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57 Quali sono i punti principali della Riforma Bru- netta? · lità giuridica di diritto pubblico e...

Date post: 16-Feb-2019
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56 Parte Quarta Ancora, tra i più recenti interventi ad ampio raggio in tema di lavoro pubblico, ricordia- mo la cd. finanziaria d’estate 2010, D.L. 78/2010, conv. in L. 122/2010, nonché il cd. Collegato Lavoro, recato dalla L. 183/2010. 57 Quali sono i punti principali della Riforma Bru- netta? La Riforma Brunetta (D.Lgs. 150/2009) intende: responsabilizzare maggiormente i dipendenti (dirigenti in primis); incentivare selettivamente le migliori prestazioni (meritocrazia); — affermare la selettività e la concorsualità nelle progressioni di carriera dei dipendenti; contrastare la scarsa produttività e l’assenteismo, agevolare la mobilità del personale, assicurare una più efficace organizzazio- ne delle procedure concorsuali su base territoriale; — assicurare la trasparenza dell’operato delle amministrazioni pub- bliche, anche a garanzia della legalità; — rafforzare le prerogative datoriali dei dirigenti; — riaffermare e presidiare la ripartizione tra gli ambiti e le materie sottoposte alla legge, nonché sulla base di questa, ad atti organizza- tivi e all’autonoma responsabilità del dirigente nella gestione delle risorse umane, e quelle oggetto della contrattazione collettiva; rilegificare, totalmente o parzialmente, alcuni aspetti del rappor- to di lavoro pubblico, scelta motivata dalla sostanziale sfiducia nei confronti di una contrattazione collettiva considerata, per più versi, inefficace e/o fuori controllo; — costruire un sistema globale di gestione delle performances, attraverso un ciclo — comprensivo di sei fasi, dalla definizione e as- segnazione degli obiettivi alla rendicontazione dei risultati agli orga- ni di vertice politico e amministrativo delle amministrazioni, nonché ai competenti organi esterni, ai cittadini, ai soggetti interessati, agli utenti e ai destinatari dei servizi — distribuito tra 4 attori: gli organi politici di vertice, la dirigenza, i nuovi Organismi indipendenti di va- lutazione (che prendono il posto dei Servizi di controllo interno nel- le amministrazioni) e l’inedita figura della Commissione per la valu- tazione, la trasparenza e l’integrità delle pubbliche amministrazioni, con funzioni di coordinamento centrale.
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56 Parte Quarta

ancora, tra i più recenti interventi ad ampio raggio in tema di lavoro pubblico, ricordia-mo la cd. finanziaria d’estate 2010, D.L. 78/2010, conv. in L. 122/2010, nonché il cd. Collegato Lavoro, recato dalla L. 183/2010.

57 Quali sono i punti principali della Riforma Bru-netta?

La riforma Brunetta (d.Lgs. 150/2009) intende:

— responsabilizzare maggiormente i dipendenti (dirigenti in primis);— incentivare selettivamente le migliori prestazioni (meritocrazia);— affermare la selettività e la concorsualità nelle progressioni di

carriera dei dipendenti;— contrastare la scarsa produttività e l’assenteismo, agevolare

la mobilità del personale, assicurare una più efficace organizzazio-ne delle procedure concorsuali su base territoriale;

— assicurare la trasparenza dell’operato delle amministrazioni pub-bliche, anche a garanzia della legalità;

— rafforzare le prerogative datoriali dei dirigenti;— riaffermare e presidiare la ripartizione tra gli ambiti e le materie

sottoposte alla legge, nonché sulla base di questa, ad atti organizza-tivi e all’autonoma responsabilità del dirigente nella gestione delle risorse umane, e quelle oggetto della contrattazione collettiva;

— rilegificare, totalmente o parzialmente, alcuni aspetti del rappor-to di lavoro pubblico, scelta motivata dalla sostanziale sfiducia nei confronti di una contrattazione collettiva considerata, per più versi, inefficace e/o fuori controllo;

— costruire un sistema globale di gestione delle performances, attraverso un ciclo — comprensivo di sei fasi, dalla definizione e as-segnazione degli obiettivi alla rendicontazione dei risultati agli orga-ni di vertice politico e amministrativo delle amministrazioni, nonché ai competenti organi esterni, ai cittadini, ai soggetti interessati, agli utenti e ai destinatari dei servizi — distribuito tra 4 attori: gli organi politici di vertice, la dirigenza, i nuovi Organismi indipendenti di va-lutazione (che prendono il posto dei servizi di controllo interno nel-le amministrazioni) e l’inedita figura della Commissione per la valu-tazione, la trasparenza e l’integrità delle pubbliche amministrazioni, con funzioni di coordinamento centrale.

Il lavoro alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni 57

58 Qual è l’ambito di applicazione delle norme del D.Lgs. 165/2001?

il comma 2 dell’art. 1 del D.Lgs. 165/2001 elenca le amministra-zioni destinatarie della normativa in tema di pubblico impiego.il legislatore ha opportunamente chiarito che per «amministrazioni pub-bliche», si intendono le amministrazioni dello Stato, anche ad ordi-namento autonomo, gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende autonome, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi ed associazioni, le istituzioni universitarie, gli istituti autonomi case popolari, le Ca-mere di commercio, industria, artigianato ed agricoltura e loro as-sociazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali e le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sani-tario nazionale, l’ARAN e le Agenzie di cui al D.Lgs. 300/1999.inoltre, fino alla revisione organica della disciplina di settore, le dispo-sizioni di cui al d.Lgs. 165/2001 continuano ad applicarsi anche al CONI (quest’ultima è una modifica introdotta dall’art. 2, comma 2qua-terdecies, D.L. 29-12-2010, n. 225, conv. in L. 26-2-2011, n. 10, cd. Milleproroghe).

59 Quali sono le categorie di dipendenti pubblici escluse dalla privatizzazione?

L’art. 3 del d.Lgs. 165/2001 individua le categorie di dipendenti esentate dall’applicazione della normativa di diritto comune e dal pro-cesso di contrattualizzazione (per tali categorie non opera nean-che il trasferimento della giurisdizione al giudice ordinario).

esso, infatti, dispone che rimangono assoggettati ad un regime di di-ritto pubblico, secondo i rispettivi speciali ordinamenti, i rapporti di lavoro concernenti:

a) magistrati ordinari, amministrativi e contabili;b) avvocati e procuratori dello Stato;c) personale militare e delle Forze di Polizia statali;d) personale delle carriere diplomatica e prefettizia;

58 Parte Quarta

e) dipendenti delle Authority che svolgono la loro attività nelle ma-terie contemplate dal D.Lgs.C.P.S. 691/1947 (risparmio, funzio-ni creditizia e valutaria) e dalle leggi 281/1985 (tutela del rispar-mio, valori mobiliari) e 287/1990 (tutela della concorrenza e del mercato), quindi Banca d’Italia, CONSOB e Autorità garante del-la concorrenza e del mercato. ad esse si sono aggiunte — sulla base delle leggi istitutive (o di modifiche delle stesse) — ISVAP (Isti-tuto per la vigilanza sulle assicurazioni private), Autorità di re-golazione dei servizi di pubblica utilità per energia e gas, Auto-rità per le garanzie nelle comunicazioni e Garante per la prote-zione dei dati personali (esclusione quest’ultima contestata);

f) professori e ricercatori universitari; qui però la mancata contrat-tualizzazione è seguita al congelamento della situazione previgente, in attesa di una specifica, organica riforma; questa è finalmente sta-ta posta in essere con la L. 30-12-2010, n. 240, recante norme in materia di organizzazione universitaria, personale accademico e reclutamento (cd. Riforma Gelmini dell’Università);

g) dirigenti e personale (salvo quello volontario) del Corpo nazio-nale dei Vigili del Fuoco, esclusi dalla privatizzazione a seguito del-la L. 252/2004;

h) personale della carriera dirigenziale penitenziaria, esclusione ag-giunta dalla L. 154/2005.

dalla esclusione dalla privatizzazione discendono due importanti conseguenze:

— le categorie di dipendenti elencate nell’art. 3 del d.Lgs. 165/2001 restano disci-plinate dai rispettivi ordinamenti, i quali, tranne poche eccezioni, presentano un assetto pubblicistico dominato dalle fonti legislative e da atti normativi ed ammi-nistrativi;

— le relative controversie di lavoro, comprese quelle attinenti ai diritti patrimo-niali nascenti dal rapporto di impiego, non ricadono nell’ambito di cognizione del giudice ordinario, bensì restano assoggettate alla giurisdizione esclusiva del giu-dice amministrativo.

60 In che modo si articola il sistema delle fonti del pubblico impiego?

in virtù del secondo comma dell’art. 2 del d.Lgs. 165/2001 — i rap-porti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono

Il lavoro alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni 59

disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del co-dice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’im-presa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel decreto — il pubblico impiego è assoggettato, tendenzialmente, alla medesi-ma regolamentazione privatistica.

il D.Lgs. 150/2009 ha aggiunto che:

— le speciali disposizioni del d.Lgs. 165/2001, che modellano i tratti specifici del rapporto dei pubblici dipendenti, rappresentano «disposizioni a carattere imperativo»;

— nell’ipotesi di nullità delle disposizioni contrattuali per violazione di norme imperative o dei limiti fissati alla contrattazione collettiva, si applicano gli artt. 1339 e 1419, comma 2, c.c., secondo il meccanismo della sostituzione automatica delle clausole difformi e della conservazione del contratto affetto da nullità parziale.

L’art. 1 della L. 15/2009 era precedentemente intervenuto a modificare il rapporto tra norme speciali, destinate ai pubblici dipendenti, e contratto collettivo, di-sponendo che «eventuali disposizioni di legge, regolamento o statuto, che introducano discipline dei rapporti di lavoro la cui applicabilità sia limitata ai dipendenti delle ammi-nistrazioni pubbliche, o a categorie di essi, possono essere derogate da successivi con-tratti o accordi collettivi e, per la parte derogata, non sono ulteriormente applicabili, solo qualora ciò sia espressamente previsto dalla legge». il previgente dettato, invece, consen-tiva ai contratti collettivi successivi di derogare alla speciale normativa inter-venuta, azzerandola, a meno che la legge stessa non la autodefinisse insuscettibile di modifica da parte del contratto collettivo. La forza di deroga affidata al contratto collet-tivo era finalizzata ad evitare che la legge (e le altre fonti unilaterali) si riappropriasse sta-bilmente di ambiti riservati alla contrattazione medesima. Oggi è, invece, l’inderogabili-tà della legge ad essere presunta, senza alcuna necessità di una sua menzione espressa; mentre la derogabilità da parte del successivo contratto collettivo deve essere dichiarata. Ciò consente più facilmente la rilegificazione di intere materie e/o ambiti.

61 Quali sono i livelli di contrattazione collettiva esistenti nel nostro ordinamento?

i livelli di contrattazione collettiva contemplati nel nostro ordinamento sono due:

— la contrattazione collettiva nazionale;— la contrattazione integrativa a livello di singola amministra-

zione.

60 Parte Quarta

In particolare, l’art. 40 D.Lgs. 165/2001, come novellato dal D.Lgs. 150/2009, prevede che:

— viene riconsiderato l’ambito delle materie attribuite alla contrattazio-ne medesima: è, infatti, previsto che la contrattazione collettiva de-termina i diritti e gli obblighi direttamente pertinenti al rap-porto di lavoro nonché le materie relative alle relazioni sin-dacali;

— nelle materie relative alle sanzioni disciplinari, alla valutazione del-le prestazioni ai fini della corresponsione del trattamento accesso-rio, della mobilità e delle progressioni economiche, la contrattazio-ne collettiva è consentita negli esclusivi limiti previsti dalle nor-me di legge.

Sono, ancora, escluse espressamente dalla contrattazione le materie attinenti:

— all’organizzazione degli uffici;— alla partecipazione sindacale, ai sensi dell’art. 9;— alle prerogative dirigenziali ai sensi degli artt. 5, comma 2, 16 e 17;— al conferimento e revoca degli incarichi dirigenziali;— alle sette materie già richiamate dall’art. 2, comma 1, lettera c), della L. 23-10-

1992, n. 421: responsabilità giuridiche degli operatori; organi, uffici e modi di conferimento della titolarità dei medesimi; principi fondamentali di organizzazio-ne degli uffici; procedimenti di selezione per l’accesso al lavoro e di avviamento al lavoro; ruoli e dotazioni organiche; garanzia della libertà didattica e scientifi-ca; disciplina delle incompatibilità e divieto di cumulo di impieghi e incarichi;

— specifici accordi nazionali definiscono o modificano le unità fondamentali della contrattazione (ossia, per il personale non dirigenziale, i comparti - comprendenti settori omogenei o affini) e, per i dirigenti, le aree contrattuali autonome) ovvero regolano isti-tuti comuni a più comparti;

— vi sia l’istituzione di massimo quattro comparti di contrattazio-ne collettiva nazionale (e quattro arre separate per i dirigenti); nell’am-bito dei comparti di contrattazione possono essere costituite appo-site sezioni contrattuali per specifiche professionalità;

— la contrattazione collettiva disciplina, in coerenza con il settore pri-vato, la struttura contrattuale, i rapporti tra i diversi livelli e la durata dei contratti collettivi nazionali e integrativi.

Le pubbliche amministrazioni attivano, poi, autonomi livelli di con-trattazione collettiva integrativa. Questa assicura adeguati livelli di efficienza e produttività dei servizi pubblici, incentivando l’impegno e la

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qualità della performance. a tal fine destina al trattamento econo-mico accessorio collegato alla performance individuale una quota prevalente del trattamento accessorio complessivo comunque deno-minato. essa si svolge sulle materie, con i vincoli e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono; può, poi, avere ambito territoriale e riguar-dare più amministrazioni.

