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48 Giornale di Brescia Venerdì 4 Dicembre 2009 Cultura ...questo nostro pittore di dar forma alle...

Date post: 28-Oct-2020
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Data e Ora: 03/12/09 21.36 - Pag: 48 - Pubb: 04/12/2009 - Composite N el centenario della nascita, ignorato da Brescia, è celebrato da Milano un pittore che fu amico di Paolo VI, tanto da sedere spessissimo al suo desco, non solo quan- d’era cardinale a Milano, ma anche quand’era papa. E con mons. Pasquale Macchi, segretario di Paolo VI, collaborò alla realizzazione della Galleria d'Arte Sa- cra Moderna in Vaticano, nella quale sono esposte due sue opere . Altri lavori sono custoditi nella Colle- zione Paolo Vi di Concesio. Silvio Consadori (Brescia 1909 - Burano 1994) è rie- vocato dal Museo Diocesano di Milano in un’antologi- ca di 70 dipinti dagli anni ’30 alla soglia dei ’90, a cura di Flaminio Gualdoni, aperta ieri: dura fino al 28 feb- braio (corso di Porta Ticinese, 95, ore 10-18, lunedì chiuso, catalogo Nomos, info 0289420019 - www.muse- odiocesano.it.). Contemporaneamente l’Accademia di Brera, dove Consadori insegnò dal 1941 al 1973, pre- senta in Biblioteca, dal 9 dicembre al 29/1, una selezione di disegni. Consadori seguì un doppio binario: affre- schista e autore di ve- trate, in un classicismo pacato affascinato dall’ «autenticità umana» del vigore plastico ma- saccesco, col gusto del- la trasfigurazione leg- gendaria della vita quo- tidiana (i cicli principa- li furono alle Grazie di Milano, a S. Giuseppe del Trionfale a Roma, ai Santuari di Cascia e di Oropa, alla Parroc- chiale di Gussago, alla Cappella degli Svizzeri ed alla cappella privata di Pa- pa Montini in Vaticano); e pittore della quotidianità e della naturalità paesaggistica, contemplando umo- ri fragranti e schietti, talora un’asciutta malinconia. Questa mostra offre certi affondi più densi, dramma- tici, benché prevalesse in lui l’adesione a una realtà spirituale del fare arte come stupore candido, come in certi bellissimi scorsi della Venezia minore, dai pon- ti di Burano alla Giudecca. Consadori confidava di essere ancorato «al mio mestiere di "magutt", alla real- tà delle cose che si propongono ai sensi e all’anima». Nella mostra è ribadita la ben nota fedeltà al pae- saggio minore della Laguna veneziana, ma anche dei nostri laghi di Garda e Iseo, o d’una Liguria che non c’è più, in assorte contemplazioni di pacato primitivi- smo, con linee sintetiche, talora sinuose come quieti e affettuosi trasalimenti, di questo pittore nato nella nostra città al Borghetto affacciato sugli orti di Botto- naga. Qui era cresciuto sui ponteggi dei frescanti, poi - vinto nel 1929 il legato Brozzoni che gli diede la bor- sa di studio per l’Accademia di Roma e la scuola libe- ra di nudo, e dopo aver trascorso un paio d’anni tra Parigi e vagabondaggi per l’Europa - è vissuto dal 1935 tra i «buranelli» della laguna (Semeghini, Vellani Marchi, Seibezzi, Dalla Zorza, Vergani, Rina Soldo) e la Milano ancora popolare attorno a Brera; negli ulti- mi decenni spesso anche sul lago di Garda. Di umanità sommessamente lombarda, amò la vi- ta semplice: aria e luce, case e volti della gente del popolo, fidente in un Cristo che scende tra gli uomini. Ma lungo le strade dell’espressionismo nordico, negli anni ’70 e ’80, tra Francia del Nord (da Parigi alla Bre- tagna) e Paesi Bassi, fu affascinato anche da allucina- zioni di luce, da forme deragliate e da una fisicità ruvi- da e primitiva alla Permeke e relativa Scuola di La- ethem. Una conferma ulteriore dell’ansia morale di questo nostro pittore di dar forma alle vite degli umi- li, in un impeto di colore illividito, in una sensibilità talora anche stralunata e spettrale, spoglia e austera. Anche negli anni '30 sfiorò appena Novecento, per un realismo sintetico più misurato e pacato. Guardò anche a certe figure eroiche e malinconiche di Sironi, ma le tirò giù da ogni ossessione mitica e corale, per una più cristica, colloquiale pietà, legata al senso an- che morale e solidale del «mestiere». Era uno di que- gli artisti che sentiva che, se muore una lingua, muo- iono delle cose, e il suo mondo buranello era fatto ne- gli anni ’40 e ’50 di case sgretolate