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a cura di roberta di chiara - UPA per la Cultura · MEDIANTE LA PROMOZIONE DEL ... ma anche sugli...

Date post: 16-Feb-2019
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A CURA DI ROBERTA DI CHIARA “PRIMA DELLE OPERAZIONI DI POLIZIA GIUDIZIARIA, PRIMA DELLE ATTIVITà DI IDENTIFICAZIONE, PRIMA DEL CONTRASTO AI NUOVI SCHIAVISTI, C’è L’UMANITà CHE ACCOGLIE ALTRA UMANITà FERITA E SOFFERENTE”. ANNALISA BUCCHIERI, POLIZIAMODERNA
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a cura di roberta di chiara

“prima delle operazioni di polizia giudiziaria,prima delle attività di identificazione,

prima del contrasto ai nuovi schiavisti,c’è l’umanità che accoglie altra umanità ferita e sofferente”.

annalisa bucchieri, poliziamoderna

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direzione artistica roberta di chiara scenografie Gaspare Lombardo aiuto scenografo marzia esposito - GiorGia romano allestimento o ranGe

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MESSAGGIODEL CAPO DELLA POLIZIA

DIRETTORE GENERALE DELLA PUBBLICA SICUREZZA Torino, 8 aprile 2016

NELL’AUSPICARE IL PIENO E MERITATO SUCCESSO ALLA MOSTRA, CHE ESPONE ANCHE OPERE DI POLIZIOTTI ARTISTI, E NELL’ESPRIMERE IL MIO APPREZZAMENTO PER L’INIZIATIVA DI SENSIBILIZZAZIONE SUL DRAMMA DEI FLUSSI MIGRATORI, ATTRAVERSO OPERE ARTISTICHE CHE EVIDENZIANO L’IMPORTANZA DI VALORI QUALI L’ACCOGLIENZA E L’INTEGRAZIONE MEDIANTE LA PROMOZIONE DEL DIALOGO, DELLA LEGALITA’ E DELLA SOLIDARIETA’ SOCIALE, MI È GRADITO INVIARE I SALUTI PIU’ CORDIALI.

ALESSANDRO PANSA – CAPO DELLA POLIZIA DIRETTORE GENERALE DELLA PUBBLICA SICUREZZA

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ogni giorno decine di migliaia di persone abbandonano il loro paese, in fuga da conflitti, guerre civili, scontri etnici o religiosi, da condizioni di vita insostenibili. partono da città e villaggi dell’africa e del medioriente, da luoghi così remoti che talvolta non sono neanche segnalati sulle carte geografiche. vanno a ingrossare il flusso dei migranti che si riversa nel mediterraneo, diretto verso un futuro diverso e, forse, migliore. di questa realtà complessa e sotterranea a noi arriva solamente una minima parte, attraverso le immagini tragiche che quasi ogni giorno invadono i telegiornali e le pagine dei quotidiani. e la liturgia mediatica, quasi sempre la stessa, fa sì che le scene degli sbarchi e dei naufragi si somiglino tutte, così come ogni nuova strage assomiglia alle precedenti e ne cancella il ricordo. ma cos’è che non vediamo? che cosa succede dopo i salvataggi e gli atti di eroismo dei militari che sottraggono i migranti al mare e alla morte? in un mondo globalizzato è importante conoscere l’altro, la sua storia e la sua cultura, perché ormai gli altri sono qui, li incontriamo faccia a faccia sugli autobus, sui banchi dell’università, nei supermercati e non si può far finta di niente: la nostra società sta cambiando. l’altro, il “diverso”, se non conosciuto può spaventare e ciò può ge-nerare pregiudizi, razzismo o xenofobia. non si desiderano nuovi immigrati e quelli già presenti vengono troppo spesso esclusi o sfruttati ingiustamente, solo perché culturalmente diversi da noi. oggi si parla tanto di immigra-zione, ma forse ci si interessa ancora troppo poco di conoscere gli altri. gli immigrati non sono solo immigrati. chi sono queste persone con cui ci ritroviamo a convivere? Quanti potrebbero rispondere a questa domanda? pochi. invero credo che nelle differenze si possano scorgere molte somiglianze, senza dover necessariamente rinunciare alla propria cultura e si può notare che, spesso, quello che si riesce a vedere in un’altra società, allo stato palese o latente, permette di scoprire ciò che si agita nella propria: contraddizioni e incoerenze che prima non si sospettavano minimamente perché non si era neppure in grado di percepirle. così si scopre che l’altro in fondo è sempre e comunque una figura possibile di noi, come lo siamo noi di lui. e in questa direzione va il progetto Binario 18 che, come consiglio regionale del piemonte e comitato dei diritti umani abbiamo fortemente sostenuto. la ricerca di uno spazio interculturale, inteso anche come luogo psicologi-co, in cui le persone con le loro specifiche forme culturali, s’incontrano, si scontrano, mescolano ed oppongono i loro atteggiamenti e i loro valori, si distaccano e si integrano, ma soprattutto si raccontano.

Mauro Lauspresidente consiglio regionale del piemonte

e comitato diritti umani

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Binario 18

Binario 18, il binario d’arrivo del treno del sole… il binario d’arrivo verso la speranza in un futuro migliore.un percorso espositivo artistico itinerante che consente al visitatore un viaggio attraverso le vecchie e nuove immigrazioni, dentro le sensazioni e le emozioni di chi è costretto a lasciare il proprio paese, offrendo la possibilità di riflettere sul significato di diversità, ma anche sugli inganni della percezione, sulle nuove tipologie migratorie ed i meccanismi sociali ed economici che le causano. l’emergenza migrazione ci pone di fronte ad una sfida: rivedere e riflettere sul nostro modo di sentire, sulla capacità di provare benevolenza nei confronti dell’altro, passando, come auspicato da papa francesco “da una cultura dello scarto ad una cultura dell’incontro e dell’accoglienza“.la celebrazione della diversità si trasforma così in una sorta di cartina al tornasole per il processo di umanizzazione nel momento in cui essa viene declinata da una parte della società come un pericolo, un danno, un male da affrontare con diffidenza, timore e paura. gli ultimi fatti di parigi e Bruxelles ci mettono di fronte ad una nuova emergenza che impone alla società civile europea di doversi confrontare con la possibilità di una radicalizzazione fondamentalista dei suoi membri e che vede proprio nella marginalizzazione uno dei fattori che contribuiscono alla nascita dell’estremismo violento.l’opinione pubblica va sensibilizzata ed uno sforzo significativo può partire proprio dalla società civile alla ricerca di un modello di integrazione di successo, che impedisca alle organizzazioni terroristiche di trovare un terreno fertile.come ogni mostra, Binario 18 rappresenta un punto di partenza e vedrà momenti di approfondimento grazie ad incontri e convegni sul tema.lo scopo della mostra è infatti stimolare la riflessione e sviluppare le capacità critiche per individuare le forme dissimulate di discriminazione e di razzismo presenti nella nostra quotidianità, partendo dalla riscoperta della nostra storia di emigranti: la storia di ognuno di noi, raccontata all’unisono attraverso le opere di artisti della “società civile” ed artisti-poliziotto.un’esperienza artistica che narra storie, che insegna attraverso i fatti e avvicina attraverso le emozioni verso l’incontro con il diverso che fa paura in quanto tale, poichè sconosciuto e quindi considerato potenzialmente pericoloso.la mostra, vuole essere un’esperienza che immergerà il visitatore in un percorso multisensoriale grazie all’allesti-mento scenografico affidato all’artista-scenografo gaspare lombardo. un allestimento concepito come tragitto umano esistenziale, un ripercorrere luoghi e condizioni di esodi dove gli oggetti scenografici sono da considerarsi stazionamenti di una “via crucis”, reliquie di umana sacralità. la voce narrante è quella di legal@rte, un’associazione nata dalla volontà di alcune appartenenti alla polizia di stato, roberta di chiara, rosalia Barreca, nadia pasciuti, Katia ferraguzzi e antonella di salvo, che hanno scel-to anche al di fuori del loro ruolo istituzionale, di continuare a diffondere i principi di legalità, facendo leva su nuovi linguaggi, di più ampio respiro e intima ricezione.

Roberta Di ChiaRapresidente associazione legal@rte

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talvolta guardiamo alle vicende del nostro tempo secondo approcci sociologici, economici, politici, statistici. siamo circondati da un vento perpetuo di analisi, pareri, opinioni che soffia dai giornali, dai talk show, da internet, dalle chiacchiere nei bar e in questo vortice talvolta ci dimentichiamo dell’umanità nostra e altrui. il progetto Bi-nario18 #stayhumanart ci racconta un modo nuovo di guardare ad una delle più grandi sfide del nostro tempo: l’immigrazione. attraverso l’arte lo spettatore è condotto a conoscere le tante ferite e sofferenze che interi popoli patiscono nella ricerca di un luogo di pace dove poter vivere e crescere i propri figli. un uomo di fronte ad un altro uomo: questa è la sfida che l’associazione legal@rte pone a tutti noi attraverso il linguaggio dell’arte. il centro servizi vol.to sostiene con orgoglio questa iniziativa che, nel macro flusso della storia, crea quegli interstizi di bene, speranza e solidarietà che sono il tratto tipico, distintivo della presenza del volontariato nella nostra società.