62 Che cosa è l’ARAN?

una delle novità introdotte dalla riforma del pubblico impiego è stata l’istituzione dell’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (araN), organismo dotato di persona-lità giuridica di diritto pubblico e di autonomia organizzativa e contabi-le. sulla struttura e sulle competenze dell’araN ha inciso, in un mo-mento successivo, anche la riforma Brunetta del 2009.L’araN ha la rappresentanza legale delle pubbliche ammini-strazioni, esercita a livello nazionale ogni attività relativa alle re-lazioni sindacali, alla negoziazione dei contratti collettivi e all’assi-stenza delle pubbliche amministrazioni ai fini dell’uniforme applicazio-ne dei contratti collettivi. L’araN assicura anche la raccolta dei dati sui voti e sulle deleghe dei sindacati da ammettere alla contrattazione. su richiesta delle amministrazioni, infine, può fornire assistenza ai fini della contrattazione integrativa (art. 46 d.Lgs. 165/2001).L’araN opera conformandosi agli indirizzi impartiti dai «comitati di settore», che sono espressione delle istanze associative o rappresenta-tive delle pubbliche amministrazioni.L’araN effettua anche il monitoraggio sull’applicazione dei con-tratti collettivi nazionali e sulla contrattazione collettiva inte-grativa e presenta annualmente al dipartimento della Funzione pub-blica, al Ministero dell’economia e delle finanze nonché ai comitati di settore, un rapporto in cui verifica l’effettività e la congruenza della ri-partizione fra le materie regolate dalla legge, quelle di competenza del-la contrattazione nazionale e quelle di competenza dei contratti integra-tivi nonché le principali criticità emerse in sede di contrattazione collet-tiva nazionale ed integrativa.

62 Parte Quarta

63 Come si accede ai posti di lavoro nelle pubbliche amministrazioni?

L’art. 97 Cost. prevede che agli impieghi pubblici si accede median-te concorso, salvi i casi stabiliti dalla legge.Tale norma costituzionale è diretta all’assicurazione dell’imparzialità e della efficienza dell’azione amministrativa, in quanto il meccanismo concorsuale è tendenzialmente volto a garantire la selezione di perso-nale qualificato.L’art. 35 d.Lgs. 165/2001 prevede, infatti, che l’assunzione nelle pub-bliche amministrazioni avvenga attraverso procedure selettive volte all’accertamento della professionalità richiesta, che garantiscano in mi-sura adeguata l’accesso dall’esterno. Per le qualifiche e i profili per i quali è richiesto il solo requisito della scuola dell’obbligo, invece, l’as-sunzione avviene mediante avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento ai sensi della legislazione vigente, facendo salvi gli even-tuali ulteriori requisiti per specifiche professionalità.

in tema di collocamento obbligatorio dei lavoratori è intervenuta la L. 68/1999, che ha come finalità la promozione dell’inserimento e della integrazione lavorativa delle persone disabili (cd. categorie protette) nel mondo del lavoro attraverso servizi di soste-gno e di collocamento mirato.Le assunzioni dei soggetti appartenenti alle categorie protette sono effettuate mediante av-viamento per mezzo dei servizi di collocamento, o mediante convenzioni con appositi organismi. i lavoratori disabili hanno diritto ad una riserva dei posti messi a concorso.

64 Quale soggetto, nelle amministrazioni pubbli-che, riveste il ruolo di datore di lavoro?

La riforma Brunetta ha notevolmente innovato ed ampliato le compe-tenze dei dirigenti pubblici, delineandoli quali veri e propri dato-ri di lavoro nell’ambito delle pubbliche amministrazioni.infatti, alla luce delle modifiche introdotte dal D.Lgs. 150/2009 al com-plesso di articoli dedicati alla dirigenza (artt. 13-29bis d.Lgs. 165/2001), emerge chiaramente la volontà del legislatore di configurare il dirigen-te come rappresentante del datore di lavoro pubblico, respon-sabile della gestione delle risorse umane e della qualità e quantità delle prestazioni poste in essere dai dipendenti.

Il lavoro alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni 63

ai dirigenti, infatti, spetta di individuare le risorse ed i profili professiona-li necessari allo svolgimento dei compiti dell’ufficio cui sono preposti (an-che al fine della compilazione del documento di programmazione trien-nale di fabbisogno di personale); inoltre, ad essi compete la lotta ai feno-meni di corruzione ed il rispetto delle relative misure nei pubblici uffici.i dirigenti, ancora, sono tenuti ad effettuare la valutazione del per-sonale assegnato ai loro uffici, ai fini non solo della progressione eco-nomica tra le aree ma anche della corresponsione di indennità e di premi incentivanti.a tali maggiori poteri corrisponde, in maniera speculare, una respon-sabilità più accentuata: l’art. 21 T.u. pubblico impiego, infatti, di-spone che il mancato raggiungimento degli obiettivi accertato at-traverso le risultanze del sistema di valutazione di cui al d.Lgs. 150/2009 ovvero l’inosservanza delle direttive imputabili al dirigente compor-tano, previa contestazione e ferma restando l’eventuale responsabilità disciplinare secondo la disciplina contenuta nel contratto collettivo, l’im-possibilità di rinnovo dello stesso incarico dirigenziale.

ancora, al dirigente nei confronti del quale sia stata accertata, previa contestazione e nel rispetto del principio del contraddittorio secondo le procedure previste dalla legge e dai contratti collettivi nazionali, la colpevole violazione del dovere di vigilanza sul ri-spetto, da parte del personale assegnato ai propri uffici, degli standard quantitativi e qua-litativi fissati dall’amministrazione, conformemente agli indirizzi deliberati dalla Commis-sione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle pubbliche amministrazioni, la retribuzione di risultato è decurtata, sentito il Comitato dei garanti, in relazione alla gra-vità della violazione, di una quota fino all’ottanta per cento.

65 Come sono organizzati gli uffici pubblici?

il d.Lgs. 165/2001 precisa, in ossequio alla riserva di legge di cui all’art. 97 Cost., che le amministrazioni pubbliche definiscono, secon-do principi generali fissati da disposizioni di legge e mediante atti organiz-zativi in base ai rispettivi ordinamenti, le linee fondamentali di orga-nizzazione degli uffici, individuano gli uffici di maggiore rilevanza e i modi di conferimento della titolarità degli stessi e determinano le dotazio-ni organiche complessive (art. 2, comma 1; cd. macro-organizzazione)Nell’ambito delle leggi e degli atti organizzativi, le determinazioni per l’organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rappor-ti di lavoro (cd. micro-organizzazione) sono assunte in via esclusiva

64 Parte Quarta

dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del pri-vato datore di lavoro, fatta salva la sola informazione ai sindacati, ove prevista nei contratti di cui all’art. 9 (concernente la partecipazio-ne sindacale). rientrano, in particolare, nell’esercizio dei poteri diri-genziali le misure inerenti la gestione delle risorse umane nel ri-spetto del principio di pari opportunità nonché la direzione, l’organiz-zazione del lavoro nell’ambito degli uffici (art. 5, comma 2, d.Lgs. 165/2001 come novellato dal D.Lgs. 150/2009).

in definitiva, mentre la macro-organizzazione, a valle delle scelte effettuate dal legislato-re, è commessa agli organi di governo degli enti (attraverso regolamenti e decreti — atti di natura pubblicistica — che disegnano la complessiva struttura degli uffici dirigen-ziali), la micro-organizzazione rientra, invece, nei compiti della dirigenza, attraverso atti di natura privatistica.

66 Quali doveri-obblighi nascono per il dipenden-te dal rapporto di pubblico impiego?

i doveri del dipendente, in genere, possono essere raggruppati in due ampie tipologie:

— una, di stampo prettamente pubblicistico, riconducibile al dovere di fedeltà alla repubblica, sancito dall’art. 51 Cost., ai principi di imparzialità e buon andamento, affermati dall’art. 97 Cost., e al ca-rattere democratico della repubblica (art. 1 Cost.), che impone di favorire rapporti di fiducia fra amministrazione e cittadino;

— una, di carattere privatistico, che si richiama, invece, ai doveri di diligenza, obbedienza e fedeltà sanciti, anche per il rapporto di la-voro privato, dagli artt. 2104 e 2105 c.c.

L’elencazione minuziosa dei singoli doveri è contenuta nel codice di comportamento (d.M. 28-11-2000), le cui norme costituiscono esem-plificazioni e specificazioni dei principi generali di fedeltà, lealtà ed im-parzialità (POLiCe).

in particolare, il citato codice impone obblighi di:— imparzialità, correttezza, collaborazione e trasparenza, nei confronti dei cittadini

e dell’utenza;— efficienza nello svolgimento delle funzioni e di organizzazione razionale del lavoro;— attenersi scrupolosamente agli standard di qualità del servizio, indicati dalle Carte

dei servizi adottate dalle amministrazioni;

Il lavoro alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni 65

— non sfruttare nella vita sociale la posizione pubblica ricoperta;— non divulgare notizie dell’ufficio, specie se idonee a danneggiare l’immagine della P.A.;— non partecipare ad organizzazioni la cui attività possa arrecare danni all’amministra-

zione, non svolgere collaborazioni con soggetti che abbiano interessi professionali o economici afferenti ad attività istituzionali, non contrarre, per ragioni di ufficio, con soggetti con i quali si siano avuti rapporti patrimoniali al di fuori dell’ufficio.

67 Quali sono i diritti non patrimoniali del pubbli-co dipendente?

Dal rapporto di pubblico impiego, oltre ai diritti aventi contenuto pret-tamente patrimoniale, come la retribuzione, nascono anche diritti non patrimoniali.

Tra questi rientrano:

— il diritto all’ufficio, consistente nell’aspettativa a non essere rimos-so dal proprio ufficio (quindi alla permanenza del rapporto di lavo-ro) se non nei casi e con le garanzie previsti dalla legge (art. 31 T.U. 3/1957 e artt. 33-34 D.Lgs. 165/2001) o dai contratti collettivi. Si tratta in realtà di un interesse legittimo;

— il diritto alla funzione, consistente nel diritto all’esercizio delle funzioni inerenti alla propria qualifica;

— il diritto alla progressione, economica e di carriera, nell’ambito della stessa area o di aree diverse;

— il diritto al trasferimento, che è in realtà un interesse legittimo dell’impiegato, in quanto la sua destinazione ad una sede, piuttosto che ad un’altra, rientra nella potestà discrezionale della P.A;

— il diritto alla riservatezza;— il diritto alle pari opportunità: si deve ricordare che l’art. 51 Cost.

stabilisce che tutti i cittadini, senza distinzione di sesso, possono ac-cedere agli uffici pubblici, secondo i requisiti stabiliti dalla legge e che, a tal proposito, la Repubblica promuove con appositi provvedimen-ti le pari opportunità tra donne ed uomini. Principale norma di rife-rimento nell’ambito del T.U. pubblico impiego è l’art. 57, come di recente novellato dalla L. 183/2010, cd. Collegato Lavoro, che ha notevolmente innovato e rafforzato la disciplina delle pari oppor-tunità nel lavoro alle dipendenze delle amministrazioni.

66 Parte Quarta

68 In quali tipi di responsabilità può incorrere il dipendente pubblico?

La responsabilità dell’impiegato per l’inosservanza di norme giu-ridiche può essere: penale, civile, amministrativo-contabile e disci-plinare. in particolare:

— si ha responsabilità penale quando la trasgressione compiuta dall’impiegato assume il carattere di violazione dell’ordine giuridi-co generale e si concreta nella figura del reato (es. omissione di atti d’ufficio, corruzione etc.);

— si ha responsabilità civile quando dalla trasgressione dei doveri d’ufficio derivi un danno per i terzi. Tale responsabilità è una respon-sabilità diretta, che ai sensi dell’art. 28 Cost. si estende allo stato e agli enti pubblici. La sanzione di essa consiste nell’obbligo di ri-sarcire il danno (sempre che vi sia dolo o colpa grave). il dipenden-te dovrà risarcire il danno anche laddove la P.a. abbia subito una di-minuzione patrimoniale a causa del risarcimento effettuato a favo-re del danneggiato, vittorioso nel giudizio intentato direttamente con-tro la P.a. stessa (cd. danno erariale indiretto);

— si ha responsabilità amministrativa quando l’inosservanza do-losa o con colpa grave degli obblighi di servizio comporti un dan-no patrimoniale all’amministrazione.

in tale forma di responsabilità si inquadra anche la responsabilità contabile, che emerge in caso di violazioni di norme sui procedimenti di spesa e sulla custodia del danaro pubblico da parte di chi ne sia abilitato (e tenuto) al maneggio. i relativi giu-dizi di responsabilità sono affidati esclusivamente alle sezioni giurisdizionali (territo-rialmente competenti) della Corte dei conti.

data la diversa causa, le tre forme di responsabilità possono agire congiuntamente nei riguardi della stessa persona, ancorché unica sia la trasgressione da questa commessa.

69 Quali sono le vicende estintive del rapporto di pubblico impiego?

il rapporto di pubblico impiego è soggetto a vicende estintive di va-ria natura, che trovano la loro origine nella disciplina pattizia, pubblici-stica e privatistica.

Il lavoro alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni 67

secondo la disciplina pattizia, la cessazione del rapporto di la-voro a tempo indeterminato ha luogo per:

— licenziamento (con o senza preavviso) disciplinare;— compimento del limite di età, ai sensi delle norme di legge in vigore;— dimissioni del dipendente;— decesso del dipendente;— superamento del periodo di comporto in caso di malattia.

altre ipotesi di risoluzione previste dal contratto collettivo sono quella consequenziale all’annullamento della procedura di reclutamento e la dispensa dal servizio per inidoneità fisica e psichica.

secondo la disciplina pubblicistica, residuano dalle vecchie previ-sioni, contenute nel testo unico degli impiegati civili dello stato, le se-guenti ipotesi di decadenza dall’impiego:

— per perdita della cittadinanza italiana (art. 127, comma 1, lett. a), d.P.r. 3/1957);

— per avvenuta accettazione di una missione o altro incarico da un’autorità straniera senza autorizzazione del Ministro competen-te (art. 127, comma 1, lett. b), d.P.r. 3/1957);

— per mancata cessazione della situazione di incompatibilità tra obblighi di servizio e attività svolte dal dipendente, nonostante la diffida ricevuta (art. 63 d.P.r. 3/1957, espressamente richiamato dall’art. 53 d.Lgs. 165/2001).

infine, i base all’espresso richiamo all’art. 2, comma 2, del d.Lgs. 165/2001 sono estensibili ai rapporti di pubblico impiego le norme del codice civile e delle leggi speciali sul lavoro nell’impresa.

in particolare, è ammissibile il licenziamento:

— per giusta causa (art. 2119 c.c.);— per giustificato motivo soggettivo (art. 3 L. 604/1966);— per giustificato motivo oggettivo (art. 3 L. 604/1966).