e solitudini di don- ne in attesa, a sfiorare il realismo sociale, ma in una materia di tacita e asciutta malinconia, screpolata e assorta in un tonalismo che nelle stagioni successive si stemperò, come in un vespro sereno, in colori più teneri di rosa, celesti, verdi. La confidenza con Carpi, con Filocamo, ha rafforzato la sua spiritualità nutrita di solida e mite pietas lombarda, sicché temi sacri spesso ripresi della Cena in Emmaus o di Gesù che parla ai pescatori hanno un tono di leggenda spoglia e sommessa, di condivisione di pane e fraternità. Fausto Lorenzi «SOLO PER GIUSTIZIA» Sopra, il magistrato Raffaele Cantone, autore di «Solo per giustizia», ieri all’Università Cattolica (ph. Reporter/Paletti), nell’ambito degli in- contri sul tema della «legalità alla prova». Cantone, che è stato magistra- to della Direzione distrettuale antimafia di Napoli ed è stato impegnato nella lotta contro i clan camorristici dei Casalesi, è stato indotto da Ro- berto Saviano a trarre un libro dalla sua esperienza. A sinistra, un’immagine simbolica dei traffici delle eco-mafie, dal film «Gomorra» di Matteo Garrone, tratto dal libro di Saviano «N on credo che "La Piovra" abbia portato disdoro all’Italia: non si delegittima lo Stato facendo operazioni di verità». Le pole- miche d’attualità si sono inevitabilmente infil- trate nel dialogo che Raffaele Cantone ha intes- suto ieri all’Università Cattolica con gli studenti liceali e universitari, nell’ambito della serie di in- contri sul tema «Legalità alla prova. Tra testi- monianze ed esperienze educative», organizzati dal Centro studi per l’educazione alla legalità della Cattolica. Cantone è stato accolto dal direttore del Cen- tro, Luciano Caimi, e in serata è stato ospite alla Pace della Cooperativa cattolico democratica di cultura. Ha parlato della sua esperienza di magistrato della Direzione distrettuale antima- fia di Napoli dove è stato impegnato, dal 1999 al 2007, nella lotta contro i clan camorristi del Ca- salesi. Ne ha scritto in un libro di successo, «So- lo per giustizia», edito l’anno scorso da Monda- dori. Per gli studenti ha sintetizzato in una paro- la il fenomeno mafioso e la sua penetrazione nel- la società: «Consenso. Le mafie generano gran- de consenso e hanno la possibilità di direzionar- lo, ad esempio per influenzare il voto. Mafiosi e camorristi occupano gli spazi che lo Stato lascia liberi. Diventano punti di riferimento per chi cer- ca lavoro, prebende, appalti e subappalti, e il cit- tadino può rivolgersi a loro anche per risolvere i piccoli problemi quotidiani. L’imprenditore ma- fioso è favorito sul mercato: non deve confron- tarsi con banche, sindacati, concorrenza». «Le mafie scimmiottano lo Stato» Cantone individua proprio nella compenetra- zione tra criminalità e imprenditoria il salto di qualità compiuto dalla camorra negli ultimi an- ni. «Dopo il terremoto in Campania del 1980, la camorra ha cominciato a fare intermediazione con l’impresa. Si è trasformata in una struttura imprenditoriale, che copia i meccanismi del Wel- fare. Tutti gli affiliati ricevono lo stipendio, ci so- no casse comuni per le famiglie in difficoltà. Le mafie scimmiottano lo Stato nei meccanismi di sostentamento sociale, ne copiano il sistema economico: come a Secondigliano, la più gran- de piazza di spaccio europea, dove è cresciuta un’economia parallela basata esclusivamente sulla droga». Agli affari si accompagna la fero- cia: «In Campania non c’è una struttura crimina- le piramidale con un’autorità centralizzata, ma tante strutture autonome che tendono da un la- to a trasformarsi in colletti bianchi, dall’altro a usare sempre più la violenza per aumentare il consenso e rafforzarsi». «Contro il crimine, attenzione costante» Nella lotta alla criminalità organizzata, i mo- menti di entusiasmo si alternano a pericolosi ca- li di interesse. «Quando diminuisce l’attenzione, anche l’intervento repressivo ne risente. Ma la repressione da sola non basta: bisogna condur- re una battaglia culturale per il rispetto delle re- gole, spezzare il legame con imprese e istituzio- ni». E non delegittimare l’immagine della magi- stratura: «L’impegno di un gruppo di magistrati della Procura distrettuale antimafia di Napoli ha permesso di fermare la frangia