9 aprile 2014
Che cosa sono le nuvole di Massimo Marino
I “ Parlamenti di aprile” del Teatro delle Albe hanno per immagine nuvole basse sulla pianura, fotografate da Cesare Fabbri, simili a fumi, a esplosioni. Sono una settimana di incontri, di discussioni, sulla teoria del teatro, su teatro e comunicazione, sul mettersi in scena di critici e studiosi, facendo agire su di sé il desiderio di provarlo il teatro. E poi, ancora, teatro e filosofia, intorno alla figura originalissima di Giuseppe Fornari, prosecutore degli studi di Girard sul sacrificio, teatro e Europa, peripezie teatrali, con voci di artisti che dalla scena sono partiti per altre, eterodosse avventure. Sono iniziati ieri 8 aprile, i “Parlamenti”, con un’intensa discussione sull’ultimo libro di Marco De Marinis, Il teatro dopo l’età d’oro (Bulzoni), sull’eredità del teatro del Novecento oggi, tra storia e osservazione del movimento presente delle cose, tra sguardo al passato e nostalgia di un futuro che non sappiamo vedere, sempre più negato. Si chiamano “Parlamenti” riprendendo uno scritto del premio Nobel Aung San Suu Kyi del 1994, che mi piace riportare integralmente:
“Ho sempre detto: la democrazia è solo l’inizio. Concordo con l’idea che la democrazia non è perfetta, ma si dà il caso che sia migliore di altri sistemi. Un aspetto tra i più positivi è che nelle democrazie si ritiene sempre che la prima cosa è parlare, l’ultima ricorrere alla violenza. Invece, in molti casi, parlare è l’ultima risorsa e quando le controparti si sono dissanguate e non hanno altra via d’uscita, allora trattano. Ma il più delle volte i danni sono enormi… ”Parlamento” è termine di derivazione latina che significa “parlare”, non è vero? Si parla, si parla dei propri problemi, si parla dei contrasti reciproci. È meglio litigare a parole che uccidersi. Non che mi piaccia gridare, ma è certamente meglio che spararsi…”.
Dopo queste conversazioni piene di ospiti, che presentano anche il libro Primavera eretica (Titivillus), una raccolta di scritti interviste, dichiarazioni, pensieri di Marco Martinelli e Ermanna Montanari dal 1983 al 2013 (con sette mie postfazioni ai sette capitoli), ogni giorno c’è qualche appuntamento spettacolare. Ieri siamo stati rapiti, ancora una volta, da Ermanna Montanari, maga incantatrice capace di creare figure che si incidono dentro, voce che da una lontana ferita, da litanie, formule quotidiane, inflessioni di preghiera e bestemmia contadine, arriva ad aprire in chi l’ascolta orizzonti, muri, stagnazioni palustri, voli verso regioni insieme ctonie e aeree. La camera da ricevere è stata creata per il progetto “Dimora delle voci – Laboratorio di Drammaturgia sonora, IV edizone”, a cura di Valentina Valentini, promosso da Rai Radio 3 e Centro Teatro Ateneo dell’Università La Sapienza di Roma. Nato come spettacolo radiofonico, ieri ha dimostrato tutta la sua versatilità, che può trasformarlo in una vera e propria “serata d’onore”, come quelle che si tributavano alle prime donne nel teatro all’antica italiana, per una delle attrici più intense della scena di oggi, pluripremio Ubu nonché premio Eleonora Duse.
Nell’abside gotica del Rasi, antica chiesa, poi cavallerizza, infine teatro, Ermanna Montanari accoglie un numero ristretto, stretto a sé, di spettatori in un sobrio salottino, con una poltrona rossa, un tavolo con qualche oggetto, un leggio, due casse di amplificatore. Al mixer la sostiene la regia attenta e discreta di Marco Martinelli, che con lei ha composto la serata. Inizia tornando alla più volte narrata infanzia nella campagna ravennate, radice di dialetto gutturale, di odori di animale, di famiglie patriarcali e incantagione. C’era, nella grande casa, una “camera da ricevere”, chiusa quasi tutto l’anno, penetrata spesso da lei che vi si nascondeva per immaginare, per sognare e moltiplicarsi in possibilità. Qui la riproduce, per mostrare i suoi personaggi, che chiama piuttosto figure, e che io definirò voci, perché là, nel ritmo, nel dispiegarsi dall’interno verso il corpo, da una ferita attraverso fatica, dolore, estroflessione, sogno, rabbia, desiderio, smarrimento, prendono consistenza riverberando sulle orecchie, gli occhi, i corpi, le anime degli spettatori. Scorrono l’asina Fatima, con orecchie grandi per raccogliere le sofferenza del mondo, figura ispirata da Giordano Brunio; Bélda la veggente romagnola, che qualcuno chiama strega, pronta a vendicare l’abiezione inflitta alla madre da una piccola società ipocrita; la squittente, insinuante, intrigante Medar Ubu; Alcina instupidita come nebbia dall’amore; Daura madonna levitante e profetica sulla luna dove con il figlio Arterio ha trovato impossibile requie al tramutar del mondo; Rosvita, monaca che guarda in faccia il male sognando le stelle; Arpagone l’avaro innamorato perso con voce
di topo del suo denaro; Tonina Pantani, la madre del Campione, che ne difende la memoria davanti al mondo pronto a infangare.
Cambia solo con qualche segno il corpo. Qualche volta la sua voce ci è restituita da una registrazione, come nel caso di Alcina, in lotta con i suoni materici, gli strappi, i graffi di Luigi Ceccarelli. Sono gli occhi, con il loro movimento, ad alludere a un’immedesimazione, a una distanza, a un giudizio, a una richiesta di complicità o di aiuto, vivi, smarriti, ironici, abbandonati, supplicanti, sfidanti, velati da un improvviso indecifrabile pensiero. Immobile con un coltellaccio ricurvo di campagna brandito davanti al volto, in nera silhouette, intenta a una litania a una nostalgia a una rampogna, seduta in ascolto della propria voce, sembra una figura di un mosaico bizantino di quelli che circondano il Rasi, misterioso, lontano e vicino a qualche regione nascosta dentro di noi. Frontale e celato. È come un viaggio, questo spettacolo, dalle terre basse, dove le zolle
sanno ancora di palude, alle vette, raggiunte per raucedine, istupidimento, gracidare, rabbia simile a tempesta tra le canne sul mare. La voce modula e ritorna a una cantilena di base, marchio romagnolo dell’attrice, monotonia simile a un cullare, a un incubare l’universo dentro di sé, la passione, la distanza, l’odio, l’amore. Queste voci disegnano donne spesso travolte, che cercano di resistere, che scavano dentro sé le flebili ragioni per esistere, e così ci dona l’attrice un sogno, un orizzonte, una proiezione in quelle inaccessibili, insostituibili regioni che sembrano negare la realtà per farla sfavillare. Fragile, forse meno imperfetta. Almeno un po’.
