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492 L’alto novarese nei viaggi di Carlo Amoretti (1797 ... · un tipo di viaggio geologico...

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Viaggiatori. Circolazioni, scambi ed esilio, Anno 1, Numero 1 (1° Settembre 2017). ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532-7364 (stampa) 492 L’alto novarese nei viaggi di Carlo Amoretti (1797- 1798). Il viaggio osservativo-descrittivo di un poligrafo ligure di fine Settecento di Libera Paola ARENA * * She graduated in Logic, Philosophy and History of Science at Florence Uni- versity and in the 2013 she obtained her PhD in History of Science. Now she has a research grant at Insubria University, department of Theoretical and Applied Sciences about the history of geology and geotourism. From the 2010 her re- search is focused on travel literature of the XVIII and XIX centuries. In that historical period many scholars and scientists did different type of geological travel (mineralogical, lithological, paleontological) in order to understand the conformation of the Earth and the stratigraphic structure of the Earth’s crust. This kind of research allow to develop a particular research area: the Historical Geotourism. Starting from the study of the edited and manuscripts primary sour- ces like letters and travel diaries, is possible retrace excursions and trips of scien- tists travelers of the XVIII and XIX century. In this way we can create Geo- Historical Routes (GHR) that are able to link tourism, geology and history of geology. [email protected].
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Viaggiatori. Circolazioni, scambi ed esilio, Anno 1, Numero 1 (1° Settembre 2017). ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532-7364 (stampa)

492 L’alto novarese nei viaggi di Carlo Amoretti (1797-1798). Il viaggio osservativo-descrittivo di un poligrafo ligure di fine Settecento di Libera Paola ARENA*

* She graduated in Logic, Philosophy and History of Science at Florence Uni-versity and in the 2013 she obtained her PhD in History of Science. Now she has a research grant at Insubria University, department of Theoretical and Applied Sciences about the history of geology and geotourism. From the 2010 her re-search is focused on travel literature of the XVIII and XIX centuries. In that historical period many scholars and scientists did different type of geological travel (mineralogical, lithological, paleontological) in order to understand the conformation of the Earth and the stratigraphic structure of the Earth’s crust. This kind of research allow to develop a particular research area: the Historical Geotourism. Starting from the study of the edited and manuscripts primary sour-ces like letters and travel diaries, is possible retrace excursions and trips of scien-tists travelers of the XVIII and XIX century. In this way we can create Geo-Historical Routes (GHR) that are able to link tourism, geology and history of geology. [email protected].

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DOI 10.26337/2532-7623/ARENA

Riassunto: Carlo Amoretti fu un poligrafo ligure della seconda metà del XVIII secolo interessato agli aspetti lito-stratigrafici e mineralogici riguardo la strut-tura della Terra. Compì numerosi viaggi attorno ai tre laghi (Maggiore, Lugano e Como) al fine di comprende sul campo la struttura geologica di quelle aree. Attraverso la ricostruzione di alcuni viaggi che egli compì nelle estati del 1797 e del 1798, ho cercato di comprendere la pratica di viaggio da lui adottata al fine di esplorare la geologia del territorio. Carlo Amoretti non fu un vero geologico ma un “curioso” della Natura che contribuì ad arricchire le informazioni sulla morfologia, litologia e mineralogia delle aree esplorate durante i suoi viaggi. Dunque, possiamo considerarlo a diritto uno scienziato-viaggiatore che compì un tipo di viaggio geologico prevalentemente osservativo sia per scopi scientifici che economico-governativi. Abstract: Carlo Amoretti was a Liguran polimath of the second half of the XVIII century. He had a particular interest for geological and over all for the lito-strat-igraphical and morphological aspects of the Earth. He did many trips around the three lakes (Maggiore, Lugano and Como lake) to understand the geological conformations of those areas. Through the retracing on the field of some trips that he did during the summers of the 1797 and 1798, I try to understand his travel practice, used for explore the geology of the land. Carlo Amoretti was not a true geologist but a “curious” of nature that gave meaningful information about the morphology, the lithology and the mineralogy of the lends that he explored during his travels. So, we can consider him as a scientist-traveler that did a kind of observative geological travel both for scientific and economic-governmental purpose. Keywords: geological trips, scientists-travelers, travel practices Sommario: Introduzione – Carlo Amoretti e il viaggio geologico – Osservazioni e descrizioni dell’Alto Novarese: fonti primarie in esame – La ricostruzione storica dei viaggi del 1797-1798 – Conclusione – Figure – Appendice – Fonti – Bibliografia – Cartografia

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494 Introduzione

Carlo Amoretti (1741-1816)1, illustre poligrafo e stimato in-tellettuale, ebbe spiccati interessi geologici a carattere lito-strati-grafico e mineralogico. I suoi viaggi si caratterizzarono dall'atten-zione descrittiva verso gli elementi artistici, archeologici, antropo-logici, ma sopratutto naturalistici; aspetti questi che osservava con scrupolo e attenzione durante le sue escursioni. Si tratta di esplo-razioni collocabili in quella pratica, considerata sperimentale, che si andò affermando nel corso del XVIII secolo e che diede un forte impulso allo studio della storia naturale, ovvero il ‘viaggio geolo-gico’2.

Pur non essendo un geologo, Amoretti fornì interessanti in-formazioni qualitative sulla morfologia, litologia e mineralogia dei territori da lui esplorati e, a diritto, è da considerarsi un funziona-rio-scienziato-viaggiatore. E', questa, una categoria variegata ed ibrida di studiosi, tecnici e scienziati che praticavano le proprie in-dagini geologiche direttamente sul campo compiendo viaggi sia a fini esclusivamente scientifici, sia, spesso, per interessi econo-mico-governativi.

Pertanto, attraverso la ricostruzione sul campo di alcuni dei numerosi viaggi compiuti dall'abate onegliese mediante l’uso di fonti primarie edite ed inedite3, si è cercato di comprendere la mo-

1 R. DE FELICE, Amoretti, Carlo in «Dizionario Biografico degli Italiani», Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, vol. 3, pp. 9-10. 2 Per un approfondimento sul tema si può consultare E. VACCARI, Le istruzioni per i geologi viaggiatori, in M. BOSSI, C. GREPPI (eds.), Viaggio e Scienza, le illustrazioni scientifiche per i viaggiatori nel secolo XVII, XIX, Firenze, Olschki Editore, 2005, pp. 3-25; P. BERTUCCI, Viaggio nel paese delle meraviglie: scienza e curiosità nell'Italia del Settecento, Torino, Bollati Boringhieri, 2007; A. CANDELA, Alle Origini della Terra. I vulcani, le Alpi e la Storia della Natura nell’età del viaggio scientifico, Varese, Insubria University Press, 2009. 3 Di cui riportiamo in appendice la trascrizione integrale delle principali fonti manoscritte inedite conservate presso l’Istituto Lombardo Accademia di Scienze

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495 dalità d'indagine adottata da questo “curioso” esploratore della na-tura durante le perlustrazioni e le indagini che compì direttamente sul campo.

Carlo Amoretti e il viaggio geologico Carlo Amoretti4 (Fig. 1) nacque nel 1741 da una famiglia be-

nestante di Oneglia, Imperia (Liguria). Entrato nell’ordine agosti-niano, studiò prima a Pavia e poi a Parma dove in seguito all’abo-lizione del convento degli agostiniani divenne prete secolare. Nel 1772 si stabilì definitivamente a Milano, dove si distinse nel pano-rama culturale di fine Settecento ed inizio Ottocento per la sua va-sta ed apprezzata cultura letteraria e soprattutto scientifica. Morì a Milano il 22 marzo 1816 di febbre violenta.

Nonostante non vestisse i panni dello scienziato in senso stretto, Amoretti si circondò di illustri uomini di scienza e non solo, diventando uno stimatissimo poligrafo. Fu segretario della Società Patriottica di Milano per ben sedici anni, bibliotecario dell’Ambro-siana, membro del Consiglio delle Miniere ed illustre intellettuale decorato da numerose onorificenze e titoli di pregio. Nel Parmense partecipò attivamente alla vita politica, sostenendo il progetto ri-formatore del primo ministro borbonico Du Tillot. A Milano iniziò la sua carriera come precettore del figlio del marchese Ferdinando

e Lettere che ne ha concesso la pubblicazione (Ist. Lomb. Fondo Amoretti – Arch. Mass. n. 19). 4 Per un approfondimento biografico su Carlo Amoretti: Vita di Carlo Amoretti scritta dal dottor Giovanni Labus in C. AMORETTI, Viaggio da Milano ai tre laghi Maggiore, di Lugano, e di Como e ne' monti che li circondano, Milano, Giovanni Silvestri, 1824, pp. IX-XL; D.L. GRILLO, Elogi di liguri illustri, III, Torino, Stabilimento Topografico Fontana, 1846, pp. 148-258. V. MOLLA LOSITO, Un illuminista italiano tra chiostro, scuola e scienza. Carlo Amoretti e la sua attività a Parma, Parma, Parma nell'Arte, 1978; S. MUSITELLI, Un poli-grafo onegliese del settecento: l’abate Carlo Amoretti (1741-1816), Alassio, F.lli Pozzi, 1935.

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496 Cusani, presso il quale trovò ospitalità e l’occasione di frequentare illustri uomini di scienza italiani ed europei. Assieme all’amico Francesco Soave, realizzò una grande opera editoriale, un perio-dico di divulgazione di novità scientifiche e tecniche provenienti da tutta Europa, gli Opuscoli scelti sulle scienze e sulle arti tratti dagli Atti delle varie Accademie europee, da collezioni filosofiche e letterarie, dalle opere più recenti scritte in inglese, tedesco, fran-cese, latino ed italiano oltre che da manoscritti originali ed inediti5.

A casa Cusani, Amoretti venne in contatto con molti viag-giatori italiani e stranieri, giunti in questa parte d'Italia secondo la moda dell’epoca6. Questo intenso flusso turistico lo stimolò a scri-vere una Guida di Milano. Successivamente, ad introduzione della traduzione italiana dell’opera di Johann Georg Sulzer Viaggio da Berlino a Nizza e ritorno da Nizza a Berlino, Amoretti scrisse il Viaggio da Milano a Nizza7. Il tema del viaggio fu un argomento che attirò notevolmente i suoi interessi, spingendolo a tradurre opere sul tema8 e, sopratutto, a scriverne di personali.

5 Questo periodico, dedicata al Conte e Signore di Firmian, ebbe un notevole successo tanto che venne pubblicato annualmente per ben ventinove anni (dal 1778 al 1807), fornendo un cospicuo contributo alla diffusione pubblica della scienza. Dal 1804 Amoretti curò da solo la pubblicazione di una Nuova scelta di opuscoli interessanti. 6 Per approfondire si consulti M. FERREZZA, Il grand tour alla rovescia: illumi-nisti italiani alla scoperta delle Alpi, Torino, CDA&Vivalda, 2003. 7 C. AMORETTI, Viaggio da Milano a Nizza, Milano, Silvestri, 1819; C. AMORETTI, J.G. SULZER, Viaggio da Berlino a Nizza e da Milano a Nizza, Mi-lano, Firenze, Savallo, 1865. 8 Interessanti risultano le traduzioni di alcuni manoscritti trovati presso la Bi-blioteca Ambrosiana di Milano a cura di Amoretti come: C. AMORETTI, Primo viaggio intorno al globo terracqueo: ossia ragguaglio della navigazione alle Indie orientali per la via d'occidente fatta dal cavaliere Antonio Pigafetta, Mi-lano, Giuseppe Galeazzi, 1800; ID., Viaggio dal mar Atlantico al Pacifico per la via del Nordovest fatto dal capitano Lorenzo Ferrer Maldonado l'anno MDLXXXVIII, Bologna, Fratelli Masi e Comp., 1812.

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497 L'interesse pratico verso lo studio sul campo degli aspetti na-

turalistici e geologici del territorio, ma anche di quelli tecnici e an-tropologici, lo spinsero a compiere numerosi spostamenti sul terri-torio italiano e straniero, come nel caso dei viaggi a Nizza e a Vienna. Spesso si trattava di viaggi dove l'elemento naturalistico era predominante, realizzati in compagnia di scienziati e uomini di intelletto con scopi di volta in volta differenti. I motivi che lo spin-gevano all’esplorazione non erano dettati unicamente da interessi personali in quanto, essendo una figura istituzionale, Amoretti ve-niva spesso coinvolto in ‘spedizioni’ governative sul campo. In-fatti, sia in qualità di segretario della Società Patriottica che, suc-cessivamente, come membro del Consiglio delle Miniere, Amoretti compì diversi viaggi allo scopo di individuare nuove fonti minera-rie e combustibili9. In tal caso l'osservazione della natura si inter-secò a questioni politiche, conducendo ad una proficua collabora-zione sia per lo studio geologico del territorio sia per gli interessi economici del Governo10.

Questa notevole pratica di viaggio, che contraddistinse l'in-tero operato di Amoretti, risulta evidente dalle numerose lettere manoscritte inedite dei suoi viaggi ed ora conservate presso il Fondo Amoretti presso l'Istituto Lombardo di Scienze e Lettere di Milano (ILSLM. Arch. Mss. n. 19)11. Dallo studio di queste fonti inedite emerge con chiarezza lo spiccato interesse di Amoretti verso lo studio della storia naturale. Attento osservatore di aspetti

9 A tal proposito si vedano le due istruzioni scritte da Carlo Amoretti per i funzionari governativi inviati ad individuare depositi torbosi e carboniferi: C. AMORETTI, Della torba e della lignite. Combustibili che possono sostituirsi alle legne nel Regno d'Italia, Milano, Pirotta, 1810; ID., Della ricerca del carbon fossile. Sui vantaggi e suo uso nel Regno d'Italia, Milano, Bernardoni, 1811. 10 A tal proposito si veda L.P. ARENA, Finding and Using peat and coal in Nor-thern Italy between the Eighteenth and the Nineteenth century: fieldwork in-structions in the writtings of Carlo Amoretti, in History of Research in mineral resources, Istituto Geológico y Minero de España, 2011, pp. 253-262. 11 ILSLM, Fondo Amoretti. Arch. Mss. n. 19, Contenitore 1, I Miei Viaggi, vol. IV.

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498 qualitativi e quantitativi della morfologia del territorio, l'abate li-gure esprimeva anche ipotesi geologiche sulla base di letture e me-morie di illustri suoi contemporanei.

L'esperienza sul campo, consolidatasi grazie ai frequentis-simi viaggi12, sfociò nella stesura della sua opera prima, il Viaggio da Milano ai tre laghi Maggiore, di Lugano e di Como e ne' monti che li circondano13, pubblicata in sei edizioni, di cui due postume (1794, 1801, 1806, 1814, 1817, 1824). Il notevole numero di edi-zioni mostra l'esigenza, da parte di Amoretti, di aggiornare il testo sulla base delle ulteriori conoscenze che andava acquisendo du-rante i suoi numerosi viaggi ed esplorazioni che non smise mai di compiere durante l'arco di tutta la sua vita.

Il Viaggio da Milano ai tre laghi, risulta essere un’opera di particolare interesse, collocabile oltre i canoni consueti delle guide tradizionali, non limitandosi a fornire solamente informazioni lo-gistiche e culturali, ma istruendo il viaggiatore su curiosità e infor-mazioni di carattere tecnico e principalmente naturalistico, mine-ralogico e geologico in generale. Tutto questo al fine di soddisfare le richieste di quegli italiani e stranieri desiderosi di conoscere la natura e i luoghi del territorio prealpino della Lombardia occiden-tale. Infatti, come esplicitamente affermò il medesimo Amoretti, l’intento della guida era quello di «giovare l’amante delle antichità, e delle arti sì belle che utili; pur della storia naturale del paese più che di tutt'altro mi sono occupato, sì perché lo studio di essa più di moda è divenuto e più comune, sì perché più divertente d'ogni al-tro, e per sé stesso, e più vantaggioso»14.

12 Si veda a tal proposito E. VACCARI, I viaggi mineralogici di Carlo Amoretti in territorio lombardo, tra Settecento e Ottocento, in Istituto di storia dell’Eu-ropa Mediterranea (ed) Pratiche e linguaggi, contributi a una storia della cul-tura tecnica e scientifica, Pisa, Edizioni ETS, 2005, pp. 251-259. 13 C. AMORETTI, Viaggio da Milano ai tre laghi, di Lugano, Maggiore e di Como e né monti che li circondano, Milano, Galeazzi Giuseppe, 1794. 14 C. AMORETTI, Viaggio da Milano ai tre laghi, Milano, Silvestri Giovanni, 1817, p. VI.

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499 Dunque, la pratica del viaggio in Amoretti rappresenta uno

strumento indispensabile di indagine osservativa e descrittiva dalla quale poter ricostruire la storia naturale, ma anche quella antropo-logica e tecnica del territorio che circonda i tre laghi da lui studiati (Lago Maggiore, Lago di Lugano e Lago di Como) oltre alla storia di chi lo abita. Osservazioni e descrizioni dell'Alto Novarese: fonti primarie in esame

Tra la notevole quantità di fonti primarie, edite e non, lasciate

da Amoretti, è possibile individuarne alcune al fine di ricostruire un viaggio da lui compiuto a fine Settecento allo scopo di compiere un'analisi della sua pratica di viaggio.

Nel Viaggio da Milano ai tre laghi15, Amoretti raggruppa sotto il nome di ‘Alto Novarese’, la vasta area che comprende la sponda piemontese del Lago Maggiore ed i monti circostanti che la cingono, da lui chiamati ‘Alpi’. Il percorso che individua per l'esplorazione di quest'area16, è la risultante di numerosi viaggi che portarono Amoretti in più occasioni a visitare quelle zone, in anni segnati da vicende storico-politiche differenti.

Quanto detto viene confermato dalle numerosissime lettere manoscritte ed inedite del Fondo Amoretti conservate presso l'ILSLM (Arch. Mss. n. 19). In particolare sono risultate interes-santi, da un punto di vista dell'indagine geologica esplorativa, le lettere di viaggio scritte nelle estati del 1797 e del 179817. Si tratta di viaggi diversi fra loro, per scopi e destinazioni, ma compiuti en-trambi nelle valli dell'Alto Novarese e quindi, per alcuni punti, in-tersecanti. È risultato, dunque, utile integrarne le informazioni.

15 Ci si riferisce alla seconda edizione del 1801, essendo quella più vicina ai viaggi analizzati che si sono svolti negli ultimi anni del Settecento (1797-1798). 16 Ivi, pp. 31-44. 17 ILSLM, Arch. Mss. n. 19, Miei Viaggi..., cit., pp. 194-247; pp. 311-340.

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500 Il 4 luglio 179718 Amoretti si imbarcò ad Intra, sulla sponda

piemontese del Lago Maggiore, assieme ai compagni ed amici Ce-sare e Domenico Imperatori, allo scopo di recarsi in Val Vigezzo per scoprire dove si trovasse il ‘kaolin’ o ‘kaolino’, una sostanza all’epoca poco conosciuta ma assai utile per produrre dell'ottima porcellana. L'intento di Amoretti era anche quello di osservare quei monti di cui «tanto aveva udito e letto». Iniziò così questo viaggio che durò cinque giorni e che portò Amoretti e compagni a costeg-giare in battello la sponda occidentale del Lago Maggiore da dove ebbero modo di compiere osservazioni della sponda opposta. A Cannobio (indicato da Amoretti con Canobio) la compagnia sbarcò ed iniziò a percorrere a piedi i monti superiori. Attraversarono la Val Cannobina, descritta da Amoretti come «angusta assai è la valle, e, altro non soffrendo che boschi, è spopolata»19, per portarsi poi nella più ospitale Val Vigezzo dove da Re, compirono diverse escursioni nei dintorni. Si recarono, quindi, sul monte che sovrasta Crana, frazione del comune di Santa Maria Maggiore, dove trova-rono, con non poche difficoltà, il ‘kaolino’ (fig. 5).