degli scissioni- sti casalesi, che uccideva ogni giorno. Allora quei magistrati vennero definiti dal ministro Ma- roni "un grande esempio di lotta alla mafia". Og- gi chiedono l’arresto di un politico (Nicola Co- sentino, ndr) e diventano dei brocchi». La ca- morra, ammonisce Cantone, non è radicata sola- mente al Sud. «Un tessuto economico sano rap- presenta un argine alla criminalità. Ma le infiltra- zioni possono essere di diverso tipo. C’è il dena- ro acquisito con attività criminali che viene im- messo nell’economia legale. E chi ha scaricato illegalmente i propri rifiuti in Campania? Sono stati imprenditori spregiudicati del Nord, che hanno colto l’occasione per risparmiare e non si sono fatti tante domande. Su questi temi non c’è molta sensibilità». Ogni cittadino, invece, può dare un contribu- to: «Anche avere gli occhi aperti è un grande ri- sultato. Ci vuole un’attenzione critica verso il ri- spetto dei diritti democratici o nella richiesta di un alto standard politico e sociale, che elevi il livello morale complessivo». L’impegno, lui, lo ha toccato con mano. «Il mio libro è nato dopo molte conversazioni con Roberto Saviano, che me lo suggerì dicendo che sarebbe stato interessante raccontare dall’inter- no il lavoro dell’Antimafia. È servito soprattutto a dare nome e cognome a tanti invisibili che fan- no il loro dovere con dignità: giudici, poliziotti, finanzieri, magistrati, carabinieri, che costitui- scono la vera spina dorsale dell’Italia. Ho cono- sciuto uomini che credono fermamente nella lot- ta alla mafia e pensano che fare il proprio dove- re sia una garanzia di dignità individuale». A che punto è la lotta? «Non c’è una risposta netta. Non abbiamo sconfitto la mafia, ma abbiamo fatto grandi passi avanti. Oggi non c’è un solo capomafia libero: sono prigionieri o costretti a una dura latitanza. C’è maggiore pressione e in- teresse dell’opinione pubblica. Ma dobbiamo in- tervenire sulle infiltrazioni nell’economia e nella politica. Ci vuole anche speranza, una visione ot- timista, e la capacità di riconoscere che l’altro non è sempre un nemico. Io penso che alla fine ce la faremo, anche se non so dire quando». Nicola Rocchi Vent’anni fa, dopo la caduta del Muro, l’assalto al Palazzo della Stasi Misconosciuto, il Manierismo italiano e lombardo, eppure così moderno. Internazionale nel linguaggio, che esporta l’arte italiana in tutta Europa. Inquieto nella crisi delle certezze che fino ad allora governavano il mondo e l’arte, nello specchiarsi in una natura di cui ora si indagano curiosità ed aberrazioni. Piccolo di fronte ad un mondo che si ingigantisce con la scoperta dell’America, e che pure si vuole racchiudere tra le pa- reti delle «wunderkammer», microcosmi di meraviglia. Così Maria Teresa Fiorio, curatrice con Valerio Terra- roli (entrambi nella foto) del libro strenna di Ubi Ban- co di Brescia «Lombardia Manierista» (Skira editore) ha presentato ieri al Centro Paolo VI l’opera, dedicata ad un tema affascinante ma ancora poco conosciuto dal grande pubblico. Meritoria quindi la pubblicazione da parte dell’istituto di credito bresciano che, ha spie- gato il presidente Gino Trombi, aggiunge un altro tas- sello alla rilettura moderna di filoni artistici ed architet- tonici che si sono sviluppati sul territorio lombardo. Da Carlo V imperatore - che subentra alla dinastia sforzesca dal 1535 - a Carlo Borromeo arcivescovo del- la Controriforma, in una Lombardia politicamente divi- sa tra gli Asburgo e la Serenissima, l’arte si sfaccetta ed intreccia in una moltitudine di varianti a partire dal linguaggio tosco-romano di Raffaello e Michelangelo divulgato attraverso le stampe e la diaspora degli allie- vi. Un rimescolamento di linguaggi di cui il volume dà conto, affrontando in maniera organica, ha sottolinea- to Terraroli, anche aspetti meno noti ma tutt’altro che marginali, come l’architettura militare, la produzione di armi da parata e di cristalli mirabilmente incisi desti- nati alle collezioni, la scultura che «scopre» il michelan- giolismo e riscopre il classicismo. E alla scultura dal ’500 al ’900 sarà dedicato il prossimo volume: dalla ter- racotta monumentale all’intaglio ligneo, agli stucchi, con un occhio particolare alla nostra città. gio. ca. La «Lombardia Manierista», inquieta e moderna Presentato ieri il volume-strenna di Ubi Banco di Brescia. L’anno prossimo toccherà alla scultura CANTONE Dopo il ventennale della caduta del Muro, la Germania si appresta a ricordare un’altra importante ricorrenza, certo me- no spettacolare, ma pure carica di angosce e di questioni alle quali non è stata ancora data una risposta soddisfacente. Il 4 dicembre del 1989 migliaia di berlinesi orientali si radunarono nella Normannenstrasse, nel quartiere berlinese di Lichten- berg, per manifestare davanti alla sede centrale della Stasi, la famigerata polizia segreta della Ddr. Il Muro era caduto da tre settimane, ma la riunificazione dei due Stati tedeschi era di là da venire. Tra la gente di Berlino Est andava crescendo il mal- contento verso il Governo "riformista" guidato da Hans Mo- drow che stava gestendo la transizione tra mille difficoltà e incertezze. In particolare larghi settori dell’opinione pubblica premevano perché venissero aperti gli archivi del Ministero per la Sicurezza dello Stato. Volevano conoscere i nomi degli 86mila agenti ufficiali e dei 180mila "informatori" di cui si era avvalsa per decenni la polizia segreta. Quella protesta del 4 dicembre fu pacifica e non produsse effetti concreti. Ma qual- che settimana dopo, il 15 gennaio del 1990, la massa in tumulto fece irruzione nelle stanze della centrale della Stasi buttando all’aria le carte degli archivi e portandosi via fascicoli e docu- menti. Quell’episodio ha segnato, forse più della stessa caduta del Muro, la fine del regime dittatoriale della Germania comu- nista. È stato storicamente accertato che tra la folla che nel dicem- bre e gennaio di venti anni fa si scatenò contro la Stasi non c’erano soltanto onesti cittadini indignati. Quegli assalti furo- no in buona misura eterodiretti, guidati da agenti della stessa Stasi che volevano far sparire i documenti più scottanti. E pro- babilmente anche da agenti della Germania Ovest e della Cia che miravano a scoprire la rete degli spioni dell’Est operativi al di qua del Muro. Nel corso dell’irruzione molti fascicoli sono andati irrimediabilmente perduti e con essi anche la possibili- tà di dare una risposta ad una questione cruciale per la storia tedesca: quanto era stata profonda la penetrazione dello spio- naggio orientale nella Repubblica Federale? Fino ad oggi sono venuti a galla solo pochi casi eclatanti, come per esempio quel- lo di Günter Guillaume, uno stretto collaboratore del cancellie- re Willy Brandt, che fu scoperto lavorare per i servizi segreti di Berlino Est. Dagli archivi è emerso che un deputato della Cdu era stato corrotto perché non votasse contro il Governo social- democratico in occasione di un delicato voto di fiducia al Bun- destag nel 1972. Anche Rainer Rupp, dirigente della Nato a Bruxelles, è risultato essere al soldo della Stasi con lo pseudo- nimo di Topas. E da ultimo c’è stata la rivelazione che Karl- Heinz-Kurras, il poliziotto che nel giugno del 1967, durante una manifestazione di protesta contro lo Scià di Persia, sparò allo studente berlinese Benno Ohnesorg, era uno 007 tedesco- orientale. Questi eventi sono episodici oppure costituiscono tasselli di un mosaico più complesso che ci costringerebbe a rivisitare l’intera storia del dopoguerra tedesco alla luce di un’infiltrazio- ne della Stasi nelle faccende della Bundesrepublik molto più profonda di quanto comunemente ipotizzato? Ci sono buone ragioni per credere che i fascicoli dell’archivio furbescamente trafugati o distrutti nel caos degli assalti alla sede centrale del dicembre e gennaio del 1989 contenessero la risposta a questo inquietante interrogativo, destinato perciò a rimanere aperto. Gherardo Ugolini «Le mafie-azienda producono consenso» In Cattolica il magistrato che ha combattuto i clan dei Casalesi Sono troppo facili le infiltrazioni nell’economia e nella politica Milano riscopre il bresciano Silvio Consadori Autoritratto1955 Cultura & Spettacoli 48 Giornale di Brescia Venerdì 4 Dicembre 2009
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Page 1: 48 Giornale di Brescia Venerdì 4 Dicembre 2009 Cultura ...questo nostro pittore di dar forma alle vite degli umi-li, in un impeto di colore illividito, in una sensibilità talora