21 maggio 2014
La camera da ricevere Una straordinaria Ermanna Montanari ha inaugurato la nuova edizione di “Le Stanze”, festival di “teatro d’appartamento” ideato da Alberica Archinto e Rossella Tansini che questa volta conduce il pubblico di Milano alla scoperta di inedite fondazioni legate al mondo e al lavoro artistico –
Con una vera e propria serata d’onore per attrice sola, hanno preso l’avvio Le Stanze, manifestazione ormai consueta e molto attesa nel panorama teatrale non solo milanese, sostenuta dal Comune di Milano, inventata da due tipe toste come Alberica Archinto e Rossella Tansini. Nata con il proposito di ampliare, scandagliare, provocare, sedurre un nuovo pubblico teatrale, Le Stanze si è però rivelata una mappatura intelligente e informata delle diverse vie di un discorso teatrale che sappia dialogare con le arti sorelle. Quest’anno poi il luogo della rappresentazione – la stanza di una casa ogni volta diversa- è cambiato con la scelta di entrare in Fondazioni legate al mondo e al lavoro artistico. Una scoperta. La prima tappa di questo viaggio dentro un mondo che anche molti
milanesi non conoscono, è un bellissimo palazzo di corso Garibaldi dove ha sede la Fondazione Adolfo Pini, nata per onorare la memoria e il lavoro di un pittore come Renzo Bongiovanni Radice legato alla sua città ma anche cittadino europeo, con frequenti viaggi a Parigi. Nel grande salone dell’appartamento dove ha sede la Fondazione, Ermanna Montanari del Teatro delle Albe di Ravenna ha presentato con grande successo La camera da ricevere, un viaggio dentro alcuni dei suoi personaggi più famosi: non solo, dunque, un viaggio a ritroso nella sua ormai lunga militanza teatrale vissuta con Marco Martinelli, ma anche un corpo a corpo fra l’attrice e diversi modi di fare teatro che hanno contrassegnato il magistero delle Albe di Ravenna, un po’ in italiano e un po’ in dialetto, che il pubblico può seguire da vicino con l’aiuto di un prezioso volumetto curato da lei stessa. Una performance che è stata molto di più di un esercizio di bravura (Ermanna Montanari, ultimo premio Duse, non ne ha certo bisogno) né, tantomeno, di stile, quanto la possibilità offerta allo spettatore di entrare dentro quell’“officina” del tutto particolare che è il nascere del pensiero creativo, le sue motivazioni, la sua concreta realizzazione nel rapporto teatrale. Un po’ come se entrassimo in un negozio di colori e scoprissimo come l’amalgama di diverse tinte possa dare vita a un colore nuovo. In questo mondo sorprendente e affascinante l’attrice ci conduce quasi per mano spiegando il come e il perché siano nati personaggi come Fatima, l’asino parlante, Bêlda, Rosvita, Mêdar Ubu, Alcina, Daura, Arpagone protagonista dell’Avaro e Tonia Pantani, madre di Marco. Tutta ha origine, ci dice Ermanna, da quella stanza del ricevere, nel dialetto del paese natale “la câmbra da rizévar”, luogo misterioso e affascinante per dei bambini, da riempire con la fantasia, ascoltandone le voci. Eccola con un semplice abituccio, degli stivaletti malandrini, muoversi per il salone sull’onda di una colonna musicale fra due luoghi “deputati”: alla sinistra degli spettatori c’è l’Ermanna che legge e tesse il filo del racconto; a destra, di fronte a una specchiera o seduta su di una sedia, l’attrice compie un rito molto antico trasformandosi, con l’aiuto di pochi semplici oggetti – due grandi orecchie d’asino di cartone, dei guanti candidi, una calla di stoffa, un microfono, uno scialle- mantello multicolore sotto i nostri occhi. E intanto fra luci e bui improvvisi, coltiva il suo personale bestiario facendo le voci, dando le profezie, crudelmente stolida, incapace di qualsiasi reazione quando, come Arpagone, comprende che gli è stata rubata la cassetta, madre che chiede ossessivamente giustizia, cambiando postura, gesto, voce, suono, mai troppo oltre e mai troppo vicina. Formidabile. Maria Grazia Gregori
6 febbraio 2015
La camera da ricevere di e con Ermanna Montanari La camera da ricevere è oggi cosa
desueta, come il servizio buono o il vestito della domenica. Ma una volta era la prova della necessità del superfluo, e per essa un contadino poteva anche vendere la sua più preziosa mucca da latte. A questa camera, che si apriva solo a Natale e Pasqua per accogliere i parenti vestiti a festa, tutti con gli occhi bassi per il pudore di guardarsi nelle specchiere, Ermanna Montanari dedica un lungo racconto divenuto spettacolo, ora in scena al teatro Due
di Roma fino a domenica 8 febbraio 2015. La camera da ricevere è un monologo pieno di voci e di suoni, di corpi e di anime in cui scorrono le figure più belle del suo lungo e frastagliato percorso teatrale, che è il percorso del teatro delle Albe, compagnia ravennate di trentennale storia, fondata insieme al marito Marco Martinelli, autore e regista, e a Marcella Nonni e Luigi Dadina. Ed è un po' come aprire uno di quei vecchi libri di fiabe per bambini, di cartone colorato, dove tra le pagine si levavano figure a tre dimensioni, paesaggi lontani, irreali, fantastici. Il primo incontro lo facciamo con Fatima, l'asino ermafrodita di Siamo asini o pedanti?, un testo di Martinelli del 1989 che rappresenta anche la summa della loro poetica, una sorta di dichiarazione di intenti e di metodo che trova il suo paradigma nella 'natura asinina' di chi è 'condannato all'ascolto' da un paio di orecchie spropositate, e finge di invidiare gli uomini, sordi a causa delle loro orecchie pocket. Ma poi di fronte a loro e ai loro lamenti non può non commuoversi come un idiota. E' il punto di vista da cui le Albe guardano il mondo, lasciandosi stupire, incuriosire, compromettere. Cercando nei personaggi e attraverso di essi -realmente esistiti, inventati, rielaborati- un legame profondo con il tempo presente e con la loro terra, che ritorna spesso nella lingua, il dialetto romagnolo di Campiano, nelle leggende, nelle superstizioni e nelle tradizioni contadine. I passatelli che Daura de I refrattari cucina sulla luna, la merde di Ubu roi di Alfred Jarry che nelle loro rivitazioni I polacchi e Ubu buur diventa merdasa, l'Alcina pietrificata dal dolore che il poeta romagnolo Nevio Spadoni ha reimpastato per loro dalla figura ariostesca, insieme alle musiche materiche di Luigi Ceccarelli, e quell' "acuto e morboso sentimentalismo di Romagna", come diceva Pier Paolo Pasolini espressamente ricordato, che sa farsi fa carico delle sofferenze e dei tormenti di figure lontane, nel tempo e nello spazio: Rosvita, badessa vissuta in Sassonia del decimo secolo e prima scrittrice di teatro dell'occidente, un personaggio estremo a cui Ermanna si è avvicinata