L’inadempimento degli obblighi contrattuali può, invece, causare il li-cenziamento disciplinare del dipendente.

68 Parte Quarta

70 È possibile, per le pubbliche amministrazioni, ricorrere a forme flessibili di assunzione?

il principale referente normativo in materia è dato dall’art. 36 D.Lgs. 165/2001, disposizione quanto mai tormentata. dopo le modifiche dettate dall’art. 4 del d.L. 4/2006 e dal comma 79 dell’art. 3 L. 244/2007, il d.L. 112/2008 ha nuovamente riscritto il testo della nor-ma in commento, poi modificato dal d.L. 78/2009.

L’originario dettato dell’art. 36, come scaturito dall’intervento della seconda privatizza-zione (d.Lgs. 80/1998), sanciva il principio secondo cui le pubbliche amministrazioni potevano tendenzialmente avvalersi delle stesse forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale previste per il settore privato. il legislatore aveva, così, volu-to pienamente legittimare, anche nel pubblico impiego, l’introduzione di forme di lavo-ro alternative al contratto a tempo indeterminato (cd. flessibilità tipologica), rimet-tendo, come previsto per il settore privato, alla contrattazione collettiva la funzione di controllo e di orientamento al loro utilizzo.

il nuovo testo vigente (rubricato Utilizzo di contratti di lavoro fles-sibile), invece:

— afferma programmaticamente che per le esigenze connesse con il proprio fabbisogno ordinario (intese come quelle a carattere conti-nuativo e duraturo e quindi permanente), le pubbliche amministra-zioni assumono esclusivamente con contratti di lavoro su-bordinato a tempo indeterminato seguendo le previste proce-dure di reclutamento;

— fa ancora genericamente riferimento alla possibilità di avvalersi del-le forme contrattuali flessibili previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa; aggiungendo, però, le specificazioni «per rispondere ad esigenze temporanee ed ec-cezionali» e «nel rispetto delle procedure di reclutamento»;

— ribadisce il potere specificativo della contrattazione collettiva, richia-mando espressamente la normativa in tema di:

— contratti di lavoro a tempo determinato;— contratti di formazione e lavoro; peraltro, tale contratto risul-

ta ormai utilizzabile solo dalle pubbliche amministrazioni, non es-sendo più applicabile, nella sua regolazione storica, al lavoro pri-vato (cfr. l’art. 86 d.Lgs. 276/2003);

— altri rapporti formativi;

Il lavoro alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni 69

— somministrazione di lavoro;— lavoro accessorio (occasionale) di cui alla lettera d), del com-

ma 1, dell’articolo 70 d.Lgs. 276/2003;

— specifica che non è possibile ricorrere alla somministrazione di la-voro per l’esercizio di funzioni direttive e dirigenziali. il legislatore ha così confermato che ai lavoratori somministrati, essendo dipen-denti di una agenzia terza, non è possibile affidare compiti dirigen-ziali, apicali e/o di gestione di strutture, intendendosi con ciò anche il coordinamento di personale dipendente dell’amministrazione o compiti di rappresentanza degli interessi dell’amministrazione.

accanto alla forme flessibili richiamate dall’art. 36 d.Lgs. 165/2001 si pongono, poi, part-time e telelavoro, soluzioni che possono accedere ad un ordinario rapporto di la-voro a tempo indeterminato.

Parte Quintal’attIvItà della p.a.: Il provvedImento

ammInIstratIvo e la patologIa dell’atto

71 Secondo quali modalità può esplicarsi l’attività amministrativa nel nostro ordinamento?

L’attività amministrativa è quella attività mediante la quale deter-minate figure soggettive all’uopo preposte provvedono alla cura degli interessi pubblici ad essi affidati. L’individuazione del fine da perseguire, la sua qualificazione come pubblico e la sua assegnazione alla P.a. sono operate in sede di indirizzo politico, alla cui determinazione con-corrono gli organi cui è attribuita la funzione politica o di governo.a sua volta, la funzione amministrativa si caratterizza, sul piano sog-gettivo-formale, per essere affidata, in base a norme di legge, ad una pluralità di figure che compongono il complesso organizzatorio deno-minato «Pubblica Amministrazione»; e, sul piano oggettivo-conte-nutistico, per estrinsecarsi nella cura di interessi pubblici in modo diretto ed immediato (in tal modo differenziandosi sia dalla funzione le-gislativa, la quale stabilisce in modo astratto e generale come determi-nati interessi debbano essere curati, sia dalla funzione giurisdizionale, la quale accerta che l’attività legislativa sia rispettata).

Quanto alle tipologie in cui può concretizzarsi l’attività amministrati-va, abbiamo:

— attività amministrativa attiva: vi rientra tutta l’attività posta in essere direttamente da una pubblica amministrazione per realizzare le proprie finalità pubbliche;

— attività amministrativa consultiva: vi rientrano quelle attività di-rette a fornire, sotto forma di pareri, consigli, direttive ed orienta-menti alle autorità che devono concretamente agire;

— attività amministrativa di controllo: è quella attività diretta a sin-dacare secondo diritto (controllo di legittimità) ovvero secondo le re-gole della buona amministrazione (controllo di merito) l’operato dei soggetti agenti cui sono affidati compiti di amministrazione attiva.

72 Parte Quinta

72 Qual è la differenza tra attività politica ed atti-vità amministrativa?

Mentre l’attività amministrativa è espressione della funzione ammi-nistrativa, intesa come potere finalizzato alla realizzazione dei fini pubblici individuati dagli organi che determinano l’indirizzo politico dello stato, l’attività politica, invece, è funzionale alla individuazio-ne delle finalità che lo Stato deve perseguire.Ciò si traduce nella circostanza che mentre l’attività amministrativa è vincolata nei fini pubblici da tutelare, l’attività politica è libera dal mo-mento che è essa stessa che li fissa.Tale fondamentale differenza si ripercuote anche sul piano pratico. L’attività politica, infatti, al contrario dell’attività amministrativa, sfug-ge ad ogni sindacato giurisdizionale (art. 31 r.d. 1054/1924) e gli atti politici, qualificabili come atti di suprema direzione dello stato, a dif-ferenza di quelli amministrativi, incontrano esclusivamente i limi-ti derivanti dalla Costituzione e dall’ordinamento europeo. inoltre, essi costituiscono un numerus clausus e non sono assimilabili al regime proprio degli atti amministrativi.

73 Che differenza c’è tra attività amministrativa di-screzionale ed attività amministrativa vincolata?

La dottrina più moderna ha evidenziato come il concetto di discreziona-lità amministrativa sia descrittivo di «uno dei due possibili modi di inte-razione tra l’operato dell’autorità pubblica e la legge» (CariNGeLLa).ed invero, considerato che è la legge a determinare il fine pubblico che la P.a. deve realizzare, a seconda che le venga lasciato o meno un mar-gine di operatività nella scelta delle concrete modalità opera-tive, si è in presenza, rispettivamente, di attività discrezionale ov-vero di attività vincolata.se la dottrina tradizionale (virGa) definisce la discrezionalità come la facoltà di scelta fra più comportamenti giuridicamente leciti per il sod-disfacimento dell’interesse pubblico e per il perseguimento di un fine ri-spondente alla causa del potere esercitato, altri autori hanno posto in evidenza il momento della ponderazione comparativa di più interes-

L’attività della P.A.: il provvedimento amministrativo e la patologia dell’atto 73

si secondari (pubblici e privati) in ordine ad un interesse primario (quel-lo pubblico specifico fissato dalla legge) (GiaNNiNi). viceversa, laddo-ve sono arretrati gli «spazi di scelta» dell’amministrazione, in quanto sono prefissate dal legislatore anche le modalità di azione, si parla di azione vincolata (CaseTTa).La scelta concreta fra le diverse soluzioni provvedimentali ipotizzabili al fine di realizzare il fine pubblico costituisce il merito amministrativo.

al fine di evitare che le scelte dell’autorità amministrativa possano sfociare in arbitrio, dottrina e giurisprudenza hanno individuato i limiti propri dell’attività discreziona-le, rappresentati da:

— l’interesse pubblico, da intendersi come interesse della collettività, non coincidente con quello della P.a., né, tantomeno, con la somma degli interessi individuali;

— la causa del potere, in quanto l’attività discrezionale deve sempre perseguire un fine rispondente alla causa del potere esercitato, ovvero l’interesse pubblico specifico;

— i principi di logicità, di imparzialità e ragionevolezza;— il principio dell’esatta e completa informazione, ossia di adeguata istruttoria com-

piuta attraverso uffici competenti ed agenti addetti, che consegua un risultato esen-te da errori.

del corretto esercizio del potere discrezionale, l’amministrazione deve darne conto nella motivazione dell’atto.

74 Che si intende con l’espressione «discrezionali-tà tecnica»?

L’impostazione tradizionale ha sempre provveduto a distinguere dalla discrezionalità amministrativa la cd. discrezionalità tecnica, concre-tantesi nell’esame di fatti o situazioni sulla base di cognizio-ni tecniche e scientifiche di carattere specialistico (discipline me-diche, ingegneristiche, biologiche etc.).La peculiarità di tale discrezionalità, che la distingue dalla discrezio-nalità amministrativa, è data dalla presenza di una specifica fase di giudizio, e dunque di un’istruttoria, non accompagnata da alcuna ma-nifestazione di volontà, attraverso la quale si procede all’analisi dei fat-ti, supportata dalle regole tecniche di volta in volta interessate (es.: va-lutazione della fatiscenza di un edificio, del valore artistico di un’opera, della malattia da cui è affetto un animale, del pregio ambientale o cul-turale di un’area).

74 Parte Quinta

75 Che cos’è l’atto amministrativo?

La dottrina definisce l’atto amministrativo come una «qualsiasi mani-festazione di volontà, desiderio, giudizio o conoscenza prove-niente da una pubblica amministrazione nell’esercizio di una potestà amministrativa» (ZaNOBiNi, CaseTTa).si tratta, quindi, del «mezzo» utilizzato da un’autorità amministrativa, nell’esercizio della funzione amministrativa, per intervenire in un caso concreto e nei confronti di destinatari determinati o determinabili.

da ciò discende che l’atto amministrativo è:

— atto volontario, nel senso che è volontariamente posto in essere dal suo autore anche se gli effetti sono ricollegati a questo dall’ordi-namento;

— atto unilaterale, in quanto ha efficacia indipendentemente dalla volontà dei destinatari;

— atto esterno, in quanto strumento di esternalizzazione della volon-tà della P.a.;

— atto soggettivamente ed oggettivamente amministrativo.

all’interno della generale categoria degli atti amministrativi sono pos-sibili numerose classificazioni. La più importante distinzione è quella tra meri atti ed atti di volontà: i primi sono atti volontari i cui effetti sono predeterminati dal legislatore, i secondi sono atti volontari e, nel con-tempo, espressione anche della volontà degli effetti. L’esempio tipico di tale categoria di atto amministrativo è il provvedimento.

76 Partendo dalla definizione di provvedimento amministrativo, in cosa questo si differenzia rispetto all’atto amministrativo?

il legislatore non ha fornito una definizione del provvedimento am-ministrativo, ma ha dettato una precisa disciplina del procedimento amministrativo al cui esito viene adottato il provvedimento. Tale lacu-na è stata colmata dalla giurisprudenza e dalla dottrina giuspubblicisti-ca che, in linea generale, hanno definito il provvedimento ammini-strativo come l’atto amministrativo consistente in una manife-

L’attività della P.A.: il provvedimento amministrativo e la patologia dell’atto 75

stazione di volontà adottata dall’amministrazione «volta alla cura di un concreto interesse pubblico e diretta a produrre unilate-ralmente effetti giuridici nei rapporti esterni con i destinatari» (Ga-rOFOLi – Ferrari).L’emanazione di un provvedimento è di norma preceduta da un «insie-me di atti, fatti ed attività, tutti tra loro connessi» (preordinati tutti all’adozione del provvedimento finale), che confluiscono nel procedi-mento amministrativo (CaseTTa).da un punto di vista procedimentale, quindi, l’atto amministrativo è pre-paratorio all’adozione del provvedimento, unico atto idoneo a modifi-care unilateralmente le situazioni giuridiche soggettive di terzi, e man-ca di quelle peculiarità che caratterizzano il provvedimento.Tale distinzione rileva da un punto di vista pratico, considerate le note-voli conseguenze scaturenti dall’inquadramento di un atto come prov-vedimento amministrativo: la principale di queste è quella dell’impugna-zione in sede giurisdizionale, in linea di massima, del solo provvedimen-to amministrativo.Pertanto, può dirsi che il provvedimento amministrativo è l’atto amministrativo per eccellenza, e costituisce lo strumento tipico di cui si avvale la P.a. per porre in essere la propria attività, in attuazio-ne dei limiti costituzionali di cui all’art. 97 Cost.