Data e Ora: 03/12/09 21.36 - Pag: 48 - Pubb: 04/12/2009 - Composite

Nel centenario della nascita, ignorato daBrescia, è celebrato da Milano un pittoreche fu amico di Paolo VI, tanto da sederespessissimo al suo desco, non solo quan-

d’era cardinale a Milano, ma anche quand’era papa.E con mons. Pasquale Macchi, segretario di Paolo VI,collaborò alla realizzazione della Galleria d'Arte Sa-cra Moderna in Vaticano, nella quale sono espostedue sue opere . Altri lavori sono custoditi nella Colle-zione Paolo Vi di Concesio.

Silvio Consadori (Brescia 1909 - Burano 1994) è rie-vocato dal Museo Diocesano di Milano in un’antologi-ca di 70 dipinti dagli anni ’30 alla soglia dei ’90, a curadi Flaminio Gualdoni, aperta ieri: dura fino al 28 feb-braio (corso di Porta Ticinese, 95, ore 10-18, lunedìchiuso, catalogo Nomos, info 0289420019 - www.muse-odiocesano.it.). Contemporaneamente l’Accademiadi Brera, dove Consadori insegnò dal 1941 al 1973, pre-senta in Biblioteca, dal9 dicembre al 29/1, unaselezione di disegni.

Consadori seguì undoppio binario: affre-schista e autore di ve-trate, in un classicismopacato affascinato dall’«autenticità umana»del vigore plastico ma-saccesco, col gusto del-la trasfigurazione leg-gendaria della vita quo-tidiana (i cicli principa-li furono alle Grazie diMilano, a S. Giuseppedel Trionfale a Roma,ai Santuari di Cascia edi Oropa, alla Parroc-chiale di Gussago, allaCappella degli Svizzeri ed alla cappella privata di Pa-pa Montini in Vaticano); e pittore della quotidianitàe della naturalità paesaggistica, contemplando umo-ri fragranti e schietti, talora un’asciutta malinconia.Questa mostra offre certi affondi più densi, dramma-tici, benché prevalesse in lui l’adesione a una realtàspirituale del fare arte come stupore candido, comein certi bellissimi scorsi della Venezia minore, dai pon-ti di Burano alla Giudecca. Consadori confidava diessere ancorato «al mio mestiere di "magutt", alla real-tà delle cose che si propongono ai sensi e all’anima».

Nella mostra è ribadita la ben nota fedeltà al pae-saggio minore della Laguna veneziana, ma anche deinostri laghi di Garda e Iseo, o d’una Liguria che nonc’è più, in assorte contemplazioni di pacato primitivi-smo, con linee sintetiche, talora sinuose come quietie affettuosi trasalimenti, di questo pittore nato nellanostra città al Borghetto affacciato sugli orti di Botto-naga. Qui era cresciuto sui ponteggi dei frescanti, poi- vinto nel 1929 il legato Brozzoni che gli diede la bor-sa di studio per l’Accademia di Roma e la scuola libe-ra di nudo, e dopo aver trascorso un paio d’anni traParigi e vagabondaggi per l’Europa - è vissuto dal1935 tra i «buranelli» della laguna (Semeghini, VellaniMarchi, Seibezzi, Dalla Zorza, Vergani, Rina Soldo) ela Milano ancora popolare attorno a Brera; negli ulti-mi decenni spesso anche sul lago di Garda.

Di umanità sommessamente lombarda, amò la vi-ta semplice: aria e luce, case e volti della gente delpopolo, fidente in un Cristo che scende tra gli uomini.Ma lungo le strade dell’espressionismo nordico, neglianni ’70 e ’80, tra Francia del Nord (da Parigi alla Bre-tagna) e Paesi Bassi, fu affascinato anche da allucina-zioni di luce, da forme deragliate e da una fisicità ruvi-da e primitiva alla Permeke e relativa Scuola di La-ethem. Una conferma ulteriore dell’ansia morale diquesto nostro pittore di dar forma alle vite degli umi-li, in un impeto di colore illividito, in una sensibilitàtalora anche stralunata e spettrale, spoglia e austera.

