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70 IL PERSONAGGIO CRISTINA SCOCCHIAcomunicare. Il problema dei social è an-che quello. Quando ci...

Date post: 25-Jun-2020
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70 SPECIALE ASSEMBLEA | DIC. 2018 SPECIALE ASSEMBLEA | DIC. 2018 Cristina Scocchia, CEO di Kiko, ospite del Gruppo Imprenditrici di Unindustria Como Lo scorso mese di novembre è stata ospite di Unindustria Como per un’inte- ressante serata organizzata dal Gruppo Imprenditrici, nell’ambito del ciclo "Im- presa (Im – pre – sa), sostantivo fem- minile", Cristina Scocchia, CEO di Kiko S.p.a. l’azienda italiana del Gruppo Per- cassi leader nella cosmetica. Un incontro carico di aspettative che la manager di soli 44 anni ha pienamente rispettato, affascinando la nutrita pla- tea con un intervento caratterizzato da grande competenza, ironia e tanta umil- tà. Origini liguri, laureata con il massimo dei voti in Economia e Commercio all’U- niversità Bocconi di Milano, dopo un dot- torato di Ricerca in Economia Aziendale presso l’Università di Torino, Scocchia è entrata in Procter&Gamble, conside- rata la migliore azienda al mondo nella formazione dei futuri leader in campo aziendale. Nella multinazionale ame- ricana, a partire dal 1997, ha ricoperto ruoli di crescente responsabilità fino a divenire nel 2012 leader delle Cosmetics International Operations con la supervi- sione di oltre settanta paesi del mondo. Dal 2014 al 2017 è stata Amministratore Delegato di L’Oreal Italia e ha guidato il ritorno alla crescita della società. Dal luglio 2017 è CEO di Kiko S.p.a. ed è al contempo membro del C.d.A. di Pirelli, Luxottica e EssilorLuxottica. IL PERSONAGGIO CRISTINA SCOCCHIA IL SOGNO E LA SFIDA IL PERSONAGGIO a cura di stefano rudilosso Le parole con cui iniziamo la conversa- zione sono due e connotano in modo par- ticolare il carattere di Cristina Scocchia: il SOGNO e la SFIDA. Fare l’amministra- tore delegato era il suo sogno. Al suo pri- mo colloquio di lavoro in Procter&Gam- ble quando le chiesero “Come si vede tra 15 anni?” lei rispose “A fare l’Ammi- nistratore Delegato”. Sbagliò di soli sei mesi, giusto il tempo di rifletterci quando L’Oreal le chiese di lasciare Procter&- Gamble per entrare nella multinazionale francese e coronare, così, il suo sogno. Dottoressa Scocchia, come si fa a realiz- zare un sogno così ambizioso addirittura due volte di seguito a quella distanza di tempo? Fu il primo colloquio di lavoro della mia vita. Ero molto giovane, 22 enne, ed ave- vo la sfrontatezza che solo a quell’età si può avere. Oggi non risponderei mai in quel modo. Non avevo potuto scrivere granché nel mio curriculum perché stavo frequentando ancora l’università ed ero anche consapevole di avere una cono- scenza scolastica dell’inglese, per cui ri- tenni che dovevo dimostrare tutta la mia determinazione. Volevo davvero farcela a fare l’amministratore delegato. E devo dire che l’hanno presa bene. Mi hanno permesso di fare un percorso di cresci- ta duro che però mi ha preparato bene. Fin dalla mia prima richiesta quando mi proposi per l’area beauty che m’interes- sava particolarmente: mi assunsero a condizione che avessi iniziato da Spic e Span e Mastrolindo Bagno, due famosi detersivi. Dopo un po’ di tempo, vedendo che ero bravina, mi proposero di trasfe- rirmi a Ginevra, il quartier generale del beauty per la multinazionale americana. Felicissima mi preparai, finalmente, per lavorare nel campo che sognavo. Mi affi- darono ciò che per Procter&Gamble era il massimo del beauty: Kukident, il famo- so adesivo per dentiere (risate generali del pubblico, ndr). E devo dire che hanno contribuito a costruirmi le basi per poi mandarmi nell’headquarter a fare mar- keting per un prodotto difficile come un adesivo per dentiere. Perché una volta che riesci a fare marketing per Kukident hai imparato la lezione e tutti gli altri prodotti diventano più facili. Alla fine di questa esperienza mi hanno dato la possibilità di crescere diventando capo del prodotto per il mondo intero. Final- mente nel 2006, dopo quasi 10 anni, mi hanno dato i veri prodotti di bellezza, ma davvero mi sentivo pronta e sicura dopo quell’esperienza. Dottoressa, torniamo al sogno. Secondo me è bello avere sogni. Lo dico sempre quando ho la fortuna di essere invitata a parlare agli studenti dell’uni- versità: viviamo una volta sola, il sogno è importante e se non ci credi tu nel tuo so- gno non saranno certo gli altri a crederci per te. Però è altrettanto bello affidarsi ad aziende che diano la possibilità di cre- scere, che lavorando duro permettano di realizzare i propri sogni. Perché senza questa possibilità il sogno resterebbe solo un sogno. Procter&Gamble ha cre- duto in questo mio sogno e, consenten- domi di lavorare duro, mi ha messo alla prova fino ad arrivare a realizzarlo. Arriviamo così all’altra parola chiave. Forse l’altra faccia della stessa meda-
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SPECIALE ASSEMBLEA | DIC. 2018 SPECIALE ASSEMBLEA | DIC. 2018