Luciano DeMatteisvice presidente vicario del centro servizi vol.to

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“per me gesù continua a nascere fuori dalle metropoli sfavillanti di luci di natale, che è diventata la più grande festa mondiale del mercato. gesù nasce fuori dai contesti che un certo status Quo vorreBBe scevro dalle povertà che spesso produce. gesù ora nasce fuori, nei luoghi degli ultimi e dei dimenticati, così Quali i migliaia di profughi morti che ten-tano di attraversare il mediterraneo che è ora il cimiterium nostrum”.

padre alex Zanotelli, missionario comBoniano

la tragica morte di aylan, il bimbo siriano fotografato riverso senza vita sulla spiaggia e che tanto somigliava nel vestiario ai nostri bimbi occidentali, ha segnato un punto di svolta per l’accoglienza dei rifugiati in europa, ma evi-dentemente il dato emozionale non basta. le pastoie geopolitiche corroborate dalla banalità del male, rappresen-tata dagli interessi economici, capaci di strumentalizzare e radicalizzare le dimensioni del disagio sociale, peraltro da essi stessi provocati, in surreali quanto fattuali guerre di religione e scontri di civiltà vanno superate, prima che nefaste profezie auto adempienti portino questa dolente umanità a scenari ancora più perniciosi; ma come? sicu-ramente non solo con gli strumenti forniti dalla realpolitik: alcuni di questi effettivamente più efficaci, altri meno, altri ancora addirittura disastrosi. c’è invece un pragmatismo spirituale che è riassunto dall’hastag di questa mostra, #stayhumanart, che pone come ineluttabile e unica risposta quella dell’umanità appunto, del suo recupero nelle accezioni più nobili che la storia del pensiero umano ha prodotto, bandendo, ci si augurerebbe, le esperienze più aberranti già conosciute. umanità come quella di chi, tra il dire e il fare di annunci e quelle che ad oggi rimangono comunque ancora solo ipotetiche soluzioni, nel frattempo continua a donare se stesso senza calcoli per arginare questo inferno: dai medici di emergency ai missionari, ai volontari delle ong… ai nostri guardia coste, alle forze dell’ordine solo per fare qualche esempio. esempi grandi, ma ancora di nicchia tra le priorità che si dà un certo modello di sviluppo e gestione del pianeta quale è quello vigente. o come papa Bergoglio, che nei giorni in cui si discuteva se confermare o meno la missione mare nostrum, scaturita all’indomani dell’immane strage (366 morti e 20 dispersi) del 3 ottobre del 2013 a lampedusa, intanto si recava immediatamente, attonito, in lacrime e barcollante sul luogo della tragedia. è il paradigma dello sviluppo umano che, ribaltandosi, deve riallinearsi alle ra-gioni più profonde dell’umanità. non quest’ultima a doversi adattare a quelle dello sviluppo economico. altrimenti anche il sacrificio degli innocenti, in questa fase della storia umana, sarà inutile, come qualunque altra foto che lo rappresentasse. Bambini. oltre a quelli in un viaggio (sempre più esodo di milioni di persone) con le loro famiglie, oggi sono almeno 25mila i bambini non accompagnati in cerca di rifugio in europa. sono scappati da violenze che nessuno di noi può immaginare, hanno perso i loro genitori e ora hanno bisogno di un posto sicuro. e invece di accoglierli, alcuni governi li abbandonano a sé stessi, esponendoli ancora di più alla tratta delle persone. in un mondo davvero umano e civile, nessun bambino dovrebbe affrontare così tanto dolore. iniziamo a costruire quel mondo oggi.

antonello MiCaLigiornalista la repubblica - il risveglio

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1959 arrivo al Binario 18 di torino porta nuova siamo a 57 anni dal mio arrivo al binario 18 di torino porta nuova. ero un bracciante lucano, cresciuto tra i calanchi del “cristo si è fermato a eboli” di carlo levi. siamo all’inizio del grande fenomeno migratorio a torino. tra il 1959 – 1962 arrivammo a torino: 108.000 pugliesi; 84.000 siciliani; 50.000 calabresi; 24.000 lucani; 40.000 campani; 20.000 sardi; 55.000 veneti. il 1959 è l’anno dell’assalto incentrato sulla storia dei disoccupati senza qualifiche, disposti a tutto pur di avere un posto nella luminosa fabbrica; arriva la “riserva indiana” del sud: dalle città campagne alla città fabbrica, all’uomo massa della catena di montaggio. stordito ma non impaurito l’immigrato prospero coglie subito, tra i primi, la drammaticità del contrasto tra il progresso tecnico e materiale e l’arretratezza culturale del meridione d’italia; nella mia Basilicata, nel percorso delle lotte di emancipazione delle classi subalterne (bracciantile, contadini mezzadrili), lotte per la conquista degli elenchi anagrafici, per l’imponibile della manodopera, per i primi diritti previdenziali, avevo conosciuto carlo levi e giorgio amendola. arrivato a torino, il giorno dopo, trovo lavoro, così risolvo le due prime necessità di emergenza: lavorare e dormire… con levi, riuscii subito a cogliere la sua grande capacità di raccordarsi con i nostri problemi, persino nel linguaggio… i contadini meridionali dovevano imparare a scrivere, andare a scuola dal movimento popolare, dalla classe operaia e anche dai contadini della valle padana, che già si erano liberati dalle nebbie e dai fumi di antiche magie.... Quando anch’io, come tanti, presi la via dell’emigrazione a torino, mi trovai presto ad operare nella filef * cioè, come d’incanto, al fianco di carlo levi, in senso ideale ma spesso anche in senso fisico… a torino colsi subito la lezione nel bisogno, da lui espresso, di assistere e organizzare le migliaia di immigrati dal sud, che lasciavano i campi, le greggi, la zappa, gli aratri (talvolta ancora a chiodo), per entrare nella fabbrica (riv ora sKf) e vestire la tuta. pensare di “rimandarli a casa” non sarebbe stato possibile e, del resto, loro non avrebbero voluto, come io stesso non volevo. nella consapevolezza che si faceva parte di una stessa patria, quella dell’umanità che lavora, per cui il problema era riuscire a dare a quegli infelici dignità di uomini, con tutti i diritti che ciò comporta; feci accoglienza e fui organizzatore. non mi posi mai il problema del ritorno, piuttosto, quello di non cancellare i legami con la terra d’origine. certo, l’emigrazione, per chi la visse, fu un fatto doloroso, traumatico e spesso tragico…; ma fu anche, a guardar le cose dopo mezzo secolo, una grande rivoluzione. l’emigrato, anche grazie ai movimenti sindacali, conobbe presto i propri diritti e se ne fece difensore: per sé e per tutti. nel giro di un decennio, raggiunse un umano livello di vita, acquisì una maggiore dignità ed i primi riconoscimenti professionali. entrò nella storia, diventando parte attiva della vita nazionale…Quando ettore scola venne a torino (1968) a girare “trevico-torino: viaggio nel fiatnam”, prospero cerabona fu scelto a rappresentare la coscienza (“amendoliana”, ha scritto il saggista goffredo fofi) della classe operaia immigrata nell’autunno caldo a torino… il film era innanzitutto un modo di comunicare con i paesi di origine; era come scrivere lettere al paese alle mamme, alle famiglie, ai fratelli, alle fidanzate. ricordo come suggerivo agli immigrati che non sapevano scrivere, la necessità di imparare a farlo; come nell’edilizia i capomastri non avesse il diritto di rifiutarsi, come da noi, di parlare con i muratori e che a loro volta non si sarebbero dovuti vergognare di parlare con gli architetti; che era possibile, seppure con grandi sacrifici, riprendere le scuole, quelle serali; che in fabbrica si incontravano operai qualificati,che sapevano fare bene il proprio lavoro, coscienti della loro capacità professionale e dei loro diritti. Questa fu la cosa più esaltante di quel periodo: la nostra generazione, o almeno la parte più consapevole

* federazione italiana lavoratori emigrati e famiglie

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di essa, scoprì che lo studio non era solo un valore in sé,ma andava finalizzato al ruolo da svolgere nella società. ecco il ‘68 (e nessuno l’ha detto) fu il punto di saldatura fra il mondo del lavoro dell’immigrazione, quello della produzione e la cultura “alta” una miscela fatta di idee, generosità, nuovi spazi di libertà nuovi rapporti sociali. le aree economicamente forti attirano tecnici e lavoratori altamente specializzati, ma attirano anche manodopera dai paesi poveri e da quelli in guerra. l’immigrazione dai paesi extra -europei è e sarà un dato ineliminabile: nella storia (da abramo e sarah di 38 secoli fa) nulla e nessuno è mai riuscito a fermare i grandi spostamenti di popoli.

