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A Il Covile B · nista del più impegnato marxista Jesi».3 Quando, in realtà, Furio Jesi fu ben...

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B A ANNOXIV N°816 10 OTTOBRE 2014 RIVISTA APERIODICA DIRETTA DA STEFANO BORSELLI dIl Covilef RISORSE CONVIVIALI E VARIA UMANIISSN2279−6924 ¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬ Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila a Questo numer o. Il denso articolo su Jesi di Gianandrea T orre (che come abbiamo ripetuto consideriamo solo un nom de plume), conclude la trilogia iniziata col N° 812. Ab- biamo pensato di farlo seguire da un brano tratto da un bel saggio sullo studioso torinese pubblicato da Leandro Piantini dieci anni prima di quello di T orre. Sembra che anche Piantini avesse letto con una certa inquietudine il romanzo di Jesi, come testimoniano le rassicuranti parole in chiusura: «Faremmo però torto allintelligenza disincantata di Jesi se prendessimo troppo sul serio le sue fantasie». Parole che, per con- trasto, richiamano alla mente quelle di Giaime Pintor il quale dichiarò che lavorando alla traduzione del V athek, (altro romanzo «fantastico») di William Beck- ford si era reso conto di quanto facessero sul serio i preromantici inglesi. N INDICE 1 Furio Jesi: un «curioso» intellettuale di sinistra. (Gianandrea T orre) 1 Uno studioso singolare. (Leandro Piantini) a Furio Jesi: un «curioso» intellettua- le di sinistra . DI GIANANDREA TORRE Fonte e ©: Studi Cattolici, n°508, giugno 2003. EL discusso articolo La rivoluzione post- moderna, apparso sul numero di marzo 2002 di questa rivista a rma di Angelo Vigna, lautore sosteneva la tesi di una metamorfosi della gnosi marxista a partire dalla ne degli anni 70, manifestatasi con un passaggio da posizioni «progressiste» a posizioni «regressive», informate queste al disprezzo della ragione, al culto della na- tura e delleros (anche e soprattutto sodomitico), alla diusione di stati danimo irrazionali e antiuma- ni. Posizioni riconducibili, quindi, a quel «neopaga- nesimo integralmente reazionario e squisitamente regressivo», a quel particolare uso della scienza, «inclinata alla naturalizzazione delluomo», 1 e a quel culto delleros «virile», che furono crismi del- la gnosi nazista come di quella antica. A tale riguar- do Vigna faceva lesempio del rabbino sessantottino Jacob T aubes (scoperto e lanciato in Italia da Adel- phi con La teologia politica di san Paolo), singolare guru della contestazione tedesca che propose alla «nuova» sinistra teutonica, come nuova immagine di rivoluzionario, non più la gura delloperaio se- dizioso in tuta blu, ma unaltra dai connotati più an- tichi: quella dello gnostico dei primi secoli, che T aubes ragurava come un sorta di dandy dellanti- chità, rivoluzionario «pneumatico» la cui sovversio- ne si traduceva in antinomismo, trasgressione sessua- le e in avversione per le facoltà razionali delluo- mo. Gnostico che T aubes, poi, focalizzava nella fi- gura di Marcione, leresiarca del secondo secolo denito da san Policarpo «primogenito di Satana», che predicò un forsennato odio per il Dio dIsraele e la sua Legge, celebrò «Cristo» come liberatore dal giogo del Padre, venuto al mondo per riscattare cainiti e sodomiti e che testi alla mano fu N 1 Angelo Vigna, «La rivoluzione postmoderna», Studi cattolici, n. 493, marzo 2002, p. 214. [Ora in Il Covile N° 812. N.d.R.]. Il Covile, ISSN 2279−6924, è una pubblicazione non periodica e non commerciale, ai sensi della Legge sullEditoria n°62 del 2001. Direttore: Stefano Borselli. Redazione: Francesco Borselli, Riccardo De Benedetti, Aude De Kerros, Pietro De Marco, Armando Ermini, Marisa Fadoni Strik, Luciano Funari, Giuseppe Ghini, Ciro Lomonte, Roberto Manfredini, Ettore Maria Mazzola, Alzek Misheff, Pietro Pagliardini, Almanacco romano, Gabriella Rouf, Nikos A. Sangaros, Andrea G. Sciffo, Stefano Serani, Stefano Silvestri, Massimo Zaratin. © 2014 Stefano Borselli. Questa rivista è licenziata sotto Creative Com- mons. Attribuzione. Non commerciale. Non opere derivate 3.0 Italia License. il.covile@gmail.com. Arretrati: www.ilcovile.it. ☞Font utilizzati: per la te- stata i Morris Roman di Dieter Steffmann e i Morris Ornament della HiH Retro- fonts, per il testo i Fell Types realizzati da Igino Marini, www.iginomarini.com. ☞Software: impaginazione LibreOffice (con script per la dierenziazione dei carat- teri ideato da Stefano Borselli), trattamento immagini GIMP e FotoSketcher.
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Page 1: A Il Covile B · nista del più impegnato marxista Jesi».3 Quando, in realtà, Furio Jesi fu ben altro. Dietro la faziosità e l’appassionata presa di posizione politica, infatti,