Cristina Scocchia, CEO di Kiko, ospite del Gruppo Imprenditrici di Unindustria Como

Lo scorso mese di novembre è stata ospite di Unindustria Como per un’inte-ressante serata organizzata dal Gruppo Imprenditrici, nell’ambito del ciclo "Im-presa (Im – pre – sa), sostantivo fem-minile", Cristina Scocchia, CEO di Kiko S.p.a. l’azienda italiana del Gruppo Per-cassi leader nella cosmetica.

Un incontro carico di aspettative che la manager di soli 44 anni ha pienamente rispettato, affascinando la nutrita pla-tea con un intervento caratterizzato da grande competenza, ironia e tanta umil-tà. Origini liguri, laureata con il massimo dei voti in Economia e Commercio all’U-niversità Bocconi di Milano, dopo un dot-torato di Ricerca in Economia Aziendale presso l’Università di Torino, Scocchia è entrata in Procter&Gamble, conside-rata la migliore azienda al mondo nella formazione dei futuri leader in campo aziendale. Nella multinazionale ame-ricana, a partire dal 1997, ha ricoperto ruoli di crescente responsabilità fino a divenire nel 2012 leader delle Cosmetics International Operations con la supervi-sione di oltre settanta paesi del mondo. Dal 2014 al 2017 è stata Amministratore Delegato di L’Oreal Italia e ha guidato il ritorno alla crescita della società. Dal luglio 2017 è CEO di Kiko S.p.a. ed è al contempo membro del C.d.A. di Pirelli, Luxottica e EssilorLuxottica.

IL PERSONAGGIO CRISTINA SCOCCHIA

IL SOGNO E LA SFIDAIL PERSONAGGIO

a cura di stefano rudilosso

Le parole con cui iniziamo la conversa-zione sono due e connotano in modo par-ticolare il carattere di Cristina Scocchia: il SOGNO e la SFIDA. Fare l’amministra-tore delegato era il suo sogno. Al suo pri-mo colloquio di lavoro in Procter&Gam-ble quando le chiesero “Come si vede tra 15 anni?” lei rispose “A fare l’Ammi-nistratore Delegato”. Sbagliò di soli sei mesi, giusto il tempo di rifletterci quando L’Oreal le chiese di lasciare Procter&-Gamble per entrare nella multinazionale francese e coronare, così, il suo sogno.

