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A Gianfranco Bruno - Area35 Art Gallery · A Gianfranco Bruno. IN FLORE FURORIS Pietro Geranzani...

Date post: 17-Feb-2019
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A Gianfranco Bruno
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A Gianfranco Bruno

IN FLORE FURORISPietro Geranzani

Area35 Art Gallery via Vigevano 35, Milano

Mostra a cura diAREA35 ArtGallery Testi diRolando Bellini, Luca Ferri, Maurizio Temporin, Erica Tamborini

ImmaginiPietro Geranzani

ComunicazioneOlivia [email protected]

In copertina: Pietro Geranzani “Damp mop” 2015, olio su tela, 50 x 180 cm. (particolare)

StampaPress Point s.r.l. - Abbiategrasso (Mi)

Progetto grafico e impaginazioneOlivia Spatola

Copyright© Pietro Geranzani© per i testi, gli autori

Volume finito di stampare nel mese di febbraio 2016 a cura di Press Point s.r.l.Nessuna parte di questo volume può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti.

IN FLORE FURORISPietro Geranzani

AREA35 ArtGallery Milano, via Vigevano 35

INDICE

Pietro Geranzani, il pittore di Hannah ArendtTesto di Rolando Bellini

Estratto da. Testo di Luca Ferri

Crimini contro la cosmicitàTesto di Maurizio Temporin

Un percorso per immagini dentro la pittura di Pietro GeranzaniTesto di Erica Tamborini

OPERE

NOTE BIOGRAFICHE

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Pietro Geranzani, il pittore di Hannah Arendtdi Rolando Bellini

Il surreale, talvolta, scatenando angoscia e godi-mento, può invadere come un uragano la realtà or-dinaria, distruggendola… Ciò rende palese, credo, la nostra fragilità al cospetto della natura, dell’uni-verso mondo vichiano in cui si è prepotentemen-te protagonisti ma d’una miserrima statura e for-za che manda in frammenti ogni nostra presunta rappresentazione della stessa realtà che vorremmo dominare e possedere anche attraverso l’arte. Po-tremmo raccogliere un fascio di conferme nell’arte storica e ancor più in quella oggidiana1, e invece mi limiterò a un solo caso. Il “caso” che vengo a illustrare. Trattasi di un pittore, un di quei rari se non rarissimi pittori che fanno della pittura la carne, la morte e il diavolo2 della loro stessa vita. Ogni pos-sibile immaginazione ordinaria risalente al confron-to, ineludibile, con la realtà che ci circonda da ogni lato s’infrange e si disperde allorquando s’incontra la pittura di un pittore così anacronistico come Pie-tro il quale dipinge e dipinge a dispetto della di-chiarata messa in disparte del medium ch’egli ha privilegiato fino a farne la ragione stessa del suo essere e vivere; un accantonamento pretestuoso e violento, questa messa da parte che data anni Cin-quanta, la presunta rinascita dopo il secondo con-flitto mondiale. Ma chi è Pietro Geranzani?L’ho presentato già nel 2013, pubblicandone una scheda minima, ma ecco che il surreale m’ha fatto lo sgambetto: ho scritto di lui scrivendo di un altro che si chiama “Gerenzani”.Palesemente un errore di stampa! Al tempo stes-so l’acciarino che ha incendiato la miccia… Questa

miccia. Argomentai allora di lui o per meglio dire di entrambi, l’autentico e vivo e presente Geranzani e il fittizio e irreale suo confratello letterario, un artista inesistente (il mitico “Gerenzani”), sostenendo: “Di questo artista, classe 1964, merita conto dire pre-ventivamente: è un cittadino del mondo – nasce a Londra, parla più lingue, migrando di luogo in luogo – e interpreta, a suo modo, la versione contempo-ranea del libertino, dell’artista colto del Settecento erede di Diderot e di Voltaire. Lo sostiene la sua pittura a cui, peraltro, egli affida la propria vita. Una pittura delicata e forte, di luce e ombra, cromatica-mente intrigante e compositivamente sorprenden-te, formalmente visionaria, dunque politica”3. Pietro è il comun denominatore tra questo personaggio letterario creato accidentalmente sulla copertina della rivista universitaria e l’altro, quello che vive e lavora inquieto e perfino stremato, talvolta, goden-do della propria pittura, a Milano, suo ultimo ap-prodo. Gerenzani, l’immaginario, contro l’autentico Geranzani: il corpo e il suo doppio4. Dunque? È conclusivo e perciò fuorviante… Dunque avevo an-che scritto un asterisco a correttivo della clamorosa gaffe esibita dalla copertina, solitamente accurata, del ventesimo fascicolo di luglio-dicembre duemi-latrecidi de “Il Protagora”5, asterisco che poi non ho pubblicato. Mi verrebbe ora da dire: per fortu-na! Probabilmente, per pigrizia. Ho abbandonato la fatica di quella nota, seppur dovuta, quanto meno a risarcimento del beneficiato: Geranzani stesso. Fors’anche perché… Intendo: ho lasciato cadere la cosa, fors’anche perché avrei dovuto ragionare, a

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margine, pure di altro.Vale a dire di una convivenza stridente all’inter-no della rivista, causata dalle immagini riprodottenel fascicolo. Le più prossime al mio breve testo (un’ampia didascalia al quadro di Pietro) riprodu-centi, nel primo caso, un famoso fermo immagine tratto da The Kid 1921, Charlot (Charlie Chaplin), col Monello (Jacki Coogan) e il Poliziotto (Tom Wil-son), nel secondo,The Great Dictator 1940, Ade-noid Hynkel (C. Chaplin), dittatore di Tomania, [nel mentre] vagheggia il dominio del mondo. Inaspetta-to annuncio, a suo modo, dell’errore che designa-va al fittizio personaggio inventato in tipografia la paternità dell’opera di Geranzani. Al tempo stesso: magnifica chiave di lettura della pittura di Pietro! Insomma, un problematico nodo da sciogliere, un nodo Borromeo. Perciò quest’occasione – di cui son grato all’artista – mi consente di argomentarne per la prima volta! Rinunciando preventivamente a Chaplin-Charlot, alias Geranzani-Gerenzani, o no? Ma come? E quand’è iniziato poi, tutto questo?

Cenammo assieme, Pietro ed io, ognuno in bella compagnia, giorni addietro: si era ancora nel vec-chio 2015 e cenammo nello studio che è anche casa sua, a Milano. Cucinò lui che, da buon pittore, è anche un valido cuoco. Cenammo assieme a due attraenti fanciulle, due femmine immerse anch’esse nell’arte, e Geranzani, rallegrato dalla circostanza felicitante, mi parlò finalmente della imminente mo-stra personale. “Non dipingevo da tempo”, disse. “E quest’invito ad esporre, questa proposta di metter su una mia mostra personale, mi ha esaltato… No, non proprio. La possibilità d’una mia mostra perso-nale m’ha riportato ai pennelli. Ecco tutto. Ho tirato un sospiro di sollievo: ne avevo proprio voglia. Anzi, necessità. Son contento. Diciamo meglio: sollevato e emozionato, irritato e pacificato, nervosissimo e sereno, per questo. Dipingere! Finalmente eccomi

tornato a dipingere che per me è vivere”. Lo guardo fra l’attonito e il divertito e inizio a prendere appunti. Lui incalza, accelerando: “Insomma, non esageria-mo. Mi capita di parlare a ruota libera e mi perdo dietro le parole come quando imbratto e cancello poco a poco un quadro invecchiato, nel quale non mi ritrovo più. Mi esaurisco nell’impresa, molto più faticosa, estenuante, ecco la parola, rispetto alla costruzione di un quadro. Perché, in fondo, sto cancellando una parte di me stesso”. Annuisco ap-pena e Pietro insiste senza lasciarmi tregua: “Che posso dire? Non mi pare proprio il caso di parlare di contentezza o d’altre meschinità borghesi. Non mi appartiene. Voglio dire: quel mondo borghese così miserevolmente vuoto e meschino e tuttavia, a suo modo eroico. Anche perché per me l’arte è tormento dell’anima e prima ancora del corpo”. Lo interrogo cogli occhi e allora Pietro insiste: “Sto scherzando… Anzi, dico sul serio. Parlo e parlo abbandonando la ragione. Giusto per vedere la tua reazione. Giusto per farmi un’illusoria idea della reazione di chi verrà ad osservare i miei dipinti. La mia pittura è tutt’altra cosa, mi pare”. Pare anche a me: annuisco. “M’in-triga un certo, un preciso e provocatorio filosofare – prosegue di slancio Geranzani – che penetra nella mia pittura… Guattari, Deleuze – continua d’impe-to, Geranzani – hanno avuto il merito, se non altro, di rileggere in una chiave sufficientemente distorta Heidegger, attualizzandolo e soprattutto facendo-melo in qualche modo, digerire. Altrimenti m’avreb-be dato angoscia. E questa diventa pittura nera…”. Sorrido pensando ai famigerati Quaderni neri, hei-deggeriani. Quegli stessi Quaderni che Heidegger ha continuato a vergare anche dopo che aveva rotto l’isolamento in cui era caduto nell’immediato ultimo dopoguerra; quei maledetti Quaderni che il filosofo ha composto come suo personale “diario filosofico” – inconsciamente per autodenunciarsi, o che altro? – e che, a maggior ragione, lo hanno

