento e si fa accompagnare dal mulattiere Trabuco.L'arrivo della "personcina", che per di più non scende a cenare con glialtri - Leonora ha infatti intravisto il fratello da un pianerottolo superiore- insospettisce Carlo ma l'entrata di Preziosilla, una giovane zingaravenuta ad esortare gli uomini ad arruolarsi per la guerra in Italia (" Al

suon del tamburo"), crea un diversivo. Ella sa anche leggere la mano, edun'occhiata a quella di Carlo la convince che questi non è uno studente;tuttavia non lo rivela agli altri. Quando fuori della locanda passa uncorteo di pellegrini che intonano un inno sacro, tutti, su invitodell'Alcade, anche Leonora sulla porta della sua stanza, si inginocchianoe pregano.Poi Carlo incalza il mulattiere con domande sul suo compagno diviaggio: tra le altre cose vorrebbe sapere se sta seduto o a cavalcioni sulmulo. Trabuco, irritato, si rifiuta di rispondere e se ne va nella stalla adormire con le sue mule. Carlo allora propone ai presenti di andare alpiano superiore a dipingere in nero due baffetti sul viso del giovane (setale è veramente) mentre questi dorme, ma l'Alcade lo proibisce e chiedeinvece a Carlo di raccontare la sua storia. Egli acconsente e nella suaBallata (" Son Pereda, son ricco d'onore") narra di aver aiutato un amicostudente di nome Vargas a rintracciare la sorella ed il suo seduttore,entrambi responsabili dell'assassinio del padre. L'inseguimento li avevaportati a Cadice; qui Vargas si era imbarcato per il Sud America percontinuare la ricerca del seduttore, lasciando che Pereda tornasse ai suoistudi.Il racconto impressiona tutti tranne Preziosilla, che fa intendere

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chiaramente di non credere alle parole ascoltate. La compagnia poi siscioglie augurandosi la buona notte.

FOTO DI SCENA ATTO II

Scena II

Una piccola spianata sul declivio di una montagna scoscesa

Leonora giunge al convento e rivolge una fervente preghiera allaVergine (" Madre, pietosa Vergine"). Suona il campanello del convento ele risponde Melitone, frate laico, il quale va a chiamare il PadreGuardiano. A questi Leonora racconta la sua storia, come il suo amato leavesse involontariamente ucciso il padre e il fratello Carlo avesse giuratodi ucciderla di propria mano. Ella era poi andata da un certo Padre Cleto,che l'aveva raccomandata al Padre Guardiano; ora desidera solo diterminare i suoi giorni come eremita in una grotta sul fianco della

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montagna, dove già prima di lei aveva vissuto un'altra donna penitente.Dopo alcune esitazioni il Padre Guardiano accoglie la sua preghiera; eglistesso provvederà perché non le manchi il cibo. Radunati poi nella chiesai monaci, presenta loro Leonora (che ora indossa un abito da monaco) efa divieto a tutti di avvicinarsi al suo rifugio, pena la maledizione di Dio.Là c'è poi una campana che ella potrà suonare quando sentiràl'avvicinarsi della morte ed avrà bisogno dell'estremo conforto. Lapenitente si avvia verso l'eremo mentre i frati intonano un inno solenne ("La Vergine degli Angeli").

ATTO III

Scena I

In Italia, presso Velletri

Con il nome di Federico Herreros, Alvaro si è arruolato durante laguerra di seccessione austriaca nell'esercito spagnolo che combatteinsieme con gli italiani. Si odono nelle vicinanze voci di soldati chegiocano a carte. Alvaro è solo e medita sugli avvenimenti che l'hannoportato prima in Spagna e poi in Italia. In una Romanza (" Oh, tu che in

seno agli angeli") il suo pensiero ritorna a Leonora, che crede morta;implora la sua anima di volgere dal cielo uno sguardo pietoso su di lui. Ilrumore di una rissa indica che una partita a carte è sfociata in un alterco.Alvaro si affretta ad aiutare un ufficiale che risulta poi essere anche luispagnolo: è Don Carlo che, come Alvaro, si è arruolato sotto falso nome.I due uomini, in un Duettino (" Amici in vita, in morte"), si giuranoeterna amicizia, ma quasi subito il suono di una tromba li chiama allabattaglia

Scena II

Salotto nell'abitazione d'un ufficiale superiore dell'esercito

spagnolo, nei pressi di Velletri

Alvaro è gravemente ferito in battaglia e viene lì condotto,accompagnato da Carlo e da un chirurgo. Nel corso di un altro Duettino(" Solenne in quest'ora") Alvaro prega Carlo di prendere dalla sua giubba

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la chiave di una valigia: in essa vi è un plico sigillato che dovrà esserebruciato se dovesse morire. Carlo gli giura di eseguire la sua volontà. Mapoi, rimasto solo, gli balena in mente il sospetto che il ferito possa essereil suo mortale nemico. - Alvaro era infatti trasalito al nome di Calatravapronunciato da Carlo. Combattuto nel suo intimo, è in dubbio se aprire ono il plico, ma alla fine decide di tener fede alla promessa (" Urna fatale

del mio destino").Rinviene però nella valigia un astuccio contenente un ritratto di Leonora;un istante dopo il chirurgo ritorna per annunciargli che Alvaro è fuoripericolo: Carlo è fuori di sé dalla gioia al pensiero di poter finalmentevendicarsi (" Egli è salvo! Oh gioia immensa”).