Dottoressa Scocchia, come si fa a realiz-zare un sogno così ambizioso addirittura due volte di seguito a quella distanza di tempo?

Fu il primo colloquio di lavoro della mia vita. Ero molto giovane, 22 enne, ed ave-vo la sfrontatezza che solo a quell’età si può avere. Oggi non risponderei mai in quel modo. Non avevo potuto scrivere granché nel mio curriculum perché stavo frequentando ancora l’università ed ero anche consapevole di avere una cono-scenza scolastica dell’inglese, per cui ri-tenni che dovevo dimostrare tutta la mia determinazione. Volevo davvero farcela a fare l’amministratore delegato. E devo dire che l’hanno presa bene. Mi hanno permesso di fare un percorso di cresci-ta duro che però mi ha preparato bene. Fin dalla mia prima richiesta quando mi proposi per l’area beauty che m’interes-sava particolarmente: mi assunsero a condizione che avessi iniziato da Spic e Span e Mastrolindo Bagno, due famosi detersivi. Dopo un po’ di tempo, vedendo che ero bravina, mi proposero di trasfe-rirmi a Ginevra, il quartier generale del beauty per la multinazionale americana. Felicissima mi preparai, finalmente, per lavorare nel campo che sognavo. Mi affi-darono ciò che per Procter&Gamble era il massimo del beauty: Kukident, il famo-so adesivo per dentiere (risate generali del pubblico, ndr). E devo dire che hanno contribuito a costruirmi le basi per poi

mandarmi nell’headquarter a fare mar-keting per un prodotto difficile come un adesivo per dentiere. Perché una volta che riesci a fare marketing per Kukident hai imparato la lezione e tutti gli altri prodotti diventano più facili. Alla fine di questa esperienza mi hanno dato la possibilità di crescere diventando capo del prodotto per il mondo intero. Final-mente nel 2006, dopo quasi 10 anni, mi hanno dato i veri prodotti di bellezza, ma davvero mi sentivo pronta e sicura dopo quell’esperienza.

Dottoressa, torniamo al sogno.

Secondo me è bello avere sogni. Lo dico

sempre quando ho la fortuna di essere invitata a parlare agli studenti dell’uni-versità: viviamo una volta sola, il sogno è importante e se non ci credi tu nel tuo so-gno non saranno certo gli altri a crederci per te. Però è altrettanto bello affidarsi ad aziende che diano la possibilità di cre-scere, che lavorando duro permettano di realizzare i propri sogni. Perché senza questa possibilità il sogno resterebbe solo un sogno. Procter&Gamble ha cre-duto in questo mio sogno e, consenten-domi di lavorare duro, mi ha messo alla prova fino ad arrivare a realizzarlo.

Arriviamo così all’altra parola chiave. Forse l’altra faccia della stessa meda-

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glia: la sfida. Perché per realizzare il proprio sogno bisogna anche avere il carattere, bisogna saper accettare la sfida.

Dopo aver raggiunto la possibilità di ge-stire un brand dalla A alla Z, con la re-sponsabilità di 70 paesi e di un migliaio di persone che mi riportavano, fui molto sincera con me stessa: quello non era un lavoro da amministratore delegato. Man-cava la gestione vera dell’azienda. Non tenevo in mano la borsa. Per cui quando arrivò L’Oreal a bussare alla mia porta temporeggiai sei mesi, i famosi sei mesi di ritardo rispetto al sogno di 15 anni pri-ma, perché non era così semplice tradire la maglia, era un po’ come passare dal Milan all’Inter. L’Oreal è una multinazio-nale importante nel campo del beauty e mi fu offerto di diventare Amministratore Delegato della sede italiana, la quinta al mondo per fatturato che in quel momen-

to veniva da qualche anno di difficoltà. Ecco la nuova sfida. Chi mi conosce sa che amo le sfide a 360 gradi. E qui c’era la possibilità di fare l’Amministratore De-legato e di provare a far invertire la rotta. Quattro anni bellissimi in cui sono riu-scita a far decollare l’aereo controvento. Però, ancora una volta mi sono guardata allo specchio e mi sono detta: in un’a-zienda, seppur molto grande come L’Ore-al, di Amministratore Delegato ce n’è uno solo. Tutti gli altri sono capo paese, ma non sono amministratori delegati veri. Per cui a 40 anni ho voluto cogliere una nuova sfida e ho deciso che dovevo di-ventare un vero amministratore delegato.