definitivamente smascherato riaffermandone in più modi il credo nazifascista. Insomma, quei famige-rati Quaderni neri heideggeriani che, attualmente, stanno infiammando il dibattito filosofico in corso. Pietro, invece, sta fantasticando un richiamo alla figura dominante (Arendt, a parte) in questo insop-portabile filosofo tedesco che i più dicono aver ri-voluzionato il filosofare: e cioè a dire Sant’Agostino. Me ne parla, per frammenti, e dice fra sé: “Vado mescolando il Santo ad altre figure ben più profa-ne. Me ne rendo conto”. Ecco che cosa significa dialogare con Pietro Geranzani: partecipare a una caduta nel precipizio e aggrapparsi, per salvare la pelle, alla pittura, alla sua corporeità ingombrante, alla sua indecenza travolgente… Risalendo, im-brattandoci di colore, impastandoci di pittura, su su verso la luce e dunque una possibile salvezza temporanea.

Guarda caso – ma il “caso” che ruolo ha nell’arte? – poche pagine prima dell’ultima, il solito fascicolo de “Il Protagora” (sempre il n. 20, luglio-dicembre 2013), me ne rendo conto adesso, pubblicava una recensione di Fulvio Papi dedicata proprio a Martin Heidegger o per meglio dire allo studio di Alfredo Marini quale introduzione alla sua, di Heidegger, intervista su “Der Spiegel” del 1966. Con la se-guente intestazione: M. Heidegger, Ormai solo un dio ci può salvare, Introduzione di Alfredo Marini, Guanda, Parma 2011 . In essa si recupera il lavo-ro preparatorio di Marini per un corso universitario del 1987-88, tutta la sua erudizione e tutta la sua ricerca dedicata alla filosofia tedesca fino a Husserl entro cui matura il caso Heidegger. “Prendere sul serio queste ricerche – scrive Papi – vorrebbe dire essere costretti a fare due cose difficili, perché ri-guardano spesso la geologia filosofica di noi stessi, il modo in cui ‘siamo stati’ in una tradizione”7 .Potrei dire lo stesso della pittura, da Odilon a

Pietro. Da Manet a Pietro e ancora dal Goya del-la Quinta del sordo al primo acido Warhol e oltre, fino a urtare la contemporaneità e ritrarsene inor-riditi tanto quanto Geranzani. Potrei dire la stessa cosa ragionando della pittura di Pietro Geranzani. Dunque? Potrei seguire il filosofare di Papi, che va oltre ma non sembra, almeno sulle prime, in grado di scavalcare quel salvifico incontro con un dio... quanti sennò? Perché mai “un dio”? Forse “uno” per distinguerlo da tutti gli altri, direbbe Guido Ce-ronetti. Forse per distinguerlo e prendere le distan-ze da quello oggi tanto atrocemente quanto para-dossalmente abusato, o no? Poco importa: ti ritrovi così, all’improvviso, oltre un orlo irrevocabile, smar-rito in un vuoto… Il vuoto della storia, anche. Tem-po scaduto, tempo storico scaduto se perseguia-mo il sentiero heideggeriano che, certo, non è stato ignorato da Geranzani ma che, al contempo, è sta-to anche disertato dall’artista quand’egli si è reso conto che non conduceva da nessuna parte. I sen-tieri smarriti, i passi perduti che Heidegger ascrive agli artisti sono solo un vagheggiamento postmo-derno, un falsificazionismo bello e buono, per dirla alla Popper. Eppure, Papi suggerisce a suo modo una via di fuga più che benvenuta, credo, perlome-no rispetto alle sordità che io continuo a percepire – forse per mio limite – in Heidegger e che, a mio av-viso, tagliano la strada certo non in senso vichiano. Costringendomi, costringendoci tutti a una deriva senza ritorno. Peggiore di quella drammatizzata, sulla falsariga di un macabro fatto di cronaca, da Gericault nel grande quadro metaforico e metafisi-co e storico de La zattera della Medusa, che trova poi riscontro nelle sublimi e ripugnanti ceste delle teste tagliate rievocanti il Terrore rivoluzionario, a cui – segretamente s’intende – Geranzani guarda e attinge non poco. Ma torniamo a ragionare con Papi, riprendiamo il filo del nostro e suo ragiona-mento. La critica all’oggettivismo intellettuale può

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dar luogo a suo modo, mi sembra vada argomen-tando Fulvio Papi, attraverso la mitigazione della tecnica (e qui non lo seguo più e persino dissen-to), a “una analitica dell’esistenza (tra inautentico e autentico)”, ma egli scrive filosofando e perciò non posso prenderlo sottogamba. Con il che Heidegger è miracolato e al tempo stesso, in qualche modo, fuori gioco! Proviamo a rileggere insieme la pagi-na di Fulvio Papi, e riportiamo per intero il fatidico brano che trovo calzante per avvicinare e dire della pittura di Geranzani. Sostiene Papi: “nella filoso-fia contemporanea (non bisogna mai dimenticare la lezione e il percorso di Husserl) sarà un tema di centrale discussione la critica all’oggettivismo in-tellettuale ([che, egli aggiunge tra parentesi] a me pare mitigata nel tempo nel passaggio dalla scienza neokantiana al tema della tecnica [c’entra qualcosa Simondon?]) per dare luogo a una analitica dell’e-sistenza (tra inautentico e autentico) che prelude a una concezione dell’essere come senso dell’esse-re, qualità non entificabile della vita, radice preso-cratica della tradizione greca (quanto Nietzsche!)”.

Se, sollecitato da quanto testé letto a un’osserva-zione più acuta e profonda, porto tutto questo sot-tobordo e vado quasi a incagliarmi nell’alta barriera cromatica, nella densa scogliera di pigmento che sono i quadri stratificati, graffiati e svuotati e poi rimpolpati di pigmenti e olii volatili atti a creare tra-sparenze o leganti per ancorare una cosa all’altra, una superficie all’altra, una nascente figura all’altra; se compio quest’avventura che è anche una sco-perta, che può verificarsi? Ragionando dei quadri di Pietro Geranzani parafrasando il filosofo potrei aggiungere allora: se il pensiero in ogni caso è la messa in forma di un mondo che è quello che non riproduce ma dice, esso simboleggia nel rappor-to collettivo la stessa condizione della propria vita e non costituisce certo una particolarità distintiva

connessa a una speciale interiorità slacciata da un simile vincolo, proprio come credo di veder acca-dere nella pittura del mio artista, nei singoli quadri e nelle serie di dipinti tematici di Pietro che costitui-scono, in quest’occasione espositiva, il listino delle sue opere in mostra.