Prospero CeRabona presidente fondazione giorgio amendola

archivio storico la stampa

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fogli di via…una collega appoggiò la pistola sul pavimento, dopo averla estratta dalla fondina e tutto finì, anzi, iniziò, perché da quel momento smise di piangere e strillare, come aveva sempre fatto nei giorni precedenti, e ci racconto’. ci disse che con una pistola, molto simile alla nostra, uccisero tutta la sua famiglia, un colpo in testa per ognuno dei cuori a cui era legato stretto, il padre, la madre e tre fratelli più grandi; quella stessa pistola, ci raccontò, rimase tre minuti dentro la sua bocca, dopo avergli spaccato quattro denti e poco prima di trascinarsi dietro, appena uscita dalla bocca, appesi al suo mirino, il cuore, la saliva, le lacrime e l’odio, che restarono nella mano di uno di quei cinque uomini, con dei pezzi di vetro al posto degli occhi, che quel giorno erano andati nel suo villaggio per far vedere che erano loro i più forti e che non avevano paura di nulla. lui rimase una settimana intera nascosto dietro un albero e di quell’albero, disse, sarebbe voluto diventare corteccia per sparire per sempre e non morire mai, ma trascinato, invece, da un suo amico di due anni più grande di lui, a cui avevano impiccato i genitori, iniziò a scap-pare lungo deserti, notti, silenzi assordanti e vuoto. dopo due mesi circa si ritrovò in italia: roma, firenze, torino, milano e infine verona; ponti, case abbandonate, cantine, freddo e fame; una vita difficile, quasi una non vita, sino a quel giorno, sino a quello sguardo magico e a quella pistola appoggiata sul pavimento. tornava ogni giorno con un sorriso nuovo per chiedere notizie sulla sua nuova vita e quando gli arrivò la concessione dello status di rifugia-to, eravamo contenti in talmente tanti che lui ricevette almeno dieci telefonate che lo avvisavano di venire subito in Questura. arrivò il giorno dopo alle otto e aspettò con pazienza, seduto nel corridoio, i nostri ritardi e i nostri caffè. entrò in ufficio ed eravamo in tanti ad accoglierlo e a volerci perdere nel suo sorriso; subito dopo la notifica, rimase incollato alla sedia come se non avesse più la forza di alzarsi, come se, nato per una seconda volta, dovesse di nuovo imparare a camminare. salutò tutti, e dopo averle chiesto il permesso, abbracciò la collega che era stata capace di leggergli l’anima e se ne andò. io, che dovevo andare dal Questore a fargli firmare un po’ di cose, uscii insieme a lui e alla sua gioia dalla porta dell’ufficio immigrazione e dietro l’angolo, nel corridoio che portava verso l’uscita, mi sembrò di sognare. vidi almeno un centinaio di colleghi in divisa uno dietro l’altro; mai, neanche per la festa della polizia o per qualche altra occasione importante, avevo visto uno schieramento simile. mi fermai e lui con me. pensai stessero facendo le prove per una cerimonia di cui non sapevo nulla, mentre lui non pensò a niente. fece un passo avanti e si diresse verso l’uscita, ma prima di arrivare all’altezza del primo uomo del lungo schieramento, il collega si chinò e dopo aver impugnato la pistola, l’appoggiò sul pavimento; si rimise sull’attenti e lo salutò alla visiera. rimasi immobile a vedere lui che per ogni pistola appoggiata faceva un salto in avanti, per non calpestarle, qualcosa di simile a quel gioco che quando ero piccolo facevano soprattutto le bambine, saltan-do con una gamba sola, dopo aver tirato un piccolo sasso dentro una serie di quadrati disegnati per terra. uscì quasi di corsa, dopo aver ricevuto cento saluti alla visiera e aver regalato a tutti lo stesso identico sorriso. chi riuscì a vederlo raccontò che, non appena superò la sbarra dell’ingresso, volò appoggiato su un foglio di carta, felice per aver appena finito di giocare a “campana”, avendo saltato con una gamba sola su tutte le pistole del mondo.

tratto dal libro “fogli di via” di Gianpaolo tRevisi, un poliziotto

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richiedenti asilo politico torino e provincia

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fonte: ufficio immigrazione - Questura di torino

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guerre e iniQuità. le cause dei flussi migratori

“come si è arrivati a tutto questo?” è la domanda che da tempo ricorre nelle menti e negli innumerevoli dibattiti di fronte alle immagini di persone di ogni età recuperate al largo delle acque del mediterraneo o in cammino lungo i sentieri che affiancano i confini di molti paesi d’europa: immagini drammatiche di corpi provati e sfiniti ma sopravvissuti, una condizione non sempre condivisa da chi aveva intrapreso quel lungo viaggio, e i cui cadaveri giacciono in fondo al mare o in bare senza nome nei cimiteri di quei paesi costieri che li hanno pietosamente ac-colti per l’ultima volta. appunto, come si è potuti arrivare ad una tale tragedia tanto che le coste del mediterraneo europeo hanno ottenuto l’incontrastato titolo di “confini con vie migratorie più letali al mondo”? immagini che non hanno solo scosso gli animi, ma hanno altresì messo alla prova la tenuta di un’europa ai suoi valori fondanti e fondamentali, come la pacifica convivenza fra tutte le sue genti e la libera circolazione nei suoi territori, la garanzia della sua sicurezza interna e quella poco oltre il suo territorio e il suo mare meridionale. perché è da qui che è necessario partire per illustrare e comprendere cosa sta accadendo.le direttrici su cui confluisce questa massa umana proveniente dall’africa, dal vicino oriente e asia centrale sono essenzialmente tre: dalle coste della libia verso l’italia, dalla turchia verso la grecia e la Bulgaria, a cui si aggiunge la meno corposa dal marocco alla spagna. i dati certi di questo esodo forzato sono impressionanti: oltre 500mila persone nel solo 2015, più del doppio di un drammatico 2014 che, con i suoi 210mila profughi, aveva segnato l’impennata di un flusso già allora tragico. non consola ma anzi fa infuriare sapere che il fenomeno non è nuovo, ma risale almeno ad inizio del nuovo mil-lennio: certo, con cifre più contenute, come i circa 40mila del 1998, ma con punte di oltre 61mila nel 2006 e 70mila nel 2011, rispettivamente con l’acuirsi del conflitto in iraq e l’avvio delle primavere arabe e il loro relativo degenerare sino a guerre civili in paesi come libia, siria e Yemen. fra il 2000 e il 2015 vi sono stati oltre 26mila morti fra i circa 1milione e 300mila migranti di tutto quell’arco di tempo, con un’unica consolazione, ossia una diminuzione in percentuale (dal 3,1 al 2%) dei decessi negli ultimi due anni (2013-2015) per via dell’intensificarsi delle operazioni di ricerca e di salvataggio da parte delle forze della nostra marina militare, da quella tutta italiana mare nostrum a quella europea triton. una magra consolazione statistica che, pur tuttavia, riempie di orgoglio chi ha permesso che si intervenisse con accoglienza e tolleranza in una tragedia umanitaria di dimensioni epocali, senza frapporre barriere pregiudiziali, dettate da orgogli nazionali o da vincoli di bilancio economico: queste, infatti, si sono tradotte in limiti fisici veri e propri, come la costruzione di nuovi muri e la temporanea chiusura di confini di alcuni paesi europei. altre barriere, invece, seppur più sofisticate, si sono elevate con l’avvio di un acceso dibattito fra stati dell’unione europea circa la definizione di quote nazionali per l’ entrata di profughi: una sorta di limiti sui generis perché non solo fisici, dettati da ragioni economiche, ma anche mentali per quel timore di “contagio” che i flussi migratori dai paesi islamici possano minare le fondamenta culturali dell’europa, oppure minacciare la sua sicurezza, dato il rischio, a nostro avviso remoto ma non improba-bile, di presenze di terroristi fra le fila di quei disperati.all’inizio e per tutto l’arco del primo decennio del nuovo millennio, il flusso migratorio di genti da paesi africani e centro-asiatici era dettato per lo più da necessità economiche e dalla ricerca in europa di migliori condizioni di vita: era al contempo il risultato più tangibile della facile mobilità di persone in un mondo globalizzato, ma altresì il risul-

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tato della iniquità nella distribuzione delle opportunità di crescita e di progresso, ossia di quel benessere proprio della globalizzazione che in se stessa non è per nulla un fenomeno negativo ma, se mal gestita e portata all’ec-cesso senza che siano posti vincoli di natura etica, finisce col permettere che prevalga il primato dell’economia sulla politica e, con essa, i disvalori propri dell’individualismo e del profitto. da ciò è derivato un iper-sfruttamento di molte aree, come la stessa africa da cui tutto è iniziato qualche decennio fa. Quel continente, di per sé ricchis-simo di metalli preziosi, di greggio, di gas e di terre rare come pure, sebbene sembri incredibile, di quell’acqua e di quella buona terra fondamentali per produrre derrate alimentari di cui necessita urgentemente un mondo abitato da 7,3 miliardi di individui, è stato condizionato da politiche di sfruttamento che, unite a suoi mali endemici come la corruzione nelle istituzioni, guerre locali e presenza di organizzazioni criminali transnazionali in vaste sue aree, han-no finito per impoverire e non dare alternative a una massa di giovani africani, costretti a cercare altrove una degna sopravvivenza per non essere ingaggiati da signori della guerra, criminali e, da ultimo, gruppi terroristici. proprio il fattore demografico, mai adeguatamente valutato nelle analisi politiche, economiche ma anche di sicurezza per il rischio di guerre e terrorismo, influenza pesantemente il fenomeno dell’immigrazione e dei flussi di disperati sulle nostre coste: la sola africa sub-sahariana, con i suoi 40% di giovani al di sotto dei 15 anni, registra circa 350 dei 702milioni fra i più poveri del pianeta. il tasso di natalità africano, inoltre, pare essere fortemente al rialzo al punto che entro il 2050, secondo stime delle agenzie delle nazioni unite, l’africa nel suo insieme conterà 2,2 miliardi di persone, tanto da superare la temuta antagonista economica per l’occidente, ossia la cina. Questi fattori vanno ad aggiungersi ad altri, comuni a vaste regioni del mondo, come il prolungamento di situazioni di conflitto (dapprima sudan, poi somalia, ma da decenni afghanistan e poi iraq e siria, solo per citarne alcuni), che hanno finito per imporre la fuga da quei luoghi a chi, potendoselo permettere finanziariamente, ha preferito affrontare mesi di spostamenti via terra, privazioni, angherie sino al rischio di morire pur di mettere in salvo se stesso o parte della sua famiglia. perché se il fenomeno c.d. “dei barconi” è scaturito da fattori economici e da insopportabili condizioni di vita dovute ad un progresso globale iniquo, finto, sbilanciato e a senso unico, dalle nuove guerre a loro volta originate da interessi politici e strategici di soggetti esterni a quei paesi in cui ancora si combatte, sono derivate precarie condizioni di vita, instabilità sociale e mancata crescita, da cui disoccupazione e disperazione, terreni fertili per l’odierno terrorismo. dalle acque ad alto rischio del mediterraneo centrale il flusso si è così spostato su quelle orientali (turchia e gre-cia) e sulle vie terrestri (turchia e Bulgaria), entrambe non nuove al fenomeno dell’immigrazione clandestina. a questo riorientamento dei flussi ha contribuito certamente l’azione di contrasto in mare ai trafficanti di esseri umani operanti dalla libia. tuttavia, il deteriorarsi di situazioni critiche nello scenario mediorientale dovute ai conflitti in cor-so in siria e iraq e, non da ultimo, al prolungarsi di quello in afghanistan con relativa aumentata instabilità politica di paesi limitrofi, a iniziare dal pakistan, hanno permesso la comparsa e l’acuirsi di nuove emergenze umanitarie.si sa, infatti, che costoro non sfuggono solo dalla povertà per mancanza di opportunità nei propri paesi, ma anche da guerre nuove, come quella siriana, o vecchie, come quella somala, irachena o afghana, ancora più antica per-ché eredità di quel grande gioco centro-asiatico degli ultimi decenni del secolo scorso fra l’allora unione sovieti-ca e il regime dei talebani, a cui è subentrata quella lunga guerra al terrore avviata all’indomani dell’ 11 settembre 2001 da una sgomenta e inorridita comunità mondiale capeggiata dagli stati uniti contro i talebani alleati con la dirigenza di al-Qaeda che in afghanistan aveva trovato rifugio e appoggio. guerre brevi e magari anche vittoriose perché combattute efficacemente sul campo, ma dal dopo-conflitto complesso, che ha fatto emergere i limiti di