Anche negli anni '30 sfiorò appena Novecento, perun realismo sintetico più misurato e pacato. Guardòanche a certe figure eroiche e malinconiche di Sironi,ma le tirò giù da ogni ossessione mitica e corale, peruna più cristica, colloquiale pietà, legata al senso an-che morale e solidale del «mestiere». Era uno di que-gli artisti che sentiva che, se muore una lingua, muo-iono delle cose, e il suo mondo buranello era fatto ne-gli anni ’40 e ’50 di case sgretolate e solitudini di don-ne in attesa, a sfiorare il realismo sociale, ma in unamateria di tacita e asciutta malinconia, screpolata eassorta in un tonalismo che nelle stagioni successivesi stemperò, come in un vespro sereno, in colori piùteneri di rosa, celesti, verdi. La confidenza con Carpi,con Filocamo, ha rafforzato la sua spiritualità nutritadi solida e mite pietas lombarda, sicché temi sacrispesso ripresi della Cena in Emmaus o di Gesù cheparla ai pescatori hanno un tono di leggenda spogliae sommessa, di condivisione di pane e fraternità.

Fausto Lorenzi

«SOLO PER GIUSTIZIA»Sopra, il magistrato Raffaele Cantone, autore di «Solo per giustizia»,

ieri all’Università Cattolica (ph. Reporter/Paletti), nell’ambito degli in-contri sul tema della «legalità alla prova». Cantone, che è stato magistra-to della Direzione distrettuale antimafia di Napoli ed è stato impegnatonella lotta contro i clan camorristici dei Casalesi, è stato indotto da Ro-berto Saviano a trarre un libro dalla sua esperienza.

A sinistra, un’immagine simbolica dei traffici delle eco-mafie, dal film«Gomorra» di Matteo Garrone, tratto dal libro di Saviano

«Non credo che "La Piovra" abbiaportato disdoro all’Italia: nonsi delegittima lo Stato facendooperazioni di verità». Le pole-

miche d’attualità si sono inevitabilmente infil-trate nel dialogo che Raffaele Cantone ha intes-suto ieri all’Università Cattolica con gli studentiliceali e universitari, nell’ambito della serie di in-contri sul tema «Legalità alla prova. Tra testi-monianze ed esperienze educative», organizzatidal Centro studi per l’educazione alla legalitàdella Cattolica.

Cantone è stato accolto dal direttore del Cen-tro, Luciano Caimi, e in serata è stato ospite allaPace della Cooperativa cattolico democraticadi cultura. Ha parlato della sua esperienza dimagistrato della Direzione distrettuale antima-fia di Napoli dove è stato impegnato, dal 1999 al2007, nella lotta contro i clan camorristi del Ca-salesi. Ne ha scritto in un libro di successo, «So-lo per giustizia», edito l’anno scorso da Monda-dori. Per gli studenti ha sintetizzato in una paro-la il fenomeno mafioso e la sua penetrazione nel-la società: «Consenso. Le mafie generano gran-de consenso e hanno la possibilità di direzionar-lo, ad esempio per influenzare il voto. Mafiosi ecamorristi occupano gli spazi che lo Stato lascialiberi. Diventano punti di riferimento per chi cer-ca lavoro, prebende, appalti e subappalti, e il cit-tadino può rivolgersi a loro anche per risolvere ipiccoli problemi quotidiani. L’imprenditore ma-fioso è favorito sul mercato: non deve confron-tarsi con banche, sindacati, concorrenza».

«Le mafie scimmiottano lo Stato»Cantone individua proprio nella compenetra-

zione tra criminalità e imprenditoria il salto diqualità compiuto dalla camorra negli ultimi an-ni. «Dopo il terremoto in Campania del 1980, lacamorra ha cominciato a fare intermediazionecon l’impresa. Si è trasformata in una strutturaimprenditoriale,che copia i meccanismi del Wel-fare. Tutti gli affiliati ricevono lo stipendio, ci so-no casse comuni per le famiglie in difficoltà. Lemafie scimmiottano lo Stato nei meccanismi disostentamento sociale, ne copiano il sistemaeconomico: come a Secondigliano, la più gran-de piazza di spaccio europea, dove è cresciutaun’economia parallela basata esclusivamentesulla droga». Agli affari si accompagna la fero-cia: «In Campania non c’è una struttura crimina-le piramidale con un’autorità centralizzata, matante strutture autonome che tendono da un la-to a trasformarsi in colletti bianchi, dall’altro ausare sempre più la violenza per aumentare ilconsenso e rafforzarsi».