BAANNOXIV N°816 10 OTTOBRE 2014

RIVISTA APERIODICA

DIRETTA DA

STEFANO BORSELLI dIl Covilef RISORSE CONVIVIALI

E VARIA UMANITÀ

ISSN2279−6924¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila

a Questo numero.Il denso articolo su Jesi di Gianandrea Torre (checome abbiamo ripetuto consideriamo solo un nom deplume), conclude la trilogia iniziata col N° 812. Ab-biamo pensato di farlo seguire da un brano tratto daun bel saggio sullo studioso torinese pubblicato daLeandro Piantini dieci anni prima di quello di Torre.Sembra che anche Piantini avesse letto con una certainquietudine il romanzo di Jesi, come testimoniano lerassicuranti parole in chiusura: «Faremmo però tortoall’intelligenza disincantata di Jesi se prendessimotroppo sul serio le sue fantasie». Parole che, per con-trasto, richiamano alla mente quelle di Giaime Pintoril quale dichiarò che lavorando alla traduzione delVathek, (altro romanzo «fantastico») di William Beck-ford si era reso conto di quanto facessero sul serio ipreromantici inglesi. N

INDICE

1 Furio Jesi: un «curioso» intellettuale di sinistra. (GianandreaTorre)

1 Uno studioso singolare. (Leandro Piantini)

a Furio Jesi: un «curioso» intellettua-le di sinistra.

DI GIANANDREA TORRE

Fonte e ©: Studi Cattolici, n°508, giugno 2003.

EL discusso articolo La rivoluzione post-moderna, apparso sul numero di marzo2002 di questa rivista a firma di Angelo

Vigna, l’autore sosteneva la tesi di una metamorfosidella gnosi marxista a partire dalla fine degli anni’70, manifestatasi con un passaggio da posizioni«progressiste» a posizioni «regressive», informatequeste al disprezzo della ragione, al culto della na-tura e dell’eros (anche e soprattutto sodomitico),alla diffusione di stati d’animo irrazionali e antiuma-ni. Posizioni riconducibili, quindi, a quel «neopaga-nesimo integralmente reazionario e squisitamenteregressivo», a quel particolare uso della scienza,«inclinata alla naturalizzazione dell’uomo»,1 e aquel culto dell’eros «virile», che furono crismi del-la gnosi nazista come di quella antica. A tale riguar-do Vigna faceva l’esempio del rabbino sessantottinoJacob Taubes (scoperto e lanciato in Italia da Adel-phi con La teologia politica di san Paolo), singolareguru della contestazione tedesca che propose alla«nuova» sinistra teutonica, come nuova immaginedi rivoluzionario, non più la figura dell’operaio se-dizioso in tuta blu, ma un’altra dai connotati più an-tichi: quella dello gnostico dei primi secoli, cheTaubes raffigurava come un sorta di dandy dell’anti-chità, rivoluzionario «pneumatico» la cui sovversio-ne si traduceva in antinomismo, trasgressione sessua-le e in avversione per le facoltà razionali dell’uo-mo. Gnostico che Taubes, poi, focalizzava nella fi-gura di Marcione, l’eresiarca del secondo secolodefinito da san Policarpo «primogenito di Satana»,che predicò un forsennato odio per il Dio d’Israelee la sua Legge, celebrò «Cristo» come liberatoredal giogo del Padre, venuto al mondo per riscattarecainiti e sodomiti e che — testi alla mano — fu

N

1 Angelo Vigna, «La rivoluzione postmoderna», Studi cattolici, n.493, marzo 2002, p. 214. [Ora in Il Covile N° 812. N.d.R.].

Il Covile, ISSN 2279−6924, è una pubblicazione non periodica e non commerciale, ai sensi della Legge sull’Editoria n°62 del 2001. ☞Direttore: Stefano Borselli.☞Redazione: Francesco Borselli, Riccardo De Benedetti, Aude De Kerros, Pietro De Marco, Armando Ermini, Marisa Fadoni Strik, Luciano Funari, GiuseppeGhini, Ciro Lomonte, Roberto Manfredini, Ettore Maria Mazzola, Alzek Misheff, Pietro Pagliardini, Almanacco romano, Gabriella Rouf, Nikos A. Salìngaros,Andrea G. Sciffo, Stefano Serafini, Stefano Silvestri, Massimo Zaratin. ☞ © 2014 Stefano Borselli. Questa rivista è licenziata sotto Creative Com-mons. Attribuzione. Non commerciale. Non opere derivate 3.0 Italia License. ✉ [email protected]. ☞Arretrati: www.ilcovile.it. ☞Font utilizzati: per la te-stata i Morris Roman di Dieter Steffmann e i Morris Ornament della HiH Retro- fonts, per il testo i Fell Types realizzati da Igino Marini, www.iginomarini.com.☞Software: impaginazione LibreOffice (con script per la differenziazione dei carat- teri ideato da Stefano Borselli), trattamento immagini GIMP e FotoSketcher.

