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9 aprile 2014 Che cosa sono le nuvole - Teatro delle Albe · Milano, inventata da due tipe toste...

Date post: 06-Aug-2020
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9 aprile 2014 Che cosa sono le nuvole di Massimo Marino I “ Parlamenti di aprile” del Teatro delle Albe hanno per immagine nuvole basse sulla pianura, fotografate da Cesare Fabbri, simili a fumi, a esplosioni. Sono una settimana di incontri, di discussioni, sulla teoria del teatro, su teatro e comunicazione, sul mettersi in scena di critici e studiosi, facendo agire su di sé il desiderio di provarlo il teatro. E poi, ancora, teatro e filosofia, intorno alla figura originalissima di Giuseppe Fornari, prosecutore degli studi di Girard sul sacrificio, teatro e Europa, peripezie teatrali, con voci di artisti che dalla scena sono partiti per altre, eterodosse avventure. Sono iniziati ieri 8 aprile, i “Parlamenti”, con un’intensa discussione sull’ultimo libro di Marco De Marinis, Il teatro dopo l’età d’oro (Bulzoni), sull’eredità del teatro del Novecento oggi, tra storia e osservazione del movimento presente delle cose, tra sguardo al passato e nostalgia di un futuro che non sappiamo vedere, sempre più negato. Si chiamano “Parlamenti” riprendendo uno scritto del premio Nobel Aung San Suu Kyi del 1994, che mi piace riportare integralmente: “Ho sempre detto: la democrazia è solo l’inizio. Concordo con l’idea che la democrazia non è perfetta, ma si dà il caso che sia migliore di altri sistemi. Un aspetto tra i più positivi è che nelle democrazie si ritiene sempre che la prima cosa è parlare, l’ultima ricorrere alla violenza. Invece, in molti casi, parlare è l’ultima risorsa e quando le controparti si sono dissanguate e non hanno altra via d’uscita, allora trattano. Ma il più delle volte i danni sono enormi… ”Parlamento” è termine di derivazione latina che significa “parlare”, non è vero? Si parla, si parla dei propri problemi, si parla dei contrasti reciproci. È meglio litigare a parole che uccidersi. Non che mi piaccia gridare, ma è certamente meglio che spararsi…”. Dopo queste conversazioni piene di ospiti, che presentano anche il libro Primavera eretica (Titivillus), una raccolta di scritti interviste, dichiarazioni, pensieri di Marco Martinelli e Ermanna Montanari dal 1983 al 2013 (con sette mie postfazioni ai sette capitoli), ogni giorno c’è qualche appuntamento spettacolare. Ieri siamo stati rapiti, ancora una volta, da Ermanna Montanari, maga incantatrice capace di creare figure che si incidono dentro, voce che da una lontana ferita, da litanie, formule quotidiane, inflessioni di preghiera e bestemmia contadine, arriva ad aprire in chi l’ascolta orizzonti, muri, stagnazioni palustri, voli verso regioni insieme ctonie e aeree. La camera da ricevere è stata creata per il progetto “Dimora delle voci – Laboratorio di Drammaturgia sonora, IV edizone”, a cura di Valentina Valentini, promosso da Rai Radio 3 e Centro Teatro Ateneo dell’Università La Sapienza di Roma. Nato come spettacolo radiofonico, ieri ha dimostrato tutta la sua versatilità, che può trasformarlo in una vera e propria “serata d’onore”, come quelle che si tributavano alle prime donne nel teatro all’antica italiana, per una delle attrici più intense della scena di oggi, pluripremio Ubu nonché premio Eleonora Duse. Nell’abside gotica del Rasi, antica chiesa, poi cavallerizza, infine teatro, Ermanna Montanari accoglie un numero ristretto, stretto a sé, di spettatori in un sobrio salottino, con una poltrona rossa, un tavolo con qualche oggetto, un leggio, due casse di amplificatore. Al mixer la sostiene la regia attenta e discreta di Marco Martinelli, che con lei ha composto la serata. Inizia tornando alla più volte narrata infanzia nella campagna ravennate, radice di dialetto gutturale, di odori di animale, di famiglie patriarcali e incantagione. C’era, nella grande casa, una “camera da ricevere”, chiusa quasi tutto l’anno, penetrata spesso da lei che vi si nascondeva per immaginare, per sognare e moltiplicarsi in possibilità. Qui la riproduce, per mostrare i suoi personaggi, che chiama piuttosto figure, e che io definirò voci, perché là, nel ritmo, nel dispiegarsi dall’interno verso il corpo, da una ferita attraverso fatica, dolore, estroflessione, sogno, rabbia, desiderio, smarrimento, prendono consistenza riverberando sulle orecchie, gli occhi, i corpi, le anime degli spettatori. Scorrono l’asina Fatima, con orecchie grandi per raccogliere le sofferenza del mondo, figura ispirata da Giordano Brunio; Bélda la veggente romagnola, che qualcuno chiama strega, pronta a vendicare l’abiezione inflitta alla madre da una piccola società ipocrita; la squittente, insinuante, intrigante Medar Ubu; Alcina instupidita come nebbia dall’amore; Daura madonna levitante e profetica sulla luna dove con il figlio Arterio ha trovato impossibile requie al tramutar del mondo; Rosvita, monaca che guarda in faccia il male sognando le stelle; Arpagone l’avaro innamorato perso con voce
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9 aprile 2014

Che cosa sono le nuvole di Massimo Marino

I “ Parlamenti di aprile” del Teatro delle Albe hanno per immagine nuvole basse sulla pianura, fotografate da Cesare Fabbri, simili a fumi, a esplosioni. Sono una settimana di incontri, di discussioni, sulla teoria del teatro, su teatro e comunicazione, sul mettersi in scena di critici e studiosi, facendo agire su di sé il desiderio di provarlo il teatro. E poi, ancora, teatro e filosofia, intorno alla figura originalissima di Giuseppe Fornari, prosecutore degli studi di Girard sul sacrificio, teatro e Europa, peripezie teatrali, con voci di artisti che dalla scena sono partiti per altre, eterodosse avventure. Sono iniziati ieri 8 aprile, i “Parlamenti”, con un’intensa discussione sull’ultimo libro di Marco De Marinis, Il teatro dopo l’età d’oro (Bulzoni), sull’eredità del teatro del Novecento oggi, tra storia e osservazione del movimento presente delle cose, tra sguardo al passato e nostalgia di un futuro che non sappiamo vedere, sempre più negato. Si chiamano “Parlamenti” riprendendo uno scritto del premio Nobel Aung San Suu Kyi del 1994, che mi piace riportare integralmente:

“Ho sempre detto: la democrazia è solo l’inizio. Concordo con l’idea che la democrazia non è perfetta, ma si dà il caso che sia migliore di altri sistemi. Un aspetto tra i più positivi è che nelle democrazie si ritiene sempre che la prima cosa è parlare, l’ultima ricorrere alla violenza. Invece, in molti casi, parlare è l’ultima risorsa e quando le controparti si sono dissanguate e non hanno altra via d’uscita, allora trattano. Ma il più delle volte i danni sono enormi… ”Parlamento” è termine di derivazione latina che significa “parlare”, non è vero? Si parla, si parla dei propri problemi, si parla dei contrasti reciproci. È meglio litigare a parole che uccidersi. Non che mi piaccia gridare, ma è certamente meglio che spararsi…”.