77 Quali sono le caratteristiche principali del prov-vedimento amministrativo?

Le caratteristiche tipiche dei provvedimenti amministrativi sono:

— forza giuridica – autoritarietà: consiste nell’imporre unilateral-mente modificazioni nella sfera giuridica dei destinatari. essa si ma-nifesta in modo diverso a seconda che si tratti di provvedimenti po-sitivi o negativi: per i primi, si manifesta nella costituzione, modifi-cazione o estinzione dei poteri e delle facoltà del destinatario indi-pendentemente dal suo consenso e, quindi, anche contro la sua vo-lontà (GuariNO), mentre per i secondi, si traduce nella cd. non spettanza e cioè nella definizione autoritativa che quel dato provve-dimento non spetta al destinatario;

— esecutività ed esecutorietà: l’esecutività di un provvedimento amministrativo consiste nella sua idoneità «a produrre automatica-

76 Parte Quinta

mente ed immediatamente i propri effetti, allorché l’atto sia divenu-to efficace» (CaseTTa). Qualora la Pa debba porre in essere un’at-tività di esecuzione al fine di adeguare la situazione di fatto alla si-tuazione di diritto disposta con il provvedimento, si parla di esecu-torietà del provvedimento amministrativo (art. 21ter L. 241/1990): con tale termine si indica la possibilità che la sua esecuzione «sia compiuta, in quanto espressione di autotutela, direttamente e coat-tivamente dalla pubblica amministrazione, senza dover ricorrere pre-viamente ad un giudice» (CaseTTa);

— tipicità e nominatività: con tali espressioni si intende fare riferi-mento alla circostanza che i provvedimenti amministrativi sono solo quelli previsti dall’ordinamento (tipicità) ed al fatto che a ciascun in-teresse pubblico particolare da realizzare è preordinato un tipo di atto perfettamente definito dalla legge (nominatività);

— inoppugnabilità: decorso il termine di impugnazione, in genere di 60 giorni dall’adozione, il provvedimento diviene definitivo, fatto salvo il potere di autotutela della P.a.

78 Quali sono gli atti amministrativi che non sono provvedimenti?

Oltre ed accanto ai provvedimenti, esiste tutta una serie di atti ammi-nistrativi aventi in comune il fatto di provenire da una amministrazione pubblica ma di non avere i requisiti propri dei provvedimenti, e di assolvere funzioni strumentali, accessorie o quanto meno seconda-rie (sono detti, infatti, anche meri atti amministrativi).Quella degli atti amministrativi non provvedimentali costituisce una ca-tegoria residuale.

Tali atti possono essere raggruppati in due grandi categorie:

a) atti consistenti in manifestazioni di volontà che si dividono in atti paritetici (non autoritativi), taluni atti facenti parte del proce-dimento amministrativo ed atti di controllo;

b) atti non consistenti in manifestazioni di volontà che si divi-dono in atti ricognitivi, aventi ad oggetto una manifestazione di co-noscenza, atti di valutazione, aventi ad oggetto una manifestazio-ne di giudizio, ed intimazioni.

L’attività della P.A.: il provvedimento amministrativo e la patologia dell’atto 77

79 Qual è il più importante tipo di atto amministrativo non consistente in una manifestazione di volontà?

Gli atti amministrativi che non sono manifestazioni di volontà si distin-guono in:

— atti ricognitivi (o manifestazioni di scienza e di conoscenza);— atti di valutazione (o manifestazioni di giudizio);— intimazioni.i pareri, consistenti in manifestazioni di giudizio, sono atti a carat-tere ausiliario, attraverso i quali gli organi dell’amministrazione consul-tiva illuminano, consigliano, istruiscono gli organi di ammini-strazione attiva. sono, in genere, di competenza di speciali organi collegiali, emessi a seguito di un subprocedimento, accessorio a quel-lo principale, e necessitano, di regola, sia di forma scritta che di moti-vazione. inoltre, il parere, per adempiere completamente la sua funzio-ne conoscitiva e valutativa, deve essere acquisito al procedimento pri-ma dell’emanazione del provvedimento finale.in tema di pareri, il principale organo di consulenza giuridico amministra-tiva è sicuramente il Consiglio di Stato, a cui si rivolgono gli organi di governo che esercitano le funzioni di indirizzo politico e amministrativo.

i pareri si distinguono in:

a) facoltativi: se è rimesso alla discrezionalità degli organi dell’ammi-nistrazione attiva richiederli o meno;

b) obbligatori: se è la legge ad imporre all’organo di amministrazione attiva di richiedere il parere all’organo consultivo. Questi, a loro vol-ta, possono essere non vincolanti, vincolanti, parzialmente vincolan-ti o conformi, a seconda della loro destinazione e del loro esito.

i pareri possono adempiere a tre funzioni:— conoscitiva: è quella relativa a pareri di organi tecnici per soluzioni attinenti alla di-

screzionalità tecnica e importano atti vincolati ( ad es.: parere del Comitato per le pensioni privilegiate in materia di liquidazione di tali pensioni);

— valutativa: attraverso pareri emessi, di regola, al termine di un’istruttoria compiuta per l’adozione di un provvedimento o di una misura amministrativa, o consistenti in una valutazione generale del progetto di azione amministrativa (ad es., parere del Consiglio di stato, emesso in sede consultiva, con cui si riassume lo svolgimento del-la funzione amministrativa);

— di coordinamento: sono richiesti per contemperare più interessi della P.a. si fon-dano sul principio di buona amministrazione e non è richiesta una norma positiva che li imponga.

78 Parte Quinta

80 Quali sono gli elementi e i requisiti dell’atto amministrativo?

L’atto amministrativo, che sia o meno «provvedimento», presenta sempre una «realtà oggettiva e formale» composta da elementi e requisiti.

Gli elementi dell’atto amministrativo si distinguono (virGa) in:

— essenziali: se necessari giuridicamente per dar vita all’atto;— accidentali: sono componenti eventuali, che non necessariamen-

te devono essere contenuti in ciascun atto in quanto hanno la fun-zione di ampliare o restringere il contenuto naturale dell’atto senza, però, stravolgerne la natura. essi possono essere apposti solo agli atti amministrativi discrezionali, sempre che non contrastino con norme di legge cogenti relative al singolo atto;

— naturali: in quanto previsti dalla legge per il tipo astratto di atto, tali elementi si considerano sempre inseriti in esso, anche se non vi appaiono espressamente.

i requisiti, invece, incidono sulla efficacia e validità dell’atto, e si di-stinguono in:

— requisiti di legittimità, la cui mancanza determina l’annullabilità dell’atto;

— requisiti di efficacia, necessari perché l’atto possa concretamen-te spiegare i suoi effetti. a loro volta, si distinguono in: requisiti di esecutività e requisiti di obbligatorietà.

81 Come si articola la struttura dell’atto ammini-strativo?

La struttura formale degli atti amministrativi generalmente si com-pone di:

a) intestazione (indicazione dell’autorità da cui l’atto promana);b) preambolo (indicazione di leggi e articoli in base ai quali l’atto stes-

so è stato adottato e delle attestazioni relative agli atti preparatori);c) motivazione, che consta sia di una parte descrittiva, nella quale

la P.a. indica gli interessi coinvolti nel procedimento, che di una par-te valutativa, nella quale la P.a. valuta comparativamente gli inte-

L’attività della P.A.: il provvedimento amministrativo e la patologia dell’atto 79

ressi motivando le ragioni per le quali ha preferito soddisfare un in-teresse in luogo di un altro;

d) dispositivo, che è la parte precettiva dell’atto (costituisce la dichia-razione di volontà vera e propria);

e) luogo (indicazione del luogo in cui è stato emanato);f) data;g) sottoscrizione (firma dell’autorità che emana l’atto o di quella de-

legata).

82 Si può configurare, nel nostro ordinamento, un obbligo generale di motivazione, valido per tut-te le tipologie di provvedimenti amministrativi?

La motivazione costituisce uno degli elementi fondamentali del provve-dimento amministrativo, in quanto consente di ripercorrere l’iter giuri-dico-fattuale di formazione della volontà della pubblica amministrazio-ne, permettendone una valutazione ex post.Prima della L. 241/1990, in mancanza di un obbligo generale di mo-tivazione, si riteneva che questa fosse richiesta nei soli casi espressa-mente previsti dal legislatore nonché per i provvedimenti sfavorevoli per i destinatari.L’art. 3 della L. 241/1990 ha sancito, in ossequio al principio del-la trasparenza e di effettività della tutela giurisdizionale del privato, che ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti l’organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi ed il personale, debba essere motivato. dal tenore letterale della dispo-sizione, è evidente che il legislatore ha inteso introdurre un obbligo ge-nerale di motivazione, anche se poi, il successivo secondo comma dell’art. 3 stabilisce delle ipotesi di esclusione.ed invero, l’obbligo di motivazione è escluso per gli atti normativi e a contenuto generale, recependo l’orientamento giurisprudenziale che, ritenendo tali atti ampiamente discrezionali e a motivo libero, aveva, in passato, sancito il carattere non obbligatorio della loro motivazione; restano, esclusi, inoltre, gli atti infraprocedimentali e, comunque, a ca-rattere non provvedimentale.

80 Parte Quinta

83 Che si intende con l’espressione «silenzio am-ministrativo»?

il problema della qualificazione giuridica del silenzio della P.a. riveste notevole importanza con riferimento alla tutela del privato nei confron-ti dell’amministrazione, anche nei casi di inerzia della stessa, quando tale comportamento omissivo lo danneggi. La L. 241/1990, in armo-nia con i principi di buona amministrazione e di imparzialità di cui all’art. 97 Cost., all’art. 2 ha sancito l’obbligo generale della P.A. di con-cludere il procedimento mediante l’adozione di un provvedi-mento espresso, determinando l’illegittimità dei comportamen-ti omissivi e delle inerzie della P.A. ed attribuendo al privato un vero e proprio diritto alla conclusione del procedimento.

Nel caso di violazione di tale obbligo di provvedere, l’inerzia della P.a. deve quindi ritenersi illecita, e lo stesso ordinamento reagisce ad essa in vario modo:

— prevedendo, per il mancato esercizio del potere, sanzioni civili, pe-nali e/o disciplinari (v. art. 3ter, d.L. 163/1995, conv. in L. 273/1995, a tenore del quale l’inosservanza del termine compor-ta l’attivazione dei poteri disciplinari dei servizi di controllo delle pub-bliche amministrazioni);

— prevedendo a tutela del cittadino che ricorra avverso il silenzio del-la P.a. dei procedimenti camerali molto veloci, senza necessità di ulteriori istanze o diffide (art. 117 del Codice del processo am-ministrativo, recato dal D.Lgs. 104/2010);

— prevedendo uno specifico potere sostitutivo in capo ad un altro or-gano per rimediare all’inattività del titolare;

— attribuendo, in ipotesi tassativamente determinate, un dato signi-ficato all’inerzia della P.a. (cd. silenzio con valore legale tipico, o silenzio significativo (saNduLLi)).

il nostro ordinamento prevede vari tipi di silenzio della pubblica amministrazione:

— silenzio-assenso: si configura nei casi in cui la legge attribuisce al silenzio il valore di accoglimento di un’istanza (art. 20 L. 241/1990);

— silenzio diniego: tale fattispecie si realizza quando la legge conferisce all’inerzia del-la P.a. il significato di un diniego di accoglimento dell’istanza o ricorso;

— silenzio devolutivo: si ha quando il silenzio di una P.a. comporta l’attribuzione del-la competenza ad altra autorità. detta forma è stata notevolmente potenziata dalla

L’attività della P.A.: il provvedimento amministrativo e la patologia dell’atto 81

L. 241/1990 che, all’art. 17, ha previsto, in via generale e salve eccezioni specifi-che, che in caso di mancata tempestiva pronuncia da parte dell’organo chiamato a partecipare al procedimento per esprimere valutazioni di carattere tecnico, l’autori-tà procedente è legittimata a rivolgersi ad altro organo di pari competenza;

— silenzio-inadempimento: riguarda le ipotesi in cui la P.a., di fronte alla richiesta di un provvedimento da parte del privato, abbia omesso di provvedere entro i termi-ni previsti dalla legge (o da norma regolamentare) e questa non contenga alcuna in-dicazione sul valore da attribuire al silenzio.

84 Come si articola la disciplina del silenzio-assenso?

L’art. 20 L. 241/1990 stabilisce che nei procedimenti ad istan-za di parte, il silenzio dell’amministrazione equivale a provvedimen-to di accoglimento della detta domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide, se la P.a. non comunica all’interessato, entro il ter-mine di cui all’art. 2, commi 2 e 3, il provvedimento di rigetto ov-vero non indice una conferenza di rigetto. È fatta salva l’applicazione del precedente art. 19.viene comunque conferito alla P.a. il potere di agire in via di autotute-la, ai sensi degli artt. 21quinquies e 21nonies della L. 241/1990.in parziale simmetria con l’art. 19, l’art. 20, comma 4, risultante dal-le modifiche apportate dalla L. 69/2009, prevede che il meccanismo del silenzio-assenso non si applica per gli atti e nei procedimenti concernenti il patrimonio culturale e paesaggistico, l’ambiente e la difesa nazionale, la pubblica sicurezza, l’immigrazione, l’asilo e la cittadinanza, la salute e la pubblica incolumità; né si applica agli atti imposti dalla normativa europea, o ai casi in cui la legge qualifica il silenzio come rigetto dell’istanza, e nemmeno agli atti e ai procedi-menti che le stesse amministrazioni possono successivamente indivi-duare.

inoltre al silenzio-assenso si applicano le previsioni di cui all’art. 2, comma 7 (sulla so-spensione dei termini procedurali) e all’art. 10bis (sul preavviso di rigetto) del-la legge sul procedimento (art. 20, comma 5, L. 241/1990), mentre, dal punto di vi-sta processualistico, il D.L. 125/2010, conv. in L. 1-10-2010, n. 163, ha inse-rito nella disposizione in commento il comma 5bis, che attribuisce alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ogni controversia relativa all’applicazione dell’art. 20.

82 Parte Quinta

85 Che si intende per «autorizzazione amministra-tiva»?

L’autorizzazione può essere definita come quel provvedimento median-te il quale la P.a., nell’esercizio di un’attività discrezionale in funzio-ne preventiva (e normalmente ad istanza dell’interessato) provvede alla rimozione di un limite legale posto all’esercizio di un’attività inerente ad un diritto soggettivo o ad una potestà pubblica che devono necessariamente preesistere in capo al destinatario.da ciò si evince che si tratta di un provvedimento discrezionale che incide su diritti, condizionandone l’esercizio, a carattere ampliativo del-la sfera soggettiva dei privati, titolari di interessi legittimi pretensivi, ma non costitutivo, in quanto esso non crea diritti o poteri nuovi in capo al destinatario, ma legittima solo l’esercizio di diritti o potestà già preesistenti nella sfera del soggetto.