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| (2) |una delle matrici del peculiare Christentum di Hou-ston Stewart Chamberlain, Dietrich Eckart, AlfredRosenberg e molti altri numi del nazionalsociali-smo tedesco. Ma una conferma ancor più interessan-te della tesi di Vigna, sempre nell’àmbito della sini-stra colta e contestatrice degli anni ’60 e ’70, la sipuò trovare in Italia, nella produzione di un autoreche, passato in ombra dopo la prematura scompar-sa nel 1980, è stato riproposto negli ultimi anni dacase editrici come Mondadori, Bollati Boringhieri,Einaudi e Quodlibet (etichetta minore, quest’ulti-ma, a cui si deve significativamente la pubblicazio-ne di un carteggio fra Jacob Taubes e Carl Sch-mitt): Furio Jesi.

M UNA METEORA SENZA LUCE.Nato a Torino nel 1941 da famiglia dell’ebrai-

smo «laico», egittologo a quindici anni con un sag-gio pubblicato sull’americano Journal of nearEastern Studies, in seguito antichista errabondoper il Mediterraneo, germanista, indagatore irre-quieto dei rapporti fra mito e letteratura, saggistaiperprolifico e cattedratico di letteratura tedesca atrent’anni pur avendo interrotto gli studi regolaridopo la prima liceo, Jesi fu — come anche pochidati biografici lasciano capire — una sorta di me-teora sulla scena culturale italiana: fulmineo nelpassaggio, in evidenza per l’originalità, ammiratoper la rara cultura e tuttavia, come ogni tanto acca-de con siffatti corpi celesti, frainteso nella direzio-ne, sia all’interno che all’esterno della propria areapolitico-culturale.

Così — tanto per fare un esempio — lo ha ricor-dato, ancora dopo tanti anni, il politologo schmit-tiano Alessandro Campi in un’introduzione a un sag-gio sull’indoeuropeista Georges Dumézil (studiosoche Jesi tradusse e con cui ebbe diretti contatti):

Per la destra intellettuale italiana — tradizionalistae radicale — Furio Jesi rappresenta un’autentica os-sessione. Fazioso oltre ogni sopportabile limite, Jesiè stato anche, indubbiamente, uno degli studiosipiù minuziosi e metodologicamente più ferrati delcosiddetto pensiero ‹tradizionale› Illuminista coltis-simo, ha dedicato gran parte della sua ricerca a de-nunciare gli «abusi» ideologici a suo giudizio perpe-trati dalla cultura di destra — tradizionale, conser-vatrice, fascista, nazista, nazionalista — nei con-fronti delle culture sapienziali.2

2 Jean Claude Rivière, Georges Dumézil e gli studi indoeuropei, IlSettimo Sigillo, Roma 1993, p. 22.

Valutazione sostanzialmente ribadita anche da unavoce di differenti connotazioni ideologiche, quelladell’ austriaco Hans Thomas Hakl, studioso di eso-terismo, coeditore della rivista in lingua tedescaGnostika, che nel suo recente, documentato studiosulla storia della junghiana fondazione Eranos, adAscona, ha parlato di «un puro razionalismo illumi-nista del più impegnato marxista Jesi».3 Quando,in realtà, Furio Jesi fu ben altro. Dietro la faziositàe l’appassionata presa di posizione politica, infatti,difficilmente il lettore che si addentrasse negli scrit-ti di questo studioso troverebbe disquisizioni suMarx, Engels, Trockij o Gramsci. Troverebbe sem-mai (e, dato non irrilevante, già in scritti dei primianni ’60) un ininterrotto dialogo con la Romantiktedesca, con Rainer Maria Rilke, con il circolopoetico di Stefan George, in generale con i rappre-sentanti di quella Germania segreta (titolo di un li-bro di Jesi) che il Lukács dei primi anni ’50 fulmi-nò come distruttrice della ragione e propiziatricetout court dell’avvento del nazismo. Per quanto ri-guarda l’appellativo di illuminista, poi, questo po-trebbe essere adeguato se interpretato come fu dal-lo stesso Jesi, che nel suo studio Mitologie intornoall’illuminismo, in capitoli come «La morale del sa-crificio umano», «Il simbolismo dell’impiccagio-ne», «Eros e utopia», spaziando nei parallelismi enei richiami tra Aline e Valcour di De Sade, Lucedel sesso di Maria de Naglowska, Zanoni di LordEdward Bulwer Lytton, dimostrò che se di lumi sivuol continuare a parlare in riferimento alla stagio-ne culturale di fine ’700, bisogna pensare a quellapeculiare luminosità a cui alluse John Milton —uno che se ne intendeva — nel primo libro del Pa-radise lost parlando di «darkness visibile». E che,come sostenuto nel capitolo iniziale «Il miracolosecondo ragione», se di razionalismo illuminista sivuol specificamente parlare, è prima di tutto allascuola cabalistica di Yitzachàq Luria, al messianesi-mo antinomico degli ebrei apostati Shabbetày Zevìe Jakob Frank (di cui vedasi oltre) e al loro influssocarsico su Kant e soci, che bisogna far riferimento.