Dopo queste conversazioni piene di ospiti, che presentano anche il libro Primavera eretica (Titivillus), una raccolta di scritti interviste, dichiarazioni, pensieri di Marco Martinelli e Ermanna Montanari dal 1983 al 2013 (con sette mie postfazioni ai sette capitoli), ogni giorno c’è qualche appuntamento spettacolare. Ieri siamo stati rapiti, ancora una volta, da Ermanna Montanari, maga incantatrice capace di creare figure che si incidono dentro, voce che da una lontana ferita, da litanie, formule quotidiane, inflessioni di preghiera e bestemmia contadine, arriva ad aprire in chi l’ascolta orizzonti, muri, stagnazioni palustri, voli verso regioni insieme ctonie e aeree. La camera da ricevere è stata creata per il progetto “Dimora delle voci – Laboratorio di Drammaturgia sonora, IV edizone”, a cura di Valentina Valentini, promosso da Rai Radio 3 e Centro Teatro Ateneo dell’Università La Sapienza di Roma. Nato come spettacolo radiofonico, ieri ha dimostrato tutta la sua versatilità, che può trasformarlo in una vera e propria “serata d’onore”, come quelle che si tributavano alle prime donne nel teatro all’antica italiana, per una delle attrici più intense della scena di oggi, pluripremio Ubu nonché premio Eleonora Duse.

Nell’abside gotica del Rasi, antica chiesa, poi cavallerizza, infine teatro, Ermanna Montanari accoglie un numero ristretto, stretto a sé, di spettatori in un sobrio salottino, con una poltrona rossa, un tavolo con qualche oggetto, un leggio, due casse di amplificatore. Al mixer la sostiene la regia attenta e discreta di Marco Martinelli, che con lei ha composto la serata. Inizia tornando alla più volte narrata infanzia nella campagna ravennate, radice di dialetto gutturale, di odori di animale, di famiglie patriarcali e incantagione. C’era, nella grande casa, una “camera da ricevere”, chiusa quasi tutto l’anno, penetrata spesso da lei che vi si nascondeva per immaginare, per sognare e moltiplicarsi in possibilità. Qui la riproduce, per mostrare i suoi personaggi, che chiama piuttosto figure, e che io definirò voci, perché là, nel ritmo, nel dispiegarsi dall’interno verso il corpo, da una ferita attraverso fatica, dolore, estroflessione, sogno, rabbia, desiderio, smarrimento, prendono consistenza riverberando sulle orecchie, gli occhi, i corpi, le anime degli spettatori. Scorrono l’asina Fatima, con orecchie grandi per raccogliere le sofferenza del mondo, figura ispirata da Giordano Brunio; Bélda la veggente romagnola, che qualcuno chiama strega, pronta a vendicare l’abiezione inflitta alla madre da una piccola società ipocrita; la squittente, insinuante, intrigante Medar Ubu; Alcina instupidita come nebbia dall’amore; Daura madonna levitante e profetica sulla luna dove con il figlio Arterio ha trovato impossibile requie al tramutar del mondo; Rosvita, monaca che guarda in faccia il male sognando le stelle; Arpagone l’avaro innamorato perso con voce

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di topo del suo denaro; Tonina Pantani, la madre del Campione, che ne difende la memoria davanti al mondo pronto a infangare.

Cambia solo con qualche segno il corpo. Qualche volta la sua voce ci è restituita da una registrazione, come nel caso di Alcina, in lotta con i suoni materici, gli strappi, i graffi di Luigi Ceccarelli. Sono gli occhi, con il loro movimento, ad alludere a un’immedesimazione, a una distanza, a un giudizio, a una richiesta di complicità o di aiuto, vivi, smarriti, ironici, abbandonati, supplicanti, sfidanti, velati da un improvviso indecifrabile pensiero. Immobile con un coltellaccio ricurvo di campagna brandito davanti al volto, in nera silhouette, intenta a una litania a una nostalgia a una rampogna, seduta in ascolto della propria voce, sembra una figura di un mosaico bizantino di quelli che circondano il Rasi, misterioso, lontano e vicino a qualche regione nascosta dentro di noi. Frontale e celato. È come un viaggio, questo spettacolo, dalle terre basse, dove le zolle

sanno ancora di palude, alle vette, raggiunte per raucedine, istupidimento, gracidare, rabbia simile a tempesta tra le canne sul mare. La voce modula e ritorna a una cantilena di base, marchio romagnolo dell’attrice, monotonia simile a un cullare, a un incubare l’universo dentro di sé, la passione, la distanza, l’odio, l’amore. Queste voci disegnano donne spesso travolte, che cercano di resistere, che scavano dentro sé le flebili ragioni per esistere, e così ci dona l’attrice un sogno, un orizzonte, una proiezione in quelle inaccessibili, insostituibili regioni che sembrano negare la realtà per farla sfavillare. Fragile, forse meno imperfetta. Almeno un po’.  

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21 maggio 2014

La camera da ricevere Una straordinaria Ermanna Montanari ha inaugurato la nuova edizione di “Le Stanze”, festival di “teatro d’appartamento” ideato da Alberica Archinto e Rossella Tansini che questa volta conduce il pubblico di Milano alla scoperta di inedite fondazioni legate al mondo e al lavoro artistico –

Con una vera e propria serata d’onore per attrice sola, hanno preso l’avvio Le Stanze, manifestazione ormai consueta e molto attesa nel panorama teatrale non solo milanese, sostenuta dal Comune di Milano, inventata da due tipe toste come Alberica Archinto e Rossella Tansini. Nata con il proposito di ampliare, scandagliare, provocare, sedurre un nuovo pubblico teatrale, Le Stanze si è però rivelata una mappatura intelligente e informata delle diverse vie di un discorso teatrale che sappia dialogare con le arti sorelle. Quest’anno poi il luogo della rappresentazione – la stanza di una casa ogni volta diversa- è cambiato con la scelta di entrare in Fondazioni legate al mondo e al lavoro artistico. Una scoperta. La prima tappa di questo viaggio dentro un mondo che anche molti

milanesi non conoscono, è un bellissimo palazzo di corso Garibaldi dove ha sede la Fondazione Adolfo Pini, nata per onorare la memoria e il lavoro di un pittore come Renzo Bongiovanni Radice legato alla sua città ma anche cittadino europeo, con frequenti viaggi a Parigi. Nel grande salone dell’appartamento dove ha sede la Fondazione, Ermanna Montanari del Teatro delle Albe di Ravenna ha presentato con grande successo La camera da ricevere, un viaggio dentro alcuni dei suoi personaggi più famosi: non solo, dunque, un viaggio a ritroso nella sua ormai lunga militanza teatrale vissuta con Marco Martinelli, ma anche un corpo a corpo fra l’attrice e diversi modi di fare teatro che hanno contrassegnato il magistero delle Albe di Ravenna, un po’ in italiano e un po’ in dialetto, che il pubblico può seguire da vicino con l’aiuto di un prezioso volumetto curato da lei stessa. Una performance che è stata molto di più di un esercizio di bravura (Ermanna Montanari, ultimo premio Duse, non ne ha certo bisogno) né, tantomeno, di stile, quanto la possibilità offerta allo spettatore di entrare dentro quell’“officina” del tutto particolare che è il nascere del pensiero creativo, le sue motivazioni, la sua concreta realizzazione nel rapporto teatrale. Un po’ come se entrassimo in un negozio di colori e scoprissimo come l’amalgama di diverse tinte possa dare vita a un colore nuovo. In questo mondo sorprendente e affascinante l’attrice ci conduce quasi per mano spiegando il come e il perché siano nati personaggi come Fatima, l’asino parlante, Bêlda, Rosvita, Mêdar Ubu, Alcina, Daura, Arpagone protagonista dell’Avaro e Tonia Pantani, madre di Marco. Tutta ha origine, ci dice Ermanna, da quella stanza del ricevere, nel dialetto del paese natale “la câmbra da rizévar”, luogo misterioso e affascinante per dei bambini, da riempire con la fantasia, ascoltandone le voci. Eccola con un semplice abituccio, degli stivaletti malandrini, muoversi per il salone sull’onda di una colonna musicale fra due luoghi “deputati”: alla sinistra degli spettatori c’è l’Ermanna che legge e tesse il filo del racconto; a destra, di fronte a una specchiera o seduta su di una sedia, l’attrice compie un rito molto antico trasformandosi, con l’aiuto di pochi semplici oggetti – due grandi orecchie d’asino di cartone, dei guanti candidi, una calla di stoffa, un microfono, uno scialle- mantello multicolore sotto i nostri occhi. E intanto fra luci e bui improvvisi, coltiva il suo personale bestiario facendo le voci, dando le profezie, crudelmente stolida, incapace di qualsiasi reazione quando, come Arpagone, comprende che gli è stata rubata la cassetta, madre che chiede ossessivamente giustizia, cambiando postura, gesto, voce, suono, mai troppo oltre e mai troppo vicina. Formidabile. Maria Grazia Gregori  