Il giorno 7 luglio era destinato al ritorno ad Intra ma le forti piogge ne posticiparono la partenza. Il rientro avvenne, poi, per la più lunga via della val d'Ossola. A Vogogna, stanchi per la lunga camminata, i tre amici si imbarcarono navigando il fiume Toce (da Amoretti nominato Tosa) per sfociare al lago Maggiore e passare per il lago di Mergozzo dove circumnavigarono il granitoso Mon-torfano. Sbarcarono, quindi, a Suna e da lì, a piedi, raggiunsero in serata Intra.

Come appena descritto, nell'estate del 1797 Amoretti non ebbe modo di visitare con dovizia la Val d'Ossola inferiore, avendo compiuto delle fugaci osservazioni generali dal fiume Toce. L'oc-casione di ripercorre questo stesso tragitto via terra, arrivò l'anno

18 In appendice la trascrizione integrale delle lettere manoscritte del viaggio del 4-8 luglio 1797 (ILSLM, Arch. mss. n. 19). 19 Ivi, p. 201.

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501 successivo, nell'agosto del 1798 quando il marchese Cusani, l'ar-chitetto Zanoia, i negozianti Simonetta e Francesco Imperatori, l'a-bate Taccioli e il nostro Amoretti col suo fidato Vincenzo Anfossi, si recarono in visita alle miniere d'oro dei Borromeo in Vall’Anza-sca e a Macugnaga; scopo di quel viaggio era anche quello di visi-tare il ghiacciaio del Monte Rosa.

La compagnia partì il giorno 19 agosto 179820 da Intra per sbarcare ad Arona e da lì il giorno 20 agosto giunsero in barca fino a Mergozzo. Da questo luogo si inoltrarono, quindi, nella val d'Os-sola, cosicché Amoretti ebbe modo di osservare con più cura alcuni dei posti che l'anno precedente aveva visto da lontano, come la Candoglia, Vogogna, Piedimulera e il fiume Anza. Da qui la com-pagnia abbandonò la Valle principale dell'Ossola per inoltrarsi in quella laterale della Vall'Anzasca e proseguire fino al ghiacciaio, ma questa è un'altra storia.

I viaggi in Val Vigezzo (1797) e Vall'Anzasca (1798) furono dunque viaggi organizzati con obiettivi pianificati in precedenza: l'individuazione del caolino e l'osservazione delle miniere d'oro dei Borromeo. La maggior parte dei viaggi dell'abate ligure sono di questo tipo, anche se spesso compiva deviazioni spinto dalla curio-sità e da quanto scopriva tramite i racconti dei locali. Nel Viaggio ai tre laghi, Amoretti precisa la possibilità di compiere anche viaggi di breve durata nell'area del Verbano, ovvero Baveno, Mon-torfano e Mergozzo e in quella attorno ad Intra, come il Monte Ci-molo (chiamato Simmolo) e il Monte Turrioni (detto Torione). A testimonianza di ciò vi sono le lettere scritte in occasione dell'os-servazione dei graniti di Baveno, Feriolo e Montorfano21 e del ‘trappo’ presso il fiume San Giovanni (fig. 8) e alle pendici del

20 Ivi, p. 315. In appendice la trascrizione integrale delle lettere manoscritte del viaggio del 20-25 agosto 1798 (ILSLM, Arch. mss. n. 19). 21 ILSLM, Arch. Mss. n. 19, Miei Viaggi... cit., pp. 181-198. Per una lettura integrale della lettera del 3 luglio 1798 si rimanda alla trascrizione riportata in appendice a questo contributo.

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502 monte Cimolo22. Amoretti dimostrò grande interesse verso questo «sasso simile al basalto» all'epoca poco conosciuto e di dubbia ori-gine, tanto da compiere vari sopralluoghi, esperimenti ed analisi chimiche per fare chiarezza su questa particolare conformazione litologica che aveva avuto modo di conoscere attraverso la lettura di memorie di illustri geologi, come Werner23. Interessante a tal proposito risulta essere la lettura di due articoli scritti e pubblicati da Amoretti negli Opuscoli Scelti sull'individuazione e l'analisi del ‘trappo’ di Intra24.

Amoretti lasciò una notevole mole di informazioni in quanto, sia le fonti primarie edite che inedite, forniscono spunti di carattere naturalistico, artistico, storico, tecnico sempre nuovi ed interes-santi, utili pertanto ad una ricostruzione della pratica di indagine sperimentale impiegata dall'abate onegliese durante le sue esplora-zioni sul campo.

La ricostruzione storica dei viaggi del 1797-1798 Con le lettere manoscritte e le fonti edite alla mano, mi sono

recata sul luogo di indagine ed esplorazione in esame per ripercor-rere il medesimo viaggio compiuto da Amoretti nel luglio del 1797, integrato da ulteriori tappe tratte da altri viaggi sopra citati (Monte Cimolo, Baveno, Feriolo, Montorfano)25.

22 In appendice la trascrizione integrale della lettera Intra 13 settembre 1798 (ILSLM, Arch. mss. n. 19). 23 Amoretti aveva avuto modo di leggere una memoria tedesca di Werner sul Trappo della Svezia («Bergmannische Journal». July 1793). 24 Opuscoli Scelti (OP. SC.), XIX, 1796, pp. 347-352.; OP. SC. (Opuscoli Scelti), XX, 1798, pp. 410-426. 25 La ricostruzione storica di itinerari di scienziati viaggiatori del passato a par-tire dalle fonti primarie come quelle qui in esame, può essere utilizzata per la realizzazione di Itinerari Geo-Storici (IGS) da proporre in tema di geoturismo. Per informazioni sul tema si veda: L.P. ARENA, The GHR Project: New tools

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503 Grazie alla precisione delle indicazioni geografiche fornite

da Amoretti, è stato semplice individuare il percorso generale da lui compiuto; mentre, più complessa, è stata la localizzazione di determinati punti di osservazione, sia per la carenza di precise in-formazioni delle fonti, sia per la diversa conformazione assunta at-tualmente dal territorio, conseguenza di due secoli di cambiamenti e trasformazioni umane e naturali.

Di seguito vengono riportati i risultati ottenuti da questo la-voro di ricostruzione storica, facendo riferimento all'area geogra-fica in esame.

La Valle Intrasca [Intra, Monte Cimolo, Selasca] Questa valle comprende i contorni di Intra, con riferimento

particolare al fiume San Giovanni, al Monte Cimolo (Simmolo), a Selasca e al suo torrente.

Quest'area non venne esplorata nell'estate del 1797, ma in di-verse escursioni precedenti e successive ad essa, quando l'interesse di Amoretti era volto allo studio di quel poco conosciuto ‘sasso’, chiamato ‘trappo’. Fu così che l'abate ligure trovò indizi di trappo lungo la riva del lago presso Intra e nel fiume San Giovanni e un buon filone nel torrente di Selasca. Ciò che lo incuriosì maggior-mente fu, però, il racconto della possibile vulcanicità di un monte sopra Intra26, ovvero il Monte che lui chiama nei suoi scritti Sim-molo (Cimolo). Gli bastò questo racconto per intraprendere l'a-scesa del monte e verificare di persona quanto gli era stato riferito. In una relazione edita, Amoretti raccontò dell'escursione che compì in compagnia di «colti amici» in cerca degli indizi di vulcanicità di

and strategy for an historical geotourism, « Acta Geoturistica », vol. 7, 2 (2016), pp. 7-13. 26 Si rimanda la lettura integrale della lettera mss. del 13 settembre 1798 in ap-pendice (ILSLM, Arch. mss. n. 19).

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504 questo monte27. Dall'osservazione diretta sul campo, non emerse alcun segno di vulcano estinto, se non tracce di trappo alla base del monte. Nonostante ciò, però, questa breve escursione consentì ad Amoretti di trarre interessanti considerazioni sulla lito-stratigrafia del Monte Cimolo (Simmolo). Trovò, infatti, abbondante presenza di graniti sulla superficie e sulla vetta del monte mentre l'interno era composto di scisto micaceo argilloso. Confrontando questa di-sposizione con quella dei monti di Baveno, dove il granito posa sullo scisto e questo sull'argilla, Amoretti ipotizzò che un tempo questo monte avesse posseduto una cresta granitosa come i monti circostanti e che questa si fosse disgregata non per un'attività di tipo vulcanico ma a causa di «successive rivoluzioni» che avreb-bero disperso i massi granitosi della cresta sulla superficie del monte28. Con questa spiegazione Amoretti negava così la possibi-lità che il Monte Cimolo (Simmolo) fosse un antico vulcano estinto, come era stato indicato pochi anni prima a Lord Bristol vescovo di Londondery, valente naturalista29.

Il trappo, trovato così frequentemente in questa area, incu-riosì Amoretti al punto da volerne capire l'origine e la composi-zione mineralogica. Dopo essersi istruito meglio attraverso le me-morie di illustri suoi contemporanei, diede un suo personale con-tributo all'analisi del trappo d'Intra, confrontando i suoi risultati con quelli ottenuti da Bergmann sul trappo svedese.

Vi è in Amoretti un interesse analitico verso la composizione mineralogica e cristallografica di questo ‘sasso’. Infatti, per osser-vare con dovizia di particolari le diverse cristallizzazioni assunte dal vetro trappico una volta raffreddato, Amoretti utilizzò, a detta

27 Opuscoli Scelti (OP. SC.), XX, 1798, p. 412. 28 Ibidem. 29 Ivi., p. 411. Lord Bristol salì anche lui sul Monte Cimolo (Simmolo), non trovando però indizi di vulcanicità. Egli ascese anche al vicino Monte Turrioni (Torione). Qui trovò un luogo dove «non s'arresta mai la neve». Amoretti si recò anche lui su quel monte e spiegò questo fenomeno come dovuto alla presenza di un filone di pirite di rame sottostante.

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505 sua, il ‘microscopio’. Dunque, la sperimentazione effettuata da Amoretti risulta essere, in questa circostanza, un'indagine che si potrebbe definire di ‘laboratorio’, avendo compiuto prove di fu-sione e di cristallizzazione di questo materiale presso i forni della vetreria Peretti di Intra.

Partendo da queste fonti a stampa, mi sono recata in Vall’In-trasca allo scopo di rintracciare le osservazioni compiute da Amo-retti sul trappo d'Intra. Basandomi sulle indicazioni riferite al co-lore, direzione, grana, consistenza e localizzazioni delle diverse ti-pologie di filoni trappici individuati da Amoretti, ho compiuto un’osservazione di tipo morfologica e litologica dei luoghi indivi-duati. Ho così percorso il fiume San Giovanni dalla foce sino al ponte di Possaccio come indicato dalle fonti, potendo riscontrare alcuni dati morfologici e litologici del fiume. Successivamente sono salita sul Monte Cimolo dove non ho trovato nulla di vulca-nico, ma affioramenti che potrebbero essere simili a ciò che Amo-retti chiamava trappo. Dunque, la ricostruzione storica di questa prima area di indagine ha consentito di individuare con precisione i luoghi indicati, senza però poter verificare con certezza la pre-senza dei filoni di trappo effettivamente osservati da Amoretti, li-mitandomi, perciò, ad una loro ipotetica localizzazione.

Le Sponde Occidentale e Orientale del Lago Maggiore [Ghiffa, Oggebbio, Cannero, Maccagni, Porto Valtravaglia,

Carmine] Nel viaggio del 1797 Amoretti percorse le sponde occidentali

e orientali dal lago Maggiore in battello, traendo interessanti con-siderazioni sulla morfologia e sulla composizione dei monti e delle località circostanti. Nel descrivere gli aspetti mineralogici che ca-ratterizzavano quelle aree di attraversamento, Amoretti fece riferi-mento alle osservazioni che qualche anno prima aveva compiuto

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506 assieme a Pennet col metodo elettrometrico30. Esso consentì ad Amoretti di asserire che la sponda occidentale del lago fosse ricca di pirite, mentre quella orientale alternava alla pirite il carbon fos-sile il cui centro si trovava presso Porto Valtravaglia. Giunti all'al-tezza dei due Maccagni, Amoretti e compagni scesero a riva, per recarsi ad una miniera abbandonata di pirite aurifera di cui alcuni indizi vennero trovati nel letto del fiume che divideva Maccagno Superiore da quello Inferiore. Risaliti in barca la compagnia pro-seguì il viaggio verso Cannobio31.

Questa parte del viaggio, compiuta via lago nel 1797, è stata ripercorsa via terra, costeggiando ambo le sponde del lago. Le os-servazioni elettrometriche raccontate da Amoretti, essendo basate su sensazioni fisiche e soggettive, per ovvie ragioni non è stato possibile verificarle. La tappa a Maccagno non è stata più fortu-nata, non essendo riuscita ad individuare la miniera di pirite auri-fera, già all'epoca abbandonata; mentre ci si è fermati ad osservare il letto del fiume alla sua foce dove ho potuto raccogliere saggi litologici da esaminare per individuare eventuali tracce di pirite au-rifera.

30 Su tale argomento si vedano C. AMORETTI, Elementi di elettrometria animale, Milano, Sonzogno & Comp., 1816; ID., Della raddomanzia ossia elettrometria animale ricerche fisiche e storiche, Milano, Marelli, 1808. Ma anche L. DE FRENZA, I sonnambulini delle miniere: Amoretti, Fortis, Spallanzani e il dibat-tito sull'elettrometria organica e minerale in Italia (1790-1816), Firenze, L. S. Olschki, 2005. 31 ILSLM, mss. Miei Viaggi, lettera «Cavaglio in val Canobina, 4 luglio 1797» p. 101. Trascrizione integrale in appendice (ILSLM, Arch. mss. n. 19).

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507 La Val Cannobina [Cannobio, Traffiume, fiume Cannobina, Cavaglio, Spoccia,

Aurasco, Cursolo, Finero] Questa valle si estende da Cannobio fino a Finero e, come

dice Amoretti, si cammina « [...] ora fra le ruine di monte precipi-tato, ora sopra la roccia che alternando collo scisto, e confonden-dosi con esso forma di que' monti il nocciolo; ed ha non infrequenti indizj di ferro»32. E' attraversata dal fiume Cannobina dove Amo-retti « [...] nell'alveo del fiume, vidi de' sassi di tutte le maniere»33.

Dopo aver raccontato la storia e le usanze degli abitanti di questa valle, da Cavaglio la compagnia proseguì il viaggio a piedi, osservando ciò che la natura di questi luoghi offriva alla vista. Lungo la strada che conduceva a Cavaglio, Amoretti individuò la presenza di filoni di trappo e di ‘quarzo impuro’34 di cui però non si è trovato riscontro. Presso Spoccia (da Amoretti chiamato Spo-zio) vide un sasso nero presente anche nell'alveo del fiume e pre-sunto da Amoretti corneo ma che si rivelò essere poi marmo scuro. «Avean l'apparenza d'un sasso corneo; ma potean'anche'essere di quel marmo cupo di cui mi fu in seguito parlato nel vicino paese»35. A Cursolo, venne a sapere dai locali l'esistenza di una cava di sasso bianco per far calcina (marmo bianco) e una cava simile gli venne indicata a Malesco, posto nella stessa direzione. Amoretti ipotizzò, pertanto, che entrambe le cave appartenessero al medesimo filone che disse essere molto simile al marmo bianco della Candoglia che era stato utilizzato per il Duomo di Milano.

32 Ibidem. 33 Ibidem. 34 Amoretti ha fatto uno schizzo del quarzo impuro visto. Il disegno si trova nella lettera manoscritta del 4 luglio e riportata in appendice (ILSLM, Arch. mss. n. 19). 35 ILSLM, lettera «A Re in Val Vegezza 5 luglio 1797» p. 106. Trascrizione in-tegrale in appendice (ILSLM, Arch. mss. n. 19).

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508 Ripercorrendo la strada indicata, ho avuto modo di osservare

i «sassi di tutte le maniere» presenti nel letto del fiume Cannobina che attraversa l'intera valle aprendosi angusti sentieri. È stato pos-sibile anche individuare il punto del ponte di Spoccia dove osser-vare la presenza di ‘sasso cupo’ lungo il fiume. Probabilmente si tratta del sasso indicato da Amoretti. Non avendo fornito indica-zioni sul luogo della cava di marmo bianco di Cursolo, non è stato possibile identificare il luogo esatto, limitando così l'osservazione ad una visione generale della morfologia della zona.

Ultimo aspetto interessante della Val Cannobina è il Sasso di Finero, «una gran scogliera di roccia rossigna»36 di cui si sono tro-vati indizi lungo la strada che conduce a Finero.

La Val Vigezzo [Ponte Maion, fiume Melezza, Re, Malesco, Santa Maria

Maggiore, Crana, Riva, Coimo] Questa valle, attraversata dal fiume Melezza, si estende lon-

gitudinalmente dal ponte di Maion (Ponte Maglione o Romano) a Masera, via d’accesso alla Val d'Ossola. I monti di questa valle, dice Amoretti, sono di «scisto micaceo argilloso» e si trovano in «avanzato stato di disfacimento».

Nel 1797, Amoretti camminò, presso il ponte di Maion, sulle «ruine di monte dirupato» la cui cresta era granitosa come mostra-vano i sassi presenti sulla superficie e nel letto del fiume. Le pen-dici del monte erano d'argilla, sopra cui posava una dura breccia formata da pietre poco levigate. Tutti questi indizi condussero Amoretti ad ipotizzare che un tempo tutta la valle fosse stata un antico lago che si estendeva dal ponte di Maion a Riva verso la fine della valle.

36 Ivi., p. 106.

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509 Finalmente giunse il giorno tanto atteso da Amoretti e com-

pagni, il giorno in cui sarebbero andati alla ricerca del caolino37, della cui collocazione avevano ricevuto indicazioni diverse e troppo vaghe. Questa incertezza non li scoraggiò nella loro im-presa. Fu così che, salendo sui monti che sovrastavano Crana, so-pra Santa Maria Maggiore, Amoretti trovò quella «[...] sostanza fossile bianca, leggera, tutta cristallizzata in prismi quadrilateri ter-minanti in un rombo, semi trasparenti e facilissimi a stritolarsi»38, di grande utilità per produrre la porcellana e che veniva chiamata ‘kaolino’.

L'individuazione del luogo di ritrovamento del caolino da parte di Amoretti, non è stato semplice da ricostruire, per la diffi-coltà nel rintracciare gli antichi toponimi. Presumibilmente l'Alpe Forno di cui parla Amoretti, si potrebbe identificare con la Val di Forno presso il Monte La Scheggia.

Amoretti, però, nella sua lettera parla della Piodina di Crana. Ciò desta seri dubbi se non si tratti quindi della Pioda di Crana, monte posto vicino a La Scheggia. Tale incertezza meriterebbe un'indagine più approfondita per scioglierne i dubbi. Per il mo-mento mi sono recata presso l'Alpe Forno de La Scheggia, dove ora vi è un rifugio del CAI. Qui si è avuto modo di osservare in modo generale la conformazione del monte, evidente è la struttura litologica a ‘granito venato’.

Nel letto del fiume che si è tragittato per giungere all'Alpe si sono trovati ‘sassi’ di vario tipo. Amoretti ha fornito una descri-zione precisa del luogo del ritrovamento grazie anche ad uno

37 ILSLM, lettera «A Re in Val Vegezza 6 luglio 1797» p. 118. Trascrizione in-tegrale in appendice (ILSLM, Arch. mss. n. 19). 38 ILSLM, lettera «Cavaglio in Val Canobina 4 luglio 1797» p. 101. Trascrizione integrale in appendice (ILSLM, Arch. mss. n. 19).

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510 schizzo trovato nel manoscritto39 e dei dettagli mineralogici e chi-mici riguardo la composizione e la modalità di cristallizzazione di questa sostanza.