in un momento di malattia, e Aung San Suu Kyi, combattente per la pace birmana imprigionata in detenzione domiciliare fino al 2010 , premio Nobel per la pace 1991, a cui le Albe hanno dedicato il recente Vita agli arresti, frutto di un viaggio di studio in Birmania. Ermanna alterna una narrazione più neutra che la vede dietro un leggio all'interpretazione-evocazione dei personaggi, aiutata da pochi elementi distintivi, come le grandi orecchie d'asino, una seggiola rossa, un drappo. E dalla voce, soprattutto, che è strumento sovrano, da modulare, accordare, sondare ogni volta. Voce graffiata, scorticata, arruginita come quella di Arpagone dell'Avaro di Molière, oppure timbrica e chiara come quella di Aung San Suu Kyi, immaginata in un dialogo con un geco mentre lo invita ad ascoltare le donne che cantano: "Le senti? Cantano mio geco, le senti? Perché la tenebra c'è sempre stata ma è la luce che è nuova". La camera da ricevere è il primo appuntamento della rassegna A Roma! A Roma! ideata da Francesca De Sanctis che mutuando il titolo dalla celebre frase cechoviana di Tre sorelle (A Mosca! A Mosca!) intende sia riportare nella capitale artisti che mancano da troppo tempo (Mimmo Sorrentino, Massimo Verdastro, Barbara Valmorin, Laura Curino che seguirà con Scintille, dal 10 al 15 febbraio 2015) sia far conoscere nuove formazioni altrimenti defilate. Alessandra Bernocco
8 febbraio 2015
Il mondo intimo e creativo di Ermanna Montanari Ci racconta la sua storia Ermanna Montanari, come donna e come attrice, ripercorrendo le tappe che hanno segnato la sua vita artistica. Ci conduce dentro un universo intimo, dentro una camera delle creazioni, dove tutto è nato e si produce. Nel suo racconto non c'è nostalgia, ma anzi desiderio di dimostrare come il teatro possa a suo modo essere eterno. Tornano così in vita, come una fenice che rinasce dalla ceneri, i personaggi che ha interpretato lungo la sua
carriera e che più la rappresentano: Fatima, l'asina parlante che non riesce a rinunciare alla sua natura animalesca e per quanto ci provi continuerà sempre a ragliare; Bêlda, la veggente che vive di superstizioni e rancori che la portano a compiere un maleficio volto a uccidere il prete di parrocchia; Mêdar Ubu, grottesco e schizofrenico personaggio dalla voce stridula, che nel frammento della maglietta di lana racconta ciò a cui Re Venceslao è andato in contro per non aver dato ascolto alla premonizione della moglie. Infine, incontriamo la maga Alcina, Daura sulla luna insieme al figlio, Rosvita, Arpagone dell'Avaro di Moliere e Aung San Suu Kyi. Ermanna Montanari – fondatrice insieme a Marco Martinelli, Luigi Dadina e Marcella Nonni del Teatro delle Albe – articola lo spettacolo alternando la narrazione biografica alla finzione scenica, in un virtuoso alternarsi di personaggi. Pochi oggetti ha a disposizione nella scrivania della sua "camera da ricevere": due orecchie da asino, una calla, fiore simbolo della morte, un paio di guanti bianchi, uno scialle colorato e brillante. Ma sono sufficienti per proiettarci in quel luogo dove tutto può accadere. Il suo corpo e la sua voce, parafrasando le parole dell'attrice, diventano strumenti che si muovono dentro una drammaturgia musicale. Non ci sono limiti alla libertà espressiva e anche i mezzi tecnologici diventano fonte di ricchezza. Il microfono dà vita a emozioni nascoste nel profondo, a sospiri, a parole pronunciate sottovoce. La Montanari non occorre neanche che ricorra a personaggi en travesti (nel caso specifico di Arpagone), perché la voce di per sé trasforma. Fino a diventare canto quasi demoniaco nella registrazione sull'istupidimento della maga Alcida. La proiezione video viene usata come interlocutore nella confessione della leader birmana, quando ancora è in carcere e non sapendo con chi comunicare si rivolge a un immaginario geco dicendogli che nessun premio Nobel per le pace potrà restituirle tutti gli anni persi in prigione. Ride il pubblico del Teatro Due Roma, ascoltando quel linguaggio così bizzarro e legato al territorio romagnolo, applaude dalla platea quasi piena. Sara Bonci
8 febbraio 2015
La camera da ricevere al Teatro Due Roma Scritto da Arianna Arete Martorelli
Immaginatevi un palco immerso in un buio pesto, a lato un leggio tenuto tra le mani da Ermanna Montanari, attrice e autrice del testo, dietro le sue spalle una scrivania con alcuni oggetti. L’attrice inizia a parlare e la storia ha inizio: “nel casolare in cui vivevo da bambina c’era una stanza al pianterreno che si teneva sempre chiusa, chiamata in dialetto la cambra da rizèvar, la camera si apriva solo due volte all’anno, a Pasqua e a Natale, per accogliere i parenti tutti abbigliati nei loro goffi vestiti della domenica. La camera da ricevere era diventata il nascondiglio dove, senza essere vista, potevo confidare le mie avventure canterine e i miei travestimenti che da lì iniziarono a prendere forma. Un luogo buio, denso d’insidie.” Così, quasi per magia, senza nemmeno accorgercene, siamo catapultati in quella che ora capiamo essere la stanza da ricevere. Ermanna Montanari in questo spettacolo ripercorre le tappe del suo personale universo teatrale attraverso alcuni dei suoi personaggi, forse quelli più legati a lei. Il pubblico prende parte alla performance trasformandosi in un bambino curioso, che attraverso il buco della serratura spia la nascita della creazione dei personaggi dell’attrice. Fatima asina parlante, Belda veggente romagnola, Rosvita dalla squillante voce, l’istupidimento di Alcina, l’afasia di Arpagone. Personaggi che si materializzano sul palco grazie all’interpretazione di Ermanna Montanari, che con il solo ausilio di alcuni oggetti riesce a impersonificare quella figure intrise di personalità che in quel momento si trovano realmente lì. Oltre la magistrale interpretazione dell’attrice, una nota di riconoscimento va assolutamente assegnata al tecnico delle luci responsabile della loro sequenza durante l’esecuzione dello spettacolo teatrale, attraverso quelle radiazioni luminose è riuscito, come in un dipinto di Caravaggio, a generare una funzione costruttiva e simbolica delle scene, ad accrescere l’intensità della performance e a far emergere le figure con una grandissima forza espressiva. La camera da ricevere sarà al Teatro Due Roma fino all’8 febbraio ed è lo spettacolo che apre la rassegna “A Roma! A Roma!” a cura di Francesca De Sanctis. L’ambizione della rassegna, che fino al 29 febbraio ospiterà 12 compagnie, tra attori con una lunga carriera alle spalle e artisti più giovani, è quella di cercare di riportare nel contesto teatrale romano una brezza di novità.