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 6  febbraio  2015  

La  camera  da  ricevere  di  e  con  Ermanna  Montanari   La camera da ricevere è oggi cosa

desueta, come il servizio buono o il vestito della domenica. Ma una volta era la prova della necessità del superfluo, e per essa un contadino poteva anche vendere la sua più preziosa mucca da latte. A questa camera, che si apriva solo a Natale e Pasqua per accogliere i parenti vestiti a festa, tutti con gli occhi bassi per il pudore di guardarsi nelle specchiere, Ermanna Montanari dedica un lungo racconto divenuto spettacolo, ora in scena al teatro Due

di Roma fino a domenica 8 febbraio 2015. La camera da ricevere è un monologo pieno di voci e di suoni, di corpi e di anime in cui scorrono le figure più belle del suo lungo e frastagliato percorso teatrale, che è il percorso del teatro delle Albe, compagnia ravennate di trentennale storia, fondata insieme al marito Marco Martinelli, autore e regista, e a Marcella Nonni e Luigi Dadina. Ed è un po' come aprire uno di quei vecchi libri di fiabe per bambini, di cartone colorato, dove tra le pagine si levavano figure a tre dimensioni, paesaggi lontani, irreali, fantastici. Il primo incontro lo facciamo con Fatima, l'asino ermafrodita di Siamo asini o pedanti?, un testo di Martinelli del 1989 che rappresenta anche la summa della loro poetica, una sorta di dichiarazione di intenti e di metodo che trova il suo paradigma nella 'natura asinina' di chi è 'condannato all'ascolto' da un paio di orecchie spropositate, e finge di invidiare gli uomini, sordi a causa delle loro orecchie pocket. Ma poi di fronte a loro e ai loro lamenti non può non commuoversi come un idiota. E' il punto di vista da cui le Albe guardano il mondo, lasciandosi stupire, incuriosire, compromettere. Cercando nei personaggi e attraverso di essi -realmente esistiti, inventati, rielaborati- un legame profondo con il tempo presente e con la loro terra, che ritorna spesso nella lingua, il dialetto romagnolo di Campiano, nelle leggende, nelle superstizioni e nelle tradizioni contadine. I passatelli che Daura de I refrattari cucina sulla luna, la merde di Ubu roi di Alfred Jarry che nelle loro rivitazioni I polacchi e Ubu buur diventa merdasa, l'Alcina pietrificata dal dolore che il poeta romagnolo Nevio Spadoni ha reimpastato per loro dalla figura ariostesca, insieme alle musiche materiche di Luigi Ceccarelli, e quell' "acuto e morboso sentimentalismo di Romagna", come diceva Pier Paolo Pasolini espressamente ricordato, che sa farsi fa carico delle sofferenze e dei tormenti di figure lontane, nel tempo e nello spazio: Rosvita, badessa vissuta in Sassonia del decimo secolo e prima scrittrice di teatro dell'occidente, un personaggio estremo a cui Ermanna si è avvicinata in un momento di malattia, e Aung San Suu Kyi, combattente per la pace birmana imprigionata in detenzione domiciliare fino al 2010 , premio Nobel per la pace 1991, a cui le Albe hanno dedicato il recente Vita agli arresti, frutto di un viaggio di studio in Birmania. Ermanna alterna una narrazione più neutra che la vede dietro un leggio all'interpretazione-evocazione dei personaggi, aiutata da pochi elementi distintivi, come le grandi orecchie d'asino, una seggiola rossa, un drappo. E dalla voce, soprattutto, che è strumento sovrano, da modulare, accordare, sondare ogni volta. Voce graffiata, scorticata, arruginita come quella di Arpagone dell'Avaro di Molière, oppure timbrica e chiara come quella di Aung San Suu Kyi, immaginata in un dialogo con un geco mentre lo invita ad ascoltare le donne che cantano: "Le senti? Cantano mio geco, le senti? Perché la tenebra c'è sempre stata ma è la luce che è nuova". La camera da ricevere è il primo appuntamento della rassegna A Roma! A Roma! ideata da Francesca De Sanctis che mutuando il titolo dalla celebre frase cechoviana di Tre sorelle (A Mosca! A Mosca!) intende sia riportare nella capitale artisti che mancano da troppo tempo (Mimmo Sorrentino, Massimo Verdastro, Barbara Valmorin, Laura Curino che seguirà con Scintille, dal 10 al 15 febbraio 2015) sia far conoscere nuove formazioni altrimenti defilate. Alessandra Bernocco  

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 8 febbraio 2015

Il mondo intimo e creativo di Ermanna Montanari  Ci   racconta   la   sua   storia  Ermanna   Montanari,   come  donna   e   come   attrice,  ripercorrendo   le   tappe   che  hanno   segnato   la   sua   vita  artistica.   Ci   conduce   dentro   un  universo   intimo,   dentro   una  camera   delle   creazioni,   dove  tutto  è  nato  e  si  produce.  Nel  suo  racconto   non   c'è   nostalgia,   ma  anzi   desiderio   di   dimostrare  come  il  teatro  possa  a  suo  modo  essere   eterno.   Tornano   così   in  vita,  come  una  fenice  che  rinasce  dalla  ceneri,   i  personaggi  che  ha  interpretato   lungo   la   sua  