Nelle lettere relative ai giorni trascorsi in Val Vigezzo, Amo-retti si dilungò a parlare dell'economia boschiva della valle e delle tecniche utilizzate per trasportare i tronchi al lago.

La Val d'Ossola [Masera, Beura, Piedimulera, Vogogna, Anzola d'Ossola,

Candoglia, Ornavasso] Distinta in Superiore ed Inferiore, questa valle è attraversata

dal fiume Toce che sfocia direttamente nel lago Maggiore. Qui Amoretti ebbe modo, non solo nel viaggio del 1797 ma anche in quello che compì l'anno successivo e sicuramente in tante altre oc-casioni, di osservare i monti composti di granito venato, ‘beola’ o ‘bevora’, caratteristico di questa valle. Amoretti descrisse la beola come « [...] sasso medio fra'l granito e lo scisto, poiché ha i com-ponenti del granito, e la figura scistosa. Essendo altresì fibroso è attissimo ad ogni maniera di lavori. Prende il nome di Beola dal vicin villaggio di questo nome»40. Ho potuto osservare frequente-mente l'utilizzo di questa pietra per la copertura dei tetti, caratteri-stica di queste zone, anche se gli edifici moderni non ne fanno più uso.

Durante la traversata del Toce, Amoretti indicò ai suoi com-pagni le numerose miniere di ferro e rame, come quella presso Vo-gogna. Non fornendo, però, indicazioni precise, non è stato possi-bile individuarle. A Vogogna Amoretti e i suoi compagni, si im-barcarono e dal Toce osservarono i dintorni di questa valle come il

39 ILSLM, lettera «a Re in Val Vigezzo 6 luglio 1797». Trascrizione integrale in appendice (ILSLM, Arch. mss. n. 19). 40 ILSLM, lettera «Intra 9 luglio 1797» p. 226. Trascrizione integrale in appen-dice (ILSLM, Arch. mss. n. 19).

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511 monte marmoreo della Candoglia, dove gli strati sono perpendico-lari allo scisto e paralleli agli strati di marmo con filoni di ferro e vene di pirite e Ornavasso, sopra cui vi si trovava una miniera di piombo allora trascurata ed oggi non più individuabile. Amoretti attraversò a piedi questi posti nel 1798 fornendo ulteriori informa-zioni rispetto all’escursione del 1797.

Così, seguendo le indicazioni di Amoretti tratte da queste di-verse fonti, mi sono fermata a Piedimulera dove il fiume Anza, proveniente dalla Vall'Anzasca, confluisce nel fiume Toce. Ho po-tuto così verificare che le acque dell'Anza sono lattee la cui spie-gazione, secondo Amoretti, è da attribuire alla «scomposizione di una sostanza che probabilmente è il kaolino».

Sono poi entrata nella cava di marmo bianco di Ornavasso, non più funzionate ed ora di proprietà privata aperta al pubblico, a differenza dell'opposta cava della Candoglia di proprietà della fab-brica del Duomo di Milano ancora attiva, ma facente parte del me-desimo filone di marmo.

Infine indizi di ferro sono stati osservati sui monti presso An-zola, dato che mancavano indicazioni precise sulla localizzazione delle miniere citate.

Il Verbano [Mergozzo, Montorfano, Baveno, Feriolo, Oltrefiume] L'area del Verbano che comprende Baveno, Feriolo, Mer-

gozzo e Montorfano risulta essere particolarmente interessante per le diverse tipologie di granito, rosa e bianco, presenti in questi monti41. Amoretti visitò questa zona in tempi diversi e il suo inte-resse principale era rivolto proprio alla descrizione geo-lito-mine-ralogica dei monti di Baveno e Feriolo e del Montorfano, oltre

41 Lettura integrale della lettera del 3 luglio 1798 in appendice (ILSLM, Arch. mss. n. 19).

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512 all'osservazione del laghetto di Mergozzo, «ovale e chiuso dai monti».

Nelle sue lettere, Amoretti fornisce informazioni sulla for-mazione stratigrafica dei monti: base d'argilla, coperta dallo scisto sopra cui vi è il granito. Tutti i monti, ad eccezion fatta di quelli di Baveno e Montorfano, sono di scisto, ma presentano in vetta e sui fianchi grandi massi di granito. Amoretti ipotizzò, così, che in un tempo antico anche loro abbiano avuto il cappello granitoso che i secoli hanno poi disfatto e precipitato. «Questa ipotesi – dice Amo-retti - spiega come tanti massi di granito d'ogni maniera si trovino sparsi per tutti i monti e le valli nostre, senza ricorrere alla Cometa, che, quì versando per un'immenza forza d'attrazione le acque del Nord, portati v'abbia gli avanzi delle sconvolte alpi centrali della Rezia»42. Inoltre espose anche, senza tuttavia prendere posizione, le varie ipotesi sull'origine del granito: cenere vulcanica consoli-data dalle acque o prodotto cristallizzato delle acque oppure con-formazione stratificata o masso enorme con vene quarzose?

In quest'ultima tappa del viaggio ricostruito, si è avuto modo di osservare le diverse tipologie di granito. Quello di Baveno ha il feldspato di un colore ‘persichino’, come dice Amoretti, mentre quello di Montorfano è di colore bianco. Il nocciolo del monte di Montorfano su cui sono salita è di scisto, mentre sparsi in superfi-cie vi sono massi di granito. Anche a Feriolo vi è una cava di gra-nito caratterizzato da un feldspato particolarmente rossiccio, anche se non si è avuto modo di individuarla. Conclusione

La ricostruzione, attraverso diverse fonti, di alcuni viaggi

geologici compiuti da Carlo Amoretti sul finire del XVIII secolo, ha consentito di trarre le seguenti considerazioni.

42 C. AMORETTI, Viaggio da Milano ai tre laghi, 1801, pp. 32-33.

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513 Innanzitutto le fonti primarie utilizzate hanno fornito infor-

mazioni tali da poter riprodurre in buona parte il percorso realiz-zato nel 1797 ad eccezione della localizzazione di alcuni punti di interesse geo-lito-mineralogico in conseguenza della carenza di precise indicazioni geografiche.

I viaggi considerati nella ricostruzione dell'itinerario, ave-vano scopi prevalentemente personali, volti a verificare quanto letto ed udito circa determinate formazioni di interesse geologico (kaolino, trappo, granito, ecc.). Si tratta quindi di viaggi prestabiliti negli obiettivi, anche se non sono mancate brevi deviazioni non pianificate sulla base delle informazioni ottenute sul campo dai lo-cali.

Nelle lettere vengono fornite con precisione e chiarezza in-dicazioni circa i mezzi di trasporto impiegati, i punti di sosta e i compagni di viaggio. A maggior ragione nel Viaggio da Milano ai tre laghi è attento a fornire indicazioni logistiche di questo tipo.

La metodologia impiegata da Amoretti nella sua pratica di viaggio risulta essere di tipo prevalentemente osservativo/descrit-tivo, esprimendo di tanto in tanto considerazioni geologiche sulla base di quanto letto, udito ed osservato direttamente sul campo.

Si limita a raccogliere campioni litologici di cui, quelli più interessanti, li utilizzava probabilmente per successive analisi in ‘laboratorio’, come nel caso del trappo o del caolino.

Nella ricostruzione del percorso si è fatto uso, con buona soddisfazione, delle tavolette IGM 25V che hanno consentito di individuare con abbastanza precisione il percorso seguito da Amo-retti. Toponimi e località sono state quasi tutti facilmente indivi-duabili ad eccezione di alcuni punti geologici di interesse. Per un riscontro/confronto con la cartografia attuale sono state utilizzate carte escursionistiche della zona di interesse. Nel Viaggio da Mi-lano ai tre laghi vi è allegata una carta dell’Alto Novarese (fig. 3), ma è risultata molto indicativa. Altri schizzi relativi alla localizza-zione di depositi minerari sono stati disegnati da Amoretti stesso e rintracciabili in alcune lettere del fondo manoscritto. Sono, però,

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514 comunque fonti cartografiche di relativa utilità al fine di una rico-struzione precisa dell'effettivo percorso compiuto da Amoretti, es-sendo molto generiche e poco accurate (fig. 6).

Di maggiore interesse risultano essere, invece, i disegni e gli schizzi di Amoretti sulla lito-mineralogia di alcune zone di parti-colare interesse. Nelle lettere manoscritte si è trovato il disegno del ‘quarzo impuro’ (fig. 4); lo schizzo relativo alla posizione esatta di ritrovamento del caolino, con relativo schizzo della forma del cri-stallo e della disposizione stratigrafica del monte (fig. 5) ed infine il disegno che indica la tecnica impiegata dagli scalpellini per rom-pere grossi massi di granito (fig. 7). E' stato possibile raccogliere materiale fotografico di riscontro delle fonti relativo a indicazioni morfo-lito-geoliogiche.

Le fonti in nostro possesso non hanno fornito indicazioni circa il possibile utilizzo di particolari strumento di misurazione ed osservazione che Amoretti avrebbe potuto adoperare durante il suo viaggio sui monti, ad eccezion fatta di un ‘baston-martello‘ (pro-babilmente l’odierna picozza del geologo) col quale staccava schegge di roccia da portar via e magari analizzare successiva-mente. Inoltre, dalla mancanza di indicazioni nelle fonti, si po-trebbe presumibilmente escludere la possibilità che Amoretti abbia compiuto attività sperimentali sul campo. Si interessò, invece, con particolare cura alle varie analisi chimica sui trappi, compiendo vari esperimenti nei forni della vetreria Peretti con l'aiuto di lavo-ranti ed amici. Fa riferimento anche all'utilizzo di un ‘microscopio’ per l'osservazione cristallografica dei prodotti stellari e fioriformi ottenuti dalla vetrificazione del trappo43. Scopo era quello di com-prendere la composizione e l'origine di questo sasso così ambiguo e di cui si sono avanzate numerose ipotesi. Fornisce, inoltre, indi-cazioni di analisi mineralogiche relativamente al caolino della Val Vigezzo per comprenderne le modalità di cristallizzazione. Sono

43 Vedi disegni riportati nel saggio pubblicato su: Opuscoli Scelti (OP. SC.), XX, 1798, p. 427.

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515 comunque analisi compiute posteriormente all'indagine sul campo, in locali forniti di attrezzature più o meno atte ad un'analisi gros-solana.

Come emerge dalle fonti, sia inedite che edite, Amoretti era solito inserire ipotesi di carattere generale su aspetti geologici quali l'origine di valli o di formazioni rocciose. Ciò presume uno studio precedente delle conoscenze del tempo. Relativamente al trappo, ad esempio, Amoretti aveva letto le memorie di Werner, Da Ca-mera, Barral, Faujas e conosceva gli studi di illustri uomini di scienza italiani e stranieri come Spallanzani, Scopoli, Bergmann e tanti altri. Come emerge dagli articoli citati degli Opuscoli Scelti, Amoretti si faceva aiutare nelle sue analisi geo-mineralogiche da personaggi quali il canonico Zanoia (per gli esperimenti), il cano-nico Giovene (per l'analisi cristallografica), il signor Gatti (per le analisi chimiche), Pennet (per le osservazioni elettrometriche) e tanti altri illustri amici. Non vi sono però al momento dati che in-dichino la possibilità che Amoretti fosse munito di qualche sup-porto cartaceo di riferimento che portasse con sé come guida du-rante i suoi viaggi.

La descrizione delle formazioni litologiche e mineralogiche sono state abbastanza precise anche se non osservate con occhio altamente scientifico ad eccezion fatta del trappo e del caolino, so-stanze di grande interesse per Amoretti e per le quali diede ampio spazio nell'analisi chimica e cristallografica. Si potrebbe stimare che all'incirca il 60 % delle informazioni prese in esame dalle fonti sono state di carattere morfologico, lito-mineralogico e naturali-stico del territorio esplorato oltre a descrizioni di tecniche minera-rie e boschive impiegate per uno sfruttamento umano delle risorse del territorio. Mentre il restante circa 40% riguarda curiosità di ca-rattere storico e antropologico, oltre a usi e costumi locali.

Infine, Amoretti alterna descrizioni di tipo qualitativo (co-lore, tessitura, grana) a termini tecnici e specifici (trappo, kaolino, molibdena, serizzio, serpentino, scisto, ecc.) tratti dalle sue cono-scenze teoriche.

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516 Per concludere, sulla base delle considerazioni sopra esposte,

è possibile ipotizzare che Carlo Amoretti fosse un viaggiatore non scienziato, attento e minuzioso osservatore della natura, interessato ad alcuni aspetti geo-mineralogici del territorio seppur probabil-mente carente nell'analisi tecnico-scientifica sul campo; profondo conoscitore delle teorie geologiche più in voga del periodo sulla base delle quale esprimeva, più o meno dichiaratamente, le sue considerazioni sull'origine e sulla formazione geologica di deter-minate strutture morfologiche.

Carlo Amoretti, dunque, esplorò il territorio attraverso la pra-tica di un viaggio ben organizzato, con obiettivi precisi da raggiun-gere, fissati da interessi prevalentemente personali sulla base di quanto udito e letto, perché desideroso di verificare sul campo di persona. Non mancavano, nonostante tutto, deviazioni o aggiunte di osservazioni sul posto, sulla base delle informazioni apprese dai locali. Probabilmente poco avvezzo all'uso di strumenti di misura-zione sul campo, non mancano però indicazioni qualitative e quan-titative ottenute da sperimentazioni effettuate successivamente all'osservazione diretta. Per la sua ferrea convinzione nel metodo elettrometrico44, è probabile che Amoretti utilizzasse sovente gli strumenti (fig. 2) propri di questo metodo (verga divinatoria e uo-mini dotati di capacità elettrometriche) durante le sue spedizioni sul campo, anche se questo non è il caso dei viaggi presi qui in esame. A seconda della finalità del viaggio che intraprendeva, Amoretti poteva munirsi anche di strumenti atti allo scopo, come nel caso del ‘trivellone’45 impiegato per estrarre saggi di terreno da analizzare sul campo o successivamente.

44 Carlo Amoretti fu un convinto sostenitore del metodo elettrometrico, tanto che dedicò l’ultimo capitolo del Viaggio ai tre laghi proprio all’elettrometria sotterranea della Lombardia. C. AMORETTI, Viaggio da Milano ai tre laghi, Maggiore, di Lugano, di Como, e nè monti che li circondano, Milano, Galeazzi, 1801, pp. 248-258. 45 Il disegno analitico delle parti di questo attrezzo è visibile in C. AMORETTI, Della ricerca del carbon fossile, p. 24.

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517 Emerge, dunque, una modalità di viaggio dove l'osserva-

zione diretta, l'utilizzo più o meno effettivo di strumenti di misura-zione e di analisi si integrano ad una solida conoscenza teorica, consentendo così ad Amoretti di formulare interessanti riflessioni di carattere geo-lito-mineralogico del territorio esplorato.

Segue ora, in appendice, la trascrizione integrale delle lettere manoscritte consultate per la ricostruzione di questo viaggio amo-rettiano. Nel riportare i manoscritti si è proceduto ad una trascri-zione fedele del testo delle lettere, quindi alcune forme ortografi-che possono risultare ad oggi scorrette ed altre ormai in disuso.

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518 Figure

Figura 1 Ritratto di Carlo Amoretti inciso nel 1816 e allegato all'Elogio Letterario scritto da Luigi Bossi e conservato presso la Biblioteca Ambrosiana a Milano

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519

Figura 2 Disegno di Amoretti che ritrae Vincenzo Anfossi a piedi scalzi per un contatto diretto col suolo e con la bacchetta tra le mani in atto di praticare le sue doti rabdomantiche. ILSLM, Fondo Amoretti, Miei Viaggi, vol. IV, lettera 25 agosto 1798 (Arch. mss. n. 19)

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520

Figura 3 Cartina dell’Alto Novarese allegata alla terza edizione del Viaggio da Milano ai tre laghi del 1806

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521

Figura 4 Quarzo impuro con gruppi a strati concentrici. Schizzo di Amoretti. ILSLM, Fondo Amo-retti, Miei Viaggi, vol. IV; lettera 4 luglio 1797.

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522

Figura 5 Disegno realizzato da Amoretti relativamente alla collocazione del caolino. Con queste parole accompagna il disegno. ILSLM, Fondo Amoretti, Miei Viaggi, vol. IV, lettera 6 luglio 1797. Arch. Mss. n. 19. L'unito disegno darà una qualche idea della situazione della sostanza di cui andai in traccia. A: Capanna dell'alpiere a a a: Strato in pendio b b b: Granito in tavole c c c: Filone di sasso fragile nericcio e lamelloso entro cui è il kaolino d d d: Filoncino di sostanza bianca argillosa, presso al kaolin e e e: Tutto quello ch'è disegnato in rosso indica il kaolin f f f : Ruine del monte che ingombrano la valle g: Cristallo di kaolino ingrandito

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523

Figura 6 Questo schizzo disegnato da Amoretti e posto al termine di queste lettere, indica il percorso seguito nel viaggio del luglio 1797. ILSLM, Fondo Amoretti, Miei Viaggi, vol. IV, lettera 9 luglio 1797. Arch. Mss. n. 19

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524

Figura 7 Schizzo di Amoretti relativo alla spiegazione tecnica sulla modalità di rottura di grossi massi granitici. ILSLM, Fondo Amoretti, Miei Viaggi, vol. IV, lettera 3 luglio 1798. Arch. Mss. n. 19.

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525

Figura 8 Schizzo disegnato da Amoretti relativo ai punti dove ha individuato filoni di Trappo presso Intra. ILSLM, Fondo Amoretti, Miei Viaggi, vol. IV, lettera 3 luglio 1798

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526 Appendice

Viaggio da Intra per Canobio alla Val Vegezza e ritorno per

la Tosa dai 4 agli 8 luglio 179746

Cavaglio in Val Canobina 4 luglio 179747

Seguo il mio costume e vi ragguaglio del viaggio che oggi

ho intrapreso, e durerà quattro o cinque giorni48. Io m'era proposto d'andare in Val Vegezza per vedere se v'era

abbondante e comoda certa sostanza fossile bianca, leggera, tutta cristallizzata a piccoli cristalli in prismi quadrilateri terminanti in un rombo, semitrasparenti, e facilissimi a stritolarsi, di cui ad Intra avea veduto un piccol saggio, fatto nome di Kaolin. Era mio og-getto al tempo stesso di veder que' monti, e quelle alte valli delle quali molte cose aveva udite e lette. Mi si offrirono a compagni il sig. Ab. Cesare, e'l P. Domenico Imperatori, onesti e colti uomini.

Partimm'oggi dopo il mezzodì. C'imbarcammo e'l favorevol vento rendeaci il viaggio comodo e delizioso. Vidimo la nascente villa di Selasca, da cui traggesi il Trappo che serve alla vetraia Pe-retti per bottiglie, e che da' in fondo a crogiuoli il bel risultato di

46 ILSLM, Fondo Amoretti, Arch. Mss. n. 19. 47 ILSLM, Fondo Amoretti, Miei Viaggi, vol. IV, lettera 4 luglio 1797. Arch. Mss. n. 19. 48 Il destinatario di queste lettere non si riesce ad evincere dal fondo manoscritto. Amoretti era comunque solito scrivere ad amici e conoscenti i ragguagli dei suoi viaggi.

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527 verto azzurro con stelle auree, o verde con fiuori bianchi49. Ram-mentammo che altre volte questo paese era celebre per le molte manifatture di ferro e d'altri metalli, al che forse contribuiva la mo-libdena o piombaggine50 di cui veggonsi qui alcuni strati, colla quale faceansi nel secol decimosesto tai crogiuoli da fondervi an-che l'acciaio51.