FOTO DI SCENA ATTO III

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Scena III

Accampamento militare presso Velletri

Sono trascorse alcune settimane. È notte. Passa una pattuglia dironda (" Compagni, sostiamo"). Guarito dalle ferite, ma ancora oppressodai ricordi, Alvaro esce dalla tenda ed è salutato con falso affetto daCarlo. Questi gli chiede se è in grado di affrontare un duello, e poi se haavuto notizia di un certo Alvaro l'indiano. Alvaro in un primo momentopensa che Carlo abbia infranto il giuramento fattogli, ma Carlo replicache è stato il ritratto a rivelargli tutto.Leonora, aggiunge, è viva: egli aveva scoperto che la sorella avevatrovato ospitalità presso una vecchia parente, ma poi lei era fuggita.Dapprima Alvaro esulta dalla gioia, ma la sua felicità si trasforma in iraquando comprende che Carlo ha intenzione di uccidere sia lui che lasorella, non appena l'avrà rintracciata. I due iniziano il duello ma lapattuglia di ronda ritorna e li separa. Carlo è trascinato via dallapattuglia; Alvaro getta la spada e dichiara di voler passare il resto dellasua vita in un convento.Allo spuntare del sole lo squillo delle trombe ed il rullo dei tamburidanno il segnale della sveglia nell'accampamento. Le vivandiere simischiano ai soldati (" lorchè pifferi e tamburi"), e Preziosilla dàdimostrazione della sua arte chiromantica (" Venite all'indovina"). Sibrinda a “Don Federico Herreros" (Alvaro) ed al suo amico "Don FeliceDe Bornos" (Carlo) che sono assenti. Arriva Mastro Trabuco, il qualeinizia a vendere le sue merci ed a comprare oggetti usati (" A buon

mercato").Giungono poi parecchi contadini tenendo per mano i loro ragazzi edimplorando un pezzo di pane. Indi arrivano numerose reclute,profondamente abbattute per essere state strappate dal seno delle propriefamiglie (" Povere madri deserte nel pianto").Preziosilla e le vivandiere fanno del loro meglio per sollevare loro ilmorale e ha così inizio una vivace tarantella. Nel bel mezzo di essairrompe Fra Melitone, che indignato fa a tutti una predica (" Toh,

toh!......... Poffare il mondo! Oh che tempone!").I soldati italiani ne sono offesi e lo minacciano, mentre quelli spagnolicercano di proteggerlo. Preziosilla rimprovera i soldati per avereattaccato un uomo di Dio e trascina poi tutti in un marziale "rataplan".

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FOTO DI SCENA

ATTO IV

Scena I

Vicinanze d'Hornachuelos

Sono passati cinque anni. Ritornato nel convento della Madonnadegli Angeli, Fra Melitone, in presenza del Padre Guardiano, sta oradistribuendo con malagrazia la minestra ai poveri delle vicinanze. Questireplicano ai suoi improperi e continuano a ripetere che preferisconol'atteggiamento caritatevole del pio Padre Raffaele.Alla fine, indispettito, Melitone li scaccia, tanto da esser rimproveratodal Padre Guardiano per la sua mancanza di pazienza. Essi passano poi a

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commentare lo strano comportamento del Padre Raffaele, con i suoiocchi fissi ed il suo aspetto stralunato. Melitone ricorda a proposito lastoria del diavolo che una volta avrebbe abitato nel convento in abito dafrate.Forse Padre Raffaele è un suo parente? Il Padre Guardiano lo rassicura,quindi si allontana. Arriva Don Carlo, e con arroganza ordina a Melitonedi chiamare Raffaele. Carlo ed Alvaro - infatti è lui "Padre Raffaele" -sono ora nuovamente di fronte. Nel corso del loro Duetto (" Col sangue

sol cancellasi") Carlo provoca il nemico e lo costringe ad un altro duello;insieme escono per trovare il luogo adatto per battersi.

Scena II

Una valle nei dintorni

Leonora esce dalla sua grotta nella montagna. Nella sua Melodia(" Pace, pace, mio Dio") invoca invano la pace: il ricordo dellamaledizione del padre e quello di Alvaro non cessano infatti diperseguitarla. Udendo un rumore di passi, ritorna rapidamente nellagrotta. Si sente un cozzare di spade, seguito dal grido di Carlo, ferito amorte, che chiede ad Alvaro di confessarlo. Ma Alvaro si sente indegnodi amministrare il sacramento, sicché si precipita a chiedere aiuto"all'eremita".Dapprima Leonora si rifiuta di uscire e suona la campana per faraccorrere il Padre Guardiano in suo soccorso. Ma alla fine, cedendo allereiterate suppliche di Alvaro, compare sull'uscio e riconosce l'amato.Alvaro le racconta in breve ciò che è accaduto, ed ella si precipita pressoil fratello. Poco dopo si ode un grido e riappare Leonora barcollante,mortalmente ferita, sostenuta dal Padre Guardiano.Alvaro prorompe in maledizioni, ma viene rimproverato dal PadreGuardiano e consolato da Leonora (Terzetto finale " Non imprecare,

umiliati"). Certo di esser perdonato da Dio e di ricongiungersi un giornoin cielo con Leonora, Alvaro accetta con rassegnazione il destino che lovuole ancora in vita.


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