Ed ha accettato di entrare in Kiko.

Sì, l’ho fatto nella consapevolezza di passare da un’azienda da 26 miliardi di fatturato ad una, pur importante che sia, da 610 milioni. Ma con una funzione rea-

le, con 20 paesi da gestire, con un CDA, con le banche, con gli azionisti. Sono nata per gettare il cuore oltre l’ostacolo e così un anno e mezzo fa sono diventata AD di Kiko.

E lì si è trovata ad aver fatto un grande cambiamento. Una sua frase in merito a questo tema che mi ha molto colpito è che “il cambiamento non va mai subi-to ma va guidato”. Quali sono i cambia-menti che lei ha guidato?

La sfida mi ha sempre dato l’adrenalina del cambiamento. D’altronde, se ti han-no chiamato è perché si aspettano una strategia diversa. Appena entrata in Kiko ho ascoltato. Per sei mesi ho cercato di imparare il più possibile dai proprieta-ri, anche perché Kiko è una bellissima azienda, e poi ho iniziato, con rispetto, a portare i primi cambiamenti, il mio va-lore aggiunto. Ciò che avevo imparato in

vent’anni di multinazionali. Un maggiore investimento in marketing di prodotto. Quindi ho steso un piano industriale a tre anni che aveva come primo punto un maggiore investimento nell’iconicità e qualità del brand. La seconda direzione strategica è stata quella di andare verso oriente, modificando il footprint geogra-fico perché Kiko era ancora un’azienda troppo europea. È prevista l’apertura di 73 punti vendita, ma di questi uno solo sarà in Italia. Gli altri 72 saranno tra mid-dle east e far east. Terzo, investiremo tantissimo in tutto ciò che è e-commerce perché servendo le millennials questo aspetto non può essere assolutamente trascurato, così come il social e il digi-tal. L’ultimo punto strategico è, inevita-bilmente, anche un serio taglio di costi. Perché alla fine c’è bisogno di liberare risorse per investire nella crescita.

L’ultimo punto rappresenta, forse, l’a-spetto più duro del lavoro di ammini-stratore delegato?

Sono sincera. Mi ritengo molto fortunata a svolgere il lavoro che ho sempre so-gnato di fare. Lavoro tantissimo. Ma non c’è nulla che mi pesi perché ogni aspetto, anche quello del ridimensionamento di un organico certe volte indispensabile, è svolto nella consapevolezza di cercare il rilancio.

E in questo nuovo piano industriale si innesta anche l’arrivo di un importante investitore.

Assolutamente sì. Il nuovo piano indu-striale triennale 2018/2020 è un piano di ritorno alla crescita profittevole che pre-vede 90 milioni di investimento. Abbiamo fatto un aumento di capitale ed è arrivato il fondo Peninsula che ha portato circa 80 di questi 90 milioni e per noi è stato fondamentale non solo per l’interven-to finanziario ma anche perché il fondo è arrivato con una serie di capabilities e conoscenze soprattutto nell’area del

medioriente, ovvero una delle aree dove vogliamo crescere.

Nel piano industriale c’è un passaggio importante sul consumatore e, mol-to probabilmente, anche un’altra delle sue affermazioni che colpiscono molto: “Non parliamo più al consumatore ma con il consumatore”. Cosa significa? Che cambiamento è stato?