Scogli e filoni di trappo, per lo più misto a feldspato o a gra-niti bianchi, vidimo lungo la riva, sin presso Ghiffa. Passammo presso Balbero uno dei tredici casolari componenti il comune d'Og-gebbio. Quì rammentammo la mala ventura di quel Povero pio-vano, che nella metà del secolo XV fu creduto fattucchiere, e quindi autore di tutte le gragnuole che devastavano il paese. Il po-polo, erettosi in giudice sovrano ed inquisitoriale, legogli con ca-tena di ferro un sasso al collo, e precipitollo nel Lago, come i Ni-niviti gettaron Giona in mare52. Che volete? Sino alla fine del se-colo non vi venne più gragnuola, e Maccaneo che scriveva nel 1490, e che ci rapporta quest'aneddoto, non esita punto ad attribuire al buon Piovano tutte le precedenti gragnuole53.

Ci trovammo quindi in vista di Canero, tendendo ai castelli isolati che da lui hanno nome. Avevamo a destra la rocca di Cal-dero e di Galdino, i cui sassi, cotti nelle fornaci che le stanno a piedi, tanta calce somministrano al Milanese; e la vista di quel pro-montorio ci rammentò il brutto scherzo colà fatto allo zelante Arialdo nimico de' preti conjugati per opera di Donn'Oliva nipote dell'Arcivescovo Guidone nel secolo XI54. 49 Sul tema del trappo si rimanda al saggio di Amoretti pubblicata su: OP. SC. (Opuscoli Scelti), vol. XX, 1798, pp. 410-426. 50 Si veda: OP. SC., vol. vII, 1783, pp. 61-65. 51 Amoretti inserisce una nota rimandando a MORIGIA, Hist. del Lago Magg. Pag.19. 52 L'episodio raccontato è tratto dal Libro di Giona, un testo contenuto nella Bibbia, in cui Giona venne gettato in mare per placare l'ira divina. 53 Amoretti cita Lib. I.C.I. 54 Amoretti si riferisce all'episodio dell'interdizione di Arialdo da Carinate (1010-1066), un tranello ordito contro di lui dal simoniaco e corrotto Guido da

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528 Sin oltre Ghiffa a sinistra il nocciolo del monte è d'uno scisto

argilloso micaceo argentino, quindi è di roccia che dividesi in grossi strati opportuni a fabbricare. Io intanto narrava a miei com-pagni che nel 1792 in què luoghi era stato col famoso Pennet, il quale diceva d'avere tali sensazioni per le quali sulla riva orientale sentia quasi per un miglio pirite, indi per altrettanto spazio, (il cui centro era Porto di Valtravaglia al N. di Caldero) carbon fossile, e poscia nuovamente altrettanta pirite55; ma sulla riva occidentale non sentia che pirite; e io soggiungea che avendo percorsi que' luo-ghi col mio Vincenzino56, egli v'aveva avute delle sensazioni ana-loghe di freddo e di caldo, ma più interrotte e pur egli, come Pen-net, aveva avute le sensazioni stando sull'acqua col piè su un chiodo che attraversava la tavola e'l travicello della barca. I miei compagni che d'alcuni esperimenti di Vincenzino erano stati testi-moni, non esitarono a credere; e compatimmo l'orgoglio filosofico e matematico di chi non vuole nè credere nè vedere57.

L'alto dei monti è a bei prati, soggiorno estivo del bestiame, e a mezzo monte vi sono boschi e selve di castagni. Il basso è a viti e a grani, e ad alberi fruttiferi. A Canero si dolce è il clima, che assai bene v'allignano gli ulivi e v'allignavano né più vetusti tempi, quando quel paese co' servi e colle ancelle apparteneva ai Canonici

Velate. Secondo il suo biografo Andrea di Strumi, Arialdo venne catturato dalle guardie di Donna Oliva, lo portarono nel castello di Arona per interrogarlo e successivamente su un'isola del lago dove fu torturato, mutilato e gettato nel lago. L'anno seguente il suo corpo venne ritrovato non decomposto e proclamato santo da Alessandro II. 55 Amoretti cita Viaggio da Milano ai tre laghi: appendice. Si riferisce alla prima edizione del 1794, essendo la lettera scritta nel 1797. 56 Amoretti si riferisce a Vincenzo Anfossi, un ragazzo, poco più che bambino, che, conosciuto ad Oneglia, aveva portato con se a Milano per le sue doti elet-trometriche. Vincenzo accompagnò Amoretti in molti dei suoi viaggi al fine di mettere alla prova le sue doti rabdomantiche. 57 Amoretti non perde mai occasione di puntualizzare la sua irremovibile posizione a favore della correttezza del metodo elettrometrico, contro tutti coloro che lo consideravano un metodo ingannevole e non scientifico.

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529 di Novara, onde un luogo v'è che chimansi tuttavia Pian degli ulivi. Molti distretti ven sono in tutto quel intorno, sebbene in generale assai mal tenuti sieno, e con pessimo metodo traggasene olio cat-tivo, ove buonissimo estrarre si potrebbe. È questo il solo luogo di tutta la Lombardia, tranne Campo, presso l'Isola comancina del La-rio, ove gli agrumi non copronsi, e pur vi reggono, fuorché in qual-che inverno freddissimo, funesto alla Liguria e alla Sicilia stessa. La limoniera del sig. Bar. di S. Agabio, ha dodici piani, è d'un gran-dissimo prodotto con poca spesa. Il sito più caldo è la casa e vigna de' Sigg. Antonioli al Buco (Bouce) perché quasi in un buco ripo-sta, e da ogni vento fuorchè dal mezzodì difesa.

Navigammo fra i due castelli di Canero poco dalla riva di-stanti. Nudi scogli, servirono loro di base: un d'essi non è che un quadrato contenente una camera più ampio e l'altro che forma ha di castello. Abita nel primo un pescatore; nessuno sta nel secondo, che sebbene abbandonato, e inondato anche internamente, nelle escrescenze del lago, pur non ruina per la sodezza della sua costru-zione. Questi castelli servirono altre volte di ricovero a certi Mez-zarditi corsari che tutto infestavano il lago al principio del secolo XV. Per isnidarli di quà non trovasi altro mezzo che quello di di-struggere ogni fabbricato; e fu nel 1519 che un Borromeo, il quale quelle isolette, come le vicine terre, aveva avute in signoria, vi fe' edificare la rocca che ancor vi si vede, e ch'ei chiamò [...]58. Què due scogli, come pure il terzo ch'è ancor nudo, sono un prolunga-mento del promontorio di Canobio.

Nella roccia di questo promontorio trovaronsi indizzi di pi-rite che si credè contenere, e contien forse, del metallo nobile. Si-mil pirite v'è nell'opposto monte fra i due Maccagni. Si scavò nel luogo detto la Punta della creta, una galleria, ma non si proseguì. Noi ci fermammo in quel luogo per vederne dappresso il sasso, ed osservarne l'inutile lavoro nello scoglio. L'alto lago però non ci la-sciò entrare nella cava.

58 Scrittura poco leggibile.

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530 Rimontati in battello costeggiammo, guardando l'abbando-

nato monistero de' Vallombrosani fondato nel 1247, e poi donato coi pochi fondi che avea, ai Canonici di Canobio; e quindi con ma-raviglia notammo il molto coraggio di quei che fabbricarono il vil-laggio di Carmine sulla cresta d'uno scoglio fra due burroni, c'esser pote' una buona rocca ove ricoveravansi i Canobini quando te-meano sorprese di nemici, stragi, e schiavitù; ma che certamente è un tristo villaggio. Avendoci abbandonato il vento, giungemmo a remi alla rava di Canobio.

Un bel borgo è Canobio. Prima del mille e sino al secolo XIII appartenne a quei da Mandello, che signori pur erano di Maccagno Inferiore sulla riva orientale; per donazione d'Ottone I, a cui renduti aveano degli imperatori servigj quando vi tolse l'usurpato scettro al re Berengario nel 962. Appartenne quindi agli arcivescovi di Mi-lano; e perciò anche oggidì Canobio con tutta la Val Canobina sog-giace alla giurisdizione del Metropolita di Milano. Nel tempo, in cui lo spirito repubblicano invasa avea la Lombardia, i Canobini vollero pur essi reggersi a repubblica, ma questa poco durò; e nelle dissensioni tra i Torriani e i Visconti, sostenne i secondi, e loro molto giovò nell'avversa fortuna. Forse opera degli arcivescovi sono alcuni edifizj di pietre quadrate che trovansi in riva al lago, e in alto presso la chiesa collegiata. Non vidimo nessuna vetusta iscrizione, sebbene il Maccaneo due ne accenni, una per Primitiva, e l'altra per Cominia, a cui trovasi aver rapporto etimologico il vi-cin villaggio di Comignago.

Andammo al Santuario della Pietà. Narrano gli storici divoti che nel 1522 ad un Cristo dipinto, oltre lo spargimento del sangue, si sollevasse una costa, come se l'immagine di carne o almeno di rilievo fosse stata, e che la costa sia stata staccata59. Noi non ci arrestammo ad esaminare il miracolo, ben sapendo che sui miracoli non si vuol ragionare; ma un risultato sicuro di questo si è che, pel

59 Amoretti si riferisce al miracolo che sarebbe avvenuto il 7/8 gennaio 1522 e localmente chiamato “San Miracolo” o “Miracolo della Sacra Costa”.

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531 concorso, per le elemosine e pe' doni fatti, in quel luogo si edificò un sontuoso tempio, ove l'amatore della pittura troverà de' bei qua-dri, e de' begli a fresco. V'abbondano pure i marmi, che per lo più sono del lago di Como, e di Vigiù. In questo santuario non è la Costa mirabile: essa fu portata nella Collegiata ove si custodisce sopra l'arco maestro del presbiterio. Ivi, oltre la bellezza del tem-pio, vago e ricco di marmi è l'altar maggiore; ma troppo meschini ne sono i due angioli che'l fiancheggiano.

Gli Umiliati, che furono i padri e i restauratori delle arti utili in Lombardia, avean case e fabbriche in Canobio sin dall'anno 1160, cioè ne' primi anni della loro istituzione60. Estesissima ivi è la manifattura delle pelli che o sia per le acque (le quali però altra proprietà non hanno fuorché quella d'esser limpide) sia per l'ab-bondante corteccia di cerro ossia tanno, piucché altrove belle e forti riescono. Antichissima ivi è questa manifattura. Il Maccaneo chiama Canobio emporio del negozio de' cuoi (emporium mercis coriaceae). Morigia che avea visitati i libri delle dogane e che scrisse un secol dopo Maccaneo, dice che uscivano annulamente da Canobio 50,000 pelli minute, 12,000 corami grossi, e 10,000 coperte di lana grossolane fatte probabilmente, come pur ora si fanno, coi peli strappati dalle pelli che si conciano61. Antica è pure l'occupazione delle canobine a far pizzi, sicché da questa sola ma-nifattura che serve al lusso delle abitatrici de' più alti monti, trae-vansi ai tempi del Morigia 6,000 scudi annui. Molte donne noi pur vedemmo in ciò impiegate.

Ove termina la giurisdizione di Canobio, e con essa la feu-dale de' Borromei, e la sovranità del Re Sardo, comincia il dominio svizzero del baliaggio di Locarno. Vuolsi da alcuni scrittori, che Canobio abbia preso il nome dalle canne palustri, che in grandis-sima copia presso quel lido, altre volte paludoso, cresceano.

Dopo d'aver fatto qualche provisione di pane, poiché teme-vano di non trovarne per la cena fra monti, ci avviammo a piedi 60 Amoretti cita MACCANEO, Lib. I.C.I. 61 Amoretti cita ancora MACCANEO, pag. Ult.

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532 avendo alla destra il fiume, detto la Canobina, che appogiasi al monte coperto di castagneti, oltre la quale v'è un'assai ampia pia-nura messa a viti e a grani. Il nocciolo del monte è generalmente di scisto argilloso micaceo; ma per la via selciata di grossi ciottoloni, e nell'alveo del fiume, vidi de' sassi di tutte le maniere.

Andammo per tal modo sin presso a Traffiume o piuttosto Oltrafiume, grosso e ricco villaggio, ov'entrammo dopo d'aver tra-gittato il fiume su bel ponte. Ivi sono molte case di ricchi nego-zianti, che vi lasciano a custodia e a cura delle terre le mogli, e portan'essi la loro industria altrove.

Cominciammo tosto a salire per un ben arduo sentiero ora fra le ruine di monte precipitato, ora sopra la roccia che alternando collo scisto, e confondendosi con esso forma di que' monti il noc-ciolo; ed ha non infrequenti indizj di ferro. Notisi che corrispon-dono questi monti a quei di Valcavargna di Valsassina, di Valca-monica ove il ferro abbonda, e si cava. Angusta assai è la valle, e, altro non soffrendo che boschi, è spopolata.

Conveniaci venire fino a Cavaglio, che aveanci detto distare per un viaggio di due ore, ma noi ve n'impiegammo più di tre, seb-bene non consumassimo tempo invano. Io guardava i sassi ma su-perficialmente, o tutt'al più facendone saltare qualche scheggia col mio baston-martello. Allo scisto e alla roccia vidi talor succedere del quarzo impuro, in cui non infrequenti erano certi gruppi di fi-gura ellittica oblunga a strati concentrici. Essi hanno nel maggior diametro da pochi pollici fino a due piedi. Hanno durezza maggiore del quarzo istesso. Daronne uno schizo62. Trovai sulla via, special-mente presso al burrone passato il quale si sale a Cavaglio, due filoni di sasso corneo o trappo; e a luogo a luogo qualche pezzo d'incrostamento argilloso simile a piombaggine. Giungemmo alla fine a Cavaglio.

62 Amoretti riporta alla fine della lettera lo schizzo del quarzo impuro che aveva avuto modo di osservare. Qui viene presentato nella fig. 4.

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533 Mentre deliberavano se ivi arrestarci dovessimo, ovvero an-

dare ad una osteria solitaria detta delle due strade, incontrammo il curato del luogo il sig. Grandazzi, il quale con sincera cortesia, protestando non avere che darci a mangiare, ci offrì alloggio e letto. Fu questa per noi gran ventura, e non chiedemmo di più. Un po' di provvigione avevamo con noi, e qualche cosa potemmo colà com-prare. Cenammo, conversammo di buon umore, e ben dormimmo; io chiesi al buon curato se v'erano colà cose interessanti la storia naturale; e di null'altro mi parlò se non d'un'acqua molto pesante. Ivi coltivansi le viti, ma il vino n'è ben meschino. La segale e le castagne sono il principal loro sostegno. Da qualche tempo colti-vano patate. Il fieno fa la ricchezza loro. Scortecciano i cerri, ei querciuoli, e ne pestano la scorza alle concerie di Canobio, e i legni poi vendono, che, gettati nel fiume, con marca che ne indica il pa-drone, vengono senza spese strascinati al lago. Vi sono pure alcuni gelsi, ma poco vantaggio sen trae.

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534

A Re in Val Vegezza 5 luglio 179763

Oggi vi scriverò un po' più a mio agio, e meno stanco; non

perché non abbia fatta uguale, anzi assai maggior fatica di ieri, ma perché ho avute alcune ore di riposo dacché sono quì giunto.

Questa mattina io prevenni l'aurora, destai i miei compagni, e ci affrettammo a partire, volendo fare quanto più cammino pote-vamo prima d'essere raggiunti dal sole. Il buon curato volle accom-pagnarci un tratto di cammino. Percorrendo la costa del monte che guarda il S., in tre quarti d'ora giungemmo alla mentovata osteria detta delle due strade, ove sicuramente ci saremmo ben mal trovati di cena e di letto. Avevamo a sinistra Rasio e in faccia Falmenta, paese d'uomini altre volte indomiti, cui, seguendo il ramo princi-pale del fiume, lasciammo a sinistra. Fra quegli scogli, che son tutti di roccia, ma generalmente coperta di terra sostenuta da muri a secco, usano gli abitatori di tutta l'industria, coltivando poche viti e molta segale; ma lo scortecciar cerri è una delle più proficue loro operazioni. Ciò però, anche congiunto al prodotto del bestiame, non basterebbe alla loro sussistenza, se gli uomini non si sporges-sero sul finir dell'inverso per la piana Lombardia, ove lavorano agli alberi da taglio alle viti ai gelsi, e portano a casa danaro con che comperare il grano che loro manca. Talora la lor miseria è tale, che le donne, alle quali sono addossate le maggiori fatiche campestri e domestiche, non guadagnando abbastanza con che comperare pane di segale, riducono in farina i granelli dell'uva, e alla segale mi-schiandola, ne formano pan nero e duro, e non gustoso che all'af-famato. A tanta miseria gli ha principalmente ridotti in questi ul-timi tempi l'eccessivo prezzo numerario de' viveri per la cattiva moneta, e gli screditati biglietti piemontesi. Poiché v'abbondano i

63 ILSLM, Fondo Amoretti, Miei Viaggi, vol. IV, lettera 5 luglio 1797. Arch. Mss. n. 19.

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535 faggi, potrebbono trarre qualche partito dai loro frutti spremendone l'olio, ma nol fanno, contentandosi di quello che traggono dalle noci, e che è certamente migliore.

Per vestirsi hanno in tutta la valle sufficiente canapa e lane.

Continuando a salire, dopo piccola discesa a cui costringe il pas-saggio d'un burrone, passammo sotto Spozio, villaggio che estesis-simi prati ha sopra di se; e quindi ci convenne per una lunga discesa andare al ponte su cui tragittare un grosso ramo del fiume. Vidi nel suo alveo molti sassi nericci d'ogni grandezza, e nera erane quasi tutta l'arena; ma nell'alveno non potei discendere per vedere più da vicino que' sassi che venuti erano dall'alto. Avean l'apparenza d'un sasso corneo; ma potean'anche'essere di quel marmo cupo di cui mi fu in seguito parlato nel vicino paese.

Di là per una faticosa salita (che dividemmo, facendo su un sasso una parca colizione col poco salame e pane avanzato dalla nostra cena) ci portammo al villaggio di Aurasco, avendo a sinistra Ghuro; e ivi, poiché tutti erano ai monti col bestiame, appena tro-vammo una donna che c'indicò la strada per andare al villaggio di Cursolo. Ma appena usciti da Aurasco fummo raggiunti da due montanari, noti ai miei compagni, che sulle più alte alpi andavano a fare stillare con fori, e tagli artificiali, a cogliere la resina de' pini, mandandola in barili al lago, e di là per la Lombardia, e all'Adria-tico stesso. Giunti a Cursolo, noi ci fermammo all'osteria per non bere sempre acqua; essi proseguirono.

La curiosità e l'ozio adunò all'osteria quei pochi uomini che erano in paese. Per saper se v'era in que' monti del sasso calcare, chiesi a quello che pareami, non il meglio vestito, perché nessun avea più che camicia e calzoni, ma il più pulito a rispondere, donde traevano la calcina per fabbricare. Poco da quì distante, mi dis'egli, v'è nel monte un sasso bianco, che nella fornace riduceasi in cal-cina; e quando qui non si fa fornace, vassi a prendere presso Aura-sco, ove si fa calcina con certo sasso nerognolo. La seconda pro-posizione mi fé sospettare che il sasso nero creduto corneo fosse

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536 calcare; e volli vedere la cava del sasso bianco. V'andai, accompa-gnato da un figlio di lui che parlavami. Trovai esser un filone di marmo simile a quello della Candoglia, e posto nella medesima direzione dal N.E. al S. O., non più largo di otto piedi, per quanto mi fu detto, giacché il ruinato terreno non permisemi di misurarlo. Essendo di ritorno all'osteria, il medesimo pulito uomo da me in-terrogato sulle particolarità che sogliono trovarsi né monti, dissemi esservi in alto una sorgente d'acqua marziale; e poiché io gli fesi sentire che questa esser potea di vantaggio grandissimo al paese, offrì di mandarmene alla prima occasione un saggio in Intra per giudicarne. Lo sto attendendo64.

