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CONSIGLIO REGIONALE DEL VENETO (VIII LEGISLATURA) TERZA COMMISSIONE CONSILIARE PERMANENTE IL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE
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CONSIGLIO REGIONALE DEL VENETO

(VIII LEGISLATURA)

TERZA COMMISSIONE CONSILIARE PERMANENTE

IL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE

Venezia, dicembre 2007

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Il presente documento si propone come un semplice strumento di lavoro, in

previsione del prossimo esame dei progetti di legge riguardanti il commercio

equo e solidale già pervenuti a questa Commissione consiliare.

Il dossier è stato realizzato a cura della segreteria della Terza Commissione consiliare: Cester Elisabetta e Filippini Francesca

Stampato a cura della Stamperia del Consiglio Regionale

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Sommario

Introduzione Pag. 4

Normativa comunitaria

Risoluzione del Parlamento europeo sul commercio equo e solidale e lo sviluppo (2005/2245(INI)

Comunicazione della Commissione al Consiglio sul commercio equo e solidale (COM/99/0619)

Pag. 8

Pag. 9

Pag. 18

Normativa nazionale

Mozione sul commercio equo e solidale (1-00098)

Proposta di legge n. 1828/06 (Camera dei Deputati)

Pag. 35

Pag. 36

Pag. 44

Normativa regionale

Regione Toscana L.R. 25/2/2005, N. 37Regione Friuli Venezia Giulia L.R. 29/2005 – Art. 26Regione Abruzzo L.R 28/3/2006, n. 7Regione Umbria L.R. 6/2/2007, n. 3 Regione Liguria L.R. 13/8/2007, n. 32Regione Lombardia Pdl 128/2006Regione Veneto Pdl 191/2006Regione Veneto Pdl 203/2006Regione Piemonte Pdl 466/2007Regione Piemonte Pdl 479/2007

Pag. 52

Pag. 53Pag. 56Pag. 57Pag. 60Pag. 65Pag. 77Pag. 82Pag. 89Pag. 96Pag. 99

Documentazione varia

Documento dell’Università Cattolica del Sacro Cuore sul commercio equo e solidale in Italia

Carta Italiana dei criteri del commercio equo e solidale

Pag. 103Pag. 104

Pag. 128

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INTRODUZIONE

COMMERCIO EQUO E SOLIDALE

“Con Commercio equo e solidale (o semplicemente Commercio equo, Fair trade in inglese) si intende quella forma di attività commerciale nella quale l’obiettivo primario non è la massimizzazione del profitto, bensì la lotta allo sfruttamento e alla povertà legate a cause economiche o politiche o sociali.E’, dunque, una forma di commercio internazionale nella quale si cerca di garantire ai produttori ed ai lavoratori dei paesi in via di sviluppo un trattamento economico e sociale equo e rispettoso, e si contrappone alle pratiche di commercio basate sullo sfruttamento che si ritiene spesso applicate dalle aziende multinazionali.” (Wikipedia).Il fenomeno si è sviluppato nel corso degli ultimi quarant’anni a seguito della raggiunta consapevolezza delle distorsioni che si verificano nei rapporti commerciali tra paesi ricchi e paesi poveri a causa dello sfruttamento dei lavoratori nei paesi in via di sviluppo, del mancato rispetto dell’ambiente e della smodata ricerca del profitto.Negli ultimi anni, con la sempre crescente attenzione per queste tematiche, il CES è passato, da settore di nicchia confinato nel circuito specializzato dei negozi del commercio etico, alla grande distribuzione. La necessità di regolamentare in qualche modo il settore ha portato, dapprima, alla formulazione di serie normative di carattere volontario, secondo un duplice approccio.Si è proceduto, da un lato, alla predisposizione di “Carte dei criteri” a livello sia nazionale che europeo.In particolare, la “Carta Italiana dei Criteri del Commercio Equo e Solidale”, approvata nel 1999 e aggiornata nel 2005, è il documento che definisce i valori e i principi condivisi da tutte le organizzazioni di Commercio Equo e Solidale Italiane.Secondo la Carta “Il commercio Equo e solidale è un approccio alternativo al commercio convenzionale; esso promuove giustizia sociale ed economica,sviluppo sostenibile,rispetto per le persone e per l’ambiente, attraverso il commercio, la crescita della consapevolezza dei consumatori, l’educazione, l’informazione e l’azione politica.Il Commercio Equo e Solidale è una relazione paritaria fra tutti i soggetti coinvolti nella catena di commercializzazione: dai produttori ai consumatori.”.

Sempre secondo la Carta gli obiettivi del Commercio Equo e Solidale sono:

“1. Migliorare le condizioni di vita dei produttori aumentandone l’accesso al mercato, rafforzando le organizzazioni di produttori, pagando un prezzo migliore ed assicurando continuità nelle relazioni commerciali. 2. Promuovere opportunità di sviluppo per produttori svantaggiati, specialmente gruppi di donne e popolazioni indigene e proteggere i bambini dallo sfruttamento nel processo produttivo.3. Divulgare informazioni sui meccanismi economici di sfruttamento, tramite la vendita di prodotti, favorendo e stimolando nei consumatori la crescita di un atteggiamento alternativo al modello economico dominante e la ricerca di nuovi modelli di sviluppo.4. Organizzare rapporti commerciali e di lavoro senza fini di lucro e nel rispetto della dignità umana, aumentando la consapevolezza dei consumatori sugli effetti negativi che il commercio internazionale ha sui produttori, in maniera tale che possano esercitare il proprio potere di acquisto in maniera positiva.

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5. Proteggere i diritti umani promuovendo giustizia sociale, sostenibilità ambientale, sicurezza economica.6. Favorire la creazione di opportunità di lavoro a condizioni giuste tanto nei Paesi economicamente svantaggiati come in quelli economicamente sviluppati.7. Favorire l’incontro fra consumatori critici e produttori dei Paesi economicamente meno sviluppati.8. Sostenere l’autosviluppo economico e sociale.9. Stimolare le istituzioni nazionali ed internazionali a compiere scelte economiche e commerciali a difesa dei piccoli produttori, della stabilità economica e della tutela ambientale, effettuando campagne di informazione e pressione affinchè cambino le regole e la pratica del commercio internazionale convenzionale.10.Promuovere un uso equo e sostenibile delle risorse ambientali.”.

L’altro approccio consiste nella stesura di norme volontarie armonizzate relative a sistemi di certificazione, in base ai quali i prodotti del commercio equo vengono etichettati da organismi certificatori privati specializzati, così garantendo la conformità dei prodotti adeterminati standard ed il rispetto dei principi caratterizzanti il settore; in particolare ci si riferisce al sistema di certificazione proposto da FLO (Fair Trade Labelling Organizations International) che attribuisce l’etichetta “Fairtrade”.Non ci si può nascondere, peraltro, che la strada della regolamentazione in via volontaria ha dei limiti dovuti in primo luogo al pericolo di una qualche referenzialità.Si è sentita, pertanto, la necessità di una regolamentazione ufficiale del fenomeno del commercio equo e solidale, anche in considerazione del fatto che in materia di commercio internazionale esistono dei vincoli derivanti da norme internazionali e comunitarie.

Il diritto comunitario L’art. 2 del Trattato CE prevede che l’Unione Europea promuova “uno sviluppo armonioso, equilibrato e sostenibile delle attività economiche, un elevato livello di occupazione e di protezione sociale, (…) il miglioramento della qualità dell’ambiente, il miglioramento del tenore e delle qualità della vita” e ancora, all’articolo 131, afferma che l’obiettivo della politica commerciale comune è quello di “contribuire, secondo l’interesse comune, allo sviluppo armonico del commercio mondiale, alla graduale soppressione delle restrizioni agli scambi internazionali ed alla riduzione delle barriere doganali”.In una prima Risoluzione del 19 gennaio 1994 (n. A 3-0373/93) il Parlamento Europeo invitava la Comunità Europea e gli Stati membri ad inserire organicamente il CEES nella politica comunitaria di cooperazione allo sviluppo e a sostenerne finanziariamente e riconoscerne giuridicamente l’attività e le relative organizzazioni.Anche la Commissione nel 1994 predisponeva una “Nota sul Commercio Alternativo” nella quale manifestava l’intenzione di favorire il CEES.Nel 1996 il Comitato Economico e Sociale (CES), esprimendo un parere positivo sul fenomeno, esortava la Commissione a finanziarlo.Successivamente, il 2 luglio 1998, il Parlamento Europeo ha approvato la Risoluzione A 4- 198/98 sul “Commercio Equo e Solidale” secondo la quale il c.e.s. dovrebbe rispettare i seguenti criteri:

- acquisti diretti;- prezzo equo formato dal prezzo corrente di mercato, laddove esista, più un premio

c.e.s., fermo restando che tale prezzo non può scendere sotto una certa soglia;- pagamento parziale anticipato, se richiesto dal produttore, mancanza di monopoli,

trasparenza dei prezzi;

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- relazioni stabili e di lunga durata con i produttori;- nessuna discriminazione tra uomini e donne e nessun ricorso al lavoro infantile;- rispetto dell’ambiente, protezione dei diritti dell’uomo, delle donne e dei bambini,

nonché rispetto dei metodi di produzione tradizionali;- rispetto dello sviluppo endogeno e sostegno all’autonomia delle popolazioni

locali.A tale Risoluzione ha fatto seguito la Comunicazione della Commissione al Consiglio sul “Commercio equo e solidale” COM/99/0619 che menziona, fra quelli che hanno beneficiato di contributi economici, gli organismi di certificazione dei marchi di commercio equo e solidale; le botteghe del mondo per le attività promozionali; l’EFTA per spese di patrocinio, ricerca, sensibilizzazione e promozione.La Commissione Europea ha indicato, inoltre, i soggetti che tradizionalmente sono impegnati in questa attività: alcune Organizzazione non governative (ONG o NGO), nonché associazioni caritative o religiose, che sovente si sono in seguito trasformate in società commerciali, e le “botteghe del mondo”, cioè i negozi che effettuano la vendita diretta.

Il diritto nazionaleAnche in Italia, come in tutti gli altri Paesi europei, il commercio equo e solidale è un fenomeno in grande crescita che si è imposto all’attenzione del mondo politico.Ricordiamo innanzitutto, anche per motivi cronologici, la “Mozione sul commercio equo e solidale” approvata dal Senato nella seduta del 6 febbraio 2003.Partendo dalla constatazione del crollo del prezzo del caffè e del cacao, con conseguenti ricadute negative sulle manodopere locali con forme di lavoro e di remunerazione spesso simili alla schiavitù, tale mozione impegnava il Governo a favorire la diffusione del commercio equo e solidale.

Successivamente sono state presentate alcune proposte di legge.

La Proposta di legge n. 3892/2003 “Disposizioni per favorire lo sviluppo sostenibile, incentivare il commercio equo e solidale e promuovere la responsabilità sociale delle imprese” introduce, fra l’altro, il “marchio etico e sociale” che attesta l’eticità del processo produttivo attraverso il quale il prodotto è stato realizzato.

Il Disegno di legge n. 4130/2003 “Delega al Governo in materia di fiscalità etica e di promozione dello sviluppo sostenibile” fa rientrare il commercio equo e solidale tra le attività che promuovono lo sviluppo sostenibile e prevede attenuazioni al prelievo fiscale sul reddito derivante dall’importazione e dalla distribuzione di prodotti alimentari, artigianali ed agricoli.

Il Disegno di legge n. 3091/2004 “Norme a favore del commercio equo e solidale”, composto di due soli articoli, introduce agevolazioni fiscali sui prodotti che rispettano i criteri di certificazione Fair Trade.

Il Disegno di legge n. 2728/2005 “Riorganizzazione della cooperazione allo sviluppo” prevede, fra l’altro, che rientrino nell’attività di cooperazione le iniziative che promuovono lo scambio commerciale equo e solidale tra l’Italia e i Paesi partner. La proposta ha la finalità di permettere ad un maggior numero di categorie di soggetti l’accesso ai benefici in favore degli enti che si occupano della cooperazione internazionale.

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La Proposta di legge n. 3021/2005 “Disciplina della cooperazione allo sviluppo equo e sostenibile” riconosce l’apporto del CEES alla cooperazione allo sviluppo e prevede l’istituzione di un albo in cui verranno iscritte le organizzazioni del CEES che intendono beneficiare delle agevolazioni fiscali e delle esenzioni sui tassi d’importazione.

Infine, la Proposta di legge n. 1828 “Disposizioni per la promozione del commercio equo e solidale”, presentata alla Camera il 16 ottobre 2006, dà una definizione del commercio equo e solidale, definisce il concetto di prezzo equo, individua le caratteristiche delle organizzazioni di commercio equo e solidale, definisce i prodotti del CEES e istituisce l’Albo delle organizzazioni di commercio equo e solidale, oltre che il Registro della filiera integrale del commercio equo e solidale; viene anche prevista l’Autorità del commercio equo e solidale.

Il diritto regionaleLa Toscana è stata la prima Regione ad approvare una legge interamente dedicata al commercio equo e solidale. La L.R. 23 febbraio 2005, n. 37 ha l’obiettivo di sostenere e agevolare l’attività dei soggetti del CEES in quanto ritenuta funzionale agli obiettivi regionali di cooperazione decentrata allo sviluppo. Viene istituito il registro regionale del commercio equo e solidale a cui sono iscritti coloro che operano in forma stabile nel territorio regionale. Sono previsti incentivi alle imprese del settore e viene istituita la “Giornata regionale del commercio equo e solidale”. E’ prevista l’emanazione di un regolamento attuativo circa:- l’istituzione ed il funzionamento del disciplinare di prodotto;- i criteri e le modalità per l’iscrizione, sospensione e revoca al registro;- i contenuti della relazione sullo stato di attuazione della legge;- le modalità organizzative e i contenuti della “Giornata regionale del commercio equo e solidale”.La seconda Regione a intervenire nel settore è stata il Friuli Venezia Giulia con l’art. 26 della L.R. 5 dicembre 2005, n. 29. Tale norma contiene una definizione di commercio equo, anche se lacunosa in quanto coglie solo una parte del fenomeno.Una particolarità della norma friulana consiste nel riconoscimento ufficiale della denominazione “Botteghe del Mondo”. Tale denominazione viene conferita con Decreto dirigenziale, previa verifica dei requisiti, agli esercizi ove si effettui la vendita al dettaglio di beni che, almeno per l’80% del volume d’affari, facciano parte del circuito del commercio equo e solidale.Anche la Regione Abruzzo ha disciplinato il settore con la L.R. 28 marzo 2006, n. 7 che è abbastana simile alla legge toscana alla quale evidentemente si ispira.L’ultima Regione intervenuta a disciplinare il commercio equo e solidale nel proprio territorio è stata la Liguria con la L.R. 13 agosto 2007, n. 32.Tale normativa dà una definizione del CEES, istituisce l’Elenco regionale delle organizzazioni del commercio equo e solidale al quale sono iscritti i soggetti non aventi scopo di lucro, organizzatiin forma collettiva e democratica, che operano in forma stabile sul territorio regionale, appartenenti alle categorie nella stessa legge individuate.E’ interessante rilevare come sia già stato adottato il provvedimento attuativo di tale legge.Per concludere, bisogna ricordare che sono stati presentati, in altre Regioni, dei Progetti di legge tesi a disciplinare ed incentivare il settore:Regione Piemonte: PDL 466/07 e PDL 479/07;Regione Lombardia: PDL 128/06;Regione Veneto: PDL 191/06 e PDL 203/06.

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LA NORMATIVA COMUNITARIA

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Risoluzione del Parlamento europeo sul commercio equo e solidale e lo sviluppo (2005/2245(INI))

Il Parlamento europeo ,

–   vista la propria risoluzione del 2 luglio 1998 sul commercio equo e solidale(1) ,

–   vista la propria risoluzione del 10 luglio 2003 sulla crisi del mercato internazionale del caffè(2) ,

–   vista la comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo, del 12 febbraio 2004, dal titolo "Catene di prodotti agricoli di base, dipendenza e povertà -Proposta di piano d'azione a livello di UE" (COM(2004)0089),

–   vista la comunicazione della Commissione al Consiglio, del 29 novembre 1999, sul "commercio equo e solidale" (COM(1999)0619),

–   visto il parere del comitato economico e sociale europeo, del 27 ottobre 2005, sul tema "Commercio etico e programmi di garanzia per i consumatori"(3) ,

–   visti la dichiarazione e il piano d'azione sui prodotti di base africani adottati dalla Conferenza dei ministri del commercio dell'Unione africana tenutasi ad Arusha il 21-23 novembre 2005,

–   visto il consenso di São Paulo, undicesima sessione della conferenza delle Nazioni Unite su commercio e sviluppo (UNCTAD), tenutasi a São Paulo il 13-18 giugno 2004,

–   visti gli articoli da 177 a 181 del trattato che istituisce la Comunità europea,

–   visto l'Accordo di partenariato tra i membri del gruppo degli stati dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP), da un lato, e la Comunità europea e i suoi Stati membri, dall'altro, firmato a Cotonou il 23 giugno 2000 (accordo di Cotonou)(4) e modificato a Lussemburgo il 25 giugno 2005(5) , e in particolare l'articolo 23, lettera g),

–   visto il compendio sulle strategie di cooperazione all'accordo di Cotonou, pubblicato dalla Commissione nel 2001,

–   visto il manuale sugli appalti pubblici ecocompatibili, dal titolo "Acquistare verde!", pubblicato dalla Commissione nel 2004,

–   visto il rapporto dell'AFNOR (Agence française de normalisation) sui criteri e requisiti applicabili alle attività delle organizzazioni di Commercio equo e solidale del 9 dicembre 2005,

–   visto l'articolo 45 del proprio regolamento,

–   visti la relazione della commissione per lo sviluppo e il parere della commissione per il commercio internazionale (A6-0207/2006),

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A.   considerando che il Commercio equo e solidale si è dimostrato un mezzo efficace di promozione dello sviluppo sostenibile,

B.   considerando che il Commercio equo e solidale e altre iniziative commerciali soggette a controlli indipendenti che contribuiscono a rafforzare le norme sociali ed ambientali sono accomunati dall'ambizione di immettere sul mercato, commercializzare e promuovere prodotti rispondenti a determinati criteri sociali, ambientali e di sviluppo,

C.   considerando che il Commercio equo e solidale e altre iniziative commerciali soggette a controlli indipendenti che contribuiscono a rafforzare le norme sociali ed ambientali costituiscono importanti strumenti per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del millennio (OSM), in particolare l'eliminazione della povertà e il partenariato mondiale per lo sviluppo,

D.   considerando che i prezzi di molti dei principali prodotti agricoli esportati dai paesi in via di sviluppo, quali zucchero, cotone, cacao e caffè, sono caduti tra il 30 e il 60 % tra il 1970 e il 2000, obbligando i piccoli agricoltori a vendere i propri raccolti al di sotto del costo di produzione e riducendo le entrate di molti tra i paesi più poveri del mondo, e considerando che il Commercio equo e solidale può fornire soluzioni a questo problema,

E.   considerando che gli articoli XXXVI-XXXVIII dell'accordo generale sulle tariffe ed il commercio (GATT) impegnano i membri dell'Organizzazione mondiale del commercio (OMC) ad intraprendere, ove necessario, un'azione collettiva per assicurare la stabilizzazione dei prezzi dei prodotti primari; considerando che l'Unione africana insiste affinché la questione dei prodotti di base venga trattata nell'ambito dei negoziati OMC in corso,

F.   considerando che l'articolo 23, lettera g) dell'accordo di Cotonou prevede il sostegno alla promozione del Commercio equo; che il compendio sulle strategie di cooperazione all'accordo di Cotonou prevede, alla sezione 2.6.3., paragrafo 64, che la cooperazione sostenga sia i gruppi di produttori nei paesi in via di sviluppo, che le ONG nell'ambito dell'Unione europea attraverso dotazioni di bilancio e risorse del FES, e che tale sostegno venga utilizzato per finanziare il lancio di nuove linee di prodotti, campagne di sensibilizzazione dei consumatori, attività educative e costruzione di capacità,

G.   considerando che il Commercio equo e solidale persegue due obiettivi inseparabili: da un lato, fornire opportunità di sviluppo a produttori e lavoratori su piccola scala nei paesi in via di sviluppo e, dall'altro, incoraggiare il sistema di commercio internazionale e le imprese private ad operare in una maniera che sia più equa e si indirizzi maggiormente verso lo sviluppo sostenibile; che il movimento internazionale per il Commercio equo e solidale persegue quest'ultimo obiettivo dando l'esempio ed esercitando pressioni sui governi, sulle organizzazioni internazionali e sulle imprese,

H.   considerando che altre iniziative commerciali soggette a controlli indipendenti che contribuiscono a rafforzare le norme sociali ed ambientali perseguono obiettivi diretti sia a sostenere uno sviluppo sostenibile a vantaggio dei produttori e lavoratori dei paesi in via di sviluppo, sia a consentire ad imprese private di divenire parte attiva nello sviluppo sostenibile e di sostenere efficacemente tale processo,

I.   considerando che le organizzazioni di Commercio equo e solidale svolgono un ruolo importante nel rafforzare la sensibilizzazione in merito alle relazioni Nord-Sud, in particolare attraverso campagne d'informazione e il rafforzamento della cooperazione tra cittadini, nonché ricorrendo al concetto di città e università del Commercio equo e solidale,

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J.   considerando che le vendite del Commercio equo e solidale in Europa sono aumentate in media del 20% l'anno dal 2000, a beneficio di oltre un milione di produttori e delle loro famiglie e dimostrando un crescente interesse dei consumatori europei nei confronti degli acquisti responsabili; considerando che il tasso di crescita in detto commercio varia tra i diversi Stati membri dell'Unione europea e che la quota di mercato globale del Commercio equo e solidale continua ad essere ridotta, ma sta sviluppandosi rapidamente, mentre le tendenze internazionali sono analogamente incoraggianti,

K.   considerando che un crescente numero di rivenditori europei fa sforzi considerevoli per sostenere il Commercio equo e solidale e altre iniziative commerciali soggette a controlli indipendenti che contribuiscono a rafforzare le norme sociali ed ambientali, divulgando i propri valori e offrendone i prodotti nei propri punti vendita,

L.   considerando che milioni di produttori vogliono entrare a far parte del sistema di Commercio equo e solidale e di altre iniziative commerciali soggette a controlli indipendenti che contribuiscono a rafforzare le norme sociali ed ambientali e che vi é un enorme potenziale di crescita; considerando che le politiche internazionali in ambito commerciale e agricolo creano difficoltà, in particolare per le piccole e medie imprese dei paesi in via di sviluppo, compresi i produttori del Commercio equo e solidale,

M.   considerando che occorre sensibilizzare maggiormente i consumatori europei circa l'impatto positivo del Commercio equo e solidale sulla situazione socio-economica dei produttori e delle rispettive comunità locali,

N.   considerando che produttori e consumatori traggono vantaggio da un marchio di garanzia del Commercio equo e solidale unico e riconoscibile come quello già esistente,

O.   considerando che, nel contesto del Commercio equo e solidale, occorre rivolgere particolare attenzione al ruolo delle donne, che sono i principali attori economici nello sviluppo sostenibile,

P.   considerando che il Commercio equo e solidale si è rivelato uno strumento efficace di sostegno per i popoli indigeni, dando loro opportunità di vendere i propri prodotti direttamente ai mercati europei, mantenendo nel contempo i propri modi di vita e di lavoro tradizionali,

Q.   considerando che i prodotti del Commercio equo e solidale sono commercializzati in due modi diversi: il percorso integrato, nel quale i prodotti (soprattutto oggetti d'artigianato) sono importati da organizzazioni del Commercio equo e solidale e distribuiti soprattutto in negozi specializzati del Commercio equo e solidale (i cosiddetti "Worldshops") e il sistema dell'etichettatura, in base al quale i prodotti sono etichettati da agenzie di certificazione specializzate del Commercio equo e solidale, che certificano che la catena di produzione rispetta i principi del Commercio equo e solidale,

R.   considerando che nel corso degli ultimi cinque decenni il movimento internazionale del Commercio equo e solidale, e più precisamente le seguenti organizzazioni: FLO (Fairtrade Labelling Organizations International), IFAT (International Fair Trade Association), NEWS (Network of European Worldshops) ed EFTA (European Fair Trade Association), ha elaborato a livello internazionale norme volontarie armonizzate per i prodotti del Commercio equo e solidale etichettati e non, nonché per le organizzazioni di tale commercio,

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S.   considerando che, alla luce del successo del Commercio equo e solidale e dell'assenza di protezione giuridica, sussiste il rischio che tale concetto possa essere utilizzato abusivamente da imprese che entrino nel mercato del Commercio equo e solidale senza rispettarne i criteri; considerando che ciò può ridurre i benefici per i produttori poveri e marginalizzati dei paesi in via di sviluppo, diminuire egualmente la trasparenza per i consumatori e violare il diritto degli stessi ad un'informazione appropriata sui prodotti,

T.   considerando che alcuni Stati membri hanno avviato procedure legislative volte a regolamentare l'uso dell'espressione "Commercio equo e solidale" e i criteri per lea qualifica di organizzazione del Commercio equo e solidale,

U.   considerando che la Commissione non ha una politica uniforme per quanto concerne il Commercio equo e solidale e le altre iniziative commerciali soggette a controlli indipendenti che contribuiscono a rafforzare le norme sociali ed ambientali e considerando che non vi è un coordinamento strutturato tra le diverse direzioni generali al riguardo,

V.   considerando che attualmente in Europa l'assistenza e il sostegno al Commercio equo e solidale, alle organizzazioni del Commercio equo e solidale e ad altre iniziative altre iniziative commerciali soggette a controlli indipendenti che contribuiscono a rafforzare le norme sociali ed ambientali sono attualmente limitati e frammentati,

W.   considerando che nelle istituzioni europee vengono offerti sempre più prodotti del Commercio equo e solidale,

X.   considerando che vi sono strumenti mediante i quali i governi possono sostenere il Commercio equo e solidale, che sono compatibili con l'OMC, purché non siano discriminatori nei confronti degli Stati membri dell'OMC,

1.   invita la Commissione a presentare una raccomandazione sul Commercio equo e solidale, riconoscendo che un atto legislativo non vincolante è, in questo momento, un tipo di atto più adeguato e che non implica il rischio di un eccesso di regolamentazione e la invita altresì ad esaminare la possibilità di presentare una raccomandazione sulle altre iniziative commerciali soggette a controlli indipendenti che contribuiscono a rafforzare le norme sociali ed ambientali;

2.   ritiene che, al fine di eliminare il rischio di abusi, il Commercio equo e solidale deve soddisfare una serie di criteri, definiti in Europa dal movimento per il Commercio equo e solidale nei termini seguenti:

a) un prezzo equo al produttore, che garantisca un salario equo e copra i costi di una produzione sostenibile e il costo della vita; tale prezzo deve essere almeno pari al prezzo minimo e ai premi del Commercio equo e solidale, ove questi siano stati definiti dalle associazioni internazionali del Commercio equo e solidale,

b) se il produttore lo richiede, parte del pagamento deve essere versata in anticipo,

c) relazioni stabili e a lungo termine con i produttori e partecipazione dei produttori alla definizione delle norme del Commercio equo e solidale,

d) trasparenza e tracciabilità lungo l'intera catena di fornitura, al fine di garantire un'informazione adeguata al consumatore,

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e) condizioni di produzione che rispettino l'ottava convenzione di base dell'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL),

f) rispetto per l'ambiente, protezione dei diritti dell'uomo e, in particolare, dei diritti della donna e del bambino, nonché rispetto dei metodi di produzione tradizionali che promuovono lo sviluppo economico e sociale,

g) sviluppo di capacità e responsabilizzazione dei produttori, in particolare dei produttori e dei lavoratori su piccola scala e marginalizzati dei paesi in via di sviluppo e delle loro organizzazioni, oltreché delle rispettive comunità, onde garantire la sostenibilità del Commercio equo e solidale,

h) sostegno alla produzione e accesso al mercato per le organizzazioni dei produttori,

i) attività di sensibilizzazione sulla produzione del Commercio equo e solidale e le relazioni commerciali, la missione e gli obiettivi del Commercio equo e solidale e l'ingiustizia prevalente delle norme commerciali internazionali,

j) la sorveglianza e la verifica del rispetto di questi criteri, laddove le organizzazioni del Sud del mondo devono svolgere un ruolo di maggior peso al riguardo, che porti a una riduzione dei costi e a una maggiore partecipazione locale al processo di certificazione,

k) regolari valutazioni dell'impatto delle attività di Commercio equo e solidale;

3.   sottolinea che la quota più significativa di aumento delle vendite di prodotti del Commercio equo e solidale è stata raggiunta con i prodotti etichettati e che iniziative di etichettatura del Commercio equo e solidale sono state sviluppate nella maggior parte dei paesi europei;

4.   osserva che l'Europa costituisce il maggior mercato per i prodotti del Commercio equo e solidale, con una quota stimata tra il 60 e il 70% delle vendite mondiali e un potenziale di ulteriore crescita;

5.   ricorda che l'istituzione di un sistema commerciale multilaterale libero ed equo costituisce lo strumento migliore per realizzare un'efficace gestione della globalizzazione a beneficio di tutti; ricorda inoltre, che il sistema di Commercio equo-solidale si è dimostrato uno strumento importante per la riduzione della povertà e lo sviluppo sostenibile e ritiene che, a lungo termine, potrebbe facilitare l'equa partecipazione dei paesi in via di sviluppo al sistema commerciale multilaterale, garantire loro un accesso stabile e sostenibile al mercato europeo come pure sensibilizzare maggiormente i consumatori;

6.   ricorda che, laddove gli accordi commerciali internazionali non rispondono alle esigenze dei paesi poveri, il sistema del Commercio equo e solidale si è dimostrato efficace in termini di riduzione della povertà e sviluppo sostenibile; ritiene che, in una prospettiva a lungo termine, esso possa consentire ai paesi in via di sviluppo di partecipare pienamente al sistema multilaterale degli scambi commerciali;

7.   invita la Commissione e il Consiglio a promuovere il Commercio equo e solidale e le altre iniziative commerciali soggette a controlli indipendenti che contribuiscono a rafforzare le norme sociali ed ambientali quali strumenti efficaci per il raggiungimento degli OSM e a riconoscere l'importante ruolo delle organizzazioni di Commercio equo e solidale e di altre

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iniziative commerciali soggette a controlli indipendenti che contribuiscono a rafforzare le norme sociali ed ambientali nel sostenere produttori su piccola scala e marginalizzati nei paesi in via di sviluppo, nonché nel sensibilizzare i consumatori europei nei confronti di relazioni commerciali sostenibili ed etiche tra Nord e Sud, in generale, e del Commercio equo e solidale in particolare;

8.   ricorda che le politiche commerciali europee devono migliorare l'accesso al mercato per i piccoli produttori del Sud;

9.   invita la Commissione a effettuare uno studio per esaminare come il Commercio equo-solidale potrebbe divenire un modello per una politica commerciale sostenibile in grado di stimolare scambi Nord-Sud equilibrati come pure per individuare gli ostacoli al commercio che hanno le più gravi conseguenze negative sulle popolazioni povere del pianeta;

10.   invita la Commissione a riconoscere che, accanto al movimento per il Commercio equo e solidale, vi sono altri programmi credibili che, sotto l'egida dell'ISEAL (l'Alleanza internazionale per l'accreditamento e l'etichettatura sociale e ambientale), contribuiscono alla definizione di norme sociali e ambientali per quanto riguarda la certificazione di terzi;

11.   invita la Commissione e gli Stati membri a prendere misure appropriate per assicurare che i consumatori abbiano accesso a tutte le informazioni di cui hanno bisogno per fare scelte consapevoli; ritiene che i consumatori debbano avere il diritto di un rapido accesso all'informazione sui prodotti, che deve essere facilmente comprensibile e presentata in modo trasparente;

12.   invita la Commissione a cooperare con il movimento internazionale del Commercio equo-solidale per sostenere criteri chiari e ampiamente applicabili al fine di valutare, alla luce degli stessi, i programmi di garanzia per i consumatori, sostenere la fiducia dei consumatori nei confronti di tali programmi e consolidare le filiere dei prodotti del Commercio equo-solidale;

13.   invita la Commissione a lanciare specifici "inviti a presentare proposte" in relazione al Commercio equo e solidale e a sensibilizzare maggiormente i consumatori, promuovere i programmi di garanzia e i marchi e la raccolta sistematica dei dati e la valutazione degli effetti nell'UE;

14.   chiede alla Commissione di coordinare meglio le sue attività nel campo del Commercio equo e solidale e delle altre iniziative commerciali soggette a controlli indipendenti che contribuiscono a rafforzare le norme sociali ed ambientali intraprese dalle diverse direzioni generali responsabili per i settori dello sviluppo, commercio, occupazione e affari sociali, protezione del consumatore, mercato interno e agricoltura, e a rendere il Commercio equo e solidale e le altre iniziative commerciali soggette a controlli indipendenti che contribuiscono a rafforzare le norme sociali ed ambientali una parte integrale delle sue politiche in questi settori;

15.   invita la Commissione e il Consiglio a prendere in considerazione ed esaminare l'applicazione di un'aliquota IVA ridotta per i prodotti del Commercio equo e solidale e a sopprimere i dazi d'importazione sui prodotti del Commercio equo e solidale originari di paesi in via di sviluppo; sottolinea che tutti i prodotti cui verrebbe applicata un'aliquota IVA ridotta dovrebbero essere oggetto di un rigoroso monitoraggio onde evitare abusi;

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16.   esorta gli Stati membri che stanno attualmente elaborando normative attinenti al Commercio equo e solidale, o che possono influire sulle organizzazioni del Commercio equo e solidale o su altre iniziative commerciali soggette a controlli indipendenti che contribuiscono a rafforzare le norme sociali ed ambientali, a basare tutti i criteri rilevqnti sulle conoscenze e l'esperienza dei soggetti interessati, incluso il movimento internazionale del Commercio equo e solidale, e a valutare attentamente, quale primo passo, il rischio di un eccesso di regolamentazione, nonché il possibile impatto di tale regolamentazione sui produttori su piccola scala e marginalizzati;

17.   invita la Commissione ad attuare l'articolo 23, lettera g) dell'accordo di Cotonou e le disposizione fissate dal compendio sulle strategie di cooperazione all'accordo, in particolare i paragrafi da 61 a 64;

18.   invita la Commissione a istituire un punto di contatto interno che garantisca il regolare coordinamento tra i vari servizi della Commissione sulle questioni relative al Commercio equo e solidale;

19.   invita la Commissione a fornire assistenza al Commercio equo e solidale:

a) nei paesi in via di sviluppo, elaborando misure volte a sviluppare nuovi prodotti del Commercio equo e solidale, fornire assistenza tecnica e di costruzione della capacità (ad esempio per soddisfare le norme sanitarie e fitosanitarie europee, le norme sull'origine nonché il crescente numero di norme settoriali), incoraggiare il passaggio alla manifattura (valore aggiunto), sostenere programmi di costruzione della capacità e di responsabilizzazione, sostenere finanziamenti anticipati per i produttori del Commercio equo e solidale e assistere nella distribuzione dei prodotti del Commercio equo e solidale sui mercati locali, ponendo un accento particolare sui progetti attuati da donne,

b) nell'Unione europea, elaborando misure per sostenere programmi di sensibilizzazione al Commercio equo e solidale, campagne d'informazione e attività promozionali, ricerche sull'impatto e sulle migliori pratiche, analisi della catena di approvvigionamento, valutazioni della tracciabilità e della responsabilità, sostegno alla commercializzazione dei prodotti del Commercio equo e solidale attraverso sostegno concreto per i negozi "worldshop",

c) nell'Unione europea e nei paesi in via di sviluppo, promuovendo l'attività e il ruolo delle organizzazioni del Commercio equo e solidale;

20.   invita la Commissione, previa consultazione dei soggetti interessati, a presentare al Parlamento una proposta per un'azione e un finanziamento adeguati nel settore del Commercio equo e solidale e di altre iniziative commerciali soggette a controlli indipendenti che contribuiscono a rafforzare le norme sociali ed ambientali;

21.   invita la Commissione a esaminare possibilità per rafforzare la sensibilizzazione nei confronti del Commercio equo e solidale e di altre iniziative commerciali soggette a controlli indipendenti che contribuiscono a rafforzare le norme sociali ed ambientali, in particolare nelle scuole e attraverso di esse;

22.   esorta le autorità pubbliche in Europa ad integrare criteri di Commercio equo e solidale nei loro bandi di gara e nelle loro politiche d'acquisto ed invita la Commissione a promuovere tale approccio elaborando, ad esempio, orientamenti per bandi di gara del Commercio equo e solidale;

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23.   ricorda che soprattutto gli enti pubblici regionali effettuano elevati investimenti nei mercati dei prodotti rilevqnti; li invita pertanto a prestare , nei loro bandi di gara, particolare attenzione ai prodotti del commercio equo e solidale;

24.   accoglie favorevolmente lo sforzo crescente, in particolare al Parlamento europeo, volto ad offrire prodotti del Commercio equo e solidale e sottolinea che tutte le istituzioni dell'Unione europea dovrebbero utilizzare tali prodotti nei propri servizi interni;

25.   sottolinea che il Commercio equo e solidale e le altre iniziative commerciali soggette a controlli indipendenti che contribuiscono a rafforzare le norme sociali ed ambientali possono costituire strumenti efficaci per rendere le imprese socialmente sensibili e socialmente responsabili;

26.   sottolinea l'importanza di rendere più inclusiva la politica europea sulla responsabilità sociale delle imprese, continuando ed intensificando gli incontri tra le diverse parti interessate, incluse le sedi dove sono presenti le organizzazioni del Commercio equo e solidale;

27.   esorta la Commissione a sostenere meccanismi per lq partecipazione, ove possibile, dei produttori nella fissazione dei prezzi, come previsto al paragrafo 63 del compendio sulle strategie di cooperazione all'accordo di Cotonou;

28.   esorta la Commissione ad appoggiare la richiesta dell'Unione africana di trattare in linea prioritaria la questione dei prezzi dei prodotti di base nell'ambito dei negoziati commerciali mondiali attualmente in corso, in conformità con gli impegni dell'OMC, in particolare con gli articoli del GATT XXXVI-XXXVIII;

29.   invita la Commissione ad adottare iniziative, conformemente al paragrafo 2, lettera a), dell'articolo XXXVIII del GATTper elaborare misure volte a stabilizzare e a migliorare le condizioni di mercato per i prodotti primari di particolare interesse per i paesi meno sviluppati, che comprendano misure per conseguire prezzi stabili, equi e remunerativi per le esportazioni di tali prodotti;

30.   accoglie favorevolmente l'introduzione di speciali clausole sociali ed ambientali nel sistema delle preferenze generalizzate + (GSP+), ma ritiene necessario rafforzare il meccanismo di controllo di tale sistema;

31.   esorta la Commissione ad elaborare una politica coerente per la promozione e la protezione dei produttori su piccola scala e marginalizzati, inclusi i produttori del Commercio equo e solidale, che rappresenti le loro opinioni nonché quella dei produttori legati ad altre iniziative commerciali soggette a controlli indipendenti che contribuiscono a rafforzare le norme sociali ed ambientali, tenendo conto del loro punto di vista nell'ambito dei negoziati commerciali bilaterali, regionali e multilaterali quali gli accordi di partenariato economico;

32.   invita la Commissione a tenere conto dell'approccio del Commercio equo e solidale e di altri approcci commerciali sociali ed ambientali quando elabora la politica commerciale dell'Unione europea;

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33.   incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Consiglio e alla Commissione nonché all'OIL, al programma per l'ambiente delle Nazioni Unite, all'UNCTAD e all'OMC.

(1) GU C 226 del 20.7.1998, pag. 73.(2) GU C 64E del 12.3.2004, pag. 607.(3) GU C 28 del 3.2.2006, pag. 72.(4) GU L 317 del 15.12.2000, pag. 3.(5) GU L 287 del 28.10.2005, pag. 4.

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Comunicazione della Commissione al Consiglio sul «commercio equo e solidale»

/* COM/99/0619 def. */

COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL CONSIGLIO sul "commercio equo e solidale"

(presentata dalla Commissione)

COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL CONSIGLIO

sul "commercio equo e solidale"

INDICE

1. Introduzione

2. Il concetto di «commercio equo e solidale»

3. Come funziona in pratica il commercio equo e solidale-

3.1. Il movimento commercio equo e solidale tradizionale

3.2. Iniziative in materia di marchi

3.3. Principali organizzazioni che partecipano al commercio equo e solidale

4. Il commercio equo e solidale nell'Unione europea

4.1. Attività commerciale

4.2. Attività politica

4.3. Interesse dei consumatori

5. Attività in corso a sostegno del commercio equo e solidale

5.1. Aiuto finanziario alle organizzazioni che praticano il commercio equo e solidale

5.2. Altri contributi finanziari

5.3. Normativa

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5.4. altre attività connesse : commercio leale/codici di condotta

6. Commercio equo e solidale, OMC e globalizzazione degli scambi

7. Considerazioni per un sostegno dell'Unione Europea alle attività del commercio equo e solidale

1. INTRODUZIONE

Secondo quanto dispone l'articolo 177 del trattato che istituisce la Comunità europea, la politica della Comunità nel settore della cooperazione allo sviluppo favorisce:

- "lo sviluppo economico e sociale sostenibile dei paesi in via di sviluppo, in particolare di quelli più svantaggiati,

- l'inserimento armonioso e progressivo dei paesi in via di sviluppo nell'economia mondiale,

- la lotta contro la povertà nei paesi in via di sviluppo."

Il commercio equo e solidale costituisce un esempio di come le relazioni e le pratiche commerciali possano contribuire a colmare il divario tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo ed a favorire l'integrazione di questi ultimi nell'economia mondiale. Le iniziative in materia di «commercio equo e solidale» offrono al consumatore la possibilità di contribuire, con le sue scelte, allo sviluppo economico e sociale sostenibile dei paesi in via di sviluppo.

Il presente documento scaturisce dall'impegno, assunto dalla Commissione nella riunione del Consiglio del giugno 1998, di presentare una comunicazione sul commercio equo e solidale, nonché dalla richiesta in tal senso formulata dal Parlamento europeo (relazione Fassa).

Esso definisce il concetto di commercio equo e solidale ed espone brevemente la situazione attuale al fine di alimentare il dibattito sulla linea d'azione che l'Unione europea potrebbe adottare per favorire la diffusione del commercio equo e solidale, che risponde agli obiettivi prioritari della politica di sviluppo dell'UE enunciati nell'articolo 177 del trattato.

La presente comunicazione costituisce pertanto un primo abbozzo di una posizione della Commissione in materia di commercio equo e solidale, che andrà ulteriormente precisandosi ed articolandosi con le attuali politiche comunitarie.

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2. Il concetto di «commercio equo e solidale»

Il concetto di commercio equo e solidale si è andato sviluppando nel mondo occidentale nel corso degli ultimi 40 anni, in risposta alla crescente consapevolezza del fatto che i vantaggi derivanti dagli scambi e dall'espansione del commercio non sono equamente ripartiti tra tutti i paesi e tra i vari strati della popolazione di ciascun paese.

L'obiettivo del commercio equo e solidale è di garantire che il prezzo pagato ai produttori rappresenti una congrua remunerazione del loro apporto di lavoro, competenza e risorse ed una giusta quota del profitto globale. Questo obiettivo viene generalmente realizzato mediante l'impegno dei partecipanti all'iniziativa di commercio equo e solidale a pagare un prezzo equo, negoziato caso per caso. Per le merci il cui prezzo è concordato a livello internazionale (come il caffè e il cacao), viene fissato un prezzo minimo tale da assicurare ai produttori un reddito superiore al prezzo mondiale delle derrate vendute. Grazie a questa maggiorazione, i produttori possono dotarsi di sistemi di produzione perfezionati ed introdurre condizioni di lavoro favorevoli agli imprenditori agricoli, ai salariati e all'ambiente.

Il commercio equo e solidale offre ai produttori dei paesi in via di sviluppo un reddito maggiorato e nuovi sbocchi di mercato, contribuendo così a creare condizioni favorevoli ad una migliore tutela sociale ed ambientale nei paesi in via di sviluppo. I cittadini europei sono tutelati dalle legislazioni nazionali e dalla normativa comunitaria in settori quali l'igiene e la sicurezza sul lavoro, la protezione dell'ambiente, i diritti e gli obblighi reciproci dei lavoratori e dei datori di lavoro. Questi diritti legali (per esempio le norme fondamentali sul lavoro sancite dalla dichiarazione dell'OIL sui diritti fondamentali dei lavoratori del 18 giugno 1998) non sempre sono garantiti dall'ordinamento nazionale dei paesi in via di sviluppo ed anche se lo sono, le condizioni economiche o altre circostanze rendono spesso difficile il rispetto della legge. Il commercio equo e solidale tenta di appianare queste difficoltà promuovendo uno sviluppo economico equilibrato ed una crescita sostenibile a partire dalla base. Esso aspira inoltre a ridurre, almeno in parte, il divario tra paesi industrializzati e in via di sviluppo, approfonditosi negli ultimi decenni in conseguenza della diminuzione relativa dei prezzi delle materie prime e in particolare delle derrate agricole.

La pratica del commercio equo e solidale favorisce particolarmente i piccoli produttori, soprattutto agricoltori e artigiani, i quali spesso vivono in regioni rurali periferiche e non producono in quantità sufficiente per esportare direttamente, cosicché dipendono da intermediari sia per la vendita dei prodotti che per l'assunzione di credito. Alcuni di essi hanno cercato di ridurre tale dipendenza associandosi in cooperative e mettendo in comune risorse, attrezzature e competenze tecniche e talvolta anche servizi collettivi come la sanità e l'istruzione. Le organizzazioni commerciali alternative - di cui si farà menzione più avanti - possono dare una spinta decisiva allo sviluppo di queste cooperative, con il pagamento di un prezzo equo e con la prestazione di assistenza di vario tipo, dall'acquisto di un fax alla consulenza in materia di esportazioni.

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Tra le iniziative di questo genere possono rientrare il pagamento di anticipi ai produttori e l'instaurazione di rapporti contrattuali che offrano a questi ultimi una sicurezza a lungo termine. In questo modo viene garantita la stabilità dei redditi, il che facilita la pianificazione e l'investimento, e i produttori possono esercitare un maggiore controllo sulla trasformazione e commercializzazione dei loro prodotti. Una parte del reddito può essere persino utilizzata per accrescere la capacità, per esempio in vista della costituzione di organizzazioni di produttori - come si è osservato in precedenza - o per l'allestimento di strutture che permettano di aggiungere valore, come la trasformazione del caffè. Va sottolineato che i profitti ricavati dal commercio equo e solidale vanno a beneficio di un'intera comunità e non di singoli individui.

Il concetto di commercio equo e solidale si applica principalmente agli scambi tra paesi in via di sviluppo e paesi economicamente avanzati. Esso non incide direttamente sui beni prodotti all'interno dell'UE, dove le norme sociali ed ambientali sono già sancite dalla legge. L'insieme della produzione interna, come anche i produttori e i salariati dell'UE, godono infatti di un livello di tutela socio-ambientale quanto meno comparabile a quello definito per il commercio equo e solidale.

Le azioni in materia di commercio equo e solidale sorgono per iniziativa di organizzazioni non governative private. Esse si basano su un sistema di incentivi, nel senso che poggiano sulla scelta dei consumatori e non cercano di manovrare il commercio o di erigere barriere per impedire l'accesso al mercato di taluni paesi. Il consumatore ha così la possibilità di elevare il tenore di vita dei produttori nei paesi in via di sviluppo grazie ad un approccio sostenibile ed orientato verso il mercato.