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un occidente potente militarmente ma non sempre in grado di comprendere e rapportarsi con le innumerevoli e articolate dinamiche politiche, sociali, tribali e culturali di quelle realtà: proprio il complesso e fallimentare processo di stabilizzazione post-conflitto in iraq e in afghanistan è stato catalizzatore della conflittualità e del suo estendersi a paesi limitrofi, tanto da creare terreno fertile per nuovi movimenti eversivi, in cui primeggia daesh, e da permettere la sopravvivenza di altri, più vecchi, come al-Qaeda. si è soliti, inoltre, pensare che la causa scatenante il dramma dei migranti siano state quelle rivolte che nel 2011 si sono espanse in tutto il nord africa, sino alla siria e alla penisola arabica, nella speranza di sostituire regimi au-toritari con governi democratici, moderati e liberali; in parte è vero, in quanto il tutto si è poi rivelato, ad eccezione della tunisia, un azzardato disegno politico, sostenuto dai paesi occidentali più a parole e sciagurati interventi militari che con solidi e tempestivi aiuti economici e una reale guida politica alla costruzione di un nuovo percorso istituzionale. da quel caos solo la tunisia, a stento, è riuscita a dar vita ad un governo democratico, ma ancor oggi così fragile nella sua sicurezza interna da rischiare ulteriore destabilizzazione e tracollo per mano del terrorismo, come i fatti del museo del Bardo o sulla spiaggia di soussa nel 2015 hanno drammaticamente dimostrato. e i continui scontri fra le sue forze di sicurezza ed elementi del jihadismo eversivo rifugiati sulle sue montagne del chambi sono testimonianza che il passaggio dal vecchio regime a un nuovo ordine interno, libero e democratico, è ancora tutto in divenire. Questa insicurezza affonda opportunità di investimenti, lavoro e crescita, da cui disoc-cupazione e aumento della povertà e ricerca altrove di migliori condizioni di vita. un destino anche più crudele è stato quello di altri paesi protagonisti delle primavere arabe. l’egitto, che con i suoi manifestanti di piazza tahir aveva monopolizzato l’attenzione e costoro avevano ottenuto il plauso del mondo intero per il loro coraggio, ha sperimentato una breve quanto lesiva deriva del suo primo governo da paese libero verso quella fratellanza musulmana che è a fondamento dell’ideologia estrema dei più pericolosi organismi eversi-vi, come al-Qaeda e daesh. il nuovo egitto post-mubarak fatica a risollevarsi con trasparenza fra crisi economica, minacce terroristiche interne e insicurezza lungo i suoi confini con una libia in guerra: è uno dei paesi più strategici al mondo per la sua posizione geografica (fra africa e vicino oriente, e in particolare israele, la cui sicurezza sul fronte meridionale dipende dalla stabilità del sinai egiziano), per il controllo di una via marittima fra le più trafficate e redditizie, come il canale di suez, e per essere stato, per sua tradizione storica, un riferimento al panarabismo e quindi, ancora ora un richiamo in tal senso per l’intero mondo arabo, repubblicano e laico. cosa non da poco, in una realtà regionale in cui dinastie regnanti come l’arabica saud ambiscono allo stesso ruolo ma acuiscono il confronto con contaminazioni religiose estreme che, col tempo, hanno finito per indirizzare l’area verso un acre confronto con un’altra grande protagonista della regione, la teocratica repubblica dell’iran: da qui, il rinnovato scontro fra sunniti, a cui appartiene la stirpe regnante in arabia saudita, e gli sciiti dell’iran post-khomeinista, in una sanguinaria lotta per la supremazia nella comunità musulmana (umma), di cui è ora testimonianza il conflitto in Yemen. Questo antico confronto fra le due anime dell’islam ha monopolizzato l’intera regione, sebbene la componente religiosa sia solo per entrambi un capro espiatorio per ambizioni ben più ma-teriali e secolari, ossia il controllo politico della regione e di suoi stati chiave (siria, iraq e Yemen, appunto, come ponte verso l’africa) e delle loro ricchezze (fra cui il petrolio curdo e le acque irachene). lo scontro fra queste due potenze regionali si è così imposto pesantemente sulle rivolte del 2011, trasformandole in conflitto inter-religioso ma soprattutto eversivo, dalle tragiche diramazioni estremiste come dimostra la presenza di daesh: non è un caso che questo gruppo, nato da componenti di al-Qaeda in iraq e supportato poi pesantemente dalle monarchie

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sunnite in funzione anti-siriana e anti-sciita, per cui inevitabilmente anti-iraniana, sia ora il riferimento ideologico e di lotta per le milizie armate dal vicino oriente al nord africa che, di quelle rivolte, sono una pesante eredità.l’epilogo più violento delle sommosse si è avuto, e si sa, in libia e in siria. la prima, presto trasformatasi in guerra civile, si è vista aiutare da un controverso intervento armato di nazioni esterne, come francia e regno unito, per la violazione della risoluzione 1973 dell’onu sul cessate il fuoco, che ha sì rovesciato il regime di muammar ghed-dafi ma ha lasciato quel paese in balia di milizie armate al soldo di interessi locali tanto da frantumarlo in nome di antiche rivendicazioni territoriali che ora, trovati i supporti anche regionali e internazionali, si confrontano e rendono difficoltoso il cammino verso la stabilizzazione della libia. e, si badi bene, non la sua democratizzazione, di per sé un obiettivo molto, troppo lontano. uno dei fattori più critici sta proprio nella sua ampia area desertica senza più confini sicuri ma porosi, ossia senza quei controlli di forze regolari di sicurezza ed esercito nazionale, per cui l’intera libia meridionale è diventata il canale privilegiato in cui far affluire le genti africane disperate in fuga dai loro paesi - per lo più dell’area sub-sahariana, come mali, nigeria, niger e ciad, non immuni da guerre e terrorismo - ma an-che zona di transito di proficui traffici illeciti, da quello degli esseri umani, appunto, ad armi di ogni tipo, così come combattenti e terroristi, droghe e persino organi umani. una grossa parte della libia del dopo guerra è così in mano a trafficanti e mercenari al soldo dell’ideologia jihadista o della criminalità internazionale con cui interagisco-no, sfruttando le reciproche reti di collegamento fra gli innumerevoli soggetti della variegata compagine terroristica, da al-Qaeda locale a gruppi simpatizzanti o affiliati al daesh (come, dal 2015, Boko haram) fino a collegarsi con il somalo e, al momento, qaedista al-shabaab, un decano della guerra e della relativa instabilità che colpisce il suo paese ma anche quelli vicini, come Kenya ed etiopia. per questo è preferibile parlare di internazionale terroristica più che di terrorismo internazionale.ecco crearsi in quell’arco sub-sahariano che va dalle acque atlantiche a quelle dell’ oceano indiano, un terreno fertile di umanità e di occasioni violente che danno vita a tragedie locali come, fra tante, i massacri di cristiani da parte di Boko haram, con inevitabili aumenti dei flussi migratori verso il mediterraneo. all’altra rivolta, quella in siria, oltre al braccio di ferro “religioso” fra arabia saudita e iran si sono aggiunte presto altre variabili esterne, fra cui le ambizioni regionali del Qatar e quelle del turco erdogan per un neo-impero ottoma-no con rinnovato ruolo guida della turchia nel mondo musulmano, tanto che la rivolta si è trasformata dapprima in guerra civile e da questa in guerra locale intra-stati, e poi ancora in guerra regionale, con l’ultima drammatica evoluzione verso un pericoloso attrito fra potenze dalle valenze militari ed egemoniche più estese come, appun-to, la turchia e la russia: quest’ultima in siria difende l’unico suo avamposto proprio nel mediterraneo e, con gli hezbollah filo-iraniani, quasi un paradosso, anche i diritti delle comunità cristiane perseguitate dagli estremismi re-ligiosi violenti di quella regione, come daesh, verso cui la comunità di stati occidentali ha temporeggiato nell’agire fra i tentennamenti degli stati uniti, timorosi di coinvolgersi in altri costosi ed inconcludenti conflitti, e le mancate decisioni univoche di un’unione europea, di colpo ripiombata nei suoi nazionalismi perché esasperata dai vincoli generati dalla sua crisi economica e finanziaria. Quella siriana è così degenerata in una sanguinaria guerra dalle cifre contrastanti: 250-500 mila morti, a seconda delle fonti; circa 5 milioni di profughi nei paesi vicini e circa 8 milioni obbligati a sofferti spostamenti interni, in fuga da violenze, morte e fame. inevitabile che tutto ciò finisca per contribuire alla crisi umanitaria dei migranti via terra e via mare.rimane un ultimo conflitto che alimenta quei flussi, ossia quello in iraq: sino al 2014 in difficoltà con il suo tormen-tato risollevarsi dopo la caduta di saddam hussein, quel paese ha visto nascere da quelle ceneri il peggior ne-