Tra i provvedimenti analoghi all’autorizzazione ricordiamo:— l’abilitazione, che consente l’attività di cui trattasi sulla base di un riscontro tecnico

circa la sussistenza dei requisiti di idoneità richiesti dalla legge;— l’approvazione, mediante il quale l’autorità competente esercita un controllo pre-

ventivo di merito sull’atto o attività compiuta;— il nulla-osta, con cui una autorità amministrativa dichiara di non avere osservazio-

ni in ordine all’adozione di un provvedimento da parte di un’altra autorità;— la licenza, con cui si consente l’esplicazione di una certa attività (se alla licenza pree-

siste un diritto soggettivo condizionato, si è in presenza di una specie del genus auto-rizzazione; se, viceversa, alla stessa preesiste un interesse legittimo si è in presenza del-la cosiddetta «licenza in senso tecnico», cioè di un provvedimento con il quale la P.a., nell’esercizio di un’attività discrezionale, conferisce a determinati soggetti nuovi diritti);

— la registrazione, volta a rimuovere un limite legale all’esercizio di un diritto, ma che, a differenza dell’autorizzazione, non è provvedimento discrezionale;

— la dispensa, provvedimento con il quale la P.a., sulla base di una valutazione discre-zionale, consente ad un soggetto di esercitare un’attività o compiere un atto in de-roga ad un divieto di legge, ovvero esonera il soggetto dall’adempimento di un ob-bligo e, a differenza dell’autorizzazione, consente al destinatario di esercitare un di-ritto che non preesiste all’atto, ma è di nuova costituzione.

86 Che differenza c’è tra la concessione ammini-strativa e l’autorizzazione?

La concessione amministrativa, al pari dell’autorizzazione, viene ri-condotta nell’alveo della più generale categoria dei provvedimenti fa-

L’attività della P.A.: il provvedimento amministrativo e la patologia dell’atto 83

vorevoli. essa, in particolare, viene tradizionalmente definita come il provvedimento amministrativo con cui la P.A. conferisce ex novo posizioni giuridiche attive al destinatario, ampliandone così la sfera giuridica (rOMaNO e saNduLLi).in particolare, la dottrina più moderna ha definito le concessioni come quei provvedimenti con i quali le «amministrazioni pubbliche (conceden-ti), in base alla legge, trasferiscono ad altro soggetto (concessionario) le facoltà di esercizio di propri poteri o diritti, che, pertanto, rimangono, talvolta, limitate o costituiscono, ex novo, in suo favore, diritti o status (a titolo esemplificativo, concessione di cittadinanza) che, anteriormen-te, non erano esistenti nella sfera giuridica dell’amministrazione o del destinatario della concessione» (MiraBeLLa).al fine di comprendere la distinzione con le autorizzazioni, la dottrina (sCOCa) ha ope-rato una ricostruzione dei due istituti che parte dalle diverse ipotesi in cui un bene o una attività sia o meno nella disponibilità teorica del privato (il quale può essere titolare di un diritto, di una libertà o, più semplicemente, di una possibilità di fatto).Mentre nel primo caso è necessario che intervenga un provvedimento dell’amministrazione, l’autorizzazione, affinché la disponibilità teorica del privato diventi concreta, e quindi ef-fettiva, nella seconda ipotesi, ossia in caso di indisponibilità teorica, il provvedimento ammi-nistrativo, la concessione, ha il diverso effetto di creare la disponibilità del privato. Par-tendo da tale presupposto teorico è stato, quindi, ritenuto che «l’autorizzazione serve, in altri termini, a verificare se l’attività che si assume essere nella disponibilità del privato possa es-sere svolta, ed eventualmente in qual modo e a quali condizioni per non contrastare con in-teressi pubblici (…). La concessione è funzionalmente molto più semplice, dato che serve ad attribuire diritti, qualità, qualifiche onorifiche ai privati, in genere utilitates, sia trasferendo di-ritti riservati all’amministrazione sia costituendo ex novo diritti prima inesistenti».Conseguenza di tale impostazione è il diverso ruolo che assume l’interesse del pri-vato rispetto all’interesse pubblico: mentre nell’autorizzazione prevalente è l’interesse del privato, che ancor prima dell’adozione del provvedimento amministrativo è astratta-mente titolare di una posizione qualificata rispetto al bene o all’attività di cui si tratta, nel-la concessione l’eventuale attribuzione al privato delle utilitates è subordinata al rispet-to delle esigenze dell’interesse pubblico, per cui degli interessi privati «si tiene conto solo se e nella misura in cui coincidono (o non collidono) con quelli pubblici».

in conseguenza della distinzione tra i due istituti, diversi sono anche gli effetti che dagli stessi scaturiscono. L’effetto tipico della concessione, infatti, è quello di «attribuire al destinatario medesimo status e situazioni giuridiche (diritti) che esulavano dalla sua sfera giuridica in quanto prece-dentemente egli non ne era titolare» (CaseTTa), ovvero, più specifica-mente, l’attribuzione al privato «di utilità patrimoniali (utilizzazione di beni, esercizio di attività) o anche non patrimoniali (cittadinanza, cambiamen-to o aggiunta di cognomi, onorificenze)» (sCOCa) rispetto alle quali lo

84 Parte Quinta

stesso non vanta alcun diritto. altra parte della dottrina (MiraBeLLa) ha evidenziato che mentre l’effetto dell’autorizzazione è quello di rimuo-vere «un limite legale, cioè un vincolo di carattere giuridico, all’esercizio di un potere preesistente nella sfera giuridica del destinatario», la conces-sione «conferisce la facoltà di esercizio di nuovi poteri o diritti».

87 Come si classificano tradizionalmente le con-cessioni?

La dottrina tradizionalmente distingue le concessioni in traslative e co-stitutive:

— le concessioni traslative sono quelle con le quali si trasferisce al «concessionario una utilitas che è nella disponibilità dell’amm-ministrazione» (sCOCa), ossia «diritti e potestà di cui è titolare l’amministrazione, ma che essa non intende esercitare direttamen-te» (PerFeTTi);

— le concessioni costitutive, invece, si configurano quando si asse-gna «una utilitas di nuova creazione al concessionario» (sCOCa), ovvero «diritti o potestà che non trovano corrispondenti in quelli dell’amministrazione» (PerFeTTi).

Le concessioni traslative possono essere (virGa):

a) traslative di poteri o facoltà su beni pubblici (cd. concessioni reali). Tale ca-tegoria corrisponde a quella comunemente indicata come «concessioni di beni».

b) traslative di potestà pubbliche appartenenti alla P.A. Per effetto di esse, il con-cessionario — che deve essere un soggetto particolarmente qualificato — acquista que-gli stessi poteri pubblicistici che aveva la P.a. (es. concessione esattoriale delle imposte);

c) traslative di pubblici servizi. La concessione di pubblici servizi è una concessio-ne traslativa e, al tempo stesso, uno dei mezzi con cui è spesso attribuito a privati l’esercizio di pubbliche funzioni.

Le concessioni costitutive possono essere:

a) costitutive di diritti subiettivi. Tali concessioni fanno sorgere ex novo diritti per il destinatario (es. il decreto per il cambiamento di nomi e cognomi);

b) costitutive di diritti all’esercizio di professioni in cui sia limitato il nume-ro degli esercenti. Per l’esercizio di professioni basta, di solito, un atto abilitativo o un atto di ammissione (in genere subordinato ad un accertamento tecnico: cd. iscri-zioni). in alcuni casi, in considerazione del pubblico interesse, l’esercizio di certe pro-fessioni è limitato ad un determinato numero di esercenti, stabilito in base a criteri determinati. Per l’esercizio di queste ultime è, quindi necessario un vero e proprio provvedimento di concessione da parte delle P.a.

L’attività della P.A.: il provvedimento amministrativo e la patologia dell’atto 85

88 Che cosa è la Scia?

La segnalazione certificata di inizio attività (scia), disciplinata dall’art. 19 L. 241/1990, come novellato, da ultimo, dal d.L. 78/2010, conv. in L. 122/2010, si sostituisce alla previgente dichiarazione di inizio at-tività (dia), e si colloca nella prospettiva di facilitare la semplificazione nonché la liberalizzazione delle attività amministrative: ratio di tale isti-tuto è, infatti, sostituire ad un provvedimento della P.a., l’autorizzazio-ne, una semplice «denuncia» (oggi, appunto, una segnalazione) dell’in-teressato, ai fini dell’avvio di attività o lavori.infatti, l’art. 19 dispone che ogni atto di autorizzazione, licenza, conces-sione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l’eser-cizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento di requisiti e pre-supposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a conte-nuto generale, e non sia previsto alcun limite o contingente comples-sivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio de-gli atti stessi, è sostituito da una segnalazione dell’interessato.

sono escluse dall’applicazione della Scia le ipotesi in cui sussistano vincoli ambien-tali, paesaggistici o culturali e quelle relative agli atti rilasciati dalle amministrazioni pre-poste alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all’immigrazione, all’asilo, alla cittadi-nanza, all’amministrazione della giustizia, all’amministrazione delle finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco, nonchè di quel-li imposti dalla normativa comunitaria (art. 19, comma 1); a tali ipotesi devono aggiunger-si, inoltre, quelle in cui vengono in rilievo le attività economiche a prevalente carattere fi-nanziario, comprese quelle in materia bancaria e creditizia e di intermediazione finanziaria (art. 19, comma 4bis, inserito dal D.L. 125/2010, conv. in L. 1-10-2010, n. 163), dal legislatore espressamente sottratte dall’applicazione della disposizione de qua.

Per poter validamente esercitare l’attività d’impresa, ed evitare di incor-rere nell’attività inibitoria dell’amministrazione, l’interessato deve pre-sentare la segnalazione corredata da autocertificazioni, attesta-zioni, asseverazioni di tecnici abilitati, che consentano alla P.a. di svolgere la propria attività di controllo. Ove il fatto non costituisca più grave reato, chiunque, nelle dichiarazioni o attestazioni o assevera-zioni che corredano la segnalazione di inizio attività, dichiara o attesta falsamente l’esistenza dei requisiti o dei presupposti necessari è punito con la reclusione da uno a tre anni.

86 Parte Quinta

L’attività cui si riferisce la segnalazione può essere iniziata im-mediatamente, già dalla data di presentazione della stessa all’amministrazione competente.Tale esercizio dell’attività non preclude, però, il potere di intervento dell’amministrazione. La P.a., infatti, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti necessari, può disporre, con provvedimenti motivati, da adottarsi nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione, il divieto di proseguire l’attività e la rimozio-ne degli eventuali effetti dannosi.decorso il termine di 60 giorni dalla segnalazione, senza che sia intervenuto alcun provve-dimento amministrativo interdittivo, l’amministrazione, oltre che agire in autotutela, può co-munque intervenire sull’attività intrapresa, solo, però, «in presenza del pericolo di un danno per il patrimonio artistico e culturale, per l’ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo motivato accertamento dell’impossibilità di tutelare comunque tali interessi mediante conformazione dell’attività dei privati alla normativa vigente».

89 Quando un provvedimento amministrativo è valido ed efficace?

Può dirsi che un provvedimento amministrativo è efficace quando è idoneo a produrre gli effetti giuridici per i quali è stato posto in essere. Ciò in quanto si è completata la fase di formazione dello stesso cd. integrativa dell’efficacia.La validità di un provvedimento attiene, invece, alla circostanza che lo stesso è esente da vizi, per cui è perfettamente conforme al para-digma normativo di riferimento, previsto in astratto dal legislatore.in particolare, quanto all’efficacia, i provvedimenti amministrativi sono tutti esecutivi, nel senso che sono in grado di «produrre automaticamen-te ed immediatamente i propri effetti, allorché l’atto sia divenuto effi-cace» (CaseTTa). Partendo dalla sua definizione, la dottrina ha osser-vato che l’esecutività, pertanto, esprime «una qualità dell’efficacia ed è resa possibile proprio dal carattere imperativo del provvedimen-to» (sPasiaNO).

Per quanto riguarda la produzione degli effetti, il legislatore, ha previsto, all’art. 21bis della L. 241/1990, che il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati acqui-sta efficacia nei confronti di ciascun destinatario dal momento in cui viene effettuata la relativa comunicazione allo stesso; mentre, il successivo art. 21quater del medesimo te-

L’attività della P.A.: il provvedimento amministrativo e la patologia dell’atto 87

sto normativo prevede che l’efficacia di un provvedimento amministrativo possa essere sospesa, per gravi ragioni e per il tempo strettamente necessario, dallo stesso organo che ha emanato l’atto ovvero da altro organo previsto dalla legge.in ogni caso, stante il loro diverso ambito di operatività, non vi è corrispondenza fra ef-ficacia e validità, per cui un provvedimento amministrativo perfetto ed efficace può ben essere invalido, in quanto adottato violando prescrizioni di legge.

90 Che differenza c’è tra esecutività ed esecutorie-tà del provvedimento amministrativo?

i due concetti — esecutività ed esecutorietà — pur differenti dal punto di vista giuridico, sono strettamente connessi, essendo entram-bi attinenti alla fase di esecuzione di un provvedimento amministrativo, a prescindere dalla legittimità o meno dello stesso.in particolare, l’esecutività di un provvedimento amministrativo con-siste nella sua idoneità «a produrre automaticamente ed imme-diatamente i propri effetti, allorché l’atto sia divenuto efficace» (Ca-seTTa). ed invero, il legislatore ha posto come regola generale quella per cui, salvo espressa previsione in senso contrario contenuta nella legge o nel corpo dell’atto, i provvedimenti amministrativi sono «ese-guiti immediatamente» (art. 21quater L. 241/1990). Ferma tale re-gola generale, può succedere che la P.a. debba porre in essere un’at-tività di esecuzione al fine di adeguare la situazione di fatto alla situazio-ne di diritto disposta con il provvedimento.in tale prospettiva, con l’espressione esecutorietà del provvedimento amministrativo (art. 21ter L. 241/1990) si indica la possibilità che la sua esecuzione «sia compiuta, in quanto espressione di autotu-tela, direttamente e coattivamente dalla pubblica amministrazione, senza dover ricorrere previamente ad un giudice» (CaseTTa).