Lungi dall’essere un distaccato analista di mi-tologie e religioni antiche, un dissezionatore di eso-terismo e saperi tradizionali a fini politicamente de-mistificatori, Jesi fu, con libri come appunto Ger-mania segreta, Mitologie intorno all’illuminismo oLetteratura e mito, Esoterismo e linguaggio mitologi-co, Cultura di destra, L’accusa del sangue, e altri,uno dei primi intellettuali in Italia a svelare e a

3 Hans Thomas Hakl, Der verborgene Geist von Eranos, ScientiaNuova, Gaggenau 1989, p. 45.

dIl Covilef N° 816

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| (3) |promuovere quella metamorfosi esaminata da Vi-gna nel suo articolo, ovvero il ricongiungimentodella cosiddetta cultura di sinistra con fonti gnosti-che che furono proprie anche del terzo Reich ger-manico, fonti che Jesi sintetizzava con il nome di«religione della morte». Una dichiarazione d’inten-ti insolitamente esplicita e riassuntiva a riguardo,Jesi la fece nel 1965, all’indomani della pubblica-zione di Germania segreta, in una lettera a uno de-gli autori più importanti per la sua formazione in-tellettuale, cioè Kàroly Kerényi:

Caro Professor Kerényi [...] Ella mi scrive che il la-voro da me iniziato sulle sopravvivenze di miti nel-la Germania del ’900 non può «essere condotto atermine con giustizia». Non sono proprio sicuroche giustizia traduca interamente Gerechtigkeit,ma credo che con qualche approssimazione, il con-cetto sia il medesimo. Penso di essere cosciente deipericoli insiti nell’accostare intimamente — comemi propongo di fare — una vicenda di orrore e dimorte: il contagio di un tale genere di male trovasempre facile terreno dentro di noi. Ma poiché iostesso, per vivere operando, mi trovo nella necessitàdi trovare qualche chiarezza in quella parte di meche è più affine o meno difesa nei confronti delleforze oscure agenti nella tragedia tedesca, potreisperare di compiere un’opera catartica. «[...1 Se miè lecito ricorrere a un paragone letterario, la mia si-tuazione attuale assomiglia a quella dei personaggidi Demian di Hesse: un atteggiamento di fronte al di-vino o all’extraumano che non esclude in esso la partepiù terrifica, di orrore e distruzione.4 Per questo ebbia scriverLe in passato che ponevo qualche dubbiosulla possibilità e l’efficacia di una «guarigione del-l’uomo». Se analizzo più freddamente possibile lamia posizione, vi ritrovo una sorta di fatalismo (nelquale riconosco la mia eredità ebraica) dinanzi allecolpe di cui l’uomo è capace, unito a una forma di«comprensione» nei confronti dei colpevoli: com-prensione che — lo so — potrebbe essere conside-rata colpa essa stessa, come complicità. Anche difronte al nazifascismo, di cui odio le azioni, conser-vo una sorta di comprensione per ciò che vi è diumano nei suoi rappresentanti. Il concetto della re-sponsabilità personale mi sembra qualcosa di empiri-co, che vale ai fini del mantenimento della vita nelmondo, ma che non ha implicazioni metafisiche. Egiusto che Hitler e i suoi complici siano stati puniti:altrimenti la vita non avrebbe potuto sopravvivere.Ma credo di riconoscere, nell’opera di Hitler, qual-cosa che trascende le responsabilità umane; credoinsomma che il vero colpevole degli orrori del nazi-smo non sia stato l’uomo Hitler, ma quella forza te-mibile quanto gli angeli di Rilke, che si è servita di

4 Le parole in corsivo sono nostre.

quell’uomo, invadendo la sua volontà. Con questipresupposti mi accingo all’opera di cui Le scrissi.Mio scopo è il porre in evidenza come forze oscure— ciò che in Demian è Abraxas — abbiano agitonella vicenda della Germania moderna, servendosidi uomini, i quali appaiono ormai ai nostri occhisolo più come veicoli di orrore. Ciò mi consente dispiegare come taluni influssi di quelle forze — chesono insieme orride e meravigliose, e pacificanti —abbiano condotto altri uomini — non per questo«meritori», come non «colpevoli» mi appaiono inprofondità i nazisti ad opere di bellezza.5

Spiegazione quest’ultima a cui Jesi si dedicò conzelo non solo in Germania segreta, ma in tutta lasua produzione, come si può vedere, per esempio,da uno dei suoi ultimi testi uscito nel 1979, vale adire Cultura di destra.