carriera  e  che  più   la  rappresentano:  Fatima,   l'asina  parlante  che  non  riesce  a  rinunciare  alla  sua  natura  animalesca  e  per  quanto  ci  provi  continuerà  sempre  a  ragliare;  Bêlda,  la  veggente  che  vive  di  superstizioni  e  rancori  che  la  portano  a  compiere  un  maleficio  volto  a  uccidere  il  prete  di  parrocchia;  Mêdar  Ubu,  grottesco  e  schizofrenico  personaggio  dalla  voce  stridula,  che  nel  frammento  della  maglietta  di  lana  racconta  ciò  a  cui  Re  Venceslao  è  andato  in    contro  per  non   aver   dato   ascolto   alla   premonizione   della   moglie.   Infine,   incontriamo   la   maga   Alcina,  Daura  sulla  luna  insieme  al  figlio,  Rosvita,  Arpagone  dell'Avaro  di  Moliere  e  Aung  San  Suu  Kyi.  Ermanna  Montanari  –   fondatrice   insieme  a  Marco  Martinelli,  Luigi  Dadina  e  Marcella  Nonni  del  Teatro  delle  Albe  –  articola  lo  spettacolo  alternando  la  narrazione  biografica  alla  finzione  scenica,  in  un  virtuoso  alternarsi  di  personaggi.  Pochi  oggetti  ha  a  disposizione  nella  scrivania  della  sua  "camera  da  ricevere":  due  orecchie  da  asino,  una  calla,  fiore  simbolo  della  morte,  un  paio  di   guanti  bianchi,  uno  scialle   colorato  e  brillante.  Ma  sono  sufficienti  per  proiettarci   in  quel   luogo   dove   tutto   può   accadere.   Il   suo   corpo   e   la   sua   voce,   parafrasando   le   parole  dell'attrice,  diventano  strumenti  che  si  muovono  dentro  una  drammaturgia  musicale.  Non  ci  sono  limiti  alla   libertà  espressiva  e  anche  i  mezzi  tecnologici  diventano  fonte  di  ricchezza.   Il  microfono  dà  vita  a  emozioni  nascoste  nel  profondo,  a  sospiri,  a  parole  pronunciate  sottovoce.  La  Montanari  non  occorre  neanche  che  ricorra  a  personaggi  en  travesti  (nel  caso  specifico  di  Arpagone),  perché  la  voce  di  per  sé  trasforma.  Fino  a  diventare  canto  quasi  demoniaco  nella  registrazione   sull'istupidimento   della   maga   Alcida.   La   proiezione   video   viene   usata   come  interlocutore   nella   confessione   della   leader   birmana,   quando   ancora   è   in   carcere   e   non  sapendo  con  chi  comunicare  si  rivolge  a  un  immaginario  geco  dicendogli  che  nessun  premio  Nobel  per  le  pace  potrà  restituirle  tutti  gli  anni  persi  in  prigione.  Ride  il  pubblico  del  Teatro  Due  Roma,  ascoltando  quel  linguaggio  così  bizzarro  e  legato  al  territorio  romagnolo,  applaude  dalla  platea  quasi  piena.    Sara  Bonci  

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8 febbraio 2015

La camera da ricevere al Teatro Due Roma Scritto da Arianna Arete Martorelli

Immaginatevi un palco immerso in un buio pesto, a lato un leggio tenuto tra le mani da Ermanna Montanari, attrice e autrice del testo, dietro le sue spalle una scrivania con alcuni oggetti. L’attrice inizia a parlare e la storia ha inizio: “nel casolare in cui vivevo da bambina c’era una stanza al pianterreno che si teneva sempre chiusa, chiamata in dialetto la cambra da rizèvar, la camera si apriva solo due volte all’anno, a Pasqua e a Natale, per accogliere i parenti tutti abbigliati nei loro goffi vestiti della domenica. La camera da ricevere era diventata il nascondiglio dove, senza essere vista, potevo confidare le mie avventure canterine e i miei travestimenti che da lì iniziarono a prendere forma. Un luogo buio, denso d’insidie.” Così, quasi per magia, senza nemmeno accorgercene, siamo catapultati in quella che ora capiamo essere la stanza da ricevere. Ermanna Montanari in questo spettacolo ripercorre le tappe del suo personale universo teatrale attraverso alcuni dei suoi personaggi, forse quelli più legati a lei. Il pubblico prende parte alla performance trasformandosi in un bambino curioso, che attraverso il buco della serratura spia la nascita della creazione dei personaggi dell’attrice. Fatima asina parlante, Belda veggente romagnola, Rosvita dalla squillante voce, l’istupidimento di Alcina, l’afasia di Arpagone. Personaggi che si materializzano sul palco grazie all’interpretazione di Ermanna Montanari, che con il solo ausilio di alcuni oggetti riesce a impersonificare quella figure intrise di personalità che in quel momento si trovano realmente lì. Oltre la magistrale interpretazione dell’attrice, una nota di riconoscimento va assolutamente assegnata al tecnico delle luci responsabile della loro sequenza durante l’esecuzione dello spettacolo teatrale, attraverso quelle radiazioni luminose è riuscito, come in un dipinto di Caravaggio, a generare una funzione costruttiva e simbolica delle scene, ad accrescere l’intensità della performance e a far emergere le figure con una grandissima forza espressiva. La camera da ricevere sarà al Teatro Due Roma fino all’8 febbraio ed è lo spettacolo che apre la rassegna “A Roma! A Roma!” a cura di Francesca De Sanctis. L’ambizione della rassegna, che fino al 29 febbraio ospiterà 12 compagnie, tra attori con una lunga carriera alle spalle e artisti più giovani, è quella di cercare di riportare nel contesto teatrale romano una brezza di novità.

 

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10 febbraio 2015 Meravigliosa Ermanna (La camera da ricevere) di Giorgio Taffon

Ermanna Montanari, col suo La camera da ricevere , apre la prima settimana della manifestazione A Roma! A Roma! del Teatro Due, curata da Francesca De Sanctis, di cui scriviamo in altra rubrica della rivista. Estrapolare i personaggi via via interpretati (da Fatima asina parlante a Bêlda veggente romagnola; da Rosvita dalla squillante voce a Mêdar Ubu che squittisce le sue invettive; da Alcina col suo istupidimento, a Daura e le sue profezie; da Arpagone colla sua afasia, a Tonina Pantani e la sua sete di giustizia, e al premio Nobel Aung San Suu Kyi), estrapolarli dai testi e dalla tessitura spettacolare che hanno fatto la storia del Teatro delle Albe, per ospitarli nella “cámbra da rizévar”, uno spazio familiare che diviene luogo mentale, sentimentale, figurale, teatrale! Nel mondo della vita quella camera riporta al tempo dei nonni della Montanari, nella profonda ferrosa e dialettale Romagna (Campiano): in particolare a una nonna “sciamanica”. In metafora

scenica è uno spazio agito in cui trova espressione una delicata operazione drammaturgica: una sorta di traslazione da un contesto a un altro, da un utero germinale ad un altro, di personaggi che rivivono perché sono il corpo, la voce, gli occhi, lo sguardo di Ermanna: la quale sa fondere e meravigliosamente confondere le tre dimensioni dell'attore: il suo io personale biografico, il suo io recitante, il suo io metamorfico che assume in sé un personaggio! O che “entra” in un suo personaggio! Cosicché la voce di guida drammaturgica che assume per orientare lo spettatore, preparando e anticipando davanti a un leggìo illuminato l'entrata in scena di un personaggio dopo l'altro, è come ogni volta un aprire la porta della stanza e far entrare l'ospite. Ma non è affatto una pirandelliana e macchiana “stanza della tortura”: la camera di Ermanna è un luogo dove lei accoglie nella sua voce, nella sua “maschera”, nel suo corpo, maternamente e nonnescamente, tutti i suoi ospiti, che sembrano pacificarsi nel trovare vita teatrale. E' in particolare la voce di Ermanna che commuove lo spettatore, che lo fa cum movère, nel suo proprio spazio inventivo, incontrando così quegli ospiti: io stesso ho ripensato alla mia nonna, pur se veneta, e a mia madre; al loro dialetto un po' più dolce, ma con assonanze inevitabilmente padane; ho pensato a tante figure femminili rese sacrificali dalla cattiverie del mondo, o delle istituzioni; ho pensato ad amiche, ad antiche professoresse, che hanno riscattato in qualche modo la condizione femminile. Ma certo non è solo la voce (sperimentata già nell'ambito del progetto “Dimore delle voci-Laboratorio di Drammaturgia sonora IV edizione” promosso da Rai Radio 3, Centro Teatro Ateneo, per cura di Valentina Venturini), a dar vita ai suoi personaggi ospitati: è tutta la persona della Montanari, il suo corpo che è costantemente “in vita”, il suo lavoro anche sui minimi particolari, dagli occhi ai gesti delle mani, delle dita, alla posizione dei piedi, e così via, che ci colpiscono, e ci restituiscono vivi quei suoi ospiti. Meravigliosa Ermanna: che a momenti mi è parsa essere una italicissima, popolarissima fisarmonica, nel suo salire e scendere sulle note alte e sulle note basse, accordando più vibrazioni, intrecciando drammaturgiche azioni fisiche dell'emissione vocale; che a volte mi è sembrata come un orologio dai meccanismi perfetti, con le sue braccia e mani – lancette, nel sincronizzare movimenti a volte volutamente ed espressivamente disarmonici; che in altri momenti mi è parsa una poupée che si muove obbedendo a ritmi molto interiorizzati, nascondendoli e rivelandoli assieme; che in certe movenze e partiture sonore mi è sembrata una sacerdotessa ctonia, giunta da profondità terragne per ascendere su, in alto, su un palcoscenico dove officiare un rito teatrale che assieme si congiunge e ci congiunge a sensi rituali che sembrano perduti per sempre! Meravigliosa Ermanna!  