10 febbraio 2015 Meravigliosa Ermanna (La camera da ricevere) di Giorgio Taffon
Ermanna Montanari, col suo La camera da ricevere , apre la prima settimana della manifestazione A Roma! A Roma! del Teatro Due, curata da Francesca De Sanctis, di cui scriviamo in altra rubrica della rivista. Estrapolare i personaggi via via interpretati (da Fatima asina parlante a Bêlda veggente romagnola; da Rosvita dalla squillante voce a Mêdar Ubu che squittisce le sue invettive; da Alcina col suo istupidimento, a Daura e le sue profezie; da Arpagone colla sua afasia, a Tonina Pantani e la sua sete di giustizia, e al premio Nobel Aung San Suu Kyi), estrapolarli dai testi e dalla tessitura spettacolare che hanno fatto la storia del Teatro delle Albe, per ospitarli nella “cámbra da rizévar”, uno spazio familiare che diviene luogo mentale, sentimentale, figurale, teatrale! Nel mondo della vita quella camera riporta al tempo dei nonni della Montanari, nella profonda ferrosa e dialettale Romagna (Campiano): in particolare a una nonna “sciamanica”. In metafora
scenica è uno spazio agito in cui trova espressione una delicata operazione drammaturgica: una sorta di traslazione da un contesto a un altro, da un utero germinale ad un altro, di personaggi che rivivono perché sono il corpo, la voce, gli occhi, lo sguardo di Ermanna: la quale sa fondere e meravigliosamente confondere le tre dimensioni dell'attore: il suo io personale biografico, il suo io recitante, il suo io metamorfico che assume in sé un personaggio! O che “entra” in un suo personaggio! Cosicché la voce di guida drammaturgica che assume per orientare lo spettatore, preparando e anticipando davanti a un leggìo illuminato l'entrata in scena di un personaggio dopo l'altro, è come ogni volta un aprire la porta della stanza e far entrare l'ospite. Ma non è affatto una pirandelliana e macchiana “stanza della tortura”: la camera di Ermanna è un luogo dove lei accoglie nella sua voce, nella sua “maschera”, nel suo corpo, maternamente e nonnescamente, tutti i suoi ospiti, che sembrano pacificarsi nel trovare vita teatrale. E' in particolare la voce di Ermanna che commuove lo spettatore, che lo fa cum movère, nel suo proprio spazio inventivo, incontrando così quegli ospiti: io stesso ho ripensato alla mia nonna, pur se veneta, e a mia madre; al loro dialetto un po' più dolce, ma con assonanze inevitabilmente padane; ho pensato a tante figure femminili rese sacrificali dalla cattiverie del mondo, o delle istituzioni; ho pensato ad amiche, ad antiche professoresse, che hanno riscattato in qualche modo la condizione femminile. Ma certo non è solo la voce (sperimentata già nell'ambito del progetto “Dimore delle voci-Laboratorio di Drammaturgia sonora IV edizione” promosso da Rai Radio 3, Centro Teatro Ateneo, per cura di Valentina Venturini), a dar vita ai suoi personaggi ospitati: è tutta la persona della Montanari, il suo corpo che è costantemente “in vita”, il suo lavoro anche sui minimi particolari, dagli occhi ai gesti delle mani, delle dita, alla posizione dei piedi, e così via, che ci colpiscono, e ci restituiscono vivi quei suoi ospiti. Meravigliosa Ermanna: che a momenti mi è parsa essere una italicissima, popolarissima fisarmonica, nel suo salire e scendere sulle note alte e sulle note basse, accordando più vibrazioni, intrecciando drammaturgiche azioni fisiche dell'emissione vocale; che a volte mi è sembrata come un orologio dai meccanismi perfetti, con le sue braccia e mani – lancette, nel sincronizzare movimenti a volte volutamente ed espressivamente disarmonici; che in altri momenti mi è parsa una poupée che si muove obbedendo a ritmi molto interiorizzati, nascondendoli e rivelandoli assieme; che in certe movenze e partiture sonore mi è sembrata una sacerdotessa ctonia, giunta da profondità terragne per ascendere su, in alto, su un palcoscenico dove officiare un rito teatrale che assieme si congiunge e ci congiunge a sensi rituali che sembrano perduti per sempre! Meravigliosa Ermanna!