M DAL MASSACRO LA BELLEZZA.Nella prima parte di questo denso e atipico sag-

gio di cultura politica, Jesi dava infatti una pudicadimostrazione di quell’assunto espresso diversianni prima al riverito maestro ungherese. Dopoaver premesso la sostanziale estraneità del fascismoitaliano a un’autentica religione della morte,6 l’or-mai affermato enfant prodige della germanistica ita-liana prendeva in esame alcuni esempi di fascismi aquesto riguardo più qualificati: il Tercio spagnolodel generale José Millàn Astray y Terreros (mapure qui, con le dovute riserve) e soprattutto la ro-mena «Guardia di Ferro» di Corneliu Codreanu,movimento alle cui spalle, scriveva sempre Jesi,

si trovano gli intellettuali del tradizionalismo, i pro-feti e i martiri volontari del ritorno a una cultura ea una religione in cui il cristianesimo greco-ortodos-so si mescola con l’esoterismo non cristiano del tar-do ’800, e l’appello al presunto «orfismo» degli an-tichi traci, il richiamo a rituali «cosmici» di approc-cio ai «segreti del mondo», si congiungono con l’apologia razzista del genuino uomo romeno, plasma-

5 Furio Jesi, Kàroly Kerényi, Demone e mito, carteggio 1964−1968,Quodlibet, Macerata 1999, pp. 5051.

6 «Sembra paradossale dirlo, perché il fascismo ha fatto evidente-mente scialo di materiali mitologici; ma la tecnicizzazione delleimmagini mitiche [...] eseguita dal fascismo italiano mostra preci-samente tutte le caratteristiche di una fondamentale freddezza,non partecipazione, consumo anziché devozione: caratteristichearmoniche con un radicale rifiuto o almeno con una radicale igno-ranza del quid di segreto implicito nella produzione mitologica,qualunque sia la sua forma. Il linguaggio mitologico del fascismoitaliano — a differenza da quelli di altri settori della destra euro-pea — è quasi esclusivamente essoterico: è fatto di ‹trovate› anzi-ché di rituali nel vero senso della parola». Cfr Furio Jesi, Culturadi destra, Garzanti, Milano 1993 (1979), p. 32.

10 Ottobre 2014 Anno XIV

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| (4) |to dal paesaggio della terra, e con l’offensiva control’usura, contro gli ebrei, contro gli «Occidentali»;7

movimento la cui analisi, quindi, «permette digiungere, seguendo i fili, al centro della culturamitteleuropea dei primi decenni del secolo».8 Euno dei fili seguiti da Jesi era la figura di un celebrestudioso e supporter a suo tempo dei legionari rome-ni: lo storico delle religioni Mircea Eliade, il qua-le, oltre a esibire nel 1937 vibranti toni antisemitisulla rivista romena Buna vestire,

si considerò in lutto, quando Corneliu Codreanu fuucciso (30 ottobre 1938), e con pari coerenza nonvide nulla di obbrobrioso nel rappresentare all’este-ro, come addetto culturale, il governo romeno chenell’estate del 1942 firmava con il delegato di Eich-mann, Gustav Richter, l’accordo per la deportazio-ne di tutti gli ebrei romeni nei campi di sterminio.9

Dopo aver delineato le contiguità tra la Guardiadi Ferro ed Eliade, Jesi passava a mettere in luceun passo del diario di quest’ultimo capace di aprireuno spiraglio su «segreti» comuni sia allo storico ro-meno sia al movimento di Codreanu: una compo-nente esoterica all’insegna sì della religione dellamorte, ma di una variante del tutto speciale. Scrive-va infatti Eliade:

Sfoglio oggi il mio trattato di storia delle religioni,soffermandomi soprattutto sul lungo capitolo suglidèi del cielo; mi chiedo se il messaggio segreto dellibro sia stato capito, «la teologia» implicata nellastoria delle religioni così come viene da me decifra-ta e interpretata. Nondimeno il senso ne risulta ab-bastanza chiaro: i miti e le «religioni», in tutta laloro varietà, sono il risultato del vuoto lasciato nelmondo per essersi Dio ritirato, trasformato in deusotiosus e scomparso dall’attualità religiosa. Dio —più esattamente l’Essere supremo — non ha più al-cun ruolo nell’«esperienza religiosa» dell’umanitàprimitiva. E stato soppiantato da altre forme divi-ne: divinità attive, fecondatrici, drammatiche, ecc.Sono tornato su questo processo in altri studi. Ma sisarà capito che la vera religione inizia solo quandoDio si è ritirato dal mondo? Che la sua «trascenden-za» si confonde e coincide con il suo eclissarsi?...10

Al che commentava Jesi:L’antisemita Eliade ha costruito tutto il suo Tratta-to come un’architettura che cela ed esibisce al tem-po stesso, al proprio centro, quale «messaggio» ma«messaggio segreto», una dottrina peculiarmenteebraica. È la dottrina con cui la Qabbalà, a partire

7 Ibidem, p. 36.8 Ibidem, p. 37.9 Ibidem, p. 38.10 Ibidem, p. 42.

in special modo da Yitzachàq Luria (15341572), die-de risposta al problema della creazione dal nulla.11

Ragion per cui, concludeva sempre Jesi,si poteva rilevare la sconcertante coincidenza fral’apparato mitologico e teologico di un gruppo an-tisemita, e una dottrina peculiare della tradizionemistica ebraica.12