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mico per la sua sicurezza interna e quella internazionale, appunto il daesh, sospinto da farneticanti e antistoriche ambizioni di ristabilire un califfato conquistando territori, ad iniziare dall’iraq e siria per poi estendersi al nord africa e al centro asia, con l’ imposizione estrema, isterica e violenta della legge islamica (sharia). da qui il richiamo a combattere una guerra santa - sebbene la fede c’entri nulla - che, per una massa di giovani musulmani da quelle regioni sino al cuore dell’europa, è diventata una lotta di affermazione di una identità perché in essa trovano mo-tivazioni, soluzioni e un futuro dove i modelli occidentali di crescita, progresso e integrazione hanno fallito.di daesh si è già detto molto: sono più che note le sue azioni violente di massa contro le minoranze etniche (curdi) e religiose (sciiti, yazidi e cristiani), gli oppositori, i nemici in guerra, oppure le affiliazioni nel resto del mon-do di gruppi estremisti o di singoli individui, i c.d. lupi solitari protagonisti, fra le altre, delle azioni terroristiche di parigi nel 2015. tuttavia, ed è bene sottolinearlo, più che un’organizzazione terroristica, daesh è innanzitutto una organizzazione criminale, tanto violenta quanto pragmatica, dedita ai traffici illeciti più disparati, fra cui dominano le droghe sintetiche, il contrabbando di petrolio, le estorsioni e i rapimenti; gode, però, di una struttura e di una formazione militare che gli permette di sostenere un’insurrezione contro più nemici e su più fronti al fine di dar vita ad un califfato di un iraq dominante la regione, ottenendo per questo il contributo di ex ufficiali di saddam hussein desiderosi di riscatto dopo la sanguinosa ed ingloriosa fine di quel regime. il suo uso del terrore è solo ed esclu-sivamente uno strumento di conquista e controllo di un territorio, di minaccia dei suoi nemici, di propaganda e di proselitismo fra i suoi simpatizzanti al di fuori di quei confini. il progetto eversivo del daesh è, però, profondamente locale: se, pur tuttavia, trova appoggi di potenze regionali o aree a forte instabilità come la libia in cui stabilirsi, la sua minaccia si estende e diventa di difficile arginamento. da qui il peggior rischio per la sicurezza di un’europa che subisce le conseguenze di quelle guerre, dell’instabilità di ampi territori e soprattutto le perverse ambizioni di dominio di attori locali.innumerevoli protagonisti, quindi, e relative responsabilità per lo più derivanti da cause economiche a cui si sono aggiunte, negli ultimi anni, le vittime di quei conflitti: da qui le condizioni di migrante economico, di profugo e di rifugiato politico che compongono ora il drammatico quadro di una situazione destabilizzante un’europa che si sentiva protetta da quelle acque, dai suoi confini terrestri ma soprattutto dalla convinzione di essere in grado, da sola e a suo piacimento, di gestire l’entrata di cittadini extracomunitari. le guerre del vicino oriente, dell’africa sub-sahariana e dell’afghanistan hanno minato questa certezza sino a rischiare di demolire il suo sogno comuni-tario pan-europeo per l’insorgere di divisioni interne e spinte nazionalistiche, il tutto esasperato dalla criticità delle condizioni di quelle genti in viaggio verso la salvezza.

Germana taPPeRo MeRLoanalista di politica e sicurezza internazionale

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rischi e prevenzionele ricadute sull’europa dello scenario di guerre e flussi migratori è sotto gli occhi di tutti e prendono le forme e i nomi di una serie di rischi diversi: la stessa tenuta dell’unione europea, quella dei suoi trattati (schengen) e dei suoi valori comuni; la coesione sociale dei singoli stati membri, minacciata da xenofobia, nazionalismi e populismi che raggiun-gono sempre più alti livelli politici; e la minaccia terroristica con annesse le varie forme di radicalizzazione violenta che coinvolgono le comunità mussulmane. mi soffermo qui solo su l’ultimo di questi rischi, la cui prevenzione però ha ricadute positive su gli altri due. nella lotta al terrorismo, il significato di prevenzione è stato quasi sempre associato alla repressione dell’atto eversivo in una delle fasi che precedono la sua attuazione concreta di attentato: dunque una prassi esclusiva degli organi di polizia ed intelligence. dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001, sono iniziate a comparire ricerche, analisi e poi progetti e pratiche finalizzate ad intervenire sulle radici del fenomeno terroristico, cioè nelle fasi di quello che viene definito il processo di radicalizzazione violenta, precedenti a quelle finali in cui i soggetti disumanizzano le vittime del proprio odio e la violenza diventa pratica tanto cieca quanto concreta.non si nasce ter-roristi, né si tratta di pazzi e di emarginati sociali allo sbando. dall’analisi delle loro bibliografie sono invece stati tratti dei modelli che ci descrivono la pluralità di concause e gli stadi successivi per cui un soggetto si radicalizza fino a giungere ad unirsi ad un gruppo terrorista. da questi modelli sono stati tratti approcci e pratiche atti alla prevenzione di tale processo nei gruppi a rischi e di de-radicalizzazione sui singoli soggetti.i programmi che si occupano di que-sta forma di prevenzione sono noti a livello internazionale come politiche di cve: contrasto all’estremismo violento, il presupposto di partenza è che “l’intelligence, la forza militare e l’applicazione della legge da sole non risolvono - e quando abusato possono invece esacerbare - il problema dell’estremismo violento”.i tre pilastri delle sue azioni sono: disseminare sensibilizzazione sui processi di radicalizzazione violenza e di reclu-tamento; contrastare le narrazioni estremiste, come la propaganda jihadista, con la promozione on-line di contro-narrazioni promosse dalla società civile; valorizzare gli sforzi delle comunità locali che intervengono consentendo di interrompere il processo di radicalizzazione prima che un individuo si impegni in attività criminali.nei paesi del nord d’europa tali politiche di prevenzione vedono le istituzioni pubbliche coinvolgere la società civile, le ong, gli opinion maker politici e religiosi, con partnership pubblico/privato, per attuare, ormai da un decennio, interventi nelle comunità a rischio, nelle prigioni, nelle famiglie, nelle scuole con strumenti educativi, psicologi, sociali e mediatici. dal 2011 la commissione europea, direzione generale affari interni, ha lanciato la ran, radicalisation awareness network, creando una rete di operatori che a vario titolo lavorano sul campo, per raccogliere le migliori pratiche e trasformare i migliori approcci di contrasto alla radicalizzazione violenta in politiche per gli stati membri. i paesi latini del sud europa sono però in grave ritardo su questo terreno. la francia solo dopo i fatti di charlie hebdo del gennaio 2015, ha iniziato ad investire massicciamente nelle politiche e nei programmi di cve, mentre l’italia stenta ancora, con l’eccezione di qualche progetto pilota. eppure, queste politiche che intervengono sul pensiero critico dei giovani di fronte alla propaganda su internet, sulla resilienza delle comunità multi-religiose e multi-etniche delle nostre città, nell’informazione alle famiglie che temono per i propri figli in fuga verso scenari di guerra, o nelle prigioni per evi-tare che siano fucine di terroristi, oltre a prevenire la radicalizzazione, producono benefici indiretti per gli altri due rischi esposto all’inizio: rafforzano la coesione sociale dei nostri paesi e diffondono i valori comuni europei di cittadinanza attiva, democratica, plurale e non-violenta.

Luca GuGLieLMinettimembro del radicalisation awareness network – centre of excellence

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arte e società a tu per tu con luca Beatrice

perché l’arte contemporanea in questo momento storico è così fortemente chiamata ad avere una funzione so-ciale nel nostro tempo? “non credo che la funzione sociale dell’arte appartenga solo a questo tempo; se si ripercorre il ’900, l’arte si av-vicina o si allontana dalla società a secondo del periodo in cui si vive.l’ingresso nella globalizzazione con l’avvento del web, è il momento in cui si aprono i confini dell’arte e si apre anche a una visione più sociale.oggi l’arte non può fare a meno di guardare il mondo che le sta attorno e probabilmente il mondo trova nell’arte delle espressioni di pensiero avanzate.possiamo dire quindi che l’arte insegua i processi sociali nella loro crescita, più che interpretarli, cerca di carpirli nel momento in cui avvengono; conserva in sé una forte componente utopistica e un’attenzione a quegli aspetti ancora poco conosciuti.”

il processo di riappropriazione dell’immagine insito nell’arte, spinge inevitabilmente lo spettatore a pensare, può quindi avere la forza di scuotere le coscienze?“non credo che l’arte debba scuotere le coscienze, semmai può avere un ruolo di preveggenza, può cercare di capire prima della realtà altri mondi possibili, evocare scenari diversi da quelli con i quali ci confrontiamo tutti i giorni. l’arte deve avere una visione del mondo, non necessariamente uguale a quella che la quotidianità ci dise-gna, senza pensare di poter far cambiare il proprio parere attraverso di essa.”

l’arte è un’esperienza sociale al di là dei linguaggi con cui si sperimenta? “l’arte è certamente un’esperienza sociale; l’artista si esprime con linguaggi che sono a disposizione del pubblico che li osserva e il pubblico si fa delle idee rispetto alle proposte dell’artista che quindi raggiunge in qualche modo il sociale”. come evitare di cadere “nell’ovvio”?“cercando di avere un’impronta il meno didascalica possibile e non avere paura di rischiare un pensiero anti-conformista e libero. il problema è di non pensarsi artisti in quanto realizzatori di un prodotto addomesticato fatto apposta per un certo tipo di pubblico (gallerie e collezionisti di fascia alta). l’artista così perde qualcosa per strada, l’arte deve nascere in maniera assolutamente svincolata, libera da certi meccanismi e dovrebbe rischiare un po’ di più in tal senso”.