16di Katia Ippaso
erte volte, il teatro lo siprende dalla parte delpubblico, e non solo
perché noi siamo lì seduti inplatea, ma perché, certe volte,ascoltare la platea che ascoltal’attore che a sua volta ascolta laplatea, è un’esperienza che cicollega all’essenza stessa delfarsi teatro. Alle origini. Tutti ipiù grandi teorici e maestri diteatro hanno parlato di questocurioso e ammaliante effetto:José Sanchis Sinisterra, peresempio, lo chiama, moltotecnicamente, ”retro-alimentazione”, o”permeabilità”. Ma non capitaspesso di sentirsi attori di unprocesso creativo-rigenerativo.L’altra sera è accaduto. Al TeatroDue di Roma, grazie ad ErmannaMontanari, attrice della storicacompagnia Teatro delle Albe,una delle figure di maggiorspessore del panorama artisticoitaliano. Questa volta, lacompagnia ravennate hamandato avanti un’operacameristica, o anche potremmodire una versione da camera diuna produzionedrammaturgica/performativa cheattraversa decenni di attività, inun montaggio fonetico costruitosu misura per l’attrice, che inquesto caso è anche regista dellacomposizione scenica (in generegli spettacoli sono firmati daMarco Martinelli). Lo spettacolosi intitola, significativamente, Lacamera da ricevere: “La cambrada rizévar” è, lo spiega l’attriceall’inizio del suo monologo cheè insieme espressionista eintimo, la camera in cui siricevevano gli ospiti, nella casadi Campiano, nella campagnaromagnola: una camera che siapriva due volte all’anno peraccogliere i parenti che sitra/vestivano nei modicerimoniosi adatti all’occasione -e che sarebbe diventata anche ilnascondiglio di Ermannabambina, un luogo da cui farsiattraversare, per ”prendere” sudi sé tutte le voci che l’avevanoabitata prefigurando le voci chele sarebbero arrivate in dono,come in una profezia d’amore.Le voci delle tante creature che,negli anni, Ermanna Montanariha interpretato, sotto la spintadella scrittura e spesso anchedella regia del suo compagnod’arte e di vita, MarcoMartinelli. Dalla cassa dirisonanza di una camera in cuisi ricevono le immaginifantasmate di tutti coloro chevengono a visitarci, Montanariva vivere, in una alternanza direcitazione e lettura, le figure diuna partitura ocra che va drittanell’estremo: c’è Fatima, l’asinomagico con le sue orecchie ingrado di captare gli ultrasuonidella vita, c’è la guaritrice Belda,che è capace di fare un maleficioperché l’ha subito a sua volta,c’è la maga Alcina che arretra esi fa male per un vento d’amoredi cui è schiava, c’è Medar Ubu,una madre Ubu polacca edirompente, c’è Daura, la madreprotagonista dei Refrattari (un’operina scritta daMartinelli) che immaginiamolievitare, c’è Rosvita,canonichessa sassone, poetessa edrammaturga (contaminata con iversi di Emily Dickinson eAmelia Rosselli), e c’è, infine, lamadre di Marco Pantani, Toninala grande, che ha visto la veritàprima degli altri. Figure tuttediverse l’una dall’altra ma chevanno a confluire in un’unicapittura su corpo che si spacca esi ricuce continuamente inpreda al furore (incredibile in uncosì sottile corpo) di una voceche pensa non per logiche
Cavvertire il lavoro silenzioso diogni spettatore: assestato nellapropria camera da ricevere,nascondino d’infanzia dentrocui attuare il rito dellametamorfosi. Ad un certo puntosi poteva immaginare diindossare tutti quelle stessamagnifiche, lunari orecchied’asino che indossava l’attrice,per intravedere, così nascosti,eppure così esposti, la scialuminosa di ogni passaggioumano e animale, anche quellopiù apparentementeinsignificante.La camera da ricevere hainaugurato la rassegna “ARoma! A Roma!” curata dallagiornalista e critica Francesca DeSanctis, per il Teatro Due, chediventa polo permanente diformazione promozione eospitalità. L’idea, per quanto semplice, èinnovativa. E soprattutto non èsolo teorica: sta accadendo, anziè già accaduto. Da parecchiotempo alcune compagniestoriche e meno storiche delnord e del sud Italia nonriuscivano ad arrivare a Roma.Le ragioni sono differenti, ma ilrisultato è mortificante, sia pergli artisti che per il pubblico.Roma diventa una meta agognatae difficile. Di qui il titolo dellastagione, che ricalca quell’”AMosca! A Mosca” di cechovianamemoria che scandisce ilperimetro di un desiderioimpossibile. « “A Roma! ARoma!” è come un sasso che staper essere gettato in uno stagno,un tentativo per smuovere leacque, un timido gesto di rotturain una pratica consolidata, ungrido d’allarme lanciato negliultimi anni da sempre piùnumerose compagnieprovenienti da tutta Italia»racconta Francesca De Sanctis.Dopo l’apertura di ErmannaMontanari, il palcoscenico delTeatro Due è ora nelle mani diLaura Curino, che fino al 15febbraio racconterà con Scintille( testo di Laura Sicignano) alpubblico quel tragico pomeriggionewyorchese del 1911, quandoalle 16.40, un quarto d’ora primadella chiusura della fabbricaTriangle Waistshirt Company,che produceva camicette,scoppiò un incendio. Al lavoroc’erano circa 600 donne,immigrate dall’Italia odall’Europa dell’Est. Quellaterribile vicenda diventerà unodei precedenti storici delll’8marzo, festa delle donne.A febbraio, arriveranno anche ladrammaturga Letizia Russo cheera andata via tanti anni fa pertrapiantarsi al nord (il suo testo, Per una donna, è diretto daSandra Zoccolan), MimmoSorrentino con i suoiattori/detenuti/studenti/anziani/casalinghe, e Franco Rossi cheaffida a Massimo Verdastro lamessa in scena dei Funerali diTogliatti. Mentre a marzo iprotagonisti sono: StefanoMassini, Barbara Valmorin, Piadi Bitonto, Massimo Schuster,Fabio Monti, Andrea Camilleri,Giovanni Calcagno e AlessandraPescetta, Anna Dora Dorno eNicola Pianzola, Elena Guerrini,Francesco Niccolini e i registiZanco/Mattiuzzi, Ilaria DalleDonne. Teatro di narrazione, ma anchepupi siciliani, spettacoli che siimbattono nella cronaca e lametamorfizzano. In un percorsoche, indifferente alle mode e aideliri dell’ultima compravenditad’artisti, va avanti nella suainattuale attualità, interessatasolo allo sguardo acceso dellospettatore. Ciascuno pronto ad aaprire la propria camera oscura.Nella Roma che si vuoleproibita.