Coincidenza ancora più marcata ed evidente,poi, se preso in considerazione quel ramo della«mistica» ebraica che più radicalmente trasse leconseguenze dalle posizioni di Luria:

La dottrina dell’esilio di Dio in sé stesso, del «riti-rarsi» di Dio, non è stata soltanto oggetto di discus-sione o di fede in ristretti circoli di mistici ebrei.Elaborata anche come risposta della cultura reli-giosa ebraica alla catastrofe dell’espulsione dallaSpagna che si configurava come accentuazione o ri-petizione dell’esilio dalla Palestina, questa dottrinadrammatizzava in termini cosmogonici la condizio-ne degli ebrei esiliati e nello stesso tempo esprime-va «il sentimento della tensione tra i due polidell’esilio e della redenzione», tanto da preludere al«passo decisivo verso il messianismo». Il passo fucompiuto nel XVII e nel XVIII secolo dai cosiddet-ti falsi messia, Shabbetày Zevì e il suo successore Ja-kob Frank, protagonisti di un movimento mistico emillenaristico eterodosso (se di eterodossia si puòparlare nell’àmbito dell’ebraismo) che interferì co-me componente spesso sotterranea nel gioco di rap-porti fra illuminati e illuministi entro la cultura eu-ropea del Settecento. Quanto ora importa sottoli-neare è l’atteggiamento degli «eretici» shabbatiani efrankisti nei confronti della legge: gli uni e gli altri,infatti, furono soprattutto assertori del valore ritua-le del comportamento antinomico, dunque della de-liberata infrazione della legge. Se l’antica legge, laTorà, la legge sacra e totalizzante tanto da esclude-re come blasfema l’esistenza di una legge profana,corrisponde a un mondo o a un «regno» prossimoalla sua fine, la missione del messia (e, sul suo esem-pio, dei seguaci) deve consistere nell’infrazione del-la legge che, come atto rituale, accelererà l’avventodella legge e del «regno» nuovi. Si infrange la vec-chia legge così come Dio si ritrae in esilio «da sé insé stesso»: ma Dio si «ritira» affinché possa avereluogo la creazione, il messia infrange la legge affin-ché possa avvenire l’epifania della nuova legge [...].Tanto più alta è la dignità messianica, tanto più gra-ve dev’essere la colpa commessa. [Per cui] questielementi, relativi a una delle espressioni della cultu-ra ebraica che agirono più incisivamente nell’Euro-pa del Seicento e del Settecento, e che lasciarono

11 Ibidem, p. 44.12 Ibidem, p. 45.

dIl Covilef N° 816

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| (5) |maggior memoria di loro soprattutto nell’Europaorientale, possono servirci [...] per avvicinarci alleparadossali coincidenze fra gli autoritratti misticidei persecutori e dei perseguitati. La Guardia diFerro ebbe il suo primo istante di genesi rituale nel-la prigione di Vacaresti, quando vi si trovavano rin-chiusi Codreanu e alcuni compagni, e assunse comepatrono l’arcangelo Michele, la cui icona sovrasta-va la porta della chiesa della prigione [...]. I legio-nari sono l’esercito dell’arcangelo Michele, «princi-pio attivo del bene e della luce eterna in lotta con ilmale e le tenebre di fuori e dentro di noi»; sono uomi-ni che devono essere peccatori, dichiarano «prendia-mo sopra di noi tutti i peccati di questa stirpe» e in-tendono il martirio, la «testimonianza» a prezzodel sangue, come la scelta di chi infrange la legge,esegue prestabiliti omicidi, ma non si sottrae allapunizione [...]. Là dove Dio è in esilio entro sé stes-so, dove restano accessibili unicamente forme sub-divine — l’arcangelo — i giusti devono essere col-pevoli e devono uccidere [...], devono scegliere diessere martiri in quanto colpevoli».13

Ergo:Di là dall’immagine dell’ebreo usuraio, capitalista,ed estraneo alla stirpe romena, s’intravede quelladell’ebreo come vittima rituale designata. Poiché imartiri devono essere colpevoli, poiché la colpa pereccellenza (dunque la testimonianza più alta) deveessere l’uccisione, e l’omicidio è un rituale di accele-razione del nuovo regno (nuovo Reich) mediante lainfrazione della legge, chi dev’essere ucciso è anzi-tutto l’ebreo perché gli ebrei furono il popolo elet-to, il gruppo umano sacralmente legato a quel Dioche è il Dio, ma che ora si è ritirato dentro di sé: seil cristianesimo è l’avvento di un nuovo regno, dopoquello dell’Antico Testamento, l’accelerazione diquesto avvento, il suo adempimento, consiste nelcolpevole ma testimoniale uccidere come vittimesacrificali coloro che furono per eccellenza gli uo-mini dell’antico regno. [...] «I miti e le religioni[...] sono il risultato del vuoto lasciato nel mondoper essersi Dio ritirato»: atto religioso dalle fonda-menta o articolazioni mitologiche, è innanzituttol’uccisione dell’ebreo. Ma l’uccisione è un atto col-pevole, come ogni possibile atto di vero martirio, eil legionario uccisore vuole anche essere ucciso [inuna] stretta concatenazione di azioni che può esse-re formulata come «uccidi e fatti uccidere» e «ucci-di per essere ucciso». Procedendo da queste perife-rie verso il centro della destra europea della primametà del Novecento —da Bucarest verso Berlino— si può iniziare a intravedere qualcosa circa lestrutture di una religione della morte, fra le qualipresumibilmente rientrerà il ritualismo dello ster-