91 Quali sono i vizi che può presentare un prov-vedimento amministrativo?

si considera vizio dell’atto amministrativo la divergenza tra la fat-tispecie in concreto posta in essere dalla P.A., nell’esplicazione del potere attribuitole, ed il modello astratto predeterminato in sede normativa.

88 Parte Quinta

al fine di rilevare un vizio dell’atto è, pertanto, necessario procedere ad una comparazione tra l’atto posto in essere ed il modello astratto. in diritto amministrativo esiste una particolarità in base alla quale la fat-tispecie astratta deve rispondere ad un duplice criterio: essa deve esse-re conforme alle norme di legge, da un lato, ed alle regole di oppor-tunità, dall’altro. si tratta di due parametri costituzionalizzati nell’art. 97 Cost., che sancisce il principio di legalità, nonché quello di buona amministrazione.Ne consegue che i vizi suscettibili di inficiare l’atto amministrativo pos-sono essere vizi di legittimità (qualora l’atto si discosti da quanto di-sposto dalle norme imperative) e vizi di merito (qualora l’atto, sebbe-ne conforme alle norme, non sia rispondente alle regole di buona am-ministrazione).La rilevanza dei vizi di merito trova la propria ratio giustificatrice nel fatto che l’attività della P.a. è un’attività funzionalizzata, nel senso che essa non solo deve essere conforme alle norme di legge, ma deve es-sere, comunque, protesa alla realizzazione dell’interesse pubblico (causa del potere).

92 Quali sono le conseguenze dell’invalidità di un atto amministrativo?

L’invalidità dell’atto amministrativo illegittimo, intesa come difformità dell’atto dalla norma di riferimento, può sfociare in due forme di pa-tologia a seconda della gravità dei vizi che l’atto può presentare:

— l’atto è nullo se manchevole di taluno degli elementi essenziali ri-chiesti dalla legge, se è viziato da difetto assoluto di attribuzione, se è stato adottato in violazione o elusione del giudicato, nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge;

— è annullabile quando sia stato adottato in violazione di legge o sia viziato da eccesso di potere o da incompetenza.

Mentre la prima comporta l’assoluta insuscettibilità dell’atto di produr-re effetti, la seconda conduce ad una efficacia interinale dell’atto, desti-nata ad essere caducata in caso di azione giudiziaria di annullamento.L’atto amministrativo inficiato da un vizio di merito è invece inoppor-tuno, nel senso che non risponde ad esigenze di opportunità o conve-

L’attività della P.A.: il provvedimento amministrativo e la patologia dell’atto 89

nienza: in tal caso, non si configura un vero e proprio vizio, essendo il giudizio sulla sua esistenza legato ad una valutazione (necessariamente soggettiva) sul potere di scelta attuato dalla P.a.: si riterrà viziata una scelta non ritenuta opportuna o conveniente nel caso concreto.

93 Quali sono le cause di nullità del provvedimen-to amministrativo?

L’art. 21septies della L. 241/1990 prevede, espressamente e in via generale, un numerus clausus di cause di nullità del provvedimen-to amministrativo.

È nullo, invero, il provvedimento che:

— manca degli elementi essenziali;— è viziato da difetto assoluto di attribuzione;— è stato adottato in violazione o elusione del giudicato;— negli altri casi espressamente previsti dalla legge.

La nullità comporta le seguenti conseguenze sull’atto amministrativo:

— inesistenza giuridica dell’atto, e, quindi, inefficacia dello stesso (quod nullum est, nullum effectum producit);

— inesecutorietà: l’atto nullo è inefficace e, come tale, anche inesecutorio. Qualora all’atto nullo, venga data esecuzione, al soggetto compete il cd. diritto di resistenza;

— inannullabilità: l’atto nullo è inesistente e, come tale, non può essere annullato;— insanabilità e inconvalidabilità: l’atto nullo non può essere sanato né convalidato.

È, invece, ammessa la conversione in altro atto valido dell’atto nullo che presenti i requi-siti e gli elementi essenziali del nuovo atto e realizzi, se convertito nell’atto diverso, l’in-teresse pubblico.

94 Quali sono i vizi che comportano l’annullabilità del provvedimento amministrativo?

si ha annullabilità quando l’atto amministrativo esistente presenti dei vizi di legittimità che incidono su elementi essenziali di esso, tali da determinarne l’illegittimità.Originaria fonte positiva dei vizi di legittimità era l’art. 26 del r.d. 1054/1924, T.u. delle leggi del Consiglio di stato, oggi abrogato dal

90 Parte Quinta

Codice del processo amministrativo (D.Lgs. 104/2010), che individuava tre categorie di vizi: incompetenza, eccesso di pote-re, violazione di legge.Tale tripartizione è oggi rinvenibile anche nell’art. 21octies, inserito nel Capo ivbis (Efficacia ed invalidità del provvedimento amministrativo. Revoca e recesso), della L. 241/1990, nonché nell’art. 29 del citato Codice del processo amministrativo, che menziona l’azione di an-nullamento per violazione di legge, eccesso di potere e incompetenza.È illegittimo, pertanto, l’atto amministrativo esistente che presenta un vizio in uno dei suoi elementi essenziali e, pertanto, risulta difforme dalla normativa che disciplina i requisiti richiesti per la sua validità. Poiché l’atto amministrativo è preordinato alla realizzazione di deter-minati fini pubblici, ove sia contra ius, l’ordinamento lo sanziona qua-lificandolo illegittimo e, come tale, caducabile e suscettibile di annul-lamento. La sanzione predisposta dall’ordinamento si risolve nella pos-sibilità di eliminazione dell’atto perché illegittimo.

dalla illegittimità va tenuta distinta l’illiceità, che si concretizza, invece, nella violazio-ne di norme giuridiche che non disciplinano atti, bensì sanzionano comportamen-ti lesivi di diritti soggettivi altrui. illecito, pertanto, non può essere mai un atto, ma sempre e solo un comportamento contra ius, al quale la legge ricollega una responsa-bilità e un’assoggettabilità a sanzione per l’autore dell’illecito.

95 A quale tipo di incompetenza il legislatore ri-collega l’illegittimità dell’atto amministrativo, con possibilità di annullamento dello stesso?

È innanzitutto opportuno chiarire che si determina incompetenza quando un organo della P.a. agisce al di là del complesso di pote-ri e di funzioni che esso può esercitare.si ha incompetenza assoluta quando l’atto adottato dalla P.a. è ine-rente ad una materia riservata ad altro potere dello stato ovvero quan-do lo stesso, pur rientrando in una materia affidata all’amministrazione è adottato da un soggetto nell’esercizio di un potere estraneo alle sue attribuzioni; si ha incompetenza relativa quando la violazione della nor-ma che individua il «quantum di funzioni spettante all’organo» (CaseT-Ta) è compiuta da soggetto (colui che adotta l’atto) nei confronti di un altro soggetto appartenente allo stesso ramo dell’amministrazione.

L’attività della P.A.: il provvedimento amministrativo e la patologia dell’atto 91

Perché si determini illegittimità dell’atto amministrativo, con conse-quenziale possibilità di chiedere l’annullamento dello stesso al giudice amministrativo, è necessario che si realizzi un’ipotesi di incom-petenza relativa; l’incompetenza assoluta, infatti, determina nullità dell’atto per carenza di potere.

96 Quali presupposti devono sussistere perché si configuri il vizio dell’eccesso di potere?

L’eccesso di potere è una figura difficilmente inquadrabile in rigidi schemi predefiniti, stante il nesso tra tale tipologia di vizio ed il potere discrezionale della P.a.ed invero, la dottrina ha fornito numerose definizioni dell’eccesso di potere, mettendo, di volta in volta, in rilievo i diversi aspetti in cui que-sto può manifestarsi: in tal modo, l’eccesso di potere è stato definito quale cattivo uso del potere da parte della P.A. (QuaraNTa); o l’insieme delle violazioni di quei limiti interni che, pur non essendo con-sacrati in norme positive, sono inerenti alla natura del potere eserci-tato (es.: precetti di logica ed imparzialità) (virGa); ovvero quale «ri-svolto patologico della discrezionalità» che si realizza quando la fa-coltà di scelta della pubblica amministrazione non viene da questa eser-citata in modo corretto (CaseTTa).altri hanno posto l’accento sulla finalità perseguita dall’amministrazio-ne, ritenendo che l’eccesso di potere si configura quando la pubblica amministrazione esercita il potere per finalità diverse da quelle sta-bilite dalla norma attributiva del potere, consistendo in tal caso nello sviamento del potere (GarOFOLi – Ferrari).

Perché si configuri il vizio dell’eccesso di potere occorrono, quindi, tre requisiti:1. un potere discrezionale della P.a.;2. uno sviamento di tale potere, ossia un esercizio del potere per

fini diversi da quelli stabiliti dal legislatore con la norma attributiva dei poteri;

3. la prova dello sviamento, necessaria per far venir meno la pre-sunzione di legittimità dell’atto.

92 Parte Quinta

97 Cosa sono le «figure sintomatiche» dell’eccesso di potere?

Poiché il vizio dell’eccesso di potere è strettamente connesso all’eserci-zio di un potere discrezionale da parte della P.a., ciò implica l’impossi-bilità di accertare in sede giurisdizionale l’esistenza di tale patologia ri-correndo al semplice raffronto tra la fattispecie astratta, normativamen-te prevista, ed il provvedimento amministrativo posto in essere dalla P.a.Proprio al fine di superare una simile difficoltà, sono state elaborate le cd. figure sintomatiche dell’eccesso di potere, in presenza delle quali è possibile presumere l’esistenza del vizio e conseguentemente muo-vere specifiche censure, in sede giurisdizionale, avverso le scelte espres-sione di discrezionalità amministrativa.L’elencazione delle figure sintomatiche non può considerarsi categori-ca e chiusa, ben potendo l’autorità giurisdizionale individuare, di volta in volta, in relazione al caso concreto, altri e diversi indici dai quali de-sumere il vizio de quo.in ogni caso, tra le figure sintomatiche dell’eccesso di potere più rile-vanti si devono ricordare: sviamento di potere; travisamento ed erronea valutazione dei fatti; illogicità o contraddittorietà del-la motivazione; contraddittorietà tra più atti; inosservanza di circolari; disparità di trattamento; ingiustizia manifesta; alcu-ne ipotesi di violazione e di vizi del procedimento.

98 In quali ipotesi può configurarsi il vizio della violazione di legge?

si ha illegittimità per violazione di legge in ogni caso di diver-genza dell’atto amministrativo dal paradigma normativo di ri-ferimento.La violazione di legge deve considerarsi una figura residuale in quan-to comprende tutte quelle specie di vizi che non rientrano nelle due pre-cedenti categorie.

i casi di violazione di legge possono così raggrupparsi:

a) vizio di forma: e cioè inosservanza delle regole prescritte per la manifestazione di volontà (la mancanza assoluta di forma è, invece, causa di nullità);

L’attività della P.A.: il provvedimento amministrativo e la patologia dell’atto 93

b) difetto di motivazione o motivazione insufficiente: quando, rispettivamente, si omette di prendere in considerazione qualcuna delle circostanze rilevanti o di ponderare eventuali interessi rilevan-ti o si motiva esclusivamente riferendosi ad elementi irrilevanti o in-sufficienti (ex art. 3 L. 241/1990);

c) inosservanza delle disposizioni relative alla valida costitu-zione dei collegi: quali le norme per la convocazione, le votazio-ni, i quorum, la verbalizzazione etc.;

d) contenuto illegittimo;e) difetto di presupposti legali;f) violazione dei criteri di economicità, efficacia, imparzialità, pub-

blicità e trasparenza dell’azione amministrativa di cui all’art. 1 L. 241/1990.

99 Che rimedi contempla l’ordinamento contro gli atti illegittimi e inopportuni?

un atto amministrativo viziato può essere preservato con un atto o un procedimento che, anziché eliminare l’atto viziato, lo sani o ne pro-vochi la conservazione, oppure eliminato attraverso: una sentenza dell’autorità giurisdizionale amministrativa (T.A.R., Consiglio di Sta-to); una decisione amministrativa provocata da un ricorso dell’inte-ressato; un atto amministrativo spontaneo della P.a., diretto a riti-rare l’atto viziato, e perciò detto atto di ritiro (virGa).visto che l’atto amministrativo è indefettibilmente destinato alla realizzazio-ne di interessi pubblici e che tale funzione deve sussistere non solo al mo-mento della sua emanazione, ma anche durante la sua vigenza, si spiega la cd. autotutela della P.A., consistente nel potere di tutelare da sé, uni-lateralmente, la propria sfera d’azione. Gli atti di ritiro sono provvedi-menti amministrativi a contenuto negativo, emanati in base ad un riesa-me dell’atto, compiuto nell’esercizio del medesimo potere amministrati-vo esercitato con l’emanazione dell’atto, al fine di eliminare l’atto viziato (virGa). La dottrina tradizionale (saNduLLi) li classifica tra i provvedi-menti di 2° grado in quanto operano su precedenti provvedimenti.

Gli atti di ritiro presentano i seguenti caratteri (virGa):a) sono discrezionali, quanto alla emanazione;b) sono provvedimenti esecutori;

94 Parte Quinta

c) sono provvedimenti formali;d) devono essere motivati obbligatoriamente (v. anche art. 3 L. 241/1990);e) sono provvedimenti ricettizi;f) sono soggetti alle regole della L. 241/1990 in tema di silenzio rifiuto e di obbligo di

comunicazione dell’avvio del procedimento e di partecipazione al procedimento.

secondo virGa, gli atti di ritiro sono: l’annullamento d’ufficio, la re-voca, l’abrogazione, la pronuncia di decadenza, il mero ritiro.