La prima volta, del resto la prima volta ch’io vidi un quadro di Geranzani, uno di un formato “medio”, ne fui sconcertato e allora, lanciandomi il proprio salvagente, mi disse il pittore: “Vedi? Tutto nella mia pittura è autobiografico e tuttavia nulla mi rispec-chia veramente. Tutto appare legato al sentimen-to romantico e al rispecchiamento della realtà e al tempo stesso nulla di ciò appartiene alla mia pittu-ra”. E ancora: “Questi ampi formati sono soltanto esercitazioni minime, perché vorrei dipingere molto più in grande, e più brutalmente, più carnalmente anche, facendovi vibrare la vita stessa. Ma come vedi questo spazio – e intanto allargava le brac-cia ad accogliere tutto lo studio – non mi consente di andare troppo oltre…”. Fu così che pensai, ma solo un momento, all’Atelier di Courbet. Era questo formato “medio”, come lo chiamava il suo autore, di due metri e più per unoeottantasette d’altezza; quella volta pensai simultaneamente al Courbet se-condo Breton e alla Casa Usher di Edgar Allan Poe 9. Al di là del fatto che quel racconto del terrore di Poe corrisponde e riverbera in ogni sua fibra il “gothic revival” classicista del momento, cala insomma in un clima generalmente condiviso da parte dei nuovi scopritori e apprezzatori del medioevo, seppur con l’aggiunta agrodolce d’un brivido di terrore, esso ri-chiama anche i colori della pittura, di tutta una serie di pitture, di dipinti oscuri di ieri e di oggi. Incon-trandosi così con i quadri di Pietro Geranzani. Ma vien meno, nei dipinti di quest’ultimo, il clima orri-bile dei racconti di Poe, così come il soffio fantasti-co d’una rappresentazione simbolica trasfigurante

e magica che allontana dalla realtà mondana d’og-gidì. Quell’oggi trasfigurato anche da Geranzani che pur tuttavia va ricercandone il sembiante, in qualche modo, con insistenza inquietante. Me ne resi conto immediatamente e ora, a distanza di mesi, ne ho, mi pare, eclatante conferma. Seppur allertata, messa in discussione da qualcosa d’al-tro e di nuovo, su cui, in questa occasione, non dirò alcunché. Al contrario di Poe, Geranzani, pur dando forma alle più complesse trasfigurazioni ri-echeggianti il demoniaco nell’arte secondo il Ca-stelli, il cui cuore storico e come pietrificato è dato da Jeronimus Bosh (succhiante i miasmi putridi e al tempo stesso salvifici, fangosamente carnali e al contempo magicamente mistici e decisamen-te neoplatonici o trascendentali, della cosiddetta Scuola renana), finisce per prendere le distanze da quel sapore gotico e da quel tipico orrore-terrore neomedievale, richiamandosi palesemente ai para-dossi visivi del Surrealismo, con predilezione per il visionario Salvator Dalì… Al di là di tutto ciò – e di altro ancora che non è luogo a dire – Pietro Ge-ranzani dipinge un mondo sospeso tra la banalità quotidiana e i paradossi appercettivi del Degas che scopre il circo e ne fa strumento di visioni pittoriche inaspettate, di sogni romantici emozionanti, soprat-tutto di avventure cognitive esclamative e di azzar-di spaziali che sovverranno. Il riferimento è, qui, a tutte le “avanguardie” che, al seguito, hanno insce-nato un altro circo per poi arrivare a coinvolgere le più sfrenate e trasgressive manifestazioni di massa di matrice carnascialesca, che oggi dominano nelle strade del mondo… Malgrado ogni sforzo per dare sembiante figurale e corporeità pittorica all’ecce-zionalità che sta ai confini del mondo, quello che prevale alla fin fine anche nella ricerca pittorica di Pietro Geranzani è l’ordinarietà disarmante della vita moderna dopo Baudelaire, quella quotidianitàIl riferimento è, qui, a tutte le “avanguardie” che, al

seguito, hanno inscenato un altro circo per poi ar-rivare a coinvolgere le più sfrenate e trasgressive manifestazioni di massa di matrice carnasciale-sca, che oggi dominano nelle strade del mondo… Malgrado ogni sforzo per dare sembiante figurale e corporeità pittorica all’eccezionalità che sta ai confini del mondo, quello che prevale alla fin fine anche nella ricerca pittorica di Pietro Geranzani è l’ordinarietà disarmante della vita moderna dopo Baudelaire, quella quotidianità borghese ch’è total-mente priva d’immaginazione, di eccentricità, d’o-gni pur vago segnale di eccezionalità od originalità. Insomma, ciò che è il nerbo dello Hopper. Piuttosto che magnetiche atmosfere sognanti, immaginifi-che irrealtà metaforiche, questa banalità quotidiana spogliata d’ogni magia ad eccezione, forse, della solitudine trasognata e distratta (peraltro ipoteti-ca fonte di abissi fantasmatici, a ben riflettere) che Hopper riesce a rappresentare tanto spesso con la complicità della moglie-modella e musa, croce e delizia della sua vuota esistenza quotidiana ai margini di un mondo perduto, risulta essere, alla fine, il miglior ritratto di un’America che oggi non è più. L’America che si appresta a sognare il fragile e paradossale mito kennediano, la deriva della beat generation, la falsa gioia della Pop art… Altri dopo di lui (intendo, Hopper) si sono cimentati con que-sta ordinarietà disarmante, l’equivalente pittorico o scultoreo o grafico, per venire all’Italietta di quegli anni post-bellici, della noia narrata dagli indifferenti protagonisti d’un capolavoro letterario dell’ultimo dopoguerra, a firma del giovane Moravia: speculum abbagliante – come certi film di Antonioni – d’un clima a suo modo attraente, brillante e parimenti d’una volgarità assoluta, gonfio di frenesia, di avi-dità esistenziale e al contempo immobile e stordi-to, stremato e affranto, abbandonato a un’inerzia esistenziale senza ritorno. Ma al tempo stesso, ca-pace di una strana magia, che oggi si è perduta.

1918

Ma attenzione, Geranzani non è né Hopper, né altri simili a quest’ultimo. Egli, piuttosto, rassomiglia in qualcosa a Lucien Freud (e i suoi amici, a comincia-re da F. Bacon). Egli trova nutrimenti e affinità elet-tive, infine, in altri e altri artisti ancora: tutti gli artisti che credono comunque nella forza della pittura10.

In merito a queste possibili referenze, lui stesso, cioè a dire Pietro Geranzani in persona, coraggiosamen-te, azzarda una sorta di rete di riferimenti, quasi una costellazione personale che vada a riempire il vuo-to oscuro che incombe sulla sua testa, facendolo apparire come uno spicchio di universo, quel cielo stellato in cui, recitava il poeta, galleggiano vaghe stelle dell’Orsa… Si muove sull’orlo di un baratro: ai confini della realtà, Geranzani. Senza mai abban-donarla tuttavia, sorretto dall’illusione di potersi ri-volgere a un dio irraggiungibile e distratto, ma pur sempre incombente. Ma poi, alla perfine, chi sono i suoi interlocutori più diretti e insistenti? Berlinde de Bruyckere, in primis. A seguire: Luc Tuymans, altri nomi come Louise Bourgeois… Dal mio personale e certo discutibile punto di vista verrebbe da citare un altro nome, una artista performer, Tania Brugue-ra (penso in particolare a una sua performance de-gli anni ’90, una sorta di corpo a corpo tra carne e carne) e naturalmente, non foss’altro, per analogia, facendo un passo indietro, Gina Pane. Per non dire dei maestri del passato, prossimo e remoto, a cui – per sua esplicita ammissione – Pietro Geranza-ni rivolge il proprio sguardo inquieto e irritato, uno sguardo corsaro. Pasoliniano, certo, poiché irrive-rente e piratesco, lo sguardo feroce del Pier Paolo Pasolini poeta e filmaker: penso a La ricotta e forse all’ultimo romanzo incompiuto, all’ultimo film gira-to in qualche modo da quest’intellettuale scomodo fino a dover morire. Insorgono così, al seguito del-le scorribande corsare nel passato prossimo e re-moto se non remotissimo di Pietro Geranzani, casi

emblematici, riferimenti inauditi. Quali, per non fare che un unico esempio, tirando in ballo un solo di-pinto di Pietro Geranzani, Ombra ammonitrice VI (Awrah), 2004, il sesto olio su tela di una serie a tema corrispondente a un formato veramente di media se non piccola dimensione, stando agli stan-dard di Geranzani. Quest’ultimo, in merito, ha ri-velato nomi ingombranti di ieri: come per esempio Matthias Grünewald ed Henri Bellechose (in sin-tonia con altri mistici pittori come il Beato Ange-lico), entrambi selezionati per i particolari macabri delle decapitazioni che abitano talune loro opere di devozione. Sennonché, i primi referenti parreb-bero essere altri: quella testa perduta e cancellata del dipinto, che sembra esser stata abbandonata in un angolo di nero quand’è caduta dal collo che la sosteneva, è allusiva, sottovoce, d’altro che cor-risponde alle già ricordate ceste di teste ghigliot-tinate di Gericault, mentre invece il corpo decapi-tato e rigido nel suo biancore di statua innaturale o mortale, richiama piuttosto, ma non senza una certa prepotenza, l’arcinoto quadro della teatrale Morte di Murat… Bando all’erudizione, in fondo al Geranzani non importa un fico secco della storia così come del presente storico. Importa solo del-la sua pittura. Altrimenti avrei dovuto tirare in ballo una congerie di riferimenti più e meno occulti, più e meno conosciuti – Caravaggio, innanzi tutto – e avrei dovuto giustificarne la “presenza” nelle visce-re stesse di questi quadri di Pietro Geranzani, opera dopo opera. Giacché i quadri grondano sapienza (Geranzani è colto) a voler testimoniare quanto e come i nutrimenti dell’arte significhino tutto per lui. Tuttavia, quello che veramente importa per questo pittore è poi ben altro: il paradosso esistenziale og-gidiano, di un oggi gonfio di follia, di crudeltà, di oscurità, ma soprattutto di stupida vuotaggine. Ol-tre, ben oltre la caduta fragorosa del Post Modern, buonanima. Che ha lasciato dietro di sé un’arte in