L’OPERA DELLE ALBE HA INAUGURATO LA RASSEGNA ”A ROMA! A ROMA!”: LECOMPAGNIE DI TUTTA ITALIA ASSENTI DAANNI DALLA CAPITALE AL TEATRO DUE
La stanza magica in cui Ermanna riceve gli ospiti
mercoledì 11 febbraio
2015cultura
“LA CAMBRA DA RIZÉVAR” DI MONTANARI
DALL’ALTO: ERMANNA MONTANARI,BARBARA VALMORIN E LAURA CURINO (IN UNA SCENA DI ”SCINTILLE”:FINO AL 15 FEBBRAIO IN SCENAAL TEATRO DUE DI ROMA)
comuni ma per strappi eluccicanze di vita interiore.Concepito inizialmente per ilprogetto “Dimore delle voci”acura di Valentina Valentini etrasmesso su Radio 3, La camerada ricevere ha trovato nella suamessa in spazio al Teatro Dueuna sua sensibile variazione: unconcerto che ha messo glispettatori in uno stato d’animosingolare, attonito, e festoso.Guardare i volti dei presenti ”inpresenza” di ErmannaMontanari era a sua voltaun’opera dentro l’opera, e nonera difficile, in certi momenti,
10 febbraio 2015
E’ successo per La camera da ricevere
Prosegue la fortunata rassegna del Teatro Due di Roma Montanari-Curino con un assolo di attrici (di Daniele Poto). Virata di repertorio per la finora fortunata rassegna del Teatro Due di Roma, più che mai stabile d’essai, dopo questo coraggioso invito alla cittadinanza, a riscoprire spettacoli e compagnie che non è facile visionare nelle capitale. La vulgata ci dice che negli spettacoli teatrali conti la prima e l’ultima. La “prima” ovviamente per il carattere demi-mondaine e di scoperta, del focus sull’evento, con curiosità e reazioni connesse. L’ultima invece sembra fatta apposta per gli intenditori. Perché lo spettacolo ha raggiunto il giusto punto di cottura e maturazione anche in rapporto alla sala che lo ospita e alla tenuta del pubblico. Ebbene,
quella gran prova d’attrice di Ermanna Montanari, condensata nella proposta “La camera da ricevere” domenica sera, nell’ultima replica, si è meritata il tutto esaurito e il sincero applauso di una folla evidentemente stuzzicata dal passaparola positivo e incoraggiante, derivato dal successo delle serate precedenti. Ed è stato anche lo snodo del passaggio del testimone al prossimo spettacolo. Il Teatro delle Albe di Marco Martinelli, con le sue “primavere eretiche” e con il corredo dei personaggi evocati in trent’anni di drammaturgia, ha permesso una piccola summa attoriale con passaggi suggestivi quanto impenetrabili bazzicando un particolare dialetto ravennate, assolutamente chiuso e gutturale. Un giorno di interregno e poi toccherà a Laura Curino, brava attrice di lungo corso, quasi coetanea di Ermanna Montanari, invariabilmente baciata dal successo di critica in carriera nonostante approcci poco commerciali ed ovvia repulsione a praticare i sentieri del cinema e della televisione. La Curino si può definire in tournèe a Roma prima di un’esibizione che toccherà la Casa dei Teatri e un laboratorio da lei diretto dal titolo emblematico “Riparare il mondo”, ovvia quanto difficile soluzione a tutti i problemi dell’umanità. “Scintille” è il titolo del prossimo spettacolo nel teatro a due passi da Piazza di Spagna (e relativa stazione metrò) e questa è la sua sinossi elementare: “New York, 25 marzo 1911: manca un quarto d’ora alla chiusura della fabbrica T.W.C., produttrice di camicette. Sono al lavoro 600 persone, per lo più giovani immigrate italiane o dall’Europa dell’Est, sfruttate e sottopagate. Una scintilla. In un attimo prende fuoco il grattacielo che ospita la fabbrica. In 18 minuti 146 vittime, quasi tutte ragazze. I proprietari della fabbrica verranno assolti, nonostante non fossero in atto le più elementari misure di sicurezza. Ma la scintilla della protesta si è sprigionata. Questa vicenda diventerà uno dei precedenti storici per la Festa della Donna. Molti altri episodi hanno concorso a dar vita all’8 marzo, ma non c’ è episodio nella storia delle donne più adatto a segnare un punto di svolta”. Diremo che siamo all’interno di un teatro documentario non banale e non didascalico. Avvicinandoci alla fatica celebrazione di marzo.
12 febbraio 2015
15 febbraio 2015 La camera da ricevere, un bellissimo viaggio tra i personaggi creati da Ermanna Montanari Alessandro Chiocchia ★★★★★ Un affascinante viaggio teatrale tra maghe e asini parlanti, tra regine perfide e paladine dei diritti civili. Così, in modo molto sintetico e schematico, potrebbe essere definito La camera da ricevere, spettacolo di e con Ermanna Montanari andato in scena al Teatro Due di Roma, in occasione della rassegna teatrale A Roma! A Roma! curata da Francesca De Sanctis. Ermanna Montanari è una delle più grandi attrici che il nostro teatro può attualmente vantare, forse la più grande in assoluto, vincitrice di tre Premi Ubu e del Premio Eleonora Duse, co-fondatrice nel 1983 di quella bellissima realtà del teatro di ricerca italiano che è il Teatro delle Albe, del quale la Montanari è tuttora una delle colonne portanti. La “camera da ricevere” del titolo dello spettacolo si trovava nel casolare nel quale la Montanari viveva quando era bambina a Campiano, piccolo paese in provincia di Ravenna, e veniva aperta solo due volte l’anno, a Pasqua e a Natale, per accogliere i parenti: è in quello spazio chiuso e appartato che la piccola Ermanna cominciò a plasmare figure immaginarie con le sue «avventure canterine» e i suoi «travestimenti», è là dentro che sono nati i molteplici personaggi che avrebbe interpretato nel corso della sua carriera. La camera da ricevere – nato nel 2013 nell’ambito della quarta edizione del progetto “Dimore delle voci – Laboratorio di Drammaturgia Sonora”, a cura di Valentina Valentini e promosso da Rai Radio 3, Centro Teatro Ateneo e La Sapienza Università di Roma – è un percorso attraverso alcuni di quei personaggi, che la Montanari fa dialogare tra di loro nel presente: Fatima, la magica asina ermafrodita che a causa delle sue grandi orecchie è condannata ad ascoltare i lamenti provenienti da tutto il mondo; Bêlda, guaritrice e veggente realmente