«Contro il crimine, attenzione costante»Nella lotta alla criminalità organizzata, i mo-

menti di entusiasmo si alternano a pericolosi ca-li di interesse. «Quando diminuisce l’attenzione,anche l’intervento repressivo ne risente. Ma larepressione da sola non basta: bisogna condur-re una battaglia culturale per il rispetto delle re-gole, spezzare il legame con imprese e istituzio-ni». E non delegittimare l’immagine della magi-stratura: «L’impegno di un gruppo di magistratidella Procura distrettuale antimafia di Napoliha permesso di fermare la frangia degli scissioni-sti casalesi, che uccideva ogni giorno. Alloraquei magistrati vennero definiti dal ministro Ma-roni "un grande esempio di lotta alla mafia". Og-gi chiedono l’arresto di un politico (Nicola Co-sentino, ndr) e diventano dei brocchi». La ca-

morra, ammonisce Cantone, non è radicata sola-mente al Sud. «Un tessuto economico sano rap-presenta un argine alla criminalità. Ma le infiltra-zioni possono essere di diverso tipo. C’è il dena-ro acquisito con attività criminali che viene im-messo nell’economia legale. E chi ha scaricatoillegalmente i propri rifiuti in Campania? Sonostati imprenditori spregiudicati del Nord, chehanno colto l’occasione per risparmiare e non sisono fatti tante domande. Su questi temi nonc’è molta sensibilità».

Ogni cittadino, invece, può dare un contribu-to: «Anche avere gli occhi aperti è un grande ri-sultato. Ci vuole un’attenzione critica verso il ri-

spetto dei diritti democratici o nella richiesta diun alto standard politico e sociale, che elevi illivello morale complessivo».

L’impegno, lui, lo ha toccato con mano. «Ilmio libro è nato dopo molte conversazioni conRoberto Saviano, che me lo suggerì dicendo chesarebbe stato interessante raccontare dall’inter-no il lavoro dell’Antimafia. È servito soprattuttoa dare nome e cognome a tanti invisibili che fan-no il loro dovere con dignità: giudici, poliziotti,finanzieri, magistrati, carabinieri, che costitui-scono la vera spina dorsale dell’Italia. Ho cono-sciuto uomini che credono fermamente nella lot-ta alla mafia e pensano che fare il proprio dove-

re sia una garanzia di dignità individuale». A chepunto è la lotta? «Non c’è una risposta netta.Non abbiamo sconfitto la mafia, ma abbiamofatto grandi passi avanti. Oggi non c’è un solocapomafia libero: sono prigionieri o costretti auna dura latitanza. C’è maggiore pressione e in-teresse dell’opinione pubblica. Ma dobbiamo in-tervenire sulle infiltrazioni nell’economia e nellapolitica. Ci vuole anche speranza, una visione ot-timista, e la capacità di riconoscere che l’altronon è sempre un nemico. Io penso che alla finece la faremo, anche se non so dire quando».

Nicola Rocchi

Vent’anni fa, dopo la caduta del Muro, l’assalto al Palazzo della Stasi

■ Misconosciuto, il Manierismo italiano e lombardo,eppure così moderno. Internazionale nel linguaggio,che esporta l’arte italiana in tutta Europa. Inquietonella crisi delle certezze che fino ad allora governavanoil mondo e l’arte, nello specchiarsi in una natura di cuiora si indagano curiosità ed aberrazioni. Piccolo difronte ad un mondo che si ingigantisce con la scopertadell’America, e che pure si vuole racchiudere tra le pa-reti delle «wunderkammer», microcosmi di meraviglia.Così Maria Teresa Fiorio, curatrice con Valerio Terra-roli (entrambi nella foto) del libro strenna di Ubi Ban-co di Brescia «Lombardia Manierista» (Skira editore)

ha presentato ieri al Centro Paolo VI l’opera, dedicataad un tema affascinante ma ancora poco conosciutodal grande pubblico. Meritoria quindi la pubblicazioneda parte dell’istituto di credito bresciano che, ha spie-gato il presidente Gino Trombi, aggiunge un altro tas-sello alla rilettura moderna di filoni artistici ed architet-tonici che si sono sviluppati sul territorio lombardo.

Da Carlo V imperatore - che subentra alla dinastiasforzesca dal 1535 - a Carlo Borromeo arcivescovo del-la Controriforma, in una Lombardia politicamente divi-sa tra gli Asburgo e la Serenissima, l’arte si sfaccettaed intreccia in una moltitudine di varianti a partire dal

linguaggio tosco-romano di Raffaello e Michelangelodivulgato attraverso le stampe e la diaspora degli allie-vi. Un rimescolamento di linguaggi di cui il volume dàconto, affrontando in maniera organica, ha sottolinea-to Terraroli, anche aspetti meno noti ma tutt’altro chemarginali, come l’architettura militare, la produzionedi armi da parata e di cristalli mirabilmente incisi desti-nati alle collezioni, la scultura che «scopre» il michelan-giolismo e riscopre il classicismo. E alla scultura dal’500 al ’900 sarà dedicato il prossimo volume: dalla ter-racotta monumentale all’intaglio ligneo, agli stucchi,con un occhio particolare alla nostra città. gio. ca.