Va rilevato che, se il commercio equo e solidale può essere considerato come una forma di «commercio leale», di solito il termine viene utilizzato per designare pratiche commerciali non solo moralmente corrette, ma specificamente intese a rafforzare la posizione economica dei piccoli produttori che altrimenti rischiano di trovarsi marginalizzati dai flussi di scambio convenzionali. Si parla più propriamente di «commercio leale» o di «pratiche commerciali moralmente corrette» in riferimento alle attività delle società multinazionali operanti nei paesi in via di sviluppo (per esempio codici di condotta), intese a dimostrare le loro responsabilità etiche e sociali nei confronti dei dipendenti o dei soci.

3. Come funziona in pratica il commercio equo e solidale-

I prodotti commercializzati secondo i criteri sopra esposti seguono diversi canali per raggiungere il consumatore, tutti sviluppatisi per iniziativa privata. I più frequenti sono il movimento commercio equo e solidale tradizionale - comprendente le organizzazioni di distribuzione alternative - e le iniziative in materia di marchi. Possono tuttavia richiamarsi al commercio equo e solidale, almeno per certi prodotti, anche singole ditte o dettaglianti non affiliati ad alcuna organizzazione.

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3.1. Il movimento commercio equo e solidale tradizionale

Il concetto di commercio equo e solidale è stato formulato inizialmente da organizzazioni non governative (ONG) interessate agli scambi e allo sviluppo. Le prime iniziative di questo genere sono consistite nella creazione di organizzazioni commerciali alternative o «imprese per il commercio equo e solidale». Spesso sorte per iniziativa di associazioni religiose o caritative, molte di queste organizzazioni sono poi diventate società indipendenti.

La filosofia che sta alla base di questo movimento consiste nell'intrecciare relazioni commerciali con produttori e fornitori dei paesi in via di sviluppo fondate sui principi del commercio equo e solidale. L'organizzazione importatrice reperisce i prodotti alla fonte, li importa e li commercializza secondo vari metodi, tra cui la vendita diretta nelle cosiddette «botteghe del mondo» o tramite altre ONG o associazioni confessionali, la vendita per corrispondenza, ecc.

Le operazioni commerciali di questo tipo sono improntate, in tutti i loro aspetti, all'etica del commercio equo e solidale. Il ricavato della vendita viene trasferito in massima parte ai produttori e l'eventuale profitto è spesso devoluto a favore di progetti di sviluppo, mentre in altri casi si tratta semplicemente di normali operazioni commerciali. La maggior parte dei prodotti commercializzati tramite le botteghe del mondo non sono contraddistinti da un marchio speciale, ma vengono acquistati in base alla fiducia. Il nome e la reputazione dell'organizzazione sono di per sé una garanzia per il consumatore circa la conformità del prodotto e della prassi commerciale ai principi del commercio equo e solidale. Esistono tuttavia determinati criteri di discernimento e viene esercitato un certo controllo da parte delle organizzazioni stesse o dei loro associati nei paesi in via di sviluppo.

3.2. Iniziative in materia di marchi

Il secondo canale di commercializzazione, nato nei Paesi Bassi nel 1988 e da allora sviluppatosi costantemente, è quello della certificazione del commercio equo e solidale. In questo caso, l'obiettivo perseguito è quello di utilizzare i normali circuiti di distribuzione, in modo da favorire la diffusione dei prodotti in questione e renderli più accessibili al consumatore. Non si tratta più, quindi, di uno stretto rapporto di fiducia tra produttore e venditore come nel caso del movimento commercio equo e solidale tradizionale. Importatori e distributori sono normali ditte commerciali ed i prodotti sono venduti nei comuni spacci al dettaglio, provvisti però di un marchio commercio equo e solidale, conferito da un'apposita agenzia di certificazione, il quale attesta il rispetto dei principi del commercio equo e solidale a tutti gli stadi della produzione e della catena di commercializzazione. Nell'Unione europea sono in uso quattro marchi commercio equo e solidale: «Max Havelaar», «Transfair», «Fairtrade Mark» e «Rättvisemärkt». Gli organismi di certificazione - dello stesso nome dei rispettivi marchi - sono tutti affiliati alla FLO (Fair Trade Labelling Organisations International), che svolge un coordinamento a livello europeo ed internazionale.

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Le agenzie di certificazione fissano i criteri che devono essere rispettati affinché un prodotto possa recare il marchio commercio equo e solidale. Tali criteri, armonizzati a livello internazionale, sono stati elaborati sulla scorta di strumenti internazionali come le convenzioni dell'OIL (Organizzazione internazionale del lavoro) e le raccomandazioni contenute nell'Agenda 21 dell'ONU. Essi si riferiscono, tra l'altro, alle condizioni di lavoro, alla prevenzione della contaminazione dei fiumi e dell'acqua potabile con antiparassitari, alla salvaguardia degli ecosistemi naturali, ecc. Per ogni prodotto vengono attualmente definiti criteri specifici, in modo da tener conto delle peculiarità dei singoli sistemi di produzione e di commercializzazione.

Produttori e commercianti possono rivolgersi alle agenzie di certificazione per ottenere l'autorizzazione ad apporre il marchio commercio equo e solidale sui loro prodotti. Il marchio è conferito ai prodotti importati da paesi in via di sviluppo e acquistati direttamente presso i produttori, per i quali l'agenzia abbia accertato che sono stati rispettati i criteri commercio equo e solidale in materia di produzione e di commercializzazione. I produttori e gli importatori che ottemperano ai criteri commercio equo e solidale sono iscritti in appositi registri internazionali. Gli operatori che desiderano commercializzare i prodotti commercio equo e solidale sono tenuti ad acquistarli da fonti certificate e a rispettare i requisiti di controllo pertinenti nell'esercizio della loro attività commerciale.

Le agenzie di certificazione sono responsabili della regolare sorveglianza dei produttori, importatori e commercianti che utilizzano i marchi commercio equo e solidale, per accertare che i criteri siano debitamente applicati.

I regimi di certificazione del commercio equo e solidale sono finanziati con la tassa di licenza pagata dagli operatori che commercializzano i prodotti commercio equo e solidale. Questo tributo è proporzionato al fatturato e al volume di vendite. Le agenzie di certificazione tendono ad autofinanziarsi con le tasse di licenza, ma l'autonomia finanziaria può essere raggiunta soltanto quando il volume delle importazioni e delle vendite acquista proporzioni sufficienti, dato che le tasse di registro e di licenza devono essere fissate ad un livello tale che la certificazione sia economicamente conveniente per gli importatori e i commercianti e che i produttori possano ricavare benefici supplementari dalla partecipazione al commercio equo e solidale. All'inizio, quindi, le agenzie possono registrare un bilancio negativo e molte di esse sono sovvenzionate da altre fonti, governative o private.

L'imballaggio reca un simbolo commercio equo e solidale, attestante che le pratiche di produzione e di commercializzazione sono conformi ai criteri del commercio equo e solidale. Il marchio commercio equo e solidale viene ad aggiungersi ad ogni altro requisito in materia di etichettatura e d'informazione, come le indicazioni concernenti la qualità e l'origine, che sono disciplinate dalle normali disposizioni di legge.

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3.3. Principali organizzazioni che partecipano al commercio equo e solidale

NEWS (Network of European World Shops): creata nel 1994, raggruppa le federazioni delle botteghe del mondo di 13 paesi europei (tutti gli Stati membri ne fanno parte eccetto il Lussemburgo, il Portogallo e la Grecia; ne è membro anche la Svizzera). Non tutte le botteghe del mondo aderiscono ad una federazione, la situazione varia secondo i paesi: in alcuni, tutte le botteghe fanno parte di un'unica federazione, in altri l'adesione è parziale, in altri ancora esiste una pluralità di federazioni o di singoli consorzi. Oltre alla loro funzione principale di punti di vendita, le botteghe svolgono anche opera di sensibilizzazione attraverso attività varie, come l'organizzazione di giornate del commercio equo e solidale. NEWS coordina tutte queste attività.

EFTA (European Fair Trade Association): creata in via informale nel 1987 e ufficialmente registrata come fondazione europea nel 1990, essa rappresenta 12 importatori di 9 paesi d'Europa (8 Stati membri - Austria, Belgio, Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Spagna e Regno Unito - e la Svizzera). Le botteghe del mondo si riforniscono generalmente presso importatori nazionali con cui hanno particolari legami. L'EFTA totalizza il 60% delle vendite del settore.

IFAT (International Federation for Alternative Trade): fondata nel 1989 da organizzazioni commerciali alternative africane, asiatiche, australiane, giapponesi, europee, nordamericane e sudamericane, l'IFAT è un organismo di promozione del commercio equo e solidale e d'interscambio di informazioni, che provvede a mettere in contatto produttori agricoli e artigiani del Sud con organizzazioni sia del Nord che del Sud.

FLO (Fair Trade Labelling Organisations International) : fondata nel 1997, FLO International coordina le iniziative in materia di certificazione del commercio equo e solidale, elabora criteri internazionali commercio equo e solidale per ciascun prodotto e presiede al controllo dell'osservanza di tali criteri da parte di produttori e commercianti. Questa organizzazione funge da "ombrello" per le varie agenzie di certificazione commercio equo e solidale operanti a livello nazionale, ad essa affiliate. Attualmente ne esistono quattro (cfr. sopra), presenti in 12 Stati membri. Queste agenzie tengono un registro comune delle organizzazioni di produttori, nel quale sono iscritti 300 produttori di 29 paesi.

Mentre NEWS, EFTA e IFAT fanno parte del movimento commercio equo e solidale tradizionale, la FLO si occupa esclusivamente di marchi. Il movimento commercio equo e solidale tradizionale e gli organismi di certificazione sono tra loro interdipendenti, poiché il 50% circa dei prodotti recanti il marchio commercio equo e solidale è venduto attraverso sbocchi commerciali alternativi, come le botteghe del mondo, o per corrispondenza. Inoltre, il coordinamento svolto dalla rete delle botteghe del mondo a livello locale sostiene e promuove anche i prodotti certificati, i quali non dispongono dei mezzi e delle strutture necessarie per realizzare un'adeguata promozione commerciale.

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Nel 1998 queste organizzazioni hanno fondato FINE, una struttura informale avente come scopo lo scambio di informazioni, il coordinamento e la definizione di criteri uniformi.

4. Il commercio equo e solidale nell'Unione europea

4.1. Attività commerciale

All'inizio, la maggior parte dei prodotti commercio equo e solidale disponibili in Europa erano importati da organizzazioni commerciali alternative e venduti in negozi specializzati, come le botteghe del mondo . Tali organizzazioni rimangono tuttora un importante canale di commercializzazione dei prodotti del commercio equo e solidale e rappresentano una proporzione elevata delle vendite. I negozi di questo tipo sono gestiti per la maggior parte a livello locale da volontari. In tutta Europa esistono più di 3 000 botteghe del mondo e 70 000 punti di vendita, con un totale di circa 100 000 volontari. Tutti questi spacci svolgono un ruolo importante anche dal punto di vista della sensibilizzazione ai problemi dello sviluppo e della diffusione del concetto di commercio equo e solidale. In tutti gli Stati membri dell'UE in cui esistono marchi commercio equo e solidale (ossia tutti tranne Spagna, Portogallo e Grecia), questo concetto sta già guadagnando la filiera di distribuzione convenzionale e diversi prodotti commercio equo e solidale possono essere acquistati anche nei supermercati. Non solo, ma certi supermercati hanno ottenuto il marchio commercio equo e solidale per i prodotti della loro marca esclusiva.

I prodotti attualmente venduti nell'Unione europea attraverso le varie iniziative di commercio equo e solidale (sia le organizzazioni alternative che gli organismi di certificazione) sono principalmente caffè, manufatti artigianali (tra cui tessili e abbigliamento), tè, cioccolato, frutta secca, miele, zucchero e banane. Gli unici prodotti che attualmente recano il marchio commercio equo e solidale sono caffè, cacao, tè, banane, zucchero e miele. Secondo le stime, il fatturato del commercio equo e solidale nell'Unione europea si aggirava intorno a 175 milioni di EUR nel 1994 e tra i 200 e i 250 milioni di EUR nel 1997.

Di questo fatturato globale, il 60% circa è costituito da prodotti alimentari, di cui il caffè rappresenta a sua volta la metà. Tuttavia, il caffè commercio equo e solidale rappresenta appena il 2% di tutto il caffè commercializzato nell'UE. Quanto alle banane, che sono entrate nel circuito del commercio equo e solidale più recentemente rispetto al caffè, esse detengono una fetta ancora marginale (0,2% circa) del mercato europeo della banana.

4.2. Attività politica

Oltre all'attività commerciale, gli ultimi anni hanno visto intensificarsi nell'UE anche l'attività politica intorno al tema del commercio equo e solidale. Nel gennaio 1994, il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione sulla promozione del commercio equo e solidale fra Nord e Sud [1], nella quale si esorta la Comunità europea a prendere iniziative a sostegno del commercio equo

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e solidale, a stanziare fondi a questo scopo e ad inserire il commercio equo e solidale nella politica comunitaria di cooperazione allo sviluppo. Sempre nel 1994, la Commissione ha pubblicato un documento sul commercio alternativo, nel quale esprime il suo appoggio al potenziamento del commercio equo e solidale nel Sud come nel Nord. Nel 1996, il Comitato economico e sociale ha emesso un parere in merito al movimento «European Fair Trade marking» [2], che, nelle conclusioni, accoglie con favore lo sviluppo di iniziative in materia di marchi «Fair trade» ed esorta la Commissione a creare un'apposita linea di bilancio per finanziare attività nel campo del commercio equo e solidale. Questo invito è stato reiterato dalla relazione sul commercio equo e solidale (relazione Fassa) [3], adottata dal Parlamento europeo nel 1998, la quale formula anche una serie di proposte per ulteriori interventi della Commissione a sostegno del commercio equo e solidale.

[1] Documento del Parlamento europeo A3-0373/93, PE 206.396.

[2] CES 538/96 E/as.

[3] Documento del Parlamento europeo A4-0198/98, PE 225.945.

Oltre all'interesse suscitato dalla problematica del commercio equo e solidale in generale, un animato dibattito è sorto per iniziativa di politici, organizzazioni non governative e gruppi di pressione intorno alla specifica questione del commercio leale delle banane. Sia il Parlamento europeo che il Consiglio dei ministri hanno interrogato la Commissione sulle sue intenzioni riguardo alle banane «fair trade» e quest'ultima si è impegnata ad esaminare le possibili misure da adottare in materia. Infine, nell'ottobre 1997 l'assemblea paritetica UE-ACP ha adottato una risoluzione in cui si invita la Commissione a prendere disposizioni per agevolare la commercializzazione di banane «fair trade» nell'Unione europea.

4.3. Interesse dei consumatori

Un'indagine effettuata da Eurobarometro nel 1997 per conto della Commissione ha misurato il livello d'interesse dimostrato dal pubblico per i prodotti commercio equo e solidale. Nell'insieme, l'11% della popolazione dell'UE ha già acquistato prodotti commercio equo e solidale, con ampie variazioni da un paese all'altro, che vanno dal 3% in Portogallo e Grecia al 49% nei Paesi Bassi.

Il sondaggio ha rivelato inoltre che quasi i tre quarti (74%) della popolazione dell'UE acquisterebbero volentieri banane «fair trade» se queste fossero in vendita nei negozi a fianco delle banane convenzionali. Il 37% dei consumatori si dichiara disposto a pagare il 10% in più del prezzo normale delle banane per un prodotto di qualità equivalente ottenuto in conformità ai criteri del commercio equo e solidale.

Da un'analisi più approfondita dei risultati dell'indagine si deduce che coloro che hanno già fatto l'esperienza dei prodotti commercio equo e solidale sono molto più propensi ad acquistare le banane «fair trade», a nche ad un prezzo più

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elevato. Più di 9 consumatori su 10 (ossia il 93%) che hanno già acquistato prodotti commercio equo e solidale sono disposti a comprare banane «fair trade» e 7 acquirenti su 10 (70%) accetterebbero di pagare un prezzo maggiorato del 10% o più.Risulta inoltre che i dettaglianti si rendono sempre più consapevoli e cercano di soddisfare la domanda dei clienti quanto alle garanzie relative alle condizioni di produzione delle merci vendute.

5. Attività in corso a sostegno del commercio equo e solidale

5.1. Aiuto finanziario alle organizzazioni che praticano il commercio equo e solidale

La Commissione ha già concesso, in misura limitata, sussidi a favore di attività svolte da organizzazioni non governative nel campo del commercio equo e solidale nell'Unione europea, come pure ad associazioni di produttori nei paesi in via di sviluppo. Questi finanziamenti sono stati erogati per la maggior parte nell'ambito della linea di bilancio B7-6000 e, in misura minore, della linea B7-6200. Per il momento le iniziative in materia di commercio equo e solidale e di commercio leale sono raggruppate alla voce «commercio alternativo».

A titolo di queste linee di bilancio, hanno finora beneficiato di contributi della Comunità:

- gli organismi di certificazione del marchio commercio equo e solidale, per attività volte a promuovere nuove linee di prodotti, tra cui caffè, cacao, banane e succo d'arancia. Le attività consistono prevalentemente in campagne di sensibilizzazione dei consumatori e azioni didattiche. Attualmente la Commissione cofinanzia tutti gli organismi di certificazione dell'UE,

- le botteghe del mondo; le attività sovvenzionate variano secondo le esigenze delle organizzazioni interessate. La maggior parte di esse ha come attività principale la vendita di prodotti, sicché i contributi erogati dalla Commissione sono finalizzati per lo più alla creazione di capacità e ad attività promozionali,

- l'EFTA per spese di patrocinio, ricerca, sensibilizzazione e promozione.

La Comunità sovvenziona anche altre ONG, non direttamente associate alle organizzazioni commercio equo e solidale, ma che possono svolgere occasionalmente alcune attività inerenti al commercio equo e solidale.

Oltre a queste attività negli Stati membri, la Commissione ha finanziato progetti nei paesi in via di sviluppo.

Il numero di domande di finanziamento presentate nel settore del commercio equo e solidale e del commercio leale, nonché la loro proporzione rispetto alla spesa totale, sono in costante aumento da alcuni anni. Negli ultimi cinque anni sono stati stanziati 9 milioni di EUR per attività didattiche e di sensibilizzazione.

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Nel 1997, la Commissione ha stanziato 2 911 511 EUR a titolo della linea di bilancio B7-6000 a sostegno di 15 progetti di sensibilizzazione al commercio equo e solidale. Per il 1998 è stata proposta una somma di circa 3 700 000 EUR per progetti relativi sia al commercio equo e solidale che al commercio leale.I criteri di assegnazione dei finanziamenti in questo settore non coprono l'intera gamma di interventi posti in essere nell'Unione europea per far arrivare i prodotti commercio equo e solidale sulla tavola del consumatore. Se, per esempio, sono ammesse le azioni pubblicitarie volte a propagare il concetto di commercio equo e solidale in generale, non è invece possibile promuovere un determinato prodotto commercio equo e solidale in particolare. Ciò limita notevolmente l'utilità di questi stanziamenti per le ONG che vorrebbero lanciare un prodotto commercio equo e solidale sul mercato dell'UE, dal momento che la promozione rappresenta un'ampia quota dell'investimento necessario per simili operazioni.

5.2. Altri contributi finanziari

Negli ultimi quattro anni, la Comunità ha sostenuto anche tre progetti per il consumo socialmente responsabile che comprendono alcune iniziative in materia di commercio equo e solidale. Due di questi progetti, concernenti la sensibilizzazione dei consumatori, sono già stati ultimati, mentre il terzo, consistente nell'elaborazione di una guida del consumatore alla «spesa sostenibile», sarà finalizzato nel corso del 1999. Questi progetti, che rientrano nelle linee di bilancio B5-1000 e B5-1050, sono complessivamente dotati di circa 140 000 EUR.

Nella linea di bilancio B7-3000, la Commissione ha stanziato 990 000 EUR per un programma di assistenza alimentare, medica e scolastica ai bambini impiegati nell'industria dei tappeti in Pakistan, programma che fruirà di altri 3 milioni di EUR in futuro.

Parimenti, 4 milioni di EUR andranno a beneficio di progetti analoghi nel Nepal e in India, nell'ambito della linea di bilancio B7-7070.

Nel settore specifico delle banane, nell'aprile 1999 il Consiglio ha adottato un regolamento del Consiglio che stabilisce un quadro di sostegno ai fornitori di banane ACP tradizionali. In questo regolamento si accenna alla possibilità di finanziare iniziative in materia di commercio equo e solidale [4].

[4] Regolamento (CE) n. 856/1999 del 22 aprile 1999 (GU L 108 del 27.4.1999, pag. 2).

5.3. Normativa

Nel perseguimento dell'obiettivo primordiale di conseguire uno sviluppo sostenibile, la Comunità si è impegnata ad incorporare le considerazioni ambientali nelle altre politiche e tende a calcare l'accento anche sugli aspetti sociali della globalizzazione dell'economia. Sulla scia del vertice di Copenaghen, l'Unione europea ha dichiarato la propria intenzione di prestare maggiore

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attenzione agli aspetti sociali della globalizzazione degli scambi. Essa si adopera effettivamente per rimediare alle iniquità esistenti in campo sociale in tutto il mondo.

Per tradurre in pratica questi ideali, l'Unione europea ha cominciato col sancire, nella propria normativa in materia di scambi con i paesi terzi, il principio di ricompensare con incentivi commerciali il rispetto di un minimo di condizioni sociali e ambientali.

Il sistema UE di preferenze tariffarie generalizzate (SPG), istituito dai regolamenti del Consiglio n. 3281/94 (per il settore industriale) e n. 1256/96 (settore agricolo) nei riguardi dei prodotti originari dei paesi in via di sviluppo, prevede la concessione di speciali incentivi, sotto forma di preferenze aggiuntive, ai paesi il cui ordinamento giuridico interno ottempera a determinate condizioni minime d'ordine sociale e ambientale.

In conformità con questi regolamenti, nel giugno 1997 la Commissione ha presentato al Consiglio una relazione sui risultati degli studi condotti in varie sedi internazionali in merito ai nessi tra commercio internazionale, condizioni sociali e ambiente (COM(97)260 def.). Alla luce della sintesi effettuata dal Consiglio sulla base di detta relazione, la Commissione ha presentato, nell'ottobre 1997, una proposta che introduce riduzioni tariffarie aggiuntive e stabilisce le modalità di applicazione dei regimi speciali di incentivazione della tutela dei diritti dei lavoratori e della protezione ambientale. Il 25 maggio 1998, il Consiglio ha adottato il regolamento (CE) n. 1154/98 relativo all'attuazione di detti regimi speciali.

Per poter beneficiare del regime di incentivazione sociale, il paese esportatore deve conformarsi alle norme sancite dalle convenzioni dell'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) nn. 87 e 98, riguardanti l'applicazione dei principi del diritto di organizzazione e di contrattazione collettiva, e n. 138, concernente l'età minima di ammissione al lavoro.

Nel dicembre 1998, il Consiglio ha rinnovato il sistema SPG, compresi i regimi generali e speciali di incentivazione, per un nuovo triennio, cioè fino al 31 dicembre 2001 [5].

[5] Regolamento (CE) n. 2820/98 del 21 dicembre 1998 (GU L 357 del 30.12.1998, pag. 1).

Il regime di incentivazione ambientale si applica ai paesi che si conformano alle norme dell'Organizzazione internazionale per i legni tropicali (ITTO) e riguarda quindi unicamente i manufatti industriali ottenuti da legni tropicali o i prodotti non lignei provenienti dalle foreste tropicali gestite secondo le norme dell'ITTO, che per il momento sono le uniche norme ambientali internazionalmente riconosciute in materia.

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5.4. Altre attività connesse: commercio leale/codici di condotta

La New Economics Foundation ha effettuato, per conto della Commissione, uno studio sull'uso dei «marchi sociali» come mezzo di diffusione del commercio leale [6]. Questo studio, i cui risultati sono stati pubblicati nel novembre 1998, passa in rassegna i vari tipi di marchi sociali in uso, dalle iniziative unilaterali di singoli fabbricanti per i prodotti della loro marca ai marchi riconosciuti da organismi indipendenti, come il commercio equo e solidale, o quelli autorizzati dai governi o da istanze pubbliche, come l'«Eco-label» dell'Unione europea, anche se non si tratta di un marchio sociale. Lo studio definisce anche i presupposti di un marchio efficace, come chiarezza, fiducia, impatto. Se ne conclude che «i marchi sociali rappresentano uno dei mezzi possibili per stimolare mutamenti sociali positivi attraverso le forze di mercato» e che «per promuovere il commercio leale è preferibile il metodo del portafoglio anziché una politica pubblica incentrata esclusivamente o affatto sullo sviluppo di un marchio sociale». Infine, lo studio sottolinea che «i marchi sociali meritano l'appoggio dell'UE, in particolare per promuovere presso l'opinione pubblica la comprensione delle problematiche che ne sono all'origine».

[6] «Social Labels - Tools for Ethical Trade» - final report 1998, New Economics Foundation, Cinnamon House, 6-8 Cole Street, London SE1 4HY, UK.

Le imprese - in particolare nei settori del commercio, dei tessili/abbigliamento, delle calzature, degli articoli sportivi e dei giocattoli, nonché quelle produttrici di materie prime - diventano sempre più coscienti di queste problematiche e molte di esse hanno già adottato codici di condotta.

Tra le altre iniziative intraprese a livello europeo dal 1995 si annoverano dichiarazioni comuni e codici di condotta sui diritti fondamentali dei lavoratori (nel commercio e nei settori tessile-abbigliamento-calzature) [7] emanati dalle parti sociali nel quadro del dialogo tra rappresentanti dei datori di lavoro e dei lavoratori a livello settoriale. L'UE ha inoltre organizzato, il 20 febbraio 1998 a Bruxelles, un seminario congiunto con il ministero del lavoro degli Stati Uniti sulle condizioni di lavoro e i codici di condotta, seguito da un ulteriore incontro presso il suddetto ministero a Washington D.C., il 10-11 dicembre 1998.

[7] 1995: «Carta sul lavoro minorile» adottata dalle parti sociali dell'industria europea delle calzature, la CEC e la FSE :THC, aggiornata nel 1997 ed estesa al commercio delle calzature nel 1998 con l'accordo dell'associazione europea dei commercianti di calzature (CEDDEC) e di EuroFiet; 1996: Dichiarazione congiunta sul lavoro minorile, adottata dalle parti sociali del settore del commercio, EuroCommerce ed EuroFiet; 1997: Codice di condotta delle parti sociali del settore tessile/abbigliamento, Euratex e ETUF :TCL, che riprende le sei principali convenzioni dell'OIL sul lavoro.

La necessità di controllare l'applicazione dei codici di condotta, il coinvolgimento di tutte le parti interessate e i requisiti fondamentali di ogni

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codice di condotta sono i principali argomenti discussi in occasione di un seminario organizzato dalla Commissione il 25 novembre 1998. La commissione del Parlamento europeo per lo sviluppo e la cooperazione ha invitato la Commissione a prendere in considerazione l'opportunità di istituire un osservatorio europeo nel progetto di relazione sulle «norme UE per le imprese europee operanti nei paesi in via di sviluppo: verso un codice di condotta europeo ed un osservatorio europeo» (relazione Howitt). Nella relazione viene proposto altresì che il Parlamento europeo funga da osservatorio provvisorio. La commissione per le relazioni esterne, dal canto suo, ha invitato la Commissione ad elaborare un modello di codice di condotta europeo (relazione Sainjon). Il Parlamento europeo ha adottato la relazione Sainjon - con alcune modifiche ed emendamenti - il 13 gennaio 1999 e la relazione Howitt il 15 gennaio 1999.

6. Commercio equo e solidale, OMC e globalizzazione degli scambi

E' innegabile che gli scambi commerciali rappresentano una fonte essenziale di ricchezza. L'espansione dei flussi commerciali su scala mondiale determina un'accresciuta accumulazione di ricchezza, il che spiega l'impegno delle potenze commerciali del mondo a favorire tale espansione, abolendo le barriere che ostacolano gli scambi. Questo fenomeno ha tra l'altro consentito a diversi paesi a basso reddito di sviluppare rapidamente la loro economia in tempi relativamente brevi. Il sistema di commercio multilaterale persegue esplicitamente l'obiettivo di far beneficiare dei vantaggi della liberalizzazione anche i paesi a sviluppo incipiente.

Questo processo di riduzione delle barriere commerciali, attuato nei successivi «round» del GATT, è culminato nel 1995 nella fondazione dell'Organizzazione mondiale del commercio (OMC), tra le cui finalità si annovera:

«elevare il tenore di vita, garantire la piena occupazione...consentendo un utilizzo ottimale delle risorse mondiali in conformità con l'obiettivo dello sviluppo sostenibile, nell'intento di proteggere e preservare l'ambiente in modo compatibile con le esigenze delle nazioni nei diversi stadi dello sviluppo economico;

riconoscendo inoltre che occorrono sforzi positivi per ottenere che i paesi in via di sviluppo, specialmente i meno avanzati, possano partecipare alla crescita del commercio internazionale in proporzione commisurata alle necessità del loro sviluppo economico».

La Commissione aderisce pienamente alle finalità e agli obiettivi dell'OMC. Un contesto multilaterale più aperto per gli scambi commerciali rappresenta infatti un mezzo di accrescimento della ricchezza e del benessere delle nazioni e dei loro abitanti.

L'istituzione di un sistema commerciale più liberale ha tuttavia sollevato dubbi circa la capacità di taluni paesi in via di sviluppo di beneficiare appieno di questo ambiente commerciale più aperto. Per questo motivo, i firmatari della dichiarazione di Marrakesh, con cui è stata istituita l'OMC, hanno dichiarato

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l'intenzione di continuare a sostenere e ad agevolare l'espansione del commercio e delle possibilità d'investimento dei paesi meno avanzati, nonché di sorvegliare l'impatto dell'Uruguay Round sulle economie fragili.

Il presupposto fondamentale del commercio equo e solidale è quello di consentire ai produttori dei paesi in via di sviluppo di cogliere le opportunità offerte dalla mondializzazione del commercio e di trarne profitto.

Le iniziative nel campo del commercio equo e solidale funzionano grazie ad una partecipazione volontaria. Da una parte, i consumatori creano una domanda di prodotti commercio equo e solidale mediante le loro scelte di acquisto e, dall'altra, i produttori e i distributori disposti a partecipare cercano di soddisfare tale domanda attraverso l'offerta di prodotti rispondenti ai requisiti del commercio equo e solidale , a vantaggio dei produttori primari.

Fintantoché le iniziative commercio equo e solidale restano a carattere privato e vengono realizzate a titolo volontario, il commercio equo e solidale può considerarsi compatibile con un sistema commerciale multilaterale non discriminatorio, in quanto non impone restrizioni alle importazioni od altre forme di protezionismo. Le iniziative commercio equo e solidale agiscono alla stregua di un meccanismo di mercato che offre una scelta più ampia sia ai produttori che ai consumatori, dal momento che il loro successo, soprattutto nel caso dei prodotti commercializzati con il marchio commercio equo e solidale attraverso i normali circuiti di distribuzione, dipende dalla domanda di mercato.

Se i governi volessero introdurre provvedimenti normativi basati sul concetto di commercio equo e solidale, essi dovrebbero tenere conto degli obblighi derivanti dalla loro appartenenza all'OMC, assicurando in particolare la trasparenza e il carattere non discriminatorio di tali provvedimenti.

Una nuova tornata di negoziati commerciali nell'ambito dell'OMC prenderà l'avvio in un prossimo futuro. La Comunità auspica che essa sia di ampia portata, con un ordine del giorno completo ed equilibrato, che chiami in causa tutti i membri dell'OMC. Uno degli obiettivi primordiali dell'UE in questo contesto è di ottenere che la liberalizzazione degli scambi sia pienamente compatibile con lo sviluppo sostenibile e favorisca ovunque il miglioramento del tenore di vita e la protezione dell'ambiente su scala mondiale.

7. Considerazioni per un sostegno dell'Unione Europea alle attività del commercio equo e solidale

Crescita del commercio equo e solidale Mentre, da un lato, il movimento commercio equo e solidale si sta schierando sempre più sotto l'egida della FINE, dall'altro continuano a sorgere e a svilupparsi iniziative di questo genere a vari livelli. Tuttavia, un numero crescente di imprese, indipendenti da queste organizzazioni, avanzano pretese di partecipazione unilaterale alla filiera del commercio equo e solidale o si basano su codici di condotta elaborati in maniera autonoma e isolata. Occorre favorire in modo coerente lo sviluppo sia delle pratiche commerciali leali, sia del commercio equo e solidale vero e proprio.

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Definizione Le difficoltà inerenti al commercio equo e solidale derivano in parte dal fatto che attualmente non esiste alcuna definizione giuridica di questo concetto, il quale si presta dunque ad interpretazioni abusive. Peraltro, una definizione unica nell'ambito della FINE è stata raggiunta soltanto recentemente, a metà 1999. Inoltre, manca un marchio o contrassegno uniforme che distingua chiaramente i prodotti commercio equo e solidale.

· Criteri I criteri per i prodotti commercio equo e solidale tendono a variare secondo i prodotti, le organizzazioni e le ditte. Il movimento nel suo insieme - e soprattutto la FINE - ha iniziato un lavoro di elaborazione di criteri comuni. La relazione Fassa ha proposto una serie di criteri minimi per il commercio equo e solidale. Con il moltiplicarsi di iniziative e di marchi commercio equo e solidale, diventa sempre più necessario definire linee direttrici in materia di criteri commercio equo e solidale, elaborate di comune accordo da tutte le parti interessate. Tali criteri avrebbero la funzione, da un lato, di prevenire le iniziative infondate e fuorvianti e, dall'altro, di favorire la partecipazione dei piccoli produttori. In un primo tempo, si dovrebbero sostenere gli sforzi delle ONG per potenziare la capacità degli organismi di certificazione commercio equo e solidale riguardo alla definizione di criteri per la certificazione e l'etichettatura, affinché questi siano il più possibile trasparenti ed il loro rispetto sia conseguentemente verificabile.

· Scelta del consumatore : criteri e controllo E' necessario che le iniziative e i marchi commercio equo e solidale raggiungano gli obiettivi perseguiti nei confronti dei produttori dei paesi in via di sviluppo e, nel contempo, offrano ai consumatori la possibilità di scegliere con buona cognizione di causa. Occorre quindi esaminare attentamente il modo in cui simili iniziative e marchi sono attualmente legittimati, verificati e controllati dalle organizzazioni commercio equo e solidale, da organismi indipendenti o da altre istanze. Sulla base di tale accertamento, occorrerà poi considerare gli opportuni miglioramenti da apportare ai sistemi di sorveglianza, verifica e controllo delle iniziative e dei marchi commercio equo e solidale, senza tralasciare il fattore costo, che può influire in misura determinante sulla competitività dei prodotti in questione. La direttiva sulla pubblicità falsa e tendenziosa [8], per esempio, offre una possibilità di controllo e di verifica a posteriori, ad efficace tutela del consumatore. Si dovrebbe inoltre pensare ad istituire un organo di controllo indipendente o un sistema di riconoscimento ufficiale.

[8] Direttiva 84/450/CEE del Consiglio, del 10 settembre 1984, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati Membri in materia di pubblicità ingannevole, GU L 250 del 19.9.1984.

· Informazione dei consumatori Ai fini dell'ulteriore sviluppo delle iniziative in materia di commercio equo e solidale, occorre che i consumatori siano meglio informati della disponibilità di questi prodotti e del significato dei marchi commercio equo e solidale.

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· Partecipazione volontaria La partecipazione a qualunque progetto di commercio equo e solidale deve rimanere volontaria.

· Compatibilità con l'OMC Al momento di intraprendere o sostenere ulteriori iniziative di commercio equo e solidale, la Comunità terrà conto degli obblighi contratti in seno all'OMC. I progetti commercio equo e solidale dovrebbero servire da incentivo commerciale costruttivo e volontario per migliorare le condizioni socio-ambientali nel senso dello sviluppo sostenibile.

· Dialogo con il movimento per il commercio equo e solidale Il dialogo con il movimento commercio equo e solidale dovrebbe essere formalizzato con la creazione di un'idonea piattaforma di consultazione, che consenta di affrontare in modo permanente le problematiche trattate nella presente comunicazione ed il sostegno dell'UE allo sviluppo del commercio equo e solidale.

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LA NORMATIVA NAZIONALE

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SENATO DELLA REPUBBLICA

XIV LEGISLATURA

Mozione sul commercio equo e solidale(1-00098)

discussa in Assemblea nella seduta antimeridiana del 6 febbraio 2003

(1-00098 p.a.) (testo 2) (24 ottobre 2002)

Approvata con modificazioni

IOVENE, ANGIUS, BOCO, BORDON, CREMA, MALABARBA, MARINO, ACCIARINI, BAIO DOSSI, BARATELLA, BASSANINI, BASSO, BASTIANONI, BATTAGLIA Giovanni, BATTAFARANO, BATTISTI, BEDIN, BETTONI BRANDANI, BONAVITA, BONFIETTI, BRUTTI Paolo, CHIUSOLI, CORTIANA, D'ANDREA, DE PAOLI, DE PETRIS, DE ZULUETA, DI GIROLAMO, DONATI, FILIPPELLI, FORCIERI, FORLANI, GAGLIONE, GASBARRI, GIARETTA, GIOVANELLI, LIGUORI, LONGHI, MACONI, MAINARDI, MARTONE, MICHELINI, MONTALBANO, MONTICONE, MONTINO, MURINEDDU, NOVI, PAGLIARULO, PASQUINI, PETERLINI, PIATTI, PIZZINATO, RIGONI, RIPAMONTI, ROTONDO, SCALERA, SODANO Tommaso, SOLIANI, TOGNI, TOIA, TONINI, VERALDI, VICINI, VITALI, VIVIANI, ZANCAN, GUBERT, D'IPPOLITO. – Il Senato,

        constatato:

            che il prezzo del caffè grezzo negli ultimi cinque anni è crollato dell’80% passando dai 550 dollari al quintale del 1997 agli attuali 100 dollari, con costi di produzione superiori al costo di vendita;

            che stessa sorte ha avuto il prezzo del cacao, il quale, dopo circa 15 anni nei quali il cacao grezzo ha aumentato il suo valore, nel 2000 ha toccato il suo record negativo ventennale e che tale tendenza continua creando notevoli problemi ai Paesi, ai produttori e alle centinaia di migliaia di persone che con la coltivazione della pianta del cacao vivono in molte parti del mondo;

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            che il caffè è la terza merce scambiata nel mondo dopo petrolio e acciaio, con una sua organizzazione, l’Organizzazione internazionale del caffè (OIC), ed una Borsa internazionale;

            che questo crollo è dovuto ad un forte aumento della produzione, con l’aggiunta di un nuovo paese produttore (il Vietnam), e ad un consumo solo in lievissima crescita;

            che oggi il 40% del mercato mondiale del caffè è nelle mani di quattro grandi multinazionali: la Procter Gamble, la Philip Morris, la Kraft e la Nestlè;

            che questa grande concentrazione, secondo i dati della Banca Mondiale, è una delle cause che ha fatto scendere il costo del chicco grezzo dell’80% lasciando nelle mani dei coltivatori solo il 7% del prezzo finale di un etto di caffè lavorato;

            che la coltivazione del caffè è una risorsa fondamentale per numerosi paesi, dall’America Latina al Sud-Est asiatico, che occupa oltre 50 milioni di lavoratori e milioni di imprese agricole prevalentemente di piccole e medie dimensioni;

            che il totale della produzione mondiale, dati del 2001, è stato di 110 milioni di sacchi, 60 chili l’uno, con un consumo totale di 102 milioni di sacchi;

            che a seguito di questa crisi le organizzazioni umanitarie prevedono che, solo nel Centroamerica, circa un milione e mezzo saranno le persone alla fame;

        considerato:

            che la coltivazione del caffè ha una dimensione umana che riguarda milioni di persone di paesi impoveriti o in via di sviluppo, dal Kenia al Costa Rica, dal Vietnam al Brasile, rappresentando molto spesso l’unica risorsa di guadagno e di sopravvivenza;

            che negli ultimi anni il commercio equo e solidale si è rivelato uno dei modi più efficaci per promuovere lo sviluppo;

            che la Carta europea dei criteri del commercio equo e solidale recita:

            «Il commercio equo e solidale è un approccio alternativo al commercio convenzionale; esso promuove giustizia sociale ed economica, sviluppo sostenibile, rispetto per le persone e per l’ambiente, attraverso il commercio, l’educazione e l’azione politica. Il suo scopo è riequilibrare i rapporti con i Paesi economicamente meno sviluppati, migliorando l’accesso al mercato e le condizioni di vita dei produttori svantaggiati, attraverso una più equa distribuzione dei guadagni. Il commercio equo e solidale è una relazione

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paritaria fra tutti i soggetti coinvolti nella catena di commercializzazione: produttori, lavoratori, Botteghe del Mondo, importatori e consumatori.

        Il commercio equo e solidale:

            promuove migliori condizioni di vita nei Paesi economicamente meno sviluppati rimuovendo gli svantaggi sofferti dai produttori per facilitarne l’accesso al mercato;

            tramite la vendita di prodotti, divulga informazioni sui meccanismi economici di sfruttamento, favorendo e stimolando nei consumatori la crescita di un atteggiamento alternativo al modello economico dominante e la ricerca di nuovi modelli di sviluppo;

            organizza rapporti commerciali e di lavoro senza fini di lucro e nel rispetto e valorizzazione delle persone;

            promuove i diritti umani, in particolare dei gruppi e delle categorie svantaggiate;

            mira alla creazione di opportunità di lavoro a condizioni giuste tanto nei Paesi economicamente svantaggiati come in quelli economicamente sviluppati;

            favorisce l’incontro fra consumatori critici e produttori dei Paesi economicamente meno sviluppati;

            sostiene l’autosviluppo economico e sociale;

            stimola le istituzioni nazionali ed internazionali a compiere scelte economiche e commerciali a difesa dei piccoli produttori, della stabilità economica e della tutela ambientale;

            promuove un uso equo e sostenibile delle risorse ambientali»;

            che nella Carta Italiana dei Criteri del Commercio Equo e Solidale, sottoscritta dalla maggior parte delle Botteghe del Mondo e degli importatori del commercio equo italiani, sono accolti questi stessi principi;

            che l’esperienza del commercio equo e solidale si è rivelata un importante strumento per favorire lo sviluppo dell’uomo e per promuovere regole internazionali in materia economica e commerciale ispirate a maggiore giustizia ed equità tra Nord e Sud del mondo;

            che il principale obiettivo del commercio equo e solidale, a breve termine, è fornire maggiori opportunità ai piccoli produttori e ai lavoratori dei paesi in via di sviluppo e, in tal modo, apportare un contributo alla promozione di un sviluppo sociale ed economico durevole per le loro popolazioni;

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            che, a più lungo termine, il commercio equo e solidale mira a orientare il sistema commerciale internazionale in un senso più equo, istituendo un esempio ed esercitando pressioni su governi, organizzazioni internazionali e imprese affinché ne riconoscano e adottino le componenti principali;

            che il commercio equo e solidale opera in senso positivo sulla sensibilizzazione globale in merito alle relazioni Nord-Sud, soprattutto attraverso il rafforzamento della cooperazione da cittadino a cittadino;

            che il commercio equo e solidale garantisce ai produttori un rapporto continuativo ed un «prezzo equo», cioè che copra i costi di produzione, di esportazione, di importazione e di distribuzione ed anche le necessità primarie del produttore. Il «prezzo equo» in alcuni casi è determinato sulla base degli standard internazionalmente riconosciuti, come ad esempio il prezzo equo minimo per il caffè, che si basa su quei 120 dollari per 100 libre fissati come prezzo minimo negli Accordi Internazionali del caffè; in altri le organizzazioni del commercio equo e i produttori stabiliscono di comune accordo il «prezzo equo», sulla base del costo delle materie prime, del costo del lavoro locale, della retribuzione dignitosa e regolare. Il «prezzo equo» viene mantenuto anche nei casi in cui crolli il prezzo, garantendo comunque, grazie all’eliminazione di tutte quelle intermediazioni speculative dalla filiera produttiva e distributiva, al produttore un sicuro guadagno;

            che in Europa sono nati diversi marchi di garanzia nazionali per la necessità di inserire i prodotti equi e solidali anche in canali distributivi tradizionali nazionali: il primo di essi, Max Havelaar, è stato fondato nel 1986 in Belgio per poi diffondersi in Francia, Svizzera, Danimarca, Finlandia, Norvegia e Svezia; di seguito sono nati TransFair International in Germania, Austria, Lussemburgo, Giappone, Stati Uniti, Canada e Italia; in Inghilterra il marchio di garanzia porta il nome di Fair Trade Foundation e in Irlanda di Irish Fair Trade Network;

            che le stesse organizzazioni di commercio equo europee che hanno dato vita a questi marchi sono socie di IFAT (International Federation for Alternative Trade), l'unica associazione che raggruppa a livello mondiale produttori e importatori del commercio equo;

            che tale associazione sta sviluppando un piano di certificazione dei propri soci che permette di garantire l'aderenza ai criteri del commercio equo;

            che tale forma di garanzia si estende a tutta la filiera del commercio equo (dal produttore alla Bottega del Mondo), affiancandosi quindi alla certificazione dei singoli prodotti offerti dai marchi;

            che nella stessa ottica di garantire l'intero processo del commercio equo si colloca la Carta Italiana dei Creditori del Commercio Equo e Solidale;

            che in Italia, dopo la nascita del marchio di garanzia TransFair, gestito dall’Associazione TransFair Italia, associazione senza scopo di lucro costituita

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da organizzazioni che operano nel campo della solidarietà, della cooperazione internazionale, dell’educazione allo sviluppo e aderente a FLO (Fair Trade Label Organization), nel 1994, per i prodotti del commercio equo e solidale, prima presenti in Italia solo nelle Botteghe del Mondo (circa 200 punti vendita nel 1995) e in alcuni canali di piccolo dettaglio, è iniziata la diffusione in mercati più ampi ed in particolare in alcune catene della grande distribuzione organizzata;

            che, secondo i dati provenienti da varie agenzie di ricerca, i prodotti equi e solidali sono disponibili in circa il 35% della distribuzione italiana;

            che dai dati relativi all’anno 2000, tratti da «Fair Trade in Europe 2001», risulta che in Italia le Botteghe del Mondo – organizzazioni non profit che vendono prodotti equi e solidali – sono 374, in Europa 2.740 in 18 Paesi, i supermarket che vendono prodotti del commercio equo e solidale sono 2.620 in Italia, 43.100 in 18 Paesi europei, gli importatori sono 7 con l’esclusione delle Botteghe che importano direttamente in Italia, 97 in 18 Paesi europei, i volontari sono 1.500 in Italia, 96.000 in 18 Paesi europei, con un fatturato stimato superiore ai 16.100.000 euro in Italia, 369.000.000 euro in Europa;

            che il grande impegno dei volontari e la grande maggioranza del fatturato, in Italia, si realizzano in particolare nelle Botteghe del Mondo e nelle centrali di importazione che hanno sottoscritto la Carta Italiana dei Criteri del Commercio Equo e Solidale;

            che numerosi comuni italiani hanno emanato specifiche delibere per favorire l’uso di prodotti equi e garantiti nelle manifestazioni pubbliche;

            che le Regioni Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Toscana, Veneto e Umbria hanno emanato apposite leggi regionali per la promozione e lo sviluppo del commercio equo e solidale;

        rilevato:

            che il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione l’8 ottobre 1991 sul sostegno attivo ai piccoli coltivatori di caffè del Terzo Mondo mediante una politica mirata di approvvigionamento e di introduzione di tale prodotto di provenienza del commercio equo e solidale nelle istituzioni comunitarie;

            che il Parlamento Europeo, dopo un intenso lavoro dell’eurodeputato italiano Alex Langer, ha approvato una risoluzione sulla promozione del commercio equo e solidale fra Nord e Sud, la n. A3-0373/93 del 19 gennaio 1994;

            che nel 1998 è stata approvata dal Parlamento Europeo la risoluzione n. 198/98 sul commercio equo e solidale nella quale, tra l’altro, si chiede alla Commissione Europea:

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            «1. di fare in modo che il sostegno al commercio equo e solidale diventi elemento integrante della politica estera di cooperazione allo sviluppo e commerciale dell’UE, compreso lo sviluppo di codici di condotta per le società multinazionali operanti nei paesi in via di sviluppo, e, in particolare, di garantire un adeguato coordinamento tra le direzioni e i servizi competenti nonché di istituire le necessarie strutture amministrative per metterlo in pratica;

            2. che la promozione del commercio equo e solidale sia inserita come strumento di sviluppo nella conclusione di un nuovo accordo con i paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP)»;

            che la comunicazione della Commissione Europea al Consiglio sul commercio equo e solidale del 1999 recita: «Va rilevato che, se il commercio equo e solidale può essere considerato come una forma di ’’commercio leale’’, di solito il termine viene utilizzato per designare pratiche commerciali non solo moralmente corrette, ma specificamente intese a rafforzare la posizione economica dei piccoli produttori che altrimenti rischiano di trovarsi marginalizzati dai flussi di scambio convenzionali. Si parla più propriamente di ’’commercio leale’’ o di ’’pratiche commerciali moralmente corrette’’ in riferimento alle attività delle società multinazionali operanti nei paesi in via di sviluppo (per esempio codici di condotta), intese a dimostrare le loro responsabilità etiche e sociali nei confronti dei dipendenti o dei soci»;

            che la citata comunicazione della Commissione al Consiglio del 1999 ha definito, al punto 2, «Il concetto di commercio equo e solidale», che «la pratica del commercio equo e solidale favorisce particolarmente i piccoli produttori, soprattutto agricoltori e artigiani, i quali spesso vivono in regioni rurali periferiche e non producono in quantità sufficiente per esportare direttamente, cosicché dipendono da intermediari sia per la vendita dei prodotti che per l’assunzione di credito. Alcuni di essi hanno cercato di ridurre tale dipendenza associandosi in cooperative e mettendo in comune risorse, attrezzature e competenze tecniche e talvolta anche servizi collettivi come la sanità e l’istruzione. Le organizzazioni commerciali alternative – di cui si farà menzione più avanti – possono dare una spinta decisiva allo sviluppo di queste cooperative, con il pagamento di un prezzo equo e con la prestazione di assistenza di vario tipo, dall’acquisto di un fax alla consulenza in materia di esportazioni. Tra le iniziative di questo genere possono rientrare il pagamento di anticipi ai produttori e l’instaurazione di rapporti contrattuali che offrano a questi ultimi una sicurezza a lungo termine. In questo modo viene garantita la stabilità dei redditi, il che facilita la pianificazione e l’investimento, e i produttori possono esercitare un maggiore controllo sulla trasformazione e commercializzazione dei loro prodotti. Una parte del reddito può essere persino utilizzata per accrescere la capacità, per esempio in vista della costituzione di organizzazioni di produttori – come si è osservato in precedenza – o per l’allestimento di strutture che permettano di aggiungere valore, come la trasformazione del caffè. Va sottolineato che i profitti ricavati dal commercio equo e solidale vanno a beneficio di un’intera comunità e non di singoli individui. Il concetto di commercio equo e solidale si applica principalmente agli

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scambi tra paesi in via di sviluppo e paesi economicamente avanzati. Esso non incide direttamente sui beni prodotti all’interno dell’UE, dove le norme sociali ed ambientali sono già sancite dalla legge.