vissuta in Romagna tra Otto e Novecento, costretta a subire la riprovazione ipocrita di chi di giorno la insulta e la prende in giro e di notte si rivolge a lei per risolvere problemi d’amore o di salute; la bianca e crudele Mêdar Ubu, protagonista femminile della rilettura “romagnola” dell’Ubu re di Alfred Jarry che il Teatro delle Albe qualche anno fa portò in giro per il mondo; Alcina, la maga dell’Orlando Furioso che «perde la sua potenza» e anche la ragione quando viene abbandonata dall’amato Ruggiero; Daura, la madre romagnola che decide di fuggire sulla Luna insieme al figlio perché sono entrambi “refrattari” ai tempi moderni, e perché sulla Terra non è più possibile vivere in pace; la monaca sassone Rosvita di Gandersheim, vissuta poco prima dell’anno Mille, autrice di alcuni drammi che ne fanno la prima scrittrice di teatro del mondo occidentale; un bisbigliante Arpagone che recita il suo monologo usando il microfono come «luogo spudorato di potere e possesso»; e infine il Premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi, protagonista dell’ultima produzione del
Teatro delle Albe Vita agli arresti di Aung San Suu Kyi. Gli spettatori che erano al Teatro Due li hanno visti presentarsi ai loro occhi uno dopo l’altro, palpitanti di vita e di sentimenti forti e laceranti, “evocati” sul palcoscenico dalla Montanari tramite il suo corpo attoriale e soprattutto tramite la sua voce, meraviglioso strumento capace di infinite variazioni e modulazioni che può regalare emozioni travolgenti. La camera da ricevere costituisce un’ottima occasione per riscoprire o conoscere per la prima volta alcune delle figure create da Ermanna Montanari durante la sua avventura teatrale, che è iniziata in quella camera nel casolare in Romagna e che speriamo duri per molto tempo ancora.
(NOTA: le citazioni tra virgolette basse sono tratte dal programma di sala dello spettacolo, scritto da Ermanna Montanari).
18 febbraio 2015 Ermanna Montanari? A Roma! A Roma! E non arriva solo lei... Carlo Lei
Forse a non tutti i romani è nota l’esistenza del Teatro Due. A pochi metri da piazza di Spagna, in un vicolo cieco, è un luogo intimo, fresco eppur affettuoso. Le proporzioni della sala sono inaudite: il soffitto è altissimo, ma si abbassa proprio dove dovrebbe alzarsi, sul palco. Stretta e lunga è la platea, e sormontata da un mosaico luminosissimo, che riempie di bellezza la volta lontana. Sul fondo della sala - le poltrone nuove e scure - si apre una finestrona, tagliata crudamente nella parete, ed è la cabina di regia, distante e quasi sovrastante l’intero sistema del teatro. Tutto è nuovo, tutto è lindo, e tutto però già quasi caldo, o pronto a scaldarsi. Il foyer è inesistente: anzi è fuori, all’aperto, in un cortile silenzioso e dalla
geometria irregolare. È questa la sede di “A Roma! A Roma!”, rassegna curata da Francesca De Sanctis e iniziata il 3 febbraio, che ha lo scopo di portare in città artisti o spettacoli che finora le sono stati lontani. «Vorremmo allestire i nostri spettacoli nella capitale, ma ormai la città è diventata inaccessibile alle compagnie non romane» reclama la presentazione della rassegna. Questo stimolo iniziale, lanciato sulle pagine dell’Unità dalla curatrice, è stato raccolto dal direttore artistico del Teatro Due Marco Lucchesi, ed è uno dei problemi che si aggiungono alla situazione dolorosamente decadente del teatro romano, che il nostro Giacomo D’Alelio ha appassionatamente delineato su queste pagine. I lavori in programma sono tutti italiani, tutti caratterizzati dalla sperimentalità dell’impostazione (nel senso più generale) e, com’è comprensibile, dalla facile allestibilità. Così è quello che apre la rassegna: “La camera da ricevere” di Ermanna Montanari. Il decennale lavoro della Montanari non ha bisogno di presentazioni: la sua attività di autrice e attrice con il Teatro delle Albe di Ravenna, la sua ricerca vocale, in lingua e in dialetto... Ma se invece qualcuno, per ragioni anagrafiche, geografiche o di occasioni mancate, queste presentazioni le volesse, allora “La camera da ricevere” è lo spettacolo-florilegio da vedere. Un bignami di personaggi e interpretazioni che parte da “Siamo asini o pedanti?”, del 1989, al Pantani del 2012, dal “Lus sui taglienti versi in dialetto di Campiano” di Nevio Spadoni, dall’Ubu buur in cui i personaggi di Jarry si ritrovano, attraverso un mix di Senegal e Romagna, in Pulogna, così come romagnola è la protagonista dell’“Isola di Alcina”, lavoro ispirato al personaggio ariostesco. Se in questa sede si volesse analizzare, lavoro per lavoro, ogni lacerto di testo, di interpretazione, di approccio alla scena, si dovrebbero trasformare delle semplici righe di presentazione in un saggio monografico sulla Montanari, il che non è possibile. Si dovrebbe allora argomentare sul modo in cui la vocalità è ampliata o ristretta, sperimentata all’interno di precisi recinti o scatenata all’esterno di essi, in territori inesplorati; come tale vocalità possa fondersi con opere musicali tra le più classiche della tradizione occidentale (Verdi, Haydn), o richieda una nuova intonazione, nella fattispecie quella di Luigi Ceccarelli. Lo spettacolo, ambientato in un generico studio, con tavolino da lavoro, sedie differenti, due lampade di scena, è un’antologia, e il tessuto connettivo dell’antologia è esplicito, offerto sopra un leggio dall’artista che introduce la storia e la qualità di ogni testo. Ed è un continuo entrare e uscire da quella “câmbra da rizévar”, più metonimia che metafora del lavoro della Montanari: un luogo in cui si studiano «i parenti, tutti abbigliati nei loro goffi vestiti della domenica»; luogo riflettente, tappezzato di specchiere (di cui un attore non può fare a meno, per vedere sé e per vedere gli altri messi in uno sguardo meno suo); luogo privo per lo più di un suono proprio, ma pronto a riempirsi dei suoni del di fuori, della strada e della casa.