Da Cursolo ci avviammo a Finero. Bisognava passare il sasso di Finero ch'era stato descritto ai miei compagni più periglioso che non il passo di Malamoceo a barcajuoli veneziani. E' il sasso di Finero una gran scogliera di roccia rossigna. La strada è fatta parte dalla natura e parte dagli uomini sul pendio, sicché una rupe per-pendicolare si ha al di sopra e un precipizio al di sotto; ma poiché

64 A fine lettera Amoretti aggiunge la seguente postilla. «Ai primi di settembre, quando io disperava d'aver l'acqua ferruginosa, mi vidi recare quattro bottigliette d'acqua, ognuna delle quali aveva unito un sassolino involto in carta; e mi si disse ch'erano state portate da quello stesso che aveamela esibita a Cursolo. As-saggiai le acque e le trovai uguali senza odore né sapore alcuno. Guardai i sassi, e trovai di scisto, o di roccia ferruginosa; uno però avale avute. Volea tuttavia lasciare qualche cosuccia per chi aveale portate, ma dissemi che quegli stesso tornato sarebbe fra poco. Difatti dopo tre dì mi si presenta un signore vestito da capo a piè di velluto caffè. Lo inchino ei mi chiede come ho trovate le acque portate da Cursolo. Acque buone a bersi, e nulla più, gli dico - Sono stato io stesso a prenderle in cima a monti, a norma della commissione che mi ha data...Ma chi è elle? gli chiedo - Sono il castellano di Curzolo, e son quello con cui parlò nell'osteria - Gli feci nuovamente di cappello, e riconobbi sotto il vel-luto il volto dell'uomo in camiscia, e calzoni. M'imbarazzai alcun poco, pur non lasciai di dirgli, che io non avea data commissione di venir ad Intra a portarlami; che l'acqua non era ferruginosa, come aveami detto, e che quel poco che avrei potuto regalare ad un povero montanaro, era troppo poco per un sig. castellano. Ei tacque, e ci dividemmo».

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537 la strada è bastantemente larga, non v'è periglio di cadere; ed es-sendo il sasso superiore di roccia solida, non avevamo a temere che ci seppelisse. Il pericolo v'è però nell'inverno, quando la neve il tutto copre e fa smarrire il buon sentiere, ovvero il diaccio non la-scia che mettasi il piede sicuro. Io n'ero si poco spaventato, che non esitai d'uscir di strada per prendere un'apollo, farfalla abitatrice de-gli alti monti, che non aveva prima d'allora veduta in quelle parti.

Dopo la scogliosa via ci trovammo in un bel piano coltivato a segale e a prati, e giungemmo a Finero, ultimo paese della Val Canobina. Ivi trovammo cortese ospitalità presso il sig. Pironi ricco negoziante che, dopo d'aver vissuto nelle mercantili piazze d'Eu-ropa, s'è alla patria ritirato, e ivi vive alla patriarcale. Alcune tazze di buon caffè con ottimo latte ci ristorarono. Non altro accettammo da lui, perchè volevamo essere a Re pel pranzo.

Re è il paese di Val Vegezza a cui tendevamo, essendo quell'arciprete il sig. D. Simone Grignaschi d'Intra amico e con-giunto de' miei compagni. Dopo breve salita ci trovammo in una solitaria valletta, che non versa più le acque nella valle Canobina, ma nella Vegezza. Trovammo per istrada un giovin sig. Azari che a Re sua patria tendea pure egli, e ci si offrì a guida per la più breve via; e noi a lui ci affidammo. Lasciammo a sinistra la strada mae-stra che mena a Malesco, e a destra quella che porta al Ponte di Maion. Attraversammo un vaghissimo bosco di faggi in pendio, e giungemmo dopo lunga discesa in riva al fiume Melezza per attra-versarlo su travi in vicinanza di Re. Ma ci trovammo delusi. Il fiume d'improvviso gonfiatosi né precedenti giorni avea portate via le travi. L'andare a Malesco o al ponte di Maion troppo ci pesava, già essendo noi stanchissimi, cocente il sole, e'l mezzodì vicino. Mentre i compagni miei deliberavano, io m'inoltrai nel fiume, che limpidissim'era, e men di due piedi d'acqua avea, e lo guadai; per-suaso a molte prove che la bagnatura giovato m'avrebbe anziché nuocermi. I miei compagni mi seguirono. Guadammo così i quattro rami del fiume, non senza molto ridere della nostra ventura. Molto

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538 tempo v'impiegammo; ma tutti da quell'acqua sentimmo giova-mento, e n'acquistammo lena per andare alla villa di Re, ove il sig. Arciprete, che ben lungi era dall'aspettar ospiti a quell'ora, ci ac-colse colla più gentile e cordiale ospitalità.

Rimediammo come potemmo al residuo della bagnatura, mangiammo meglio che non avevamo sperato giungendo improv-visi, e dopo il pranzo dell'arciprete; e andammo quindi a fare un passeggio fin oltre il ponte di Maion, lungo il fiume Melezza. Vidi, cammin facendo, che noi eravamo sulle ruine d'un monte dirupato, che avea la cresta di granito, e sull'antico letto del fiume, come ne giudicammo da depositi di fine arene quarzose e felspatiche, e da grossi massi granitosi. Il piè de' monti ai due lati dell'attual alveo del fiume è d'argilla. Fu posto il ponte ove la valle è angustissima, e ove senza dubbio era chiusa una volta, onde tutta la valle era un lago; il che puossi pur argomentare dal vederla piana e livellata, se non che la taglia il fiume. Ivi il piè del monte, immediatamente sopra l'argilla, è d'una dura breccia formata di pietruze per lo più angolose, perché poco rotolamento hanno subito. Si sa che la brec-cia suppone una lunga e tranquilla dimora delle acque su un fondo ghiaioso, in cui penetrando ha portato quella specie di cemento che ne lega le parti.

Oltre il fiume vidimo molti massi dall'acqua stratificativi: essi erano di qualità diverse di graniti, di scisti, di rocce, e di quel serpentino che quì chiamasi Lavezzella, cioè pietra ollare, di cui parlerò. Molti d'essi aveano una patina di rosso vivacissimo, che da lungi credei ocra di ferro, ma che da vicino esaminata trovammo essere un musco.

Se fossimo stati meno stanchi saremmo andati ad una mi-niera di ferro, che fu scavata negli scorsi anni, e abbandonata non so se per cattiva direzione o per la scarseza del minerale. Essa è alla destra del fiume, e dista un ora dal ponte di Maion. Fummi poi detto che un valente minerologo, il sig. Ruzieska, trovato avea che

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539 il filone è poca cosa, e corre quasi costeggiando la valle, nella di-rezione degli altri noti filoni metallici delle alpi; il che fa conghiet-turare che si troveranno paralleli a questo degli altri filoni.

Tornammo a casa, e sulla sera salimmo alle Tre Villette , che tali sono difatti, poste alquanto in alto sopra Re, ov'è un piano, ge-neralmente coltivato a segale, e qualche rara vite. Sul medesimo piano al S. stanno i borghi di Malesco, e di S. Maria, e al N. i vil-laggi di Felsogno, Dornasco, Craveggio, Prestinone, Tosseno, Crana. Vidimo alle Tre Villette il buon Rettore, attento coltivator d'api, che mostra col fatto come coglier sen possa il prodotto senza farle perire; e che approffittando del rampicare che fa la fragola ne ha formata una vaga ed utile spalliera. Vidimo pure il di lui zio, sig. Bozzi, ricco mercante, che trasse vantaggio dalla miseria de' Parigini, comprando a buon mercato de' ricchi bijoux, e disposto era a tornar colà a rivenderli, ora che la preda dell'Olanda e d'Italia va riconducendovi il lusso. Incontrammo, tornando a casa il buono e onesto padre dello sciagurato rivoluzionario Azari, che da Pal-lanza ove viveva, e ove il figlio sognò di fondare la repubblica Le-pontina, e perì sul patibolo negli scorsi mesi, è andato fra le rupi native, ove ha buona casa e fondi, a seppellire il suo dolore.

Cenammo, mangiammo buone trottelle che pur mangiato

avevamo al mattino. L'Ab. Imperatori dormì in casa dell'Arciprete. Il P. Imperatori ed io venimmo a dormire in casa della sig. Polonia Azari, ricca e saggia vedova, che collocò i figli e le figlie, e sepa-rata da loro con loro vive da eccellente madre. È questa una delle cinque case Azari che veggonsi a Re, e tutte colorate hanno ester-namente una specie di livrea comune. Due di lei figli sono nego-zianti e domani partiranno per Levante, ove spedite già hanno le mercanzie della Germania. Prima di separarci stabilimmo che all'indomani saremmo andati a cercare il kaolino oggetto principale del viaggio.

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540 A Re in Val Vegezza

6 luglio 179765 Oggi è stata una giornata ben faticosa. Ci proponemmo d'an-

dare a cercare il kaolino di cui solo sapevamo ch'era sopra Crana. Fatta colizione in casa Azari con cioccolatte in bella porcellana del Giappone, poiché il lusso è stato fin quì portato dalla ricchezza dell'uomo industrioso ed economico, ci avviammo, avendo pur con noi il sig. Ab. Giuseppe Grignaschi fratello dell'arciprete, e pas-sando sotto le Villette andammo a tragittare il fiume al ponte di Malesco.

Questo paese, posto sul piano elevato di cui parlammo, ha sì regolarmente disposto il pendio all'intorno, che'l diresti un castello di buona costruzione. Vi s'ascende per una facil salita. Ivi vidimo le case de' ricchissimi signori Milanesi e romani, cioè i Melleri, gli Andreoli, i Cioiadi, che di quà traggon l'origine.

Vidimo la chiesa ov'abbonda il marmo bianco, che si trae da

un filone posto nel monte che sovrasta a Malesco, perpendicolare pur esso, per quanto fummi detto, nella direzione del marmo di Curzolo, di cui potrebbe ben essere una continuazione. Questo marmo di Malesco è però assai più candido, e di grana sì fina che non invidia il carrarese. E' gran danno che sia in luogo di sì difficil trasporto.

Usciti dal paese tragittammo un torrente, nelle cui sponde vi-dimo delle tane che dicesi essere di tassi. Ivi pur trovammo di quella specie di corvi a becco e piè rossi, che diconsi corvi crestuti (corvus eremita L.)

65 ILSLM, Fondo Amoretti, Miei Viaggi, vol. IV, lettera 6 luglio 1797. Arch. Mss. n. 19.

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541 Continuammo verso S. Maria in mezzo a bei campi di segale

non ben matura ancora; e a bei prati che allora tagliavansi per la prima volta. Ivi fei raccolta della farfalla apollo.

Avevamo in faccia Craveggia, patria del gen. francese Fe-rino, e prima di Craveggia, diviso da un torrente, che minaccia di portare nella Melezza la terra, v'è Dornasco. Sopra Craveggia, nelle più elevata valletta, vi sono delle acque sulfuree termali, ma trascurate. V'è però lì presso un'abbandonata casa, onde alcuni vi vanno pe' bagni, portando seco ogni provigione, poiché colà tutto manca fuorché il latte. Da Craveggia alle terme il viaggio è di quat-tr'ore.

Molti narraromi che sull'alto dei monti meridionali sopra Malesco e Santa Maria sentasi forte odore di petroleo. Sarebbe mai odore d'epate di zolfo?

Percorrendo sempre un bello e coltivato piano in tre quarti d'ora fummo a S. Maria. Ivi anticamente non altro era, che la chiesa matrice, e la casa del Piovano. Quei di Crana, di Craveggia, di Pre-stinone, di Tosseno, di Bertogno, fabbricaronsi abitazioni presso la chiesa, serbano però sempre il diritto d'abitatori de' loro primitivi paesi, onde partecipare agli stessi prati e boschi ch'essi hanno.

S. Maria crebbe così in ampio borgo senz'aver territorio, né formare comunità; ma poiché è posta nelle migliore situazione di Val Vegezza, ne divenne, a così dire, la capitale. Ivi risiede il giu-dice eletto dalla famiglia cadetta de' Borromei, che ben pochi diritti feudali qui esercitano. Ivi pure sta un deputato della valle del quale parlerò più sotto. Molti ricchi negozianti hanno quì la loro principal casa e i libri di negozio, e quì fannosi tutte le specolazioni. Tali sono i Bentina, i Borgnico, i Corgiuoli. La chiesa è bella e ricca di marmi e qualche buon quadro. È fabbricata sulle ruine di chiesa antichissima, che pretendesi formata da S. Giulio nel IV secolo.

Il cortese sig. Prevosto, e'l collega suo che ha nome di Peni-tenziere, ci accompagnarono sino a Crana, paese poco distante, po-sto allo sbocco della Melezza nella valle. Ivi prendemmo notizie

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542 sul luogo del kaolino; e tali furono che ci aveano poco meno che fatto rinonziare al progetto d'andare a cercarlo.

In più d'un luogo cen fu indicato; ma altri cel disse lontanis-

simo, altri coperto dalle nevi, altri dal dirupato monte. Questo ci disse l'uomo istesso, che aveane portati de' saggi in Intra. Non ci tolse però la speranza di rinvenirne allo scoperto qualche vena, e altronde m'importava vederne la situazione e le circostanze. Udendo che il viaggio non era che di due ore, ci determinammo d'andarvi.

Prima però vidimo un gran lavoro che faceasi nel fiume per sollevarne di ben 50 piedi l'alveo, onde sostener l'acqua per l'irri-gazione della valle. Ricca essendo la comunità di Crana pe' boschi e pe' prati, può essa fare questa grandiosa spesa senza che i parti-colari vi concorrano. Il sasso del monte è scisto argilloso, ma ha un largo ed alto strato d'altra qualità di sasso pur argilloso e bianco, e fatiscente da cui le acque una fine e candida polvere corrodono. Forse è lo stesso sasso che cristallizzato da' il kaolino.

Di questo sasso è pure per lungo tratto il monte su cui sa-

limmo con molta fatica e caldo, accresciuto dal riflesso del sole su quella bianca rupe; in cui nel salire pur trovammo qualche vena di sasso nero ferruginoso, e assai pesante. Ma non tardammo ad en-trare ne' boschi di pini altissimi e fitti, che sovente aveano il bordo d'annosi e foltissili faggi. I pini sono di più specie: v'ha dei larici, degli abeti, delle peccie, e una qualità detta Teione, ch'è forse il Pinus Taeda L. Da alcuni posti più in alto, e d'impossibil trasporto, si trae la trementina della quale si fa traffico considerevole; ma in generale essi non danno altro prodotto che il legname.

Dopo il viaggio d'un'ora, e di sensibil salita, trovammo a si-nistra il nudo sasso, ch'è un granito in tavole. Di questo è stratifi-cata in qualche parte la strada, abbellita anche a luogo a luogo dai fior vermigli e copiosi del rododendro ferrugineo. Ma per lo più si

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543 camminava sulle scomposizioni di monti superiori; attraversando di tempo in tempo de' burroni, ivi chiamati valli.

Passato il torrente detto Val di forno, trovai un'abitator di que' monti per nome Ceresa, che indicommi un luogo sulla sponda del torrente medesimo, ove trovasi uno strato di pirite, or in massa, or in polvere. Me ne andò a prendere un saggio, e null'altro posso dir per ora se non che è una vera pirite ed è pesantissima. Rimpetto alla pirite condussemi a vedere un'ammasso di finissim'arena can-dida di quarzo e di feldspato.

Quì già cominciano i pascoli e diconsi monti, riserbando il

nome di alpi ai pascoli più elevati. Que' prati a cui tendevamo, di-consi L'alpe di Trence. Le casucce, similissime ai chalet delle alpi savoiarde, qui sono in gran numero, ed erano popolate dal be-stiame. Trovammo su que' monti la genziana, l'imperatoria (di cui i mie compagni fecero raccolta per l'analogia del nome), il verato bianco, l'astranzia maggiore, ed anche il genipì, pascolo de' ca-mozzi, ivi non infrequenti.

Per andar al passo ricercato ci convenne salire sino alla più lontana capanna, onde da Crana a quel luogo impiegammo tre buone ore, salendo. Il nostro condottiere ci si vantò padrone di quella capanna, e ci offrì fior di latte: cel recò; ma'l trovammo sì cattivo, che, malgrado la fame, la quale ci batteva i fianchi, nol potemmo gustare. Vedendo in quel luogo molte vacche e copia di latte non sapevamo comprendere come buona crema non vi fosse; ma sciolte dopo qualche tempo l'arcano un altro alpiere (nome di chi sta all'alpi coll'armento) narrandoci che il condottier nostro v'a-veva appena tre meschine vacche e poche capre, mentre egli ben diciannove vacche aveva; e offerto avrebbei fresco e saporito fior di latte, se l'altro, che tutto per se guadagnar volea, non gliel'avesse vietato. Tanta malizia anche nel pastor dell'alpi! Pur alcune coppe egli poi cen diede che trovammo eccellente. Avevamo dianzi man-gaito il poco pane e salame di cui ci eravamo provveduti, e i più

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544 affamati trovarono pur mangiabile la farina del fagopiro, volgar-mente fraina, detto quì formentone a tre cantoni, che avea tutta l'ap-parenza d'una sabbia, e un cattivo gusto, per me almeno.

Il kaolino, ossia la sostanza cui si dà questo nome, trovasi nel

letto del burron vicino chiamato Val del tossico. Una frana ne ha coperto la massima parte verso E. Il monte è formato d'una specie di granito in tavole, facile a dividersi negli strati, e a suddividersi in pezzi angolari. Tale è tutto il monte fino alla vetta, ch'è tutta di nudi scogli inclinati al S.O., a guisa di immensi tetti, onde chiamasi la Piodina di Crana. Pioda in lombardo vuol dire tegola.

Il Kaolino trovasi in un filone perpendicolare agli strati del sasso primitivo del monte. Questo filone d'ineguale larghezza è ne-riccio di sostanza scistosa e tenera, con rilegature bianche che sono il kaolino. La parte nericcia guardata colla lente sembra un compo-sto di particelle micacee, o piccoli scerli neri, lucidi, frammezzati da frantumi di feldspato bianco, ch'è la sostanza stessa del kaolino, a mio parere.

Ove questo è puro trovasi cristallizzato in colonnette fibrose quadrangolari, troncate in cima, ove presentano or un quadrato or un rombo. I più lunghi cristalli che ho veduti hanno due linee, e i più grossi 1/8 di linea. Il filone più largo di puro kaolino ch'io abbia veduto è di 4 pollici.

Vi si trova a lati, come formante la ganga, e talora frammez-

zata allo stesso, una sostanza bianca verdognola, simile alla smet-tite per la morbidezza e pel colore; e che s'impasta come l'argilla. Quando è asciutta, guardata colla lente, vedesi pur essa composta di particelle lucide, probabilmente di mica, qual trovasi pure nel kaolino del Giappone. Queste particelle sono sì fine che nell'acqua difficilmente precipitano. Vi son lì presso anche delle rilegature di quarzo duro, che batte fuoco coll'accialino.

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545 Io ho fin ora chiamata kaolino questa sostanza, perché sotto

questo nome mi fu fatta conoscere. So che, secondo Bergmann il kaolino è un'argilla, e nulla egli dice della sua cristallizzazione66. Le ulteriori ricerche che farò a miglior ozio, m'istruiranno io spero sulla sua natura, e sul suo vero nome. Ne feci per quest'oggetto cavar un buon rubbo per trasportarlo meco.

Mentre io stava nel burrone cavando sassi, i miei compagni

salirono più alto presso alle nevi. Ivi alcuni antichissimi larici tro-varono. Uno di questi aveva all'altezza dell'uomo piedi pari 14 ½ di circonferenza, e tale n'era l'altezza da cavarne sei borre sì grosse che la più sottile non avesse meno di 9 once milanesi di diametro e lunghe per lo meno braccia sei; onde l'albero aveva all'incirca 200 piedi parigini d'altezza.