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16di Katia Ippaso

erte volte, il teatro lo siprende dalla parte delpubblico, e non solo

perché noi siamo lì seduti inplatea, ma perché, certe volte,ascoltare la platea che ascoltal’attore che a sua volta ascolta laplatea, è un’esperienza che cicollega all’essenza stessa delfarsi teatro. Alle origini. Tutti ipiù grandi teorici e maestri diteatro hanno parlato di questocurioso e ammaliante effetto:José Sanchis Sinisterra, peresempio, lo chiama, moltotecnicamente, ”retro-alimentazione”, o”permeabilità”. Ma non capitaspesso di sentirsi attori di unprocesso creativo-rigenerativo.L’altra sera è accaduto. Al TeatroDue di Roma, grazie ad ErmannaMontanari, attrice della storicacompagnia Teatro delle Albe,una delle figure di maggiorspessore del panorama artisticoitaliano. Questa volta, lacompagnia ravennate hamandato avanti un’operacameristica, o anche potremmodire una versione da camera diuna produzionedrammaturgica/performativa cheattraversa decenni di attività, inun montaggio fonetico costruitosu misura per l’attrice, che inquesto caso è anche regista dellacomposizione scenica (in generegli spettacoli sono firmati daMarco Martinelli). Lo spettacolosi intitola, significativamente, Lacamera da ricevere: “La cambrada rizévar” è, lo spiega l’attriceall’inizio del suo monologo cheè insieme espressionista eintimo, la camera in cui siricevevano gli ospiti, nella casadi Campiano, nella campagnaromagnola: una camera che siapriva due volte all’anno peraccogliere i parenti che sitra/vestivano nei modicerimoniosi adatti all’occasione -e che sarebbe diventata anche ilnascondiglio di Ermannabambina, un luogo da cui farsiattraversare, per ”prendere” sudi sé tutte le voci che l’avevanoabitata prefigurando le voci chele sarebbero arrivate in dono,come in una profezia d’amore.Le voci delle tante creature che,negli anni, Ermanna Montanariha interpretato, sotto la spintadella scrittura e spesso anchedella regia del suo compagnod’arte e di vita, MarcoMartinelli. Dalla cassa dirisonanza di una camera in cuisi ricevono le immaginifantasmate di tutti coloro chevengono a visitarci, Montanariva vivere, in una alternanza direcitazione e lettura, le figure diuna partitura ocra che va drittanell’estremo: c’è Fatima, l’asinomagico con le sue orecchie ingrado di captare gli ultrasuonidella vita, c’è la guaritrice Belda,che è capace di fare un maleficioperché l’ha subito a sua volta,c’è la maga Alcina che arretra esi fa male per un vento d’amoredi cui è schiava, c’è Medar Ubu,una madre Ubu polacca edirompente, c’è Daura, la madreprotagonista dei Refrattari (un’operina scritta daMartinelli) che immaginiamolievitare, c’è Rosvita,canonichessa sassone, poetessa edrammaturga (contaminata con iversi di Emily Dickinson eAmelia Rosselli), e c’è, infine, lamadre di Marco Pantani, Toninala grande, che ha visto la veritàprima degli altri. Figure tuttediverse l’una dall’altra ma chevanno a confluire in un’unicapittura su corpo che si spacca esi ricuce continuamente inpreda al furore (incredibile in uncosì sottile corpo) di una voceche pensa non per logiche

Cavvertire il lavoro silenzioso diogni spettatore: assestato nellapropria camera da ricevere,nascondino d’infanzia dentrocui attuare il rito dellametamorfosi. Ad un certo puntosi poteva immaginare diindossare tutti quelle stessamagnifiche, lunari orecchied’asino che indossava l’attrice,per intravedere, così nascosti,eppure così esposti, la scialuminosa di ogni passaggioumano e animale, anche quellopiù apparentementeinsignificante.La camera da ricevere hainaugurato la rassegna “ARoma! A Roma!” curata dallagiornalista e critica Francesca DeSanctis, per il Teatro Due, chediventa polo permanente diformazione promozione eospitalità. L’idea, per quanto semplice, èinnovativa. E soprattutto non èsolo teorica: sta accadendo, anziè già accaduto. Da parecchiotempo alcune compagniestoriche e meno storiche delnord e del sud Italia nonriuscivano ad arrivare a Roma.Le ragioni sono differenti, ma ilrisultato è mortificante, sia pergli artisti che per il pubblico.Roma diventa una meta agognatae difficile. Di qui il titolo dellastagione, che ricalca quell’”AMosca! A Mosca” di cechovianamemoria che scandisce ilperimetro di un desiderioimpossibile. « “A Roma! ARoma!” è come un sasso che staper essere gettato in uno stagno,un tentativo per smuovere leacque, un timido gesto di rotturain una pratica consolidata, ungrido d’allarme lanciato negliultimi anni da sempre piùnumerose compagnieprovenienti da tutta Italia»racconta Francesca De Sanctis.Dopo l’apertura di ErmannaMontanari, il palcoscenico delTeatro Due è ora nelle mani diLaura Curino, che fino al 15febbraio racconterà con Scintille( testo di Laura Sicignano) alpubblico quel tragico pomeriggionewyorchese del 1911, quandoalle 16.40, un quarto d’ora primadella chiusura della fabbricaTriangle Waistshirt Company,che produceva camicette,scoppiò un incendio. Al lavoroc’erano circa 600 donne,immigrate dall’Italia odall’Europa dell’Est. Quellaterribile vicenda diventerà unodei precedenti storici delll’8marzo, festa delle donne.A febbraio, arriveranno anche ladrammaturga Letizia Russo cheera andata via tanti anni fa pertrapiantarsi al nord (il suo testo, Per una donna, è diretto daSandra Zoccolan), MimmoSorrentino con i suoiattori/detenuti/studenti/anziani/casalinghe, e Franco Rossi cheaffida a Massimo Verdastro lamessa in scena dei Funerali diTogliatti. Mentre a marzo iprotagonisti sono: StefanoMassini, Barbara Valmorin, Piadi Bitonto, Massimo Schuster,Fabio Monti, Andrea Camilleri,Giovanni Calcagno e AlessandraPescetta, Anna Dora Dorno eNicola Pianzola, Elena Guerrini,Francesco Niccolini e i registiZanco/Mattiuzzi, Ilaria DalleDonne. Teatro di narrazione, ma anchepupi siciliani, spettacoli che siimbattono nella cronaca e lametamorfizzano. In un percorsoche, indifferente alle mode e aideliri dell’ultima compravenditad’artisti, va avanti nella suainattuale attualità, interessatasolo allo sguardo acceso dellospettatore. Ciascuno pronto ad aaprire la propria camera oscura.Nella Roma che si vuoleproibita.