13 Ibidem, pp. 45−48.

minio degli ebrei come sacrificio «di fondazione»del nuovo regno o del nuovo Reich.14

Argomentare appassionato, che può essere rias-sunto ed esplicitato così: 1) Nell’antisemitismo no-vecentesco è possibile scorgere in profondità tratticomuni con una mistica ebraica «eterodossa» (quel-la che passando per Yitzachàq Luria sfocia in Shab-betay Zevì e Jakob Frank); è cioè possibile vedereall’opera quelle forze che sono sì orride, ma allostesso tempo meravigliose, pacificanti e meritevolidi essere riscattate nella loro bifronte bellezza.Conclusione quest’ultima che Jesi non trasse aper-tamente nel brano riportato, ma che lasciò capireal lettore avveduto in altre circostanze, per esem-pio prendendo le difese del vituperato antisemitaEliade di fronte al giudizio di Kerényi (il quale nefaceva un autore triviale e di scarso interesse) fino atradurre in italiano il suo Yoga: immortalità e liber-tà, o esplicitando nel proprio epistolario la giàd’altronde evidente propria vicinanza a quella mi-stica ebraica «eterodossa» testé citata. 2) Il cattoli-cesimo, in quanto vero Israele — innestato sultronco di Abramo e i profeti, compimento dellaTradizione del sacerdozio mosaico — sarebbe do-vuto essere evidentemente il secondo atto di questosacrificio di fondazione del nuovo Regno o nuovoReich. 3) Il nuovo Reich sarebbe sorto all’insegna diun «vero cristianesimo», il quale — per Jesi comeper Marcione e i tanti suoi epigoni recenti, da Ja-cob Taubes a Simone Weil a Pietro Citati a GuidoCeronetti, e altri ancora — non può essere che an-titetico al Dio «malvagio» dell’Antico Testamentoe alla sua Legge. La religio di un Cristo uccisoredel Padre, il Jeohwa «crudele» e «antiecumenico»in quanto nemico della «tollerante mitezza» e del-lo «splendore» dei culti di egiziani e cananei.

M L’UOMO, ANIMALE DA MACELLO.Per i lettori renitenti a credere che una sensibili-

tà ebraica e di sinistra come quella di Jesi potesseessere nell’intimo attratta da fenomeni cruenti e«antidemocratici» come il nazismo, si potrebberoaggiungere altri punti corruschi dell’opera di que-sto studioso, lasciati passare a suo tempo con ecces-siva superficialità. Come in Letteratura e mito, lad-dove l’autore richiama e fa suo il concetto espostoda Johann Jakob Bachofen nel Saggio sul simboli-smo funerario degli antichi, dei simboli «che riposa-no in sé stessi»,15 dei simboli in sé compiuti e non ri-

14 Ibidem, pp. 49−50.15 Furio Jesi, Letteratura e mito, Einaudi, Torino 1968, p. 17.

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| (6) |mandanti ad altra realtà che li trascenda se nonalla morte (intesa questa come dimensione di nones-sere), specificando poi in Cultura di destra che

pochi simboli sono tanto esclusivamente riposantiin sé stessi come l’icona di Jack Lo Squartatore: ico-na non solo britannico-vittoriana, ma anche genui-namente tedesca da quando Frank Wedekind laevocò nel finale de La Scatola di Pandora.16

O come nella raccolta di saggi Materiali mitologici,in cui, parlando di Elias Canetti (altro autore iper-tanatofilo assai caro a Jesi, che ne tradusse in italia-no Massa e potere) si possono leggere passi comequesto:

Alla sopravvivenza della poesia e della mitologia inquesto presente, e non solo in questo poiché nonpare essere la prima volta che ciò accade, sembra ap-propriato, anche se forse non in modo esclusivo, unterreno di coltura che si conserva nutritizio e caldononostante i geli e le sterilizzazioni dell’ora, graziealle qualità della morte, che sono molteplici e invario modo efficaci. Elias Canetti direbbe che il«mucchio di morti» (nel quale io stesso riconoscol’unica rappresentazione della morte che mi sembrivera), mucchio di sostanze in decomposizione, è unideale terreno di coltura.17