Per la medesima via che ci sembrò ben più comoda e breve, discendemmo a Crana; e di là andammo a S. Maria e a Malesco, ove il nostro buon arciprete di Re ci venne ad incontrare. Cenammo

66 Al termine di questa terza lettera, Amoretti inserisce una nota sulla cristallizzazione del kaolino.

«La cristallizzazione di questa sostanza interamente somiglia ai cristallini che trovansi talora intorno e dentro i più grossi cristalli di feldspato di Baveno; ed è per questa ragione che credo essere un feldspato, il quale, come appare nell'ana-lisi di Scopoli è un misto di terra selciosa e d'argilla, con poco ferro, e più poca magnesia. Il ferro però fu trovato ne' cristalli carnicini; ond'è probabil, che nella nostra sostanza non ven sia. Difatti essendo stata esposta a un fuoco violento, acquistò maggior candore, anzicchè tingersi; e videsi un principio di fusione ne' cristalli, che s'assottigliarono, e perderono gli angoli. Non è quinidi improbabile che questa sostanza nella fornace prenda la semicristallizazzione della porcel-lana. - Asciugandosi divien si friabile che sciogliesi in polvere finissima. Di si-mil polvere trovasi talora ne' vani del granito di Baveno, e fummi una volta mo-strata sotto nome di Petunsé (sostanza con cui fassi la portcellana al Giappone), ed io ne parlai nel mio Viaggio ai Tre Laghi pag. 23 Ma un mio dotto amico, il sig. dot. Thouvenel, che vide il petunsé trovato nel limosino con cui si fabbrica la porcellana di Seves, mi dice che quello somiglia più alla ganga, ossia all'ar-gilla che contiene il nostro kaolino, che alla sostanza cristallizzata».

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546 deliziosamente con trotte, polli, e carne squisita; e or ora men vo a letto. Addio.

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547

A Re in Val Vegezza 7 luglio 179767

Oggi era giorno destinato in parte al ritorno e a faticoso viag-

gio, e in vece il passammo tutto nell'ozio, a motivo del tempo pro-celloso, che portò qualche grandine, e della pioggia incessante che cadde. Ciò non ostante non fu del tutto inutile la dimora. Alcune nuove cose vidi, ed altre m'informai.

Si passò parte della mattina in chiesa. Ivi è il famoso Santua-

rio della Madonna di Re, a cui è un concorso incessante, e propor-zionate al concorso ne sono le ricchezze. Narra la storia che tre secoli fa un giovinastro delle Villette, giucando con disgrazia sul piazzal della chiesa, sulla cui porta dipinta era una Madonna, tirolle una sassata, colpilla in mezzo alla fronte, e uscinne copioso sangue per ben venti dì. Di questo gran portento si fecero i processi, e ri-sultò vero quanto la storia narra. Ciò ci disse il sig. Arciprete.

Noi facemmo scoprire l'immagine, la quale or rimane in

mezzo alla chiesa per la nuova chiesa aggiuntavi; e sull'altar mag-giore salimmo per vederla da vicino. La Madonna v'è dipinta in mezza figura lattante il Bambino Gesù, e sotto d'essa v'è scritto in carattere gotico, o piuttosto monastico, questo verso Leonino In gremio Matris sedet Sapientia Patris.

Che opera sia quella d'un cattivo pittore poca importa al di-

voto. Forse il troppo scrupoloso osservatore trovar potrebbe che il sangue, cadendo da piccola piaga immobile, qual'è la fronte dipinta sul muro, non dovea macchiar le gote, e spargersi come s'è sparso

67 ILSLM, Fondo Amoretti, Miei Viaggi, vol. IV, lettera 7 luglio 1797. Arch. Mss. n. 19.

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548 molto fuori dalla perpendicolare; ma si sa che, ove si tratta di mi-racolo, non si dee ragionare tanto per minuto.

Dopo ch'ebbimo veduta a nostr'agio e venerata l'immagine, l'Arciprete, per via a pochi conceduta, ci condusse sulla volta, ove, avendo aperto un tabernacolo, cavò fuori una specie di [...]68di cri-stallo, in cui conservasi parte del sangue da quella immagine sgor-gato. Essa sta entro un'ampollina, ov'ora altro non vedesi che un piccolo ammasso biancastro, e intorno ad esso sono de' [...], che furon, diss'egli, nello stesso sangue intinti. Infine questo deposito è riccamente ornato.

Vidimo quindi l'altra parte del miracolo, cioè la ricchezza dei sagri arredi. V'ha ben poche cattedrali provvedute d'apparati di ric-che stoffe d'oro, d'argento, e di riccami, come lo è la chiesa di Re. Non vi mancano candelieri, e croci, e lampadi d'argento; ma il più pregevol pezzo a me parve [...]69tutto di cristallo di rocca limpi-dissimo, finamente lavorato, compressovi il [...] istesso. Esso fu dono di non so qual signore tedesco. E sospettai, [...] grado la co-mune opinione, che il cilindro entro cui si colloca l'ostia, fosse di bel cristallo soffiato; ma certamente non vi si vede bolla che men'assicurasse.

La chiesa stessa nel lusso de' marmi da' pure essa un'idea di

ricchezza. Per la maggior parte sono marmi del Lario e fa sorpresa come sen siano colassù portati i gran massi; non essendovi strada carreggiabile. Il pavimento è a scacchi bianchi e neri. Il marmo bianco è tratto dalla cava di Malesco; il nero è di Lavezzella. Dessi questo nome ad una specie di serpentino cui molte sono le varietà: il più fino, ben lavorato, prende un occhio metallico, ove sovente credonsi di bronzo i capitelli e i bassi delle colonne che veggonsi in alcune chiese e nominate alla Madonna dell'albero nella Metro-politana di Milano. Non se ne conosceva ( a meno che tal sia una

68 Scrittura poco chiara. 69 Ibidem.

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549 che men'è stata accennata sopra Uncio, non lungi da Intra); ma sen trova nel fiume dè massi d'ogni grandezza; sicchè sen veggono fre-quentemente formati gli stipiti delle porte e grandi tavole. Queste, percosse, suonano come bronzo. Il campanile dalla chiesa per tutto il piazzale, che ora s'orna con un patio, che sonore grosse campane, sono pur esse un monumento della divozione dè popoli a quel san-tuario. Il suonar le campane a festa è di trattamento fatto a forestieri che vogliansi onorare.

Tanta divozione ad un'immagine né vegezzini, non li rendè

però mai sì dabbene da voler tollerare che alcun frate o nero o bianco o bigio piantasse casa nella lor valle, ben atto a nutrire dè nudi piedi; il che devesi anche alla molteplicità dè Parrochi, poiché ven'ha diciassette per una popolazione che non giunge alle 5000 persone da Comunione.

Sebbene sia suddita del re Sardo, essendo de' Borromei, la

Val Vegezza forma una specie di Repubblica Democratica. Ivi non v'ha rappresentante Regio. Il feudatario, siccome ho detto, vi de-stina un giudice e nulla più. Non v'è gabella di sorta alcuna, e libero è il commercio di sale, tabacco, acquavita. Se le pubbliche spese e qualche tenuo tributo, traggonsi dalle pubbliche entrate tratte da pascoli e da boschi. Ogni comunità forma una municipalità ch'essa stessa elegge; e tutti i capi di famiglia hanno voto del paro. I consoli della municipalità uniti eleggono due Deputati uno per la parte orientale, e l'altro per la occidentale, rappresentanti la valle intera; e questi a pubbliche spese vanno ove il comune bisogno il richiede. Intervengono sempre al consiglio generale dell'Ossola, che tiensi a Domo, insieme ai deputati delle altre valli laterali della Toce, fino a Vogogna.

Abbenché S. Maria sia la fede del giudice e la chiesa matrice,

gli altri paesi non hanno per quel borgo nessuna deferenza. Quindi nasce che in tutta la valle non v'è un medico condotto, perché ogni

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550 paese lo vorrebbe fra le sue mura. Non sarebbe forse un gran male questa mancanza, se non vi fossero de' medici vicini, che o mal ricettano, o peggio fanno eseguire le ricette. Oggi morì a S. Maria una bambina, a cui il figlio del medico di Finero, portò polvere di cantaridi per un purgante.

Dissi che i prodotti della comunità sono i pascoli e i boschi e son prodotti grandiosi. Potrebbon'essere più grandi però, se mag-giore attenzione si facesse alla manifattura de’ Formaggi, e alla fu-sione de' butirri; e se più facil fosse il trasporto de' legnami. Ri-guardo ai formaggi sono ben lontani questi alpieri dall'imitare le diligenze degli svizzeri loro vicini, che non hanno senza dubbio erbe migliori né più abbondanti; eppure fanno certamente migliore formaggio. Qui poco si sa cuocere il latte, e più non si fa cuocere dopo ch'è coagulato e rotto. Poco sale vi si mette per estrarne l'u-midità, cagion precipua d'ammuffimento. Mal fondonsi i butirri, non separandosene a dovere la parte caseosa, e'l fondo della pen-tola, il quale ha sempre sapore e odore empireumatico. Ciò scrivo sul ragguaglio ch'ebbi di tali manifatture dall'alpiere di Trence.

I boschi sarebbero d'un prodotto immenso se non s'incontras-sero tante difficoltà quante se n'incontrano prima che i tronchi, detti borre, giungono al lago. Ecco l'economia de' boschi, comune a un di presso a tutti questi, e a vicini monti. La comunità vende un bo-sco (ch'è sempre di molte migliaia di grossi pini) all'incanto. Il compratore, che generalmente paga in ragion di pochissimi soldi ogni albero, accorda gli uomini che'l tagliano (lasciando in piedi i più piccoli) e ne formano le borre. L'accordo passi a un tanto per borra. Queste denno avere 9 once milanesi (pollici parigini 16 ½) di diametro, per lo meno, e 6 braccia (piedi 11) di lunghezza pre-cisa. Se son minori sen chiedono or tre, or sei, or otto a formare una borra. Quindi gli stessi, o altri uomini s'incaricano di condurre le borre dal monte al fiume che le trasporti al lago, ove s'uniscono in grandissime zattere, sulle quali s'inalberano sin a dodici vele per ciascuna, e a favorevol vento navigano verso il luogo a cui sono destinate. Gran parte ne viene ad Intra, ove le molte segherie ad

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551 acqua riduconle in tavole, e forniscon materia ad un'esteso e ricco commercio.

Il condurre le borre al fiume è la faccenda la più difficile. A

tal oggetto formasi una strada in pendio, uniforme, e per quanto si può diritta. Gli scogli, i dirupi, i precipizi non trattengono quegli uomini, che con travi, con terra, con neve pesta e agghiacciata (e per tal uopo scelgono l'inverno) formano la lor via bellissima a ve-dersi. La chiamano la Sovenda. Se il fiume in cui fanno cadere le borre è scarso d'acqua, vi formano con travi una chiusa, ma sì ben congegnata da potersi in un momento aprire. Alle prime pioggie formasi presso la chiusa un laghetto artificiale, ove tutto il legname s'aduna. È d'uopo allora aprir la chiusa, il che richiede molta agilità, e non è senza pericolo: quindi, se alcuno de' soci dell'impresa non s'offre volontario, tirasi a sorte quello che dee, sospeso ad una corda avvicinarsi a sollevare una specie di molla o saliscendolo, per cui la gran parte spalancasi; e con impeto precipitano i legni e le acque sostenute.

Quando le borre sono nel fiume Melezza al di sotto di Crana,

all'occasione di forti pioggie s'avviano al fiume di Valmaggia in cui la Melezza imette, e per esso al lago Maggiore presso Locarno, ove raccolgonsi da quegli abitanti; essendo già stabilito il prezzo per ogni borra, che consegnar a lui devono che alla marca sen co-noscesse il proprietario. Ivi formansi in zattere come dicemmo. Ma poiché urtando nelle sponde del fiume apportano danno ai fronteg-gianti, continue liti vi sono fra questi ei padroni del legname. So-pratutto ad ogni piccol danno soffrire per le borre di Val Vegezza, chiedono un'indennizzazzione, la quale è per le stime e pe' giudizj costosissima.

Non v'è in Val Vegezza, ch'io sappia, monumento romano. Ciò che narrasi della primitiva chiesa di S. Maria fondata vuol da Giulio, non ha alcuna apparenza di vero, e gli stessi antichi atti

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552 della storia di questo santo son apocrifi […], poiché vi si narra ch'e-gli navigò dal Verbano al lago d'Orta, ch'è più alto (e lo era certa-mente anche al IV secolo di alcune centinaia di tese; né aver potea, come or non ha, emissario navigabile. Altronde egli avanzi dall'an-tica chiesa a S. Maria son di molto posteriori al secolo IV dell'era nostra.

Chiesi notizie storiche e fummi detto, che quanto sapessi era

stato pubblicato da Capis nelle Memorie della corte di Mottarella. Lessi quel libro rapidamente, e poco vi trovai d'importante. Val Vegezza chiamassi in latino Vigletia, nome che un massimo eti-mologista derivò da video glaciem.

De' vecchi tempi nulla fissa. Sul finire del secolo XV i Fran-

cesi, venuti dalla parte del vallese, vi penetrarono trovando la più coraggiosa resistenza non sol negli uomini ma nelle donne istesse, che divenute crudeli compiacendosi di trucidare a sangue freddo i Francesi che potean cogliere disarmati, e strappar loro il cor dal petto. Alla fine però doverono cedere, e abbandonar la patria, i cui paesi furono devastati, arsi, e distrutti interamente. Tornarono in Val vigezzini a rifabbricare le loro abitazioni. Guai se loro si dà occasione di vendicarsi dè danni di tre secoli fa! Li rammentano ancora.

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553

Intra 9 luglio 179770

Non vi scrissi jer sera, sebbene qui fossi, per la molta stan-chezza. Qui venimmo da Re in un giorno, e per la più lunga via, ch'è quella dell'Ossola. Né potemmo partir di buon'ora, come avremmo voluto, e dovuto per non mancare a doveri di civiltà colla nostra garbata ospite la sig. Polonia Azani, e per attender l'arci-prete, che voleva accompagnarci fino ai confini della valle.

Partimmo alle 5 ½ del mattino. Ripassammo per Malesco e S. Maria. Lasciammo in altro a destra Bertogno, e ci trovammo presso ai prati paludosi, che cominciano a mandar le acque in oc-cidente alla Toce. Utile certamente alla salute e proficua, né, a pa-rere mio, molto difficil cosa sarebbe il dare scolo alle acque, e asciugar que' fondi.

Costeggiandoli giungemmo a S. Silvestro, ove i miei compa-

gni voleano vedere l'arciprete amico loro. Per più breve via sa-remmo andato direttamente a Riva. Il cortese arciprete di S. Silve-stro volea trattenerci seco quel dì, ma noi il ringraziammo e conti-nuammo. A Riva, ove comoda casa hanno i ricchi sigg. Antonioli che questo rupestre e solitario loco preferiscono al delizioso Ca-nero, trovammo l'uomo dell'alpe di Trence col kaolino, che portar dovea sinchè c'imbarcassimo. Noi riponemmo nel suo gerlo anche tutto ciò che faceaci un peso incomodo. Ivi ci abbandonarono gli arcipreti di Re e Silvestro, e noi proseguimmo.

Poco sotto Riva evvi un burrone e molte cascate, che sommi-nistrano acqua a due mulini, di cui non vidi mai nulla di più pitto-resco.

70 ILSLM, Fondo Amoretti, Miei Viaggi, vol. IV, lettera 9 luglio 1797. Arch. Mss. n. 19.

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554 Presso Riva si cammina sulla Breccia, come al ponte di

Maion, il che mi confermò nell'opinione che già ho esposta, che Val Vegezza fosse un lago, chiuso ai due capi, cioè al ponte pre-detto e a Riva.

Continuammo nella dolce e ombrosa discesa avendo a sini-stra il fiume che Melezza pur si chiama. Ci vidimo al di sotto il maglio del ferro, qui costruito per la comodità dell'acqua e del car-bone (non potendosi da qui per la poc'acqua trasportare il le-gname), e che fatto era per lavorare la miniera di ferro di cui par-lammo. Or lavora la ghisa milanese e bergamasca, portata sulla Toce fin dove giunge la navigazione, e quindi su muli, che tornan carichi di ferro battuto. Vi si sperimentò pure il Minerale della Can-doglia di cui parleremo.

Lasciammo in alto Coimo ultimo paese di Val Vegezza, e

giungemmo ai Buseni, nome che fa paura ai viandanti timidi, e via veramente pericolosa nell'inverno. Pel tratto d'un buon miglio si costeggia il monte di roccia argillosa e biancastra, che si va disfa-cendo, e a luogo a luogo anche di scisto in istato di fatiscenza; onde frequenti sono ivi o per le acque, o pe' tremiti cagionati dal tuono, o più ancora per l'azione del ghiaccio, le frane e le cadute di grossi massi; e convien ben dire che le disgrazie siano frequenti, poiché numerose sono le croci ivi poste a quei che vi perirono. Ciò però non avvien mai in tempo estivo e tranquillo.

Passammo a piè d'una delle molte torri telegrafiche, che sono sparse in tutta l'Ossola, cominciando dal lago sopra Suna. Serviano queste torri poste in modo che da ognuna d'esse sen vedano due, a destra cioè e a sinistra, ad avvisare la venuta dell'inimico; e forse vi saranno stati de' segnali equivalenti alle lettere del telegrafo im-maginato dalla rivoluzione francese. Fece fabbricare queste torri Lodovico Sforza detto il Moro signor di Milano, sul finire del se-colo XV, per non essere sorpreso dagli svizzeri alleati allora ai

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555 francesi, ma poco a lui valsero. Gli svizzeri lo tradirono: lo vende-rono ai francesi; ed egli chiuso nel Castello di Loche terminò mi-seramente in Francia i suoi dì.

La torre presso cui passammo ci sorprese, poiché, essendo intera in alto, di sotto non ha che il lato meridionale e australe; e lo stipite d'una porta che trovasi all'angolo opposto, sostiene intera-mente gli altri due lati, ossia l'angolo che gli unisce. Essa è su un nudo scoglio.

Discendendo sempre ci vidimo in faccia Trontano. Rammen-

tammo che quella era stata la patria del famoso Dolcino detto No-varese, perché a Novara l'Ossola soggiacea, uno de' più fanatici settari de' Fraticelli, seguace della milanese Guglielmina, morta in concetto di santa, e dopo vent'anni scomunicata e dissotterata qual maestra di sacrileghe empietà. Dolcino sopravvisse a tutti i suoi compagni, e ne' primi anni del secolo XIV, colla amica sua Mar-garita fra le nate rupi rifugiatosi, fu sin colà perseguitato.

Questa storia avrebbe dato luogo a piacevoli discorsi; ma es-

sendo io col P. Imperatori dianzi Vicario della SS.ma Inquisizione, comunque onesto e colto ei sia, non stimai opportuno di ragionar su di ciò più lungamente. Parlammo piuttosto delle saportie casta-gne di Trontano.

Non tardammo a vederci intorno la cotivazione più diligente,

e ci rallegrò l'aspetto dell'ampia valle dell'Ossola. Nell'avvicinarci a Masera, trovammo molto ripida la strada, ma ci arrestammo a tempo a tempo per osservare i bei colpi di vista, che sì la valle pri-maria, che le secondarie ci offriano. Avevamo a destra Monte Cre-stolo ben avvitato colle, gran parte della valle della Tosa, e'l prin-cipio di Valle Antigorio ricca pel traffico de' casci, e per le miniere non meno che pe' fossili preziosi e rari ricercati da Naturalisti. Ter-mina la valle Antigorio in altra vallata detta Toggia, da cui la Toce

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556 o Tosa ha principio e nome. Ivi è il ghiacciaio di Val di Formazza, e la bella cascata. Noi però ciò non vedemmo.