        Le azioni in materia di commercio equo e solidale sorgono per iniziativa di organizzazioni non governative private. Esse si basano su un sistema di incentivi, nel senso che poggiano sulla scelta dei consumatori e non cercano di manovrare il commercio o di erigere barriere per impedire l’accesso al mercato di taluni paesi. Il consumatore ha così la possibilità di elevare il tenore di vita dei produttori nei paesi in via di sviluppo grazie ad un approccio sostenibile ed orientato verso il mercato»;

            che la Commissione Europea, nella comunicazione n. 366 del 2002, «Promoting a European framework for Corporate Social Responsibility», nel paragrafo 3.4, «Social and eco-labels», e nella comunicazione n. 416 del 2002, «Promoting Core Labour Standards and Improving Social Governance in the Context of Globalization», paragrafo 5.3, «Private and voluntary schemes for the promotion of core labour standards: Social labelling and industry codes of conduct», sostiene la necessità di sistemi chiari di certificazione sociale e definisce tuttavia l’esperienza dei marchi di garanzia di commercio equo e solidale come una delle esperienze più avanzate di certificazione sociale;

            che i prodotti attualmente venduti nell’Unione Europea attraverso le varie iniziative di commercio equo e solidale sono principalmente caffè, manufatti artigianali, tè, cioccolato, frutta secca, miele, zucchero, banane, ecc., tra i quali recano attualmente il marchio di garanzia di commercio equo e solidale caffè, cacao, banane, zucchero, miele, tè, succhi, riso, fiori e palloni. Secondo le stime il fatturato nell’Unione Europea si aggirava intorno a 175 milioni di euro nel 1994 e tra i 200 e i 250 milioni di euro nel 1997; di questo fatturato globale, il 60% circa è costituito da prodotti alimentari, di cui il caffè rappresenta a sua volta la metà. Tuttavia il caffè equo e solidale rappresenta appena il 2% di tutto il caffè commercializzato nell’Unione Europea;

            che, nell’insieme, l’11% della popolazione dell’Unione Europea ha già acquistato prodotti equi e solidali, con ampie variazioni da un paese all’altro, che vanno dal 3% in Portogallo e Grecia al 49% dei Paesi Bassi;

            che la libera imprenditoria, produzione e vendita del caffè è minacciata dalla concentrazione in poche mani del controllo del mercato mondiale, che delocalizza la grande produzione verso aree nuove a più basso costo salariale e sociale (come nel caso del Vietnam), determinando bassissimi costi alla produzione a cui, peraltro, non corrispondono poi investimenti di sviluppo o diminuzioni di prezzo al dettaglio. È un sistema di globalizzazione selvaggio che, di fatto, nega qualsiasi libertà di mercato e di concorrenza leale, depredando il territorio e sfruttando le manodopere locali con forme di lavoro e di remunerazione spesso simili alla schiavitù,

        impegna il Governo:

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            a favorire la diffusione del commercio equo e solidale, come possibile strumento aggiuntivo di sviluppo;

            a riconoscere l'importanza dei prodotti del commercio equo e solidale garantiti secondo gli standard delle organizzazioni esterne di certificazione del Fair Trade, come le organizzazioni associate in Fairtrade Labelling Organizations, qualora detti standard vengano assimilati a quelli della tradizione giuridica comunitaria e, comunque, a quelli riconosciuti a livello internazionale ;

            a incoraggiare allo stesso modo i prodotti importati e commercializzati secondo i criteri stabiliti dalla Carta Italiana dei Criteri del Commercio Equo e Solidale e immessi sul mercato italiano da importatori e Botteghe del Mondo che l'hanno sottoscritta;

            a sensibilizzare l'opinione pubblica sulle esperienze di commercio equo e solidale, quale strumento di lotta alla povertà (*);

a favorire la presenza nelle scuole di programmi di educazione allo sviluppo e alla solidarietà internazionale, contrasto alla povertà e lotta alla fame, per una maggiore conoscenza delle risorse naturali e per un loro uso consapevole.

________________

(*) I capoversi evidenziati sostituiscono i seguenti: «ad introdurre a pieno titolo il sostegno al commercio equo e solidale come elemento integrante della politica estera di cooperazione allo sviluppo e commerciale dell’Italia nei confronti dei paesi in via di sviluppo;

            ad introdurre a pieno titolo il sostegno ai prodotti del commercio equo e solidale garantiti secondo gli standard delle organizzazioni esterne di certificazione del Fair Trade, come le organizzazioni associate in Fairtrade Labelling Organizations;

            a sostenere allo stesso modo i prodotti importati e commercializzati secondo i criteri stabiliti dalla Carta Italiana dei Criteri del Commercio Equo e Solidale e immessi sul mercato italiano da importatori e botteghe del mondo che l'hanno sottoscritta;

            a mettere in atto misure di sostegno fiscale in favore delle organizzazioni di commercio equo e solidale al fine di far crescere anche in Italia questa importante esperienza;

            a promuovere attraverso apposite campagne informative televisive, radiofoniche e sulla carta stampata le esperienze di commercio equo e solidale come strumento di lotta alla povertà al fine di sensibilizzare i cittadini italiani;.\\WQ/ /

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Atti Parlamentari — 1 — Camera dei Deputati

XV LEGISLATURA — DISEGNI DI LEGGE E RELAZIONI — DOCUMENTI

CAMERA DEI DEPUTATI N. 1828

PROPOSTA DI LEGGE D’INIZIATIVA DEI DEPUTATI

REALACCI, ACERBO, BAFILE, BANDOLI, BARANI, BENVENUTO, BENZONI, BIANCHI, BOATO, BOCCI, BOFFA, BRANDOLINI, BURTONE, CALGARO, CARRA, CASTAGNETTI, CESINI, CHIAROMONTE, CRISCI, D’ANTONA, DATO, DE ANGELIS, DE BRASI, DI GIROLAMO, DUILIO, FASCIANI, FEDI, FERRARI, FOGLIARDI, FOLENA, FORLANI, FRANCESCHINI, FRIAS, FRONER, GRASSI, IANNUZZI, LARATTA, LI CAUSI, LION, LOMAGLIO, LUSETTI, MARANTELLI, MARGIOTTA, MARIANI, META, MIGLIOLI, MORRONE, MOSELLA, MOTTA, NARDUCCI, OTTONE, PEDULLI, PELLEGRINO, CAMILLO PIAZZA, PICANO, FERDINANDO BENITO PIGNATARO, PIRO, PISCITELLO, POLETTI, RAMPI, RANIERI, RAZZI, ROSSO, RUGGERI, RUSCONI, SCHIRRU, SERVODIO, SINISCALCHI, SQUEGLIA, SUPPA, TANONI, TESTA, TOCCI, TOLOTTI, VALDUCCI, VICHI, VILLARI, WIDMANN

Disposizioni per la promozione del commercio equo e solidale - Presentata il 16 ottobre 2006

ONOREVOLI COLLEGHI!Il commercio equo e solidale e` stato per molti anni un’esperienza concreta per mettere in relazione le esigenze dei piccoli produttori del « sud del mondo » con la scelta di maggiore solidarieta` ed equita` negli scambi commerciali e nelle relazioni tra comunita` e Paesi.Dagli anni ’50, quando naque in Olanda, il commercio equo e solidale ha saputo crescere in quantita` e in qualita` diventando, negli ultimi quindici anni, sia a livello globale che europeo, e soprattutto italiano, oggetto di interesse da parte dei cittadini, dei gruppi di ricerca delle universita` e dei decisori politici.Se il dato della produzione e commercializzazione di prodotti equosolidali registra un successo crescente, sia nelle scelte dei consumatori che nell’attenzioneda parte dei media e dell’opinione pubblica (sono oltre 70.000 i punti vendita in tutta Europa tra « botteghe del mondo », i negozi specializzati nella vendita e nella promozione del commercio equo solidale, e grande distribuzione organizzata, con un fatturato che supera ormai i 660 milioni di euro), molta strada resta ancora da compiere. In Italia, ad esempio,solo lo 0,13 per cento del caffe` venduto e` stato acquistato a condizioni eque, pagandolo cioe` al « giusto prezzo » al produttore (e anche per altri prodotti siamo su percentuali molto basse: dallo 0,63 per cento del te` all’appena 0,08 per cento del cioccolato).In gioco non sono soltanto questioni legate a dinamiche di mercato: dietro la commercializzazione di questi prodotti operano infatti realta` produttive concentrate nei Paesi in via di sviluppo che coniugano il rispetto dei diritti dei lavoratori e la tutela dell’ambiente e che fondano la loro prassi economica sulla collaborazione responsabile con i produttori. I canali di vendita garantiscono non solo, quindi, il riconoscimento di un giusto prezzo a chi li produce e la massima trasparenza per chi li acquista, ma anche il sostegno e lo sviluppo di una filiera produttiva « corta ». Valori che possono « contagiare » positivamente anche i processi di globalizzazione in atto.

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Negli ultimi anni si e` fatto strada, tra i parametri che regolano le leggi del mondo imprenditoriale e tra quelli che determinano le scelte dei cittadini-consumatori, un approccio alternativo alla produzione, al commercio e al consumo, incentrato sulla relazione etica.Si tratta di una forma di lotta alla poverta` che si basa sull’accompagnamento nell’accesso al mercato e che e` caratterizzata da pochi ma ben saldi princı`pi: parternariato responsabile; un prezzo piu` equo pagato alle imprese dei produttori; salari adeguati; relazioni commerciali durature; opere sociali per le comunita` coinvolte; sostenibilita` ambientale dei processi di lavorazione; miglioramento qualitativo della filiera produttiva. Per fare un esempio, si pensi che oggi un produttore di caffe` latino-americano percepisce circa il 3 per cento del prezzo finale del suo prodotto.Con il commercio equo lo stesso produttore e la sua comunita` non solo ricevono circa il 30 per cento di quel prezzo, ma riescono anche ad accedere al mercato come attori e non solo come soggetti passivi.Se la responsabilita` sociale delle imprese e la sostenibilita` ambientale ed etica dello sviluppo sono i nuovi valori da cui partire per la rigenerazione del sistema economico globale, lo « strumento » del parametro etico deve incidere il piu` possibile in tutti i contesti sociali.Non a caso la rilevanza dell’approccio equo e solidale al ciclo delle merci e` stata riconosciuta anche nelle sedi istituzionali, a cominciare da quella europea: ad esempio, il Parlamento europeo ha approvato la risoluzione n. A3-0373/93 del 19 gennaio 1994, sulla promozione del commercio equo e solidale fra nord e sud, e la risoluzione n. 198/98/CE del 2 luglio 1998, sul commercio equo e solidale, che ne riconoscono il valore sociale, e lo stesso Parlamento ha invitato la Commissione europea a prendere una serie di misure volte a premiare prodotti certificati equo solidali, incoraggiando la creazione di un marchio comune e favorendo una politica di incentivi.Un’altra risoluzione sul commercio equo e solidale e lo sviluppo e` stata approvata il 6 luglio 2006 dal Parlamento di Strasburgo su sollecitazione della Commissione per lo sviluppo di Bruxelles.Lo stesso Parlamento italiano ha approvato all’unanimita` due mozioni nel biennio 2002-2003 (mozione del senatore Iovene al Senato della Repubblica e mozione dell’onorevole Fioroni alla Camera dei deputati) che indicano il commercio equo e solidale come possibile e ulteriore strumento di lotta alla poverta`, con particolare riferimento ai piccoli produttori, a partire da quelli coinvolti nella filiera del caffe`.Parallelamente, sono diverse le regioni che hanno deciso di disciplinare il settore, approvando norme sulla produzione del commercio equo e solidale. Basti ricordare, fra le altre, la legge regionale del Friuli Venezia Giulia (legge regionale 5 dicembre 2005, n. 29), la mozione della regione Marche (pubblicata nel Bollettino Ufficiale della regione Marche n. 82 del 17 ottobre 1995), la legge regionale della Toscana (legge regionale 23 febbraio 2005, n. 37), la legge regionale dell’Umbria (legge regionale 6 febbraio 2007, n. 3), la delibera della giunta regionale del Trentino-Alto Adige (n. 232 del 27 luglio 2005), la leggeregionale dell’Abruzzo (legge regionale 28 marzo 2006, n. 7), i progetti di legge del Piemonte, della Liguria, della Lombardia e del Veneto.Molti enti locali, inoltre, hanno manifestato grande interesse per questi temi, attraverso la partecipazione alle iniziative promosse dall’arcipelago del commercio equo e solidale, come la campagna « Citta` eque e solidali », promossa da TransFair/Fairtrade Italia, AGICES, Coordinamento agende 21 locali italiane e Coordinamento nazionale degli enti locali per la pace e i diritti umani, con l’adesione dell’Associazione botteghe del Mondo (AssoBotteghe) Italia e dei soci dell’Assemblea generale italiana del commercio equo e solidale (AGICES), CTM Altromercato e Commercio alternativo. Una campagna che ha l’obiettivo di coinvolgere gli enti locali nella promozione delle istanze del commercio equo e solidale.

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Nonostante tutto cio` , il nostro Paese non ha ancora riconosciuto ufficialmente l’importanza di questa esperienza attraverso una legge di riordino del settore e quindi risulta ancora piu` importante sostenere questo processo e spingere affinche ´ il Parlamento italiano introduca misure per la promozione e lo sviluppo del commercio equo e solidale.La presente proposta di legge e` il risultato di un approfondito percorso di confronto all’interno del tavolo di coordinamento delle tre realta` maggiormente significative nel contesto equo italiano, AGICES, AssoBotteghe e Fairtrade/Transfair Italia (iniziativa italiana dell’Organizzazione internazionale di certificazione di prodotti del commercio equo e solidale).

PROPOSTA DI LEGGE

ART. 1. (Finalita`).1. La Repubblica, nel quadro delle politiche promosse e realizzate a sostegno della cooperazione internazionale e dell’economia sociale, e nel rispetto dei princı`pi di solidarieta` della Costituzione, riconosce al commercio equo e solidale una funzione rilevante nel sostegno alla crescita economica e sociale dei Paesi in via di sviluppo, nella pratica di un modello di economia partecipata, attenta alla conservazione dell’ecosistema, socialmente sostenibile e rispettosa dei diritti e dei bisogni di tutti i soggetti che sono parte dello scambio economico e nella promozione dell’incontro fra culture diverse.2. La Repubblica promuove la diffusione del commercio equo e solidale e della sua cultura, riconosce le organizzazioni di commercio equo e solidale e attiva iniziative di sostegno e di agevolazione alla loro attivita` e ai prodotti realizzati nell’ambito della loro filiera produttiva.3. La Repubblica favorisce e promuove la distribuzione dei prodotti del commercio equo e solidale e sostiene le organizzazioni della filiera integrale del commercio equo e solidale e quelle iscritte nella sezione speciale dell’Albo di cui all’articolo 7, mediante azioni volte a promuoverne, coordinarne e finanziarne i progetti.

ART. 2. (Commercio equo e solidale).1. Il commercio equo e solidale e` un’attivita` di cooperazione economica e sociale, svolta con produttori di beni o di servizi di aree economicamente svantaggiate dei Paesi in via di sviluppo organizzati in forma collettiva, allo scopo di consentire, accompagnare e migliorare il loro accesso al mercato, quando l’attivita` sia realizzata mediante accordi di lunga durata che prevedono i seguenti requisiti:a) il pagamento di un prezzo equo;b) misure a carico del committente per il graduale miglioramento della qualita` del prodotto o del servizio realizzati dal produttore o dei suoi processi produttivi, nonche´ a favore dello sviluppo della comunita` locale cui il produttore appartiene;c) il progressivo miglioramento degli standard ambientali della produzione;d) la trasparenza della filiera anche nei confronti dei terzi;e) l’obbligo del produttore di garantire condizioni di lavoro sicure, nel rispetto delle normative stabilite dall’Organizzazione internazionale del lavoro, di remunerare in maniera adeguata i lavoratori, in modo da permettere loro di condurre un’esistenza libera e dignitosa, e di rispettarne i diritti sindacali.2. La proposta contrattuale del committente deve essere accompagnata dall’offerta del pagamento di una parte rilevante del prezzo al momento dell’ordine. Nel caso in cui il produttore rinunci a tale offerta, l’accordo di cui al comma 1 deve darne espressivamente atto, indicandone i motivi.

ART. 3.(Prezzo equo).1. Il prezzo pagato ai produttori e` equo quando e` definito dalle parti all’esito di un processo fondato sul dialogo, sulla trasparenza e sulla responsabilita` reciproca, in cui il prezzo e`

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proposto dal produttore ed eventualmente modificato tramite accordo tra le parti sulla base di una valutazione congiunta della sua adeguatezza a sostenere l’impresa del produttore e degli effetti che il suo livello produce sulla filiera produttiva e distributiva fino al consumatore.2. In relazione all’entita` dei prodotti venduti il prezzo deve anche essere idoneo a generare per il produttore un reddito da destinare agli investimenti e a consentire ad esso di remunerare i lavoratori in misura adeguata a condurre un’esistenza libera e dignitosa, nonche´ di coprire gli altri costi inerenti agli obblighi espressamente assunti dalle parti nel contratto.

ART. 4. (Organizzazioni di commercio equo e solidale).1. Le organizzazioni di commercio equo e solidale perseguono la giustizia economica e sociale, uno sviluppo sostenibile nel rispetto delle persone e dell’ambiente attraverso il commercio, la crescita della consapevolezza dei consumatori, l’educazione, l’informazione e l’azione politica.

Esse fondano la loro attivita` sulla cooperazione e promuovono una relazione piu` diretta tra produttore e consumatore.2. Sono organizzazioni di commercio equo e solidale i soggetti, organizzati in forma collettiva, democratica e senza scopo di lucro, che stipulano gli accordi di cui all’articolo 2 con i produttori, nonche´ quelli che svolgono un’attivita` diversa da quella di cui al medesimo articolo 2, quando essa consiste congiuntamente:a) nella distribuzione all’ingrosso o al dettaglio di prodotti o di servizi oggetto di accordi aventi il contenuto di cui all’articolo 2, se e` accompagnata:1) dall’illustrazione della ripartizione del prezzo tra i diversi soggetti che hanno partecipato alla catena produttiva del bene o del servizio;2) dall’illustrazione dell’accordo di cui all’articolo 2;3) dall’indicazione della filiera produttiva, con particolare riguardo alla provenienza del prodotto e ai soggetti che hanno partecipato alla trasformazione;b) nell’educazione, divulgazione e informazione sui temi del commercio equo e solidale, del divario tra il nord e il sud del mondo, dello sviluppo economico e sociale, del commercio internazionale e del consumo critico;c) nella formazione degli operatori e dei produttori svolta in Italia o all’estero.3. L’attivita` di cui al comma 2, lettera a), deve essere prevalente rispetto a quelle indicate alle lettere b) e c) del medesimo comma.4. L’iscrizione in un registro della filiera integrale del commercio equo e solidale, ai sensi dell’articolo 8, e` condizione costitutiva della natura di organizzazione di commercio equo e solidale.

ART. 5. (Filiera integrale del commercio equo e solidale).1. Nella filiera integrale del commercio equo e solidale la relazione tra produttore e consumatore e` mediata dalle organizzazioni di commercio equo e solidale di cui all’articolo 4.2. Nella filiera integrale del commercio equo e solidale l’accordo di cui all’articolo 2 e` sempre stipulato dalle organizzazioni di commercio equo e solidale di cui all’articolo 4.

ART. 6. (Prodotti del commercio equo e solidale).1. Sono prodotti del commercio equo e solidale quelli realizzati, importati e distribuiti nella filiera integrale del commercio equo e solidale ai sensi degli articoli 2,3, 4 e 5.2. Sono altresı` prodotti del commercio equo e solidale quelli realizzati nella filiera di prodotto ai sensi dell’articolo 2, quando sono certificati da parte di un ente di certificazione iscritto nella sezione speciale dell’Albo di cui all’articolo 7, comma 3.

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ART. 7. (Albo delle organizzazioni di commercio equo e solidale).1. Ai fini della concessione dei benefı`ci di cui alla presente legge, e` istituito l’Albo nazionale delle organizzazioni di commercio equo e solidale, di seguito denominato « Albo ».2. All’Albo possono aderire solo i soggetti iscritti nel registro della filiera integrale del commercio equo e solidale di un ente iscritto nella sezione speciale di cui al comma 3.3. L’Albo contiene una sezione speciale destinata all’iscrizione degli enti maggiormente rappresentativi delle organizzazioni di commercio equo e solidale, nonche´ degli enti che svolgono attivita` di certificazione della filiera di prodotto.4. Hanno diritto di essere iscritti alla sezione speciale dell’Albo gli enti di cui al comma 3 che, senza fini di lucro, hanno come scopo statutario la promozione e il sostegno del commercio equo e solidale attraverso la verifica del rispetto della filiera integrale e che non svolgono attivita` commerciale, se non in via limitata e residuale e al solo fine di coprire i costi di gestione. Tali enti devono possedere i seguenti requisiti:a) una base sociale di almeno settanta iscritti complessivamente presenti in almeno dieci regioni italiane;b) un registro della filiera integrale;c) un regolamento che disciplina la filiera integrale in conformita` a quanto stabilito dagli articoli 2, 3, 4 e 5;d) un sistema di vigilanza interno in grado di verificare il rispetto della filiera integrale del commercio equo e solidale;e) una struttura democratica e aperta.5. Hanno altresı` diritto di essere iscritti alla sezione speciale dell’Albo gli enti che, senza fini di lucro, hanno come scopo statutario la certificazione dei prodotti del commercio equo e solidale e che non svolgono attivita` commerciale, se non in via limitata e residuale e al solo fine di coprire i costi di gestione. Tali enti devono possedere i seguenti requisiti:a) una base sociale di almeno quindici enti presenti in almeno dieci regioni italiane;b) un registro dei licenziatari cui le imprese possono aderire solo per i prodotti che rispettano i criteri di cui all’articolo 2;c) un marchio registrato;d) un regolamento che disciplina la filiera in conformita` a quanto stabilito dall’articolo 2;e) una struttura democratica e aperta;f) un’organizzazione conforme alle normative dell’Organizzazione internazionale per le standardizzazioni (ISO) stabilite per gli enti di certificazione.6. L’iscrizione alla sezione speciale dell’Albo e` consentita solo a condizione dell’espressa accettazione del potere di vigilanza dell’Autorita` di cui all’articolo 9.

ART. 8. (Registro della filiera integrale del commercio equo e solidale).1. Hanno diritto di essere iscritte al registro della filiera integrale del commercio equo e solidale di un ente iscritto nella sezione speciale dell’Albo di cui al comma 3 dell’articolo 7 le organizzazioni di commercio equo e solidale socie dello stesso ente che:a) hanno per oggetto sociale lo svolgimento delle attivita` di commercio equo e solidale, ai sensi degli articoli 2, 3, 4 e 5;b) hanno un ricavato che proviene per almeno il 70 per cento dalle attivita` di cui all’articolo 2 ovvero all’articolo 4, comma 2;c) sono organizzazioni senza fini di lucro;d) hanno una struttura sociale a base democratica e aperta;e) rispettano i criteri e le norme del regolamento della filiera integrale del commercio equo e solidale dell’ente cui appartengono.2. Non possono essere iscritti ai registri della filiera integrale del commercio equo e solidale gli enti pubblici, i partiti, i movimenti politici e le organizzazioni sindacali.

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3. Il rifiuto di iscrizione o l’esclusione dal registro della filiera integrale del commercio equo e solidale devono essere impugnati avanti all’Autorita` di cui all’articolo 9 prima di ricorrere all’autorita` giudiziaria.

ART. 9. (Autorita` del commercio equo e solidale).1. L’Albo e` gestito dall’Autorita` del commercio equo e solidale, di seguito denominata « Autorita` », alla quale sono attribuiti i seguenti compiti:a) iscrizione e cancellazione delle organizzazioni di commercio equo e solidale;b) verifica del mantenimento dei requisiti da parte degli iscritti;c) verifica della rispondenza alla legge dei regolamenti adottati dai soggetti iscritti alla sezione speciale di cui al comma 3 dell’articolo 7;d) vigilanza sugli iscritti e contro gli abusi dei terzi, consistenti nell’uso indebito dell’espressione « commercio equo e solidale », della qualifica di « organizzazione di commercio equo e solidale » o dell’attributo di « prodotto del commercio equo e solidale »;e) esercizio dei poteri sanzionatori nei confronti degli iscritti;f) decisione in ordine ai ricorsi contro il rifiuto di iscrizione o l’esclusione dal registro della filiera integrale del commercio equo e solidale.2. L’Autorita` e` istituita presso il Ministero dello sviluppo economico ed e` composta da cinque membri, nominati dal Ministro dello sviluppo economico, di cui due scelti in una rosa di nominativi proposta dagli enti iscritti nella sezione speciale dell’Albo di cui al comma 3 dell’articolo 7.3. I componenti dell’Autorita` durano in carica per tre anni e il loro mandato e` rinnovabile una sola volta.4. L’Autorita` puo` nominare un comitato tecnico composto da persone appartenenti alle organizzazioni di cui all’articolo 4 o agli enti iscritti nella sezione speciale dell’Albo di cui al comma 3 dell’articolo7.

ART. 10. (Tutela del commercio equo e solidale).1. Un ente puo` qualificarsi come organizzazione di commercio equo e solidale solo in presenza dei presupposti stabiliti dalla presente legge.Nessuno puo` qualificare i prodotti propri o altrui come prodotti del commercio equo e solidale in assenza dei presupposti stabiliti dalla presente legge.2. L’uso indebito delle dizioni « organizzazione di commercio equo e solidale » o « prodotto del commercio equo e solidale » e` punito con la sanzione amministrativa consistente nel pagamento di una somma da 1.000 euro a 10.000 euro e con la sospensione dell’attivita` fino a trenta giorni. In caso di recidiva si applica la sospensione dell’attivita` fino a sei mesi e la sanzione pecuniaria e` aumentata di un terzo.3. Le sanzioni di cui al comma 2 si applicano anche in caso di uso indebito delle dizioni « commercio equo », « fair trade », « comercio justo» e «commerce e´quitable », siano esse riferite all’organizzazione o al prodotto.4. Gli enti iscritti nella sezione speciale dell’Albo di cui al comma 3 dell’articolo 7 sono legittimati ad agire per inibire l’uso indebito della qualifica e per il risarcimento del danno che la condotta illecita ha arrecato alle organizzazioni di commercio equo e solidale.

ART. 11. (Forma giuridica).1. Alle cooperative che nel loro statuto prevedono quale oggetto sociale le attivita` di cui all’articolo 4, commi da 1 a 3, della presente legge si applicano le disposizioni della legge 8 novembre 1991, n. 381, e successive modificazioni, della legge 13 giugno 2005, n. 118, e del decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 155.2. Alle associazioni che nel loro statuto prevedono quale oggetto sociale le attivita` di cui all’articolo 4, commi da 1 a 3, della presente legge, si applicano le disposizioni del decreto

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legislativo 4 dicembre 1997, n. 460, e successive modificazioni, e della legge 7 dicembre 2000, n. 383.

ART. 12. (Benefıci).1. Lo Stato, per il conseguimento delle finalita` di cui all’articolo 1, promuove, sostiene e coordina progetti relativi alla formazione e all’aggregazione di risorse umane, tecniche e finanziarie, a favore degli enti iscritti all’Albo.2. Sono in particolare finanziabili direttamente dallo Stato ovvero dalle regioni interventi concernenti:a) iniziative culturali e azioni di sensibilizzazione;b) iniziative di formazione, anche a livello scolastico;c) iniziative nel campo della cooperazione;d) investimenti in infrastrutture per le botteghe del commercio equo e solidale;e) la costituzione di fondi di garanzia per linee di credito promossi da banche o da soggetti autorizzati che perseguono una finanza etica o di solidarieta` a favore di progetti promossi da botteghe del commercio equo e solidale;f) la copertura fino al 15 per cento dei maggiori costi conseguenti all’inserimentonei bandi relativi alle forniture per le mense scolastiche e per la ristorazione collettiva pubblica, compresi gli apparati automatici di distribuzione e i bar interni, di criteri di priorita` in favore dei prodotti del commercio equo e solidale;g) attivita` di consulenza legale e di valorizzazione sul mercato dei prodotti del commercio equo e solidale;h) la realizzazione di fiere periodiche del commercio equo e solidale;i) la copertura fino al 50 per cento dei costi sostenuti da istituti scolastici per la realizzazione di iniziative concernenti il commercio equo e solidale, rivolti agli studenti e al corpo docente e realizzati da soggetti iscritti all’Albo;l) la copertura fino al 50 per cento degli oneri sociali relativi al personale, costituito da dipendenti, soci lavoratori o mediante altre forme di lavoro previste dalla legislazione vigente in materia, per un massimo di 1.500 euro all’anno per singola bottega del commercio equo e solidale e per un periodo non superiore a cinque anni per addetto;m) iniziative di cooperazione con i produttori per l’avvio di nuove produzioni o filiere o per l’implementazione di quelle esistenti;n) forme di sostegno per i soggetti che intendono chiedere l’iscrizione nel registro della filiera integrale di cui all’articolo 8 per ottenere la qualificazione di organizzazione di commercio equo e solidale.3. Lo Stato e le regioni possono finanziare iniziative culturali e di formazione che riguardano i temi del commercio equo e solidale, del divario tra nord e sud del mondo, dello sviluppo economico e sociale, del commercio internazionale e del consumo critico, anche se tali iniziative non sono svolte da organizzazioni di commercio equo e solidale, purche´ esse siano realizzate in collaborazione con almeno un’organizzazione iscritta all’Albo o nella sezione speciale di cui al comma 3 dell’articolo 7.

ART. 13. (Giornata nazionale del commercio equo e solidale).1. E` istituita la « Giornata nazionale del commercio equo e solidale », da tenere annualmente, quale momento di incontro tra la comunita` e la realta` del commercio equo e solidale.

ART. 14. (Sostegno ai prodotti del commercio equo e solidale e disposizioni finanziarie).1. Le pubbliche amministrazioni che bandiscono gare di appalto per la fornitura alle proprie strutture di prodotti di consumo devono prevedere nei capitolati di gara meccanismi che promuovono l’utilizzo di prodotti del commercio equo e solidale.

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2. E` istituito nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico, con una dotazione di 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009, un fondo per la promozione del commercio equo e solidale e, in particolare, per il sostegno dell’Albo e delle organizzazioni di commercio equo e solidale di cui all’articolo 4, nonche´ per il monitoraggio della filiera integrale di cui all’articolo 5.3. Le risorse derivanti dall’irrogazione delle sanzioni di cui all’articolo 10, commi 2 e 3, sono assegnate al fondo istituito ai sensi del comma 2 del presente articolo.4. All’onere derivante dall’attuazione del comma 2, pari a 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2007-2009, nell’ambito dell’unita` previsionale di base di parte corrente « Fondo speciale » dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2007, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamentorelativo al medesimo Ministero.5. Il Ministro dell’economia e delle finanze e` autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

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LA NORMATIVA REGIONALE

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REGIONE TOSCANA

Legge Regionale 23 febbraio 2005 n. 37

Disposizioni per il sostegno alla diffusione del commercio equo e solidale in Toscana

Articolo 1 (Oggetto e finalita`)1. La Regione Toscana, nel quadro delle politiche promosse e realizzate a sostegno della cooperazione internazionale e nel rispetto delle disposizioni di cui agli articoli 3, 4 e 71 dello Statuto relative alla promozione della solidarieta`, del dialogo fra i popoli, culture e religioni, riconosce al commercio equo esolidale una funzione rilevante nella promozione in Toscana dell`incontro fra culture diverse e nel sostegno alla crescita economica e sociale, nel rispetto dei diritti individuali, dei paesi in via di sviluppo.2. Al fine di rafforzare le funzioni di cui al comma 1, la Regione attiva iniziative di sostegno e di agevolazione, nel pieno rispetto delle norme comunitarie, statali e regionali concernenti la tutela della concorrenza, all`attivita` dei soggetti del commercio equo e solidale, individuando con tale definizione le imprese ed i soggetti senza fini di lucro, che conformano la propria attivita` ai contenuti della "Carta Italiana dei Criteri del Commercio Equo e Solidale", approvata l`8 settembre 1999 dall`Associazione "Assemblea generale italiana del commercio equo e solidale" (denominata d`ora in poi AGICES).

Articolo 2 (Individuazione dei prodotti del commercio equo e solidale)1. Le modalita` per il riconoscimento di prodotto del commercio equo e solidale sono definite con uno specifico disciplinare di prodotto, secondo le modalita` indicate dal regolamento di attuazione di cui all`articolo 10. Nello stabilire i requisiti di riconoscimento si tiene conto anche delle risultanze delle attivita` svolte dalle Associazioni maggiormente rappresentative a livello regionale dei soggetti del commercio equo e solidale.

Articolo 3 (Individuazione dei soggetti del commercio equo e solidale)1. Al fine di individuare i soggetti del commercio equo e solidale si istituisce il registro regionale del commercio equo e solidale a cui sono iscritti coloro che operano in forma stabile nel territorio regionale.2. Nello stabilire le modalita` di funzionamento del registro ed i requisiti di iscrizione, si tiene conto anche delle risultanze delle attivita` svolte dall`Associazione AGICES in merito al"Registro italiano delle organizzazioni di commercio equo esolidale", di seguito denominato RIOCES.3. Il registro regionale e` stituito secondo le modalita`indicate nel regolamento di attuazione di cui all`articolo 10. I costi di estione del registro ono a carico dei soggetti richiedenti l`iscrizione e/o cancellazione e/o variazioni.4. Nelle more istitutive del registro regionale, l`iscrizione al RIOCES e` sostitutiva dell`iscrizione.

Articolo 4 (Promozione del commercio equo e solidale)1. Il commercio equo e solidale si fonda sul comportamento delconsumatore. Il consumatore, esercitando un consumo consapevole ed attento sostiene le forme economiche corrette, ha la possibilita` di elevare il tenore di vita dei produttori neipaesi in via di sviluppo all`interno di comportamenti orientatial mercato ed attenti alle forme di commercio leale ed alleratiche commerciali moralmente corrette.

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2. La Giunta regionale, in collaborazione con le organizzazioni interessate, promuove nelle scuole specifiche azioni educative finalizzate al rafforzamento del diritto del consumatore ad essere informato non solo sul prodotto ma anche sugli effetti ambientali e sociali derivanti dalla sua produzione e commercializzazione. I programmi delle azioni educative sono realizzati dalle istituzioni formative nel rispetto del principio dell`autonomia scolastica, e possono prevedere il concorso progettuale, organizzativo e finanziario degli enti locali e delle associazioni maggiormente rappresentative del commercio equo e solidale e dei soggetti di cui all`articolo 3.

Articolo 5 (Incentivi alle imprese del commercio equo e solidale)1. La Giunta regionale, nella proposta di deliberazione diapprovazione del piano regionale dello sviluppo economico di cui alla legge regionale 20 marzo 2000, n. 35 (Disciplina degli interventi regionali in materia di attivita` produttive), dispone che alle imprese iscritte al registro regionale del commercio equo e solidale di cui all`articolo 3, sia riconosciuta la priorita` nell`accesso agli aiuti ed agli investimenti stabiliti nelle misure ed azioni ivi indicate.2. Nell`ambito dello strumento di programmazione di cui al comma 1 la Giunta regionale puo` prevedere specifiche misure a sostegno del rafforzamento del sistema delle imprese esercenti in Toscana il commercio equo e solidale.

Articolo 6 (Introduzione dei prodotti nelle mense pubbliche e nei punti di somministrazione interni.)1. La Giunta regionale da indicazioni agli Enti locali, alle Aziende sanitarie ed alle altre istituzioni ed organizzazioni locali per promuovere l`utilizzo dei prodotti del commercio equo e solidale nei loro ambiti.

Articolo 7 (Agevolazioni in favore dei soggetti del commercio equo e solidale)1. Nel pieno rispetto delle norme vigenti in materia di acquisto di beni da terzi, la Regione Toscana favorisce l`utilizzo dei prodotti del commercio equo e solidale, nelle procedure di asta pubblica, licitazione privata, appalto concorso e trattativa privata preceduta da gara di cui agli articoli 16, 17, 18 e 21 della l.r. 8 marzo 2001, n.12 (Disciplina della attivita` contrattuale regionale).2. Nell`ambito delle spese relative all`acquisto di beni da terzi secondo le procedure di cui all`articolo 20 comma 1 (Trattativa privata) ed all`articolo 22 (Spese in economia) della l.r. 12/2001, le strutture della Regione sono chiamate a prendere in considerazione l`ipotesi di acquisto di prodotti provenienti dal commercio equo e solidale.3. La Giunta regionale, al fine di promuovere forme di commercio leale e pratiche commerciali moralmente corrette, dispone affinche`, nell`ambito del programma annuale delle attivita` di promozione economica di cui alla legge regionale 14 aprile 1997, n. 28 (Disciplina delle attivita` di promozione economica delle risorse toscane e di supporto al processo di internazionalizzazione nei settori produttivi dell`agricoltura, artigianato, piccola e media impresa industriale e turismo), sia inserita una specifica e periodica azione rivolta a favorire la nascita, lo sviluppo ed il consolidamento delle relazioni commerciali ispirate ai principi del commercio equo e solidale,rafforzando il proprio ruolo di partner commerciale qualificato ed affidabile verso i paesi in via di sviluppo.

Articolo 8 (Cooperazione internazionale e istituzione della "Giornata regionale del commercio equo e solidale")1. La Giunta regionale, nell`ambito della conferenza sulla cooperazione allo sviluppo stabilita dalla legge regionale 27 marzo 1999 n.17 (Interventi per la promozione

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dell`attivita` di ooperazione e partenariato internazionale, a livello regionale e locale) promuove una manifestazione, organizzata in collaborazione con le organizzazioni attivamente interessate, per l`esposizione e la vendita dei prodotti di commercio equo e solidale.2. La Giunta regionale, nell`ambito del Piano regionale della cooperazione internazionale previsto dalla l.r. 17/1999, individua iniziative o programmi di commercio equo e solidale in attuazione dei principi e delle finalita` richiamate all`articolo 1 della presente legge.3. Al fine di promuovere la conoscenza e la diffusione del commercio equo e solidale, la Giunta regionale di concerto con l`Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale e con la collaborazione dei soggetti di cui al precedente articolo 3, organizza annualmente la "Giornata regionale del commercio equo e solidale", quale momento di incontro fra la comunita` toscana e la realta` del commercio equo e solidale; con il regolamento regionale di cui all`articolo 10, determina le modalita` organizzative e i contenuti della stessa.

Articolo 9 (Attivita` di monitoraggio)1. Entro tre anni dall`applicazione della presente legge, la Giunta regionale trasmette al Consiglio regionale una relazione sullo stato di attuazione della presente legge finalizzata ad una valutazione della legge stessa e dei suoi effetti. I contenuti della relazione sono definiti dal regolamento attuativo.

Articolo 10 (Regolamento)1. Entro centottanta giorni dall`entrata in vigore della presente legge la Regione emana il regolamento attuativo con cui dispone:a) l`istituzione ed il funzionamento del disciplinare di prodotto richiamato all`articolo 2

comma 1;b) i criteri e le modalita` per l`iscrizione, sospensione e revoca al registro regionale del commercio equo e solidale di cui all`articolo 3;c) i contenuti della relazione di cui all`articolo 9;d) le modalita` organizzative e i contenuti della "Giornata regionale del commercio

equo e solidale".

Articolo 11 (Disposizioni finanziarie)1. La presente legge non comporta oneri aggiuntivi per il bilancio regionale; le azioni indicate negli articoli precedenti trovano copertura finanziaria nell`ambito della vigente normativa regionale.

Articolo 12 (Decorrenza degli effetti)1. Le disposizioni di cui alla presente legge si applicano dalla data di entrata in vigore del regolamento di cui all`articolo 10.

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REGIONE FRIULI-VENEZIA GIULIA

Legge regionale 29/2005 - Normativa organica in materia di attivita’ commerciali e di somministrazione di alimenti e bevande. Modifica alla legge regionale 16 gennaio 2002, n. 2 <<Disciplina organica del turismo>>.

Articolo 26 - (Disposizioni concernenti il commercio equo e solidale)1. Per commercio equo e solidale si intende la vendita al dettaglio dei beni di cui all’articolo 2, comma 1, lettere c) e d), provenienti esclusivamente dai Paesi in via di sviluppo, secondo i criteri contenuti nella risoluzione del Parlamento europeo del 19 gennaio 1994 (Risoluzione sulla promozione del commercio equo e solidale fra Nord e Sud), pubblicata nella Gazzetta Ufficiale delle Comunita’ Europee n. C 044 del 14 febbraio 1994.2. Le attivita’ del commercio equo e solidale possono essere svolte esclusivamente da associazioni di volontariato, ONLUS, associazioni e cooperative senza fine di lucro e altri enti non commerciali, con l’osservanza delle disposizioni concernenti gli esercizi di vicinato e di quelle relative al possesso dei requisiti soggettivi di cui agli articoli 5, 6, 7 e 10. Le attivita’ del commercio equo e solidale non possono essere svolte da imprese individuali e societa’.3. Ai soggetti individuati al comma 2 e’ consentita la vendita dei beni commercializzati anche non in sede fissa in occasione di manifestazioni, fiere e altre iniziative promozionali, in deroga alle disposizioni sul commercio sulle aree pubbliche, fermo restando che tali soggetti sottostanno alla medesima disciplina prevista per gli altri operatori nelle fiere, qualora compatibile. Nella determinazione delle aree destinate alle fiere di cui all’articolo 50, i Comuni riservano una parte delle aree medesime per i soggetti di cui al comma 2, che siano in possesso del decreto di cui al comma 4, in deroga ai criteri di priorita’ per l’assegnazione delle aree predette di cui all’articolo 50, commi 4 e 5.4. Agli esercizi ove si effettui la vendita al dettaglio di beni che, almeno per l’80 per cento del volume d’affari, facciano parte del circuito del commercio equo e solidale, e’ conferita la denominazione di <<Bottega del Mondo>> con decreto del Direttore centrale attivita’ produttive, previa verifica dei requisiti previsti.5. La domanda di conferimento della denominazione di <<Bottega del Mondo>> va presentata alla Direzione centrale attivita’ produttive, completa di tutti i dati identificativi del soggetto di cui al comma 2, incluso il possesso dei requisiti morali e professionali, nonche’ di tutti i dati identificativi dell’esercizio per il quale si intende ottenere la denominazione. Alla domanda vanno allegati, in particolare, copia dell’atto costitutivo e dello statuto, nonche’ dichiarazione sostitutiva di atto notorio, dove si attesta di essere a conoscenza delle prescrizioni regionali vigenti in materia di commercio equo e solidale. La domanda si considera accolta per silenzio assenso, se il provvedimento negativo non viene comunicato entro il termine perentorio di sessanta giorni decorrente dalla data di presentazione della domanda stessa. In caso di accertamento definitivo della non conformita’ degli atti presentati alle disposizioni contenute nel presente articolo, la Direzione centrale attivita’ produttive provvede con atto motivato di diniego, da comunicarsi al soggetto che ha inoltrato la domanda.

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REGIONE ABRUZZO

Legge Regionale 28 marzo 2006, n. 7 - Disposizioni per la diffusione del commercio equo e solidale in AbruzzoBURA n° 23 del 14 aprile 2006

Art. 1 Oggetto e finalità1. La Regione Abruzzo, nel quadro delle politiche di sostegno della cooperazione internazionale, delle iniziative di sostegno e promozione di una cultura della pace e della solidarietà e dialogo tra i popoli, culture e religioni, riconosce al commercio equo e solidale una funzione rilevante nella promozione in Abruzzo dell’incontro fra culture diverse e nel sostegno alla crescita economica e sociale, nel rispetto dei diritti individuali, dei Paesi in via di sviluppo.2. Per le finalità di cui al comma 1, la Regione, nel pieno rispetto delle fonti legislative comunitarie, statali e regionali concernenti la tutela della concorrenza, sostiene e agevola l’attività del commercio equo e solidale, individuando con tale definizione le imprese e i soggetti senza fini di lucro, che conformano la propria attività ai contenuti della “Carta italiana dei criteri del commercio equo e solidale”, approvata dall’Associazione “Assemblea generale italiana del commercio equo e solidale” (denominata d’ora in poi AGICES) nel settembre 1999.