frammenti, una figurazione lacerata e sanguinante, morbosamente attratta dal patibolo doloroso che la fa a pezzi, ma al tempo stesso paralizzata, intrisa fino alle ossa di fastidio, di oscurità accecante che chia-ma in causa un’orribile ansia di morte: del pianeta Terra, dell’umanità brulicante come la popolazione impazzita d’un enorme formicaio… Naturalmente, si tratta di metafore apocalittiche, di annunci o am-monimenti d’un possibile futuro prossimo verso cui stiamo scivolando nella più bella inconsapevolezza. Narcotizzati dall’assuefazione alla violenza, all’abu-so, alla falsificazione e mistificazione d’ogni possi-bile valore, alla corruzione e alla sopraffazione abu-sive, alla gratuità di tutte le malefatte che vengono reiterate oggidì, con ossessiva insistenza; ebben, narcotizzati da tutto ciò, non sappiamo più reagi-re a tutto questo, ci dice, attraverso la sua pittura, Geranzani. Tale e quale Cassandra, o quasi, Pietro, dunque, cerca di avvertire il mondo dell’arte della presenza sempre più lesiva di questi inquinamenti che lo stanno soffocando e intanto si affida alla pit-tura quale unico suo possibile vascello di salvezza. Paradossalmente? Può darsi, ma in ogni caso la pittura è ciò che conta veramente, per lui. Una pit-tura priva di effusioni sentimentali, di un sentimento dell’arte che, sotto sotto, è mondrianeo. Mondrian ha scritto: “per amare il pieno giorno occorre aver amato la notte […] per detestare il tragico occorre aver molto vissuto. Solo allora si impara che la vita naturale è una ripetizione continua di notte-gior-no […]”11. Dipinge e dipinge, dall’alba al tramonto, giorno e notte, sollecitato da una sua inarrestabile ansia di riscatto, il nostro Geranzani, e questo me lo avvicina oltreché a Mondrian anche al Caravag-gio che prende a “ingagliardire gli scuri”, per dirla col Baglione. A saper vedere (alludo al best seller di Matteo Marangoni) in questo estenuante impe-gno pittorico di Geranzani, prevale comunque un senso di malessere che conduce alla spossatezza,

contrapponendo la pittura, la propria esuberante e carnale e sacrificale pittura – come fosse una bar-riera invalicabile – alla desertificazione in atto, alla banalizzazione paralizzante e svuotante in atto che va dilagando per ogni dove. Anche Geranzani, nel compimento di quest’impresa salvifica, parrebbe intento a indagare – come Mondrian – la struttura delle cose, eludendo ogni aneddotica figurativa12.E così ho trovato la chiave di lettura più confacen-te a questa pittura, la più aderente alla sensibilità pittorica di Pietro Geranzani. Egli è – credo di poter sostenere alla luce degli ultimi quadri che, ora, ho potuto vedere; quadri in cui domina, affiorando da una tenebra inquietante, un certo godimento san-guinario, un paradossale piacere per il martirio della carne trasfigurato in termini pittorici – il pittore de “la banalità del male” vissuta tuttavia in uno stato inusuale e come sospeso tra angoscia e godimen-to13 . Il pittore non già di Teresa d’Avila, ma di Han-nah Arendt.

1 Un recentissimo volume di un certo Demetrio Paparoni, de-dicato al Cristo! Edito da Skira, Cristo e l’impronta dell’arte… su cui mi ero riproposto di stendere una breve recensione. Cristo che delu-sione… Il “divino” è sempre assente e così, per la verità non proprio a ragione, il povero autore c’informa col fare ammiccante di chi ha compiuto chissà quale scoperta che il divino va declinato in altro. Districandosi tra scoperte fulminanti e altre situazioni imprevedibi-li, solitamente ben note. Peggio ancora: avverte, in taluni paragrafi, questo testo che oggi l’arte dà al Cristo sembiante umano, come a voler dire che lo declassa: dal divino all’umano troppo umano di nietzscheiana e benjaminiana memoria. Ma quest’essere umano e non già divino, non svuota di senso l’intero saggio? Paparoni intervistato per radio, rincara la dose e avverte: per l’ar-te oggi il come è più importante del cosa… Il come in qual senso, prego? Nessuna risposta. Conferma feroce della vuotaggine della critica d’arte allorquando si picca – ed è questo il caso – d’icono-grafia e ancor più dell’iconologia afferente il contemporaneo se per contemporaneo s’intende quest’arte uggiosa e vuota quale la inten-de il poveretto.

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2 Palese allusione a un titolo, tremendo, d’un saggio di Mario Praz. Rinvio in merito a un mio inedito, di prossima pubblica-zione: In principio era la carne. Scorribande tra Mario Praz e Giulio Preti (2015).

3 Da “Il Protagora”, rivista semestrale, anno XL, luglio-di-cembre 2013, sesta serie, n. 20, verso di copertina con immagine di copertina afferente un dettaglio (una parte arbitrariamente ritaglia-ta) di un quadro denso e forte di Pietro: “l’opera pubblicata, quadro “sine titulo”. Disseminata di occhi, una figura femminile [di cui però la parte forse più rappresentativa, la gonna occhiuta, è stata omessa o tagliata via!] prende forma nella pittura e ti scruta selvaggia; vestita di occhi questa figura reale e irreale, sospesa nell’ombra, baciata dal lume, ti affronta e ti sfida senza mostrare di sé il volto, ma esibendo, invece, il corpo, fasciato da un abito-pelle e piume più calde, inusua-le, fungente da amplificatore cromatico; un corpo che mette in gioco una sensualità sofferta, una realtà disturbata”. Fatta, scrissi, “di car-nalità indecente (in principio era la carne, sentenziava, del resto, un filosofo come Giulio Preti!) che soggiace all’assunto (di ascendenza lacaniana) che la pittura, è godimento”.

4 Il fantasma beffardo di Antonin Artaud, è lui il primo della lista che compare dietro la scrittura, offuscandola.

5 Geranzani e non Gerenzani!, nota inedita a margine della copertina del fasc. n. 20 de “Il Protagora”, anno XL, luglio-dicembre 2013. 6 M. Heidegger, Ormai solo un dio ci può salvare, Introdu-zione di Alfredo Marini, Guanda, Parma 2011. Si trova nel fascicolo n. 20 de “Il Protagora”, cit., alle pp. 535-538.

7 La cit. è a p. 535.

8 Ci spinge verso un limite, sull’orlo dell’abisso, Fulvio Papi, osservando per esempio: “Marini ci dice che, se vogliamo, possiamo dire che Heidegger è un nazista. “Possiamo” perché fa parte della no-stra genealogia intellettuale, del nostro essere stati in un mondo pro-prio nel mondo, ma oggi un giudizio del genere, quando non è detto con una generica distrazione, ci importa proprio tanto, anche per la sua parte di verità?”. Alla p. 536.

9 Ora facilmente raggiungibile, alias leggibile in italiano gra-zie alla buona traduzione proposta in E. A. Poe, Racconti del terrore. Con un saggio di Charles Baudelaire, a cura di Carla Apollonio, Barbe-ra editore, Siena 2007.

10 Per eredità, forse, del più sorprendente Gustav Klimt. Su

cui si veda, per le implicazioni neuroscientifiche, Erik K. Kandel, L’età dell’inconscio. Arte, mente e cervello dalla grande Vienna ai nostri gior-ni, trad. it. di G. Guerrerio, Raffaello Cortina Editore, Milano 2012 (The Age of Insight, 2012).

11 P. Mondrian, L’arte realistica e l’arte superrealistica. La morfologia e la neoplastica (1930), in Piet Mondrian. Tutti gli scritti, a cura di H. Holtzman, trad. it. di F. Menna, Feltrinelli, Milano 1975, pp. 255-256.

12 Filiberto Menna, Mondrian. Cultura e poesia, prefazione di Giulio C. Argan, a cura di P. De Martino e A. Trimarco, Editori Riuniti, Roma 1999, p. 86.