In faccia avevamo Creola nota nella storia per la sconfitta de' francesi venuti dal Sempione (Mons Scipionio) nel 1487, per la Val di Vedro, ov'è la più breve via per andare al Rodano, al lago Le-mano, e di là in Francia. E' questa la via per cui vuolsi che la re-pubblica Cisalpina comunichi colla francese. Per questa via passar solea Cesare quando dalla Gallia Cisalpina trasportavasi nella Transaplina, e vuolsi che siavi ancor colà una vetusta iscrizione che lo indichi. Vuolsi pur di colà passato Annibale quando scese in Italia. E' altresì presso che certo che nella pianura dell'Ossola fu-rono da Mario e Catulo sconfitti i Cimbri, onde non ad athesim dee leggersi, come si legge comunemente, ma ad athosim; sì perché sappiamo dagli storici che i Teutoni loro compagni rifugiaronsi in Val Sesia, apud siecianos; sì perché non lungi da quel luogo era Vercelli, che lontanissimo è dall'Adige; sì perchè abbiamo non lungi dal Lago Maggiore il paese di Cimbro.

Più sotto vedemmo gli avanzi di Bogno sepolto da sassi por-

tati dal torrente di Val Bognasca, che minaccia la stessa ruina a Domo, se con forti ripari non si sostiene e costringe a piegare al Nord. Di Domo ch'è la capitale di tutta la Valle d'Ossola, detta an-ticamente Oscela, vedemmo appena i tetti ei campanili, e'l sovra-stante castello, ch'era una volta denominato la Corte di Mattarella Avevamo progetto d'andarvi, ma'l breve tempo, e'l gonfio fiume non cel permisero.

Giungemmo a Masera e pranzammo con trotelle e uova. All'uscirne parvemi quasi d'essere nella Polcevera presso Genova, se non che vi mancavano gli agrumi, gli ulivi, e i fichi. Nel resto molto le si assomigliava pe' bei vigneti, pe' verdeggianti gelsi, e sopra tutto per le vaghe e numerose case di campagna che veggonsi in giro a varie altezze, poste nel più bel prospetto, e generalmente dipinte. I ricchi abitanti di Val Vegezza per aver buon vino quasi

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557 tutti qui hanno casa e vigne, e vengo a passarvi l'autunno con lusso e magnificenza.

Il lusso però mai non fa cangiar l'abito alle loro donne. Esse

hanno costantemente in corpo un fazzoletto annodato dietro, e so-vr'esso all'uopo un cappello. I capegli loro sono intrecciati con na-stri rossi che terminano alle tempie con un bel nodo cascante sulle orecchie. Una sottoveste con maniche non oltrepassa la caviglia delle gambe, ma copre il seno sin presso la gola; ed hanno poi la sopraveste senza maniche a molte pieghe ove finisce il taglio della vita, e finisce molto in alto, quasi sotto le ascelle. Da quelle mon-tanare hanno appreso la strana foggia di vestirsi le nostre eleganti; foggia ormai divenuta comune. Il vestito tutto è di panno azzurro.

I fazzoletti finissimi, i pizzi di fiandra intorno al collo, il gal-lon d'oro sull'abito, una larga fascia d'oro per cintura, i panni di Spagna o d'Inghilterra distinguono le ricche dalle povere. In gene-rale le donne di Val Vegezza sono belle assai; ed ha il volto loro quella forma regolare, quel bel colorito, e quella vivacità negli oc-chi, che sen di rado incontransi nelle città.

Dopo d'aver collo sguardo esaminati i contorni di Masera

proseguimmo. Passammo su ponte di legno la Malezza, e in mezzo a prati e vigne costeggimmo la Toce. Non tardammo a trovarci sotto il monte da cui si prende la Beola, o Bevora, ch'è un granito in tavole, o piuttosto un sasso medio fra'l granito e lo scisto, poiché ha i componenti del granito, e la figura scistosa. Essendo altresì fibroso è attissimo ad ogni maniera di lavori. Prende il nome di Beola dal vicin villaggio di questo nome. Il monte è a strati poco meno che perpendicolari con fenditure orizzontali. Queste fendi-ture determinano la larghezza e lunghezza delle tavole, alle quali si da' la grossezza che piace. Si possono aver lunghe e larghe di ben venti piedi. Quelle che riescono lunghe e strette servono di pali ai pergolati. Continua per alcune miglia questo monte costeggiato dalla Toce, e per tutto lavorasi.

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558 La Toce è navigabile, quando le acque son alte, sino oltre

Domo; ma anche nelle acque basse è sempre navigabile sino a Beola. Alcune barche ivi difatti trovammo, ove avremmo potuto imbarcarci, ma i miei compagni temerono d'andar su barca carica di sassi; ed io, comunque esente da ogni paura, e altronde stanco e sfinito, pur non volli abbandonarli; onde continuammo il viaggio a piedi. Passammo presso Carlescio e venimmo a Prata, ove la cor-tese sorella del curato, nativa di Biganziolo presso Selasca, in as-senza del fratello, ci diè del buon vino e freschissim'acqua .

Ebbimo in faccia oltre il fiume Villa, Pallanzeno, e altri

paesi, e vedemmo ove s'interna Vall'Antrona, e più sotto, a Piè di Mulera, Vall'Anzasca, da cui vidimo uscire l'Anza, e portare nella Toce le acque sue bianchissime. Ivi son le miniere di pirite aurifera de' Borromei, e altre importanti cose che meritano d'essere vedute. Termina la vall'Anzasca in un de' ghiacciai di Monterosa.

Passammo presso la Mason, spedal altre volte de' Templarj, e tanto camminammo, che giungemmo presso Vogogna al con-vento dei P.P. Serviti, ove ci fu dato da que' buoni religiosi che s'attendeano vicina la sopressione, l'ospitale bicchier di vino. Molti lavori di lavezzella vidi nella loro chiesa, e in altre di que' contorni. Traversammo il borgo di Vogogna, cercando intanto se v'era modo di fare il resto del viaggio in barca; e trovammo un battello, e com-pagnia che ci alleggerì la spesa. C'imbarcammo. Io rimandai a Crana l'uomo che aveami sin lì portato il kaolino. E' pur delizioso il navigar sulla Toce, che alta scorre su piana valle, e lascia vedere non solo i monti, ma i paesi tutti e le campagne. Sotto Remusello a sinistra vidimo la miniera di rame di cui si è negli scorsi anni intrapreso, e presto abbandonato lo scavo. Indi presso la Candoglia il monte marmoreo, appartenente al Duomo di Milano, che tutto di esso è fabbricato; ed osservammo i filoni di miniere di ferro, fram-mezzati agli strati di marmo. Vedemmo a destra Ornavasso: sopra il paese il rinomato santuario della Madonna, e più in alto la casa

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559 di quel pazzo Modroni, che volle tutto regolare, e tutto spirante tristezza e morte. Giunti al granitoso Montorfano vi girammo in-tono: lasciammo a destra la nuova e l'antica foce della Strona, indi il canale del lago di Mergozzo a sinistra; ed entrati nl lago ve-nimmo a metter pie' a terra a Suna, daddove, per non lungo passeg-gio, alle nove della sera giungemmo ad Intra. E fu così compiuto il nostro viaggio.

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560 Viaggi ai laghi di Como e Maggiore dai 29 giugno ai 3 luglio

e dai 15 ai 19 agosto e quindi in Val Anzasca e al Monterosa dai 21 ai 25 agosto a Caprescio ai 13 settembre a Pallanza ai 14 detto a Meda sul Milanese ai 16 ottobre 179871

A Gallarate 3 luglio 179872

Oggi facemmo gran cose. Partimmo digiuni a risparmio di

tempo, e ci femmo portare in barca sin oltre Baveno, sotto il vil-laggio di Trefiumi, nome nato probabilmente Ultra fiumen, tale es-sendo quel villaggio riguardo a Baveno, ch'è un de' più antichi paesi del contorno, quantunque il più mal situato. Dalla riva an-dammo al paese guardando i varj graniti che avevamo sotto e all'in-torno.

Nel paese chiedemmo se v'era chi avesse de' cristalli. Bastò questa domanda, per avere dieci persone che ce n'offrirono. Tutti gli abitatori sono scarpellini, quando trovano cristalli, sopratutto di feldspato carnicini e quadrangolari, serbansi per venderli ai fora-stieri, che difficilmente ne trovano altrove. Noi ci riserbammo a prenderne alcuni al ritorno, poiché nostra premura era d'andare al più presto al monte vicino donde si trae il granito rosso.

Un degli operai ci si fe' guida. Essendo presso al piede, os-servammo nella valle, che il granito posa sullo scisto argilloso, e sotto lo scisto v'è una dura argilla, questa incontrammo anche sulla nostra strada; ed osservammo ch'era dura e resistente al sommo.

Giunti al luogo del lavoro vidimo enormi massi ch'erano

parte d'un masso maggiore fatto cader dall'alto a forza di mine. Il 71 ILSLM, Fondo Amoretti, vol. IV, Arch. Mss. n. 19. 72 ILSLM, Fondo Amoretti, Miei Viaggi, vol. IV, lettera 3 luglio 1798. Arch. Mss. n 19.

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561 prof. Venturi che più degli altri era voglioso di portar seco un bel gruppo di cristalli quarzosi, montani, e feldspatici sì bianchi che rossigni, trovollo unito ancora al masso, fello scarpellar via intero col necessario corredo di granito, e sì crede fortunato d'avere quel peso a portar fino alla sua Modena. Noi ci occupammo di più a vedere il lavoro, o sopratutto il modo con cui un grandissimo masso in due o tre pria si divide per suddividerlo poi. Non adoperansi già i piccoli cunei moltiplicati, come nel taglio di minuti pezzi; ma grossi cunei e pochi; di modo che in un pezzo alto sei braccia vi si faceano gl'intagli per tre cunei, d'un piede e mezzo l'uno in altezza, e profondi circa un piede, larghi a un di presso 3 pollici alla super-ficie. Due lastre di ferro, larghe quanto tutta l'intera parete del ta-glio, vi si metton dentro, e tra esse si ficca a forza un cuneo di duro legno. Lo stesso si fa contemporaneamente in tutti gl'incavi prepa-rati a tal oggetto; e dando i colpi alternativamente a un dopo l'altro, s'ottiene che il masso dividesi per la linea a a a (vedi la figura 7).

Memori della questione fra'l P. Pini, e'l sig. Barolozzi su gli

strati del granito, credemmo vedere una stratificazione ove mostra-vansi alcuni filoni di sostanza più nera, in b b; e ci facea sorpresa che a quel filone non tenesse dietro lo scarpellino; ma ci fu detto che in nessun luogo il sasso si stacca tanto difficilmente quanto nel filone indicato, il quale è d'una materia molto più dura di tutto il resto, come potevamo vederlo anche nelle lastre di granito di colà mandate pel selciato della città. Què filoni resistono come cordoni d'acciaio, mentre le lastre consumansi. Osservammo al tempo stesso quelle venuzze che servon di guida allo scarpellino pel taglio che vuol fare, e che essendo moltiplicate in più sensi, prestansi a tutti i di lui bisogni.

Tornando dalla cava del granito al paese di Trefiumi osser-

vammo non senza qualche sorpresa le foglie de' castagni cadere quasi fosse autunno; e'l nostro condottiere con tutto il serio della credulità superstiziosa ci disse ciò provenire dai maleficj di quei

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562 d'Intra, che imbiancano le tele con ossa di morti. Io sapea che al-cuni malvagi per sollevare il popolo contro il sovrano aveano ride-stata l'antica opinione, che l'imbiancamento delle tele producesse quell'annebbiamento che tanto nuoce alla vegetazione; e poiché con ragioni fisiche era dimostrato che il semplice imbiancamento non potea nuocere, si persuase a creduli villani, che il mal nascesse da sortilegio. I villani ricorsero al Sovrano, e questi timido perché debole (e debole perché timido) acconsentì che si vietasse a quei d'Intra l'imbiancamento delle tele, sebbene questa semplice mani-fattura più di 200.000 t annue apportasse al paese.

Io che tutto ciò sapea, gli dissi, che non avea luogo nella

sbianca né osso di morto né sortilegio alcuno; ma lo scarpellino pretendea sapere i segreti della sbianca più di me. Gli dissi che In-tra era di là distante più di cinque miglia, e dovea l'aria attraversare tutto il seno del lago, appunto, ei ripigliò, essendo cosa magica opera più da lungi che da vicino. Gli dissi per ultimo che essendo stata sospesa l'imbiancatura, non potea questa accagionarsi della malattia de' castagni. Il re l'ha proibita, ei rispose, ma noi sappiamo che quei d'Intra hanno fatto il solito impasto sortilegio, perché s'a-vesse a credere che'l danno alla terra non viene punto dall'imbian-camento. Con gente che così finge e crede le cose, è vano il ragio-nare; ma certamente ha abusato della propria bontà, come de' pro-prj diritti il Re, vietando a quei d'Intra e'l commercio delle tele di Germania che gregge di colà qui mandavansi in numero di 200,000 pezze, e qui fatte bianche spediansi a Genova e per il resto dell'Ita-lia. I mercanti, oltre 1 lira per pezza, vi guadagnavano alcune brac-cia per ogni pezza riducendole tutte a 10 braccia, e'l guadagno della spedizione, cioè la doppia provvigione; oltrecchè talora compra-vano le tele gregge per proprio conto. Aggiungasi che l'anno scorso, su indizj ch'io ne avea dato a qualcheduno, aveano comin-ciato ad adoperare il metodo di Reuss, che abbrevia il lavoro, e può raddoppiare l'annuale guadagno.

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563 A Trefiumi Venturi ed io comprammo alcuni cristalli, e tor-

nammo al lago. Io acquistai un gruppo di crisallini appena attaccati al sasso pel punto di mezzo avendo libere e intere le due piramidi esagone. V'eruno fra questi de' cristalli di bianco quarzo pur esa-goni, e di feldspato rossiccio tetragoni. Trovai pure attaccata a cri-stalli di feldspato certa cristallizzazione a rognoni d'una materia candidissima, simile a quella di cui avea trovate delle vene in Val Vegezza, e ch'io credo provinire da disfacimento di feldspato. Sa-rebbe mai questo il kaolino tanto ricercato?

Ci rimbarcammo. Mostrai da lungi agli amici la Candoglia

donde traesi il marmo pel duomo di Milano; e cen tornammo alle 10 all'Isola Bella.

Restavaci ancora a vedere il palazzo, e intanto che appresta-vasi la colizione e la barca la vedemmo. Per le circostanze delle cose fosse portate altrove le suppellettili di maggior valore, per quanto è stato possibile; ma vi regna tuttavia l'aria di grandezza né marmi, negli stucchi dorati, e ne molti quadri che ancor vi sono di valenti pennelli come di Rubens, di Luca Giordano, di Procaccino e non trasportabili per la grandezza. Il nuovo salone disegno di Za-noia, colle attigue sale fu pur da miei compagni trovato magnifico; e loro spiacea, come spiace ad ognuno, che manchi tuttavia il sa-lone rotondo di cui non v'ha che i muri maestri. Sarebbe stato com-piuto pur esso se colla libertà francese non si fossero distrutte tutte le idee di magnificenza, e commandato di deperimento di tutte le belle arti, togliendo il mezzo, e la volontà di occuparle.

Quello che più piacque fu il sotterraneo detto il musaico, ap-partamento grandioso, ove le pareti, le volte, ei pavimenti sono di sassolini o rottami di pietra a varj colori, arabescamente disposti con bell'ordine e disegno; essendovi frequentemente nelle sale più grandi di belle tavole di marmo in vece di specchi; e bellissime statue pur marmoree ad imitazione d'alcune più celebri fra le anti-

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564 che. Tutto ivi spira freschezza, e'l vicin lago invita a pregare. Co-munque basso però sia l'appartamento è alto abbastanza perché il lago mai non v'entri nelle sue escrescenze.

Partimmo alfin, non già con due barcajuoli siccome avevamo

disegnato di fare; ma due altri dovevamo prenderne, perché il vento boreale, dettoquì il Maggiore, piegava in questo seno non tal im-peto che difficilmente potevasi andare fino alla punta di Belgirate, ove l'avremmo avuto in poppa. Lo superammo non senza grave difficoltà e fatica de' remiganti, e non senza paura d'alcun di noi, poiché non solo molto agitata era la barca, ma frequenti erano le onde che ci spruzzavano.

Passammo inanzi a Stresa, e vidimo l'ospital casa dei Bollen-gari. Riuscimmo a stento a portarci all'altura di Belgirate, e allor mettemmo vela non senza nuova paura di alcuni di noi; ma ne fummo tosto ben contenti pel moto tranquillo e equabile, benché veloce, che piace la barca. Qualche affare volle ch'io sbarcassi a Lesa a proporre ad un tutore un'eccellente marito per una sua pu-pilla; ma il marito eccellente per la pupilla a tutti i riguardi, non volea nulla per lui che avrà avute le sue buone ragioni. In tal occa-sione sbarcammo due de' barcajuoli, diveuti inattivi, e femmo provvigione, onde non giungere collo stomaco troppo vuoto a cena.

Continuammo il viaggio vedendo i sassi rotolati sulla costa, e mettemmo piede a terra alle fornaci di calcina presso ad Arona. Di là salimmo alla rupe donde tagliasi il sasso non men pè forni che per le fabbriche, e continuando a salire fra le incominciate cap-pelle dal Convento de' Cappuccini al seminario giungemmo al co-losso di S. Carlo. Ebbi il disegno del santuario qual'esser dovrebbe e qui l'unisco.

Il colosso che ha 60 piedi d'altezza oltre 40 che n'ha il piedi-stallo, sorprende chiunque lo vede, ancorché per la prima volta nol vede. E' si ben proporzionato che da lungi non sembra che una sta-tua gigantesca; ma da vicino al guardarne le parti ben vi si scorge

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565 il colosso. I giovanotti miei compagni m'invidiarono quando m'u-diron dire che io v'avea seduto comodamente nel naso, passando per una piega del rocchetto, affine d'introdurmi nell'interno. Osser-vammo come il tempo, l'aria, l'acqua scompongono il bronzo, poi-ché il piedistallo è in gran parte coperto d'una tinta di vitriuolo di rame, che vi si va lentamente sfendendo. Avremmo voluto vedere tutto quel santuario terminato come sta nel disegno; ma quello che non s'è fatto non farassi più certamente.

Tornammo a rimbarcarci, non volendo entrare in Arona per

risparmiarci d'essere presentati al Governo. Quantunque il Gover-natore Co. De' Rossini onori di sua amicizia, pur a motivo de' miei compagni, de' quali uno era e l'altro era stato rappresentante del gran Consiglio Cisalpino, volli evitare il cerimoniale de' passa-porti, il perditempo e la noia.

Cammin facendo vidimo l'analogia e la corrispondenza della

rupe d'Arona con quella d'Angera dal che rilevasi ch'erano unite. Quindi almeno 400 braccia alte piucché non sono erano allora le acque; e tutte le altre conseguenze che se ne inferiscono dai Geo-logi.

Da Arona andammo a Sesto lasciando a sinistra Lisanza, a

destra Cicognola, e ivi trovammo pronto il nostro vetturino, venuto da aspettarci qui da Laveno.

Venturi volle fare il viaggio per acqua, e perciò ivi passò la notte per partire alla mattina colle barche destinate a Milano. Noi rimontati in vettura ci avviammo verso Somma, vedendo nello ascendere il Ticino uscir dal lago, e avviarsi al Po e al mare. Giunti alla cima percorremmo un'alta e ben coltivata pianura. Discen-demmo alquanto presso al torrente Strona, e smontammo affin d'al-leggerir la vettura nella difficil risalita. Non tardammo ad essere a Somma grosso borgo, ove non ci arrestammo perché la notte non ci prendesse in cammino nella Brughiera.