Art. 2 Individuazione dei prodotti del commercio equo e solidale e Regolamento attuativo1. Entro centottanta giorni dall’entrata in vigore della presente legge la Giunta regionale propone al Consiglio il Regolamento per la disciplina delle modalità per il riconoscimento di prodotto del commercio equo e solidale.2. Il Regolamento attuativo di cui al comma 1, dispone:a) L’istituzione e il funzionamento del disciplinare di prodotto;b) I criteri e le modalità per l’iscrizione, la sospensione e la revoca al registro regionale del commercio equo e solidale di cui all’articolo 3;c) i contenuti della relazione di cui all’articolo 9;d) le modalità organizzative e i contenuti della “Giornata regionale del commercio equo e solidale” di cui all’articolo 8.3. Nello stabilire i requisiti di riconoscimento il Regolamento di cui al comma 1, deve tener conto anche delle risultanze delle attività svolte dalle Associazioni maggiormente rappresentative a livello regionale dei soggetti del commercio equo e solidale.

Art. 3 Individuazione dei soggetti del commercio equo e solidale1. Per l’individuazione dei soggetti del commercio equo e solidale si istituisce il registro regionale del commercio equo e solidale a cui sono iscritti coloro che operano in forma stabile nel territorio regionale.2. Nello stabilire le modalità di funzionamento del registro e i requisiti di iscrizione, si tiene conto anche delle risultanze delle attività svolte dall’Associazione AGICES in merito al “Registro italiano delleorganizzazioni di commercio equo e solidale”.3. Il registro regionale è istituito secondo le modalità indicate nel Regolamento di attuazione di cui al comma 2; i costi di gestione del registro sono a carico dei soggetti richiedenti l’iscrizione e/o cancellazione e/o variazioni.4. Nelle more istitutive del registro regionale, l’iscrizione al “Registro italiano delle organizzazioni di commercio equo e solidale” è sostitutiva dell’iscrizione.

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Art. 4 Promozione del commercio equo e solidale1. La Regione, in collaborazione con le organizzazioni interessate, promuove specifiche azioni educative finalizzate al rafforzamento del diritto del consumatore ad essere informato non solo sul prodotto ma anche sugli effetti ambientali e sociali derivanti dalla sua produzione e commercializzazione.I programmi delle azioni educative sono realizzati dalle istituzioni formative nel rispetto dell’autonomia scolastica e possono prevedere il concorso progettuale, organizzativo e finanziario degli Enti locali e delle associazioni maggiormente rappresentative del commercio equo e solidale e dei soggetti di cui all’articolo 3.

Art. 5 Incentivi alle imprese del commercio equo e solidale1. La Giunta regionale nell’ambito del piano dell’attività relative ai settori produttivi dell’agricoltura, artigianato, piccola e media impresa industriale, turismo, dispone che alle imprese iscritte al registro regionale del commercio equo e solidale di cui all’articolo 3, sia riconosciuta la priorità nell’accesso agli aiuti e agli investimenti stabiliti nelle misure ed azioni ivi contemplate.2. Nell’ambito del piano di cui al comma 1, la Giunta regionale può prevedere specifiche misure a sostegno del rafforzamento del sistema delle imprese esercenti in Abruzzo il commercio equo e solidale.

Art. 6 Introduzione dei prodotti nelle mense pubbliche e nei punti di somministrazione interni1. La Giunta regionale dà indicazioni agli Enti locali, alle ASL e alle altre istituzioni ed organizzazioni locali per la promozione e l’utilizzazione dei prodotti del commercio equo e solidale nei loro ambiti.

Art. 7 Agevolazioni in favore dei soggetti del commercio equo e solidale1. Nel pieno rispetto delle norme vigenti di acquisto di beni da terzi, la Regione Abruzzo favorisce l’utilizzo dei prodotti del commercio equo e solidale, nelle procedure di asta pubblica, licitazione privata, appalto concorso e trattativa privata preceduta da gara.2. Nell’ambito delle spese relative all’acquisto di beni da terzi secondo le procedure della trattativa privata e delle spese in economia, le strutture della Regione sono chiamate a prendere in considerazione l’ipotesi di acquisto di prodotti provenienti dal commercio equo e solidale.3. La Giunta regionale, al fine di promuovere forme di commercio leale e pratiche commerciali moralmente corrette, dispone affinché, nell’ambito dell’attività relative ai settori produttivi dell’agricoltura, artigianato, piccola e media impresa industriale e del turismo, sia inserita una specifica e periodica azione rivolta a favorire la nascita, lo sviluppo e il consolidamento delle relazioni commerciali ispirate ai principi del commercio equo e solidale, rafforzando il proprio ruolo di partner commerciale qualificato e affidabile verso i Paesi in via di sviluppo.4. La Giunta regionale, entro centoventi giorni dall’entrata in vigore della presente legge, con proprio atto, disciplina l’attività contrattuale relativa a quanto disposto dai commi 1, 2 e 3.

Art. 8 Cooperazione internazionale e istituzione della “Giornata regionale del commercio equo e solidale”1. La Giunta regionale, nell’ambito della sua azione per la promozione delle attività di cooperazione con i Paesi in via di sviluppo (L.R. 14 dicembre 1989, n. 105 – Svolgimento di attività di cooperazione allo sviluppo nei Paesi in via di sviluppo da parte della Regione Abruzzo), e in collaborazione con le organizzazioni attivamente interessate, promuove una manifestazione per l’esposizione e la vendita dei prodotti di commercio equo e solidale.

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2. La Giunta regionale, nell’ambito della sua azione per la promozione delle attività di cooperazione con i Paesi in via di sviluppo (L.R. n. 105/1989), individua iniziative o programmi di commercio equo e solidale in attuazione dei principi e delle finalità della legislazione vigente in materia di promozione delle attività di cooperazione allo sviluppo e partenariato internazionale.

Art. 9 Attività di monitoraggio1. Entro tre anni dall’applicazione della presente legge, la Giunta regionale trasmette al Consiglio regionale una relazione sullo stato di attuazione della presente legge finalizzata ad una valutazione della legge stessa e dei suoi effetti.2. I contenuti della relazione sono definiti dal Regolamento attuativo di cui all’articolo 2.

Art. 10 Norma finanziaria1. La presente legge non comporta oneri aggiuntivi per il Bilancio regionale; le azioni indicate negli articoli precedenti trovano la loro copertura finanziaria nell’ambito della vigente normativa regionale.

Art. 11 Entrata in vigore1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione nel B.U.R.A.

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REGIONE UMBRIA

Legge Regionale 6 febbraio 2007, n. 3 - Diffusione del commercio equo e solidale in Umbria.

Art. 1. (Oggetto e finalità)1. La Regione Umbria, nel quadro delle politiche asostegno della cooperazione internazionale e nel rispetto dei principi stabiliti dagli articoli 2 e 6 dello statuto, riconosce e promuove il commercio equo e solidale, di seguito denominato COMES, assegnando ad esso un ruolo rilevante nella promozione dell’incontro fra culture diverse e nel sostegno alla crescita economica e sociale, nel rispetto dei diritti individuali, dei Paesi in via di sviluppo.2. La Regione Umbria riconosce il ruolo sociale delle organizzazioni di COMES e attiva iniziative di sostegno e di agevolazione, nel rispetto delle norme comunitarie e statali concernenti la tutela della concorrenza.

Art. 2. (Definizione)1. Il COMES è un approccio alternativo al commercio convenzionale. Esso promuove giustizia sociale ed economica, sviluppo sostenibile, rispetto per le persone e per l’ambiente, attraverso il commercio, la crescita della consapevolezza dei consumatori, l’educazione, l’informazione e l’azione politica.

Art. 3. (Individuazione dei soggetti del commercio equo e solidale)1. È istituito presso la Giunta regionale il registro degli operatori del COMES al quale sono iscritti imprese e soggetti che senza fine di lucro operano in forma stabile e continuativa nel territorio regionale e svolgono la propria attività nel rispetto della Carta Italiana dei Criteri del Commercio Equo e Solidale, approvata dall’Associazione «Assemblea Generale Italiana del Commercio Equo e Solidale», di seguito denominata AGICES.2. Il registro regionale è istituito secondo le modalità indicate nel regolamento di attuazione di cui all’articolo 9, il quale ne stabilisce altresì le modalità di funzionamento ed i requisiti per l’iscrizione, tenendo conto anche delle risultanze delle attività svolte dall’AGICES in merito al «Registro italiano delle organizzazioni di Commercio equo e solidale», di seguito denominato RIOCES.

Art. 4. (Individuazione dei prodotti del commercio equo e solidale)1. Sono prodotti del COMES quelli comunque realizzati, importati e distribuiti da aziende appartenenti alla filiera integrale del COMES. Nello stabilire i criteri per l’individuazione delle aziende della filiera integrale si tiene conto delle risultanze delle attività svolte dalle Associazioni maggiormente rappresentative a livello nazionale e internazionale AGICES e IFAT (International Federation for Alternative Trade).2. Sono altresì prodotti del COMES quelli garantiti secondo gli standard delle organizzazioni esterne di certificazione del Fair Trade, come le organizzazioni associate in Fair Trade Labelling Organization (FLO), qualora detti standard vengano assimilati a quelli della tradizione giuridica comunitaria e, comunque, a quelli riconosciuti a livello internazionale.3. Le modalità per il riconoscimento del prodotto del COMES sono definite con uno specifico disciplinare di prodotto, secondo le indicazioni del regolamento di attuazione di cui all’articolo 9.

Art. 5. (Promozione e sostegno alla diffusione del commercio equo e solidale in Umbria)1. La Giunta regionale promuove, anche con il concorso degli operatori del COMES, specifiche iniziative di informazione ed educazione nelle scuole finalizzate al rafforzamento

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del diritto del consumatore ad essere informato sugli effetti ambientali e sociali derivanti dalla produzione e commercializzazione dei prodotti del COMES.2. I programmi delle azioni educative sono realizzati nel rispetto del principio dell’autonomia scolastica e possono prevedere il concorso progettuale, organizzativo e finanziario degli enti locali.

Art. 6. (Istituzione della «Giornata regionale del commercio equo e solidale»)1. Al fine di promuovere la conoscenza e la diffusione del COMES, la Giunta regionale con il concorso degli enti locali e con la collaborazione dei soggetti di cui all’articolo 3, organizza annualmente la «Giornata regionale del commercio equo e solidale», quale momento di incontro fra la comunità umbra e la realtà del COMES e per l’esposizione e la vendita dei prodotti del COMES.

Art. 7. (Agevolazioni in favore dei soggetti del commercio equo e solidale)1. Nel pieno rispetto delle norme vigenti di acquisto di beni da terzi, la Regione Umbria favorisce l’utilizzo dei prodotti del COMES. 2. Nell’ambito delle spese relative all’acquisto di beni da terzi secondo le procedure della trattativa privata e delle spese in economia, le strutture della Regione sono chiamate a prendere in considerazione l’ipotesi di acquisto di prodotti provenienti dal COMES.

Art. 8. (Attività internazionale)1. La Giunta regionale - nell’ambito delle iniziative di cooperazione internazionale decentrata di cui alla legge regionale 27 ottobre 1999, n. 26 - garantisce il sostegno allo sviluppo di organizzazioni di produttori dei paesi svantaggiati e allo sviluppo di prodotti che possono entrare a far parte del circuito del COMES e ad iniziative di interscambio tra realtà dei produttori dei paesi svantaggiati e la comunità regionale umbra. 2. Gli interventi di cui al comma 1 sono realizzati nel rispetto delle direttive di politica internazionale dello Stato e, a tal fine, vengono tempestivamente comunicati al Ministero degli affari esteri e alla Presidenza del Consiglio dei Ministri per il coordinamento con i principi nazionali in materia di cooperazione allo sviluppo. 3. La Giunta regionale nell’ambito della Consulta regionale della cooperazione di cui all’articolo 2 della legge regionale 6 agosto 1997, n. 24 (Provvedimenti diretti alla promozione e allo sviluppo della cooperazione), al fine di promuovere forme di commercio leale e pratiche commerciali moralmente corrette, dispone che, nell’ambito dei piani annuali di programmazione economica della commercializzazione dei prodotti umbri di cui all’articolo 10 della stessa legge regionale, vengono inserite specifiche e periodiche azioni rivolte a favorire la nascita, lo sviluppo e il consolidamento delle relazioni commerciali ispirate ai principi del COMES, rafforzando il ruolo delle società cooperative quali partner commerciali qualificati ed affidabili verso i paesi in via di sviluppo.

Art. 9. (Regolamento)1. Entro novanta giorni dall’entrata in vigore della presente legge la Giunta regionale approva il regolamento attuativo con cui dispone in particolare: a) i requisiti e le modalità per l’iscrizione al registro regionale come richiamato all’articolo 3; b) i requisiti e modalità per il riconoscimento del prodotto del COMES di cui all’articolo 4.

Art. 10. (Attività di monitoraggio)1. La Giunta regionale trasmette annualmente al Consiglio regionale una relazione sullo stato della diffusione del COMES in Umbria. La relazione è predisposta sulla base dei dati forniti dalla Consulta di cui all’articolo 11. 2. Entro due anni dall’entrata in vigore della presente legge, e successivamente a scadenze biennali, la Giunta regionale trasmette al Consiglio regionale una relazione sullo stato di attuazione della presente legge finalizzata ad una valutazione della legge stessa e dei suoi effetti.

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Art. 11. (Consulta regionale per il commercio equo e solidale)1. È istituita presso la Giunta regionale la Consulta regionale per il commercio equo e solidale.2. La Consulta, nominata con Decreto del Presidente della Giunta regionale, rimane in carica per due anni, ed è presieduta dall’Assessore regionale competente in materia o suo delegato.3. La Consulta è composta da: a) un funzionario regionale competente in materia di cooperazione internazionale; b) un funzionario regionale competente in materia di enti no profit; c) un rappresentante delle organizzazioni del COMES iscritte all’Albo regionale; d) un rappresentante dell’AGICES; e) un rappresentante di Transfair Italia; f) un rappresentante di ANCI Umbria; g) un rappresentante designato congiuntamente dalle associazioni rappresentative dei consumatori; h) un rappresentante delle associazioni designato congiuntamente dalle associazioni rappresentative dei commercianti. 4. La partecipazione alla Consulta avviene a titolo gratuito. La Consulta, per il suo funzionamento, può dotarsi di un apposito regolamento.5. Alla Consulta regionale sono attribuiti i seguenti compiti: a) funzione consultiva per l’elaborazione del regolamento attuativo di cui all’articolo 9 e successive modifiche; b) formulazione di proposte per gli interventi programmatici e legislativi della Regione in materie attinenti al COMES; c) elaborazione dei dati utili a definire i contenuti della relazione annuale di cui all’articolo 10, comma 1; d) monitoraggio e controllo sulle modalità organizzative delle organizzazioni iscritte al registro di cui all’articolo 3, nonché la verifica periodica dei requisiti per l’iscrizione.

Art. 12. (Norma finanziaria)1. Per il finanziamento degli interventi previsti all’articolo 5, comma 1 e all’articolo 6 è autorizzata per l’anno 2007 la spesa di euro 50.000,00 da iscrivere nella unità previsionale di base 01.1.007 denominata «Interventi in materia di relazioni internazionali, pace, diritti umani» (cap. 1026).2. Al finanziamento dell’onere di cui al comma 1 si fa fronte con riduzione di pari importo dello stanziamento esistente nella unità previsionale di base 16.1.001 del bilancio di previsione 2006 denominata «Fondi speciali per spese correnti» in corrispondenza del punto 2, lettera A), della tabella A) della legge regionale 10 febbraio 2006, n. 2. 3. La disponibilità relativa all’anno 2006 di cui al precedente comma 2 è iscritta nella competenza dell’anno 2007 in attuazione dell’articolo 29, comma 4 della legge regionale 28 febbraio 2000, n. 13. 4. Per gli anni 2008 e successivi l’entità della spesa è determinata annualmente con la legge finanziaria regionale, ai sensi dell’articolo 27, comma 3, lettera c) della vigente legge regionale di contabilità. 5. La Giunta regionale, a norma della vigente legge regionale di contabilità, è autorizzata ad apportare le conseguenti variazioni di cui ai precedenti commi, sia in termini di competenza che di cassa. La presente legge regionale sarà pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge della Regione Umbria. Data a Perugia, addì 6 febbraio 2007 LORENZETTI LAVORI PREPARATORI Proposta di legge: — di iniziativa dei Consiglieri Bracco, Carpinelli, Dottorini, Masci, Vinti, Lupini e Ronca depositata alla Presidenza del Consiglio regionale il 13 luglio 2006, atto consiliare n. 479 (VIIIa Legislatura). — Assegnato per il parere alla Ia Commissione consiliare permanente «Affari istituzionali – programmazione – bilancio – finanze e patrimonio – organizzazione e personale – enti locali» il 4 settembre 2006. — Testo licenziato dalla Ia Commissione consiliare permanente il 25 ottobre 2006, con parere e relazioni illustrate oralmente dal Consigliere Vinti per la maggioranza e dal Consigliere Sebastiani per la minoranza (Atto n. 479/BIS). — Esaminato ed approvato dal Consiglio regionale, con un emendamento, nella seduta del 30 gennaio 2007, deliberazione n. 116. AVVERTENZA — Il testo della legge viene pubblicato con l’aggiunta delle note redatte dalla Direzione Affari generali della Presidenza e della Giunta

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regionale (Servizio Relazioni con il Consiglio regionale – Promulgazione leggi ed emanazione regolamenti e decreti – B.U.R. e Sistema Archivistico – Sezione Promulgazione leggi, emanazione regolamenti e decreti, relazioni con il Consiglio regionale), ai sensi dell’art. 8, commi 1, 3 e 4 della legge regionale 20 dicembre 2000, n. 39, al solo scopo di facilitare la lettura delle disposizioni di legge modificate o alle quali è operato il rinvio. Restano invariati il valore e l’efficacia degli atti legislativi qui trascritti. NOTE Nota all’art. 1, comma 1: Il testo degli artt. 2 e 6 della legge regionale 16 aprile 2005, n. 21, recante «Nuovo Statuto della Regione Umbria» (pubblicata nel B.U.R. n. 17 del 18 aprile 2005 - edizione straordinaria), è il seguente: «2. — Identità e valori. — 1. La Regione assume come valori fondamentali della propria identità, da trasmettere alle future generazioni: — la cultura della pace, della non violenza e il rispetto dei diritti umani; — la cultura dell’accoglienza, della coesione sociale, delle differenze; — l’integrazione e la cooperazione tra i popoli; — la vocazione europeista; — il pluralismo culturale ed economico; — la qualità del proprio ambiente; — il patrimonio spirituale, fondato sulla storia civile e religiosa dell’Umbria. «6. — Tutela dei consumatori. — 1. La Regione concorre a tutelare i diritti dei consumatori e favorisce la correttezza dell’informazione, la sicurezza e la qualità dei prodotti.». Note all’art. 8, commi 1 e 3: — La legge regionale 27 ottobre 1999, n. 26, recante «Interventi regionali per la promozione della cooperazione internazionale allo sviluppo e della solidarietà tra i popoli», è pubblicata nel B.U.R. n. 57 del 3 novembre 1999. — Il testo degli artt. 2 e 10 della legge regionale 6 agosto 1997, n. 24, recante «Provvedimenti diretti alla promozione e allo sviluppo della cooperazione» (pubblicata nel B.U.R. n. 38 del 13 agosto 1997), è il seguente: «2. — Consulta regionale della cooperazione. — 1. È istituita presso la Giunta regionale la Consulta regionale della cooperazione, con funzioni consultive e propositive. 2. La Consulta è composta: a) dall’assessore regionale alla cooperazione che la presiede; b) da un esponente designato da ciascuno degli organismi riconosciuti di rappresentanza del movimento cooperativo umbro, di seguito denominati Centrali cooperative; c) da 6 membri eletti dal Consiglio regionale, con voto limitato a 4, scelti tra esperti in materia di cooperazione. 3. La Consulta viene integrata dall’assessore regionale preposto alla materia di volta in volta trattata o da un suo delegato. 4. La Consulta è nominata e costituita con decreto del Presidente della Giunta regionale e dura in carica quanto il Consiglio regionale. 5. Le funzioni di segretario della Consulta sono svolte da un funzionario regionale designato dall’assessore alla cooperazione. «10. — Attività promozionale. — 1. L’attività di promozione sui mercati dei soggetti operanti nel settore della cooperazione è inserita nell’ambito dei piani annuali di promozione della commercializzazione dei prodotti umbri ed ammessa al connesso finanziamento. 2. La Regione favorisce la partecipazione di società cooperative a progetti di cooperazione allo sviluppo.». Note all’art. 12, commi 2, 3, 4 e 5: — La legge regionale 10 febbraio 2006, n. 2, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale di previsione 2006 e del bilancio pluriennale 2006/2008 - Legge finanziaria 2006», è pubblicata nel S.S. n. 1 al B.U.R. n. 9 del 15 febbraio 2006. — La legge regionale 28 febbraio 2000, n. 13, recante «Disciplina generale della programmazione, del bilancio, dell’ordinamento contabile e dei controlli interni della Regione dell’Umbria », è pubblicata nel S.O. al B.U.R. n. 11 del 2 marzo 2000. Si riporta il testo dell’art. 27, comma 3, lett. c) e dell’art. 29, comma 4: «27. — Legge finanziaria regionale. — Omissis. 3. La legge finanziaria regionale stabilisce: Omissis. c) la determinazione, in apposita tabella, della quota da iscrivere nel bilancio di ciascuno degli anni considerati dal bilancio pluriennale per le leggi regionali di spesa permanente, la cui quantificazione è espressamente rinviata alla legge finanziaria regionale; Omissis. «29. — Fondi speciali. — Omissis. 4. Ai fini della copertura finanziaria di spese derivanti da provvedimenti legislativi, non approvati entro il termine dell’esercizio relativo può farsi riferimento alle quote non utilizzate di fondi globali di detto esercizio, purché tali provvedimenti siano approvati prima del rendiconto di tale esercizio e comunque entro il termine dell’esercizio immediatamente successivo. In tal caso resta ferma

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l’assegnazione degli stanziamenti dei suddetti fondi speciali al bilancio nei quali essi furono iscritti, e delle nuove o maggiori spese al bilancio dell’esercizio nel corso del quale si perfezionano i relativi provvedimenti legislativi. Omissis.».

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REGIONE LIGURIA

Legge Regionale 13 agosto 2007 n. 32 - Disciplina e interventi per lo sviluppo del commercio equo e solidale in Liguria.

Articolo 1 (Finalità e oggetto)1. La Regione, in coerenza con i principi internazionali e nazionali e con i principi di democrazia, uguaglianza, pace, giustizia e solidarietà di cui all’articolo 2, comma 1, dello Statuto, riconosce la funzione rilevante del commercio equo e solidale nella promozione in Liguria dei valori di giustizia sociale ed economica, dello sviluppo sostenibile e di un modello produttivo fondato sulla cooperazione e sul rispetto per le persone e per l'ambiente.2. La Regione persegue gli obiettivi di cui al comma 1 attraverso:a) una maggiore informazione nei confronti dei consumatori per favorire acquisti responsabili;b) una maggiore diffusione dei prodotti del commercio equo e solidale;c) il sostegno, anche economico, di iniziative e progetti, in armonia con quanto previsto dall’articolo 2, comma 2, lettera a) della legge regionale 20 agosto 1998 n. 28 (interventi per la cooperazione allo sviluppo, la solidarietà internazionale e la pace).3. Per le finalità di cui ai commi 1 e 2, la presente legge individua i prodotti ed i soggetti del commercio equo e solidale e definisce, nel rispetto delle norme in materia di tutela della concorrenza, gli interventi per il suo sviluppo in Liguria.

Articolo 2 (Definizione di commercio equo e solidale)1. Il commercio equo e solidale rappresenta un approccio alternativo al commercio internazionale tradizionale, finalizzato ad ottenere una maggiore equità nelle relazioni economiche internazionali attraverso migliori condizioni commerciali e sociali per i produttori ed i lavoratori dei Paesi in via di sviluppo.2. Il commercio equo e solidale, attraverso una relazione paritaria tra tutti i soggetti coinvolti nella catena di commercializzazione, prevede:a) il pagamento al produttore di un prezzo equo e concordato, che gli garantisca un livello di vita adeguato e dignitoso;b) il pagamento al produttore, qualora richiesto, di una parte del prezzo al momento dell’ordine;c) la tutela dei diritti, anche sindacali, dei lavoratori, sia nelle condizioni di lavoro, con riferimento alla salute e alla sicurezza, sia nella retribuzione, ed inoltre senza discriminazioni di genere né ricorso allo sfruttamento del lavoro minorile;d) un rapporto continuativo tra produttore ed acquirente che preveda a carico di quest’ultimo iniziative finalizzate al graduale miglioramento sia della qualità dei prodotti e dei servizi, tramite l’assistenza al produttore, sia delle condizioni di vita della comunità locale;e) il rispetto dell’ambiente;f) la trasparenza delle strutture organizzative.

Articolo 3 (Individuazione dei soggetti del commercio equo e solidale e istituzione dell’Elenco regionale)1. E’ istituito, presso la struttura regionale competente, l’Elenco regionale delle organizzazioni del commercio equo e solidale.

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2. Sono iscritti nell’Elenco regionale di cui al comma 1 i soggetti non aventi scopo di lucro, organizzati in forma collettiva e democratica, che operano in forma stabile sul territorio regionale, appartenenti ad una delle seguenti categorie:a) enti che rilasciano l’accreditamento di organizzazione del commercio equo e solidale, e

specificatamente:1) IFAT (International Fairt Trade Association) e AGICES (Associazione Assemblea Generale Italiana del Commercio Equo e Solidale), in quanto enti più rappresentativi del settore a livello internazionale e nazionale;2) altre organizzazioni in possesso dei requisiti stabiliti con il provvedimento di cui all’articolo 8 ovvero previste da normative nazionali;b) organizzazioni del commercio equo e solidale in possesso dell’accreditamento rilasciato dagli enti di cui alla lettera a);c) enti che certificano i prodotti del commercio equo e solidale attraverso l’attribuzione di un marchio di garanzia, affiliati a FLO (Fairtrade Labelling Organizations International).3. Possono beneficiare degli interventi previsti dalla presente legge i soggetti iscritti nell’Elenco regionale di cui al comma 1.4. I requisiti e le modalità di iscrizione nell’Elenco sono stabiliti con il provvedimento di cui all’articolo 8.

Articolo 4 (Individuazione dei prodotti del commercio equo e solidale)1. I prodotti del commercio equo e solidale sono individuati mediante una delle seguenti modalità:a) provenienza dei prodotti da un’organizzazione del commercio equo e solidale, accreditata ai sensi dell’articolo 3, comma 2, lettera b);b) certificazione dei prodotti da parte degli enti di cui all’articolo 3, comma 2, lettera c), attraverso l’attribuzione di un marchio di garanzia.

Articolo 5 (Interventi per la diffusione del commercio equo e solidale)1. La Regione, per il conseguimento delle finalità di cui all’articolo 1:a) promuove e sostiene iniziative divulgative e di sensibilizzazione, mirate a diffondere la realtà del commercio equo e solidale e ad accrescere nei consumatori la consapevolezza degli effetti delle proprie scelte di consumo, affinché prendano in esame non solo il prodotto, ma gli effetti sociali ed ambientali derivanti dalla sua produzione e commercializzazione;b) promuove e sostiene specifiche azioni educative nelle scuole, finalizzate a conoscere le problematiche connesse alle implicazioni delle scelte di consumo, stimolando una riflessione sul consumo consapevole e sulle opportunità offerte dai prodotti del commercio equo e solidale;c) promuove e sostiene iniziative di formazione per gli operatori ed i volontari delle organizzazioni del commercio equo e solidale;d) promuove e sostiene la fiera del commercio equo e solidale e le giornate del commercio equo e solidale di cui agli articoli 6 e 7;

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e) promuove e sostiene la creazione sulla rete Internet di un portale regionale per il commercio equo e solidale, in cui inserire informazioni in materia di commercio equo e solidale;f) concede alle organizzazioni iscritte nell’Elenco regionale di cui all’articolo 3, nei limiti del regime “de minimis”, finanziamenti a fondo perduto fino a un massimo del 40 per cento delle spese ammissibili relative a investimenti materiali e immateriali, funzionali all’espletamento dell’attività dell’organizzazione, per apertura e ristrutturazione della sede, acquisto di attrezzature, arredi e dotazioni informatiche;g) promuove e sostiene l’utilizzo dei prodotti del commercio equo e solidale nell’ambito delle attività degli enti pubblici, nel pieno rispetto delle norme vigenti in materia di acquisto di beni e servizi da terzi.2. Le misure regionali in materia di incentivi al commercio possono prevedere criteri di priorità a favore delle organizzazioni iscritte nell’Elenco regionale di cui all’articolo 3.

Articolo 6 (Fiera del commercio equo e solidale)La Regione promuove e sostiene annualmente, con specifici contributi, una fiera organizzata in collaborazione con le organizzazioni iscritte nell’Elenco regionale di cui all’articolo 3 per la promozione e la vendita dei prodotti del commercio equo e solidale.

Articolo 7 (Giornata regionale del commercio equo e solidale)2. La Regione, al fine di promuovere la conoscenza e la diffusione del commercio equo e solidale, promuove e sostiene annualmente, con specifici contributi, in collaborazione con le organizzazioni iscritte nell’Elenco regionale di cui all’articolo 3, una o più giornate del commercio equo e solidale, quale momento di incontro tra la comunità ligure e la realtà del commercio equo e solidale.

Articolo 8 (Provvedimento attuativo)1. Entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, la Giunta regionale, con provvedimento attuativo, individua:a) i requisiti e le modalità di iscrizione nell’Elenco di cui all’articolo 3, unitamente alle ipotesi di sospensione e revoca, nonché le modalità di funzionamento dello stesso;b) i criteri, le modalità attuative ed i beneficiari degli specifici interventi di cui agli articoli 5, 6 e 7;c) le tipologie di intervento da finanziare prioritariamente.

Articolo 9 (Norma in materia di aiuti di Stato)1. Tutte le agevolazioni previste dalla presente legge sono concesse in conformità alla normativa comunitaria in materia di aiuti di Stato.

Articolo 10 (Norma finanziaria)1. Agli oneri derivanti dall'attuazione della presente legge si provvede mediante:a) prelevamento di euro 200.000,00 in termini di competenza e di cassa dall'U.P.B. 18.107 "Fondo speciale di parte corrente" e contestuale iscrizione di euro 200.000,00 in termini di competenza e di cassa all'U.P.B.

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15.102 "Interventi per lo sviluppo del Commercio" dello stato di previsione della spesa del bilancio per l'anno finanziario 2007;b) prelevamento di euro 100.000,00 in termini di competenza e di cassa dall'U.P.B. 18.207 "Fondo speciale di conto capitale" e contestuale iscrizione di euro 100.000,00 in termini di competenza e di cassa all'U.P.B. 15.202 "Interventi per lo sviluppo del Commercio" dello stato di previsione della spesa del bilancio per l'anno finanziario 2007.2. Agli oneri per gli esercizi successivi si provvede con legge di bilancio.

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PROVVEDIMENTO ATTUATIVO DELLA LEGGE REGIONALE 13 AGOSTO 2007, N. 32 RECANTE : “DISCIPLINA E INTERVENTI PER LO SVILUPPO DEL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE IN LIGURIA”

ABBREVIAZIONINel presente documento, la parola:- “legge”, indica la legge regionale 13 agosto 2007, n. 32 recante “ Disciplina e interventi

per lo sviluppo del commercio equo e solidale in Liguria”;- “Elenco” indica l’Elenco regionale delle organizzazioni del commercio equo e solidale,

di cui all’articolo 3 della legge;- “Settore”, indica il Settore Politiche di Sviluppo del Commercio della Regione Liguria;- “COMES”, indica il commercio equo e solidale.

A) ELENCO REGIONALE DELLE ORGANIZZAZIONI DEL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE: REQUISITI E MODALITÀ DI ISCRIZIONE E FUNZIONAMENTO

1. Istituzione dell’ElencoL’articolo 3 della legge regionale n. 32/2007 ha istituito l’Elenco regionale delle organizzazioni del commercio equo e solidale stabilendo che vi sono iscritti i soggetti non aventi scopo di lucro, organizzati in forma collettiva e democratica, che operano in forma stabile sul territorio regionale, appartenenti ad una delle seguenti categorie:a) enti che rilasciano l’accreditamento di organizzazione del commercio equo e solidale, e specificatamente:

1) IFAT (International Fair Trade Association) e AGICES (Associazione Assemblea Generale Italiana del Commercio Equo e Solidale), in quanto enti più rappresentativi del settore a livello internazionale e nazionale;2) altre organizzazioni in possesso dei requisiti stabiliti con il provvedimento di cui all’articolo 8 ovvero previste da normative nazionali;

b) organizzazioni del commercio equo e solidale in possesso dell’accreditamento rilasciato dagli enti di cui alla lettera a);c) enti che certificano i prodotti del commercio equo e solidale attraverso l’attribuzione di un marchio di garanzia, affiliati a FLO (Fairtrade Labelling Organizations International).

L’iscrizione nell’Elenco è necessaria per poter beneficiare dei contributi previsti agli art. 5, 6, 7 della legge.

L’Elenco Regionale delle Organizzazioni del Commercio Equo e Solidale è tenuto dal Settore Politiche di Sviluppo del Commercio.

L’Elenco è suddiviso in tre sezioni:- SEZIONE I: Enti che rilasciano l’accreditamento di organizzazione del commercio equo

e solidale, e specificatamente IFAT, AGICES e altre organizzazioni (articolo 3, comma 2) lettera a) della l.r. n. 32/2007).

- SEZIONE II: Organizzazioni del commercio equo e solidale (articolo 3, comma 2) lettera b) della l.r. n. 32/2007)

- SEZIONE III: Enti che certificano i prodotti del commercio equo e solidale attraverso l’attribuzione di un marchio di garanzia, affiliati a FLO (Fairtrade Labelling Organizations International) (articolo 3, comma 2) lettera c) della l.r. n. 32/2007)

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2. Modalità di iscrizione

Le organizzazioni che intendono iscriversi nell’Elenco devono presentare istanza di iscrizione, in carta semplice, con raccomandata con ricevuta di ritorno a:

Regione Liguria – Dipartimento Sviluppo Economico e Politiche dell’OccupazioneSettore Politiche di Sviluppo del Commercio

Via D’Annunzio 113 - 16121 Genova.

Per la domanda deve essere utilizzato il modello allegato (ALLEGATO 1), reperibile anche sul sito www.regione.liguria.it , che deve essere compilato in ogni sua parte, sottoscritto ai sensi del D.P.R. 445/2000, dal Legale Rappresentante e al quale devono essere allegati i seguenti documenti:1. Fotocopia di un documento d’identità in corso di validità del Legale Rappresentante che

ha sottoscritto la domanda2. Atto costitutivo (redatto nella forma dell’atto pubblico o scrittura privata registrata)3. Statuto o Regolamento (redatto nella forma dell’atto pubblico o scrittura privata

registrata)4. Bilancio ovvero rendiconto dell’ultimo esercizio regolarmente approvato5. Relazione sull’attività svolta.

Entro i 30 giorni successivi, verificata la sussistenza dei requisiti, il Dirigente del Settore Politiche di Sviluppo del Commercio dispone l’iscrizione nell’Elenco.

Qualsiasi variazione ai dati o ai documenti trasmessi deve essere comunicata entro 30 giorni, pena la sospensione dall’Elenco, come previsto al punto 4.Entro il 30 giugno di ogni anno le organizzazioni iscritte trasmettono al Settore il bilancio annuale o il rendiconto e una breve relazione sull’attività svolta nell’anno precedente.

3. Requisiti d’iscrizione

3.1 Per tutti i soggettiPer essere iscritti nell’Elenco Regionale delle Organizzazioni del Commercio Equo e Solidale, i soggetti devono:

- rispettare i criteri, stabiliti dal punto 2 della risoluzione del Parlamento Europeo del 6 giugno 2006 sul commercio equo e solidale e lo sviluppo;

- condividere gli obiettivi del commercio equo e solidale, i quali devono risultare chiaramente prevalenti nell’oggetto sociale e nell’effettiva attività svolta. La prevalenza dell’attività sussiste quando almeno il 60% dei ricavi deriva da attività del commercio equo e solidale, fatto salvo l’adeguamento con la normativa nazionale.

Ai sensi dell’articolo 3 comma 2 della legge, per essere iscritti nell’Elenco i soggetti devono:- avere natura e finalità non lucrativa: le organizzazioni devono essere costituite nelle

forme previste dalla legge in modo da garantire la natura non lucrativa dell’ente, aspetto chiaramente specificato nell’atto costitutivo e nello statuto che si concretizza nel divieto di distribuire gli utili o nel rimando alle leggi in materia mutualistica (principi della mutualità prevalente);

- devono essere organizzati in forma collettiva e democratica : le attività, le scelte e i documenti ufficiali devono essere il frutto di processi decisionali democratici;

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- devono operare in forma stabile sul territorio regionale: l’operatività dei soggetti deve avere come ambito territoriale la regione Liguria attraverso la presenza sul territorio di almeno una sede operativa dotata di struttura organizzativa e attiva da almeno un anno.

3.2 Per la Sezione ILe organizzazioni che chiedono l’iscrizione nella Sezione I, oltre ai requisiti previsti al punto 3.1, devono:- avere 70 o più associati con sedi in almeno 10 regioni italiane, fatto salvo l’adeguamento

con la normativa nazionale;- avere un sistema di accreditamento codificato, con requisiti di accesso da parte degli

associati, e un sistema di verifica degli stessi attraverso un monitoraggio periodico;- fornire agli associati una dicitura e un logo che essi possano utilizzare e che rappresenti

una tutela per il consumatore.

3.3 Per la Sezione IILe organizzazioni che chiedono l’iscrizione nella Sezione II, oltre ai requisiti previsti al punto 3.1, devono:- essere in possesso dell’accreditamento di organizzazione del commercio equo e solidale

da parte di IFAT o AGICES o di un Ente di cui all’articolo 3 , comma 2, lettera a), punto 2) della legge;

- commercializzare i prodotti e/o i servizi del COMES.

3.4 Per la Sezione IIIGli enti che certificano i prodotti del commercio equo e solidale attraverso l’attribuzione di un marchio di garanzia che intendono iscriversi nella Sezione III devono, oltre ai requisiti previsti al punto 3.1, essere affiliati a FLO (Fairtrade Labelling Organizations International) come previsto all’articolo 3, comma 2, lettera c) della l.r. n. 32/2007:

4. Sospensione, revoca e cancellazione dall’ElencoLa perdita di uno qualsiasi dei requisiti richiesti per l’iscrizione nell’Elenco determina la sospensione temporanea dall’Elenco. Tale sospensione può avere una durata massima di 60 giorni.Se entro tale termine non vengono ripristinati i requisiti necessari, il Settore provvede alla cancellazione dall’Elenco, che comporta la decadenza dai benefici eventualmente ottenuti in assenza dei requisiti medesimi.Il Settore può chiedere qualsiasi documento necessario a verificare il rispetto dei requisiti di iscrizione. La reiterata mancanza della presentazione dei documenti richiesti determina la sospensione.

B. CRITERI, PRIORITA’, MODALITÀ ATTUATIVE E BENEFICIARI DEGLI INTERVENTI DI CUI AGLI ARTICOLI 5, 6 E 7 DELLA L.R. N. 32/2007

1. INTERVENTI

AZIONE 1 SOSTEGNO ALLE INIZIATIVE DI DIVULGAZIONE E SENSIBILIZZAZIONE

DESCRIZIONE E FINALITÀ DELL’AZIONE Affinché il consumatore eserciti un consumo consapevole è necessario che abbia le reali informazioni in merito ai prodotti soprattutto relativamente ai metodi di produzione e commercializzazione. La presente misura sostiene pertanto iniziative di divulgazione e sensibilizzazione rivolte ai consumatori.

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Tali iniziative devono avere lo scopo, non solo di fare conoscere i prodotti del commercio equo e solidale, ma anche di spiegare ai consumatori il funzionamento di un modello commerciale alternativo a quello tradizionale, approfondendo gli aspetti relativi alle condizioni di lavoro nei paesi di origine e alle modalità con cui si costruisce il prezzo fino all’arrivo sui mercati occidentali.

CRITERI DI PRIORITÀ - Integrazione e coordinamento tra soggetti: partenariato tra due o più soggetti per

l’iniziativa- Localizzazione diffusa: iniziativa che si replica in una o più sedi.

FINANZIAMENTO E SPESE AMMISSIBILIL’azione finanzia il 70% delle spese ammissibili, sostenute dopo la presentazione della domanda.Sono ammissibili le spese relative a:- produzione di materiale informativo sull’iniziativa e spese di comunicazione- spese per la localizzazione dell’iniziativa- utilizzo del personale specificatamente impiegato nella realizzazione del progetto - risorse esterne- spese di trasporto del materiale- quota parte delle spese generali valutate nel 10% dei costi totali del progetto

SOGGETTI CHE POSSONO PRESENTARE DOMANDATutti i soggetti iscritti nell’Elenco Regionale delle Organizzazioni del Commercio Equo e Solidale.

AZIONE 2 SOSTEGNO AI PROGETTI EDUCATIVI NELLE SCUOLE

DESCRIZIONE E FINALITÀ DELL’AZIONE L’azione si propone di coinvolgere gli studenti nelle tematiche relative al commercio equo e solidale per evidenziare la responsabilità dei consumatori e delle loro scelte, che possono influenzare le condizioni di persone che vivono nei paesi svantaggiati. L’azione sostiene pertanto i progetti educativi diretti a sensibilizzare in tal senso gli studenti.

CRITERI DI PRIORITÀ - Integrazione e coordinamento tra soggetti: partenariato tra due o più soggetti per

l’iniziativa- Localizzazione diffusa: iniziativa che si replica in una o più sedi. - Metodologia innovativa e produzione di materiale didattico per gli studenti

FINANZIAMENTO E SPESE AMMISSIBILIL’azione finanzia il 70% delle spese ammissibili, sostenute dopo la presentazione della domanda.Sono ammissibili le spese relative a:- produzione di materiale didattico anche con tecnologie innovative (Audio – video)- spese per la localizzazione dell’iniziativa - utilizzo del personale specificatamente impiegato nella realizzazione del progetto - risorse esterne- spese di trasporto del materiale- quota parte delle spese generali, valutate nel 10% dei costi totali del progetto

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SOGGETTI CHE POSSONO PRESENTARE DOMANDATutti i soggetti iscritti nell’Elenco Regionale delle Organizzazioni del Commercio Equo e Solidale.

AZIONE 3 INIZIATIVE DI FORMAZIONE PER GLI OPERATORI

DESCRIZIONE E FINALITÀ DELL’AZIONE L’azione finanzia le iniziative di formazione finalizzate alla qualificazione dei volontari e dei dipendenti delle organizzazioni ovvero all’inserimento di nuovi operatori.I corsi di formazione devono riguardare le seguenti aree didattiche:- tecnico-gestionale: specificamente rivolti agli operatori sulle nozioni necessarie per la

gestione delle organizzazioni (aspetti legali, contabilità, gestione marketing, etc.).- corsi di formazione su tematiche relative al commercio equo e solidale in generale o, in

particolare, su progetti specifici.

CRITERI DI PRIORITÀ - Integrazione e coordinamento tra soggetti: partenariato tra due o più soggetti per

l’iniziativa- Iniziative finalizzate all’assunzione di personale- Reclutamento di volontari

FINANZIAMENTO E SPESE AMMISSIBILIL’azione finanzia il 70% delle spese ammissibili, sostenute dopo la presentazione della domanda.Sono ammissibili i costi sostenuti per:- produzione di materiale didattico anche con tecnologie innovative (Audio – video)- spese per la localizzazione dell’iniziativa - docenze svolte da personale esterno all’organizzazione che beneficia del corso- utilizzo del personale specificatamente impiegato nella progettazione del corso - quota parte delle spese generali valutate nel 10% dei costi totali del progetto

SOGGETTI CHE POSSONO PRESENTARE DOMANDATutti i soggetti iscritti nell’Elenco Regionale delle Organizzazioni del Commercio Equo e Solidale.

AZIONE 4SOSTEGNO AGLI INVESTIMENTI

DESCRIZIONE E FINALITÀ DELL’AZIONE: L’azione ha lo scopo di agevolare le organizzazioni del commercio equo e solidale nella realizzazione degli investimenti relativi esclusivamente allo svolgimento dell'attività relativa al COMES e finalizzati a:a) realizzazione di nuove sedi operative;b) ristrutturazione potenziamento e ammodernamento delle sedi;c) rinnovamento e aggiornamento tecnologico.

CRITERI DI PRIORITÀ - Integrazione e coordinamento tra soggetti: partenariato tra due o più soggetti per

l’iniziativa

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SPESE AMMISSIBILISono ammissibili i costi sostenuti a partire dalla data di approvazione della legge (13 agosto 2007) relativi a: 1. acquisto dell’immobile;2. esecuzione di interventi di carattere edilizio volti all’ampliamento e/o alla ristrutturazione

e/o al restauro delle unità locali, compresi i vani tecnici ed i locali accessori, conformi alle vigenti normative urbanistico – edilizie e regolarmente autorizzati dai competenti organi;

3. progettazione e direzione lavori, oneri per la sicurezza e collaudi, fino ad un valore massimo del 5% dell’importo ammissibile relativo alle opere edili e arredi;

4. acquisto di impianti, attrezzature, dotazioni informatiche ed arredi, di nuova fabbricazione, inventariabili e, strettamente funzionali all’attività, esclusi i mezzi targati per il trasporto di merci e/o persone, salvo quanto previsto al punto 5;

5. automezzi attrezzati esclusivamente per la vendita o per la somministrazione di alimenti e bevande;

6. acquisto di software e relative licenze d’uso, funzionali all’attività; le relative spese devono essere iscritte a libro cespiti ed ammortizzabili in più esercizi.

Non sono ammissibili:- imposte di varia natura (bolli, diritti di segreteria, per rilascio autorizzazioni e similari,

etc);- i consumi per utenze;- le opere di sola manutenzione ordinaria;- acquisto e realizzazione di beni di consumo (depliant, volantini, biglietti da visita, carta

intestata, materiale da confezione) o di scorte;- gli acquisti effettuati tramite operazioni di locazione finanziaria.

FINANZIAMENTO E REGIME D’AIUTOIl finanziamento è pari:- al 40% delle spese ammissibili di cui ai punti 2,3,4,5,6;- al 20% della spesa relativa all’acquisto dell’immobile, di cui al punto 1, il cui valore deve

risultare dall’atto notarile.

I contributi sono concessi nei limiti del regime “de minimis”.

SOGGETTI CHE POSSONO PRESENTARE DOMANDATutti i soggetti iscritti nell’Elenco Regionale delle Organizzazioni del Commercio Equo e Solidale.

AZIONE 5PRESENTAZIONE DI PROGETTI PER LA FIERA, LE GIORNATE E LA CREAZIONE DEL PORTALE REGIONALE DEL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE DI CUI AGLI ARTICOLI, 5 LET e) , 6 E 7 DELLA L.R. 32/2007

Tutti i soggetti iscritti nell’Elenco Regionale delle Organizzazioni del Commercio Equo e Solidale possono presentare, progetti per la realizzazione dei seguenti eventi:

1. la fiera del commercio equo e solidale di cui all’articolo 6 della legge;2. le giornate del commercio equo e solidale di cui all’articolo 7 della legge; 3. la creazione sulla rete Internet di un portale regionale per il commercio equo e solidale, di

cui all’articolo 5, comma 1, lettera e) della legge.