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#staYhumanart

“l’arte non insegna nulla tranne il senso della vita“ scriveva henry miller e l’arte contemporanea può diventare un punto di riferimento. ridà capacità critica allo spettatore ammaliato da ridondanti stimoli e lo sottrae alla passività ed è proprio da questa esigenza che nasce la mostra Binario 18 #stayhumanart. l’arte è inesorabilmente testimonianza del proprio tempo e l’opera dell’artista incontra il mondo reale, lo indaga e invita lo spettatore a partecipare. ed è così che ugo nespolo, precursore dell’arte povera, esponente indiscusso della pop art italiana, trasforma lo spettatore in protagonista della sua opera “un solo sentimento”, provocatoria ed ironica al tempo stesso, e lo conduce al cospetto delle pareti di un mondo dalle tinte vivaci sovrastato dallo scheletro della guerra. le stesse guerre di cui sono testimoni gli sguardi disarmanti dei bambini catturati dai fotogrammi di francesco cito, tra più grandi e celebrati reporter del mondo; un’innata passione del racconto e la capacità di far passare attraverso le immagini l’essenziale delle cose. con la grande tela blu i’m going up, i’m going down, daniele galliano racconta un’immagine di barche stracolme di uomini, donne e bambini alla deriva, a cui i media ci hanno abituato ren-dendocele “piatte”. per sopravvivere all’orrore stesso di quell’immagine, le fa omaggio della poesia della pittura, le restituisce verticalità donandogli così una santificazione. con un linguaggio realistico, in grado di esprimere quella che l’artista stesso definisce “verità dell’immagine”, giovanni iudice interpreta e traduce magistralmente in pittura gli stati d’animo di un’umanità che accoglie altra umanità. è tra i primi artisti a testimoniare il dramma che si consuma nelle coste della sua sicilia. ponendoci di fronte ad un quadro, questo ci offre un punto di vista obbli-gatorio, e non è detto che l’opera stessa non ci porti fuori, che non ci porti ad immaginare altri mondi possibili: è questo il caso del “falso, ovvero il salto dello squalo” di paolo troilo, una locuzione cinematografica per un’opera che ci invita a cambiare punto di vista. talmente vero che diventa falso, ciò che può accadere ai fatti quando incontrano i punti di vista e questo è ciò che accade quando la tragedia reale incontra la narrazione, la prospettiva della morte per di più ripetuta infinite volte, si trasforma in una realtà che diventa un film che passa continuamente sugli schermi, facendo perdere la percezione del dramma finendo per rendere indifferenti. “l’indifferenza è il peso morto della storia” scriveva antonio gramsci ed è con la consueta ironia che la matita di riccardo mannelli con l’opera stupidità – carne indifferente alla carne, punta l’attenzione su una situazione folle e pervasa di egoismo: lo sguardo indifferente di un cuore duro e insensibile all’olocausto in atto, cuori “mortiferi” comodamente adagiati dentro il proprio benessere… in salvatore soccodato l’idea del corpo vuoto, della scultura migrantes#1, nasce dall’immagine di migliaia di uomini e donne in cammino che diventano tutti uguali via via che i resoconti giornalistici ne perdono il conteggio; nella mente della società occidentale in piena incapacità di azione, si immagazzinano le figure che si svuotano del loro contenuto, ruolo e significato. in un’epoca di crisi globale l’artista ha sì il compito di realizzare in contrapposizione alla realtà, ma non ne deve reggere gli ingombri; pone delle domande e non da delle risposte la pittura onirica di davide puma. “nella pancia della mia esistenza” è un viaggio in uno spazio me-tafisico privo di gravità, nell’incertezza di dove porteranno le correnti e di cosa si incontrerà lungo il percorso, con solo una grande spina di pesce, ombra di morte, a fare da guida. ansia e dolore al cospetto dell’opera astratta di fabio la fauci, “da 7 a 8 minuti”: il tempo che occorre per la morte da annegamento in mare. l’opera è stata realizzata in 8 minuti, di getto, sentendo i secondi che scorrono e provando la consapevolezza del tempo che

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finisce trasformando l’autore-esecutore in vittima. altro dolore, nostalgia e solitudine quello che traspare dall’opera autobigrafica “exilio”, di eduardo “mono” carrasco, muralista cileno, rifugiato politico in italia, dopo l’avvento della dittatura di pinochet. una maschera che porta dentro la sofferenza dell’abbondono delle proprie radici per affrontare l’ignoto, nell’opera espressionista di claudio lia “fuga”: un passaggio purtroppo obbligato attraverso l’inferno, alla ricerca di una rinascita. ancora la tragedia ne “l’approdo” di gaspare lombardo, dove soggetti immersi in scuri di caravaggesca memoria, drammaticamente investiti da un fascio di luce proveniente da una luce fuori campo, cercano la salvezza. le opere d’arte ideologiche che cercano di muovere altri sentimenti hanno l’ambizione di allargare e approfondire la nostra comprensione della verità. è così che diego d. testolin, nel suo approccio pittorico che affonda le sue origini nella pop art, con l’opera dago ci mostra due facce della medaglia dell’immi-grazione italiana dei primi del ‘900: lo scrittore John fante, pupillo di Bukowski e il boss mafioso lucky luciano. entrambi comunque considerati “dago”, epiteto dispregiativo utilizzato negli usa di inizio secolo per indicare le origini italiane. parafrasando il not in my Back Yard, “non nel mio cortile”, l’istallazione cyberpunk di daniele d’an-tonio m.i.m.B.Y - maybe in my BackYard ci mette di fronte a quella che è la nostra errata percezione della guerra.evocativi paesaggi torinesi di ieri e di oggi nell’opera “per nulla al mondo ”di davide de agostini che prende spunto da un’immagine dei bombardamenti aerei del’42 e rievocano inesorabilmente spaccati di guerra che ci passano quotidianamente davanti agli occhi, così come nel multietnico “melting pot” di porta palazzo del pittore antonio scarpelli, dalle contaminazioni caraibiche. è una sfida verso la multiculturalità quella lanciata da giulio cardona con l’opera fotografica “le pedine di schelling” dove i due protagonisti si stringono la mano durante il momento in cui le pedine sono posizionate alla rinfusa sulla scacchiera, metaforicamente unica condizione per avere un’inte-grazione tra culture diverse. l’arte contemporanea ha il pregio di utilizzare molteplici linguaggi artistici e consente di trattare temi drammatici anche con tocchi morbidi, come avviene con la delicatezza amara dell’opera onirica “principessa delle maree” di angelo Barile: occhi pieni di stelle e di sogni incerti in balia del destino ed un alito pieno di vita che possono dissolversi come fumo. o ancora nell’iperrealismo di marica fasoli, che rappresenta il ciclo vitale partendo da un origami per arrivare a ciò che ne rimane dopo averlo dispiegato. l’opera frog è una tradizionale forma di origami dal doppio significato della parola kaeru: “rana” ma anche “ritorno a casa” ed indica un buon augurio per coloro che stanno per intraprendere un lungo viaggio. onirica l’istallazione di roberta toscano “itinerari del desiderio”. un tentativo di descrivere l’utopia, un viaggio di tutti verso un ricongiungimento impossibile, dove si riconoscono dentro valigie luminose immagini di strade, di cieli e poi, il mare. è ancora il mare il coprotagonista dei ritratti del fotografo siciliano maurizio geraci; in primo piano gli occhi disarmanti dei ragazzi del centro d’accoglienza Juvenilia tornati sul luogo dello sbarco. infine, prezioso l’infaticabile lavoro di reportage del fotogiornalista francesco malavolta. malavolta, in un innato bisogno di documentare, da circa vent’anni segue i flussi migratori, restituendo il lato umano dei migranti, mostrandoceli come “persone” con la loro fierezza e la loro dignità, mettendoci inesorabilmente di fronte a quello che sarebbe giusto fare.l’ arte è una domanda sul mondo che ha il dono di bucare i muri dell’individualismo, sviluppando una capacità d’ascolto che tocca le coscienze per un’emergenza umanitaria che non ha più spazio per ulteriori proroghe e richiede un immediato cambio di rotta. un vento ribelle, hic et nunc, qui ed ora.

Roberta Di ChiaRacuratrice mostra

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22ugo nespolo, un solo sentimento, 100x100 cm, acrilici su legno e foglia d’oro

23afghanistan, little girl refugee, 1980, francesco cito

24senza titolo-dipinto, giovanni iudice, 170x185, olio su tela, collezione giuseppe iannaccone

francesco cito

gaza strip, 1993

bosnia, 1993

gaza strip, 1993

palestina, gaza school, 1994

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“...nessuno mette i suoi figli su una Barcaa meno che l’acQua non sia più sicura

della terranessuno va a Bruciarsi i palmi

sotto ai trenisotto i vagoni

nessuno passa giorni e notti nel ventre di un camion

nutrendosi di giornali a meno che le miglia percorse

non significhino più di un Qualsiasi viaggio”

casa, Warsan shire

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la stupidità – carne indifferente alla carne, riccardo Mannelli, 100x100, grafiti acQuarelli e pastelli su cotone applicato su tela

nella pancia della mia esistenza, davide puMa, 120x160, olio su tela

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diaspora, diego d. testolin, 50x70, acrilico su tela

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dago - dittico, diego d. testolin, 120x200, olio smalto acrilico su tavola

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Questa è una Brutta storia.non è vera, ma potreBBe accadere.

tu la guerra l’hai vista migliaia di volte in vita tua.nei film, alla televisione, sulle riviste o nella rete.

però... pensaci!cosa faresti,

cosa penseresti, Quali sareBBero le tue reazioni, se un giorno lei, la guerra, la trovassi Qui,

tutto intorno a te, nei posti in cui vivi? non è vero, non c’è, lo so, lo sai,

ma non puoi escludere che possa capitare. lei, la guerra, potreBBe arrivare.

forse nel mio cortile. o forse nel tuo.

forse.