13 Nell’accezione suggerita da una psicoanalista lacaniana, Giuliana Kantzà. Di quest’ultima si legga in fretta qualche pagina di Tre donne e una domanda: Hannah Arendt, Simone Weil, Edith Stein, 2012; soprattutto si dovrà assimilare con la dovuta concentrazione il seguente brano: “La psicoanalisi deve molto alla donna, e forse non fu un caso che proprio con una giovane donna, Dora, Freud mise in atto il dispositivo analitico. E, ancora oggi, è lei, la donna, portatrice e protagonista della donna di analisi, che è, sempre, una domanda d’a-more occultata dalla ‘brutta parola’, il transfert. ‘Croce e delizia’ della psicoanalisi, secondo la definizione di Freud”. Riflettendo in merito al fatto che questa stessa croce e delizia potrebb’essere ed anzi è, per Geranzani così come per ogni altro pittore o pittrice, la pittura stessa. Id., Teresa fra angoscia e godimento. Psicoanalisi di una santa, Mime-sis, Milano 2015, p. 8.

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figio pitore coloreo soministrato un più sula tempera ma cocinè presa cellulodea. le perpea cantessa del franger sui massi sinculleò a me dritta nei capi di scilla e me ridissi anchorata alla volta la fosse: lo bove; sibilla; la creta. mi sengi calda, vapurrea e beflona a risvellar di coscensa dei gridulli lì soto. tiran le fiondre e parlucciano tavulei pasanti proraso sal fessure indifese di meno alealtre ppè vetri uno strato rischianti tremurta. pergi e add’acquisti sui nanisecondi, le dubianze so cù fosse verrita o finzione paglonato al vorraprorsi tra me reginetta; od’adesso pè tera.

girare coi pulici a giro la roda economea dal fondo agia cima, urlassi mio pater, ma tutti li iunti dico, tute le crape e biturzoli a picchio, chi se li smonta? mica il chen lo si trova come i cilliegi in natura mi pare. ed le confizioni dove si pescano se non dai faggeti? mi ci porti da perte e senza la molliola prego, lasia rivestirla a sue mani che notro due c’inrivulgiamo a se sotto c’è sgreto di neve. porre cilliegie e povri castagni, spellati e cioccati d’aceti di grezzo, da romori forti cui metterci pianti. Le letere poi, la scrita biggim chiss’ela metterai poi tral me di chei anni e la me di ciò adesso, le lettere poi, chi le poi piccica e dove si pigliannò? pensosi pur d’oggi che la’qua sinfilgria trai leti edd’i pori l’asorbe pè piano e suss’ubito vedde. linfa toccata afappena la ragnia radice di chi soti la sparrea sussalto, in corva ale foglie; ai castagni: lorfille. poi ci li sopra riescono l’i contadi ghisolfi rirfiume aggiacorgersi cheppè miracolo di stampèrie, parolla rimersa. (*)

(*) Frammento estratto da Fiori di Broca, Luca Ferri 2006-2011, edizioni Cicorivolta

Una donna lentamente muore sotto un dipinto di El Greco, mentre frammenti di ricordi della propria vita, della Guerra Fredda, le scorrono innanzi prima della dipartita.È paralizzata e immobile sotto un quadro dalle grandi dimensioni e ha finalmente l’opportunità e il tempo per potersi accorgere della visione dell’Apocalisse e del violento gesto di un san Giovanni livido di terrore. Nessuno la potrà salvare.

Potete, possiamo, è possibile ancora accorgersi di “vedere” anche con la costrizione di una fortuita paralisi. Ecco perché scelgo questo testo, perché in forte assonanza con una delle grandi opportunità che la pittura di Pietro Geranzani ci permette di riscoprire.

Ricostruendo la dinamica dell’accaduto di cui sopra, e potendo riscriverne la storia, avrei collocato sulla parete un suo lavoro del 2014, Damp mop, dove di un angelo non ci resta che l’assenza e due ali scarnificate, sporche di sangue ancora fresco. Visione riemersa.

Estratto da. di Luca Ferri

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CRIMINI CONTRO LA COSMICITÀdi Maurizio Temporin

Da quella distanza non riesce a intuirne le dimen-sioni, le stelle sparse nell’oscurità siderale servono appena a indovinare la forma, non certo a determi-narne la posizione, capisce solo che sta fluttuan-do, che si sta avvicinando perché la macchia di oscurità si allarga, tutto ciò che vede per un attimo brilla del riflesso d’una galassia, e allora gli ricorda un’immensa meringa, la cima d’un Cremlino nero, anche se non sa cosa sia, ormai sta per entrare, ormai è dentro e si ricorda solo adesso che lui è Sant’Agostino, non ricorda ancora perché lo abbia-no chiamato, poggia finalmente i piedi sull’acqua scura d’una pozza quadrata sulla cui superficie si formano piccole nubi, lampi, temporali, gli viene consegnato un pastorale d’oro da un pigmeo albi-no che gli fa cenno d’andare avanti, lungo il corri-doio d’ardesia, e lui tranquillo va, osservando tra le colonne quelle gambe mozzate, usate come vasi, da cui spuntano fiori rosa, c’è profumo di primavera e formalina, poi il camminamento si allarga in una sala affrescata e nebbiosa affollata di gente silente, sono i papi di tutte le epoche, o almeno appaiono vestiti come tali, sembrano spaventati, bisbigliano, non hanno i volti da invitati e nemmeno i pigmei albini che circondano la stanza hanno gli sguardi da ospite, le piccole ali da piccione che spunta-no appena dalle loro spalle frullano nervosamente quando qualcuno prova ad avvicinarsi alle uscite, lui procede verso il fondo, verso quel trono di pietra su cui è seduto un cadavere avvolto nel cellopha-ne, quando gli è accanto nota attraverso la plastica appannata che un respiro ancora esiste, è debole, inutile, e appena intravede le mani bucate della sal-

ma che respira si commuove e prova a toccarla, il cadavere però scivola giù dal trono e la sua assen-za dalla seduta diventa improvvisamente un invito, Sant’Agostino ricorda perché è lì, e una volta se-duto guarda tutti gli imputati sparsi per la sala, tutti vestiti di bianco, come si immaginano gli innocenti, ricorda che è stato chiamato per giudicare al posto di chi non vuol giudicare, lui che per primo ha con-fessato ora è rimesso a decidere per quelli accu-sati d’aver commesso il crimine dei crimini, aven-do dichiarato una verità sopra le altre verità, quello contro la cosmicità, e Sant’Agostino è cosciente di dover imporre una pena altrettanto alta, la più se-vera di tutte, e alzando il braccio lo fa, sotto i volti che si e che piangono pietra, li addita colpevoli e li condanna al perdono eterno, poi il sogno finisce e Sant’Agostino si risveglia con un nome diverso, è disteso nel letto, con accanto la sua compagna, si issa sui gomiti per guardare il quadro appeso nella penombra del suo appartamento, è convinto che il sogno sia arrivato da quella direzione, in ogni caso lo dimenticherà, però domani farà un discorso di-verso e darà le dimissioni dalla carica di presidente del pianeta, in fondo sono rimaste poche migliaia di persone, e il virus agisce in modo imparziale.

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Un percorso per immagini dentro la pittura di Pietro Geranzanidi Erica Tamborini

Il mentore di Pietro Geranzani, a mio avviso, – scri-vo all’impronta, al seguito delle immagini inviatemi dallo stesso pittore1 – è un artista di ieri che ha vissuto due vite: nella prima egli era un pittore di devozione, un autore d’icone sia pure desuete e ri-spondeva al nome di Dominikos Theotokopoulos, viveva in quel mondo antico che era eredità dell’im-pero romano, la sua eredità orientale. Mentre inve-ce nella sua seconda vita, questo pittore, una volta approdato a Venezia, è stato folgorato da Tiziano Vecellio, dal Tintoretto, dalle incredibili novità pit-toriche offerte dalla Repubblica di Venezia e si è fatto per qualche tempo ospitare dalla Serenissima, attingendo a piene mani dal suo universo pittorico decisamente rivoluzionario. Da allora, suppongo, egli si incamminò verso il proprio destino e tutta un’altra grandezza: farsi migrante, approdare nella devotissima Spagna, venirne dapprima accolto e poi emarginato e relegato in provincia, in una regio-ne separata dal mondo in cui questo pittore ormai moderno assunse, per voce comune, per appellati-vo di tutti, il nome, il sembiante, lo stile di El Greco.