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FINANZIAMENTOIl finanziamento è pari al 100% delle spese ammissibili, che dovranno essere sostenute dopo l’approvazione dei relativi progetti.Per i punti 1 e 2 le spese ammissibili sono solo quelle organizzative, escluse quindi le spese di partecipazione dei vari soggetti.Per il punto 3 sono ammissibili le spese di creazione del portale e le spese annuali di aggiornamento e gestione del sito.

Requisito indispensabile per la presentazione dei progetti è l’integrazione e il coordinamento tra i soggetti iscritti nell’Elenco. Non verranno esaminati progetti presentati e gestiti da singole organizzazioni.

Il progetto deve essere illustrato da una relazione tecnica che approfondisce i seguenti aspetti:- Soggetti proponenti- Obiettivi e descrizione dell’iniziativa - Piano finanziario- Tempistica

2. MODALITÀ E TERMINI DI PRESENTAZIONE DELLE DOMANDE

Le domande devono essere trasmesse, in carta semplice con raccomandata con ricevuta di ritorno, entro il termine perentorio di 30 giorni dalla data di pubblicazione del presente bando, a

Regione Liguria – Dipartimento Sviluppo Economico e Politiche dell’OccupazioneSettore Politiche di Sviluppo del Commercio

Via D’Annunzio 113 - 16121 Genova.

Ai fini del rispetto dei termini precitati si tiene conto del timbro postale di spedizione della raccomandata.Per le domande relative alle Azioni 1-4 devono essere utilizzati l’ALLEGATO 2 e le relative schede, che devono essere compilati in ogni parte, sottoscritti, ai sensi del D.P.R. 445/2000, dal Legale Rappresentante e inviati con le fotocopia di un documento d’identità in corso di validità del Legale Rappresentante che ha sottoscritto la domanda. Alle domande devono essere allegati i documenti prescritti nei rispettivi modelli.

3. PROCEDURA DI VALUTAZIONE DELLE DOMANDE

Le domande sono valutate sotto il profilo dell’ammissibilità formale attraverso la verifica dei requisiti di ammissibilità previsti dalla legge e dalle presenti modalità attuative ai punti precedenti.In mancanza di tali requisiti le domande sono respinte, dandone motivata comunicazione all’interessato.Per le azioni 1-4 le domande ritenute formalmente ammissibili sono sottoposte alla verifica dei criteri di priorità esposti nelle singole azioni, seguendo l’ordine degli stessi.A parità di condizioni, la priorità tra più iniziative sarà determinata dall’ordine cronologico di presentazione delle domande.

4. EROGAZIONE DEI CONTRIBUTI

I contributi saranno erogati secondo le seguenti modalità:

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- 50% a titolo di anticipo, entro 60 giorni dal decreto di concessione del contributo;- 50% a saldo ad ultimazione del progetto previa presentazione della seguente

documentazione:1. relazione consuntiva sul progetto, sui risultati ottenuti e sui costi sostenuti;2. fotocopia delle fatture e degli altri titoli di spesa ammessi nelle diverse azioni,

corredate da una dichiarazione resa dal legale rappresentante ai sensi del D.P.R. 445/2000 e ss.mm.ii., contenente l’elenco dettagliato riepilogativo delle fatture, nel quale deve essere attestata la conformità delle copie delle fatture agli originali, la regolarità fiscale, e deve essere dichiarato che la documentazione prodotta si riferisce a spese sostenute unicamente per la realizzazione dell’iniziativa finanziata e a fatture pagate a saldo senza che sulle stesse siano stati praticati sconti e abbuoni;

Il contributo, fermo restando il limite massimo concesso, potrà essere rideterminato sulla base delle spese effettivamente rendicontate.

5. OBBLIGHI DEL BENEFICIARIO

I beneficiari del finanziamento sono obbligati a:1. realizzare in modo puntuale e completo le iniziative finanziate in conformità alle finalità

dichiarate;2. comunicare alla Regione Liguria eventuali variazioni o modifiche sostanziali dei

contenuti degli interventi finanziati; sono ammesse variazioni o modifiche sostanziali nel limite massimo del 20% delle singole voci di spesa ammessa, purchè si resti entro il limite massimo della somma complessiva dichiarata ammissibile a finanziamento, e purché le modifiche non alterino le finalità dell’intervento.

3. conservare a disposizione della Regione Liguria , per un periodo di cinque anni, a decorrere dalla data di completamento delle iniziative finanziate, la documentazione originale di spesa;

4. per l’azione 4, non trasferire la proprietà o la disponibilità a qualsiasi titolo dei beni oggetto dell’investimento per la durata di cinque anni dalla data di completamento dell’investimento; nel caso di proprietà di immobili, non modificare la destinazione d’uso per 10 anni.

5. comunicare tempestivamente la rinuncia all’esecuzione dei progetti.

6. REVOCA E RINUNCIA

1. La revoca totale dell’agevolazione ed il conseguente recupero delle somme eventualmente già erogate, compresi gli interessi legali dal momento dell’erogazione a quello della restituzione, è prevista nei seguenti casi:a) perdita dei requisiti previsti per l’iscrizione e successiva cancellazione dall’Elenco

regionale delle organizzazioni del commercio equo e solidale, in riferimento al finanziamento in corso;

b) sottoscrizione di dichiarazioni mendaci e produzione di documenti falsi;2. Nel caso in cui il richiedente non abbia osservato quanto disposto al punto 5 sub 4, si

effettua una revoca parziale o totale dell’agevolazione concessa, secondo le seguenti modalità.Si procede alla revoca parziale dell’agevolazione, proporzionalmente all’importo dei beni distolti , nel caso in cui sia salvaguardata la funzionalità della parte restante dell’intervento finanziato e i suddetti trasferimenti o modifiche siano stati dichiarati spontaneamente dal beneficiario, entro 10 giorni.

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Si procede ad una revoca totale del contributo nel caso in cui i trasferimenti o le modifiche siano emersi solo a seguito di sopralluoghi o controlli effettuati da funzionari regionali.

3. Il soggetto che intenda rinunciare all’esecuzione totale o parziale dell’intervento o al finanziamento deve comunicarlo immediatamente alla Regione Liguria a mezzo lettera raccomandata. In tal caso le somme già erogate devono essere restituite entro 30 giorni gravate degli interessi legali. Analogo rimborso deve essere effettuato in caso di cessazione definitiva, a qualsiasi titolo, dell’attività dell’organizzazione.

4. Per gli interventi non ultimati, per qualsiasi motivo, ma risultanti funzionali alle finalità del progetto, potrà essere erogato un contributo rideterminato proporzionalmente all’iniziativa realizzata.

7. MODIFICHE DEI PROGETTILe modifiche sostanziali dei progetti ammessi a finanziamento devono essere autorizzate preventivamente del Settore.

8. NON CUMULABILITÀ DEL CONTRIBUTOI contributi di cui al presente bando non sono cumulabili con alcuna agevolazione nazionale, regionale, o comunitaria concessa da enti o istituzioni pubbliche per analoghe iniziative.

9. GRADUATORIA DEGLI INTERVENTIQualora il numero delle istanze sia superiore allo stanziamento di bilancio previsto, il contributo verrà ridotto al fine di poter finanziare almeno un’iniziativa per ogni tipologia d’intervento.

10. INFORMATIVA AI SENSI DEL D.LGS. N. 196/2003 E DEL D.P.R. N. 445/2000Si informa, ai sensi del D. Lgs. 196/2003, che i dati acquisiti saranno utilizzati esclusivamente per le finalità relative al procedimento amministrativo per i quali vengono raccolti, con le modalità previste dalla normativa vigente.Si informa che ai sensi del D.P.R. n. 445/2000 verranno effettuati idonei controlli sulla veridicità delle dichiarazioni sostitutive.

C. DISPOSIZIONI TRANSITORIE

- Per il primo anno di applicazione della legge, per poter presentare domanda di contributo per gli interventi di cui al presente bando , è sufficiente aver presentato istanza di iscrizione nell’Elenco, fermo restando che la concessione del contributo è comunque subordinata all’avvenuta iscrizione nell’Elenco medesimo.

- Il bando per gli enti locali che abbiano inserito come obbligatori nei loro capitolati di appalto per l’acquisizione di beni e servizi da terzi i prodotti del commercio equo e solidale, verrà pubblicato a valere sugli eventuali stanziamenti del bilancio 2008.

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REGIONE LOMBARDIA

PROGETTO DI LEGGE N. 0128

di iniziativa dei Consiglieri:

Saponaro, Monguzzi

Interventi regionali a favore del commercio equo e solidale.

PRESENTATO IL 10/01/2006

Progetto di Legge

“Interventi regionali a favore del commercio equo e solidale”

di iniziativa dei consiglieri

Marcello Saponaro (Verdi),

Carlo Monguzzi (Verdi)

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RELAZIONE

Il presente progetto di legge ha come obiettivo il sostegno al commercio equo e solidale, sia in quanto importante realtà associativa e di volontariato lombarda, sia in quanto forma di cooperazione internazionale a favore dei paesi del Sud del mondo.

Per commercio equo e solidale (C.E.S.) si intende una forma di commercio alternativa alle logiche di profitto ad ogni costo e di disuguaglianza che informano gli scambi commerciali con il sud del mondo. Il commercio equo e solidale si caratterizza infatti per la centralità e la trasparenza delle relazioni tra produttore, distributore, commerciante e consumatore finale.I progetti di commercio equo e solidale favoriscono un giusto riconoscimento al lavoro dei contadini e degli artigiani del sud del mondo che, riuniti in cooperative, riescono a finanziare scuole, ambulatori e ulteriori progetti con i proventi del loro lavoro. Le agenzie importatrici dal canto loro si impegnano a pagare prezzi fissi prestabiliti, e spesso anticipano il denaro per garantire la continuità dei progetti collaterali.Le botteghe del mondo (così vengono chiamati i negozi che vendono esclusivamente o principalmente prodotti del C.E.S.) si caratterizzano per il loro essere prevalentemente basati sul lavoro volontario, e per essere luoghi in cui il consumatore ritrova la propria consapevolezza di cittadino del mondo. Oltre a garantire qualità, rispetto dell’uomo e dell’ambiente per i suoi prodotti, il commercio equo e solidale è infatti un canale privilegiato per avvicinarsi alla cooperazione internazionale, all’associazionismo locale, così come alla finanza etica, al microcredito e in generale ad uno stile di consumo sobrio e critico.

La Comunità Europea già da diversi anni ha invitato gli Stati membri a promuovere la cultura del commercio equo e solidale (Risoluzione del Parlamento Europeo 8 ottobre 1991, Risoluzione A3-0373/93 e Risoluzione 198/98/CE) ed entrambi i rami del Parlamento italiano hanno approvato mozioni il cui obiettivo è favorire l’impegno delle istituzioni nella promozione del C.E.S..Con il presente progetto di legge si vuole rispondere concretamente a questi appelli, favorendo momenti di formazione e sensibilizzazione sulle tematiche del C.E.S., dando il via allla giornata regionale del commercio equo e regionale, e istituendo un apposito capitolo di bilancio “Spese per contributi ad investimenti e al cofinanziamento di progetti di cooperazione allo sviluppo tramite commercio equosolidale” con cui finanziare le diverse attività descritte all’articolo 3.

Dai dati del rapporto Eurispes 2002 risultavano in Italia circa 400 botteghe di cui 264 al Nord, la metà delle quali concentrata in Lombardia. Delle 10 centrali d’importazione italiana, una ha sede in Lombardia. Essendo il C.E.S. un fenomeno in larga crescita, su cui non esistono dati precisi, ma che, viste le forti valenze etiche, necessita un monitoraggio costante, il presente progetto di legge si propone di creare un Albo regionale del commercio equo, che raggruppi le botteghe e le associazioni che rispondono a precisi standard.Il PDL in oggetto incoraggia inoltre il potenziamento delle botteghe esistenti e la nascita di altre e favorisce il loro coinvolgimento nella società civile, sociale ed economica della Lombardia.

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Art. 1 - Finalità.1. La Regione Lombardia, in coerenza con i principi e i dettati internazionali e costituzionali e con la Legge Regionale n. 20 del 5 giugno 1989, riconosce il valore sociale e culturale del commercio equo e solidale quale forma di cooperazione volta a realizzare scambi commerciali con produttori di paesi impoveriti che valorizzano produzioni, tradizioni e culture autoctone. In particolare dirette a valorizzare attività produttive indirizzate all'obiettivo dello sviluppo sostenibile e la partecipazione del movimento cooperativo dei paesi partners e salvaguardare i diritti dei lavoratori che prestano la loro opera in tali attività.2. La Regione per concorrere alla promozione e alla diffusione della cultura del commercio equo e solidale favorisce e sostiene la partecipazione della società lombarda ai progetti e agli interventi previsti dalla presente legge.

Art. 2 - Definizione.1. Il commercio equo e solidale è un approccio alternativo al commercio convenzionale; esso promuove giustizia sociale ed economica, sviluppo sostenibile, rispetto per le persone e per l'ambiente, per la crescita della cultura del consumo responsabile.2. Si qualifica per la relazione paritaria fra tutti i soggetti coinvolti nella catena di commercializzazione: produttori, lavoratori, importatori e consumatori, botteghe del mondo senza scopo di lucro.

Art. 3 - Tipologie di intervento.1. La Regione, per il conseguimento delle finalità di cui all'articolo 1 e nell'ambito delle proprie competenze, promuove, sostiene e coordina progetti di promozione del CES favorendo la formazione, l'aggregazione di risorse umane, tecniche e finanziarie.2. Attività finanziabili:a) iniziative culturali e azioni di sensibilizzazione;b) iniziative di formazione, anche a livello scolastico;c) iniziative nel campo della cooperazione;d) investimenti in infrastrutture per le botteghe e le organizzazioni iscritte all’Albo di cui all’art. 5;e) fondi di garanzia per linee di credito promossi da banca o soggetti autorizzati che perseguano una finanza etica o di solidarietà a favore di progetti promossi da botteghe del mondo;f) fino al quindici per cento dei maggiori costi conseguenti all'inserimento nei bandi della priorità di prodotti di commercio equo e solidali nelle mense scolastiche, nella ristorazione collettiva pubblica, nei centri automatici di distribuzione e bar interni;g) attività di consulenza legale e valorizzazione sul mercato dei prodotti del commercio equo e solidale;h) fiere periodiche del commercio equo e solidale;i) fino al cinquanta per cento dei costi sostenuti da istituti scolastici per interventi sul Commercio Equo, rivolti ai propri allievi/studenti/corpo docente e realizzati da soggetti iscritti all’albo;j) fino al cinquanta per cento degli oneri sociali relativi al personale (dipendenti, soci lavoratori o altre forme di lavoro previste dalle vigenti leggi) per un massimo di 1.500 euro/anno per bottega del mondo e per un periodo non superiore a cinque anni per addetto.3. La Regione organizza e promuove, insieme ai soggetti iscritti all’Albo di cui all’art. 5, l’annuale “giornata regionale del commercio equo e solidale”, quale momento di incontro tra la comunità lombarda e la realtà del commercio equo e solidale.

Art. 4 - Modalità di vendita.1. Ai soggetti iscritti all'Albo di cui all'articolo 6 è consentita la vendita dei beni commercializzati da posto non fisso in occasione di manifestazioni, fiere ed altre iniziative

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promozionali, anche in deroga alle disposizioni sul commercio su aree pubbliche.2. Le Botteghe del mondo rientrano tra le tipologie di attività previsti all’articolo 13 del DL 31 marzo 1998, n. 114, e pertanto non sono soggette a vincoli di orari o giorni di chiusura.

Art. 5 - Albo regionale degli operatori del commercio equo e solidale. 1. È istituito l’Albo regionale degli operatori del commercio equo e solidale. All’Albo possono aderire:a) gli enti che promuovono iniziative per lo sviluppo del commercio equo e solidale, di cui all'articolo 2, aventi una rappresentanza sociale a livello regionale ed un’organizzazione decentrata sul territorio in almeno tre province della Lombardia;b) soggetti che promuovono prevalentemente prodotti del commercio equo e solidale.2. Gli iscritti devono avere i seguenti requisiti:a) il fatturato deve provenire per almeno il settanta per cento dalla vendita di prodotti del commercio equo e solidale;b) essere organizzazioni senza fini di lucro;c) avere una struttura sociale a base democratica e aperta;d) aderire alla Carta italiana dei criteri del commercio equo e solidale ed essere iscritti all'AGICES.3. La Giunta regionale, entro sessanta giorni dall’entrata in vigore delle presente legge, disciplina la procedura e le modalità per l’iscrizione all’Albo e per il suo funzionamento e svolge su di esso attività di monitoraggio e vigilanza.

Art. 6 - Progetti di commercio equo solidale.1. I progetti di commercio equo solidale promuovono lo sviluppo umano attraverso:a) l’ampliamento delle opportunità di scelta di ciascun individuo attraverso un processo di sviluppo che sia sostenibile, che garantisca, cioè, almeno le stesse opportunità di scelta per le generazioni future;b) la valorizzazione, e il potenziamento, delle capacità di ciascuna persona come artefice, prima ancora che beneficiaria, del processo di sviluppo;c) l’integrazione delle azioni di promozione della crescita economica con azioni di riequilibrio sociale e culturale, nel rispetto delle differenze tra i popoli e le culture;d) la promozione delle pari opportunità tra uomo e donna e, della libera e democratica partecipazione alla vita pubblica della comunità.2. I progetti hanno come destinatari attivi nel Sud del Mondo le popolazioni interessate, che sono direttamente coinvolte nella produzione dei beni nonché iniziative culturali, di educazione e formazione allo sviluppo compatibile anche nel Nord del Mondo.3. I progetti si integrano altresì con i programmi di sviluppo e di lotta all'esclusione sociale sul territorio regionale.

Art. 7 - Presentazione e valutazione dei progetti.1. Le organizzazioni iscritte all’Albo di cui all’articolo 6, in seguito all’emanazione di un apposito bando, presentano all’assessorato competente i propri progetti, corredati da una relazione particolareggiata sull'intervento, dall'indicazione dei soggetti coinvolti, da un piano finanziario dettagliato e dall'indicazione dei tempi di realizzazione previsti e dei finanziamenti disponibili.3. L'Assessore competente trasmetterà, entro quindici giorni, il prospetto dei progetti alla competente Commissione consiliare che, nei quindici giorni successivi, esprimerà il proprio parere sui progetti da ammettere al cofinanziamento regionale, in armonia con la legge regionale 5 giugno 1989, n° 20.

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Art. 8 - Patrocinio, cofinanziamento regionale e partecipazione diretta della Regione.1. La Giunta regionale, nei trenta giorni successivi al ricevimento del parere di cui all'articolo 7, comma 3, delibera:a) quale quota del capitolo di spesa definito in sede di Bilancio va ad contributo per investimenti nella misura massima del cinquanta per cento, e la quota a fondo garanzia per linee di credito di banca etica o soggetti autorizzati di cui all'articolo 3 lettera e);b) quali progetti ammettere al patrocinio regionale;c) quali progetti ammettere al cofinanziamento regionale;d) quale contributo ai fondi garanzia ai sensi dell'articolo 3 lettera e).2. Il cofinanziamento regionale non può in ogni caso eccedere la quota del quaranta per cento del costo complessivo preventivato del progetto.3. In sede di assegnazione del contributo la Giunta regionale indica il termine entro cui il progetto stesso deve essere realizzato, disponendo l'erogazione di una prima quota non inferiore al cinquanta per cento del contributo assegnato.4. L'erogazione della quota residua di contributo viene disposta con determinazione dirigenziale, a seguito della presentazione di una relazione che dimostri lo stato di attuazione del progetto e documenti la spesa della prima quota di contributo.5. La partecipazione diretta della Regione ai programmi, può avvenire su iniziativa propria, ovvero in adesione a proposte dei competenti organi nazionali o di altre regioni.6. Nel caso di contributi assegnati per la realizzazione dei programmi di cui all'articolo 7, la Giunta regionale individua, in sede di assegnazione del contributo, il beneficiario e le modalità di pagamento, sulla base dei relativi programmi.

Art. 9 - Obblighi dei beneficiari dei contributi1. I beneficiari dei contributi di cui all'articolo 1, comma 2, nel termine dei trenta giorni successivi alla conclusione del progetto, presentano alla Giunta regionale una relazione finale corredata della rendicontazione finanziaria, in cui siano evidenziati il raggiungimento degli obiettivi fissati.2. La mancata presentazione delle relazioni di cui al comma 1 del presente articolo, comporta la sospensione dei contributi in corso di realizzazione del progetto o la revoca degli stessi.

Art. 10 - Norma transitoria1. In fase di prima attuazione della presente legge sono riconosciuti i diritti conseguenti all'iscrizione all'Albo ex articolo 6 alle associazioni e le botteghe che documentino di essere operativi da almeno tre anni e autocertifichino di possedere i requisiti richiesti per l'iscrizione.2. La modifica della figura giuridica dei soggetti iscritti all’albo non pregiudica il mantenimento dell’iscrizione.

Art. 11 - Norma finanziaria1. Per le finalità di cui alla presente legge è autorizzata, per l'anno 2006, la spesa di euro 2.500.000 da iscrivere, in termini di competenza e di cassa, al capitolo di nuova istituzione nel bilancio 2006, denominato: "Spese per contributi ad investimenti e al cofinanziamento di progetti di cooperazione allo sviluppo tramite commercio equosolidale".

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CONSIGLIO REGIONALE DEL VENETO

OTTAVA LEGISLATURA

PROGETTO DI LEGGE N. 191

PROPOSTA DI LEGGE d'iniziativa dei Consiglieri Franchetto, Causin, Frigo, Berlato Sella, Diego Bottacin, Michieletto, Trento, Variati e Frasson *

INTERVENTI REGIONALI A FAVORE DEL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE PER VALORIZZARE PRODUZIONI, TRADIZIONI E CULTURE DEI PAESI IN VIA DI SVILUPPO

Presentato alla Presidenza del Consiglio il 16 ottobre 2006.Trasmesso alle Commissioni consiliari Prima, TERZA e Sesta e ai Consiglieri regionali il 26 ottobre 2006.

* Con nota del 19 luglio 2007, ns. prot. 8443 del 20 luglio 2007, il consigliere Flavio Frasson ha sottoscritto la proposta di legge.

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INTERVENTI REGIONALI A FAVORE DEL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE PER VALORIZZARE PRODUZIONI, TRADIZIONI E CULTURE DEI PAESI IN VIA DI SVILUPPO

R e l a z i o n e:

Uno dei mercati in più rapida crescita al mondo. È quanto emerge dai dati dell'ultimo rapporto di FINE, la rete delle organizzazione europee di commercio equo. Una crescita a doppia cifra, una media del 20 per cento all'anno a partire dal 2000.

La ricerca, dal titolo Fair Trade in Europe 2005 è stata condotta in 25 paesi europei e mostra come le vendite di prodotti equosolidali negli ultimi cinque anni siano più che raddoppiate, e che i valori di vendita al dettaglio abbiano ormai superato i 660 milioni di euro annui. Cifre e volumi impensabili soltanto pochi anni fa sui quali "pesa", e non poco, la diffusione dei prodotti equi nelle grandi catene della Grande Distribuzione Organizzata.

I prodotti solidali infatti sono sugli scaffali di oltre 55.000 supermercati e hanno raggiunto, in alcuni Paesi, delle quote di mercato impressionanti.

Dai suoi modesti inizi negli anni '50, il movimento del commercio equo è cresciuto coinvolgendo nel suo circuito più di 5 milioni di produttori, 200 organizzazioni importatrici, 2.800 Botteghe del Mondo, 100.000 volontari. Sono questi i numeri degli attori che ogni giorno, con il loro lavoro, contribuiscono alla diffusione dei prodotti equosolidali in Europa.

In Italia, dove il movimento del commercio equo si è diffuso a partire dagli anni '80, il fatturato delle nove maggiori organizzazioni importatrici ha raggiunto gli oltre 41 milioni di euro. In particolare, il consorzio Cooperativa Terzo Mondo (CTM) Altromercato, ormai una delle organizzazioni più grandi in Europa, ha visto in soli due anni una crescita del proprio fatturato da 22.4 a 34.3 milioni di euro. Positivi anche i dati delle vendite dei prodotti a marchio Fairtrade TransFair Italiache hanno raggiunto i circa euro 20 milioni.

Oltre alle Botteghe del Mondo, circa 500 in tutta Italia, i prodotti solidali sono ormai disponibili in oltre 4.000 supermercati.

Ma, al di là dei numeri, quello che emerge dal rapporto, è sicuramente un aumento della conoscenza del commercio equo e dei suoi principi. Dall'Associazione dei parlamentari per il commercio equo (AIES), alle leggi regionali sul commercio equo, dalla nascita dell'AGICES (Assemblea generale italiana per il commercio equo e solidale) alle esperienze di fair procurement, le evoluzioni del Fair Trade nel nostro Paese dimostrano che il commercio equo non rappresenta un fenomeno di moda o un mercato di nicchia, ma un modello di sviluppo efficace e capace di produrre un'alternativa sostenibile nel Nord e nel Sud del mondo.

Le organizzazioni che operano per un commercio equo e solidale sono accreditate a livello mondiale e monitorate da specifiche organizzazioni. Per l’Italia c’è l’AGICES (Assemblea generale italiana del commercio equo e solidale) che accredita e monitora le organizzazioni italiane e i produttori che lavorano con esse.

Il sistema di accreditamento e monitoraggio delle organizzazioni equo solidali si basa su standard definiti a livello mondiale da IFAT (International Federation for Alternative Trade) e declinati in indicatori specifici regionali o nazionali. L’intero sistema è orientato a verificare che l’organizzazione persegua effettivamente le finalità del commercio equo e solidale in un’ottica di effettivo supporto per i piccoli produttori e di trasparenza verso i consumatori.

In Italia le Associazioni impegnate nel commercio equo e solidale hanno approvato una “Carta italiana dei criteri del Commercio equo e solidale” che indica non solo i valori umanitari di solidarietà e partecipazione e le norme di comportamento e ma anche la mission.

Missione riconosciuta anche dalla risoluzione del Parlamento europeo n. 198/98,

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grazie alla quale il commercio equo e solidale esce dall'ambito riduttivo di forma nobile di assistenza, viene riconosciuta come un efficace prospettiva di sviluppo, trade not aid, capace di dare un contributo non solo all'economia ma allo sviluppo dei valori civili: democrazia, rispetto dei diritti.

In Italia la prima esperienza nasce a Bolzano ed ha in Verona la sede operativa di maggior rilievo. In Italia i punti di vendita di commercio equo e solidale sono 374 e coinvolgono 1.500 volontari per un fatturato superiore a euro 16.100.000; i supermercati che vendono prodotti equosolidali sono 2.620.

In Veneto si contano oggi circa 25 botteghe del mondo (intese come persone giuridiche, associazioni o cooperative) che gestiscono complessivamente oltre 60 punti vendita in regione, animati da gruppi di volontari. In complesso sono più di mille i volontari impegnati con continuità nelle botteghe venete, e circa 100 addetti regolarmente retribuiti in Veneto.

A Verona è attivo il magazzino e la sede operativa della più grande organizzazione italiana di commercio equo e solidale (la seconda al mondo per dimensioni e attività), il Consorzio CTM Altromercato.

Indubbiamente, quanto premesso connota di un alto indice valoriale il presente Progetto di legge che si propone di promuovere e sostenere il commercio equo e solidale sul territorio Veneto, di riconoscerne l'importante ruolo educativo nella nostra società e di favorirne lo sviluppo, attraverso la promozione e il sostegno dei soggetti del commercio equo e solidale.

La Regione si prefigge di sostenere e promuovere le reti e i singoli soggetti che operano nel campo della commercializzazione dei prodotti del commercio equo e solidale e che si fanno carico della promozione della cultura della cooperazione internazionale, della solidarietà, dell’equità e della pace.

Il presente progetto di legge vuole inoltre rispondere ad una esigenza di chiarezza e di inquadramento giuridico nei confronti di un fenomeno in progressiva crescita, non solo economica, quale quello del commercio equo e solidale, che rappresenta un universo vasto e variegato al cui interno gravitano associazioni, di volontariato e non, cooperative, consorzi e botteghe.

La promozione del consumo critico e consapevole attraverso l’acquisto dei prodotti del commercio equo e solidale, in particolar modo tra i più giovani, permette di sviluppare una capacità critica negli acquisti attraverso un atteggiamento responsabile e consapevole, che spinge ad acquistare non solo sulla base del prezzo e della qualità ma anche della provenienza dei prodotti e del comportamento delle imprese produttrici, privilegiando quelle che rispettano l'uomo, l'ambiente e il mercato;

Il commercio equo e solidale in senso proprio, promosso dalle organizzazioni iscritte all’AGICES e dal movimento delle Botteghe del Mondo, va oltre la garanzia del prodotto ed assicura che l'intera filiera è qualificata dall'azione culturale e di presa di coscienza da parte del consumatore finale dei propri diritti e doveri verso il sud del Mondo, verso l'ambiente, verso la sobrietà dei consumi stessi.

Con il presente progetto di legge si intende riconoscere il valore sociale e culturale del commercio equo e solidale e sostenerlo a pieno titolo come elemento integrante della politica di cooperazione allo sviluppo e di relazioni commerciale del Veneto verso Paesi che diventano sempre più poveri. Si intende altresì prendere atto della natura di ONLUS delle botteghe del mondo e delle organizzazioni iscritte all'AGICES.

Il progetto di legge non crea nuove sovrastrutture o nuovi vincoli, ma in fondo prende atto, riconosce e dà validità ad una organizzazione delle associazioni che da anni si dedicano al commercio equo e solidale e che per prime si sono autoregolamentate e hanno individuato codici di comportamento e di autocontrollo, alfine di acquisire credibilità sia presso i produttori dei Paesi meno sviluppati sia presso i consumatori.

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Dopo aver definito in modo sintetico le finalità della legge e gli obiettivi per i quali il consumatore responsabile intende dare il proprio, il progetto di legge passa (articolo 2) a definire la connessa attività commerciale e ad individuare i soggetti che la esercitano e i codici di comportamento.

All’articolo 3 si va a definire le caratteristiche dei prodotti , oggetto del commercio equo e solidale con l’intento di prevenire ogni degenerazione e garantire il consumatore non solo sulla bontà e provenienza del prodotto, ma anche nel rispetto delle finalità distintive di tale attività commerciale.

Per questo si fa rinvio ad uno specifico disciplinare di prodotto e ad organismi di certificazione individuati in accordo con le Associazioni.

Viene istituito (articolo 4) il Registro regionale del Commercio equo e solidale con specifico riferimento ai criteri già assunti per l’iscrizione al Registro italiano delle organizzazioni di commercio equo e solidale (RIOCES) e validati dall’associazione Assemblea generale italiana del commercio equo e solidale (AGICES), organismo che raggruppa tutte le organizzazioni riconosciute in Italia.

Gli obiettivi umanitari e le finalità non lucrative del Commercio equo e solidale meritano attenzione da parte delle pubbliche amministrazioni (articolo 6) specialmente nel sostenere l’informazione e l’educazione al consumo consapevole presso le giovani generazioni.

L’articolo 7 riconosce ed estende alle organizzazioni iscritte nel Registro regionale del commercio equo e solidale i benefici previsti per le altre attività commerciali, sia nell’ambito della qualità e dell’innovazione, del turismo e dei servizi che per quanto riguarda l’accesso al credito e l’attività nelle aree pubbliche. Alle organizzazioni è riconosciuta ogni priorità nell’accesso agli aiuti finanziari regionali del settore.

L’aspetto caratterizzante il commercio equo e solidale è legato alla cooperazione internazionale che la legge regionale 16 dicembre 1999, n. 55 già sostiene. Per questo (articolo 5) l’attività del commercio equo e solidale va strettamente connessa con le azioni ivi previste, specialmente nell’ambito del programma triennale degli interventi di promozione dei diritti umani e della cultura di pace. Chiaramente, con l’aumento degli obiettivi e azioni, in sede di approvazione del bilancio annuale vanno previsti maggiori finanziamenti a favore dell’attuazione della legge regionale n. 55/1999.

Al fine di alimentare la sensibilità nelle persone verso i problemi del Terzo mondo e sostenere l’attività del commercio equo e solidale le organizzazioni sono direttamente protagoniste de “La giornata veneta del mercato equo e solidale e del consumo critico”, già prevista dalla citata legge regionale n. 55/1999, ma a cui si deve dare impulso e diffusa realizzazione.

Conseguentemente una rappresentanza dei soggetti che si dedicano al commercio equo e solidale integrerà (articolo 10) il Comitato per la cooperazione allo sviluppo previsto dall’articolo 14 della legge regionale n. 55/1999, evitando così la moltiplicazione di ulteriori organismi aventi medesime finalità.

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INTERVENTI REGIONALI A FAVORE DEL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE PER VALORIZZARE PRODUZIONI, TRADIZIONI E CULTURE DEI PAESI IN VIA DI SVILUPPO

Art. 1 - Oggetto e finalità.1. La Regione Veneto, nel quadro delle politiche a sostegno della cooperazione

internazionale promuove e riconosce il ruolo svolto dal commercio equo e solidale nell’offrire maggiori opportunità di accesso al mercato ai piccoli produttori svantaggiati e ai lavoratori dei Paesi economicamente meno sviluppati e, in tal modo, contribuire all’estensione della giustizia e dell’equità sociale ed economica, dello sviluppo sostenibile ed ecocompatibile e dei sistemi di partecipazione al consumo consapevole.

2. Il commercio equo e solidale si fonda sul comportamento del consumatore, il quale, esercitando un consumo consapevole, ha la possibilità di elevare il tenore di vita dei produttori nei paesi in via di sviluppo all’interno di comportamenti orientati al mercato ed attenti alle forme di commercio leale.

Art. 2 - Individuazione dell’attività e dei soggetti del commercio equo e solidale.1. Con commercio equo e solidale (Fair trade) si intende quella forma di attività

commerciale, anche internazionale, nella quale l'obiettivo primario non è la massimizzazione del profitto, bensì di garantire ai produttori ed ai lavoratori dei Paesi in via di sviluppo un trattamento economico e sociale equo e rispettoso che si contrappone alle pratiche di commercio basate sullo sfruttamento.

2. Sono soggetti del commercio equo e solidale, le persone giuridiche senza scopo di lucro che conformano la propria attività ai contenuti della "Carta italiana dei criteri del commercio equo e solidale".

3. La certificazione dei prodotti di cui all’articolo 3 deve trovare complementarietà nella definizione, attraverso il regolamento di cui all’articolo 5, di codici di comportamento per coloro che esercitano l’attività di commercio equo e solidale anche con riferimento a la Clean Clothes Campaign e la Ethical Trading Iniziative, nonché dall'applicazione trasparente di criteri e meccanismi di controllo autonomi e condivisi.

Art. 3 - Individuazione dei prodotti del commercio equo e solidale.1. Sono considerate oggetto di commercio equo e solidale quelle merci alimentari e di

artigianato prodotte nei paesi del Sud del mondo che presentano, per natura e/o per processi produttivi di coltivazione e/o di lavorazione, caratteristiche particolari e distinte rispetto ai prodotti generalmente commercializzati sul mercato, e contraddistinti per l’importanza del contenuto sociale degli stessi.

2. L’attività di commercio equo e solidale deve essere improntata al criterio della trasparenza per garantire i consumatori sulle specifiche caratteristiche nutrizionali/alimentari dei singoli prodotti, sulla loro provenienza e autenticità, e per rendere il consumatore consapevole e pienamente informato circa la destinazione di ogni componente del prezzo pagato per il prodotto. A tale fine va favorita l’introduzione di un sistema di monitoraggio e certificazione che garantisca i soggetti (produttori, trasformatori, commercianti, acquirenti, consumatori) coinvolti nella filiera produttiva e nel processo del commercio equo e solidale, e i singoli prodotti.

3. Le modalità per l’individuazione dei prodotti del commercio equo e solidale sono definite con uno specifico disciplinare di prodotto, secondo le modalità indicate dal regolamento di attuazione di cui all’articolo 5.

4. La Giunta regionale, sentite le associazioni maggiormente rappresentative a livello regionale, riconosce gli organismi di certificazione che stabiliscono i criteri affinché un prodotto possa recare il marchio del commercio equo e solidale. Tali marchi debbono essere

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affiliati alla FLO (Fair Trade Labelling Organizations International) che garantisce il coordinamento a livello europeo ed internazionale.

Art. 4 - Istituzione del Registro regionale del commercio equo e solidale.1. È istituito il Registro regionale del commercio equo e solidale a cui sono iscritti

coloro che esercitano l’attività commerciale di cui all’articolo 2 in forma stabile nel territorio regionale.

2. Il Registro regionale è istituito secondo le modalità indicate nel Regolamento di attuazione di cui all’articolo 5.

3. Nelle more istitutive del Registro regionale, l’iscrizione al "Registro italiano delle organizzazioni di commercio equo e solidale" (RIOCES) è sostitutiva dell’iscrizione.

Art. 5 - Regolamento.1. Entro centottanta giorni dall’entrata in vigore della presente legge la Regione,

sentite le associazioni del commercio equo e solidale maggiormente rappresentative a livello regionale, approva il regolamento attuativo di cui all’articolo 3, con cui dispone:a) i criteri, i requisiti e le modalità per l’iscrizione, la sospensione e la revoca al Registro regionale del commercio equo e solidale;b) l’istituzione ed il funzionamento del disciplinare di prodotto e relativa certificazione;c) i criteri per il monitoraggio e la certificazione delle attività di commercio equo e solidale;

2. Nello stabilire le modalità di funzionamento del Registro ed i requisiti di iscrizione, si tiene conto anche delle risultanze delle attività svolte dall’“Associazione assemblea generale italiana del commercio equo e solidale” (AGICES) in merito al “Registro italiano delle organizzazioni di commercio equo e solidale” (RIOCES).

3. I costi di gestione del Registro sono a carico dei soggetti richiedenti l’iscrizione e/o cancellazione e/o variazioni.

Art. 6 - Promozione del commercio equo e solidale.1. La Giunta regionale, in collaborazione con le organizzazioni interessate, promuove

nelle scuole specifiche azioni educative finalizzate al rafforzamento del diritto del consumatore ad essere informato non solo sul prodotto, ma anche sugli effetti ambientali e sociali derivanti dalla sua produzione e commercializzazione. I programmi delle azioni educative sono realizzati dalle istituzioni formative nel rispetto del principio dell’autonomia scolastica, e possono prevedere il concorso progettuale, organizzativo e finanziario degli enti locali e delle associazioni maggiormente rappresentative del commercio equo e solidale e dei soggetti di cui all’articolo 4.

Art. 7 - Incentivi alle imprese del commercio equo e solidale.1. I soggetti, di cui all’articolo 2 della presente legge, iscritti al Registro regionale del

commercio equo e solidale di cui all’articolo 4, sono inclusi tra i beneficiari degli interventi di cui alla legge regionale 10 aprile 1998, n. 16 “Interventi regionali a favore della qualità e dell’innovazione nei settori del commercio, del turismo e dei servizi”, alla legge regionale 18 gennaio 1999, n. 1 “Interventi regionali per agevolare l’accesso al credito nel settore del commercio”, alla legge regionale 6 aprile 2001, n. 10 “Norme in materia di commercio su aree pubbliche”. Ad essi è riconosciuta la priorità nell’accesso agli aiuti ed agli investimenti stabiliti nelle misure ed azioni indicate nelle citate leggi.

2. Nell’ambito dello strumento di programmazione di cui alla legge regionale 10 aprile 1998, n. 16 “Interventi regionali a favore della qualità e dell’innovazione nei settori del commercio, del turismo e dei servizi” la Giunta regionale può prevedere specifiche misure a

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sostegno del rafforzamento del sistema delle imprese esercenti in Veneto il commercio equo e solidale.

Art. 8 - La cooperazione internazionale e soggetti del commercio equo e solidale.1. La Giunta regionale, al fine di promuovere forme di commercio leale e pratiche

commerciali eticamente corrette, dispone affinché, nell’ambito del programma triennale degli interventi di promozione dei diritti umani e della cultura di pace, di cui alla articolo 3, e del conseguente piano annuale di attuazione, di cui all’articolo 4 della legge regionale 16 dicembre 1999, n. 55 “Interventi regionali per la promozione dei diritti umani, la cultura di pace, la cooperazione allo sviluppo e la solidarietà”, sia inserita una specifica e periodica azione rivolta a favorire la nascita, lo sviluppo ed il consolidamento delle relazioni commerciali ispirate ai principi del commercio equo e solidale, rafforzando il proprio ruolo anche nei progetti di cooperazione decentrata e solidarietà internazionale in qualità di partner commerciale qualificato ed affidabile verso i Paesi in via di sviluppo.

Art. 9 - Istituzione della “Giornata regionale del commercio equo e solidale”.1. La Giunta regionale, nell’ambito della Conferenza sulla cooperazione allo sviluppo

prevista dall’articolo 20 della legge regionale16 dicembre 1999, n. 55, di concerto con l’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale e con la collaborazione dei soggetti di cui all’articolo 3, organizza annualmente la manifestazione denominata “La giornata veneta del mercato equo e solidale e del consumo critico”, già prevista dall’articolo 20, comma 2, lettera b) della legge regionale n. 55/1999, per promuovere la vendita dei prodotti, provenienti dai Paesi internazionalmente riconosciuti in via di sviluppo, da parte di istituzioni e associazioni italiane o di immigrati provenienti dai relativi Paesi che si occupano, senza fini di lucro, di commercio equo e solidale.

Art. 10 - Rappresentanza dei soggetti del commercio equo e solidale.1. Il Comitato per la cooperazione allo sviluppo previsto dall’articolo 14 della legge

regionale 16 dicembre 1999, n. 55 “Interventi regionali per la promozione dei diritti umani, la cultura di pace, la cooperazione allo sviluppo e la solidarietà” è integrato da tre componenti nominati dai soggetti iscritti nel Registro di cui all’articolo 4.

Art. 11 - Attività di monitoraggio.1. Entro tre anni dall’applicazione della presente legge, la Giunta regionale trasmette al

Consiglio regionale una relazione sullo stato di attuazione della presente legge finalizzata ad una valutazione della legge stessa e dei suoi effetti. I contenuti della relazione sono definiti dal regolamento attuativo.

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CONSIGLIO REGIONALE DEL VENETO

OTTAVA LEGISLATURA

PROGETTO DI LEGGE N. 203

PROPOSTA DI LEGGE d'iniziativa dei Consiglieri Piccolo, De Boni, Valdegamberi, Silvestrin, Bazzoni, Bonfante, Fontanella, Bertipaglia, Cancian, Frigo, Zabotti, Berlato Sella, Trento, Teso e Frasson *

INTERVENTI IN MATERIA DI PROMOZIONE E SOSTEGNO DEL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE NELLA REGIONE VENETO

Presentato alla Presidenza del Consiglio il 10 novembre 2006.Trasmesso alle Commissioni consiliari Prima e TERZA e ai Consiglieri regionali il 24 novembre 2006.

* Con nota del 19 luglio 2007, ns. prot. 8442 del 20 luglio 2007, il consigliere Flavio Frasson ha sottoscritto la proposta di legge.

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INTERVENTI IN MATERIA DI PROMOZIONE E SOSTEGNO DEL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE NELLA REGIONE VENETO

R e l a z i o n e:

Il presente PDL si propone di promuovere e sostenere il Commercio Equo e Solidale nelle sue varie espressioni sul territorio Veneto, di riconoscerne l'importante ruolo nella società e di favorire lo sviluppo nel Territorio, anche in funzione di un supporto alle comunità venete presenti nei paesi Terzi, attraverso l'istituzione del Coordinamento regionale della Rete del Commercio Equo e Solidale, dell’Albo regionale del Commercio Equo e Solidale e della Conferenza regionale del Commercio Equo e Solidale.

La Regione si prefigge in tal modo di fornire a tutti i soggetti interessati garanzie di trasparenza e correttezza sulle modalità produttive e sulle prassi operative ed organizzative attuate in Veneto e nei paesi del Sud del mondo. In tal modo può essere incoraggiata la diffusione e l'uso dei prodotti del Commercio Equo e Solidale fra i privati e, al contempo, può anche essere estesa a enti, istituzioni e organismi pubblici, sia attraverso la stipula di convenzioni con gli enti iscritti all'Albo regionale che nelle procedure di asta pubblica, licitazione privata, appalto concorso e trattativa privata attraverso l'acquisto di prodotti del Commercio Equo e Solidale.

Il presente progetto di legge vuole rispondere ad una esigenza di chiarezza e di inquadramento giuridico nei confronti di un fenomeno in progressiva crescita, non solo economica, quale quello del Commercio Equo e Solidale, che rappresenta un universo vasto e variegato al cui interno gravitano soggetti sia del Mondo non-profit che delle imprese venete che sempre in misura maggiore si interessano al fenomeno di un Commercio equo.

Il soggetto primario a cui si rivolge il presente PDL, è composto dalle Botteghe del Commercio Equo e Solidale, luoghi dove gli acquirenti si trasformano in "consumatori consapevoli", più sobri ed essenziali.

Le Botteghe del Mondo diventano in tale dinamica il veicolo per informare e far partecipare i consumatori anche alle tematiche connesse al Commercio Equo e Solidale: dalla finanza etica, al microcredito, alla cooperazione sociale, al consumo critico e consapevole.

La finanza etica, infatti, è costituita da un'attività di finanziamento delle attività di tipo imprenditoriale di promozione umana, sociale e ambientale alla luce della valutazione etica ed economica del loro impatto su società e ambiente; il microcredito è, invece, uno strumento di sviluppo economico che permette alle persone in situazione di povertà ed emarginazione di avere accesso a servizi finanziari, che solitamente sono appannaggio esclusivo dei ricchi; il consumo critico e consapevole, consiste nello sviluppare una capacità critica negli acquisti attraverso un atteggiamento responsabile e consapevole, che spinge ad acquistare non solo sulla base del prezzo e della qualità ma anche della provenienza dei prodotti e del comportamento delle imprese produttrici, privilegiando quelle che rispettano l'uomo l'ambiente e il mercato.

Questa proposta di legge incoraggia inoltre, attraverso vari strumenti i soggetti principali del Commercio Equo e Solidale a incrementare una progettualità che valorizzi appieno le proprie capacità e competenze professionali per l'elaborazione e la realizzazione di azioni ed interventi in paesi del Sud del mondo, nonché la spinta di imprenditoria anche non-profit che da sempre anima la nostra Regione.

Il PDL ha anche l'obiettivo di sensibilizzare e informare i cittadini a livello comunale, provinciale e regionale anche attraverso iniziative culturali ed educative sul Commercio Equo e Solidale e sulle tematiche ad esso connesse, quali ad esempio il consumo critico e

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consapevole, al fine di favorire la diffusione di una "cultura della cooperazione internazionale ispirata a principi di solidarietà, tutela dei diritti delle persone, dell'ambiente e delle comunità, nell'ottica di uno sviluppo globale sostenibile ed ecocompatibile". Il tutto in sintonia con importanti indicazioni provenienti dalla Unione europea sia a livello di Commissione che di Parlamento, nonché le importanti mozioni votate alla unanimità dal Parlamento e dal Senato della Repubblica italiana nella passata legislatura nei mesi di febbraio e maggio 2003.