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itinerari dei desideri, roberta toscano, installazione

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44coop juvenilia, Maurizio geraci, staMpa laMbda

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le pedine di schelling, giulio cardona

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“spero che tu viva al meglio, spero che tu possa vedere cose sorprendenti, spero che tu possa avere emozioni sempre nuove, spero che tu possa incontrare gente con punti di vista diversi, spero che tu possa essere orgoglioso della tua vita e se ti accorgi di non esserlo, spero che tu trovi la forza di ricominciare da zero”.

francesco malavolta

popolo in movimento,francesco Malavolta

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popolo in movimento,francesco Malavolta

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“lascio l’isola di lesvos. devo andare. porto via solo il mio corpo, la mia anima verrò a riprenderla più tardi”.

francesco malavolta

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“la felicità porta luce,mentre le cose Brutte portano Buio.

vi chiedo solo di lasciarmi essere felicecome tutti i BimBi del mondo”.

yacob fouiny

popolo in movimento,francesco Malavolta

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serBiapopolo in movimento, francesco Malavolta

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idomeni (confine greco-macedone)popolo in movimento, francesco Malavolta

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Biografie

ugo nespoloalla fine degli anni sessanta fa parte della galleria schwarz di milano che annovera fra i suoi artisti duchamp, picabia, schwitters, arman, Baj.a milano ha luogo da schwarz una mostra personale presentata da pierre restany che resterà un critico amico. la mostra ha il titolo “mac-chine e oggetti condizionali” e rappresenta in pratica l’inizio del movimento che sarà poi l’arte povera. all’inaugurazione infatti è presente germano celant con cui nespolo parteciperà ad una serie di mostre che sono le prime mostre del gruppo.la mostra più importante si terrà a roma intitolata “nove per un percorso!”. Baj, fontana, pistoletto, Boetti e merz saranno gli interpreti dei suoi film per parecchi anni. con Baj nespolo frequenta a parigi man ray il quale gli darà un testo per un film “revolving doors” film che nespolo realizzerà nel 1982.in francia fin dagli ultimi anni sessanta nespolo frequenta Ben vautier con il quale realizza mostre e performances.sempre nel ’68 realizza a torino una serie di mostre e incontri sotto il titolo “les mots et les choses” dove con Ben, Boetti ed altri autori dà luogo ad una serie di eventi e concerti fluxus che mai erano stati prodotti in italia.l’incontro con gli artisti del new american cinema: Jonas mekas, Warhol, Yoko ono, p. adam sitney dà il via alla nascita del cinema di ricerca in italia. nespolo ne è il promotore come documenta la mostra “nespolo cinema / time after time” al museo del cinema di torino.nespolo è attualmente la più “alta autorità” patafisica italiana. ha fondato con Baj l’istituto patafisico ticinese.ha esposto con intensità in gallerie e musei in italia e nel mondo.

francesco citonasce a napoli nel 1949, vive a milano.nel 1975 diventa fotografo-free-lance ed inizia a collaborare con il sunday times magazine che gli dedica la prima copertina con il repor-tage “la mattanza“.nel 1980 è uno dei primi fotoreporter a raggiungere clandestinamente l’afghanistan occupato, percorrendo a piedi oltre 1200 Km al se-guito di vari gruppi di guerriglieri (mujahiddin).da quel momento molti altri luoghi caldi lo vedono testimone: libano, palestina, arabia saudita, iran, Bosnia, Kossovo. in italia segue i fatti di mafia e di camorra in particolare.tra l’82 e l’83 realizza a napoli un reportage sulla camorra affiancando i “falchi” della Questura; il servizio verrà pubblicato in tutto il mondo.nel 1995 il World press photo gli conferisce il terzo premio “day in the life” per il “neapolitan Wedding story “; l’anno successivo conqui-sterà il primo premio con il “ palio di siena”. le sue immagini sono apparse su riviste quali: epoca, l’europeo, illustrazione italiana, oggi, gente, panorama, l’espresso, il venerdì di repubblica, sette-corriere della sera, d donna, io donna, stern, frankfurten allegmain mag, die zeit magazine, sunday times magazine the obrsever magazine, the indipendent magazine, paris match, figaro magazine, life. insignito del titolo “maestro della fotografia italiana” dall’associazioni fiaf nel 2006. osservatore della realtà, ha la capacità di far passare attraverso le immagini, quasi esclusivamente in bianco e nero, la sua passione per il racconto e l’essenza delle cose.

angelo Barilenasce a torino nel 1960. dopo gli studi ha diverse esperienze artistiche nel fumetto (autore della striscia “amarsi a morsi”).verso la fine degli anni novanta inizia a sperimentare nella pittura la visione quadrangolare esasperandola, creando una “cifra” personale. protagonista l’universo infantile: bambini che sembrano scrutarci, in una sorta di loro rivincita.partecipa a due edizioni di artissima; il m.a.u.-museo di arte urbana di torino acquista due sue opere, fa parte del progetto “una Babele postmoderna” curata da edoardo di mauro al palazzo pigorini a parma.

giulio cardona nasce a verona nel 1967. vive e lavora ad albenga.la passione per l’ arte lo immerge totalmente in questo mondo, che vive da fotografo professionista e da collezionista di macchine fotogra-fiche antiche, stimolato dalla loro aura evocatrice. l’evoluzione personale e lavorativa l’hanno portato ad interpretare la fotografia moderna in un modo “pittorico” per il legame con l’immagine, che non è mai il frutto dell’ elaborazione tecnica di un qualche raffinato software ma l’ espressione di una personale e irripetibile sensibilità.

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daniele d’antonio vive e lavora a torino. figlio di una vocazione tardiva, sebbene da sempre presente, e trascorsa la propria vita precedente in un mondo che ripudiava la bellezza come valore, decide che il mondo stesso, se non migliore attraverso la rivoluzione mancata, poteva essere reso perlomeno più interessante e gradevole attraverso l’arte. la sua attività artistica si sviluppa nel corso degli anni attraverso progetti indipen-denti che porta in mostra in italia e all’estero.

davide de agostininasce a torino nel 1952. è figlio d’arte ed il padre giovanni già a cinque anni gli insegna a disegnare. ancora adolescente frequenta lo studio di carlo loro. studia al liceo artistico di torino e scenografia all’accademia albertina di Belle arti. suoi maestri sono sergio saroni, mauro chessa, Beppe devalle e francesco casorati. inizia la sua attività nel 1967 proseguendola fino ad oggi a ritmi blandi, mantenendo una grande riservatezza e non curandosi dell’”apparire”. le sue prime opere sono dipinti ispirati ad ambienti ed atmosfere di fine ottocento e primo novecento, con una patina crepuscolare che richiama guido gozzano ed i suoi amici poeti e scrittori.

marica fasolinasce a Bussolengo nel 1977. vive e lavora a san giorgio in salici (vr). consegue nel 1995 il diploma di maestra d’arte al liceo artistico statale di verona, nel 1997 si specializza in conservazione e manutenzione dei manufatti artistici su legno e tela presso gli istituti santa paola di mantova ed ottiene nel 2006 la specializzazione in anatomia artistica presso l’accademia cignaroli di verona. prende parte al restauro di numerosi affreschi di scuola giottesca ad assisi e a vicenza.dal 2006 concentra la propria espressività e ricerca artistica in ambito figurativo iperrealista, giungendo a dar vita ad opere “tridimensionali” che disorientano il confine fra realtà e ingannevole percezione.

daniele galliano nasce a pinerolo nel 1961. vive e lavora a torino. autodidatta di formazione, comincia ad esporre a torino, dove vive e lavora, all’inizio degli anni 90, conquistandosi velocemente un posto di rilievo all’interno di quella nuova scena pittorica italiana che muove i suoi primi passi alla fine degli anni ottanta.il suo “realismo fotografico”, le sue immagini di luoghi e persone, cominciano ben presto a farsi notare oltre i nostri confini, e gli consentono di partecipare ad importanti personali e collettive in europa e negli stati uniti. galliano inoltre è uno dei pochi protagonisti dell’arte giovane italiana ad essere conosciuto anche da un pubblico più grande di quello agli addetti ai lavori. numerose sono state in questi anni le colla-borazioni con musicisti, registi e scrittori.selezionato per la 53 Biennale di venezia, le sue opere sono esposte in gallerie e musei in italia e nel mondo.

maurizio geracinasce nel 1969 a palermo. vive e lavora a caltanissetta.appassionato di fotografia da sempre, dal 2002 è segretario provinciale del fotoclub conca d’oro, delegazione fiaf (federazione italiana associazioni fotografiche).si occupa soprattutto di reportage culturale ed antropologico con particolare attenzione all’impatto dell’uomo sul territorio.

giovanni iudicenasce 1970 a gela dove attualmente vive. presto la sua precocità nel disegno e nella pittura. artista autodidatta, inizia a farsi notare dalla critica e partecipa in numerose mostre in italia sin dal ‘92. selezionato per la 54^ Biennale di venezia, padiglione italia nel 2011 fra le mostre più importanti, curate da vittorio sgarbi, arte italiana a palazzo reale di milano nel 2007, nuovi realismo, padiglione arte con-temporanea milano 2008 e nel 2015 la mostra pubblica artisti di sicilia. da pirandello a iudice; crazy Boys collettiva palazzo ducale terni( cura di santaniello e a.Bonito oliva) 2007. la prima pagina di “the art news papers” di londra parla di iudice e dell’opera “clandestini”, definendolo una della gemme nascenti dell’arte italiana. collabora con gallerie italiane ed estere.

faBio la faucinasce a milano nel 1977, vive e lavora a Berlino. dopo un decennio speso in un progetto collettivo, con alle spalle mostre in musei e biennali, decide, nel 2015, di intraprendere la strada in solitaria della pittura. la sua visione deformata, violenta e a tratti tragica, può ricondurre in taluni casi all’espressionismo astratto tedesco sia a livello formale che concettuale.