Agli inizi dell’esperienza in Procter&-Gamble, che non è un secolo fa ma solo

vent’anni fa, ci insegnavano che dove-vamo costruire la marca, comunicando al consumatore i benefici funzionali, i benefici emotivi e, quindi, quello che vo-gliamo che il consumatore si ricordi di quella marca. Con la rivoluzione digitale la stessa azienda si rese conto che non si poteva più continuare in quel modo. Il consumatore aveva molte più possibilità di conoscere la marca per cui bisogna-va iniziare ad avere un comportamento molto più umile. Per cui, invece di fare un ragionamento verticale, bisogna met-

IL PERSONAGGIO CRISTINA SCOCCHIA

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tersi alla pari del consumatore e non più parlare al consumatore ma con il consu-matore. Io dico sempre ai miei ragazzi che dobbiamo avere l’umiltà di capire che il consumatore può pensare cose molto diverse da quelle che noi pensiamo di comunicare. Il problema dei social è an-che quello. Quando ci sia apre ad essi bi-sogna pensare di ricevere anche critiche. Quindi non è solo un diverso approccio media, un cambio di strumento: dalla tv al social. Ma è anche mentalmente uno stile di leadership diverso. Bisogna met-tersi alla pari con il consumatore, avere un rapporto più collaborativo e avere l’u-miltà di capire che se ti dà un feedback diverso non ha torto, ma forse sei stato tu che non hai disegnato il brand o il pro-dotto o l’iniziativa come dovevi. E non è un passaggio culturale immediato. Ma noi siamo agevolati dall’età media molto giovane delle nostre collaboratrici, mol-te delle quali sono millennials.

Usate anche voi le blogger o le influencer?

Sì, naturalmente, ma non pensiamo che sia una novità portata dal digitale. Non sono altro che le modelle bellissime di prima che oggi fanno cose leggermen-te diverse. Lo facciamo in modo diverso dalle grandi aziende. Non prendiamo mega influncer mondiali dalle grandi influenze e dai grandi costi. Ma preferia-mo quelle che chiamiamo “di prossimità” con il pubblico. Costano meno ed hanno un livello di identificazione maggiore con il pubblico, perché sono più vicine alle donne.

Ci sono stati cambiamenti che ha dovuto subire?

Sicuramente tanti. Credo sia importante avere, però, una direzione strategica. Ma io sono anche una donna molto pragma-tica e tra questi cambiamenti penso al Black Friday. Come consumatrice sono contentissima perché in una settimana acquisto tutti i regali di Natale, ma come

un paese che investa maggiormente sul-la crescita. Questo non lo vedo succede-re. Quando sento discorsi sulla chiusura domenicale, anche se non so se accadrà davvero, mi spavento, perché quello che so è che per noi è il secondo giorno più importante di vendite: il 18-20% degli acquisti settimanali viene fatto d’impul-so la domenica. Ed è evidente che se ci imponessero la chiusura in un giorno così importante qualche posto di lavoro saremmo costretti a tagliarlo. E sono po-sti che sarebbero difficili da ricreare una volta che sono stati persi.

manager è uno di quei cambiamenti che avrei evitato volentieri. Perché vendo molto di più ma al 40% di prezzo in meno, quindi a livello di profitto non genero una crescita significativa. Ecco perché considero il Black Friday un cambiamen-to che ho dovuto accettare con un sano pragmatismo, perché se lo fanno tutti i tuoi concorrenti è inutile alienare i tuoi customers non facendolo.

Parliamo di innovazione. È emersa in di-versi argomenti trattati. Lei sta facendo una transizione importante tra locale e globale ma anche tra fisico e virtuale. È un’altra delle sfide che sta giocando.