1 Questa mia scrittura nasce dopo una fortunata accidentalità: l’in-contro tra critica e arte interpretate, nel caso, rispettivamente da un pittore, Pietro Geranzani e un critico e storico dell’arte, Rolando Bellini presso lo studio dello stesso pittore. Al tempo stesso, essa è stata sollecitata da entram-bi gli interlocutori, ognuno a suo modo. In particolare, Geranzani, il pitto-re, nell’inviarmi una documentata testimonianza di sé, di ciò che si cela nel ventre delle sue pitture, mi ha chiamata in causa. Questo mio testo, pertanto, non è che una spigolatura al seguito dell’incantevole messa a nudo di sé pro-postami dal pittore che, in qualche modo, mi ha guidata quasi per mano ad esplorarne i singoli dipinti, quadro dopo quadro, ordinati per titoli e non cronologicamente.

Che cosa mi ha presentato nel nostro confronto per immagini Geranzani? Che cosa ha voluto dirmi di sé e della sua pittura? Egli, tanto quanto El Greco, è pittore colto e visionario, nutrito dalla storia dell’ar-te e rivolto nostalgicamente al passato così come, sincronicamente, proiettato tutto nel presente sto-rico, tutto intento alla contemporaneità. Azzarderò il periplo delle sue pitture e del seguito di riferimen-ti ch’egli stesso mi ha inviato lasciandomi ispirare, in quest’azione, da un incredibile libro scritto da uno storico e filosofo dell’arte, Carlo L. Ragghian-ti, Periplo del Greco. Naturalmente, non cercherò nemmeno lontanamente di avvicinarmi alle peripe-zie critiche o interpretative di Ragghianti, piutto-sto, mi limiterò a circumnavigare i quadri di Pietro Geranzani. Tutto qui. Incominciando dal primo del suo stesso listino: il primo poiché il suo titolo inizia con la lettera “a”. Ponendomi preventivamente un interrogativo, tuttavia. Quale potrà essere, alla fine, il mio contributo alla comprensione del riguardante di fronte ai quadri di Geranzani? In che cosa esso si discosterà da quanto ne scrive il tale o il tal altro critico che conversa con il pittore di questa stessa materia, la sua pittura? Non sta a me dirlo: chi leg-gerà saprà rispondere.

I titoli sono – debbo avvertire – una gran bella chia-ve di lettura iniziale per questi quadri di Geranzani, anche perché sono titoli in qualche modo araldici o “parlanti”, in grado di narrare qualcosa che sta den-tro questi quadri. Il primo dipinto, il primo olio su tela di Pietro Geranzani inviatomi dallo stesso auto-re s’intitola Abbastanza gran paesaggio, 2012-15,

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190x200 cm; questo dipinto propone uno scontro tra geometria e non geometria, presenze stridenti come colori chiari e oscuri, forme geometriche e forme aformali, figurazioni e afigurazioni… Si ac-compagna, il quadro, a che o che cosa? Dunque, a quali opere d’arte pregresse o contemporanee si è ispirato o da quali altre si è lasciato provocare Geranzani? Ecco la sua risposta: gli affreschi della Camera del Cervo nel Palazzo dei Papi ad Avigno-ne, una pittura parietale datata 1443-1447, attribu-ita a Matteo Giovannetti e di cui si dà un dettaglio e, a seguire, un’opera viceversa contemporanea a firma di Berlinde de Bruyckere, Into One-Another to P.P.P, 2010, cera, resina epossidica, legno, vetro, cm 193x182x84. Berlinde credo sia un’interlocu-trice privilegiata di Pietro, per singolari loro affinità elettive. Il titolo della seconda pittura, BB, annuncia una donna seduta con le mani allacciate in grembo, la testa coperta da un casco con strano scafandro, le spalle e le braccia nude, l’abito rosa fenicottero da ballerina e le gambe coperte di occhi e in basso, una casetta nera galleggiante su una pozza di bian-co, chiara e lucente; questo dipinto del 2011 è un olio su tela cm 200x90. È accompagnato da una Fi-gura lignea, area Massim, XIX sec., Nuova Guinea; Dio Gu, dal palazzo del re del Dahomey Behan-zin (Benin), XVIII sec., lamine d’ottone martellate; Luc Tuymans, Bloodstains, 1993, olio su tela, cm 57,5x47,5; Joel Shapiro, Untitled, 1975-76, bron-zo, cm. 8,9x54,6x73. Le associazioni libere esibite in questo caso suggeriscono un richiamo a certi giochi d’azzardo della mente su cui le neuroscien-ze stanno compiendo intriganti approfondimenti. L’arte di Geranzani è un caleidoscopio, un acces-so alla frenetica interazione neurale tra percezio-ne, immaginazione e ricordo, o sbaglio? Del resto questo dipinto, non fosse altro che per il soggetto rappresentato e la sua postura, potrebbe richiama-re un quadro altrettanto inquietante ma secondo

tutt’altro registro, vale a dire il futuristico Ritratto della madre di Boccioni. Dal momento, però, che non vi è alcuna assonanza tra questo dipinto e la pittura di Geranzani, se non per il soggetto figurale, debbo richiamare altri più plausibili referenti. Mi li-miterò a fare un sol nome, quello di un pittore, poeta e scrittore surrealista, Severo Sarduy. Tutto questo solo per dire che i quadri di Pietro Geranzani pos-sono suscitare i più vari viaggi nel mondo dell’arte.Body bag, 2008, uno e due, ma in verità il numero 2 di una serie, cm 85x110 e il numero 5, cm 56x103, rinviano secondo l’autore ai seguenti lavori: Edouard Manet, L’asperge, 1880, olio su tela; Giorgio Mo-randi, Natura morta, 1942, altro olio su tela. L’opera manetiana è piccolissima, cm 16,9x21,9. Entrambe soffocano lo spazio e lo riducono a quello in cui esiste il soggetto creato pittoricamente, rispettiva-mente: l’asparago e la bottiglia. Castagna siderale, 2011, olio su tela, cm 180x180 e Studio per casta-gna siderale, 2011-15, cm 50x60, sorprendono e suscitano singolari immaginazioni visive, corro-borate dai riferimenti che, alla fine, animano pure una inaspettata salivazione: si tratta di Thomas Ruff, Sternenhimmel 16H30M/-50°, 1990-94 e una Fiamma di cioccolato, fresca e accattivante. Oltre il Surrealismo è l’olio 2014, Ciò che è in basso 4, cm 150x50, il quarto di una serie di piedi tagliati che si trasformano come la zampa d’elefante in porta… non ombrelli, ma fiori! Il riferimento dichiarato in questo caso è al fotografo Joel Peter Witkin, con due opere, Poet, from a collection of relics and or-naments, Berlin, 1986 e Still Life Mexico City, 1992, manifestanti un’irritante-attraente affinità o paren-tela con il dipinto di Geranzani. Con le mani aperte e sanguinanti, 2006-2014, olio su tela, cm 170x170, raffigurante una donna, la stessa donna inquietan-te e sensuale che portava lo scafandro e che qui, ora, è invece agghindata in modo strano si deve as-sociare, secondo Geranzani, ai seguenti lavori: un

Tanka su seta, Tibet, XIX secolo, nonché un fiocco copri capezzoli da sexy shop d’ordinanza e infine, cm 87x64, un’opera sublime di Gentile da Fabriano, Stimmate di San Francesco, 1420 ca., tempera e oro su tavola. E ancora Cloture de l’amour, foto di scena di Marc Domage dell’omonimo spettacolo di Pascal Rambert. Sennonché sarei tentata anche in questo caso di azzardare fors’anche indebite rela-zioni aggiuntive e per esempio, un richiamo simbo-lico a una artista-performer come Sigalit Landau… e perché no i figuranti che sfilano danzando nel mi-tico Carnevale di Rio. Per Damp Mop, 2015, 150x180 cm, il richiamo è a George Stubbs, Whistlejacket, 1762 ca., olio su tela, cm 292x246,4, da cui mi son lasciata catturare dall’intrigo fantasmatico soggiacente.Finalmente un olio senza referenti: Gran paesaggio, 2013, cm 200x300… Inaspettatamente mi sovven-gono alcuni fogli incisi del grande Giovan Battista Piranesi. Mare di nebbia, 2010, olio di cm 200x200, all’oppo-sto, vanta una pattuglia d’opere altrui quali sfidanti suggestivi dell’accensione creativa di Geranza-ni. Nell’ordine: Caspar David Friedrich, Der Wan-derer über dem Nebelmeer, 1818, cm. 98,4x74,8, un particolare; Giacomo Balla, Lampada ad arco, 1909-11, cm. 174,7x114,7; ancora un particolare: una fioritura leopardiana e düreriana estrapolata da La Vergine delle rocce, di Leonardo da Vinci, 1494-1499, poi 1506-1508 ca, cm 189,5x120, e in ultimo Phra Phuttha Maha Suwan Patimakon, Wat Traimit, Bangkok, tra XIII e XV secolo, e cioè la testa femmi-nile in oro massiccio di cm 254 che è assai simile a quella che compare di nuca nell’olio di Pietro.