L’OPERA DELLE ALBE HA INAUGURATO LA RASSEGNA ”A ROMA! A ROMA!”: LECOMPAGNIE DI TUTTA ITALIA ASSENTI DAANNI DALLA CAPITALE AL TEATRO DUE

La stanza magica in cui Ermanna riceve gli ospiti

mercoledì 11 febbraio

2015cultura

“LA CAMBRA DA RIZÉVAR” DI MONTANARI

DALL’ALTO: ERMANNA MONTANARI,BARBARA VALMORIN E LAURA CURINO (IN UNA SCENA DI ”SCINTILLE”:FINO AL 15 FEBBRAIO IN SCENAAL TEATRO DUE DI ROMA)

comuni ma per strappi eluccicanze di vita interiore.Concepito inizialmente per ilprogetto “Dimore delle voci”acura di Valentina Valentini etrasmesso su Radio 3, La camerada ricevere ha trovato nella suamessa in spazio al Teatro Dueuna sua sensibile variazione: unconcerto che ha messo glispettatori in uno stato d’animosingolare, attonito, e festoso.Guardare i volti dei presenti ”inpresenza” di ErmannaMontanari era a sua voltaun’opera dentro l’opera, e nonera difficile, in certi momenti,

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10 febbraio 2015

E’ successo per La camera da ricevere

Prosegue la fortunata rassegna del Teatro Due di Roma Montanari-Curino con un assolo di attrici (di Daniele Poto). Virata di repertorio per la finora fortunata rassegna del Teatro Due di Roma, più che mai stabile d’essai, dopo questo coraggioso invito alla cittadinanza, a riscoprire spettacoli e compagnie che non è facile visionare nelle capitale. La vulgata ci dice che negli spettacoli teatrali conti la prima e l’ultima. La “prima” ovviamente per il carattere demi-mondaine e di scoperta, del focus sull’evento, con curiosità e reazioni connesse. L’ultima invece sembra fatta apposta per gli intenditori. Perché lo spettacolo ha raggiunto il giusto punto di cottura e maturazione anche in rapporto alla sala che lo ospita e alla tenuta del pubblico. Ebbene,

quella gran prova d’attrice di Ermanna Montanari, condensata nella proposta “La camera da ricevere” domenica sera, nell’ultima replica, si è meritata il tutto esaurito e il sincero applauso di una folla evidentemente stuzzicata dal passaparola positivo e incoraggiante, derivato dal successo delle serate precedenti. Ed è stato anche lo snodo del passaggio del testimone al prossimo spettacolo. Il Teatro delle Albe di Marco Martinelli, con le sue “primavere eretiche” e con il corredo dei personaggi evocati in trent’anni di drammaturgia, ha permesso una piccola summa attoriale con passaggi suggestivi quanto impenetrabili bazzicando un particolare dialetto ravennate, assolutamente chiuso e gutturale. Un giorno di interregno e poi toccherà a Laura Curino, brava attrice di lungo corso, quasi coetanea di Ermanna Montanari, invariabilmente baciata dal successo di critica in carriera nonostante approcci poco commerciali ed ovvia repulsione a praticare i sentieri del cinema e della televisione. La Curino si può definire in tournèe a Roma prima di un’esibizione che toccherà la Casa dei Teatri e un laboratorio da lei diretto dal titolo emblematico “Riparare il mondo”, ovvia quanto difficile soluzione a tutti i problemi dell’umanità. “Scintille” è il titolo del prossimo spettacolo nel teatro a due passi da Piazza di Spagna (e relativa stazione metrò) e questa è la sua sinossi elementare: “New York, 25 marzo 1911: manca un quarto d’ora alla chiusura della fabbrica T.W.C., produttrice di camicette. Sono al lavoro 600 persone, per lo più giovani immigrate italiane o dall’Europa dell’Est, sfruttate e sottopagate. Una scintilla. In un attimo prende fuoco il grattacielo che ospita la fabbrica. In 18 minuti 146 vittime, quasi tutte ragazze. I proprietari della fabbrica verranno assolti, nonostante non fossero in atto le più elementari misure di sicurezza. Ma la scintilla della protesta si è sprigionata. Questa vicenda diventerà uno dei precedenti storici per la Festa della Donna. Molti altri episodi hanno concorso a dar vita all’8 marzo, ma non c’ è episodio nella storia delle donne più adatto a segnare un punto di svolta”. Diremo che siamo all’interno di un teatro documentario non banale e non didascalico. Avvicinandoci alla fatica celebrazione di marzo.

 

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12 febbraio 2015

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15 febbraio 2015 La camera da ricevere, un bellissimo viaggio tra i personaggi creati da Ermanna Montanari Alessandro Chiocchia ★★★★★ Un affascinante viaggio teatrale tra maghe e asini parlanti, tra regine perfide e paladine dei diritti civili. Così, in modo molto sintetico e schematico, potrebbe essere definito La camera da ricevere, spettacolo di e con Ermanna Montanari andato in scena al Teatro Due di Roma, in occasione della rassegna teatrale A Roma! A Roma! curata da Francesca De Sanctis. Ermanna Montanari è una delle più grandi attrici che il nostro teatro può attualmente vantare, forse la più grande in assoluto, vincitrice di tre Premi Ubu e del Premio Eleonora Duse, co-fondatrice nel 1983 di quella bellissima realtà del teatro di ricerca italiano che è il Teatro delle Albe, del quale la Montanari è tuttora una delle colonne portanti. La “camera da ricevere” del titolo dello spettacolo si trovava nel casolare nel quale la Montanari viveva quando era bambina a Campiano, piccolo paese in provincia di Ravenna, e veniva aperta solo due volte l’anno, a Pasqua e a Natale, per accogliere i parenti: è in quello spazio chiuso e appartato che la piccola Ermanna cominciò a plasmare figure immaginarie con le sue «avventure canterine» e i suoi «travestimenti», è là dentro che sono nati i molteplici personaggi che avrebbe interpretato nel corso della sua carriera. La camera da ricevere – nato nel 2013 nell’ambito della quarta edizione del progetto “Dimore delle voci – Laboratorio di Drammaturgia Sonora”, a cura di Valentina Valentini e promosso da Rai Radio 3, Centro Teatro Ateneo e La Sapienza Università di Roma – è un percorso attraverso alcuni di quei personaggi, che la Montanari fa dialogare tra di loro nel presente: Fatima, la magica asina ermafrodita che a causa delle sue grandi orecchie è condannata ad ascoltare i lamenti provenienti da tutto il mondo; Bêlda, guaritrice e veggente realmente vissuta in Romagna tra Otto e Novecento, costretta a subire la riprovazione ipocrita di chi di giorno la insulta e la prende in giro e di notte si rivolge a lei per risolvere problemi d’amore o di salute; la bianca e crudele Mêdar Ubu, protagonista femminile della rilettura “romagnola” dell’Ubu re di Alfred Jarry che il Teatro delle Albe qualche anno fa portò in giro per il mondo; Alcina, la maga dell’Orlando Furioso che «perde la sua potenza» e anche la ragione quando viene abbandonata dall’amato Ruggiero; Daura, la madre romagnola che decide di fuggire sulla Luna insieme al figlio perché sono entrambi “refrattari” ai tempi moderni, e perché sulla Terra non è più possibile vivere in pace; la monaca sassone Rosvita di Gandersheim, vissuta poco prima dell’anno Mille, autrice di alcuni drammi che ne fanno la prima scrittrice di teatro del mondo occidentale; un bisbigliante Arpagone che recita il suo monologo usando il microfono come «luogo spudorato di potere e possesso»; e infine il Premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi, protagonista dell’ultima produzione del