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INTERVENTI IN MATERIA DI PROMOZIONE E SOSTEGNO DEL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE NELLA REGIONE VENETO

Art. 1 - Principi e finalità.1. La Regione Veneto, in linea con la risoluzione del Parlamento europeo 8 ottobre

1991 sul sostegno attivo ai piccoli coltivatori di caffè del Sud del mondo mediante una politica mirata di approvvigionamento e di introduzione di tale prodotto nelle istituzioni comunitarie, con la risoluzione del Parlamento europeo n. A3-0373/93 del 19 gennaio 1994 sulla promozione del Commercio Equo e Solidale e con la risoluzione del Parlamento europeo n. 198/98/CE sul Commercio Equo e Solidale, nonché della mozione al Senato della Repubblica approvata il 6 febbraio 2003 e promuove e sostiene la diffusione del Commercio Equo e Solidale e riconosce il ruolo da questo svolto:a) nella creazione di un'economia solidale, in particolare nel miglioramento dell'accesso al mercato dei produttori svantaggiati dei paesi del Sud del mondo;b) nell'approccio alternativo al commercio convenzionale finalizzato all'estensione della giustizia ed equità sociale ed economica, dello sviluppo sostenibile ed ecocompatibile e dei sistemi di partecipazione consapevole;c) nella diffusione di scambi economici basati sul rispetto delle persone e, soprattutto, della loro dignità;d) nel sostegno alle forme di microcredito, alla finanza etica e alla cooperazione sociale.

2. La Regione favorisce lo sviluppo sul territorio Veneto di reti locali, a livello cittadino, provinciale e regionale, delle botteghe e del Commercio Equo e Solidale e a tal fine istituisce l'Albo regionale del Commercio Equo e Solidale.

3. La Regione, promuove azioni e iniziative volte alla diffusione di una cultura della cooperazione internazionale ispirata a principi di solidarietà, educazione alla pace e alla mondialità tutela dei diritti delle persone, dell'ambiente e delle comunità, nell'ottica di uno sviluppo globale sostenibile ed ecocompatibile, anche attraverso il finanziamento di progetti di Commercio Equo e Solidale nei paesi del Sud del mondo, di cui all'articolo 6.

4. La Regione promuove altresì attività educative, di informazione e di sensibilizzazione sul tema del Commercio Equo e Solidale e dei comportamenti etici, in ambito scolastico ed extra scolastico, a livello comunale, provinciale e regionale.

Art. 2 - Obiettivi.1. La Regione, nell'ambito delle proprie competenze, nell'attuazione della presente

legge, persegue i seguenti obiettivi:a) favorire e sostenere lo sviluppo di una rete di soggetti attivi nel Commercio Equo e Solidale sul territorio Veneto, attraverso l'istituzione di un organo di coordinamento degli enti del Commercio Equo e Solidale;b) fornire ai consumatori, pubblici e privati, garanzie di trasparenza e correttezza sui prodotti e sull'attività degli enti del Commercio Equo e Solidale;c) promuovere la diffusione dei prodotti del Commercio Equo e Solidale anche fra gli enti locali, gli enti pubblici, le istituzioni e gli organismi della Regione;d) attribuire la possibilità agli enti iscritti all'Albo regionale di usufruire di agevolazioni e contributi, a seguito dell'elaborazione di progetti destinati a paesi del Sud del mondo e per l'avvio, al fine di una maggiore diffusione sul territorio regionale,del Commercio Equo e Solidale;e) vigilare sull'operato degli enti del Commercio Equo e Solidale iscritti all'Albo regionale, di cui all'articolo 5;f) compiere azioni di sensibilizzazione e informazione sul territorio veneto sul Commercio

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Equo e Solidale e sulle tematiche ad esso connesse, anche attraverso iniziative di tipo culturale ed educativo.

Art. 3 - Funzioni della Regione.1. La Regione, per la realizzazione delle finalità di cui all'articolo 1 mediante i propri

strumenti:a) predispone il regolamento attuativo della presente legge;b) determina, nell'ambito della programmazione regionale, le linee per lo sviluppo di una rete a livello locale: comunale, provinciale e regionale, dei soggetti del Commercio Equo e Solidale, iscritti all'Albo regionale;c) fissa le modalità di funzionamento, di gestione e aggiornamento dell'Albo regionale del Commercio Equo e Solidale, oltre ai criteri e ai requisiti per l'iscrizione, attribuendo un considerevole rilievo ad una prassi operativa e organizzativa improntata alla trasparenza e alla correttezza e ad un comportamento etico e responsabile che tali enti dovranno adottare nelle azioni da effettuare sia sul territorio Veneto che nei paesi terzi, in particolar modo nei confronti dei produttori, dei consumatori e degli enti, pubblici e privati, con i quali si relazionano;d) definisce le modalità organizzative e procedurali connesse all'assegnazione dei contributi per i progetti del Commercio Equo e Solidale nei paesi dei Sud del mondo;e) individua le linee guida volte a raccordare l'attività dei diversi enti che compongono il Coordinamento regionale;f) stabilisce le modalità operative, di funzionamento e di gestione del Coordinamento regionale e ne approva lo Statuto, entro sessanta giorni dall'entrata in vigore della presente legge;g) provvede all'esecuzione degli atti concernenti il reperimento del personale, dei locali e dei servizi necessari all'attivazione dei Coordinamento regionale;h) definisce strumenti di incentivazione per l'inserimento di prodotti certificati di Commercio Equo e Solidale in linea con linee guida predisposte dalla Unione europea per Green and Fair Procurement;i) promuove, in accordo con il Coordinamento regionale, attività educative sul tema del Commercio Equo e Solidale e dei comportamenti etici in ambito scolastico ed extra scolastico a livello comunale, provinciale e regionale;j) Equo e Solidale iniziative, anche di tipo culturale ed educativo, di sensibilizzazione dell'opinione pubblica in favore del Commercio Equo e Solidale volte alla diffusione di una cultura della cooperazione internazionale ispirata a principi di solidarietà, educazione alla pace e alla mondialità, tutela dei diritti delle persone, dell'ambiente e delle comunità, nell'ottica di uno sviluppo globale sostenibile ed ecocompatibile;k) svolge attività ispettiva e di vigilanza sull'attività degli enti del Commercio Equo e Solidale e sull'applicazione della presente legge.

Art. 4 - Coordinamento regionale della rete del Commercio Equo e Solidale.1. La Regione istituisce il Coordinamento regionale della rete del Commercio Equo e

Solidale, composto da:a) 1 rappresentante delle Organizzazioni del Commercio Equo;b) 1 rappresentante del Forum del Terzo settore;c) 1 rappresentante del volontariato e dei centri di servizio per il volontariato;d) 1 rappresentante dell'associazionismo di promozione sociale;e) 1 rappresentante della cooperazione sociale;f) 1 rappresentante della finanza etica;g) 1 rappresentante delle ONG e della cooperazione internazionale;h) 1 rappresentante degli enti di servizio civile;

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i) 1 rappresentante degli enti locali (comuni/comuni associati, province);j) 1 rappresentante delle organizzazioni di certificazione secondo quanto definito a livello europeo e comunitario sul tema;k) 1 funzionario regionali delegati dalla direzione regionale, competenti nelle materie inerenti il mondo del non profit;l) 1 funzionario regionale delegato dalla direzione regionale, competente in materia di cooperazione internazionale;m) l'Assessore regionale competente in materia presiede il Coordinamento regionale della rete del Commercio Equo e Solidale.

2. La Giunta regionale stabilisce, con proprio atto, la durata e la designazione dei componenti del Coordinamento. Il Coordinamento adotta, con proprio atto, il regolamento che ne disciplina il funzionamento.

3. Il Coordinamento, in linea con gli obiettivi della presente legge, provvede a:a) attivare le linee regionali per lo sviluppo di una rete a livello locale: comunale, provinciale e regionale, delle botteghe e degli enti del Commercio Equo e Solidale, iscritti all'Albo regionale;b) attuare le linee guida individuate dalla Regione per raccordare l'attività degli enti componenti il Coordinamento regionale;c) individuare, coordinare e realizzare iniziative in favore del Commercio Equo e Solidale, volte alla diffusione di una cultura della cooperazione internazionale ispirata a principi di solidarietà, educazione alla pace e alla mondialità, tutela dei diritti delle persone, dell'ambiente e delle comunità, nell'ottica di uno sviluppo globale sostenibile ed ecocompatibile;d) individuare e svolgere attività educative e culturali di sensibilizzazione sul tema del Commercio Equo e Solidale e dei comportamenti etici sia nelle scuole che in campo extrascolastico a livello comunale, provinciale e regionale;effettuare, sulla base dell'autorizzazione e della delega regionale, un controllo di qualità sulle modalità organizzative relative all'attività svolta dagli enti iscritti all'Albo regionale.

Art. 5 - Albo regionale del Commercio Equo e Solidale.1. La Regione istituisce l'Albo regionale del Commercio Equo e Solidale e ne

regolamenta con apposita disciplina il funzionamento. La Regione verifica periodicamente il rispetto degli adempimenti connessi all'iscrizione all'Albo.

2. Possono iscriversi all'Albo regionale le organizzazioni senza scopo di lucro che svolgono attività stabilmente sul territorio regionale da almeno un anno.

3. L'iscrizione all'Albo regionale è condizione necessaria per gli enti del Commercio Equo e Solidale per poter usufruire:a) di convenzioni da parte di enti locali, aziende sanitarie, scuole, civiche biblioteche e musei, case circondariali, istituzioni e organismi pubblici comunali, provinciali e regionali;b) di eventuali contributi regionali, a seguito dell'elaborazione di progetti destinati ad interventi e iniziative del Commercio Equo e Solidale nei paesi del Sud del mondo in particolare in aree di insediamento delle comunità venete e per l'avvio di botteghe ed enti del Commercio Equo e Solidale sul territorio regionale.

4. La Regione effettua per tramite del Coordinamento e di suoi delegati un'attività ispettiva e di vigilanza sull'operato degli enti de! Commercio Equo e Solidale iscritti all'Albo regionale.

5. La Regione definisce le procedure e le modalità di presentazione dei progetti, i criteri di selezione, le procedure e le modalità di predisposizione e di valutazione dei progetti, le procedure e le modalità di assegnazione dei contributi e del monitoraggio dei progetti, il tutto in armonia con le leggi regionali in materia di cooperazione allo sviluppo.

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Art. 6 - Agevolazioni in favore degli enti del Commercio Equo e Solidale.1. La Regione favorisce l'inserimento di prodotti del Commercio Equo e Solidale nelle

procedure d’asta pubblica, licitazione privata, appalto concorso e trattativa privata, attraverso gli strumenti previsti dalle normative vigenti per il Green and Fair.

Art. 7 - Istituzione di una giornata regionale del Commercio Equo e Solidale.1. Il Coordinamento, di concerto con la Regione organizza una volta all'anno la

giornata regionale del Commercio Equo e Solidale con la funzione di diffondere la cultura sul tema specifico e coinvolgere gli aderenti all'albo regionale in attività di promozione sul territorio e verso i cittadini.

2. Nell'ambito di tale iniziativa è prevista la Conferenza regionale degli aderenti ai fine di formulare proposte e valutazioni concernenti le politiche, le linee guida e i programmi nazionali, regionali, provinciali e comunali in materia di Commercio Equo e Solidale.

Art. 8 - Attività di promozione del Commercio Equo e Solidale.1. La Regione, su proposta del Coordinamento regionale della rete del Commercio

Equo e Solidale, promuove:a) iniziative culturali a livello comunale, provinciale e regionale sulle tematiche del Commercio Equo e Solidale;b) azioni educative nelle scuole, al fine di informare le nuove generazioni sui temi del Commercio Equo e Solidale, in particolare sul consumo critico e consapevole e sulla pratica di comportamenti etici nell'ambito economico;c) azioni di sensibilizzazione dell'opinione pubblica sui temi del Commercio Equo e Solidale, volte alla diffusione di una cultura della cooperazione internazionale ispirata a principi di solidarietà, educazione alla pace e alla mondialità, tutela dei diritti delle persone, dell'ambiente e delle comunità, nell'ottica di uno sviluppo globale sostenibile ed ecocompatibile, realizzate anche attraverso manifestazioni ed eventi di vario genere a livello comunale, provinciale e regionale.Tali attività sono coordinate dal Coordinamento della rete del Commercio Equo e Solidale, realizzate nei singoli Comuni o Comuni associati con la collaborazione degli enti iscritti all'Albo regionale del Commercio Equo e Solidale, degli enti componenti il Coordinamento regionale della rete del Commercio Equo e Solidale effettuate anche grazie alla partecipazione di altri enti senza scopo di lucro o appartenenti al mondo del non profit.

Art. 9 - Norma finanziaria.1. La Regione Veneto garantisce il finanziamento per l'istituzione e la tenuta dell'albo

regionale del Commercio Equo e Solidale; assicura la copertura delle spese legate alle iniziative e alle attività di promozione del Commercio Equo e Solidale in Veneto e quelle concernenti l'attività del Coordinamento regionale della rete del Commercio Equo e Solidale e della Conferenza regionale, sulla base di appositi programmi che verranno redatti congiuntamente agli organismi preposti.

2. Alle spese correnti derivanti dall’attuazione della presente legge, quantificate in euro 100.000,00 euro per gli esercizi 2007 e 2008, si fa fronte utilizzando le risorse allocate sull’upb U0185 “Fondo speciale per le spese correnti”, del bilancio pluriennale 2006-2008; contestualmente lo stanziamento dell’upb U0070 “Informazione, promozione e qualità per il commercio” viene aumentato di euro 100.000,00 per la sola competenza negli esercizi 2007 e 2008.

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REGIONE PIEMONTE

Proposta di legge regionale n. 466 presentata il 07 Agosto 2007Disposizioni per la diffusione del Commercio Equo e Solidale.

Art. 1 (Finalità)1. La Regione Piemonte, nel quadro delle politiche promosse e realizzate a sostegno della cooperazione internazionale e dell'economia sociale, nel rispetto dei principi di solidarietà della Costituzione e dell'art. 5 dello Statuto della Regione Piemonte, riconosce al commercio equo e solidale, di seguito denominato COMES, una funzione rilevante nella promozione dell'incontro fra culture diverse e nel sostegno allo sviluppo economico e sociale, nel rispetto dei diritti individuali, dei Paesi in via di sviluppo. 2. La Regione Piemonte riconosce il COMES quale approccio alternativo al commercio convenzionale. Esso promuove, attraverso il commercio, la giustizia sociale ed economica, lo sviluppo sostenibile, il rispetto per le persone e per l'ambiente, la crescita della consapevolezza dei consumatori, l'educazione e l'informazione. 3. La Regione Piemonte riconosce il ruolo sociale delle organizzazioni di COMES e attiva iniziative di sostegno e di agevolazioni, nel rispetto delle norme comunitarie e statali concernenti la tutela della concorrenza.

Art. 2 (Prodotti del commercio equo e solidale)1. Sono prodotti del commercio equo e solidale quelli realizzati, importati e distribuiti da aziende appartenenti alla filiera integrale del COMES. Sono altresì considerati prodotti COMES quelli riconosciuti secondo gli standard delle organizzazioni esterne di certificazione del Fair Trade/Transfair Italia (Iniziativa italiana dell'organizzazione internazionale di certificazione di prodotti del commercio equo e solidale). 2. Le modalità per il riconoscimento dei prodotti COMES, tenuto conto anche delle risultanze delle attività svolte dalle associazioni maggiormente rappresentative a livello regionale, sono definite con apposito regolamento di cui all'articolo 10.

Art. 3 (Individuazione dei soggetti del commercio equo e solidale)1. Le aziende della filiera integrale vengono individuate tenendo conto delle risultanze delle attività svolte dalle Associazioni maggiormente rappresentative a livello nazionale e internazionale AGICES (Assemblea Generale Italiana del Commercio Equo e Solidale), ASSOBOTTEGHE e IFAT (International Federation for Alternative Trade). 2. Al fine di individuare i soggetti destinatari dei benefici previsti dalla presente legge viene istituito, presso la Giunta regionale, il registro regionale degli operatori del commercio equo solidale, nel quale vengono iscritti imprese e soggetti che operano in forma stabile e continuativa nel territorio regionale e svolgono la propria attività nel rispetto della Carta Italiana dei Criteri del Commercio Equo e Solidale, approvata l'8 settembre 1999 dall'AGICES. 3. Nell'individuare le modalità di funzionamento del registro ed i requisiti di iscrizione, si devono valutare i dati delle attività svolte dall'associazione AGICES in merito al "Registro

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Italiano delle organizzazioni di commercio equo solidale" denominato RIOCES; l'iscrizione a detto registro è sostitutiva dell'iscrizione fino all'istituzione del registro regionale. 4. L'istituzione del registro regionale avverrà secondo le modalità previste dal regolamento di attuazione di cui all'articolo 10.

Art. 4 (Incentivi alle imprese del commercio equo e solidale)1. Con l'iscrizione al "registro regionale del commercio equo solidale", i soggetti possono accedere all'assegnazione di contributi regionali, previa elaborazione di progetti di intervento ed iniziativa del commercio equo solidale in Paesi economicamente svantaggiati. 2. I contributi possono essere assegnati anche per l'avvio di botteghe ed enti del commercio equo solidale sul territorio regionale. 3. Procedure e modalità di presentazione dei progetti, i criteri di selezione, le modalità di valutazione dei progetti, assegnazione contributi e monitoraggio, sono definiti da specifico regolamento di cui all'articolo 10.

Art. 5 (Promozione del commercio equo e solidale)1. Il consumo consapevole ed attento del consumatore che sostiene forme economiche corrette, può concorrere ad elevare il tenore della vita dei produttori nei paesi in via di sviluppo. 2. La Regione Piemonte promuove la diffusione del commercio equo solidale, e della sua cultura con iniziative a livello comunale, provinciale e regionale, con azioni educative nelle scuole, con azioni di sensibilizzazione dell'opinione pubblica sul commercio ispirato a principi di solidarietà e tutela delle persone, dell'ambiente e delle comunità, nell'ottica di uno sviluppo globale, sostenibile, ed ecocompatibile.

Art. 6 (Attività internazionale)1. La Giunta regionale, nell'ambito delle proprie iniziative in materia di cooperazione internazionale, garantisce il sostegno allo sviluppo di organizzazioni di produttori dei Paesi svantaggiati e di prodotti che possono entrare a far parte del circuito COMES e favorisce iniziative di interscambio tra realtà dei produttori dei Paesi svantaggiati e la comunità regionale piemontese.

Art. 7 (Agevolazioni a favore dei soggetti del commercio equo e solidale)1. Nel rispetto delle norme vigenti in materia di acquisto di beni da terzi, la Regione Piemonte promuove protocolli operativi e convenzioni, con i soggetti iscritti al RIOCES; promuove l'utilizzo dei prodotti del COMES negli enti locali, aziende sanitarie, scuole, biblioteche, musei, case circondariali, istituzioni e organismi pubblici comunali, provinciali e regionali. 2. La Regione favorisce nel pieno rispetto delle norme vigenti di acquisto di beni da terzi, l'acquisto di prodotti del COMES nelle procedure di asta pubblica, licitazione privata, appalto e trattativa privata. 3. La Regione, nell'acquisto di beni da terzi, riserva una quota, da definirsi con provvedimento della Giunta regionale, ai prodotti del COMES.

Art. 8 (Giornata regionale del commercio equo e solidale)1. La Giunta regionale promuove una manifestazione, organizzata in collaborazione con le

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organizzazioni maggiormente rappresentative del COMES, per l'esposizione e vendita dei prodotti, al fine di promuovere la conoscenza e la diffusione degli stessi in un momento di incontro tra la comunità piemontese e le varie culture. 2. Le modalità organizzative ed i contenuti della stessa, verranno determinati da regolamento di cui all'articolo 10.

Art. 9 (Consulta Regionale per il COMES e attività di monitoraggio e controllo)1. La Giunta regionale entro sei mesi dall'entrata in vigore della presente legge costituirà apposita Consulta - la cui partecipazione sarà a titolo gratuito - previo parere obbligatorio e vincolante della competente Commissione consiliare permanente. 2. La Giunta regionale ogni due anni trasmetterà al Consiglio regionale una relazione, redatta dalla Consulta regionale per il COMES, volta a valutare il grado di applicazione e gli effetti della stessa.

Art. 10 (Regolamento)1. La Regione, entro 180 giorni dall'entrata in vigore della presente legge, emana, sentita la commissione consiliare competente, un regolamento attuativo per disciplinare l'individuazione dei prodotti di cui all'articolo 2; le modalità di istituzione e gestione del Registro regionale di cui all'articolo 3; i criteri di valutazione dei progetti e delle iniziative di cui all'articolo 4, comma 3; le modalità organizzative ed i contenuti della "giornata regionale del commercio equo e solidale" di cui all'articolo 8; la composizione della Consulta di cui all'articolo 9, comma 1.

Art. 11 (Norma finanziaria)1. Per l'attuazione della presente legge, nello stato di previsione della spesa del bilancio di previsione per l'anno finanziario 2007 è previsto uno stanziamento pari a 300 mila euro, in termini di competenza e di cassa, nell'ambito dell'unità previsionale di base (UPB) 17041 (Commercio e artigianato Promozione e credito al commercio Tit.I spese correnti), alla cui copertura finanziaria si fa fronte con le dotazioni finanziarie della UPB 09011 (Bilanci e finanze Bilanci Tit. I spese correnti) del bilancio di previsione per l'anno finanziario 2007. 2. Per il biennio 2008 - 2009, agli oneri annui pari a 300 mila euro, in termini di competenza, iscritti nell'UPB 17041 del bilancio pluriennale 2007 - 2009 si farà fronte secondo le modalità previste dall' articolo 8 della legge regionale 11 aprile 2001, n. 7 (Ordinamento contabile della Regione Piemonte) e dall' articolo 30 della legge regionale 4 marzo 2003, n. 2 (Legge finanziaria per l'anno 2003).

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REGIONE PIEMONTE

Proposta di legge regionale n. 479  presentata il 15 Ottobre 2007Sostegno alle organizzazioni di commercio equo e solidale.Art. 1 (Finalità)1. La Regione Piemonte, in coerenza con i principi e i dettati internazionali e costituzionali, riconosce il valore sociale e culturale del commercio equo e solidale quale forma di cooperazione volta a realizzare scambi commerciali con produttori di paesi impoveriti che valorizzano produzioni, tradizioni e culture autoctone, in particolare dirette a valorizzare attività produttive volte a consentire l'accesso al mercato a produttori marginali, a perseguire un modello produttivo fondato sulla cooperazione e attento e salvaguardare i diritti dei lavoratori che prestano la loro opera in tali attività.2. La Regione Piemonte riconosce al commercio equo e solidale una funzione rilevante nel sostegno alla crescita economica e sociale dei paesi in via di sviluppo, nella pratica di un modello di economia partecipata, attenta alla conservazione dell'ecosistema, socialmente sostenibile e rispettosa dei diritti e dei bisogni di tutti i soggetti che sono parte dello scambio economico, e nella promozione dell'incontro fra culture diverse.3. La Regione Piemonte per concorrere alla promozione e alla diffusione della cultura del commercio equo e solidale riconosce e sostiene le organizzazioni di commercio equo e favorisce la partecipazione della società ai progetti e agli interventi previsti dalla presente legge.

Art. 2 (Il commercio equo e solidale)1. Il commercio equo e solidale è un'attività di cooperazione economica e sociale svolta con produttori di beni e/o servizi di aree economicamente svantaggiate dei paesi in via di sviluppo organizzati in forma collettiva allo scopo di consentire, accompagnare e migliorare il loro accesso al mercato, quando l'attività sia realizzata mediante accordi di lunga durata che prevedano i seguenti requisiti:a) il pagamento di un prezzo equo;b) misure a carico del committente per il graduale miglioramento della qualità del prodotto e/o del servizio realizzati dal produttore o dei suoi processi produttivi, nonché a favore dello sviluppo della comunità locale cui il produttore appartiene;c) il progressivo miglioramento degli standard ambientali della produzione;d) la trasparenza della filiera, anche nei confronti dei terzi;e) l'obbligo del produttore di garantire condizioni di lavoro sicure, nel rispetto delle normative stabilite dall'Organizzazione Internazionale del Lavoro, di remunerare in maniera adeguata i lavoratori, in modo da permettere loro di condurre una esistenza libera e dignitosa, e di rispettarne i diritti sindacali.2. La proposta contrattuale del committente deve essere accompagnata dall'offerta del pagamento di una parte rilevante del prezzo al momento dell'ordine oppure da altri strumenti finanziari adeguati a sostegno dei produttori.3. Nel caso in cui il produttore rinunci a tale offerta l'accordo di cui al comma 2 deve darne espressamente atto, indicando i motivi della rinuncia.

Art. 3 (Il prezzo equo)1. Il prezzo pagato ai produttori è equo quando è definito dalle parti all'esito di un processo

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fondato sul dialogo, sulla trasparenza e sulla responsabilità reciproca, in cui il prezzo è proposto dal produttore ed eventualmente modificato insieme dalle parti in seguito alla valutazione congiunta della sua adeguatezza a sostenere l'impresa del produttore e degli effetti che tale misura produce sulla filiera produttiva e distributiva fino al consumatore. 2. In relazione all'entità di prodotti venduti il prezzo deve essere idoneo a generare per l'impresa del produttore un reddito da destinare agli investimenti e a consentirle di remunerare i lavoratori in misura adeguata a condurre una esistenza libera e dignitosa e di coprire gli altri costi inerenti gli obblighi espressamente assunti dalle parti nel contratto.

Art. 4 (Individuazione dei soggetti del commercio equo e solidale)1. Al fine di individuare i soggetti del commercio equo e solidale che possono beneficiare degli interventi previsti dalla presente legge, viene istituito, presso la struttura regionale competente, l'Elenco regionale delle organizzazioni del commercio equo e solidale. 2. Sono iscritti nell'Elenco regionale i seguenti soggetti, che operano in forma stabile nel territorio regionale, organizzati in forma collettiva e democratica e senza scopo di lucro:a) gli enti che gestiscono un registro della filiera integrale del commercio equo e solidale o riconoscono le organizzazioni del commercio equo e solidale e rilasciano l'accreditamento agli altri enti che svolgono attività di commercio equo e solidale;b) le organizzazioni del commercio equo e solidale che hanno ottenuto da parte degli enti di cui alla lettera a) l'iscrizione in un registro della filiera integrale o il riconoscimento;c) gli enti che svolgono attività di commercio equo e solidale e che hanno ricevuto da parte degli enti di cui alla lettera a) l'accreditamento;d) gli enti che certificano i prodotti del commercio equo e solidale, attraverso l'attribuzione di un marchio di garanzia, affiliati alla Fairtrade Labelling Organization International (F.L.O.).3. I requisiti per essere iscritti nell'Elenco regionale e le modalità di iscrizione e funzionamento dello stesso, verranno stabiliti con provvedimento della Giunta Regionale ai sensi dell'articolo 10, comma 1, lettera b).

Art. 5 (Individuazione dei prodotti del commercio equo e solidale)1. Sono prodotti del commercio equo e solidale:a) quelli che sono realizzati e/o distribuiti, all'ingrosso o al dettaglio, da organizzazioni del commercio equo e solidale di cui all'articolo 4, comma 2, lettera b);b) quelli che sono garantiti dalla certificazione di prodotto, attraverso l'attribuzione del marchio rilasciata dalla F.L.O., attraverso i suoi affiliati nazionali ai sensi dell'articolo 4, comma 2, lettera d).

Art. 6 (Le azioni di sostegno)1. L'ordinamento regionale, per il conseguimento delle finalità di cui all'articolo 1, favorisce e promuove la distribuzione dei prodotti del commercio equo e solidale e sostiene le organizzazioni del commercio equo e solidale e gli altri enti che svolgono tale attività mediante azioni volte a promuoverne, coordinarne e finanziarne i progetti.

Art. 7 (Riconoscimento)1. Legittimati a fruire delle azioni di sostegno di cui alla presente legge sono le organizzazioni iscritte nell'Elenco di cui all'articolo 4.

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Art. 8 (Tipologie di intervento)1. La Regione Piemonte, per il conseguimento delle finalità di cui all'articolo 1 e nell'ambito delle proprie competenze, promuove, sostiene e coordina le seguenti azioni e progetti di promozione del commercio equo e solidale:a) iniziative culturali e azioni di sensibilizzazione;b) iniziative di formazione, anche a livello scolastico;c) iniziative nel campo della cooperazione;d)investimenti in infrastrutture per le botteghe e le organizzazioni iscritte all'Elenco di cui all'articolo 4;e) fondi di garanzia per linee di credito promossi da banche o soggetti autorizzati che perseguano una finanza etica o di solidarietà a favore di progetti promossi da botteghe del mondo;f) fino al quindici per cento dei maggiori costi conseguenti all'inserimento nei bandi della priorità di prodotti di commercio equo e solidale nelle mense scolastiche, nella ristorazione collettiva pubblica, nei centri automatici di distribuzione e bar interni;g) attività di consulenza legale e valorizzazione sul mercato dei prodotti del commercio equo e solidale;h) fiere periodiche del commercio equo e solidale;i) fino al cinquanta per cento dei costi sostenuti da istituti scolastici per interventi sul commercio equo e solidale, rivolti ai propri allievi, studenti e corpo docente e realizzati da soggetti iscritti all'Elenco;j) fino al cinquanta per cento degli oneri sociali relativi al personale (dipendenti, soci lavoratori o altre forme di lavoro previste dalle vigenti leggi) per un massimo di 1.500 euro all'anno e per un periodo non superiore a cinque anni per addetto.2. La Regione organizza e promuove, insieme ai soggetti iscritti all'Elenco di cui all'articolo 4, l'annuale "Giornata regionale del commercio equo e solidale", quale momento di incontro tra la comunità piemontese e la realtà del commercio equo e solidale.

Art. 9 (Modalità di vendita)1. Ai soggetti iscritti all'Elenco di cui all'articolo 4 è consentita la vendita dei beni commercializzati da posto non fisso in occasione di manifestazioni, fiere ed altre iniziative promozionali, anche in deroga alle disposizioni sul commercio su aree pubbliche. 2. Le botteghe del mondo rientrano tra le tipologie di attività previste all' articolo 13 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell' articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), e pertanto non sono soggette a vincoli di orari o giorni di chiusura.

Art. 10 (Provvedimento attuativo)1. Entro centottanta giorni dall'entrata in vigore della presente legge, la Giunta Regionale, con provvedimento attuativo, individua:a) i requisiti che devono possedere gli enti che rilasciano il riconoscimento di organizzazione del commercio equo e solidale ovvero l'accreditamento degli altri enti ai sensi dell'articolo 4, comma 2, lettera a);b) i requisiti che devono possedere gli enti che rilasciano la certificazione di prodotto del commercio equo e solidale ai sensi dell'articolo 4, comma 2, lettera d);c) i requisiti che devono possedere gli enti di cui all'articolo 4, comma 2, lettera c) per ottenere l'iscrizione nell'Elenco regionale;

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d) le modalità di iscrizione e di funzionamento dello stesso Elenco di cui all'articolo 4, comma 3;e) gli accantonamenti, i criteri, le priorità e le modalità delle iniziative che potranno essere finanziate.2. Il dirigente della struttura competente approva l'Elenco regionale ai sensi dell'articolo 4 e le iniziative di cui all'articolo 8. 3. Il provvedimento attuativo potrà essere aggiornato, integrato e modificato sulla base dei risultati conseguiti in ogni ambito di intervento.

Art. 11 (Norma finanziaria)1. Per il biennio 2008-2009 allo stanziamento annuo pari a 300 mila euro, in termini di competenza, di cui 250.000,00 euro per la spesa corrente iscritta nell'ambito dell'unità previsionale di base (UPB) 17041 (Commercio e artigianato Promozione e credito al commercio Tit. I spese correnti) e 50.000,00 euro per la spesa in conto capitale iscritta nell'ambito della unità previsionale di base (UPB) 17042 (Commercio e artigianato Promozione e credito al commercio Tit. II spesa in conto capitale) del bilancio pluriennale 2007-2009 si provvede con le modalità previste dall' articolo 8 della legge regionale 11 aprile 2001, n. 7 (Ordinamento contabile della Regione Piemonte) e dall' articolo 30 della legge regionale 4 marzo 2003, n. 2 (Legge finanziaria per l'anno 2003).

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DOCUMENTAZIONE VARIA

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UNIVERSITA’ CATTOLICA DEL SACRO CUORECENTRO DI RICERCHE SULLA COOPERAZIONE

Working Paper n. 3 (*)

Gian Paolo Barbetta(Università Cattolica del Sacro Cuore)

Il commercio equo e solidale in Italia

Ricerca su “Il commercio equo e solidale.Analisi e valutazione di un nuovo modello di sviluppo”Milano, giugno 2006

CENTRO DI RICERCHE SULLA COOPERAZIONEComitato Direttivo:prof. Gian Paolo Barbettadott. Franco Caleffiprof. Vincenzo Cesareoprof. Francesco Cesarini (Direttore)dott. Antonio Cicchettiprof. Michele Grilloprof.ssa Cristiana Schena

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Obiettivo della ricerca dal titolo “Il commercio equo e solidale. Analisi e valutazione di un nuovo modello di sviluppo”, condotta in collaborazione con il Dipartimento di Economia Politica dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca, è fornire una prima valutazione quantitativa dell’impatto delle attività di commercio equo in Italia e presso iproduttori dei paesi in via di sviluppo. La ricerca analizza anche le relazioni tra il commercio equo ed i mercati di alcune materie prime alimentari (caffè e banane) e propone alcune riflessioni relative al miglioramento della regolazione e delle norme sul fenomeno, al fine di promuoverne la diffusione.La ricerca è sostenuta da: Direzione Generale Cooperazione allo Sviluppo del Ministero Affari Esteri, Compagnia di San Paolo, Assessorato alla Cultura della Provincia di Milano, ACRI, Fondazione Cassa di Risparmio di Parma, Fondazione Cassa di Risparmio di Piacenza-Vigevano e Comune di Milano.

(* Testo depurato da tabelle ed immagini)

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IntroduzioneL’obiettivo di questo contributo è quello di fornire una ricostruzione delle principali caratteristiche dei soggetti che compongono il variegato universo del “commercio equo e solidale” (cees, d’ora in poi) italiano, descrivendone sia le dimensioni economiche e sociali (rilevate attraverso una apposita indagine empirica) che le modalità di azione. Si tratta di un mondo che è cresciuto nel corso del tempo ed entro il quale operano ormai soggetti assai diversi tra loro, sia per le strategie seguite che per le attività svolte. E’ quindi opportuno, prima di procedere alla descrizione del fenomeno, fornire alcune informazioni di base sullo sviluppo e sulla nozione di commercio equo e solidale.

1. Il commercio equo e solidale: un quadro di insiemeIl fenomeno del “commercio equo e solidale” (fair trade, nella sua versione inglese) si è imposto all’attenzione nazionale ed internazionale dalla fine degli anni novanta, come testimonia la crescente produzione di libri ed articoli sul tema2. Il fenomeno ha tuttavia una radice più antica, che risale almeno agli anni sessanta. E’ in quel periodo infatti che diverse organizzazioni senza scopo di lucro intraprendono iniziative pionieristiche volte e favorire l’esportazione di merci (prevalentemente derrate agricole e oggetti di artigianato) da parte di alcuni produttori marginali del sud del mondo per venderle – attraverso una nascente rete distributiva di esercizi commerciali specializzati, le “botteghe del mondo” - a gruppi di consumatori dei paesi occidentali ad elevata sensibilità sociale. Mosse dallo slogan “trade not aid”, queste organizzazioni puntano a usare il commercio internazionale come un fattore di sviluppo per i paesi più arretrati. La loro azione si ispira ad alcuni criteri, o principi, che – con gli occhi dell’economista – possono essere spesso interpretati come azioni correttive delfunzionamento dei mercati locali ed internazionali (cfr. il capitolo 4). Proprio la natura e le caratteristiche di questi principi costituiscono ancora oggi il tessuto unitario attorno a cui le organizzazioni del commercio equo si riconoscono (e si dividono).Una definizione precisa e – soprattutto – universalmente condivisa del fenomeno del cees è estremamente difficile da proporre; infatti, nonostante molti soggetti si riconoscano in alcuni obiettivi e strumenti comuni, non mancano le divisioni attorno ad altre caratteristiche del commercio equo.A rischio di un eccesso di semplificazione, possiamo affermare che il cees si pone l’obiettivo di migliorare le condizioni di vita dei paesi del sud del mondo non tanto grazie ad attività assistenziali, umanitarie o di sostegno al reddito, quanto piuttosto sviluppando le capacità produttive ed imprenditoriali degli abitanti e favorendo la loro crescita economica attraverso la commercializzazione dei prodotti nei mercati dei paesi ricchi. Questa azione di sostegno allo sviluppo attraverso il commercio assume alcuni connotati specifici e vede l’azione congiunta di diversi soggetti, i principali dei quali sono: a) i produttori, b) i trader (esportatori e importatori), c) i distributori e d) i certificatori.1.1. I produttoriIn particolare, i produttori del commercio equo sono rappresentati da piccole organizzazioni (generalmente a dimensione familiare o con struttura cooperativa, ma in alcuni casi anche con strutture proprietarie capitalistiche3) localizzate in aree svantaggiate dei paesi del sud del mondo. Carattere comune di queste organizzazioni è l’avere visto il proprio sviluppo economico e sociale bloccato dalla impossibilità di intrattenere rapporti commerciali con aree più ricche del mondo, quelle che sarebbero in grado di assorbire i beni (agricoli ed artigianali) da loro prodotti. L’adesione di questi produttori alla filiera del cees è finalizzata all’individuazione di nuovi sbocchi commerciali per i propri beni nei paesi più ricchi, al reperimento di assistenza tecnica nella produzione dei beni stessi (da nozioni sulle tecniche di coltivazione biologica all’assistenza nel design dei prodotti artigianali) e al conseguimento di prezzi più alti di quelli ottenibile sul mercato locale.In cambio di questi vantaggi, i produttori che partecipano alla filiera del commercio equo si

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impegnano a garantire il rispetto di alcuni requisiti minimi riguardanti le condizioni di lavoro degli associati o dei dipendenti (in termini di libertà di associazione e contrattazione, condizioni di impiego e salute, salari), la sostenibilità ambientale dei processi produttivi adottati e la destinazione a fini sociali e comunitari del premio (inteso come sovrappiù rispetto al prezzo) pagato dagli acquirenti dei loro prodotti. Questi vincoli, fissati a livelli minimi, non sono visti esclusivamente in chiave statica, ma impegnano i produttori ad ideare e realizzare continui progressi e miglioramenti, sulla base di piani stabiliti e condivisi all’interno delle loro organizzazioni.1.2. I traderI trader (esportatori e importatori) della filiera del cees sono i soggetti che favoriscono (o materialmente effettuano) il trasferimento dei beni realizzati dai produttori del cees dai paesi di produzione a quelli di consumo. Il ruolo dell’esportatore raramente viene svolto direttamente dal produttore del bene, che spesso non dispone delle competenze e delle risorse necessarie. Più di frequente – specie nel caso del commercio di derrate agricole - tale funzione viene esercitata da organizzazioni specializzate, generalmente costituite in forma cooperativa o consortile, con la proprietà assegnata agli stessi produttori associati. Queste organizzazioni di esportazione trattano con alcuni importatori localizzati nei paesi occidentali di destinazione dei prodotti. Talvolta si tratta di organizzazioni specializzate nel cees (le cosiddette Alternative Trade Organizations – Atos – o, in italiano, centrali di importazione) e dedicate esclusivamente a questo tipo di attività; in altre circostanze si tratta di importatori, distributori o produttori occidentali (come ad esempio alcune catene della grande distribuzione organizzata, gdo d’ora in poi) che non si dedicano esclusivamente al cees ma ne commercializzano alcuni prodotti o li utilizzano come materia prima per le proprie attività.Gli importatori dei beni che provengono dalla filiera del cees si impegnano a garantire ai produttori (o agli esportatori creati da questi ultimi) contratti di lungo termine che consentano loro di effettuare gli investimenti specifici necessari a sviluppare prodotti sostenibili e con caratteristiche adatte ai mercati occidentali; si impegnano inoltre, se i produttori lo richiedono, ad anticipare una parte del costo delle forniture, così da ridurre le necessità di indebitamento dei produttori; infine, garantiscono ai produttori almeno il prezzo minimo concordato e stabilito dalle organizzazioni di certificazione (vedi oltre), necessario a coprire i costi di produzione e, oltre a questo, assicurano anche il pagamento di un premio il cui ammontare viene destinato a fini sociali e di sviluppo della comunità dei produttori secondo progetti controllati dai certificatori.1.3. I distributoriI distributori sono le organizzazioni, localizzate nei paesi occidentali, che vendono i prodotti della filiera del cees ai consumatori finali. Nei primi anni di sviluppo del cees questi prodotti venivano distribuiti in maniera pressoché esclusiva attraverso le “botteghe del mondo”, negozi gestiti prevalentemente da organizzazioni senza scopo di lucro (spesso grazie all’apporto determinante di volontari) e specializzati nel trattamento esclusivo di prodotti della filiera cees (e, in Italia in epoca più recente, anche di alcuni prodotti biologici provenienti dal mondo delle cooperative sociali che effettuano l’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati). Oltre a svolgere una attività di distribuzione commerciale, come sarà evidente nei paragrafi successivi, le botteghe del mondo svolgono un ruolo cruciale di informazione, sensibilizzazione e divulgazione delle attività e delle proposte del cees; si potrebbe anzi affermare che, in Italia almeno, questa seconda funzione sia forse più rilevante della prima, tanto che le botteghe del mondo spesso somigliano più a strutture di animazione territoriale che non a veri e propri esercizi commerciali.In un periodo più recente, i prodotti del cees hanno interessato anche alcune catene della gdo, così come alcuni negozi tradizionali, sicché ora essi sono disponibili presso un ampio spettro di esercizi commerciali al dettaglio.L’ingresso della gdo nel cees, così come il fatto che alcuni grandi produttori e trasformatori

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di commodities alimentari abbiano introdotto linee di prodotto “eque e solidali”, non è stato privo di contraccolpi, specie in Italia, dove un parte dei soggetti che ha contribuito a fare nascere il fenomeno ritiene che una simile contaminazione sia poco opportuna e rischi di diminuire la radicalità della proposta del cees.1.4. I certificatoriL’ultimo soggetto della filiera del cees è rappresentato dai certificatori. La presenza di un “marchio di garanzia” credibile ed affidabile è una caratteristica cruciale del movimento del cees, poiché permette ai consumatori di identificare i prodotti che rispettano appieno i principi (nella produzione e nella importazione dei beni) che abbiamo descritto sinora. Proprio per raggiungere questo obiettivo, sin dalla seconda metà degli anni ottanta, si sono sviluppati alcuni marchi (Max Havelaar, TransFair, ecc.) creati dalle diverse organizzazioni nazionali di cees. Nel 1997, queste organizzazioni nazionali – riconosciuta l’esigenza di un unico marchio del cees e di una adeguata struttura di certificazione - hanno dato vita a FLO (Fairtrade Labelling Organization), una associazione senza scopo di lucro di diritto tedesco, che agisce come ente internazionale di certificazione e detiene i diritti d’uso del marchio “Fairtrade” che ormai caratterizza il cees a livello mondiale.Nello svolgimento della propria attività, FLO stabilisce (attraverso un processo partecipato da produttori, trader e distributori) gli standard che debbono essere rispettati dai produttori per potere ottenere il marchio di certificazione “Fairtrade” e dai trader per poter essere iscritti al registro dei licenziatari del marchio stesso. La certificazione dei produttori viene svolta direttamente da FLO (attraverso la controllata Flo-Cert Ltd) con una indagine iniziale, che attribuisce il marchio al produttore, ed un insieme continuativo di controlli ed ispezioni (almeno una all’anno per ogni produttore) che garantisce il mantenimento degli standard previsti dal sistema e certifica la destinazione a fini sociali e comunitari del premio pagato dai consumatori. Il produttore paga una tariffa a FLO per ottenere la certificazione iniziale (con un costo minimo di circa 2.000 euro – applicato alle organizzazioni più piccole che richiedono la certificazione di un solo prodotto - che aumenta al crescere delle dimensioni del produttore e del numero di prodotti ed impianti certificati); una ulteriore tariffa (con un costo minimo di circa 1.000 euro, crescente al crescere delle dimensioni e del “grado di rischio” del produttore) è richiesta per il rinnovo annuale della certificazione, che comporta almeno una ispezione diretta da parte di FLO. Sinora FLO ha creato standard, e dunque avviato la certificazione dei produttori, quasi esclusivamente nel settore delle derrate alimentari6, con l’eccezione di pochi beni agricoli non alimentari - come i fiori recisi, le piante ornamentali e il cotone – e di un solo prodotto manifatturiero, i palloni da gioco.La licenza all’uso del marchio Fairtrade alle aziende che vogliono commercializzare prodotti del cees viene concessa dalle organizzazioni nazionali socie di FLO (le cosiddette “iniziative nazionali”, per l’Italia il consorzio Fairtrade Transfair Italia, costituito da circa 20 organizzazioni attive nel campo della cooperazione internazionale e del nonprofit) contro il pagamento di royalties basate sul valore dei prodotti a marchio Fairtrade commercializzati dall’azienda. Le royalties ammontano a circa l’1,5-2% del prezzo al consumo dei prodotti che utilizzano il marchio e sono destinate sia al sostegno delle attività delle organizzazioni nazionali, che al finanziamento di FLO. Tra i compiti delle organizzazioni nazionali associate a FLO, oltre alla concessione della licenza all’uso del marchio, vi sono anche il monitoraggio delle dimensioni complessive del cees, la creazione di campagne di sensibilizzazione ed informazione rivolte sia al pubblico che alle imprese e (talvolta) la verifica del rispetto delle condizioni contrattuali legate all’uso del marchio da parte dei licenziatari. Le modalità di svolgimento di questa attività sono attualmente in corso di ri-definizione, soprattutto a partire dall’esigenza di garantire processi con caratteristiche comuni in tutti i paesi.Non tutti i prodotti “equi e solidali” che si trovano in commercio sono tuttavia “certificati” attraverso la catena di controlli e marchi cui abbiamo fatto finora cenno, e questo per diverse ragioni. In primo luogo, alcuni soggetti del cees (in particolare le centrali di importazione,

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ma anche alcune botteghe del mondo che intrattengono un rapporto diretto con i produttori) hanno a che fare con produttori così svantaggiati e marginali da non essere in grado di rispettare tutti i requisiti richiesti da FLO per ottenere la certificazione; nei confronti di questi produttori, gli importatori svolgono azioni di assistenza che mirano a farne crescere le capacità tecniche, commerciali ed amministrative così da consentire loro di rispettare i requisiti imposti dal processo di certificazione gestito da FLO.In queste circostanze, al di là delle rassicurazioni fornite dai soggetti importatori dei beni (Atos o botteghe), non esistono garanzie precise (e processo certificato secondo metodologie trasparenti e condivise) sulla natura e le caratteristiche dei processi che hanno portato alla creazione ed alla vendita di un prodotto. Una veloce analisi dei siti internet di molti soggetti italiani impegnati in queste attività mostra che molto potrebbe essere fatto per aumentare l’informazione e la trasparenza; rimane comunque irrisolto il problema di un evidente conflitto di interessi per il soggetto che svolga simultaneamente sia il ruolo di importatore e distributore di un prodotto sia quello di certificatore del processo produttivo.In secondo luogo, il processo di creazione degli standard e la gestione dei processi di certificazione si sono scontrati con le difficoltà connesse alle produzioni di beni artigianali, per definizione poco o per nulla standardizzate, rispetto alle quali l’applicazione di alcune delle caratteristiche del cees si presenta oltremodo complessa. Basti pensare al principio del pagamento di prezzi “equi”, una categoria difficile da concettualizzare, ma che viene solitamente implementata sulla base di tre principi: il prezzo è stabilito congiuntamente da produttore ed acquirente (cioè non è necessariamente quello vigente sul mercato internazionale del bene oggetto di trattativa); il prezzo è stabilito ad un livello sufficiente a garantire uno standard di vita dignitoso al produttore; il prezzo così determinato rappresenta una soglia minima che viene pagata al produttore solo quando il prezzo quotato sui mercati internazionali sia inferiore ad essa; negli altri casi, l’acquirente pagherà i prezzi quotati dal mercato. E’ immediatamente chiaro che l’esistenza di un prezzo internazionale di riferimento (inesistente per i prodotti artigianali) facilita molto l’azione del certificatore.In aggiunta, alcuni soggetti del cees (soprattutto – in Italia - alcune Atos) hanno manifestato perplessità su alcuni aspetti del processo di certificazione svolto da FLO o, addirittura, sulla stessa possibilità di certificare “prodotti” anziché “filiere produttive”; per queste ragioni, la gran parte delle Atos italiane ha deciso di non aderire alle “iniziative nazionali” che hanno promosso la costituzione di FLO e che ne rappresentano a tutti gli effetti i soci. In Italia, due episodi recenti evidenziano le differenze di approccio esistenti tra diverse organizzazioni: l’ingresso sempre più massiccio di prodotti equi e solidali nei canali della gdo e il lancio di una linea di caffè Equo da parte della Nestlè, azienda che ha ottenuto la licenza d’uso del marchio dalla “iniziativa nazionale” inglese di FLO.Sul primo tema il mondo delle Atos italiane si è diviso e, se alcune sigle storiche hanno iniziato a collaborare con alcune catene della grande distribuzione, fornendo loro prodotti, altre hanno fortemente criticato questa scelta (LiberoMondo, 2004).Sul secondo tema è l’intero universo del cees italiano che pare manifestare sensibilità diverse rispetto a quelle di altri paesi europei; infatti una forte contrarietà alla decisione di concedere l’uso del marchio Fairtrade alla Nestlè e ad imprese multinazionali è stato espresso sia dalle Atos che dalla stessa “iniziativa nazionale” italiana. Alla base di queste divisioni esistono concezioni differenti e “radicali” del cees (peraltro non uniformi tra le stesse Atos) inteso come pratica che dovrebbe investire l’intera attività di una impresa (quindi non riguardare solo alcuni dei prodotti da essa realizzati o commercializzati) e l’intera filiera produttiva e distributiva dei beni commerciati; così, secondo alcuni, non potrebbero essere considerati equi e solidali (di fair-trade), ma solo “etici” (di ethical trade) (LiberoMondo, 2004) i prodotti che non passino attraverso una intera filiera specializzata. E possibile che a queste ultime argomentazioni non siano estranee motivazioni legate alla protezione della rete commerciale delle botteghe.