Nella sequenza delle opere in mostra per scel-ta dell’autore si devono segnalare strappi odi-screpanze, esaltanti impennate per qualità pit-torica o per invadente identità tematica…

Eccone una conferma. In questo quadro ch’è successivo – stando all’ordine dato da Geranzani – a Mare di nebbia, c’è un’iscrizione aurea: “Adesso vi faccio vedere come muore”, che si inarca dalla testa tagliata caduta a terra e mezzo cancellata al marmoreo e deformato corpo decapitato, ancora aggrappato nel rigor mortis al patibolo; quest’iscri-zione accentua l’irrealtà inquietante dell’opera così vicina alle terribili criticità odierne. Trattasi di Ombra ammonitrice VI (Awrah), 2004, olio cm 170x250 che si porta appresso Katsukawa Shunsho (1726/1793), Shunga, xilografia; Matthias Grünewald, Retable d’Issenheim, prima faccia, 1512-1516, olio e tem-pera su tavola, cm 336x589, il particolare a lato in cui si legge l’iscrizione in capitali romani rosso san-gue: “Illum oportet…”; Henri Bellechose, Retable de Saint-Denis, 1415-1416, tempera e oro su tela montata su tavola, cm 161x210, esibente il partico-lare macabro delle decapitazioni ai piedi della Croce. Dunque Geranzani è attratto e provocato dai più di-versi dettagli o elementi presenti in opere storiche e non. Sarei tentata ancora una volta di aggiunge-re carne sul fuoco, spericolandomi in altri possi-bili accostamenti come certa pittura di devozione nordica. Ma differentemente dalle indicazio-ni fornite dall’artista, queste mie non sono al-tro che divagazioni arbitrarie. Utili, al più, per far ben comprendere quale capacità suggesti-va e fantasmatica eserciti la pittura di Geranzani. Chissà che verrebbe da accostare, per parte no-stra, al quadro Ombra ammonitrice V (ovvero il mo-derno Prometeo), 2003, olio cm 300x190, una pit-tura di un surrealismo estremo e agghiacciante ma al contempo, stranamente magico e fiabesco. Che cosa per un’altra opera, Picnic hemper, 2013, olio, cm 100x100, un cesto davvero inquietante. E ancora, per Senza titolo, olio su tela, cm 50x70 che poi parrebbe svelare il contenuto della cesta di prima, vale a dire una reviviscenza di peluche o

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meglio d’angora di un extraterrestre morboso che tuttavia si atteggia e si dà forma analoga, sugge-risce l’autore, a un’antica Figura umana del Mali, una scultura in terracotta senza datazione ma re-mota indubbiamente, recuperata nei tumuli di Djen-ne e Mopi. Geranzani è insomma un pittore colto e senza inibizioni di sorta nei riguardi dei più diversi orizzonti, delle cronologie, dei “generi” e dei “me-dium” veicolanti le immagini che accendono in lui la processualità pittorica. Prova ne sia – ad uso del “come volevasi dimostrare” – il trenino di imma-gini relative a Senza titolo (Guerriero), 2007-2011, olio di cm 190x120, consistente nelle seguenti re-ferenze fotografiche: Harry “l’ossificato”, anni ’20 del XX secolo, una fotografia della collezione Aki-mitzu Naruyama, ovvero Guerrieri Maori, anni ’10 del XXI secolo, fotografia (scommetto digitale) d’i-gnoto autore. Il caso testé registrato mi consente un’osservazione sulla pittura di Geranzani: vi può essere un richiamo esplicito, insistente, a uno o più riferimenti offerti da analoghi o altri materiali (dalla stessa pittura ad olio allo scatto fotografico, dalla scultura ad altro ancora), tuttavia questi dipinti di Pietro Geranzani riescono sempre a trasfigurare e mutare il soggetto o tema loro in forza, credo, della loro corporeità pittorica. Vale a dire di una pittura che conferisce una identità e una fisicità peculiare, inimitabile e speciale a ogni cosa, facendo risaltare così la corporeità dei pigmenti, delle pennellate, in-somma la pittura stessa.

Non è forse un caso né un’accidentalità puramente meccanica o alfabetica quanto piuttosto un segno del destino, che l’ultima opera della fila sia, Soul sa-crifice, 2010, un olio su tela di centimetri 200x300, che Pietro Geranzani, l’autore, associa a una artista che ho molto amato e studiato, Louise Bourgeois, Pregnant woman, 1947-49, legno dipinto e gesso, cm 133x18,5x24,5, cui segue William Holman Hunt,

The Scapegoat, 1854-56, olio su tela di cm 86x140. Infine, Lavori autostradali, lavori veri e propri… in uno scatto fotografico senza pretese né autore. Sennonché il dipinto di Geranzani richiama anche, in qualche modo, un notissimo quadro di Salvator Dalì… Ma a questo punto scatta qualcosa e così viene da domandarsi: l’accostamento è stato ela-borato prima e perciò fa parte della processualità ideativa e costruttiva dell’opera, o dopo? Perché all’improvviso insorge il sospetto: vuoi vedere che alcune delle associazioni sin qui presentate sono arrivate a posteriori e cioè a dire dopo il compimen-to dei dipinti a cui son riferite? Vuoi vedere che Ge-ranzani sta giocando con noi tutti per smascherare i supposti giochetti della critica, sempre in cerca di sostrati o modelli?

OPERE

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Matteo Giovannetti, Affreschi della Camera del Cervo nel Palazzo dei Papi di Avignone,

1443/1447, affresco

Berlinde de Bruyckere, Into One Another To P.P.P., 2010, cera, resina epossidica, ferro, legno, vetro,

193 x 182 x 84 cm.

Nella pagina accanto

Pietro Geranzani, Abbastanza gran paesaggio, 2012/2015, olio su tela,

190 x 200 cm.

34

Joel Shapiro, Untitled, 1975/1976, bronzo, 8,9 x 54,6 x 73 cm.

Figura lignea, Area Massim XIX sec., Nuova Guinea

Uomo bitorzoluto esibito nel Kraft Show, 1947, fotografia, collezione Akimitzu Naruyama

Dio Gu, Dal Palazzo del Re Dahomey Behanzin (Benin) XVIII sec., lamine d’ottone martellate

Nella pagina accanto

Pietro Geranzani, BB, 2011, olio su tela, 200 x 90 cm.

36

Pietro Geranzani, Body Bag 5, 2008, olio su tela, 56 x 103 cm.

Giorgio Morandi, Natura morta, 1942, olio su tela

Edouard Manet, L’asperge, 1880, olio su tela, 16,9 x 21, 9 cm. Pietro Geranzani, Body Bag 2, 2008, olio su tela, 85 x 110 cm.

38 39

George Stubbs, Whistlejacket 1762 ca. olio su tela, 292 x 246,4 cm. Pietro Geranzani, Damp Mop 2015, olio su tela, 50 x 180 cm.

40 41

Pietro Geranzani, Damp mop 2 2016, olio su tela, 80 x 120 cm.

42

Phra Phuttha Maha Suwan Patimakon, Wat Traimit, Bangkok Tra il XIII e il XV sec.

oro massiccio, 254 cm.

Caspar David Friedrich, Der Wanderer über dem Nebelmeer (Particolare) 1818, olio su tela, 98,4 x 74,8 cm.

Leonardo da Vinci, La vergine delle rocce (Particolare)1494-1499 poi 1506-1508 ca. olio su tavola, cm 189,5 x 120

Giacomo Balla, Lampada ad arco 1909/1011, olio su tela,174,7 x 114,7 cm.

Nella pagina accanto

Pietro Geranzani, Mare di nebbia 2010, olio su tela, 200 x 220 cm.

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Figura umanasenza data, terracotta, ritrovata nei tumuli di Djenne e Mopi (Mali)

Nella pagina accanto

Pietro Geranzani, Senza titolo, 2013, olio su tela, 50 x 70 cm.

46

Harry “l’ossificato”, Anni ’20 del XX sec., fotografia,

collezione Akimitzu Naruyama

Guerrieri Maori, Anni ’10 del XXI sec., fotografia

Nella pagina accanto

Pietro Geranzani Senza titolo (Guerriero), 2007/2011, olio su tela, 90 x 120 cm.