Teatro delle Albe Vita agli arresti di Aung San Suu Kyi. Gli spettatori che erano al Teatro Due li hanno visti presentarsi ai loro occhi uno dopo l’altro, palpitanti di vita e di sentimenti forti e laceranti, “evocati” sul palcoscenico dalla Montanari tramite il suo corpo attoriale e soprattutto tramite la sua voce, meraviglioso strumento capace di infinite variazioni e modulazioni che può regalare emozioni travolgenti. La camera da ricevere costituisce un’ottima occasione per riscoprire o conoscere per la prima volta alcune delle figure create da Ermanna Montanari durante la sua avventura teatrale, che è iniziata in quella camera nel casolare in Romagna e che speriamo duri per molto tempo ancora.

(NOTA: le citazioni tra virgolette basse sono tratte dal programma di sala dello spettacolo, scritto da Ermanna Montanari).

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18 febbraio 2015 Ermanna Montanari? A Roma! A Roma! E non arriva solo lei... Carlo Lei

Forse a non tutti i romani è nota l’esistenza del Teatro Due. A pochi metri da piazza di Spagna, in un vicolo cieco, è un luogo intimo, fresco eppur affettuoso. Le proporzioni della sala sono inaudite: il soffitto è altissimo, ma si abbassa proprio dove dovrebbe alzarsi, sul palco. Stretta e lunga è la platea, e sormontata da un mosaico luminosissimo, che riempie di bellezza la volta lontana. Sul fondo della sala - le poltrone nuove e scure - si apre una finestrona, tagliata crudamente nella parete, ed è la cabina di regia, distante e quasi sovrastante l’intero sistema del teatro. Tutto è nuovo, tutto è lindo, e tutto però già quasi caldo, o pronto a scaldarsi. Il foyer è inesistente: anzi è fuori, all’aperto, in un cortile silenzioso e dalla

geometria irregolare. È questa la sede di “A Roma! A Roma!”, rassegna curata da Francesca De Sanctis e iniziata il 3 febbraio, che ha lo scopo di portare in città artisti o spettacoli che finora le sono stati lontani. «Vorremmo allestire i nostri spettacoli nella capitale, ma ormai la città è diventata inaccessibile alle compagnie non romane» reclama la presentazione della rassegna. Questo stimolo iniziale, lanciato sulle pagine dell’Unità dalla curatrice, è stato raccolto dal direttore artistico del Teatro Due Marco Lucchesi, ed è uno dei problemi che si aggiungono alla situazione dolorosamente decadente del teatro romano, che il nostro Giacomo D’Alelio ha appassionatamente delineato su queste pagine. I lavori in programma sono tutti italiani, tutti caratterizzati dalla sperimentalità dell’impostazione (nel senso più generale) e, com’è comprensibile, dalla facile allestibilità. Così è quello che apre la rassegna: “La camera da ricevere” di Ermanna Montanari. Il decennale lavoro della Montanari non ha bisogno di presentazioni: la sua attività di autrice e attrice con il Teatro delle Albe di Ravenna, la sua ricerca vocale, in lingua e in dialetto... Ma se invece qualcuno, per ragioni anagrafiche, geografiche o di occasioni mancate, queste presentazioni le volesse, allora “La camera da ricevere” è lo spettacolo-florilegio da vedere. Un bignami di personaggi e interpretazioni che parte da “Siamo asini o pedanti?”, del 1989, al Pantani del 2012, dal “Lus sui taglienti versi in dialetto di Campiano” di Nevio Spadoni, dall’Ubu buur in cui i personaggi di Jarry si ritrovano, attraverso un mix di Senegal e Romagna, in Pulogna, così come romagnola è la protagonista dell’“Isola di Alcina”, lavoro ispirato al personaggio ariostesco. Se in questa sede si volesse analizzare, lavoro per lavoro, ogni lacerto di testo, di interpretazione, di approccio alla scena, si dovrebbero trasformare delle semplici righe di presentazione in un saggio monografico sulla Montanari, il che non è possibile. Si dovrebbe allora argomentare sul modo in cui la vocalità è ampliata o ristretta, sperimentata all’interno di precisi recinti o scatenata all’esterno di essi, in territori inesplorati; come tale vocalità possa fondersi con opere musicali tra le più classiche della tradizione occidentale (Verdi, Haydn), o richieda una nuova intonazione, nella fattispecie quella di Luigi Ceccarelli. Lo spettacolo, ambientato in un generico studio, con tavolino da lavoro, sedie differenti, due lampade di scena, è un’antologia, e il tessuto connettivo dell’antologia è esplicito, offerto sopra un leggio dall’artista che introduce la storia e la qualità di ogni testo. Ed è un continuo entrare e uscire da quella “câmbra da rizévar”, più metonimia che metafora del lavoro della Montanari: un luogo in cui si studiano «i parenti, tutti abbigliati nei loro goffi vestiti della domenica»; luogo riflettente, tappezzato di specchiere (di cui un attore non può fare a meno, per vedere sé e per vedere gli altri messi in uno sguardo meno suo); luogo privo per lo più di un suono proprio, ma pronto a riempirsi dei suoni del di fuori, della strada e della casa.  

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19 novembre 2015

La camera da ricevere: Ermanna Montanari fra biografia e teatro MARTINA  VULLO   |  Diverse   ragioni   spingono  il   pubblico   ad   applaudire   alla   fine   di   uno  spettacolo:  il  riconoscimento  di  una  pièce  ben  fatta,   la   lode   alla   bravura   di   un   attore   o   la  pura   convenzione   che   si   traduce   in   un   gesto  formale   di   cui   talvolta   non   si   è   neanche  convinti.   Poi   ci   sono   quei   casi   in   cui   gli  spettacoli   generano   un’energia   in   grado   di  attraversare  il  corpo  dello  spettatore,  il  quale  senza   stare   a   pensarci   si   ritrova   a   battere   le  mani  in  un  automatismo  difficile  da  arrestare.  Quando   questi   casi   si   verificano   Dioniso   ha  compiuto   il   proprio   compito   incarnandosi  nell’attore   e   facendogli   dono   della   sua   forza  vitale  ambivalente   in  grado  di   fare  emergere  al  contempo  tutto  il  sublime  ed  il  triviale  che  