Stiamo cercando di diventare una multi-nazionale sempre più presente al di fuori dei confini europei. Giocare in Europa è più facile perché il setup culturale, men-tale e sociale è molto simile. Diverso è quando si comincia a parlare di medio oriente o di Asia: le differenze culturali e antropologiche sono tante. Ci sono inno-vazioni che funzionano per pelli cauca-siche ma non per pelli africane o medio orientali. Quindi la prima sfida è quella di diventare un’azienda che fa un 80% di innovazione globale, per essere effi-cienti anche a livelli di costi, ma anche un’azienda che ha la capacità, la flessibi-lità, la velocità per fare un 20% di inno-vazione locale perché stiamo andando in paesi che sono diversi dall’Europa e, quindi, hanno bisogno di un’innovazione ad hoc. La seconda sfida che diventerà presto la prima è quella dell’integrazione tra fisico e virtuale. Perché le millennials non si accontentano più del prodotto ma vogliono l’esperienza d'acquisto. Per cui ci siamo chiesti come offrire un prodotto arricchito tramite la shopping experien-ce. Abbiamo portato l’innovazione nello store di Corso Vittorio Emanuele a Mi-lano, che abbiamo ribattezzato KikoiD, dove una volta messo piede in questa area di 200 metri quadri, ad accogliere i clienti ci pensa il robot YuMi con due braccia da comandare con una finestra

touchscreen. Proprio come se fosse lo schermo di uno smartphone o di un tablet. E a tal proposito non potevano mancare gli iPad equipaggiati con le app giuste per consigliare il trucco più adatto sulla base del tipo di pelle e delle sfuma-ture di colore. Tutto molto bello e avveni-ristico come l'assistente digitale capace di personalizzare i prodotti con incisioni laser.

Virtuale significa anche e-commerce.

Sì, assolutamente. Soprattutto in Cina, dove in un momento come questo sareb-be stato difficile investire in negozi fisici in questo grandissimo paese, abbiamo preferito cercare un distributore di pro-dotti sul mercato online che si occupa di marketing e di collocare i prodotti sulle più importanti piattaforme come Tmall o altre. Il progetto è quello di rafforzar-ci attraverso l’online e solo tra due o tre anni di investire sul vero e proprio retail. Ma dobbiamo ancora decidere come, se soli o con un partner.

Dall’estero torniamo in Italia. Com’è considerato il nostro Paese all’estero?

Negli anni di P&G ricordo che sentivo un forte dovere di difendere il mio pae-se. Ora che sono tornata in Italia e devo misurami ogni giorno con le differenze rispetto agli altri venti Paesi dove siamo presenti, devo dire che faccio più fatica a farmi paladina dell’Italia perché è forse il paese più complicato dove fare impresa. È ovvio che ancora oggi se mi trovassi in un consesso all’estero difenderei a spada tratta il nostro Paese, ma visto che siamo tra noi posso dire che il contesto italiano non sia il più facile e a qualcuno, quando deve decidere se investire o meno in Ita-lia i dubbi vengono.

Cosa non va nel nostro Paese?

Non ho mai fatto ne è mia intenzione fare politica, però devo dire che vorrei vedere

L’ultima domanda, me lo conceda, l’avrei voluta fare dall’inizio: com’è riuscita a gestire un'importante carriera come la sua con la nascita di un figlio che oggi frequenta le scuole elementari?

Devo essere sincera: ho sempre pensato che non si può avere tutto dalla vita ma si può riuscire a conciliare tutto. Ho cercato di non voler essere perfetta in tutti i mo-menti o in tutti i ruoli, pur essendo sem-pre stata io perfezionista. Con l’arrivo di mio figlio mi sono resa conto che non potevo essere perfetta sempre. Ci sono

dei momenti in cui come manager o come mamma posso delegare e magari la per-sona che delego riesce a svolgere il com-pito meglio di me. Quindi, non presenza sempre e comunque ma devo esserci quando mi rendo conto che posso dare qualcosa in più. Ci sono momenti fonda-mentali in cui bisogna esserci al duecen-to per cento, ma ci sono dei momenti in cui si fa più danno a non delegare e, anzi, delegando si aiutano gli altri a crescere.

IL PERSONAGGIO CRISTINA SCOCCHIA


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