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Louise Bourgeois Pregnant woman, 1947/1949, legno dipinto e gesso, 133 x 18,5 x 24,5 cm.

William Holman Hunt, The Scapegoat, 1854/1856, olio su tela, 86 x 140 cm.

Lavori autostradali, ANAS

Nella pagina accanto

Pietro Geranzani, Soul sacrifice, 2010, olio su tela, 200 x 300 cm.

Thomas Ruff, Sternenhimmel 16H30M/-50°, 1990/1994

Pietro Geranzani, Studio per castagna siderale 2011/2015, olio su tela, 50 x 60 cm.

Fiamma di cioccolato

Nella pagina accanto

Pietro Geranzani, Castagna siderale, 2011olio su tela, 180 x 180 cm

52

Joel Peter Witkin, Still Life Mexico City, 1992

Joel Peter Witkin, Poet, from a collection of relics and ornaments Berlin, 1986

Nella pagina accanto

Pietro Geranzani, Ciò che è in basso 4, 2014, olio su tela, 150 x 50 cm.

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56

Pietro Geranzani, Gran paesaggio 2013, olio su tela, 200 x 300 cm.

Pagina precedente a sinistra

Gentile da Fabriano, Stimmate di San Francesco, 1420 ca. tempera e oro su tavola, 87 x 64 cm.

Fiocco Copricapezzoli

Tanka, Tibet, XIX sec., seta

Pascal Rambert, Clôture de l’amourfoto di Marc Domage

Tappo per flauto o wusear, popolo Biwat Sepik inferiore, XIX – XX sec., legno, piume, conchiglie

guscio di tartaruga o pigmenti e rame

Pagina precedente a destra

Pietro Geranzani, Con le mani aperte e sanguinanti 2006/2014, olio su tela, 170 x 170 cm.

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Pietro Geranzani Ombra ammonitrice V

(Ovvero il moderno Prometeo), 2003, olio su tela,

290 x 190 cm.

60

Henri Bellechose, Retable de Saint-Denis1415/1416, tempera e oro su tela montata su tavola, 161 x 210 cm.

(particolare)

Matthias Grünewald, Retable d’Issenheim, prima faccia 1512/1516, olio e tempera su tavola, 336 × 589 cm. (particolare)

Katsukawa Shunshō, 1726/1793, Shunga, xilografia

Nella pagina accanto

Pietro Geranzani, Ombra ammonitrice VI (Awrah) 2004, olio su tela, 170 x 250 cm.

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Ritratto di Jean-Michel Basquiat, anni ‘80

Kiyonobu, 1664 – 1629, Shunga, xilografia (particolare)

Bambina Kayan, tribu Lahwi, Thailandia

Francesco HayezVenere che scherza con due colombe (Ritratto della ballerina Carlotta Chabert)

1830, olio su tela, 183 x 137 cm.

Nella pagina accanto

Pietro Geranzani, Senza Titolo, (Shunga), 2005/2006, olio su tela, 170 x 210 cm.

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Diaframma, Plastinatoda Body Worlds, di Gunther von Hagens

Nella pagina accanto

Pietro Geranzani, Picnic hemper, 2013, olio su tela, 100 x 100 cm.

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NOTE BIOGRAFICHE

Pietro Geranzani è nato a Londra (GB) nel 1964. Dopo aver trascorso l’infanzia tra la Germania e la Sviz-zera completa gli studi all’Accademia Ligustica di Belle Arti a Genova. Ora vive e lavora a Milano. Nella sua lunga esperienza espositiva, ha partecipato a diverse rassegne nazionali e internazionali, tra cui: Ombre Ammonitrici a Palazzo Ducale a Genova nel 2009, in occasione della commemorazione della Giornata della Memoria; Menschenbilder im Stadthaus Zürich a Zurigo nel 2008; Terzo Rinascimento nel 2010 al palazzo Ducale di Urbino; la 54. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia, Padiglione Italia, Arsenale, a Venezia nel 2011, e nello stesso anno The Elephant Men, Workshop Galleria d’Arte Contemporanea, a Venezia; Lo Stato dell’Arte - Liguria, Padiglione Italia, Biennale di Venezia 2011, Palazzo della Meridiana, Genova. Ha partecipato alla mostra Il Male - Esercizi di Pittura Crudele nella palazzina di caccia di Stupinigi (TO) nel 2005. Nel 2000 vince il Premio Duchessa di Galliera ed espone in 1950 – 2000, Arte Genovese e Ligure dalle Collezioni del Museo d’Arte Contemporanea di Villa Croce, nel Museo d’Arte Contemporanea di Villa Croce a Genova. Nel 1998 si segnala la mostra Genua-Berlin, Drei Maler aus Genua in Berlin, nella Sankt Matthäuskirche a Berlino e la mostra presso la Galleria AAB di Brescia. Numerose le mostre itineranti, personali e collettive in Francia, Stati Uniti e Finlandia.

PIETRO GERANZANI

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Critico, storico dell’arte e docente dell’Accademia di Belle Arti di Brera (Milano). Fiorentino di nascita, dopo aver collaborato per anni con Carlo Ludovico Ragghianti e aver ricoperto un ruolo direttivo per il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, approda all’insegnamento, alla direzione di musei (attual-mente è curatore di MAP, Museo di Arte Plastica, a Castiglione Olona e project manager del Polo Mu-seale dello stesso territorio) e centri studi. É uno dei più illustri critici d’arte del Quattrocento, del Seicento e del Novecento italiano ed europeo, con particolare riferimento a Leonardo, Michelangelo, Rubens e Mirò. Attualmente è impegnato nella col-laborazione con alcune delle riviste specializzate nel settore come Critica d’Arte, Il Ponte, Architet-tura e Arte, Il Protagora, Il Corriere dell’Arte, e La Nuova Città.

ROLANDO BELLINI LUCA FERRI

Luca Ferri (Bergamo, 1976) si occupa di parole e immagini. È autore dei metaromanzi: Poemetto ga-leoto (2007); Ode alle quaglie (Cicorivolta Edizioni, 2009); Joseppo (2010) tratto dalla partitura di Dario Agazzi, Joseph; Fiori di Broca (Cicorivolta Edizio-ni, 2011). In ambito video ha realizzato i seguenti mediometraggi: Movere Educere Billiardo (2005); Anna vs Oliva (2005); Ergonomia Culanda (2006); Scano Boa (2006), presentati in diverse rassegne e concorsi. Il suo lungometraggio Magog [o epifania del barbagianni] (2011) è stato selezionato alla 48^ Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro nel 2012, nella retrospettiva Italia allo specchio. Ecce Ubu (2012), un film frutto di un calcolo matematico che utilizza immagini d’archivio in Super 8, è stato proiettato alla Cineteca Nazionale di Roma.Nel 2012, Luca Ferri è tra i partecipanti del labora-torio Nutrimenti terrestri / Nutrimenti celesti labo-ratori di Filmmaker, svoltosi presso la Fabbrica del vapore di Milano. Nel 2013 il suo film Habitat [Pia-voli] (codiretto con Claudio Casazza), dialogo con il grande regista italiano, ha partecipato al Torino Film Festival.Nel 2014 ha realizzato il cortometraggio Caro non-no, il mediometraggio Curzio e Marzio, il suo primo lungometraggio Abacuc e il documentario Ridotto Mattioni (con Giulia Vallicelli).Nel 2015, il mediometraggio Una società di servizi, e il cortometraggio Cane caro, sono stati selezio-nati selezionati rispettivamente per la 33^ edizione del Torino Film Festival (sezione Onde), e il Filmaker festival 2015 di Milano.

MAURIZIO TEMPORIN ERICA TAMBORINI

Maurizio Temporin è sconosciuto per fare lo scrit-tore e il regista. Si dice sia nato nel 1988 e non se ne conosce ancora la data di morte. Ha pubblicato con Rizzoli “Il Tango delle Cattedrali” e con Giunti la saga per ragazzi “IRIS”. Attualmente vive a Milano, Italia, Europa, Terra.

Laureanda presso il corso magistrale di Storia e cri-tica dell’arte all’Università degli Studi di Milano, con tesi su i rapporti tra Italia e Stati Uniti dagli anni ’50 al ‘70 del secolo scorso, con particolare riferimento al caso Saidenberg Gallery – è anche giovane ar-tista formatasi presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, Milano. Da anni di porta avanti il progetto In-sight by ET, un innovativo open project di arte rela-zionale che ha avuto più recente approdo al forum internazionale per la pace, promosso dal Comune di Firenze, Unity in Diversity, 2015.

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