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2. Il commercio equo e solidale in EuropaSecondo i più recenti dati disponibili sull’Europa (Krier, 2005), riferiti in larga misura agli anni 2004 e 2005, il cees ha raggiunto dimensioni ragguardevoli e ha mostrato – negli anni più recenti – una dinamica di assoluto interesse.Innanzitutto, dal punto di vista della distribuzione, i prodotti del cees sono ormai disponibili ai consumatori in una vasta rete di punti di vendita; si tratta di circa 79.000 strutture, con una nettissima prevalenza della gdo (57.000), seguita dai normali esercizi commerciali (19.000) ed infine dalle “botteghe del mondo” (2.854). I punti vendita in cui sono disponibili prodotti del cees sono aumentati di circa il 24% rispetto al 1997, con una crescita particolarmente vivace proprio nel settore della gdo (32%) ed un aumento più contenuto per le piccole strutture commerciali (7%) e per le botteghe del mondo (4%). La rete commerciale del cees è particolarmente diffusa, in termini assoluti, in Germania (circa 24.000 punti vendita), Francia (10.000), Italia (5.500), Norvegia (4.000), Olanda (3.500), Gran Bretagna (3.200), e Svizzera (2.800); non manca una presenza significativa anche negli altri stati membri storici della UE, mentre le prime esperienze si stanno diffondendo anche nei paesi di nuova adesione all’Unione.Attraverso questa amplissima rete distributiva, il cees sta accrescendo il proprio fatturato; le stime fornite da Kries (2005), integrate dai dati sull’Italia ricavati nel corso della nostra indagine, evidenziano un fatturato complessivo al dettaglio all’interno della UE pari a circa 635 milioni di euro nel 2004, determinato in massima parte da prodotti a marchio “Fairtrade” (circa 480 milioni di euro) e per la quota rimanente da prodotti (anche privi di marchio, come per l’artigianato) commercializzati attraverso la rete delle botteghe del mondo. Per queste ultime, nel loro insieme, viene stimato un fatturato complessivo pari a circa 155 milioni di euro. Per quello che riguarda i diversi paesi europei (includendo anche la Svizzera che non è membro della UE), è il Regno Unito il paese dove i prodotti del cees raggiungono il fatturato più elevato, seguito proprio da Svizzera, Italia, Francia, Germania e Olanda.Se si considera invece il fatturato per abitante, i valori più elevati sono raggiunti in Svizzera, seguita dall’Olanda, dal Regno Unito, dall’Austria, dal Belgio e dall’Italia.Nonostante questi risultati piuttosto lusinghieri, le quote di mercato dei principali prodotti del cees sono ancora piuttosto limitate e – nei casi del caffè e delle banane, i prodotti probabilmente di maggiore successo – non superano il 5% del mercato in praticamente nessuno dei 14 paesi analizzati.La rete distributiva dei prodotti provenienti dal circuito del cees viene alimentata – oltre che dalle importazioni effettuate direttamente da alcune catene della grande distribuzione - dalla rete di importatori specializzati (Atos) composta da oltre 200 soggetti attivi nei 25 paesi coperti dall’indagine di Kries (2005). Queste organizzazioni hanno realizzato, nel loro insieme, un fatturato stimato pari a circa 243 milioni di euro. Gran parte delle attività è svolta da un numero relativamente ridotto di grandi organizzazioni; basti pensare che le 11 Atos aderenti a EFTA hanno realizzato un giro d’affari approssimativo di circa di circa 170 milioni di euro, pari a circa il 70% del fatturato totale degli importatori.Questo vasto insieme di organizzazioni di importazione e distribuzione, crea anche una certa quota di lavoro retribuito, che l’indagine europea stima in oltre 1.500 equivalenti tempi pieno, distribuiti tra circa 1.100 dipendenti per le Atos, le associazioni delle botteghe e le organizzazioni di marchio, ed in circa 450 equivalenti tempi pieno per le botteghe del mondo. Quest’ultima stima è tuttavia estremamente conservatrice se si tiene conto che, per le sole botteghe del mondo italiane, la nostra indagine ha stimato la presenza di quasi 600 lavoratori equivalenti tempo pieno retribuiti (si veda oltre). Si ritiene quindi che i lavoratori europei impegnati nel cees possano raggiungere almeno le 2.000 unità.

3. La struttura produttiva del commercio equo e solidale in ItaliaIl mondo italiano del cees – nelle sue linee essenziali - non si differenzia molto dal modello

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che abbiamo descritto nel primo paragrafo. L’obiettivo di questo capitolo è quello di descrivere le principali caratteristiche della filiera del cees, evidenziandone le dimensioni e le modalità operative ed illustrando alcuni dei problemi emersi dalla indagine. In particolare, il lavoro si concentrerà sul comparto delle botteghe del mondo che, come vedremo, rappresentano una delle peculiarità del modello italiano di cees.Nel complesso, il cees generava in Italia, tra il 2003 ed il 2004, un fatturato stimato di oltre 97 milioni di euro. Tale fatturato deriva dalla somma di tre diverse componenti: a) il fatturato al dettaglio (oltre 54 milioni di euro) realizzato dalla rete dei circa 485 punti vendita gestiti dalle 347 botteghe censite dall’indagine condotta per questo studio; b) il fatturato all’ingrosso (oltre 18 milioni di euro) realizzato dalle 8 principali Atos italiane attraverso la vendita di prodotti a operatori della distribuzione tradizionale, della gdo e della ristorazione collettiva e, infine, c) il fatturato al dettaglio (oltre 24 milioni di euro, stimato da Fairtrade Transfair Italia) derivante dalla vendita di prodotti a marchio Fairtrade presso la distribuzione tradizionale e la gdo. A realizzare questo fatturato contribuivano oltre 730 lavoratori retribuiti (equivalenti tempo pieno) – occupati in larga maggioranza (78%) dalle botteghe del mondo e, in misura minore, dalle Atos - oltre a circa 4.500 volontari (per un valore stimato di circa 850 equivalenti tempo pieno).Da questi dati emergono in maniera piuttosto chiara due indicazioni.In primo luogo, si osserva che il cees italiano ha dimensioni complessive ancora assai modeste; basti pensare che i circa 100 milioni di euro di fatturato del cees si confrontano con fatturati dell’ordine di 11 miliardi di euro per CoopItalia, la principale catena della gdo italiana, 7 miliardi per Conad, 4 per Esselunga ed 2,5 per Pam, per citarne solo alcuni. Parallelamente, i 700 dipendenti del cees si confrontano con i 52.000 di CoopItalia, i 15.000 di Esselunga, i 5.000 di Pam. Anche i dati della precedente tabella 2 (con acquisti di prodotti cees pari a circa 1,7 euro annui per abitante, in linea con la media UE ma inferiori a quelli dei paesi con maggiore penetrazione del fenomeno) confermano questa prima indicazione. Nondimeno il cees è oggetto di una crescita che, sia pure inferibile solo da fonti non sistematiche, appare piuttosto evidente. In primo luogo, si osserva come il volume complessivo dei prodotti alimentari certificati da FLO venduti in Italia sia cresciuto significativamente nell’ultimo anno, con un incremento medio del 25% e tassi di crescita significativi per pressoché tutti i prodotti. In secondo luogo, in crescita appare anche il valore dei prodotti equi e solidali a marchio Fairtrade distribuiti al di fuori del circuito delle botteghe, passato dagli 8 milioni di euro del 2002 ai quasi 30 milioni del 2005 (fonte Fairtrade Transfair Italia), con un tasso medio annuo di crescita superiore al 37%.Anche per le botteghe, in mancanza di dati sistematici, informazioni aneddotiche mostrano un inizio di millennio favorevole, con una stasi (ma non una riduzione) nell’ultimissimo periodo. Possiamo dunque, nel complesso, parlare di un fenomeno di dimensioni ancora limitate ma sicuramente in crescita.In secondo luogo, si osserva come le botteghe del mondo rappresentino il principale canale distributivo (in termini di fatturato) del cees italiano, nonostante la rete di questi punti vendita specializzati sia sensibilmente più ridotta di quella della gdo. Si tratta di una tendenza radicalmente diversa rispetto a ciò che accade nel resto d’Europa, dove la distribuzione tradizionale (la gdo in particolare) rappresenta il principale canale di diffusione dei prodotti del cees.Questa caratteristica del cees italiano dipende sia dal peso assai elevato del canale delle botteghe (le botteghe italiane realizzano un fatturato di gran lunga superiore a quello delle botteghe degli altri paesi europei) e, al contrario, dal peso ancora molto modesto della distribuzione tradizionale come canale di distribuzione dei prodotti del cees (con un fatturato paragonabile a quello dell’Olanda, con una popolazione molto inferiore a quella italiana).Sarà dunque interessante interrogarsi sul significato e sulle possibili conseguenze di queste “anomalie italiane”.

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3.1. I trader italianiCome si è accennato nel primo capitolo di questo rapporto, i prodotti del cees possono raggiungere i canali distributivi dei paesi occidentali in diversi modi.In Italia, il canale principale è quello delle Atos, organizzazioni specializzate nel commercio all’ingrosso di prodotti del cees, che riforniscono sia il circuito delle botteghe (alle quali sono strettamente legate, talvolta da rapporti proprietari, come ad esempio nei casi di CtmAltromercato, consorzio partecipato da circa 120 botteghe italiane, o di Commercio Alternativo, cooperativa partecipata da circa 70 botteghe e organizzazioni senza scopo di lucro) che la grande distribuzione e la ristorazione collettiva. In Italia, i principali soggetti che svolgono in modo prevalente questa funzione di importatori e rivenditori all’ingrosso dei prodotti del cees sono otto: si tratta del consorzio Ctm Altromercato, della cooperativa Commercio Alternativo, della cooperativa ROBA dell’altro mondo, della cooperativa sociale Libero Mondo, della cooperativa Equoland, della cooperativa Equomercato, della cooperativa sociale Ravinala e dell’associazione RAM. L’insieme di questi soggetti produceva, nel 2004, un fatturato stimato di circa 47 milioni di euro, con una presenza dominante di CtmAltromercato che, da solo, rappresentava oltre il 70% del comparto. Molte Atos italiane hanno dunque dimensioni estremamente ridotte, tanto da essere addirittura più piccole di alcune botteghe del mondo.Nell’insieme, le Atos italiane hanno creato nel 2004 circa 150 posti di lavoro equivalenti tempi pieno, in larghissima parte rappresentati da lavoratori dipendenti.3.1.1. Il rapporto con i produttoriLa selezione dei produttori da cui vengono acquistati i beni da commercializzare nei paesi occidentali viene generalmente condotta direttamente dalle centrali di importazione italiane, alcune delle quali dispongono di appositi comitati che applicano criteri prestabiliti. In alcune circostanze i rapporti con i produttori assumono il carattere di una relazione profonda e di lungo periodo, un vero e proprio processo di accompagnamento verso l’autonomia; alcune Atos, infatti, dichiarano di preferire un continuo approfondimento ed allargamento della relazione con produttori già noti piuttosto che la ricerca di nuovi interlocutori; in altre circostanze, invece, si preferisce allargare quanto possibile il numero degli interlocutori. In questo secondo caso, le centrali evidenziano come in alcune occasioni le relazioni commerciali con i produttori siano state interrotte; ciò è avvenuto sia perché alcuni produttori non necessitavano più dell’assistenza rappresentata dalle relazioni con le Atos e con il cees, sia perché – per diverse ragioni - i produttori non erano in grado (o non desideravano) rispettare i criteri imposti dalla centrale di importazione.Le relazioni delle centrali italiane con i produttori sono improntate ai classici principi del cees (relazioni commerciali di lungo periodo, anticipo sul costo delle forniture, prezzo stabilito da FLO o, in assenza di standard, concordato con i produttori). Molte delle Atos italiane affermano di attenersi a tali principi, anche se non sono pubblicamente disponibili informazioni che consentano di affermarlo con certezza. Ad esempio, solo pochissime organizzazioni rendono utilizzabili informazioni dettagliate sul prezzo pagato ai produttori dei singoli beni, oppure sulla “catena del valore”, cioè sulla percentuale del prezzo al dettaglio di un bene di cui si appropriano i vari soggetti che partecipano al suo processo produttivo. Inoltre, le Atos italiane non sono licenziatarie del marchio Fairtrade di FLO e pertanto non sono assoggettate alle procedure di verifica stabilite dall’organizzazione internazionale.Le Atos italiane sottolineano con particolare enfasi alcuni elementi distintivi del loro rapporto con i produttori, elementi che si aggiungerebbero a quelli previsti dai principi del cees. Nello specifico, molte centrali di importazione affermano di svolgere attività di sostegno allo sviluppo delle capacità imprenditoriali dei produttori quali - ad esempio - l’ideazione e la realizzazione di nuovi prodotti, l’assistenza tecnica nella produzione, il marketing, la formazione, ecc.. In alcune circostanze, le centrali di importazioni affermano

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inoltre di svolgere anche veri e propri compiti di assistenza e sviluppo della comunità locale, realizzando attività in campo socio-sanitario, formativo e di sostegno alla imprenditorialità attraverso il micro-credito.Non paiono esistere, allo stato attuale, politiche congiunte di assistenza ai produttori (né in campo tecnico, né in campo sociale) poiché ogni centrale tende a privilegiare il rapporto esclusivo con i propri. Alcune operazioni congiunte – ed un certo grado di specializzazione nelle funzioni – parrebbero tuttavia ragionevoli e convenienti da svolgere, sopratutto tenendo conto delle dimensioni assai modeste di molti importatori che, ben difficilmente, possono essere in grado di svolgere adeguatamente azioni di sostegno ai produttori. Dai dati raccolti parrebbe inoltre che simili attività – tanto lo sviluppo delle capacità imprenditoriali quanto l’azione a favore dello sviluppo di comunità – siano svolte in modo non sistematico e non rappresentino pertanto una caratteristica necessaria delle centrali di importazione.Si tratta in ogni caso di azioni che – se svolte efficientemente – potrebbero differenziare significativamente il ruolo svolto dalle Atos rispetto a quello di FLO; quest’ultima organizzazione - consapevole della esistenza di soggetti meglio attrezzati a svolgere una azione di sostegno dei singoli produttori e delle loro comunità, le ong in primo luogo - ha infatti scelto di specializzarsi nella sola funzione di certificazione.Lo svolgimento di queste azioni di assistenza tecnica e sociale consentirebbe pertanto di qualificare l’attività delle Atos italiane come la produzione congiunta di due diversi servizi: da una parte il commercio (a condizioni particolari) di beni prodotti da soggetti svantaggiati e, dall’altra, una più specifica azione di cooperazione internazionale allo sviluppo, realizzata attraverso attività che mirano a favorire l’empowerment dei soggetti sostenuti. La valutazione della attività delle Atos deve dunque tenere presente produzione congiunta.3.1.2. Il rapporto con i clientiLa maggiore fonte di ricavo delle centrali di importazioni è rappresentata dalle vendite alle botteghe del mondo, dalle quali proviene oltre il 60% del fatturato; una porzione ancora nettamente maggioritaria di questo fatturato deriva dalla vendita di prodotti alimentari secchi, mentre una quota minore è rappresentata dall’artigianato. Non mancano tuttavia Atos che hanno attuato scelte di specializzazione, non importando alimentari e concentrandosi invece sull’artigianato. Nel rapporto con le botteghe del mondo, i temi fondamentali riguardano le politiche di prezzo ed il grado di autonomia. Non paiono esistere strategie concordate tra le diverse centrali nella determinazione dei prezzi di cessione dei prodotti alle botteghe, anche se – in generale - si può affermare che queste ultime ottengono generalmente un margine pari a circa il 40% del prezzo finale di vendita dei prodotti (più alto per l’artigianato, più basso per i generi alimentari). Mentre alcune centrali praticano prezzi indifferenziati a tutte le botteghe, altre hanno optato per qualche differenziazione, ad esempio tra botteghe associate e non associate, oppure in funzione della quantità di acquisti effettuati.Alcune centrali praticano invece, nei confronti delle botteghe, una politica di prezzi di vendita imposti mentre altre si limitano a consigliarli.Una simile scelta tende a ridurre fortemente l’autonomia operativa delle botteghe nei confronti degli importatori, tenendo anche conto che le possibilità per le prime di approvvigionarsi da fonti alternative restano piuttosto limitate.Una attenzione particolare, dal punto di vista delle relazioni con i clienti, merita il tema del rapporto tra le Atos italiane e la gdo. Infatti, solo un numero ridotto di Atos (peraltro le più grandi) ha rapporti con la gdo, mentre i più - per le ragioni che sono state illustrate in precedenza - hanno scelto di non commercializzare i propri beni attraverso questo canale.Chi ha scelto di vendere alla gdo i propri prodotti tende a fare osservare anche a questi distributori le proprie politiche commerciali, come ad esempio il prezzo di vendita imposto. Si tratta di una pratica con chiari risvolti anticompetivi, difficilmente accettabile da distributori di grandi dimensioni e dotati di notevole potere di mercato. Proprio essa, oltre all’esigenza di diversificare le fonti di approvvigionamento e di non sottostare al potere di

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mercato del distributore, potrebbe spiegare la politica di creazione di linee di prodotti eque e solidali con marchi propri delle grandi catene distributive, come ad esempio Solidal di CoopItalia.Non sembrano esistere (o sono assai limitate) politiche di marketing comune da parte delle diverse Atos, mentre pare accertato un accordo a livello europeo, tale per cui ogni centrale di importazione vende i prodotti a casa propria, senza entrare in concorrenza con importatori di altri paesi.3.1.3. Qualche problema nell’attività dei trader italianiL’analisi delle attività svolte dalle centrali italiane d’importazione evidenzia alcuni problemi che potrebbero contribuire a ridurre l’efficacia della loro azione.In primo luogo, le centrali mostrano dimensioni economiche estremamente ridotte - con l’unica eccezione del leader di settore, CtmAltromercato – e ciò può portarle ad operare in modo inefficiente, riducendo grandemente il beneficio potenziale della loro azione.Le dimensioni medie in termini di fatturato sono infatti di poco inferiori agli 8 milioni di euro annui, ma la deviazione standard della distribuzione è assai elevata (13 mln di €), a dimostrazione di una elevata dispersione delle dimensioni, confermata anche da una mediana di poco superiore ai 2,5 mln di euro.Si tratta dunque di imprese di dimensioni estremamente modeste che operano in un settore dove – a priori – le possibili economie di scala paiono assai elevate. Tali economie sono facilmente intuibili nelle diverse fasi che compongono il “servizio di import/export” tipico delle Atos (come, ad esempio, il trasporto dei beni o l’amministrazione), ma esistono sicuramente anche in altre aree di attività, più strettamente connesse a quelle azioni di assistenza allo sviluppo imprenditoriale e di comunità che le centrali identificano come lo specifico della propria attività e l’elemento di diversità rispetto alle attività di commercio equo svolte da organizzazioni non specializzate in questa filiera produttiva (come ad esempio i licenziatari del marchio Fairtrade).E’ facile intuire come la possibilità di svolgere efficacemente le varie azioni connesse al sostegno allo sviluppo imprenditoriale dei produttori dipende dalla disponibilità di personale specializzato (nell’ideazione dei prodotti, nell’implementazione dei processi produttivi, nel marketing, nella finanza di progetto, ecc.), il cui utilizzo risulta conveniente solo quando i volumi di lavoro superano alcune dimensioni minime. In alternativa, questi diversi compiti possono essere svolti solo da personale con qualifiche generiche, privo delle competenze necessarie.Allo stesso modo, anche le attività connesse con la determinazione degli standard e la verifica della loro adozione da parte dei produttori presentano possibili economie di scala e possono rivelarsi estremamente costose se svolte a dimensioni sub-ottimali.Questa, d’altra parte, è una delle ragioni che ha portato le diverse “iniziative nazionali” alla creazione di FLO.Una ulteriore ragione che può portare le centrali di importazione ad operare in modo inefficiente è la loro assoluta mancanza di specializzazione per filiere di prodotto, con molte centrali che operano (sia nell’acquisto dei beni finiti che nella trasformazione delle materie prime) in aree di prodotto assai diverse e disparate (dai dolci alle bevande, dal tessile ai giocattoli, dal vasellame ai mobili). Si tratta di un fenomeno inusuale sia nel campo dell’importazione che della trasformazione, aree di attività in cui è probabile che un certo livello di specializzazione possa portare significativi aumenti di efficienza.Le dimensioni modeste e la mancanza di specializzazione di gran parte delle centrali italiane rischiano dunque di tradursi in inefficienza produttiva e quindi in costi più elevati di quelli che si sopporterebbero operando ad una scala efficiente.Tale fenomeno può generare diverse conseguenze. Innanzitutto può tradursi in un costo dei prodotti più elevato rispetto ai concorrenti “non equi e solidali” e, di conseguenza, in minori quantità vendute; ciò come esito non solo della maggior remunerazione riconosciuta ai

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produttori, ma anche della inefficienza dell’intermediario. Una simile condotta non può che ripercuotersi negativamente sugli stessi produttori, limitando la quantità di beni che essi riescono a vendere nei paesi occidentali o il numero di coloro che possono accedere al cees.Inoltre, se si vogliono mantenere prezzi competitivi, l’operare su scala inefficiente può portare a comprimere il margine dell’intermediario, mettendone a repentaglio il futuro. In effetti, i dati di bilancio del campione a nostra disposizione mostrano una redditività (utili) in generale diminuzione e, nell’ultimo anno disponibile, la comparsa di perdite per 3 delle 4 centrali che hanno risposto all’indagine. A ciò si aggiunga il fatto che, nonostante la situazione finanziaria a breve appaia relativamente tranquilla, la solidità patrimoniale di gran parte delle Atos è piuttosto modesta e che anche le remunerazioni dei lavoratori appaiono piuttosto sacrificate, sia nella possibile progressione che nei valori assoluti.Infine, operare su scala inefficiente rischia – in presenza di vincoli di bilancio che si fanno stringenti – di portare a sacrificare la qualità delle azioni che incidono meno direttamente sullo svolgimento della attività commerciale perché meno verificabili dai propri clienti, come sono tipicamente le azioni legate allo sviluppo e al sostegno dei produttori, alla verifica degli standard o al monitoraggio dell’impatto della propria opera. L’aumento delle dimensioni medie delle imprese (attraverso la crescita delle vendite o la fusione di soggetti) per accrescere l’efficienza e l’efficacia della propria azione dovrebbe dunque essere un tema caro alle Atos italiane.In secondo luogo, le centrali italiane soffrono di un problema di “autoreferenzialità” derivante dall’essere – di fatto – certificatori dei propri prodotti, nonché di sé stessi e della propria attività, sia commerciale che di cooperazione allo sviluppo. Questa condizione oggettiva, unita alla modesta trasparenza dei processi e dalla assenza pressoché totale di attività di rendicontazione sociale disponibile pubblicamente, rischia di mettere a repentaglio l’eccellente reputazione che le organizzazioni si sono guadagnate presso il pubblico grazie alla meritorietà delle finalità perseguite e delle attività svolte. La possibilità stessa di esistere del cees si basa infatti sulla fiducia che i consumatori ripongono nel rispetto dei criteri ispiratori dell’attività da parte di tutti i soggetti che operano all’interno della filiera produttiva. Mancanza di controlli e di trasparenza rischiano pertanto di dare spazio a possibili comportamenti opportunistici che potrebbero compromettere l’attività e gli sforzi anche dei soggetti più meritevoli.Le tematiche di rilievo in questo caso paiono dunque essere duplici.Da una parte l’opportunità di fare certificare da soggetti terzi i prodotti importati,dall’altra quella di fare certificare, o di dare maggiore trasparenza, all’attività stessa delle Atos, sia per ciò che riguarda le loro azioni commerciali che per ciòche viene ritenuto – giustamente - il loro valore aggiunto: l’attività di cooperazione allo sviluppo svolta attraverso il sostegno ai produttori ed alle comunità locali. Questa ultima attività, correttamente svolta e documentata, può rappresentare di fatto una modalità innovativa (e probabilmente molto efficace) per attuare politiche di cooperazione allo sviluppo. Le soluzioni possibilipotrebbero partire proprio dal riconoscimento del “doppio servizio” svolto da questi operatori e dunque della opportunità che la loro azione commerciale siassoggetti agli standard previsti da FLO, mentre l’azione di cooperazione sociale possa essere valutata parallelamente a quella delle ong, ad esempio proprio da strutture del Mae.3.2. I certificatori: Fairtrade Transfair ItaliaL’organizzazione italiana socio di FLO è la cooperativa Fairtrade Transfair Italia (FTI d’ora in poi), che concede l’uso del marchio Fairtrade alle aziende italiane, ne controlla l’operato, raccoglie informazioni attorno alle dimensioni del cees e svolge attività di sensibilizzazione al commercio equo. La cooperativa è stata costituita da un gruppo piuttosto nutrito di organizzazioni nonprofit italiane, ma alla sua creazione non hanno partecipato gli enti tipicamente coinvolti nel cees (botteghe e Atos). Questi ultime, almeno inizialmente, hanno infatti mostrato una certa avversione all’idea della certificazione dei prodotti ed allaconnessa possibilità che soggetti non specializzati nel cees potesserodistribuire prodotti equi e solidali.

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3.2.1. L’attività di Fairtrade Transfair ItaliaFTI è una organizzazione di dimensioni piuttosto modeste, poiché non svolgedirettamente alcuna attività di intermediazione o distribuzione commerciale, maopera semplicemente per sensibilizzare produttori, distributori e consumatoririspettivamente all’utilizzo di materie prime eque e solidali, alla vendita diprodotti provenienti da produttori certificati da FLO ed al consumo di prodotti cees. Per questa ragione, il fatturato complessivo di FTI non supera i 400.000 €annui e le sue attività sono svolte da non più di 5 persone retribuite (oltre a volontari e personale in servizio civile). Le azioni svolte hanno mostrato finora un certo successo se si pensa che il numero dei licenziatari italiani del marchio Fairtrade è in costante crescita: dai 34 del 2003 ai 45 del 2005. In crescita, come si è già accennato all’inizio, è anche il fatturato al dettaglio dei prodotti certificati di questi licenziatari.L’attività di FTI tende ad evolvere gradualmente dalla semplice ricerca di soggetti interessati ad acquisire il marchio Fairtrade verso la sensibilizzazione dei licenziatari al destino dei produttori da cui essi acquistano i beni, per arrivare sino alla gestione di veri e propri processi di accompagnamento dei produttori stessi da parte dei licenziatari. Allo stesso modo, dalle generiche campagne di sensibilizzazione al consumo equo e solidale, FTI è passata a svolgere anche iniziative indirizzate direttamente ai numerosissimi soci delle associazioni (ad esempio Arci, Acli e Agesci) che hanno costituito la cooperativa.Le fonti di entrata di FTI sono rappresentate principalmente – oltre a pochi contributi liberali, sponsorizzazioni ed entrate di tipo commerciale derivanti dalla svolgimento di corsi formazione e da attività di consulenza - dalle royalties pagate annualmente dai licenziatari del marchio Fairtrade; si tratta, in linea di massima, di un ammontare compreso tra l’1,5 ed il 2% del prezzo al20 consumo dei prodotti stessi e che, nel 2004, ha portato nelle casse di FTI circa 280.000 €.Delle royalties incassate, una parte - pari a circa il 20% - è stata girata da FTI a FLO, come contributo per le spese di quest’ultima organizzazione. Il resto ha invece finanziato le attività istituzionali di FTI, cioè il controllo e la ricerca di licenziatari e la promozione del cees.Le modalità di controllo dei licenziatari, attività inizialmente assegnata da FLO alle “iniziative nazionali” (tra cui FTI), hanno recentemente subito alcune modifiche, nel tentativo di uniformare le metodologie e le prassi di azione nei singoli paesi. Per questa ragione, FLO ha adottato due diverse politiche: in alcuni paesi (Belgio, Francia e Spagna, per esempio) ha aperto strutture locali decentrate di FLO-Cert, operanti secondo gli standard europei ISO 65; in altri paesi, tra cui l’Italia, ha stipulato accordi con strutture di certificazione già esistenti che – in via sperimentale – operano per conto di FLO-Cert applicando gli standard previsti da quest’ultima organizzazione. In Italia, il controllo dei licenziatari è stato affidato a Icea, l’Istituto di Certificazione Etica ed Ambientale già attivo da tempo nella certificazione dei prodotti biologici e dotato di numerose sedi decentrate sull’intero territorio nazionale. In tal modo, sfruttando strutture già esistenti e specializzate nel processo di controllo, si ritiene di poter effettuare una azione molto più efficace ed economica di quella che potrebbe essere svolta direttamente da FTI. Gli standard sviluppati da FLO-Cert e le “check list” fornite ai certificatori sono estremamente precise e dettagliate, tali da condurre ad un effettivo controllo del processo produttivo e del rispetto dei criteri adottati da FLO; questi ultimi sono relativi: a) al flusso delle merci ed alla reportistica che i licenziatari si impegnano a fornire a FLO, b) alla gestione fisica delle scorte di materie prime e di prodotti acquistati, c) alla esistenza di accordi prolungati, d) alla concessione di pre-finanziamento degli acquisti, e) al pagamento del prezzo e del premio previsto da FLO, f) al rispetto delle convenzioni internazionali sui diritti dei lavoratori, g) all’utilizzo del logo Fairtrade ed, infine h) all’utilizzo di eventuali terzisti. Su tutti questi aspetti dell’attività del licenziatario, i certificatori redigono un dettagliato rapporto che iene inviato all’iniziativa nazionale e a FLO.Secondo le dichiarazioni di FTI, on si sono finora verificati casi di licenziatari cui sia stato sottratto l’uso del archio per il mancato rispetto dei criteri previsti.

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3.2.2. Alcuni problemi nell’attività dei certificatoriNon sono emersi problemi particolari nell’operato dell’iniziativa italiana la cui attività, al contrario, contribuisce senza dubbio ad ampliare sensibilmente il umero dei soggetti interessati al cees, rendendolo accessibile – grazie alla ensibilizzazione degli operatori della gdo - anche a quella parte di consumatori he non ha modo o interesse a servirsi di un distributore specializzato. Semmai, unico limite dell’attività è strettamente connaturato alla scelta stessa di FTI di ttuare politiche di marchio: la difficoltà nell’esercitare una significativa azione di ostegno ai produttori che passi attraverso canali diversi rispetto alle semplici ondizioni finanziarie più favorevoli (prezzo, pre-finanziamento, ecc.) per lo cambio. Alcune azioni di sostegno allo sviluppo imprenditoriale dei produttori vantaggiati sono sicuramente state intraprese sia dai licenziatari del marchio che da alcuni soggetti della gdo che operano direttamente con i produttori; non si sfugge tuttavia alla sensazione che tali azioni abbiano carattere estemporaneo e non sistematico.E’ questa, probabilmente, la sfida più complessa per l’universo dei soggetti che ha scelto di operare secondo una logica di stretta specializzazione.Si ratta, d’altra parte, della stessa sfida che si trovano ad affrontare le Atos.3.3. I distributori: le botteghe del mondoLe botteghe del mondo sono il principale canale di diffusione dei prodotti equi solidali in Italia20 poiché, come si è già accennato, attraverso di loro si genera a maggior parte del fatturato al dettaglio del settore. L’universo stimato all’indagine consiste di 347 botteghe, molte delle quali pluri-localizzate, tanto he i punti vendita complessivi ammontano a circa 485; attraverso questo anale si genera circa il 56% del fatturato al dettaglio del settore in Italia.3.3.1. Le botteghe: un fenomeno recente e concentratoLe botteghe italiane sono un fenomeno relativamente recente poiché la gran arte di quelle attualmente in vita ha iniziato ad operare a partire dalla fine degli anni ottanta. Esistono alcuni operatori di costituzione più ntica, come si evince dai dati, ma si tratta principalmente di soggetti costituiti er svolgere attività diverse dal cees e successivamente trasformati in botteghe del mondo.La vera e propria esplosione delle botteghe si ha poi dall’inizio del nuovo millennio, se si pensa che oltre il 55% delle botteghe esistenti a metà 2004 erastato costituito nei 4 anni precedenti, mentre oltre il 90% delle botteghe aveva, quella data, meno di 15 anni di vita. Proprio l’elevata giovinezza delle otteghe contribuisce a spiegarne alcune caratteristiche che saranno messe in evidenza tra breve.Anno di Le organizzazioni del commercio equo solidale sono maggiormente diffuse al Nord-ovest (38% del totale) ed al Nord-Est (22,5%), mentre risultano meno presenti al Centro (19%) e al Sud (21% comprendendo anche Sicilia e Sardegna). In particolare, il tasso di localizzazione al Nord cresce al crescere delle dimensioni economiche delle organizzazioni, tanto in termini di addetti, che di fatturato. Le realtà più piccole risultano, per converso, più diffuse nelle regioni del Centro e, in particolare, del Sud e Isole.3.3.2. Le botteghe: operatori senza scopo di lucroNonostante svolga attività che vengono usualmente classificate come “commerciali” dal fisco, la grande maggioranza delle botteghe assume una forma giuridica “senza scopo di lucro”; il 71% delle botteghe è un’istituzione nonprofit in senso stretto; la forma in assoluto prevalente è quella dell’associazione riconosciuta (33%), seguita da cooperative sociali ed associazioni non riconosciute (24 e 19%). Poco meno del 30% dei soggetti è invece costituito in forma di società.Tra queste, le cooperative (cioè forme societarie soggette per legge a qualche forma di limitazione nella possibilità di distribuzione dei profitti) sono pari a circa un quarto del totale delle organizzazioni censite, mentre le società di persone e di capitali (non soggette ad alcun vincolo di distribuzione dei profitti) rappresentano meno del 5% del totale.

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Oltre a ciò, alcune botteghe costituite in forma cooperativa e societaria hanno inserito nei propri statuti vincoli alla distribuzione dei profitti (e del patrimonio) più stringenti rispetto a quelli previsti dalla normativa. Inoltre, nessuna delle botteghe che ha risposto al questionario di indagine ha distribuito utili ai propri soci negli ultimi 3 anni.La variazione della forma giuridica della bottega dalla data di inizio delle proprie attività alla data di rilevazione è un fenomeno che ha interessato 123 organizzazioni, oltre il 35% del totale. Le istituzioni che hanno dichiarato di aver modificato la propria forma giuridica hanno generalmente seguito un percorso di consolidamento, passando da forme meno professionalizzate a forme più adatte allo svolgimento di attività commerciali. In particolare, quasi la metà dei casi di cambiamento (47% circa) ha riguardato il passaggio da istituzione nonprofit a cooperativa.Un’altra metà circa dei cambiamenti (quasi il 44%) è invece avvenuto all’interno del nonprofit ed, anche in questo caso, le organizzazioni hanno assunto tipicamente forme giuridico-organizzative più stabili e strutturate.In particolare, la transizione più tipica (31%) è stata quella da associazione (riconosciuta e non) a cooperativa sociale. Seguono poi, con il 26% dei casi, il passaggio da associazione non riconosciuta ad associazione riconosciuta, e quello da gruppo informale ad associazione (23%). Poco rilevanti dal punto di vista quantitativo risultano infine gli altri casi di variazione della forma organizzativa: nel 2% dei casi si è trattato di passaggio dalla forma di società cooperativa a società di persone o di capitali, mentre un solo caso ha riguardato il cambiamento da società a organizzazione nonprofit.3.3.3. Le botteghe: piccoli operatori economici …Abbiamo già avuto modo di descrivere il modesto impatto economico complessivo del cees, e il fenomeno investe ovviamente anche il mondo delle botteghe, che realizza un fatturato complessivo di 54 milioni di euro ed opera in sostanziale pareggio, con lievi margini di utili per organizzazioni nonprofit e società, a fronte di perdite modeste per le cooperative.E’ piuttosto limitato anche l’impatto occupazionale del settore, mentre è da rilevare la presenza di un buon numero (pari ad oltre la metà della forza lavoro complessiva) di volontari attivi entro le botteghe.L’analisi delle dimensioni medie in termini di addetti mostra, infine, che assumono dimensioni maggiori le botteghe attive come cooperative, quelle attive da più tempo e, con riferimento alla dimensione geografica, le botteghe del Nord-Est e del Nord-Ovest, a conferma del maggiore sviluppo del cees in queste aree.Nel complesso, il settore delle botteghe mostra dunque dimensioni medie assolutamente modeste, con la bottega tipica che fattura poco più di 155.000 €, occupa 1,7 lavoratori retribuiti (etp) e può contare sulle prestazioni gratuite di 2 volontari (etp).3.3.4. … ma con un ricco patrimonio di sociSe le dimensioni economiche complessive delle botteghe sono di assoluta modestia, il panorama cambia quando si considerino le loro dimensioni “sociali”, a partire dalla quantità di soci. Praticamente tutte le organizzazioni (97,5% del totale) prevedono la presenza di soci ed in media ogni bottega vanta oltre 170 iscritti; di questi, la larghissima parte è rappresentata da persone fisiche che ammontano complessivamente a oltre 58.000 individui.Parecchi di questi soci (13,9%) prestano attività volontaria per l’organizzazione cui sono associati, mentre una quota inferiore al 2% lavora nelle organizzazioni ricevendo un compenso.Fra i soci persone giuridiche, il ruolo delle organizzazioni nonprofit appare prevalente (oltre il 66% del totale), seguito dalle cooperative (27%) e dalle società a fine di lucro (5%); il ruolo delle persone giuridiche pubbliche (Stato, Enti locali e altri soggetti della Pubblica Amministrazione) risulta invece assolutamente marginale: esse rappresentano, infatti, solamente poco più dell’1% del totale dei soci persone giuridiche.Ogni anno, ciascuna bottega organizza in media 2 assemblee dei soci, con un numero di

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assemblee decrescente al crescere delle dimensioni economiche, sia in termini di addetti che di fatturato. La partecipazione alle assemblee risulta più elevata fra i soci persone giuridiche (che, come abbiamo visto, rappresentano una quota ridotta del totale). Ad ogni assemblea, infatti, partecipa mediamente circa il 40% delle persone giuridiche, mentre tale percentuale scende intorno al 15% per le persone fisiche. Il tasso di partecipazione risulta, infine, più elevato nelle organizzazioni che operano attraverso la forma giuridica della cooperativa.3.3.5. Le botteghe in dettaglioCome è facilmente intuibile, per la larghissima maggioranza delle botteghe (97,4%) l’attività prevalente è la vendita al dettaglio; la vendita all’ingrosso è l’attività prevalente solo per meno del 2% delle botteghe, anche se essa viene svolta come attività accessoria dal 16,1% del campione.Fra le attività collaterali, spicca l’informazione ed educazione allo sviluppo che viene svolta da oltre il 96% delle organizzazioni contattate. Le altre attività (formazione; promozione, coordinamento e realizzazione di progetti di sviluppo; supporto alle attività di cooperazione di ong; attività editoriali; finanza solidale) sono svolte da un numero molto minore di organizzazioni.L’analisi delle corrispondenze fra le diverse caratteristiche delle organizzazioni e la frequenza con cui sono svolte le diverse attività evidenzia, infine, che le istituzioni operanti in forma di società sembrano maggiormente focalizzate sulle attività più tipicamente commerciali, pur non trascurando l’attività di informazione ed educazione allo sviluppo.Nella stragrande maggioranza dei casi (98%) l’attività di vendita al dettaglio avviene in locali fissi e ciascuna organizzazione dispone in media di 1,4 punti vendita, caratterizzati da dimensioni medio/piccole (55 mq medi). Il contratto che regola l’utilizzo di tali spazi è soprattutto l’affitto, che caratterizza circa due terzi dei punti vendita, mentre meno diffusi sono il comodato (21% dei punti vendita) e la proprietà, che riguarda solo il 12% degli spazi utilizzati.Mediamente i locali rimangono aperti 5 giorni e mezzo alla settimana per 6 ore e mezzo al giorno, manifestando una sostanziale regolarità dell’attività di vendita.Oltre alle attività di vendita, circa l’84% delle istituzioni organizza abitualmente iniziative di sensibilizzazione della popolazione alle tematiche del cees, con una pratica meno diffusa fra le botteghe più piccole. Gli obiettivi dichiarati di tali eventi sono la promozione del commercio equo e solidale, della giustizia sociale ed economica, della crescita della consapevolezza dei consumatori. Meno frequente è l’organizzazione di eventi finalizzati alla promozione della finanza solidale e di quelli incentrati su tematiche relative alla protezione ed al rispetto dell’ambiente.Le attività sinora descritte sono svolte sia da personale retribuito che da volontari; in talune circostanze, tali funzioni prevedono l’esistenza di un responsabile dedicato, mentre più spesso sono svolte da personale generico.Le funzioni per le quali più frequentemente sono previste posizioni specifiche all’interno dell’organizzazione riguardano particolarmente gli “acquisti e la gestione degli approvvigionamenti”, la “amministrazione, finanza, contabilità e fund-raising”, le “vendite e il marketing”, la “direzione e coordinamento”, la “informazione, formazione, sensibilizzazione organizzazioni prevede l’utilizzo di personale specificamente adibito a tali attività.La gestione del magazzino e dei trasporti, i sistemi informativi/EDP e la gestione del personale vengono invece più spesso affidati a persone che svolgono contestualmente altre attività.La ripartizione delle mansioni fra volontari, dipendenti e collaboratori vede i primi soggetti giocare un ruolo preminente, a riprova del carattere ancora scarsamente professionalizzato delle botteghe. La maggioranza dei dipendenti assunti dalle organizzazioni contattate è inquadrata nel CCNL del commercio (63% del totale), mentre una quota pari al 15,5% del

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totale fa riferimento al contratto delle cooperative o (per il 13%) a quello delle cooperative sociali.Meno di un quinto delle botteghe impiega soggetti svantaggiati come lavoratori, per un totale pari a circa 170 persone. Restringendo il campo di osservazione alle sole organizzazioni che impiegano soggetti svantaggiati, risulta che, in media sono impiegate circa 3 persone per organizzazione ed esse rappresentano il 56% del personale retribuito ed il 21,5% delle persone impegnate. Nella quasi totalità dei casi le botteghe che impiegano persone svantaggiate sono organizzazioni nonprofit, in particolare associazioni riconosciute (92 soggetti impiegati) e cooperative sociali di tipo B (58 persone); nessun lavoratore svantaggiato è stato assunto da società e uno solo da una cooperativa.La forte prevalenza dell’attività di vendita ed il basso livello di professionalizzazione si ripercuotono inevitabilmente sulla struttura dei costi che sono determinati, per oltre il 65%, dall’acquisto di materie prime e merci, per il 13% dalle spese per il personale e per una quota analoga dall’acquisto di servizi e godimento di beni di terzi (tale categoria è costituita in larga parte dai canoni di affitto dei locali delle botteghe).La variazione negativa delle scorte può essere un indicatore della crescita del settore, mentre la bassa incidenza dei costi per ammortamenti segnala la scarsa rilevanza del capitale fisso nell’attività delle botteghe. Modesto è anche il peso degli oneri finanziari. Per quanto riguarda le diverse tipologie di organizzazioni, notiamo che nelle organizzazioni di minori dimensioni risulta più elevata l’incidenza dei costi per acquisto di materie prime e merci e assai più basso il costo del personale, ad ulteriore testimonianza di organizzazioni che vivono prevalentemente grazie alle prestazioni dei volontari.Un ulteriore elemento tipico è la bassa incidenza della quota di costi relativi alle attività di sensibilizzazione, formazione ed organizzazione di eventi, che pure abbiamo visto essere praticata da quasi tutte le botteghe. Si tratta di attività svolta con ogni probabilità da personale volontario.Come abbiamo visto, il lavoro non incide in modo particolarmente elevato sui costi delle botteghe. Un chiaro motivo di ciò – oltre allo scarso livello di professionalizzazione delle botteghe – è anche il basso livello salariale.In media, la retribuzione lorda annua di un lavoratore equivalente tempo pieno è compresa tra un valore minimo di 15.400 euro ed un massimo di 16.500 euro. Anche la differenza salariale media risulta piuttosto bassa, tale da superare appena i mille euro all’anno, e da generare un rapporto fra massimo e minimo (MMR21) pari ad 1,07. In molti casi, addirittura, tale differenza si annulla del tutto, soprattutto nelle organizzazioni più piccole. Essa risulta invece leggermente più accentuata nelle imprese di dimensioni maggiori, che adoperano la forma societaria, ed attive al Nord-Est ed al Centro; anche in questi casi, tuttavia, il valore assoluto della differenza salariale non supera comunque i 2.500 euro molto inferiore rispetto a quello medio nazionale, che si attesterebbe su un livello pari a 2,719.La ripartizione del costo fra le diverse figure professionali si discosta solo leggermente dalla ripartizione percentuale delle persone impegnate nelle diverse funzioni. Tuttavia, considerando congiuntamente entrambi gli aspetti, i dati raccolti mostrano che i coordinatori pesano, in termini di costo, in misura inferiore rispetto a quanto non avvenga in termini di numerosità, mentre i costi per gli addetti alle funzioni operative risultano più elevati, in termini percentuali, rispetto alle rispettive quote riferite al numero di persone impiegate. Tale evidenza si spiega con la maggiore frequenza dell’affidamento a volontari delle funzioni di coordinamento e, per converso, la maggiore frequenza dell’impiego di personale retribuito nelle posizioni operative.La struttura delle entrate conferma quanto abbiamo osservato dal lato dei costi e risente in modo evidente della netta prevalenza dell’attività di vendita al dettaglio svolta dalle botteghe. Da tale fonte, infatti, trae origine oltre l’86% delle entrate complessive delle botteghe; emerge, inoltre, la trascurabile incidenza delle entrate di fonte pubblica che costituiscono