appartiene   all’uomo.   “Incarnazione”   è   una   parola   che   racchiude   bene   il   senso   dello   spettacolo   che  Venerdì  scorso  ha  avuto  luogo  ai   laboratori  delle  arti  di  Bologna.  Ne  La  camera  da  ricevere,  Ermanna  Montanari   è   il   medium   di   eccellenza   dentro   cui   si   incarnano   diverse   figure   del   suo   repertorio:  fondamentali  tappe  di  uno  spettacolo  che  intreccia  il  racconto  alla  recitazione  e  il  percorso  biografico  dell’attrice  a  quello  professionale:  poli  che  del  resto  sarebbe  impossibile  dividere.  Il  filo  rosso  che  lega  i  personaggi  è  appunto  la  camera  da  ricevere:  una  stanza  della  casa  di  Campiano  –  paese   in  cui   la  Montanari  ha  vissuto  nell’infanzia  –  che  veniva  aperta  solo  nelle  grandi  occasioni  per  ricevere   gli   ospiti:   un   luogo  magico,   nella   penombra   del   quale   possiamo   immaginare   questa   bimba  rifugiarsi  per  far  vivere  le  creature  nate  dalla  propria  fantasia  e  dare  loro  voce…  cosa  che  da  allora  non  ha  più  smesso  di  fare.  Ogni  personaggio  creato  o  reinventato  dall’attrice  deve  qualcosa  a  quella  stanza.  Per   questo   Fatima   l’asina   volante,   Belda   la   veggente,   Daura   de   I   refrattari,   Alcina   instupidita   per  amore,  Arpagone,  Rosvita  canonichessa  sassone,  Medar  Ubu  e  Aung  San  Suu  Kyi,  si  manifestano  al  suo  interno.  Penombra.  Due  sedie  laterali.  Una  grande  scrivania  su  cui  è  adagiata  una  lampada  da  studio  e  svariati  oggetti  che  verranno  usati  per   la  drammaturgia.   In  avanti,  alla  sinistra  del  pubblico,   il   leggio  dal  quale  l’attrice  racconta,  spiega  ed  introduce  le  figure  prima  di  dare  loro  vita.  A  definire  i  personaggi  pochi  oggetti:  le  orecchie  di  Fatima,  lo  scialle  di  Daura,  un  giglio  bianco,  guanti,  una  falce  e  una  corona.  Qualche  volta  a  rendere  visivamente  un  personaggio  basta  un  diverso  modo  di  usare  la  luce,  come  il  neon  puntato  su  Arpagone  o  assumere  una  particolare  posizione,  come  quella  di  Alcina  sulla  sedia  o  ancora  più  efficacemente  un  cambiamento  di  espressione.  Pari  alla  capacità  mimica  della  Montanari  è   la   sua  maestria  nell’uso  della  phonè:   il   suono  che  si   fa   linguaggio  ancora  prima  di  veicolare   la   parola.   Se   la   veggente   parla   un   Romagnolo   poco   comprensibile,   la   rabbia   e   l’odio   della  donna  verso  il  parroco  che  ne  ha  disseppellito  la  madre,  è  perfettamente  palesato  nei  suoni  che  essa  emette.  Interessante  dal  punto  di  vista  fonetico,  il  modo  in  cui  l’asina  parlante  Fatima,  nel  riportare  le  sofferenze   del   mondo   che   le   sue   grandi   orecchie   accolgono,   modula   il   timbro   della   voce   facendolo  tendere   in   certi   momenti   ad   un   ragliare.   Non   è   un   caso   che   l’asino,   simbolo   dell’ideologia   della  compagnia  ravennate  sia  il  primo  ad  esordire.  Nell’introdurlo  Ermanna  racconta  la  propria  parentesi  universitaria  a  Bologna  e  della  tesi  su  Giordano  Bruno  affidatale  da  Meldolesi.  Ogni  personaggio  ha  un  personale  sfondo  sonoro.  Qualcuno  è  avvolto  dal  silenzio,  altri  sono  accompagnati  da  suoni  o  melodie.  Un  suono  breve  ed  acuto  segnala  l’esordio  di  un  nuovo  personaggio,  mentre  l’attrice  di  spalle  cambia  mentalmente  veste.  Andando  avanti  nel  racconto,  la  Montanari  parla  dell’incontro  con  Luigi  Ceccarelli:  artista  di  musica  elettronica  col  quale  si  è  creata  una   forte  alchimia.  Parla  della  propria  scoperta  del  microfono   con   tutte   le   potenzialità   che   ne   derivano.   La   voce   di   Alcina   che   segue   è   la   sua,  ma   fuori  campo.   Lei   non   parla.   Sta   quasi   immobile   sulla   sedia   forte   della   sua   presenza,   ma   la   voce   sembra  sprigionare  dal  suo  corpo.  Il  concertare  di  Ermanna  ricorda  quello  di  Carmelo  Bene  (se  confrontassimo  

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il   video   della   lettura-­‐concerto   di   Rosvita,   girato   dal   gruppo   Acqua   Micans   per   le   Albe   e   quello   di  All’amato   me   stesso   di   Majacovskij   recitato   da   Bene,   anche   nelle   inquadrature,   in   certi   sguardi   e  nell’atmosfera  ritroveremmo  non  poche  somiglianze),  ma   la  capacità  vocale,  per  quanto   forte,  è  solo  una   delle   diverse   componenti   che   nel   loro   insieme   rendono   affascinante   lo   spettacolo.  Ciò   che   conquista   il   pubblico   sono   i   piccoli   sorrisi   che   la   drammaturgia   riesce   a   catturare   pur   nel  trattare  argomenti   tutt’altro  che  allegri,   il  mettere  a  nudo  se  stessi  come  fa  Ermanna  parlando  il  suo  dialetto  o   raccontando  di   se,   il   percepire   che   l’attore   in   scena  è   il   primo  ad  emozionarsi   (penso  alla  commozione   palpabile   dell’attrice   nel   recitare   i   frammenti   di   Amalia   Rosselli   ed   Emily   Dickinson  dell’intermezzo  di  Rosvita)  o   anche   semplicemente   le   storie   che  vengono   scelte   e   che   commuovono:  una  fra  tante  quella  del  premio  Nobel  per  la  pace  Aung  San  Suu  Kyi  e  della  sua  ferma  convinzione  che  un   futuro  migliore   per   l’uomo   possa   venire,   anche   quando   il   mondo   sembra   suggerire   il   contrario.  La   parola   chiave   è   equilibrio.   Del   resto   anche   Martinelli   attraverso   uno   degli   aneddoti   che   ama  raccontare  nel  corso  dei  suoi  laboratori,  mettendo  le  parole  nella  bocca  di  un  intellettuale  invitato  ad  un  ricevimento  a  corte  e  interrogato  su  cosa  sia  l’arte,  gli  fa  rispondere  che  l’arte  è  “un  pochettino”:  un  colore  un  pochettino  più  chiaro  o  più  scuro  in  un  quadro,  un’inquadratura  leggermente  diversa  in  una  fotografia   o   una   parola   un   po’   differente   in   una   poesia   d’autore.   Un   gioco   di   equilibrio   insomma.  Ripenso  allora  ad  Ermanna  Montanari.  Al  suo  cambiare  otto  personaggi  con  relative  voci,  espressioni,  movenze,  nell’arco  di  due  ore  scarse.  Penso  al  suo  passare  dal  racconto  leggero  al  più  impegnato,  dal  personaggio   giovane   all’anziano,   dal   maschile   al   femminile.   Dai   personaggi   delle   cronache   attuali   a  quelli  vissuti  secoli  fa  o  tratti  da  altre  drammaturgie  e  riadattati  ad  hoc.  Penso  alla  naturalezza  con  cui  questo  avviene  e  mi  domando  se  non  sia  stato  il  suo  spettacolo  una  gran  dimostrazione  di  questo  “pochettino”.  


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