La «Lombardia Manierista», inquieta e modernaPresentato ieri il volume-strenna di Ubi Banco di Brescia. L’anno prossimo toccherà alla scultura

CANTONE

■ Dopo il ventennale della caduta del Muro, la Germania siappresta a ricordare un’altra importante ricorrenza, certo me-no spettacolare, ma pure carica di angosce e di questioni allequali non è stata ancora data una risposta soddisfacente. Il 4dicembre del 1989 migliaia di berlinesi orientali si radunarononella Normannenstrasse, nel quartiere berlinese di Lichten-berg, per manifestare davanti alla sede centrale della Stasi, lafamigerata polizia segreta della Ddr. Il Muro era caduto da tresettimane, ma la riunificazione dei due Stati tedeschi era di làda venire. Tra la gente di Berlino Est andava crescendo il mal-contento verso il Governo "riformista" guidato da Hans Mo-drow che stava gestendo la transizione tra mille difficoltà eincertezze. In particolare larghi settori dell’opinione pubblicapremevano perché venissero aperti gli archivi del Ministeroper la Sicurezza dello Stato. Volevano conoscere i nomi degli86mila agenti ufficiali e dei 180mila "informatori" di cui si eraavvalsa per decenni la polizia segreta. Quella protesta del 4dicembre fu pacifica e non produsse effetti concreti. Ma qual-che settimana dopo, il 15 gennaio del 1990, la massa in tumultofece irruzione nelle stanze della centrale della Stasi buttando

all’aria le carte degli archivi e portandosi via fascicoli e docu-menti. Quell’episodio ha segnato, forse più della stessa cadutadel Muro, la fine del regime dittatoriale della Germania comu-nista.

È stato storicamente accertato che tra la folla che nel dicem-bre e gennaio di venti anni fa si scatenò contro la Stasi nonc’erano soltanto onesti cittadini indignati. Quegli assalti furo-no in buona misura eterodiretti, guidati da agenti della stessaStasi che volevano far sparire i documenti più scottanti. E pro-babilmente anche da agenti della Germania Ovest e della Ciache miravano a scoprire la rete degli spioni dell’Est operativial di qua del Muro. Nel corso dell’irruzione molti fascicoli sonoandati irrimediabilmente perduti e con essi anche la possibili-tà di dare una risposta ad una questione cruciale per la storiatedesca: quanto era stata profonda la penetrazione dello spio-naggio orientale nella Repubblica Federale? Fino ad oggi sonovenuti a galla solo pochi casi eclatanti, come per esempio quel-lo di Günter Guillaume, uno stretto collaboratore del cancellie-re Willy Brandt, che fu scoperto lavorare per i servizi segreti diBerlino Est. Dagli archivi è emerso che un deputato della Cdu

era stato corrotto perché non votasse contro il Governo social-democratico in occasione di un delicato voto di fiducia al Bun-destag nel 1972. Anche Rainer Rupp, dirigente della Nato aBruxelles, è risultato essere al soldo della Stasi con lo pseudo-nimo di Topas. E da ultimo c’è stata la rivelazione che Karl-Heinz-Kurras, il poliziotto che nel giugno del 1967, duranteuna manifestazione di protesta contro lo Scià di Persia, sparòallo studente berlinese Benno Ohnesorg, era uno 007 tedesco-orientale.

Questi eventi sono episodici oppure costituiscono tasselli diun mosaico più complesso che ci costringerebbe a rivisitarel’intera storia del dopoguerra tedesco alla luce di un’infiltrazio-ne della Stasi nelle faccende della Bundesrepublik molto piùprofonda di quanto comunemente ipotizzato? Ci sono buoneragioni per credere che i fascicoli dell’archivio furbescamentetrafugati o distrutti nel caos degli assalti alla sede centrale deldicembre e gennaio del 1989 contenessero la risposta a questoinquietante interrogativo, destinato perciò a rimanere aperto.

Gherardo Ugolini

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Autoritratto 1955

Cultura&Spettacoli

48 Giornale di Brescia Venerdì 4 Dicembre 2009

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