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566 Da Somma venimmo a Gallarate vedendo molto paese in-

colto, e molto assai ben coltivato, specialmente in vicinanza del paese. Una buon'osteria abbiamo qui trovata all'insegna delle due spade. Sto finendo di scrivervi, non restando domani che ad andare alla Castellanza, poi S. Vittore, Legnarello, e Ro e di là a Milano. Addio.

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567

Intra, 19 agosto 179873

Ho terminato un viaggio, e sto per ricominciarne un altro o

piuttosto continuarlo, cambiando compagnia. Ci levammo, e poi-ché mancavaci o piuttosto tardava soverchiamente a venire da Stresa il Cappellano, io supplii per lui. Prendemmo la cioccolata e partimmo. Il lago era cheto se non che spirava un resto di Maggiore (Nord). Il C. Grimaldi per accorgersi meno di star sull'acqua die-desi a leggere, e con tanta attenzione che appena s'accorse che s'at-traversava il lago andando alla punta di Ranco per la via più breve. A Ranco andammo alle fornaci che stanno ad Arona daddove si sale al Colosso di S. Carlo. Presi da loro congedo, e sul battellino dell'Isola che seguito aveami, condotto dalla stessa fava che lo ha fabbricato, men tornai a pranzo ad Intra con Vincenzino. I Grimaldi veduto il colosso dovean rimbarcarsi, andando a Sesto, ove co' loro cavalli portonsi alla Castellanza, e di là co' cavalli di posta, la stessa sera a Milano. Vi saranno, io spero.

73 ILSLM, Fondo Amoretti, Miei Viaggi, vol. IV, lettera 19 agosto 1798. Arch. Mss. n 19.

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568

Cimamulera, 20 agosto 179874

S'è cambiata scena, compagnia, e oggetto. Sin dall'anno scorso erasi fatto il progetto col C. Cusani d'andare in Valle Anza-sca a veder le miniere del C. Borromeo suo genero, e quindi al ghiacciaio del Monterosa. Ma una minacciata aggressione di que' paesi ci costrinse a fuggirne al primo d'agosto, e dissipò tutti i no-stri disegni.

A principio Cusani non doveva avere altri compagni che il

Cavv. e architetto Zanoia e me; ma vi s'aggiunsero gli onesti amici e rispettabili negozianti G. B. Simonetta e Francesco Imperatori, e per ultimo il C. Ab Taccioli.

Partimmo di buon'ora come si potè. C'imbarcammo con buona provvigione di salati, di polli vivi, di cioccolatte, caffè, ro-soli, vini forastieri, avendo con noi un domestico atto a far di cuoco, e Vincenzino, ch'io condussi principalmente per l'oggetto della Rabdomanzia.

Giunti in bocca di Tosa andammo fino al canale emissario

del Lago di Margozzo, poco men che chiuso dalle deposizioni del fiume per qualche centinaio di passi, dopo i quali eravi altra barca venuta da Margozzo per noi. Su questa femmo trasportare il nostro piccolo bagaglio personale ristretto al puro necessario, e le nostre provisioni. Noi proseguimmo a piedi fino al lago di Margozzo, per non annoiarci nei zig zag del canale.

A Margozzo trovammo sette cavalli e un mulo per portare la provisione: un'uomo si caricò de' vini, e de' polli. Partimmo così per Vogogna passando sotto pergolati presso vigne e prati ove i pali erano di granito, e le siepi o divisioni di granito in tavole pur

74 ILSLM, Fondo Amoretti, Miei Viaggi, vol. IV, lettera 20 agosto 1798. Arch. Mss. n 19.

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569 essi, o di grossolana ardesia. L'uva cominciava qui ad arrossare, onde poteasi con qualche acino spegner la sete. Passammo per la Candoglia sul marmo calcare del Dumo di Milano, i cui strati sono poco meno che perpendicolari al piano, e agli strati dello scisto en-tro cui sta il marmo. Uniti e paralleli agli strati di marmo vi sono i filoni di ferro, che a qualche saggio fattone, si sono trovati assai buoni. In mezzo al marmo vi sono pure molte vene di pirite, che lo deturpano, e lo guastano.

Passammo quindi pe' piccoli casolari di Betola e Alpe, e pel

villaggio di Premosello, sopra cui stanno le dirupate vette dette le corna d'Anubi, o piuttosto da Nibbi. In questo monte veggonsi de' filoni di pirite di rame. La miniera è stata sperimentata e abbando-nata. Da Premosello venimmo a Vogogna or allontanandoci dal fiume, or avvicinandoci ad esso. Sta sopra Vogogna un vecchio castello, che altre volte esser potea forte, ma che ora, quantunque fosse ricostruito, non potrebbe servire che a nuocere al sottoposto borgo. De' paesi oltre il fiume, al ritorno.

Intanto che apparecchiavasi il pranzo girai per il paese che

già altre volte avea veduto, e riuscimmi di meglio leggere la sen-tenziosa inserzione che sta nella casa comunale. Eccola essa è in lettere gotiche. Tradotta in italiano vuol dire

Tre cose principalmente rovinano la città il comodo proprio

l'odio ai cavalieri il consiglio de' giovani. Vogogna io per farmi grande metto la discordia.

Da un fabbro, a cui ricorsi per riattare un mio martello, intesi

ch'egli facea lì vicino scavare una miniera da cui sperava ritrarre rame o oro. Mi chiese d'indicargli l'andamento del filone, e mi ci condusse. Vincenzino la percorse superiormente. Io v'entrai dentro a dispetto dell'acqua, e dell'angusto scavo, e trovai esservi molta argilla nera o piuttosto piombaggine. La mancanza d'una candela

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570 m'impedì di penetrare fino al filone. Tal miniera è nel torrente set-tentrionale. Rientrando nel paese lessi un'iscrizione che parea in carattere etrusco, tanto era mal fatta, dicea passa sopra questa pie-tra.

Il luogo è ben 20 piedi più alto del letto attuale del torrente. Sin a Vogogna non del tutto infrequenti trovai gli uomini

scemi, ossia i Cretius della Savoia e questi generalmente erano for-niti di gozzo or più or meno grande. Mi vien detto che ciò dipende dal ber l'acqua di neve fusa; ma nol credo. Qui dicesi Orchi, e vuolsi da Jrcus75.

75 A questo punto la narrazione si blocca, per riprendere con le lettere scritte in francese all'amico Thouvenel relative al medesimo viaggio dell'agosto 1798 in Vall'Anzasca che qui non riportiamo.

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571

Intra, 13 settembre 179876

Dopo d'aver percorsi per quasi due anni questi contorni, e cercativi invano gl'indizj del volcano estinto, che venuto ero a cer-carvi, alcuni anni prima, l'ora sventurato prigionier de' francesi in Milano Mylord Vescovo di Londondery, io non credea di dover fare a quest'oggetto altre escursioni. Ma appena fui qui di ritorno al principio della settimana, mi si dice che il mentovato vescovo non solo era stato al Monte Simmolo, ma anche al monte Torrione sopra Caprezio, e che ivi avea trovato il volcano che cercava. Mi si soggiungea esservi in quel monte un luogo, ch'è proprio un monte bruciato; ivi non arrestarsi mai nell'inverno la neve, che nel contorno sta per alcuni mesi a molti piedi; ivi vedersi del fumo, e talor delle fiamme; ivi il monte gettar giù de' sassi: e tutto ciò mi si dica come detto dal curato.

Voi vedete che in vista di tutto questo ragguaglio bisognava

andare, e v'andai col sig. Francesco Imperatori, che essendo amico di quel curato molte delle riferite cose avea da lui intese. Io null'al-tro a questo proposito aveva udito dire, se non che v'era un luogo in cui la neve non s'arrestava nell'inverno; il che attribuivasi alla sottoposta miniera di rame.

Partimmo questa mattina alle cinque. Passammo per Turbaso

(che gli Antiquarj chiamano Oribasium), andammo alla Madonna di Cambiasca, presso al luogo ove il fiume di S. Giovanni s'è ta-gliato un angusto alveo nel sasso, al finir del quale vedevamo il ponte di Pozzaccio, vidimo il filone di trappo, che già altre volte aveva osservato tagliare ad angolo acuto lo scisto; e non tardammo

76 ILSLM, Fondo Amoretti, Miei Viaggi, vol. IV, lettera 13 settembre 1798. Arch. Mss. n 19.

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572 ad essere nel confluire del viale di Ramello, ove la caduta dell'ac-qua per uno scoglio largo scosceso e dirupato, i canali ivi tagliati, i mulini, a cui essi servono, le casucce, e la vigorosa vegetazione di viti, e d'ergaggi ortensi, formano un bellissimo paesetto.

Qui cominciammo a salire fra noci e castagni ove cattiva era l'esposizione; e fra viti, e ben coltivati campi ov'il monte guarda Levante o mezzodì. Nell'avvicinarci a Caprezio per una lunghis-sima scalinata vidi un filone di trappo, forse quello stesso che ve-duto aveva nel fiume; e indi a poco in un luogo alquanto dirupato molti pezzi sparsi di pirite di ferro e di rame.

Giungemmo a Caprezio. Il degno ed ospital curato ci accolse,

e ci si offrì a compagno, quando intese l'oggetto del viaggio ma poiché nemmen'egli era molto pratico, prendemmo con noi un'uomo esercitato alla caccia di que' contorni, e andammo.

Caprezio sta sul fianco S. E. del monte posto fra i due rami

del fiume S. Giovanni, e'l luogo ricercato era al N.O. Percorremmo dunque il monte quasi in piano, osservandone la buona coltiva-zione a miglio e panico, e a vigna. Quando cominciammo a piegare al N. e salire, nell'osservare i sassi nuovi vidi lo scisto con rilega-ture di quarzo; e a luogo a luogo qualche filoncino di Trappo, o sasso corneo. Trovai un ciottolo simile a que' de' colli Euganei, e nominatamente del monte che sta all'O. Di Schio, un parallelepi-pedo di circa 4 poll. lungo, 1 largo, e 1 ½ alto, esternamente ango-lare, e internamente ovale a molte tuniche con entro un nocciolo. Questa a prima vista diemmi qualche sospetto d'azione di fuoco; ma trovallo poi dell'impasto arenoso di que' cipolloni di cui parlo nel mio Viaggio ai Tre Laghi.

L'uomo che dovea servirci di guida, avendo tardato a partire

avea presa altra via, cosicché egli era presso al letto del fiume, e noi salimmo alla vetta. Egli immaginava che volessimo andare a vedere l'abbandonata miniera di rame, che scavavasi diffatti presso

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573 al fiume, e dicesi essere stata abbandonata perché il filone porta-vasi sotto il fiume medesimo. Noi dall'alto vedevamo ancora i resti dell'edifizio. Avendol noi chiamato egli salì, e avendo insieme var-cato un burrone, ci trovammo in quello, che credeasi avanzo di cra-tere volcanico. Il lato Nord di questo burrone, che guarsa il S. va giustamente a terminare abbasso nel luogo dello scavo. Par bru-ciato pel colore ocraceo dello scisto semidisfatto, e del quarzo mi-sto a pirite e a talco, di cui v'hanno de' grandi strati fra lo scisto. Qui né lava, né basalti. V'è un largo filone di sasso corneo o Trappo, e a me difatti servì da scala per salire a veder da vicino il disfacimento del sasso; i filoni di pirite che'l tagliavano e che al color verdognolo indicavano il rame, i filoncini pur di pirite aurea nel quarzo, che scomponendosi all'aria serviano al disfacimento del masso, e gli strati quasi orizzontali dello scisto.

È questo quel fianco del monte ove non si ferma la neve77;

e'l cacciatore mel confermò; poiché qui venir suole nell'inverno ad aspettar le pernici qui invitate dal verde delle ginestre, e altre poche erbe. Gli chiesi se avea mai vedute sorger fiamme di notte, o fumo di giorno, e dissemi di no; il che però dicea egli poter procedere dal non avervi fatta attenzione. Il cadere de' sassi dipendeva, non da alcuna azione interna del monte, ma dall'esterno disfacimento e dalle acque. Lo scioglimento punto della neve doveasi in parte all'esposizione meridionale, all'esser scosso e talora apino quel fianco di monte, e all'esser quasi nudo di vegetazione. In parte an-che deasi senza dubbio alla pirite che lo occupa.

Di là salimmo sin presso la vetta in quell'incavo che trovasi

superiormente di Caprezio, e'l Monte Torione. Chiamasi Nava quel luogo come què tutti che sono in simil situazione. Ivi vidimo prati, 77 Nell'inverno 1777, essendovi gran freddo e gran brina in Milano, osservai che la brina s'accumulava sul ferro, e non s'attaccava al rame. Ognun veda quanta analogia ha questo fenomeno con quello del filon di rame su cui non s'arresta la neve.

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574 ei medesimi sassi quarzosi, che pareano a così dire calcinati dall'a-zione del sole e dell'acqua. Salimmo ancora sul monte di Caprezio, e di là cominciammo a discendere. Anche in quell'altissimo luogo coltivasi miglio, e […] V'ha castagni, noci, e qualche ciriegio.

Nel discendere giungemmo a Sassello, luogo ov'ognun ha un pozzo ove far macerare il proprio canape, in acqua che continua-mente si cambia. Ivi mi trovai sul porfido azzurrognolo a base di trappo; e su di esso discendemmo per qualche centinaio di passi. I cristalli feldspatici erano ben distinti. V'erano granati bianchi; ma non ben gli esaminai.

Non tardammo a trovarsi presso al Piodé; cioè luogo ove lo

scisto dividesi facilmente in tavole, atte a coprir tetti. I pezzi più grossi sono eccellenti per fabbricare.

Giungemmo in casa del sig. Curato provveduti di buon ap-petito, e vi trovammo eccellente lingua salata e salame, e un buon vino bianco del paese, leggero sì ma spiritoso. I salati ivi son ec-cellenti perché sono il fiore di quanto si fa in Milano in questo ge-nere; essendo quasi di questo paese quei che v'esercitano quest'arte. E' ben chiaro che donandone o vendendone al Curato saranno del migliore.

Partimmo, ci bagnammo alquanto, e giungemmo a casa a ora del pranzo. Fummi detto esservi un filone calcare presso Avrano, e della bella argilla bianca nel comune di Caprezio.

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575 Fonti manoscritte

ILSLM = Istituto Lombardo Scienze e Lettere, Milano [Fondo Ma-noscritto Carlo Amoretti] ILSLM, Fondo Amoretti, Arch. Mss. n. 19, vol. IV, b. Miei Viaggi, cc. Viaggio da Intra per Canobbio alla Val Vegezza e ritorno per la Tosa dai 4 agli 8 luglio 1797. Ad Angera agli 11 detto e all'Alpe del Mergozzolo sopra Stresa ai 19 detto sopra anno e mese, lettere: 4, 5, 6, 7, 9 luglio 1797 ILSLM, Fondo Amoretti, Arch. Mss. n. 19, vol. IV, b. Miei Viaggi, cc. Viaggi ai laghi di Como e Maggiore dai 29 giugno ai 3 luglio e dai 15 ai 19 agosto e quindi in Val Anzasca e al Monterosa dai 21 ai 25 agosto a Caprescio ai 13 settembre a Pallanza ai 14 detto a Meda sul Milanese ai 16 ottobre 1798, lettere: 3 luglio; 19, 20 agosto; 13 settembre 1798

Fonti a stampa AMORETTI C., Viaggio da Milano ai tre laghi, di Lugano, Mag-giore e di Como e né monti che li circondano, Milano, Galeazzi Giuseppe, 1794, 1801, 1806, 1814, 1817, 1824 AMORETTI C., Lettera di Carlo Amoretti al P. Prof. Francesco Soave sul trappo trovato presso Intra in riva al Verbano, in « Opu-scoli Scelti sulle Scienze e sulle Arti », 19 (1797), pp. 410-427 AMORETTI C., Sul Trappo del Monte Simmolo presso Intra in riva al Lago Maggiore e sui Vetri che se ne sono formati, in « Opuscoli Scelti sulle Scienze e sulle Arti », 20 (1798), p. 347

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576 AMORETTI C., Primo viaggio intorno al globo terracqueo: ossia ragguaglio della navigazione alle Indie orientali per la via d'occi-dente fatta dal cavaliere Antonio Pigafetta, Milano, Giuseppe Ga-leazzi, 1800 AMORETTI C., Della raddomanzia ossia elettrometria animale ri-cerche fisiche e storiche, Milano, Marelli, 1808 AMORETTI C., Della torba e della lignite. Combustibili che pos-sono sostituirsi alle legne nel Regno d'Italia, Milano, Pirotta, 1810 AMORETTI C., Della ricerca del carbon fossile. Sui vantaggi e suo uso nel Regno d'Italia, Milano, Bernardoni, 1811 AMORETTI C., Viaggio dal mar Atlantico al Pacifico per la via del Nordovest fatto dal capitano Lorenzo Ferrer Maldonado l'anno MDLXXXVIII, Bologna, Fratelli Masi e Comp., 1812 AMORETTI C., Elementi di elettrometria animale, Milano, Sonzo-gno & Comp., 1816 AMORETTI C., Viaggio da Milano a Nizza, Milano, Silvestri, 1819 AMORETTI C., SULZER J.G., Viaggio da Berlino a Nizza e da Mi-lano a Nizza, Milano, Firenze, Savallo, 1865 GRILLO D.L., Elogi di liguri illustri, III, Torino, Stabilimento To-pografico Fontana, 1846, pp. 148-258 LABUS C., Vita di Carlo Amoretti scritta dal dottor Giovanni Labus in C. AMORETTI, Viaggio da Milano ai tre laghi Maggiore, di Lu-gano, e di Como e ne' monti che li circondano, Milano, Giovanni Silvestri, 1824, pp. IX-XL

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Bibliografia ARENA L.P., Finding and Using peat and coal in Northern Italy between the Eighteenth and the Nineteenth century: fieldwork in-structions in the writtings of Carlo Amoretti, in History of Re-search in mineral resources, Istituto Geológico y Minero de España, 2011, pp. 253-262 ARENA L.P., The GHR Project: New tools and strategy for an hi-storical geotourism, « Acta Geoturistica », vol. 7, 2 (2016), pp. 7-13 BERTUCCI P., Viaggio nel paese delle meraviglie: scienza e curio-sità nell'Italia del Settecento, Torino, Bollati Boringhieri, 2007 CANDELA A., Alle Origini della Terra. I vulcani, le Alpi e la Storia della Natura nell’età del viaggio scientifico, Varese, Insubria Uni-versity Press, 2009 DE FELICE R., Amoretti, Carlo in «Dizionario Biografico degli Ita-liani», Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, vol. 3, pp. 9-10 DE FRENZA L., I sonnambulini delle miniere: Amoretti, Fortis, Spallanzani e il dibattito sull'elettrometria organica minerale in Italia (1790-1816), Firenze, L. S. Olschki, 2005 FERREZZA M., Il grand tour alla rovescia: illuministi italiani alla scoperta delle Alpi, Torino, CDA&Vivalda, 2003 MOLLA LOSITO V., Un illuminista italiano tra chiostro, scuola e scienza. Carlo Amoretti e la sua attività a Parma, Parma, Parma nell'Arte, 1978

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Cartografia Tavolette IGM 25V

1) Verbania (031-IV-NO) 2) Ghiffa (031-IV-NE) 3) Cannobio (016-III-SE) 4) Monte Limidario (016-III-NE) 5) Santa Maria Maggiore (016-III-NO) 6) Trontano (015-II-NE) 7) Domodossola (015-II-NO) 8) Villadossola (015-II-SO) 9) Stresa (031-IV-SO)

KOMPASS

1) Lago Maggiore, Lago di Varese (90, 1:50.000) 2) Varallo, Verbania, Lago d'Orta (97, 1:50.000)

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579 3) Domodossola (89, 1:50.000)

CARTA ESCURSIONISTICA

1) Comunità Montana Val Vigezzo, Val Cannobina (1:25.000)


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