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appena il 4,2% dell’ammontare complessivo (considerando complessivamente i trasferimenti gratuiti e i ricavi provenienti da contratti e convenzioni). Risulta particolarmente bassa anche l’incidenza delle entrate derivanti da donazioni (che rappresentano soltanto il 2,1% del totale). Tale risultato conferma una problematica che attraversa tutto il mondo del nonprofit italiano (specialmente se confrontato con quello degli altri paesi occidentali). L’incidenza delle donazioni risulta superiore nel caso delle organizzazioni più vecchie, ove raggiunge circa l’8% del totale.Per quello che riguarda i ricavi provenienti dalla vendita circa il 90% è riconducibile ai prodotti del cees, mentre circa il 10% si riferisce ad altri prodotti (siano essi prodotti biologici o di cooperative sociali, prodotti editoriali, o prodotti di altro genere). Soffermandoci sulla prima tipologia di prodotti, notiamo la prevalenza dell’artigianato - da cui deriva il 46% del totaledei ricavi delle vendite - rispetto agli alimentari secchi (42% delle vendite complessive) ed agli alimentari freschi (1,5%). La prevalenza dei prodotti di artigianato risulta infine superiore nel caso delle organizzazioni che operano nelle regioni del Centro Italia: la quota di ricavi riconducibile a tali articoli è infatti pari, in tali casi, a circa il 55%.Circa i margini medi realizzati sulla vendita dei diversi prodotti, le quote più elevate (pari circa al 40% di ricarico) sono relative proprio alla vendita di prodotti artigianali, mentre il ricarico sugli alimentari secchi si attesta intorno al 24% e quello sugli alimentari freschi non raggiunge il 19%. Più omogenee sono invece le quote di margine realizzate sulla vendita di altri prodotti, esterni alla filiera del cees, che si attestano all’incirca intorno al 25%.Dal punto di vista della solidità patrimoniale, le botteghe mostrano caratteristiche tipiche del settore nonprofit nel suo insieme. Ad esempio, sul fronte dell’attivo patrimoniale, risulta piuttosto contenuta la quota di investimenti in capitali fissi: la quota relativa alle immobilizzazioni (materiali, immateriali e finanziarie) supera appena, infatti, il 25% del totale dell’attivo.Più elevate sono invece le quote relative ai crediti ed alle attività più liquide (cassa, banca, titoli) e piuttosto alta risulta anche la voce “altro” nella quale presumibilmente figurano le rimanenze.Dal lato del passivo, si osservano un modesto livello di capitalizzazione (capitale sociale e riserve costituiscono, mediamente, meno del 20% del totale passivo) e una significativa quota di debiti contratti nei confronti dei propri soci (percentuale che ammonta al 24% circa del totale passivo).Questi ultimi, quindi, partecipano al finanziamento delle attività delle rispettive organizzazioni, non solo attraverso la via patrimoniale ma anche, in misura pressoché uguale, attraverso capitale di debito.Osservando la ripartizione temporale dei debiti verso soggetti diversi dai soci, si nota una netta sproporzione a vantaggio dei debiti a breve termine, che rappresentano circa il 27% del totale del passivo. I dati relativi alle diverse tipologie di organizzazioni evidenziano una maggiore rigidità nella struttura dell’attivo delle società più capitalizzate, anche se l’esiguità del numero di organizzazioni considerate impedisce di generalizzare tale argomento.Un elemento che distingue, invece, le istituzioni di dimensioni medie rispetto alle piccole ed alle grandi, è rappresentato dalla maggiore incidenza dei debiti verso i propri soci che raggiungono, in media, quote vicine o superiori al 35%.Un discorso a parte va dedicato alle voci relative al risultato economico conseguito (utile/perdita). Come si noterà, nel complesso, la differenza in termini percentuali fra l’utile d’esercizio (voce che rappresenta, mediamente l’8,7% del passivo) e la perdita (1,6% del passivo) è positiva e configura dunque un risultato economico complessivo dello stesso segno (al contrario di quanto abbiamo visto nel paragrafo relativo all’impatto economico complessivo del comparto). Tale discrepanza deriva dal fatto che i primi dati commentati si riferivano ad un numero più elevato di organizzazioni, alcune delle quali non avevano fornito

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la ripartizione percentuale delle voci del conto economico e dello stato patrimoniale. L’analisi svolta in queste righe, invece, riguarda quel sottoinsieme di organizzazioni che hanno fornito risposte dettagliate sulla ripartizione delle diverse voci dello stato patrimoniale.La difformità del risultato economico complessivo ci spinge a concludere che le organizzazioni che hanno fornito le informazioni meno dettagliate sono anche quelle che presentano una “performance aziendale” peggiore.3.3.6. Le previsioni per il futuroDall’analisi qualitativa delle tendenze recenti e delle previsioni future, cui era dedicata una apposita sezione del questionario, emerge in modo piuttosto chiaro la crescita particolarmente sostenuta del cees negli ultimi anni e la previsione di un ulteriore sviluppo. La crescita più sostenuta ha riguardato il fatturato ed i costi, mentre il personale retribuito e, soprattutto, i volontari hanno subito variazioni positive ma più contenute. Le variazioni attese risultano ancora più rosee, con saldi percentuali superiori (tranne per il caso dei costi) alle variazioni recenti.In particolare, risultano molto positive le attese riguardanti la crescita del fatturato, che è previsto in aumento per una quota di organizzazioni prossima al 71%.In base alle risposte fornite alle domande sulla dinamica recente della bottega, è stato possibile classificare le organizzazioni in tre sottogruppi: le organizzazioni in rallentamento (che dichiarano, per l’ultimo anno, variazioni negative del giro di affari - fatturato e costi - e del volume di risorse umane a disposizione – personale retribuito e volontario); le organizzazioni in crescita (che dichiarano variazioni positive per ciascuna delle variabili di cui è stato sondato l’andamento recente); e le organizzazioni stabili (che dichiarano andamenti non univoci nelle variabili analizzate). In base a tale classificazione, il fenomeno del commercio equo e solidale risulta ancora una volta in crescita visto che quasi il 27% delle organizzazioni risulta in crescita e soltanto l’1,6% in rallentamento. Inoltre, anche nei casi di stabilità, risultano largamente prevalenti gli andamenti positivi rispetto a quelli negativi.In generale, le aree di maggior diffusione corrispondono a quelle con le migliori performance (risultano in crescita il 33% delle organizzazioni localizzate nel Nord-ovest, il 41,2% di quelle del Nord-est e solo il 9% di quelle del Centro e il 6% di quelle del Sud).In estrema sintesi, tra le difficoltà organizzative maggiormente sentite figurano la carenza di programmazione e progettazione, l’insufficiente capacità di strutturare l’attività di informazione, la carenza di competenze economiche e finanziarie, e l’insufficiente capacità di lavorare in forma di rete.Non sembra invece costituire un problema la consapevolezza dei propri obiettivi, che viene raramente segnalata come fattore critico. Per quanto riguarda le difficoltà nella gestione economica e finanziaria, invece, le due criticità evidenziate più spesso riguardano l’insufficienza dei margini operativi ed il trattamento fiscale penalizzante, mentre l’accesso al credito non sembra costituire un problema urgente, secondo il giudizio dei responsabili raggiunti dalla indagine.Dalle risposte alle domande aperte contenute nel questionario, osserviamo che gli intervistati lamentano l’insufficienza delle risorse a disposizione delle proprie organizzazioni per assicurare una gestione professionale dell'attività, anche a causa dei margini di profitto, che sono ritenuti spesso troppo bassi.Come conseguenza, sono spesso segnalati i tipici problemi derivanti dalla prevalenza del lavoro volontario nella gestione dell’attività (elevato turn-over, difficoltà di reclutamento di nuovi volontari, mancanza di continuità nell’attività).Appare inoltre molto sentito, con numerose segnalazioni, il problema (anch’esso conseguente all’insufficienza delle risorse disponibili) del reperimento di spazi commerciali adeguati, sia in termini di dimensioni che di vicinanza al centro delle città in cui le organizzazioni operano.Altre questioni avvertite in modo particolarmente diffuso sono legate alle difficoltà incontrate nell’attività di sensibilizzazione ed informazione, cui consegue un problema di

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insufficiente visibilità presso i consumatori.Molte organizzazioni, inoltre, reputano scarsamente ricettivo l’ambiente nel quale sono immerse. La mancanza di uno specifico riconoscimento giuridico, viene poi segnalata da un gran numero di intervistati come ostacolo allo sviluppo della propria organizzazione e, più in generale, del cees nel nostro paese.Accanto ai problemi incontrati nei rapporti esterni al mondo del cees, gli operatori che abbiamo raggiunto segnalano con un’elevata frequenza la scarsa capacità di far rete all’interno del mondo delle botteghe e delle centrali di importazione dalle quali dichiarano di non ricevere il supporto di cui avrebbero bisogno per superare le difficoltà nei “momenti di cambiamento”.Questi ultimi fattori di criticità (comunicazione, ricettività, riconoscimento giuridico e propensione al lavoro di rete) caratterizzano il settore nel suo complesso.3.3.7. Possibili fattori di successo delle botteghePer comprendere meglio le caratteristiche dell’universo delle botteghe italiane, abbiamo provato svolgere una prima (e sperimentale) analisi cluster che mirasse ad identificare alcuni sottogruppi omogenei di organizzazioni. A causa della incompletezza di alcuni dei dati a disposizione, non tutte le 347 botteghe censite hanno potuto essere oggetto di questa analisi, che ne ha incluse solo 279. L’obiettivo dell’analisi è stato quello di identificare gruppi di botteghe omogenee dal punto di vista del “grado di successo economico e sociale”, misurando questi fenomeni attraverso un insieme di variabili “proxy” disponibili dalle risposte fornite ai questionari. Il “successo economico di una bottega” è stato misurato attraverso il volume del fatturato, il numero degli addetti, il risultato economico delle attività ed il numero di punti vendita; il “successo sociale” attraverso il numero dei soci, dei soci persone giuridiche, l’ammontare delle donazioni ricevute ed il numero di attività svolte.Sulla base di queste variabili di classificazione, sono stati identificati due gruppi omogenei di botteghe che abbiamo battezzato rispettivamente le “Piccole botteghe diffuse” e le “Imprese sociali del cees”.Il gruppo delle “piccole botteghe diffuse” è di gran lunga quello più numeroso, comprendendo oltre il 96% dell’universo analizzato; si tratta di un gruppo costituito sostanzialmente da piccole organizzazioni con un fatturato medio di poco superiore ai 150.000 euro, circa 13 addetti (sia volontari che retribuiti), generalmente operanti attraverso un solo punto vendita e che sperimentano qualche difficoltà a fare quadrare i conti, visto il risultato medio lievemente negativo. Al contrario, il gruppo delle “imprese sociali del cees” (composto da pochissime botteghe) sembrerebbe sperimentare un maggior grado di successo economico, con fatturati significativi, un buon numero di addetti e conti in ordine (anche se la redditività appare assai modesta anche in questo caso).Anche dal punto di vista sociale, le “imprese sociali del cees” ottengono risultati più lusinghieri rispetto alle “piccole botteghe diffuse”, con un numero più elevato di soci, donazioni ed attività svolte.Dal punto di vista delle attività, i ricavi delle “imprese sociali del cees” evidenziano una maggiore varietà delle fonti di entrata, fenomeno che può probabilmente indicare l’esistenza di strutture organizzative in grado di svolgere compiti più complessi e sofisticati.Le differenze tra i due gruppi potrebbero essere spiegate sia a partire da alcune variabili relative al contesto entro cui le diverse botteghe operano che facendo riferimento ad alcune caratteristiche interne alle botteghe stesse. Dal primo punto di vista, si osserva che le "imprese sociali del cees" sono localizzate in misura significativamente superiore al Nord-Est del paese, mentre sono addirittura assenti al Sud. Oltre a ciò, le "imprese sociali del cees" servono comuni caratterizzati da livelli di popolazione e di ricchezza mediamente (e significativamente) più elevati rispetto alle “piccole botteghe diffuse”.Se si considerano invece le variabili interne alle botteghe, le "imprese sociali del cees" sono caratterizzate da una complessità organizzativa mediamente (e significativamente) più

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elevata rispetto alle “piccole botteghe diffuse”. Inoltre, l'appartenenza a gruppi, ed in particolare ad alcuni gruppi (CTMed Agices, soprattutto) risulta (significativamente) superiore nel caso delle "imprese sociali del cees".Ovviamente questa prima analisi non consente di identificare correttamente i fattori causali delle differenze esistenti tra botteghe, ma si limita a evidenziare alcune possibili correlazioni tra fenomeni.3.3.8. I problemi nell’attività delle bottegheL’analisi svolta finora consente di evidenziare alcuni problemi nell’operato delle botteghe. Il primo fenomeno, più evidente, è rappresentato dalle dimensioni economiche assolutamente modeste della gran parte delle botteghe italiane. Se il fenomeno era già evidente dalla descrizione dei dati aggregati, l’esercizio di cluster analysis svolto nel paragrafo precedente ha messo in evidenza come, a fronte di un nucleo estremamente ristretto di botteghe che raggiunge dimensioni economiche significative, la grande maggioranza del comparto è composta da operatori di piccole o piccolissime dimensioni. Questo dato, in sé, potrebbe non rappresentare un elemento negativo o preoccupante, se non fosse che proprio la limitatezza (per numero e dimensioni) della rete distributiva può rappresentare un serio ostacolo alla diffusione del cees in Italia, riducendo con ciò anche i possibili benefici per i produttori. Che l’incapacità o la lentezza nella crescita del numero e delle dimensioni dei punti vendita delle botteghe possa rappresentare un ostacolo allo sviluppo del cees italiano è testimoniato anche dalla modesta redditività delle botteghe stessa e dalle loro ridotte dimensioni patrimoniali che difficilmente consentono processi di espansione rapidi e condannano la gran parte delle botteghe a ruoli “marginali” o “residuali” entro i contesti locali della distribuzione commerciale.Va peraltro sottolineato che le botteghe non svolgono esclusivamente una funzione di distribuzione commerciale; molte di loro, al contrario, operano come animatori delle comunità locali entro le quali sono localizzate, svolgendo funzioni di sensibilizzazione alle tematiche del cees e – più in generale – dello sviluppo dei paesi più arretrati. Si tratta di una funzione estremamente importante per il cees, la cui crescita dipende molto dalla capacità di diffondere sensibilità su queste tematiche; da questo punto di vista, la rete di rapporti che le botteghe sono in grado di intessere a livello locale (con l’ampio numero di soci, con i volontari, con le istituzioni e le altre organizzazioni di terzo settore) rappresentano una risorsa importante e che deve essere sfruttata al meglio.Gli stessi dati sulla natura giuridica delle botteghe (in larga maggioranza costituite come associazioni, con una forma giuridica inadatta allo svolgimento di attività economiche significative) testimonia una loro vocazione più legata alla animazione ed alla sensibilizzazione culturale che non al commercio in senso stretto.Se entro il mondo delle botteghe le due funzioni (commerciale e culturale)sono state talvolta poste in contrapposizione, sicché è spesso prevalsa laretorica del “piccolo è bello”, nondimeno bisogna osservare che sono proprio isoggetti di dimensioni economiche maggiori (che hanno badato alla crescita della propria vocazione commerciale) quelli che riescono a svolgere più attivitàe quindi anche ad avere una maggiore presenza culturale. D’altra parte, èevidente che la crescita dimensionale, la specializzazione delle funzioni e ilraggiungimento di un certo livello di redditività sono la condizione essenziale per generare le risorse indispensabili a svolgere funzioni culturali chedifficilmente possono sostenersi da sole.

4. Le funzioni del commercio equoI dati e le descrizioni riportati sinora ci consentono di avanzare alcune osservazioni generali e sintetiche sulle funzioni che le organizzazioni di cees svolgono entro il sistema economico.Le attività svolte dalle organizzazioni del cees ci inducono – un po’ provocatoriamente, data la rappresentazione “anti-sistema” che buona parte del cees ha di sé stesso – a identificare queste istituzioni come soggetti cheoperano per migliorare il funzionamento dei meccanismi di mercato a livello locale e globale, correggendone le “imperfezioni” o i “fallimenti”.

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Questa funzione è immediatamente evidente quando le organizzazioni di cees offrono ai produttori uno sbocco di mercato alternativo rispetto agli acquirenti locali(spesso monopsonisti) che possono esercitare un potere di mercato rilevante sui produttori stessi. In questo caso, l’azione diretta dell’intermediario, rappresentato dalla organizzazione di cees, consente di ridurre grandemente le barriere all’entrata nei mercati occidentali, che sarebbero altrimenti invalicabili per il singolo produttore. L’intermediario – che opera spesso con una pluralità di produttori locali – può infatti ridurre i costi di scoperta dei mercati, di ideazione dei prodotti, di trasporto, di istituzione delle reti di vendita (e così via), costi che i singoli produttori non sarebbero in grado di affrontare da soli.In tal senso, le organizzazioni di cees aumentano l’efficienza degli scambi riducendo il poteredi mercato degli acquirenti locali e facilitando l’entrata dei produttori nei mercati;per queste ragioni, le organizzazioni del cees favoriscono l’avvicinamento dei mercati reali alle caratteristiche dei “mercati di concorrenza perfetta” descrittidalla teoria economica.Una tale azione di correzione dei fallimenti dei mercati può essere svolta direttamente dalle organizzazioni di cees, oppure può essere da esse indirettamente favorita incrementando le capacità di auto-organizzazione dei produttori. In tal senso, anche le azioni più “politiche” del cees - come adesempio quelle volte a creare “organizzazioni democratiche” di produttori(cooperative o consorzi per il conferimento dei prodotti agricoli e perl’esportazione degli stessi) - possono essere interpretate come finalizzate amigliorare il funzionamento dei meccanismi di svolgimento delle transazioni.Un simile risultato si realizza grazie alla riduzione del potere di mercato che – in mercati di dimensioni ridotte e geograficamente poco accessibili - gli acquirenti possono esercitare sui venditori di beni. La riduzione del potere di mercato dell’acquirente avviene grazie alla creazione ex-novo di imprese (cooperative e consorzi di trasformazione delle materie prime) di proprietà degli stessi produttori.L’assegnazione ai produttori di materie prime della proprietà delle imprese trasformatrici delle stesse (come nel caso dei consorzi di acquisto ed esportazione di caffè, cacao, banane ed altre commodities alimentari, sorti grazie alla azione di alcune organizzazioni di cees) è infatti – storicamente – un meccanismo diffuso per ridurre il potere di mercato dell’acquirente rispetto al venditore. Anche in contesti di mercato evoluti, come quelli dei paesi occidentali, si verifica spesso che le organizzazioni che acquisiscono e trasformano materie prime alimentari (specie in mercati geograficamente limitati) - come ad esempio i trasformatori di prodotti del latte – siano state, in qualche momento della loro storia, possedute (in forma consortile) dai produttori stessi; l’assegnazione della proprietà della impresa trasformatrice a questa categoria di stakeholders (anziché ai portatori di capitale) consente infatti di minimizzare il costo dello svolgimento degli scambi poiché riduce i costi di transazione dei venditori, la categoria che maggiormente potrebbe soffrire del potere di monopsonio esercitato dall’acquirente (spesso unico) dei loro prodotti.L’azione del cees – in questo caso – è volta ad aumentare l’efficienza dei mercati riducendo il costo delle transazioni.Una analoga funzione di correzione del cattivo funzionamento dei mercati viene svolta dalle organizzazioni di cees anche attraverso il classico meccanismo della anticipazione al produttore di una parte del costo della fornitura. In queste circostanze, le organizzazioni di cees correggono possibili “incompletezze” dei mercati locali del credito. In questi ultimi infatti, gli intermediari creditizi sono tradizionalmente poco interessati ad attività di dimensioni ridotte e spesso poco redditizie, come quelle svolte dai produttori che operano con il cees; in più, vista l’impossibilità dei produttori di fornire garanzie reali, gli intermediari potrebbero renderli oggetto di pratiche dirazionamento del credito a causa di una “tecnologia di affidamento” che non è in grado di valutare i “meriti” delle singole iniziative economiche intraprese.Analogamente, l’azione delle organizzazioni di cees potrebbe correggere il cattivo funzionamento del mercato indotto da una mancanza di competizione tra fornitori di credito;

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la mancanza di competizione, accrescendo i potere di mercato degli intermediari, potrebbe infatti portare ad un rilevante aumento del prezzo del credito. Sempre più frequentemente, attività di micro-credito simili a quelle volte dai trader del cees vengono messe in atto proprio da operatori creditizi specializzati (anche a fine di lucro) che sono riusciti a sviluppare affidabili tecnologie di selezione dei potenziali debitori e di controllo del loro operato, superando la tradizionale asimmetria informativa che caratterizza l’esercizio del credito.A fianco di queste azioni, che esercitano funzioni correttive del funzionamento dei mercati, il cees ne svolge un’altra che pare muovesi nella direzione opposta e che, in talune circostanze, potrebbe rivelarsi controproducente. Si tratta del pagamento di prezzi minimi determinati in maniera tale da garantire adeguate condizioni di vita ai produttori, prezzi che talvolta sono superiori a quelli di mercato per beni omogenei. Una simile azione può essere interpretata come una volontaria misura redistributiva del “surplus” generato dallo scambio, ed è pertanto assimilabile ad un sussidio pagato al produttore dall’intermediario o dal consumatore. Il pagamento di tale sussidio è perfettamente giustificabile dal punto di vista “etico” (una misura redistributiva attuata volontariamente da soggetti privati) e può svolgere anche una rilevante funzione economica garantendo un sostegno (privato e temporaneo) ad un produttore, finalizzato al suo rafforzamento competitivo. La stessa misura (se protratta nel tempo, in situazione di prezzi di mercato calanti e senza un utilizzo finalizzato all’aumento della produttività del produttore) rischia tuttavia di rivelarsi controproducente, poiché può trasmettere al produttore segnali distorti, inducendolo a permanere entro mercati che sarebbe invece opportuno abbandonare a causa della presenza di cronici eccessi di offerta sulla domanda.Un caso simile si è verificato, ad esempio, nel mercato internazionale del caffé dove l’ingresso di nuovi produttori (molto efficienti e/o sussidiati) ha determinato un eccesso di offerta con massiccia riduzione dei prezzi. In questocontesto, il sostegno ai prezzi dei produttori da parte del cees può avere senso per aiutare la crescita della loro produttività, così da portarli a competere con i nuovi produttori più efficienti; oppure può facilitarne la transizione verso altre colture. Trascurare il segnale fornito da prezzi di mercato calanti e non aiutare il produttore ad accrescere la produttività o a convertire le proprie produzioni significherebbe esporlo ad una cronica situazione di difficoltà e all’esigenza di un sussidio permanente. Si tratta quindi di misure che debbono essere gestite oculatamente ed accompagnate da chiare azioni di sostegno e di orientamento delle scelte produttive dei soggetti che ne sono destinatari.

5. Qualche conclusione provvisoriaI dati illustrati in questo lavoro evidenziano come il cees in Italia possa essere considerato un fenomeno ancora in fase nascente, date le sue modeste dimensioni complessive ed il numero ridotto di consumatori che coinvolge. Allo stato attuale paiono presentarsi due ostacoli principali alla crescita di questo innovativo modello di cooperazione internazionale per lo sviluppo. Il primo ostacolo è rappresentato dallo sviluppo della rete distributiva.E’infatti chiaro che la rete delle botteghe del mondo, date le sue attuali dimensioni, non è in grado di raggiungere gran parte dei consumatori italiani ed opera in una condizione di strutturale marginalità (con le pochissime eccezioni rappresentate dalle botteghe di grandi dimensioni).Proprio questa condizione di marginalità rischia di privare i produttori del sud del mondo di una quota consistente della domanda potenziale per i loro prodotti se, come paiono dire le indagini di mercato, una percentuale elevata dei consumatori italiani sarebbe interessata ad acquistare dal cees. Nel contempo, la rete distributiva non specializzata (rappresentata in larga parte dagli esercizi della gdo che commercializzano prodotti del cees) - pur significativamente più estesa rispetto alla rete delle botteghe specializzate – genera un

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fatturato ancora estremamente modesto, forse a causa della difficoltà che sperimenta nel trasmettere ai consumatori quei “contenuti valoriali” che sono invece comunicati attraverso le botteghe.Per uscire da questa situazione di stagnazione sono possibili diverse strategie alternative.La prima è quella che mira ad un rafforzamento (nella forma della crescita dimensionale e della diffusione territoriale) della rete distributiva specializzata delle botteghe del mondo. E’ evidente che un simile risultato potrebbe essere raggiunto solo con una massiccia iniezione di risorse economiche che consenta alle botteghe di uscire dall’area della marginalità grazie all’apertura di nuovi punti vendita, a superfici operative di dimensioni più elevate, con migliori localizzazioni, maggiore varietà di prodotti trattati e migliore professionalità degli addetti.Le capacità delle botteghe di finanziare internamente la crescita (finalizzata all’espansione e al miglioramento della produttività) appaiono, da questo punto di vista, assolutamente insufficienti a garantire che il cees possa raggiungere dimensioni rilevanti e rappresentare una autentica alternativa di consumo per una parte significativa dei consumatori italiani.Neppure le botteghe di dimensioni maggiori paiono infatti in grado di sostenere lo sforzo finanziario richiesto da una simile strategia. La redditività della botteghe, infatti, non pare sufficiente a generare le risorse necessarie; inoltre, la possibilità di reperire tali risorse attraverso la raccolta di capitale (di rischio o di debito) dei soci incontra diversi limiti (pur se tentata da alcune botteghe).La raccolta di capitale di rischio è ostacolata dalla natura “senza fine di lucro” delle botteghe, che riduce molto l’incentivo alla loro capitalizzazione da parte dei soci.La raccolta di capitale di debito si scontra invece con la modesta capacità di generare reddito e dunque di ripagare i debiti stessi. Maggiori possibilità potrebbero forse derivare da un coinvolgimento delle centrali di importazione, ma anche la redditività di questi soggetti è modesta (con poche eccezioni per alcuni operatori già attivi in tal senso ma con esiti che paiono comunque insufficienti). La strada della crescita finanziata internamente non pare dunque facilmente praticabile.Qualche possibilità potrebbe forse derivare dal finanziamento esterno attraverso gli operatori creditizi, ma anche questa strada deve fare i conti con la redditività delle botteghe. Pare dunque indispensabile, per il settore del cees, affrontare la tematica con strumenti innovativi e con accordi in grado di fare crescere, oltre alla rete commerciale, anche la sua redditività.Una opportunità è quella legata a possibile “alleanze” con operatori già attivi nel settore della distribuzione commerciale ed eventualmente interessati ad entrare nel cees con il ruolo di partner finanziario e tecnico (ma lasciando alle botteghe i contenuti“valoriali”); in questo modo, il partner potrebbe fornire risorse economiche edumane finalizzate alla diffusione di una rete commerciale specializzata ed alla crescita della produttività delle botteghe, da realizzare attraverso la trasmissione di opportuni contenuti manageriali ed organizzativi ad una rete di attività finora gestita con molta buona volontà ma modesta competenzaspecifica. Si tratta di una eventualità che potrebbe essere discussa e trattatasolo con le botteghe di dimensioni maggiori o con le centrali di importazione, gli unici soggetti in grado di offrire garanzie credibili a soggetti con spiccata vocazione commerciale. Non è una strada facile, sia per l’elevato livello di“contaminazione culturale” che essa comporta (che obbligherebbe le botteghe a confrontarsi con le tematiche dell’efficienza e della redditività e l’eventuale operatore commerciale a fare i conti con il tema delle motivazioni e con la necessità di effettuare investimenti anche in attività a modesta redditività immediata, come quelle culturali e di sensibilizzazione) che per la complessità degli accordi contrattuali e proprietari che sarebbero indispensabili ad attuarla.Una possibilità alternativa è quella di non puntare ad una capillare rete distributiva specializzata, ma di favorire maggiormente la diffusione dei prodotti del cees entro la distribuzione tradizionale, correggendone i difetti rappresentati soprattutto dalla “asetticità”

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della proposta e dalla modestia dei contenuti culturali trasmessi nei luoghi di vendita. In questa direzione si potrebbero immaginare molte iniziative diverse, alcune delle quali già in corso di realizzazione. In primo luogo si può pensare che i contenuti culturali possano essere veicolati in momenti distinti rispetto alla commercializzazione dei prodotti, sulla linea delle iniziative di comunicazione adottate sia dal mondo delle botteghe (ad esempio le fiere, ecc.) che da Fairtrade-Transfair Italia e che mirano a sensibilizzare i consumatori attraverso i media o iniziative dedicate al cees.Un consumatore reso sensibile dall’insieme delle iniziative culturali e di animazione, gestite sia attraverso eventi mediatici che attraverso il lavoro capillare delle botteghe, potrebbe poi trovare nei luoghi tradizionali di consumo i prodotti del cees. Oltre a ciò, gli stessi luoghi tradizionali di consumo potrebbero essere oggetto di “animazione” da parte dei volontari sensibili a queste tematiche, con un alleanza fruttuosa tra efficienza nella logistica e nella distribuzione (da parte dei canali commerciali tradizionali) ed efficienza nella comunicazione e sensibilizzazione (da parte del mondo delle associazioni di cees).Le diverse organizzazioni vedrebbero dunque sfruttati pienamente i rispettivi vantaggi comparati: le botteghe nella sensibilizzazione, le strutture commerciali nella distribuzione.Il secondo ostacolo alla crescita del cees è rappresentato dalla capacità ancora modesta delle organizzazioni italiane di illustrare e giustificare adeguatamente a consumatori e cittadini i benefici della propria attività, specie per quello che riguarda i benefici ricavati dai produttori. Un certo grado di autoreferenzialità e la ritrosia per i processi di certificazione rischiano infatti di generare, nel medio termine, risposte negative da parte dei cittadini.Anche da questo punto di vista uno sforzo di apertura, confronto e dialogo sarebbe largamente auspicabile.

BibliografiaGuadagnucci L. e Gavelli F, 2004, La crisi di crescita, Feltrinelli.Hansmann H., 1996, The ownership of enterprise, The Belknap press of Harvard University press.Krier, J., 2005, Fair Trade in Europe – 2005, Fair Trade Advocacy Office, Brussels.LiberoMondo, 2004, Dove va il commercio equo e solidale? Grande distribuzione e botteghe del mondo, Supplemento al n. 8 di Tempi di Fraternità.Roozen N. e van der Hoff, 2003, Max Havelaar. L’avventura del commercio equo e solidale, Feltrinelli.

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DOCUMENTI

LA CARTA ITALIANA DEI CRITERI DEL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE

PREAMBOLO

La Carta Italiana dei Criteri del Commercio Equo e Solidale è il documento che definisce i valori e i princìpi condivisi da tutte le organizzazioni di Commercio Equo e Solidale italiane. La Carta viene approvata nel 1999, ed è l’inizio di un percorso di confronto a livello nazionale tra le organizzazioni di Commercio Equo e Solidale che negli anni si è andato sviluppando e approfondendo, fino a cogliere limiti e contraddizioni, frutti di un percorso molto partecipato, ma anche articolato, a volte contraddittorio. Da questo lungo confronto è emersa forte l’esigenza di una rivisitazione della Carta per adeguarla alla realtà di un Commercio Equo e Solidale che guarda al futuro, che costruisce nuove esperienze, per rispondere sia alle esigenze dei produttori ma anche a quelle dei consumatori consapevoli. La nuova stesura della Carta, approvata nell’Assemblea dei Soci AGICES di Chioggia (aprile 2005), si colloca in stretta continuità con la precedente, riconosce il valore di un documento frutto di un lavoro ampio e partecipato. Essa ne preserva i princìpi, introducendo modifiche che non ne mutano lo spirito e i valori fondanti. Il concetto di “filiera equa” è uno dei cardini che la Carta preserva e sui quali poggia. La prima Carta Italiana dei Criteri lo declinava riconoscendo due tipologie di organizzazioni di Commercio Equo e Solidale: le Botteghe del Mondo e gli Importatori. La volontà di fotografare la naturale dinamicità del movimento, evitando definizioni ambigue senza escludere a priori la possibilità che il Commercio Equo e Solidale possa trovare in futuro altre forme di espressione, ha portato alla decisione di fare un passo avanti. Protagoniste del movimento, secondo la nuova Carta Italiana dei Criteri, sono oggi le “organizzazioni di Commercio Equo e Solidale”. Un'organizzazione di Commercio Equo e Solidale viene riconosciuta come tale in base al tipo di attività concreta che svolge, e non più per l’appartenenza nominale ad una tipologia di struttura. Nessun criterio fondante per la tutela del valore della “filiera equa” è stato dunque rivisto e nessun principio condiviso dal movimento è stato privato del suo senso originario, tantomeno la centralità delle Botteghe del Mondo. Il Commercio Equo e Solidale si è infatti sviluppato in modo orizzontale e capillare grazie alla rete delle Botteghe del Mondo. Il radicamento delle Botteghe del Mondo sul territorio, e le loro potenzialità di incidenza politica e culturale sono un patrimonio che il movimento, fin dal principio, valorizza come proprio e peculiare e si impegna ad accrescere. La Bottega del Mondo, come spazio in cui esercitare il proprio diritto ad essere cittadini, come strumento di aggregazione, di incontro, scambio e

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coscientizzazione immerso nel tessuto urbano, come luogo fisico di contatto tra Nord e Sud del mondo, ha l'importanza e la responsabilità di essere uno spazio pubblico nel senso più ampio del termine. Nelle Botteghe del Mondo è possibile orientare azioni concrete e coraggiose per fini comuni, sviluppare linguaggi e pensieri nuovi, per comunicare e per dimostrare che i valori dominanti non sempre sono universalmente condivisi. Nella Bottega del Mondo, laboratorio di pace e di autosviluppo, di sobrietà dei consumi e di condivisione, si impara ad essere cittadini del mondo, democratici e solidali, e a contribuire al cambiamento concreto delle relazioni favorendo il lavoro “in rete”. La presenza della Bottega del Mondo a livello locale assicura questa possibilità di partecipazione globale, svolgendo un ruolo insostituibile di trasmissione e di evoluzione dello spirito, dei princìpi e delle regole del Commercio Equo e Solidale che la Carta Italiana dei Criteri, negli articoli seguenti, definisce e custodisce.

ARTICOLO 1 - Definizione di Commercio Equo e SolidaleIl Commercio Equo e Solidale è un approccio alternativo al commercio convenzionale; esso promuove giustizia sociale ed economica, sviluppo sostenibile, rispetto per le persone e per l’ambiente, attraverso il commercio, la crescita della consapevolezza dei consumatori, l’educazione, l’informazione e l’azione politica. Il Commercio Equo e Solidale è una relazione paritaria fra tutti i soggetti coinvolti nella catena di commercializzazione: dai produttori ai consumatori.

ARTICOLO 2 - Obiettvi del Commercio Equo e Solidale1.Migliorare le condizioni di vita dei produttori aumentandone l'accesso al mercato, rafforzando le organizzazioni di produttori, pagando un prezzo migliore ed assicurando continuità nelle relazioni commerciali.

2.Promuovere opportunità di sviluppo per produttori svantaggiati, specialmente gruppi di donne e popolazioni indigene e proteggere i bambini dallo sfruttamento nel processo produttivo.

3.Divulgare informazioni sui meccanismi economici di sfruttamento, tramite la vendita di prodotti, favorendo e stimolando nei consumatori la crescita di un atteggiamento alternativo al modello economico dominante e la ricerca di nuovi modelli di sviluppo.

4. Organizzare rapporti commerciali e di lavoro senza fini di lucro e nel rispetto della dignità umana, aumentando la consapevolezza dei consumatori sugli effetti negativi che il commercio internazionale ha sui produttori, in maniera tale che possano esercitare il proprio potere di acquisto in maniera positiva.

5.Proteggere i diritti umani promuovendo giustizia sociale, sostenibilità ambientale, sicurezza economica.

6.Favorire la creazione di opportunità di lavoro a condizioni giuste tanto nei Paesi economicamente svantaggiati come in quelli economicamente sviluppati.

7. Favorire l'incontro fra consumatori critici e produttori dei Paesi economicamente meno sviluppati.

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8.Sostenere l'autosviluppo economico e sociale.

9.Stimolare le istituzioni nazionali ed internazionali a compiere scelte economiche e commerciali a difesa dei piccoli produttori, della stabilità economica e della tutela ambientale, effettuando campagne di informazione e pressione affinché cambino le regole e la pratica del commercio internazionale convenzionale.

10.Promuovere un uso equo e sostenibile delle risorse ambientali.

ARTICOLO 3 - Criteri gerenali adottati dalle organizzazioni di Commercio Equo e SolidaleLe organizzazioni di Commercio Equo e Solidale si impegnano a condividere ed attuare, nel proprio statuto o nella mission, nel materiale informativo prodotto e nelle azioni, la definizione e gli obiettivi del Commercio Equo e Solidale. In particolare si impegnano a:

1.Garantire condizioni di lavoro che rispettino i diritti dei lavoratori sanciti dalle convenzioni OIL.

2.Non ricorrere al lavoro infantile e a non sfruttare il lavoro minorile, agendo nel rispetto della Convenzione Internazionale sui diritti dell'Infanzia.

3.Pagare un prezzo equo che garantisca a tutte le organizzazioni coinvolte nella catena di commercializzazione un giusto guadagno; il prezzo equo per il produttore è il prezzo concordato con il produttore stesso sulla base del costo delle materie prime, del costo del lavoro locale, della retribuzione dignitosa e regolare per ogni singolo produttore.

4.Garantire ai lavoratori una giusta retribuzione per il lavoro svolto assicurando pari opportunità lavorative e salariali senza distinzioni di sesso, età, condizione sociale, religione, convinzioni politiche.

5.Rispettare l'ambiente e promuovere uno sviluppo sostenibile in tutte le fasi di produzione e commercializzazione, privilegiando e promuovendo produzioni biologiche, l'uso di materiali riciclabili, e processi produttivi e distributivi a basso impatto ambientale.

6.Adottare strutture organizzative democratiche e trasparenti in tutti gli aspetti dell'attività ed in cui sia garantita una partecipazione collettiva al processo decisionale.

7.Coinvolgere produttori di base, volontari e lavoratori nelle decisioni che li riguardano.

8.Reinvestire gli utili nell'attività produttiva e/o a beneficio sociale dei lavoratori (p.e. fondi sociali).

9. Garantire un flusso di informazioni multidirezionale che consenta di conoscere le modalità di lavoro, le strategie politiche e commerciali ed il contesto socio-economico di ogni organizzazione.

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10.Promuovere azioni informative, educative e politiche sul Commercio Equo e Solidale, sui rapporti fra i Paesi svantaggiati da un punto di vista economico e i Paesi economicamente sviluppati e sulle tematiche collegate.

11.Garantire rapporti commerciali diretti e continuativi, evitando forme di intermediazione speculativa, escludendo costrizioni e/o imposizioni reciproche e consentendo una migliore conoscenza reciproca.

12.Privilegiare progetti che promuovono il miglioramento della condizione delle categorie più deboli.

13. Valorizzare e privilegiare i prodotti artigianali espressioni delle basi culturali, sociali e religiose locali perché portatori di informazioni e base per uno scambio culturale.

14.Cooperare, riconoscendosi reciprocamente, ad azioni comuni e a favorire momenti di scambio e di condivisione, privilegiando le finalità comuni rispetto agli interessi particolari. Per evitare azioni che indeboliscano il Commercio Equo e Solidale si impegnano, inoltre, in caso di controversie, a fare un percorso di confronto e di dialogo, eventualmente con l'aiuto di un facilitatore.

15.Garantire relazioni commerciali libere e trasparenti, promuovendo processi di sviluppo e coordinandosi nello spirito dell'art. 3.14.

16.Garantire trasparenza nella gestione economica con particolare attenzione alle retribuzioni.

ARTICOLO 4 - Produttori ed Esportatori6.1 Produttori I Produttori sono organizzazioni di produzione e commercializzazione di artigianato ed alimentari che condividono gli obiettivi del Commercio Equo e Solidale e rispettano i criteri elencati nel Capitolo 3 di questa Carta.

I Produttori devono:

1.Perseguire logiche di autosviluppo e di autonomia delle popolazioni locali.

2.Evitare una dipendenza economica verso l'esportazione, a scapito della produzione per il mercato locale

3.Evitare di esportare prodotti alimentari e materie prime scarseggianti o di manufatti con queste ottenuti

4.Favorire l'uso di materie prime locali

5.Garantire la qualità del prodotto

Qualora i produttori non siano in grado di esportare direttamente possono servirsi di organizzazioni di esportazione.

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4.2 Esportatori Gli Esportatori sono organizzazioni che acquistano principalmente dai produttori come specificati all'art.4.1, e vendono prevalentemente a organizzazioni di Commercio Equo e Solidale; essi condividono gli obiettivi del Commercio Equo e Solidale e rispettano i criteri elencati nel Capitolo 3 di questa Carta.

Gli esportatori devono:

1.Assicurarsi che i princìpi del Commercio Equo e Solidale siano conosciuti dai produttori e lavorare con questi per applicarli

2.Fornire supporto alle organizzazioni di produzione: formazione, consulenza, ricerche di mercato, sviluppo dei prodotti, feedback sui prodotti e sul mercato

3.Dare ai produttori, se da questi richiesto, il pre-finanziamento della merce o altre forme di credito equo o microcredito

4.Fornire informazioni sui prodotti e sui produttori e sui prezzi pagati ai produttori

5.Garantire rapporti di continuità con i produttori

ARTICOLO 5 - Organizzazioni italiane di Commercio Equo e Solidale Le Organizzazioni italiane di Commercio Equo e Solidale commercializzano prevalentemente prodotti del Commercio Equo e Solidale di organizzazioni di produzione e/o di esportazione e/o di altre organizzazioni di Commercio Equo e Solidale.

Il ricorso a fornitori esterni al circuito del Commercio Equo e Solidale deve essere funzionale agli scopi sociali, e agli obiettivi del Commercio Equo e Solidale stesso.

Le organizzazioni italiane condividono gli obiettivi del Commercio Equo e Solidale, rispettano i criteri elencati nel Capitolo 3 di questa Carta.

Le Organizzazioni italiane devono:

1.Promuovere iniziative di economia solidale al meglio delle proprie possibilità.

2.Sostenere le campagne di sensibilizzazione e pressione, condotte a livello nazionale ed internazionale, volte a realizzare gli obiettivi del Commercio Equo e Solidale

3.Essere senza fini di lucro.

4.Inserire, appena possibile, personale stipendiato all'interno della struttura, garantendo un'adeguata formazione.

5.Valorizzare e formare i volontari e garantire loro la partecipazione ai processi decisionali.

6.Rendere disponibile alle organizzazioni di Commercio Equo e Solidale, impegnandosi alla trasparenza, l'accesso alle informazioni riguardanti le proprie attività (commerciali e culturali)

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7.Avviare e mantenere contatti diretti con esperienze marginali di autosviluppo, sia in loco che nei Paesi economicamente svantaggiati al fine di stabilire una sorta di gemellaggio equosolidale, con ogni mezzo idoneo a permettere la conoscenza di luoghi, persone, modalità di vita e di produzione che possano associarsi ai concetti con cui si definisce il Commercio Equo e Solidale.

Nell'attività di acquisto e di importazione le Organizzazioni italiane di Commercio Equo e Solidale devono:

1.Offrire ai produttori, se da essi richiesto, il pre-finanziamento della merce, e favorire altre forme di credito equo o microcredito, qualora non esistano in loco possibilità di accesso a crediti

2.Promuovere, anche attraverso la collaborazione reciproca, rapporti di continuità, per mantenere un clima di autentico scambio, per favorire una maggiore stabilità per gli sbocchi di mercato dei produttori, e per permettere un effettivo miglioramento delle condizioni di vita sul breve/medio/lungo periodo.

3.Fornire supporto alle organizzazioni di produzione ed esportazione: formazione, consulenze, ricerche di mercato, sviluppo di prodotti, feedback sui prodotti e sul mercato

4.Assicurarsi che i principi del Commercio Equo e Solidale siano conosciuti e condivisi dai produttori e lavorare con questi per applicarli

5.Favorire, laddove sussistano le condizioni, la lavorazione dei prodotti presso le organizzazioni di produttori e/o privilegiare l'acquisto o l'importazione di prodotti la cui lavorazione avviene anche parzialmente nei paesi di origine dei produttori

6. Dare possibilità alle altre organizzazioni di Commercio Equo e Solidale di fare viaggi di conoscenza presso i produttori (e viceversa), rispettando i criteri del Turismo responsabile espressi nel documento "Turismo responsabile: Carta d'identità per viaggi sostenibili"

7.Privilegiare i fornitori esterni al circuito del Commercio Equo e Solidale fra quelli organizzati in strutture no-profit, con finalità sociali e con gestione trasparente e democratica e che abbiano prodotti eco-compatibili e culturali. Non intraprendere relazioni commerciali con aziende che, con certezza, violino i diritti umani e dei lavoratori

Nell'attività di vendita le Organizzazioni italiane di Commercio Equo e Solidale devono:

1.Fornire ai consumatori tutto il materiale informativo disponibile, comprese le schede del prezzo trasparente

2.Mantenersi costantemente informate sui prodotti che vengono venduti, verificando che vengano rispettati i criteri del Commercio Equo e Solidale

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3.Garantire ai consumatori sia in caso di distribuzione diretta che di distribuzione attraverso soggetti esterni, informazioni relative al Commercio Equo e Solidale, ai gruppi produttori che hanno realizzato il prodotto o fornito le materie prime, alla rete delle organizzazioni di Commercio Equo e Solidale ed uno schema di prezzo trasparente, che fornisca almeno le seguenti informazioni: prezzo FOB pagato al fornitore, costo di gestione, importazione e trasporto, margine per la vendita. Tali informazioni possono essere indicate in percentuale od in valore assoluto, per singolo prodotto o per categoria di prodotti, o per paese di provenienza, o per gruppo di produttori.

In caso di vendita all'ingrosso:

1.Vendere prevalentemente alle organizzazioni di Commercio Equo e Solidale, ai canali di economia solidale, e/o di solidarietà sociale, gruppi di autoconsumo e/o gruppi informali di solidarietà

2.Fornire alle organizzazioni di Commercio Equo e Solidale informazioni sui prodotti e sui produttori attraverso schede informative che contengano il prezzo trasparente dei prodotti ed essere disponibili a fornire la documentazione di supporto

ARTICOLO 6 - Prodotti trasformati I prodotti trasformati sono tutti quei prodotti non riconducibili ad un'unica materia prima: biscotti, cioccolata, dolciumi, ecc.

1.I prodotti trasformati possono essere definiti in etichetta “prodotti di Commercio Equo e Solidale” solo se almeno il 50% del costo franco trasformatore delle materie prime o il 50% del peso delle materie prime è di Commercio Equo e Solidale

2.L'elaborazione dei prodotti trasformati, laddove ne esistano le condizioni, dovrebbe avvenire nei Paesi d'origine.

3.La trasformazione deve essere effettuata da soggetti dell'economia solidale o comunque da cooperative o imprese che non siano in contrasto con i principi del Commercio Equo e Solidale.

4.I prodotti trasformati devono riportare in etichetta la dicitura:

"Totale ingredienti del Commercio Equo e Solidale: %"

5.Nei prodotti trasformati, la scelta degli altri ingredienti rispetto a quelli del Commercio Equo e Solidale deve ispirarsi ai criteri esposti all'art.3.5 di questa Carta.

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