100 In che modo un atto amministrativo viziato può essere sanato?

L’atto amministrativo annullabile può essere, anziché ritirato, sanato con una successiva manifestazione di volontà da parte della P.a.

si distinguono, in proposito, le ipotesi di:

— convalescenza, che tende direttamente a eliminare il vizio che in-ficia l’atto;

— conservazione, che tende a rendere l’atto, nonostante la sua in-validità, inattaccabile da parte dei soggetti destinatari con i ricorsi amministrativi e giurisdizionali.

Nella categoria della convalescenza rientrano: la convalida; la ratifi-ca; la sanatoria. Tra quelli di conservazione, invece: la consolida-zione; l’acquiescenza; la conversione; la conferma.

Parte SeStaIl procedImento ammInIstratIvo

e Il dIrItto dI accesso

101 Che si intende per «procedimento amministra-tivo»?

affinché un atto amministrativo sia perfetto (è tale quando sussistono tutti gli elementi necessari per la sua esistenza giuridica) ed effica-ce (cioè idoneo a produrre gli effetti giuridici propri del tipo al qua-le l’atto appartiene), esso deve essere emanato dopo aver seguito un particolare iter, comprendente più atti ed operazioni che, nel loro complesso, prendono il nome di procedimento amministra-tivo.Prima che entrasse in vigore la legge sul procedimento amministrativo nel 1990, nel nostro ordinamento mancava una disciplina unitaria ed organica concernente il procedimento amministrativo, essendo, infat-ti, rinvenibili unicamente discipline di settore. Con la L. 241/1990, come successivamente novellata dalle leggi 15 e 80 del 2005 e 69/2009, invece, il legislatore ha dettato una normativa di princi-pio applicabile a tutti i procedimenti amministrativi, nella qua-le, da un lato, sono stati fissati i criteri a cui le amministrazioni pubbli-che devono attenersi nello svolgimento delle loro attività, e dall’altro sono state espressamente previste una serie di garanzie poste a tutela delle posizioni giuridiche soggettive dei privati che, di volta in volta, pos-sono venire in contatto con la P.a.il procedimento, quindi, diventa il luogo in cui vengono bilancia-ti interessi pubblici e privati ed il momento nel quale si assiste ad un progressivo e tendenziale avvicinamento delle posizioni di gover-nati e governanti, il tutto in vista del perseguimento del pubblico in-teresse.

96 Parte Sesta

102 A quali principi sono ispirati i criteri dettati dal-la L. 241/1990 in tema di procedimento?

La L. 241/1990 ha introdotto nel nostro ordinamento giuridico una disciplina omogenea valevole per i procedimenti amministrativi in ge-nere.

Trattasi di una normativa che, in armonia con il dettato dell’art. 97 Cost., ha fissato talune regole generali ispirate ai seguenti principi:

1. il principio del giusto procedimento che, garantendo il diritto di partecipazione degli interessati, consacra la dialettica tra inte-ressi pubblici e privati, tendendo alla composizione dei concreti rapporti. ancora, la trasparenza prevede il carattere obbligatorio della motivazione del provvedimento amministrativo, l’obbligo del-la P.a. di identificare preventivamente l’ufficio e il dipendente re-sponsabile del procedimento e il diritto dei cittadini interessati di accedere ai documenti amministrativi;

2. il principio di semplificazione, che introduce taluni istituti diret-ti, in conformità all’art. 97 Cost., a snellire e rendere più celere l’azione amministrativa (silenzio-assenso, conferenze di servizi etc.).

ai suddetti principi sono informate, in particolare, le regole fondamen-tali dettate dal Capo I della L. 241/1990. Tali regole sono:

— economicità, efficacia, imparzialità, pubblicità e trasparen-za. L’enunciazione di tali criteri è la dimostrazione di come il legi-slatore abbia inteso modellare l’azione amministrativa secondo prin-cipi efficientistici e manageriali tipici delle imprese private;

— divieto di aggravamento del procedimento (art. 1, comma 2). Trattasi di un’articolazione dei criteri di economicità e di efficacia, in forza della quale «La pubblica amministrazione non può aggrava-re il procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze im-poste dallo svolgimento dell’istruttoria»;

— obbligo generale di motivazione del provvedimento ammi-nistrativo (art. 3). L’introduzione dell’obbligatorietà della motivazio-ne, nel ricondurre l’azione amministrativa entro i binari del principio di legalità, consente di ritenere che il provvedimento immotivato o insufficientemente motivato sia viziato per violazione di legge e non più, come si riteneva in precedenza, per eccesso di potere.

La L. 15/2005, inoltre, ha inserito nell’impianto della L. 241/1990 un nuovo articolo,

Il procedimento amministrativo e il diritto di accesso 97

il 3bis, con cui introduce formalmente il principio dell’informatizzazione dell’atti-vità amministrativa, disponendo il dovere delle amministrazioni di incentivare l’uso delle tecnologie telematiche nei rapporti tra le PP.a.a nonchè tra queste e i privati.

103 Come si articola la struttura del procedimento amministrativo?

il procedimento amministrativo, alla luce delle più recenti innovazioni legislative, si articola in quattro momenti principali:

— la fase d’iniziativa, che è il momento propulsivo del procedi-mento, diretto a predisporre e accertare i presupposti dell’atto da emanare. si possono avere procedimenti ad inizia-tiva di parte e procedimenti ad iniziativa d’ufficio. una volta aperta la fase d’iniziativa, la L. 241/1990 ha previsto tre obblighi incombenti sull’amministrazione procedente: la previsione di un ter-mine di conclusione dell’iter procedimentale, la individuazione del responsabile del procedimento e la comunicazione dell’avvio del procedimento agli interessati;

— la fase istruttoria, in cui si acquisiscono e si valutano i sin-goli dati pertinenti e rilevanti ai fini dell’emanazione dell’at-to. È normalmente di competenza della stessa autorità cui spetta l’adozione del provvedimento finale, ma il privato può collaborare indicando i mezzi di prova o rispondendo a quesiti e questioni o in-tegrando con documentazioni;

— la fase decisoria, ossia la fase deliberativa del procedimento, in cui si determina il contenuto dell’atto da adottare e si prov-vede alla formazione ed emanazione dello stesso;

— la fase integrativa dell’efficacia, che costituisce un momento solo eventuale, che ricorre nelle sole ipotesi in cui sia la stessa legge a non ritenere sufficiente la perfezione dell’at-to, richiedendo il compimento di ulteriori e successivi atti od operazioni.

La ragione di tale previsione risiede tanto nella necessità di valutare la legittimità o la con-gruità del provvedimento adottato, quanto nella stessa natura di questo, che può richie-dere di esser portato a conoscenza dei destinatari per poter esplicare appieno i propri effetti giuridici.

98 Parte Sesta

104 Entro quali termini deve essere concluso il pro-cedimento amministrativo?

L’art. 2 della legge sul procedimento, al comma 1, sancisce l’obbligo per la pubblica amministrazione di concludere il procedimento ammi-nistrativo con l’adozione di un provvedimento espresso, sia nel caso di procedimenti iniziati ad istanza di parte che per quelli avviati ad ini-ziativa della stessa P.a.

La struttura dell’art. 2 L. 241/1990, quale risultante dalla nuova for-mulazione adottata con la L. 69/2009, prevede che:

— salvo differente termine, stabilito per legge o con diverso provvedi-mento (dPCM, ovvero provvedimento delle autorità di garanzia e di vigilanza per i procedimenti di propria competenza), il termine ge-nerale per la conclusione dei procedimenti amministrativi è di 30 giorni (comma 2 del nuovo art. 2; nella precedente formulazione della norma, invece, era di 90 giorni);

— per le amministrazioni statali, possono essere individuati termini non superiori a 90 giorni per la conclusione dei relativi procedi-menti, mediante decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri. Lo stesso termine è applicato agli enti pubblici economici che «stabi-liscono, secondo i propri ordinamenti, i termini non superiori a no-vanta giorni entro i quali devono concludersi i procedimenti di pro-pria competenza» (comma 3 del nuovo art. 2);

— in presenza di particolari presupposti – sostenibilità dei tempi sotto il profilo dell’organizzazione amministrativa, natura degli interessi pubblici tutelati e particolare complessità del procedimento – il ter-mine di 90 giorni può essere ampliato, fino ad un massimo di 180 giorni, mediante dPCM, adottati su proposta anche dei Ministri per la pubblica amministrazione e l’innovazione e per la semplifica-zione normativa e previa deliberazione del Consiglio dei Ministri. Tale previsione non si applica ai procedimenti di acquisto della cit-tadinanza italiana e a quelli riguardanti l’immigrazione;

— salvo quanto stabilito da specifiche disposizioni normative, «le auto-rità di garanzia e di vigilanza disciplinano, in conformità ai propri ordinamenti, i termini di conclusione dei procedimenti di rispettiva competenza» (novellato art. 2, comma 5).

Il procedimento amministrativo e il diritto di accesso 99

La disciplina dei tempi del procedimento, così come articolata dal legislatore, non si ap-plica ai procedimenti di verifica o autorizzativi concernenti i beni storici, architetto-nici, culturali, archeologici, artistici e paesaggistici, per i quali restano fermi i termini di cui al d.Lgs. 42/2004; allo stesso modo restano ferme le disposizioni di legge e di re-golamento vigenti in materia ambientale (art. 7, comma 4, L. 69/2009).Completa la disciplina relativa alla tempistica procedimentale la norma relativa alla de-correnza del termine di conclusione: nel nuovo testo dell’art. 2, il comma 6 prevede che lo stesso decorre «dall’inizio del procedimento d’ufficio o dal ricevimento della domanda, se il procedimento è ad iniziativa di parte».

105 Quali sono le innovazioni principali introdotte dalla L. 69/2009 in merito alle conseguenze del ritardo della P.A. nel concludere il procedi-mento?

il rilievo attribuito dal legislatore del 2009 alla tempistica del procedi-mento ed alla necessità di dare effettività alle disposizioni sui termini, in un’ottica di efficientismo della pubblica amministrazione, spiega le novità introdotte in merito alle conseguenze del ritardo della P.A. nei riguardi sia dei cittadini destinatari dell’attività amministrativa che dei dirigenti ai quali può essere imputato il ritardo.

Quanto ai dirigenti pubblici, il legislatore ha attribuito loro un ruolo centrale nello svolgimento dell’attività amministrativa, per cui:

— la mancata emanazione del provvedimento nei termini co-stituisce elemento di valutazione della responsabilità dirigenziale (art. 2, comma 9, L. 241/1990 come sostituito dalla L. 69/2009);

— il rispetto dei termini per la conclusione dei procedimenti rappresenta un elemento di valutazione dei dirigenti: di esso si tie-ne conto al fine della corresponsione della retribuzione di risultato (art. 7, comma 2, L. 69/2009).

in un’ottica di efficientismo si colloca anche il nuovo art. 2bis L. 241/1990, il quale ha previsto in capo alla pubblica amministrazione una responsabilità per l’ipotesi di inosservanza dolosa o colpo-sa del termine di conclusione del procedimento.Preliminarmente, si deve osservare che la previsione si applica sia alle pubbliche amministrazioni che ai privati preposti all’esercizio di attività amministrativa. inoltre, è stabilito l’obbligo di risarcimento del «dan-

100 Parte Sesta

no ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento».

ai sensi dell’art. 30, comma 4, del Codice del processo amministrativo, tale azio-ne risarcitoria è sottoposta al termine decadenziale di 120 giorni, che non inizia a de-correre fintanto che perdura l’inadempimento. esso inizia comunque a decorrere dopo un anno dalla scadenza del termine di provvedere. si ricorda, inoltre, che ai sensi dell’art. 133 del Codice, le controversie in materia risarcimento del danno de quo sono devolu-te alla giurisdizione esclusiva del G.a.

106 Qual è la ratio della individuazione del respon-sabile del procedimento?

La L. 241/1990, agli artt. 4, 5 e 6, ha introdotto, in ossequio al princi-pio di trasparenza, una disciplina che prevede l’individuazione, nell’am-bito dell’unità organizzativa competente, del responsabile del procedi-mento, la comunicazione agli interessati dell’unità organizzativa e del no-minativo del responsabile e la precisazione dei compiti di quest’ultimo.La ratio dell’introduzione della figura del responsabile del procedimen-to può proprio rinvenirsi nell’esigenza di attuazione dei principi di trasparenza ed efficienza dell’azione amministrativa, unitamen-te alla piena responsabilizzazione degli amministratori preposti alla gestione del procedimento; ancora, scopo della norma in esame è di evitare rallentamenti dell’azione amministrativa, spesso causati dalla mancanza di un responsabile che conduca il procedimento, istruendo-ne le diverse fasi, verso la sua fisiologica conclusione.infatti, il responsabile del procedimento si presenta come interlocu-tore tra amministrazione e cittadini, quale soggetto deputato alla definizione e decisione delle istanze avanzate dai privati.

Ex art. 6 L. 241/1990, spetta al responsabile del procedimento:

— valutare, ai fini istruttori, le condizioni di ammissibilità, i requisiti di legittimazione e i presupposti rilevanti per l’emanazione del provvedimento finale;

— compiere tutti gli atti di istruttoria necessari, quali accertamenti tecnici, ispezioni, richiesta di documenti, di rettifiche o di dichiarazioni etc.;

— proporre l’indizione o, avendone la competenza, indire le conferenze di servizi di cui all’art. 14;

— curare le comunicazioni, pubblicazioni e notificazioni previste dalle leggi e dai rego-lamenti;

— adottare, se ne ha la competenza, il provvedimento finale, ovvero trasmettere gli atti all’organo competente per l’adozione.

Il procedimento amministrativo e il diritto di accesso 101

107 Vi sono delle eccezioni all’obbligo di comunica-re l’avvio del procedimento?

La comunicazione di avvio del procedimento riveste una importanza strategica all’interno del procedimento amministrativo, in quanto stru-mento essenziale per attivare la partecipazione dei privati allo stesso. La comunicazione, nella quale devono essere indicati l’oggetto del procedimento, l’amministrazione competente, il nominativo del re-sponsabile del procedimento, la data entro cui deve concludersi lo stes-so e i rimedi esperibili in caso di inerzia della P.a., va effettuata nei con-fronti dei destinatari del provvedimento finale, dei soggetti che per legge devono intervenire nel procedimento e dei terzi che possono ricevere un pregiudizio dal provvedimento finale.Le eccezioni sono esplicitamente stabilite dal legislatore: si tratta dei procedimenti cautelari e di quelli per cui sussistono ragioni di impedi-mento derivanti da peculiari esigenze di celerità connesse al procedi-mento stesso. in secondo luogo, la partecipazione subisce delle de-roghe anche in caso di procedimenti amministrativi diretti alla emana-zione di atti normativi e amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione.