19 novembre 2015
La camera da ricevere: Ermanna Montanari fra biografia e teatro MARTINA VULLO | Diverse ragioni spingono il pubblico ad applaudire alla fine di uno spettacolo: il riconoscimento di una pièce ben fatta, la lode alla bravura di un attore o la pura convenzione che si traduce in un gesto formale di cui talvolta non si è neanche convinti. Poi ci sono quei casi in cui gli spettacoli generano un’energia in grado di attraversare il corpo dello spettatore, il quale senza stare a pensarci si ritrova a battere le mani in un automatismo difficile da arrestare. Quando questi casi si verificano Dioniso ha compiuto il proprio compito incarnandosi nell’attore e facendogli dono della sua forza vitale ambivalente in grado di fare emergere al contempo tutto il sublime ed il triviale che
appartiene all’uomo. “Incarnazione” è una parola che racchiude bene il senso dello spettacolo che Venerdì scorso ha avuto luogo ai laboratori delle arti di Bologna. Ne La camera da ricevere, Ermanna Montanari è il medium di eccellenza dentro cui si incarnano diverse figure del suo repertorio: fondamentali tappe di uno spettacolo che intreccia il racconto alla recitazione e il percorso biografico dell’attrice a quello professionale: poli che del resto sarebbe impossibile dividere. Il filo rosso che lega i personaggi è appunto la camera da ricevere: una stanza della casa di Campiano – paese in cui la Montanari ha vissuto nell’infanzia – che veniva aperta solo nelle grandi occasioni per ricevere gli ospiti: un luogo magico, nella penombra del quale possiamo immaginare questa bimba rifugiarsi per far vivere le creature nate dalla propria fantasia e dare loro voce… cosa che da allora non ha più smesso di fare. Ogni personaggio creato o reinventato dall’attrice deve qualcosa a quella stanza. Per questo Fatima l’asina volante, Belda la veggente, Daura de I refrattari, Alcina instupidita per amore, Arpagone, Rosvita canonichessa sassone, Medar Ubu e Aung San Suu Kyi, si manifestano al suo interno. Penombra. Due sedie laterali. Una grande scrivania su cui è adagiata una lampada da studio e svariati oggetti che verranno usati per la drammaturgia. In avanti, alla sinistra del pubblico, il leggio dal quale l’attrice racconta, spiega ed introduce le figure prima di dare loro vita. A definire i personaggi pochi oggetti: le orecchie di Fatima, lo scialle di Daura, un giglio bianco, guanti, una falce e una corona. Qualche volta a rendere visivamente un personaggio basta un diverso modo di usare la luce, come il neon puntato su Arpagone o assumere una particolare posizione, come quella di Alcina sulla sedia o ancora più efficacemente un cambiamento di espressione. Pari alla capacità mimica della Montanari è la sua maestria nell’uso della phonè: il suono che si fa linguaggio ancora prima di veicolare la parola. Se la veggente parla un Romagnolo poco comprensibile, la rabbia e l’odio della donna verso il parroco che ne ha disseppellito la madre, è perfettamente palesato nei suoni che essa emette. Interessante dal punto di vista fonetico, il modo in cui l’asina parlante Fatima, nel riportare le sofferenze del mondo che le sue grandi orecchie accolgono, modula il timbro della voce facendolo tendere in certi momenti ad un ragliare. Non è un caso che l’asino, simbolo dell’ideologia della compagnia ravennate sia il primo ad esordire. Nell’introdurlo Ermanna racconta la propria parentesi universitaria a Bologna e della tesi su Giordano Bruno affidatale da Meldolesi. Ogni personaggio ha un personale sfondo sonoro. Qualcuno è avvolto dal silenzio, altri sono accompagnati da suoni o melodie. Un suono breve ed acuto segnala l’esordio di un nuovo personaggio, mentre l’attrice di spalle cambia mentalmente veste. Andando avanti nel racconto, la Montanari parla dell’incontro con Luigi Ceccarelli: artista di musica elettronica col quale si è creata una forte alchimia. Parla della propria scoperta del microfono con tutte le potenzialità che ne derivano. La voce di Alcina che segue è la sua, ma fuori campo. Lei non parla. Sta quasi immobile sulla sedia forte della sua presenza, ma la voce sembra sprigionare dal suo corpo. Il concertare di Ermanna ricorda quello di Carmelo Bene (se confrontassimo
il video della lettura-‐concerto di Rosvita, girato dal gruppo Acqua Micans per le Albe e quello di All’amato me stesso di Majacovskij recitato da Bene, anche nelle inquadrature, in certi sguardi e nell’atmosfera ritroveremmo non poche somiglianze), ma la capacità vocale, per quanto forte, è solo una delle diverse componenti che nel loro insieme rendono affascinante lo spettacolo. Ciò che conquista il pubblico sono i piccoli sorrisi che la drammaturgia riesce a catturare pur nel trattare argomenti tutt’altro che allegri, il mettere a nudo se stessi come fa Ermanna parlando il suo dialetto o raccontando di se, il percepire che l’attore in scena è il primo ad emozionarsi (penso alla commozione palpabile dell’attrice nel recitare i frammenti di Amalia Rosselli ed Emily Dickinson dell’intermezzo di Rosvita) o anche semplicemente le storie che vengono scelte e che commuovono: una fra tante quella del premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi e della sua ferma convinzione che un futuro migliore per l’uomo possa venire, anche quando il mondo sembra suggerire il contrario. La parola chiave è equilibrio. Del resto anche Martinelli attraverso uno degli aneddoti che ama raccontare nel corso dei suoi laboratori, mettendo le parole nella bocca di un intellettuale invitato ad un ricevimento a corte e interrogato su cosa sia l’arte, gli fa rispondere che l’arte è “un pochettino”: un colore un pochettino più chiaro o più scuro in un quadro, un’inquadratura leggermente diversa in una fotografia o una parola un po’ differente in una poesia d’autore. Un gioco di equilibrio insomma. Ripenso allora ad Ermanna Montanari. Al suo cambiare otto personaggi con relative voci, espressioni, movenze, nell’arco di due ore scarse. Penso al suo passare dal racconto leggero al più impegnato, dal personaggio giovane all’anziano, dal maschile al femminile. Dai personaggi delle cronache attuali a quelli vissuti secoli fa o tratti da altre drammaturgie e riadattati ad hoc. Penso alla naturalezza con cui questo avviene e mi domando se non sia stato il suo spettacolo una gran dimostrazione di questo “pochettino”.