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claudio lianasce nel 1964 a roma, dove vive e lavora.dopo essersi laureato all’accademia di Belle arti di roma, continua il suo percorso di ricerca conseguendo una laurea in psicologia. la pittura espressionista di lia arriva allo spettatore con forza. la sua indole e gli studi di psicologia lo portano, nelle sue opere, ad indagare i diversi aspetti dell’essere, destrutturandolo e riducendolo a livello di maschera con volti dai lineamenti appena accennati o confusi, per poi restituirgli prepotentemente sentimento e passione.

gaspare lomBardoartista romano di origini siciliane, nasce nel 1963 e cresce nella roma pasoliniana delle borgate e dei ragazzi di vita. porta in se una carica autodistruttiva che riesce ad incanalare nell’arte. pittore di formazione, durante i suoi primi anni di attività prepara tavole, miscela colori seguendo antiche ricette medievali. pittore, scenogra-fo, designer ha realizzato scene e ambientazioni per teatro, cinema e televisione, spot pubblicitari e allestimenti espositivi. ha collaborato tra gli altri; con ermanno olmi per “cantando dietro i paraventi “(david di donatello per la miglior scenografia); con giuseppe tornatore per “la miglior offerta” (david di donatello per la miglior scenografia) e “la corrispondenza”; con timur Bekmambetov per “Ben-hur”; con marleen gorris per “tulips”.

francesco malavoltanasce nel 1975 a corigliano calabro. fotogiornalista iscritto all’ordine dei giornalisti della calabria. si è formato all’istituto superiore della fotografia di roma ed ha poi conseguito un master in fotografia all’istituto europeo di design di milano. dal 1994 collabora con agenzie fotografiche nazionali ed internazionali, con organizzazioni umanitarie quali l’unhcr e l’oim. dal 2011 documenta quel che accade alle frontiere europee per conto dell’agenzia dell’unione europea frontex lungo i confini marittimi e terrestri del continente. da subito concentra i suoi lavori quasi totalmente sulle frontiere e di conseguenza sui flussi migratori dei popoli, in particolare via mare. la sua esperienza in questo settore risale all’inizio degli anni novanta, ai tempi del grande esodo di persone provenienti dall’albania. tra i principali committenti dei suoi lavori si annoverano: associated press, comunità europea, agenzia frontex, oim (international organization for migration), unhcr.

riccardo mannellinasce a pistoia nel1955. vive a roma dal 1977.autodidatta, inizia il suo percorso artistico negli anni settanta e fin dagli esordi divide il suo impegno tra la produzione pittorica e l’attività in campo editoriale, con ritratti e tavole satiriche dal forte impianto espressionista. collabora con moltissime testate nazionali ed internazionali; dal 1980 inizia a realizzare reportages disegnati in giro per il mondo che diventeranno la sua cifra espressiva più conosciuta. protagonista delle maggiori riviste satiriche (il male, l’echo des savanes, humor, cuore ,satYricon di repubblica, Boxer) molte delle quali dirige o partecipa alla fondazione. ha inventato e messo in scena per qualche anno “caBaret elettrico”, spettacolo multimediale ispirato ad un suo ciclo pittorico (stanze di guerra ).attualmente collabora con “la repubblica” e “il fatto Quotidiano”; negli ultimi tempi ha realizzato il fregio virtu “ apoteosi dei corrotti” proiettato diverse volte sulla parete esterna dell’ara pacis di roma (inventando operazioni di vera e propria “guerriglia artistica” denominate rave-art ); del 2009 è la mostra “teneri BarBari” insieme al fotografo Jan saudek; nel 2011 espone per la prima volta l’intero ciclo pittorico “commedia in z.e.r.o.”( realizzato nel 2003/ 2005).nel 2011 è invitato alla 54^ Biennale di venezia dove espone tre opere nel padiglione italia. in questo stesso anno riceve il premio forte dei marmi per la satira politica. dal 1995 coordina il dipartimento di illustrazione all’ istituto europeo di design ,dove insegna anatomia e disegno dal vero.

eduardo mono carrasconasce a santiago del cile nel 1954. eduardo “mono” carrasco, nome clandestino e provvisorio, il cui vero nome è héctor carrasco, grafico, muralista, promotore culturale, conoscitore delle tecniche di stampa e della comunicazione, fondatore della Brigada ramona parra,(gruppo muralista cileno), vive e lavora in italia dal 1974, anno in cui è arrivato dal suo paese come rifugiato politico, dopo l’avvento della dittatura di augusto pinochet.nel 1971 in un quartiere popolare di santiago dipinge, con il famoso artista roberto sebastian matta, un’importante opera murale, coperta più volte negli anni dalla dittatura, oggi restaurata e resa patrimonio culturale del paese.in italia e in europa dipinge centinaia di murales: nelle piazze, sui muri delle città, nei teatri, nelle scuole di grandi e piccoli paesi.nel luglio del 2004 l’ambasciata del cile a roma gli conferisce la medaglia pablo neruda, onorificenza governativa promossa dalla fun-dación pablo neruda. rappresentante in italia del gruppo musicale inti illimani histórico.

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davide pumanasce a san remo, nel 1971, vive a ventimiglia. disegnatore da sempre, dedica i primi anni della propria vita professionale ad altri per-corsi lavorativi. scopre la passione divorante per la pittura nel 2003, quando, quasi per gioco, comincia a collaborare nell’atelier del fratello corrado puma. incoraggiato da quest’ultimo, decide di affinare ed indirizzare il proprio naturale talento frequentando l’accademia BalBo di Bordighera con il maestro enzo consiglio, e l’atelier di nudo artistico di mentone. attingendo da grandi figure del novecento, vespignani, freud, e casorati, conclude questo percorso creando una pittura netta, potente, materica che conquista ed avvolge lo spettatore con atmosfere antiche e sincere, senza inutili sofisticazioni intellettuali.

antonio scarpellinasce nel 1958 a san pietro in guarano (cs). dopo essersi diplomato al primo liceo artistico di torino, conclude il suo percorso di studi nell’accademia albertina delle Belle arti della città sabauda. un percorso artistico basato su uno studio approfondito delle tessiture croma-tiche dei grandi maestri del passato rendono il gioco di sovrapposizioni e le trasparenze tonali, elementi portanti delle sue opere. consolidata la sua collaborazione con l’autore noir maurizio Blini, che lo ha scelto quale autore delle copertine dei suoi gialli.

salvatore soccodatonasce a napoli nel 1966. vive e lavora a torino. sino al primo contatto con l’accademia delle Belle arti di napoli, nel 1985, l’amore per l’arte figurativa è alimentato dalla immensa curiosità che lo porta presto in contatto con la pittura napoletana barocca e con la tradizione della terracotta partenopea. nel 2009 consegue presso l’accademia albertina delle Belle arti di torino la laurea triennale con il pittore gian-franco rizzi e, nel 2013, la laurea specialistica con il pittore marco cingolani. collabora come modellatore con importanti scultori torinesi.

diego testolinnasce a schio (vi) nel 1968. vive e lavora a padova. la sua produzione artistica inizia poco più che adolescente con sperimentazioni di vario genere e dipinti ispirati alla pop art americana e alla letteratura di genere beat. nella sua ricerca si ispira ai grandi maestri statunitensi e traspone la realtà americana a quella nostrana valorizzandone le vedute della quotidianità. nel 2005 con il ciclo di dipinti “crime scene” narra il dramma di corpi violati dalla follia umana, trasferendo magistralmente il suo vissuto professionale nell’arte.in molte sue opere rappresenta compulsivamente l’automobile porsche assurgendola ad icona della società dei consumi.

roBerta toscano nasce a torino. ha studiato storia del teatro e poi grafica con franco all’accademia albertina di Belle arti di torino. opera in campo arti-stico principalmente con materiali di scarto che assembla, stampa, incide, sospende, incolla. tramite un lavoro di ricerca articolato che la porta all’uso di vari linguaggi espressivi (video, incisione, installazione, poesia) è spinta dalla necessità di ricercare un’estetica consapevole e tendente all’autenticità. in veste di fotografa tenta di ritrarre il mondo, il corpo e l’immaginario femminile come paesaggio inconsueto, protesta muta contro l’ordinaria mercificazione dell’esistenza umana.

paolo troilonasce a taranto nel 1972. vive e lavora a milano. studia architettura e lettere moderne all’università di firenze, poi a roma all’istituto europeo di design. dal 1997 al 2009 lavora per diverse agenzie pubblicitarie internazionali (saatchi&saatchi, arnold Worldwide) come art director prima e direttore creativo poi. si aggiudica i più prestigiosi premi internazionali del settore, e nel 2007 viene nominato miglior creativo d’italia vincendo il grand prix dell’adci . i nel 2009 lascia l’advertising per seguire la sua passione per la pittura. artista autodidatta. nell’aprile 2005, parallelamente a quella di pubblicitario, inizia a dipingere. grazie a una distrazione (dimentica di comprare i pennelli) comin-cia a dipingere con le dita, questa sua tecnica unita ai potenti risultati figurativi lo rendono unico al mondo. nel 2011 viene selezionato per la 54th Biennale di venezia. le sue opere sono state esposte a milano, roma, firenze, madrid, parigi, singapore, san francisco, istanbul, tel aviv, los angeles. vive e lavora tra palermo e milano, è papà di antonio e Brio caterina.

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binario 18 #stayhuManart

isbn 978-88-95816-82-1

impremix - edizioni visual grafikavia postumia, 5510142 [email protected]

i proventi ricavati da questo catalogo saranno destinati ad attività di forMazione per la prevenzione della radicalizzazione violenta.

finito di staMpare aprile 2016


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