108 Qual è lo scopo della introduzione, nella disci-plina del procedimento amministrativo, dell’isti-tuto del preavviso di rigetto?

Nell’ottica di ridurre il contenzioso tra cittadini e P.a. e di rafforzare la trasparenza dell’azione amministrativa, la L. 15/2005 ha aggiunto l’art. 10bis alla L. 241/1990, con il quale è stato previsto che, nei pro-cedimenti ad istanza di parte, il responsabile del procedimento o l’autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, deve comunicare tempestivamente agli interessati i motivi ostativi all’acco-glimento della domanda. Gli interessati hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti.La suddetta comunicazione interrompe i termini di conclusione del pro-cedimento che iniziano nuovamente a decorrere dalla data di presen-tazione delle osservazioni.

102 Parte Sesta

Laddove le osservazioni non vengano accolte ne va data ragione nel provvedimento finale. Si tratta di una importante applicazione del prin-cipio del giusto procedimento che consente ai privati di tutelare i pro-pri interessi già nel corso del procedimento, che senza dovere necessa-riamente attendere la conclusione dell’iter procedimentale ed impugna-re, in via amministrativa o giurisdizionale, il provvedimento finale.La L. 15/2005 ha voluto, in particolare, sviluppare questo aspetto estendendo la partecipazione anche alla fase predecisionale del pro-cedimento, nel caso in cui l’amministrazione ritenga che vi siano i pre-supposti per l’adozione di un provvedimento negativo in un procedi-mento ad istanza di parte.

109 Quali sono le tipologie di conferenza di servizi previste dalla L. 241/1990?

La conferenza di servizi è uno strumento di semplificazione del pro-cedimento, finalizzato alla sua accelerazione e al coordinamento tra le amministrazioni sugli interessi coinvolti.La legge sul procedimento amministrativo prevede due tipi principali di conferenze: istruttoria e decisoria.L’art. 14 della L. 241/1990, ai commi 1 e 3, disciplina la conferen-za di servizi istruttoria. In particolare, il comma 1, nella versione no-vellata dall’art. 49 D.L. 78/2010, conv. in L. 122/2010, prevede che, qualora sia opportuno effettuare un esame contestuale di vari inte-ressi pubblici coinvolti in un procedimento amministrativo, l’ammini-strazione procedente può indire una conferenza di servizi; in tal modo, si rimette alla discrezionalità della P.A. la decisione della convocazione.L’art. 14, comma 2, come modificato anch’esso dal D.L. 78/2010 cit., disciplina, invece, la conferenza di servizi decisoria, che viene con-vocata quando bisogna assumere decisioni concordate tra varie am-ministrazioni, in sostituzione dei previsti atti di concerto, nulla osta, in-tese o atti di assenso comunque denominati.Il successivo art. 14bis, inoltre, disciplina la cd. conferenza di ser-vizi preliminare, ossia quella conferenza che può essere convocata quando vengono in rilievo progetti di particolare complessità e di in-sediamenti produttivi di beni e servizi, su motivata richiesta dell’inte-ressato, prima della presentazione di una istanza o di un progetto defi-

Il procedimento amministrativo e il diritto di accesso 103

nitivo, al fine di verificare quali siano le condizioni per ottenere, alla loro presentazione, i necessari atti di consenso. in tale ipotesi, la conferen-za si pronuncia entro trenta giorni dalla data della richiesta e i relativi costi sono a carico del richiedente.

si ricorda, infine, che le norme sulla conferenza di servizi, attraverso la modifica dell’art. 29 L. 241/1990 ad opera del d.L. 78/2010, conv. in L. 122/2010, vengono inserite tra i livelli essenziali delle prestazioni, ex art. 117, comma 2, lett. m) Cost., che de-vono essere garantiti in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale.

110 Qual è la differenza tra accordi sostitutivi e accordi integrativi del provvedimento?

L’azione amministrativa si sviluppa normalmente attraverso l’emana-zione di provvedimenti unilaterali destinati ad incidere sulla realtà giu-ridica dei privati; tuttavia, negli ultimi anni, la legislazione in materia di atti e procedimenti si è evoluta da un modello di esercizio autori-tativo-unilaterale ad un modello di esercizio consensuale-con-trattuale della potestà amministrativa.Momenti fondamentali di questa evoluzione sono rappresentati dagli ac-cordi integrativi e sostitutivi del provvedimento, previsti dall’art. 11 della L. 241/1990 nonchè dall’art. 34 D.Lgs. 267/2000, che di-sciplina gli accordi di programma tra amministrazioni pubbliche, con cui queste ultime concordano le modalità di programmazione e di ese-cuzione di interventi pubblici, coordinando le rispettive azioni.

L’art. 11 L. 241/1990, in particolare, prevede due forme di accordi:

a) gli accordi integrativi. si tratta di accordi conclusi dall’ammini-strazione procedente con gli interessati al fine di determinare il con-tenuto del provvedimento. La previsione di tali accordi conferma l’accoglimento legislativo della concezione che considera il procedi-mento alla stregua di un luogo di confronto dialettico tra priva-ti e P.A. ed il provvedimento come risultante di questo confronto;

b) gli accordi sostitutivi. Mentre gli accordi procedimentali precedono il provvedimento e ne determinano il contenuto, gli accordi sostitutivi sono stipulati in sostituzione del provvedimento amministrativo.

il Codice del processo amministrativo, recato dal D.Lgs. 104/2010, prevede la giurisdizione esclusiva del G.a. in merito alle controversie sulla formazione, esecuzione e conclusione degli accordi.

104 Parte Sesta

111 Perché si ritiene che il diritto di accesso ai do-cumenti amministrativi costituisca diretta at-tuazione del principio di trasparenza?

il diritto di accesso ai documenti amministrativi, inteso come diritto de-gli interessati di prendere visione ed estrarre copia dei documen-ti amministrativi, si configura come una delle più rilevanti e concrete espressioni del principio della trasparenza dell’attività amministrativa.L’entrata in vigore della legge sul procedimento amministrativo ha se-gnato una svolta in questa prospettiva: si è parlato, infatti, di una vera e propria rivoluzione «copernicana», che ha capovolto gli assetti prece-denti dell’azione amministrativa e, soprattutto, i rapporti tra ammini-strazione ed amministrati, nella prospettiva di una sempre crescente de-mocraticizzazione e trasparenza della prima.La trasparenza è uno degli aspetti principali della partecipazione: essa deriva da «trans parere», ossia far apparire, mostrare, lasciare co-noscere. in questo contesto si è parlato dell’amministrazione come «casa di vetro», il cui operato fosse conoscibile agli occhi dei cittadini.L’accesso ai documenti amministrativi costituisce, secondo una felice espressione della dottrina (tra gli altri, CariNGeLLa), un fondamen-tale precipitato applicativo del principio di trasparenza, che ha rivoluzionato la concezione dei rapporti tra amministrazione e citta-dini, sancendo la fine del principio di segretezza dei documenti ammi-nistrativi che, prima dell’entrata in vigore della legge sul procedimento, costituiva la regola nel nostro ordinamento.

112 Chi può accedere ai documenti amministrativi?L’art. 22 della L. 241/1990, come novellato, definisce «interessati» all’ac-cesso ai documenti amministrativi tutti i soggetti privati, compresi quel-li portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso.

L’interesse sotteso ad una richiesta di accesso, a sua volta, deve essere:

— attuale, cioè deve fare riferimento all’istanza in sé considerata e non all’interesse ad agire in giudizio per la tutela immediata della situa-zione sottostante;

Il procedimento amministrativo e il diritto di accesso 105

— personale, ossia deve emergere il collegamento tra il soggetto e l’in-teresse ad accedere;

— concreto, nel senso di tangibilità dell’interesse;— serio e non emulativo, ossia meritevole di protezione in quanto non

finalizzato a recare molestie e turbative.

il soggetto che chiede l’accesso deve esplicitare le ragioni sottese alla richiesta di ostensione, dal momento che non sono ammissibili istan-ze di accesso preordinate ad un generico controllo sull’attività ammini-strativa, alla stregua di un’azione popolare.

113 Perché si parla dell’accesso e della riservatezza come diritti «separati in casa»?

Tra i limiti che vengono posti all’esercizio del diritto di accesso, estrema-mente delicata è la problematica dei rapporti fra accesso e riservatezza.si tratta di due importanti diritti, che sono spesso stati definiti «separa-ti in casa» (così GiaCCHeTTi), in quanto hanno il medesimo ambi-to di applicazione ma costituiscono, allo stesso tempo, l’uno il li-mite dell’altro. infatti, la riservatezza concerne dati personali che pos-sono essere inseriti in documenti amministrativi, a loro volta suscettibi-li di accesso.al di là dei casi specifici, il principio generale nell’attuale ordinamen-to è quello della conciliazione delle due esigenze: ammettere sì l’ac-cesso, ma con modalità ed accorgimenti tecnici tali da non frustrare l’esigenza di riservatezza.Laddove, invece, tali accorgimenti non siano praticabili, muovendo dal presupposto secondo cui la legge n. 241, nel sancire come regola la pubblicità dell’azione amministrativa, capovolge i principi di segretez-za, tra accesso e riservatezza è data prevalenza al primo ove necessa-rio per la cura o la difesa di interessi giuridici, sebbene limitatamente alla possibilità di mera visione.Tendenza comunque recepita dal revisore che, al comma 7 del novel-lato art. 24 della L. 241/1990, stabilisce che «deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri inte-ressi giuridici».

106 Parte Sesta

Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l’acces-so è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall’articolo 60 d.Lgs. 196/2003 (Codice della priva-cy), in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessua-le (cd. dati supersensibili).

114 L’attività amministrativa può essere esercitata mediante strumenti telematici?

L’art. 3bis della L. 241/1990, inserito dalla L. 15/2005, prevede testualmente che «Per conseguire maggiore efficienza nella loro attività, le amministrazioni pubbliche incentivano l’uso della telematica, nei rapporti interni, tra le diverse amministrazio-ni e tra queste e i privati».La ratio della norma in esame è da rinvenire nella sempre più pregnan-te esigenza di semplificare l’attività delle amministrazioni pubbliche at-traverso le tecnologie informatiche e telematiche, nonchè di attuare il potenziamento dei principi di pubblicità e trasparenza.La disposizione in esame si collega idealmente anche con quanto previ-sto dal D.P.R. 445/2000, nel quale è prevista la piena equiparazione tra documento cartaceo e documento informatico nonché, principal-mente, con il D.Lgs. 7-3-2005, n. 82, recante il Codice dell’am-ministrazione digitale, come modificato ed integrato, da ultimo, dal D.Lgs. 235/2010.

La norma in questione può, inoltre, essere raccordata, da un punto di vista delle finalità generali che essa si propone, anche con l’art. 26 della legge sul procedimento ammini-strativo, che stabilisce gli obblighi di pubblicazione che devono essere assolti dalle amministrazioni.

115 Quali novità introduce il Codice dell’ammini-strazione digitale?

il Codice dell’Amministrazione digitale (D.Lgs. 7-3-2005, n. 82) si configura come una specie di «Costituzione del mondo digi-tale», finalizzata alla semplificazione e al riassetto della normativa in materia di informatica nelle pubbliche amministrazioni.

Il procedimento amministrativo e il diritto di accesso 107

Queste in sintesi le novità che racchiude il Codice:

— sono introdotti nuovi diritti per i cittadini e per le imprese e viene definito il quadro giuridico che ne garantisce l’effettivo godi-mento;

— sono introdotti nuovi strumenti digitali e viene consolidata la loro validità giuridica (si ricordi soprattutto la PEC, posta elettronica cer-tificata);

— sono disegnate le basi per la costruzione di un federalismo effi-ciente;

— sono predisposti gli strumenti opportuni per una pubblica am-ministrazione che funzioni meglio e costi meno ai contribuenti.

Tuttavia, la rapida evoluzione delle tecnologie informatiche, la necessi-tà sia di dotare i cittadini e le imprese di strumenti di comunicazione con la P.a. più agili e snelli sia di mettere a disposizione delle imprese e dei pubblici dipendenti mezzi, soprattutto digitali, in grado di incre-mentare l’efficacia e l’efficienza dell’intero sistema pubblico, hanno in-dotto il legislatore ad intervenire massicciamente sul Codice dell’ammi-nistrazione digitale attraverso il D.Lgs. 235/2010.

Tra i nuovi principi e strumenti introdotti dal provvedimento del 2010 si segnalano:

a) l’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione per la presentazio-ne di istanze, dichiarazioni, scambio di informazioni tra imprese e P.a. nonché per l’adozione, da parte di quest’ultima, di provvedimenti amministrativi;

b) l’arricchimento dei siti istituzionali delle PP.aa., su cui incombe anche l’onere di pub-blicare on-line tutti i moduli e i formulari necessari per richiedere l’avvio dei proce-dimenti amministrativi;

c) la possibilità di effettuare tutti i pagamenti alla P.a. attraverso ogni strumento di pa-gamento elettronico disponibile;

d) l’introduzione della firma elettronica avanzata, conforme alla normativa dell’ue, con cui è possibile sottoscrivere un documento con piena validità legale;

e) l’implementazione delle funzioni della PeC;f) la dematerializzazione dei documenti, con l’obbligo per la P.a. di formare gli origi-

nali dei propri documenti utilizzando le tecnologie informatiche;g) il protocollo, in via informatica, di ogni comunicazione inviata tramite posta elettro-

nica certificata tra le PP.aa. e tra queste ultime i cittadini;h) la gestione della conservazione dei documenti e del relativo processo da parte di un

responsabile della conservazione.


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