O come quest’altro:Le «esagerate» equiparazioni di Canetti del compor-tamento del singolo uomo e della massa umana conindividui e gruppi di animali extraumani, mentrenon sono affatto esagerate in quanto alla loro veridi-cità, finiscono per possedere un’eccessiva forzaespressiva [...]. Il potente finisce per essere un mo-stro semiferino. Canetti ha il merito di dimostrarecome quel mostro sia umano e vero nella misura incui è mostro [...] nel suo mettersi in bocca le vitti-me, masticarle, inghiottirle, digerirle, defecarne iresidui.18

O come uno scritto tra i più inquietanti ed emble-matici di Jesi, pubblicato postumo nel 1987:L’ultima notte. Presentato nelle note introduttivecome «il frutto di ricerche e fantasie intensissi-me»19 — cosa che anche la data apposta alle po-che, distillate pagine del manoscritto, 1962−1970,suggerisce — trattasi di un racconto lungo, appa-rentemente surreale, avente per soggetto un temaattentamente studiato dall’autore, quello dei vampi-

16 Cultura di destra, op. cit. p. 26.17 Furio Jesi, Materiali mitologici, Einaudi, Torino 2001 (1979), p.

29.18 Ibidem, p. 320.19 Furio Jesi, L’ultima notte, Marietti, Genova 1987; avvertenza

dell’editore.

ri, i funesti abitanti delle tenebre descritti così a ini-zio narrazione:

Si raccontava di loro che erano uomini morti so-pravvissuti alla morte, i quali si nutrivano di sangueumano per alimentare la loro durata pallida e not-turna di fantasmi corporei. Ma non era vero. Forseavevano volto di uomo, ma non erano mai stati uo-mini. Di sangue umano s’erano sempre nutriti per vi-vere giacché vita e non morte si sarebbe dovuta chia-mare la loro durata, e valutavano l’uomo alla stre-gua di un animale da macello. Da millenni, però,non osavano più avvicinare gli uomini e dovevanounicamente cibarsi del sangue coagulato dei morti.Un tempo avevano dominato la terra. Ora, ridotti amangiatori di carogne, popolavano timorosi e furti-vi gli spazi deserti, le caverne sui monti, i sotterra-nei e le rovine.20

Descrizione che Giuseppe Tardiola, tra i pochi cri-tici ad aver posto una certa attenzione a queste pa-gine, ha commentato così:

Non è [...] il «vampiro» della tradizione, quelloche la letteratura eredita dai racconti popolari e daitrattati di Calmet e Sinistrari, a informare la fanta-sia di Jesi. I succhiatori di sangue della nostra storia[L’ultima notte] sono qualcosa di totalmente diver-so, provengono da altre dimensioni, da antiche mi-tologie lunari sanguigne, dal repertorio archetipicoe iconografico delle società precristiane, da antropo-logie magico-misteriche. Non sono «non spirati»maledetti, bensì demoni arcaici, figure di pantheonlontani che presiedono ai fondamentali meccanismidella sopravvivenza cosmica e che pertanto esigonosangue, la cui equivalenza con la vita è stata in pre-cedenza ampiamente sottolineata. Essi provengonodal Libro tibetano dei morti, dai testi cuneiformi me-sopotamici (Lamashtu), dai più antichi documentireligiosi dell’India (Vetala), dalle piramidi messica-ne (Huitzilopochtli, Tlaloc, Coatlicue: sole, piog-gia, terra), persino dai mari di Grecia, così cariall’autore (Lamia) [...]. Da ogni parte del mondotornano questi inediti «vampiri», per riassumere dipersona la guida del pianeta cui loro donarono lavita e che l’uomo sta portando alla distruzione.21

Scrive ancora Tardiola:Demiurgi mitici di vita, sacerdoti eletti di fertilità,esseri della notte-utero, della terra e del sangue, ilsegnale della loro riscossa è accolto con gioia esplo-siva dalla Natura, a lungo vessata dalla stolida e di-struttiva arroganza degli umani,

sì che

20 Ibidem, p. 56.21 Giuseppe Tardiola, Il vampiro nella letteratura italiana, De Ru-

beis, Roma 1991, p. 54.

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| (7) |non è difficile riconoscere alla base della missione ri-generatrice affidata ai vampiri [anche] una seman-tica «ecologica»,22

all’insegna di una natura — precisiamo noi — dalvolto di Gorgone, Kali Durga o Kuan Yin, perenneciclo di predazione e distruzione, in cui — esatta-mente com’era per Elias Canetti o i romeni MirceaEliade ed Emiliu Cioranescu — vivere è cacciareed essere cacciati, uccidere ed essere uccisi. Rac-conto, quindi, che non può essere semplicementeletto — come vorrebbero alcuni — a mo’ di lugu-bre divertissement letterario, magari per i toni paro-distici presenti nella descrizione delle azioni vampi-riche. Anzi, proprio questi toni sono da prendere,paradossalmente, come segnali di serietà: comespiegava Jesi nel saggio «Parodia e mito nella poe-sia di Ezra Pound», nell’uso di una certa forma pa-rodica è da «riconoscere la presenza di un’anticacommozione, le tracce di un amore contro cui silotta»,23 o, come sempre Jesi scriveva all’amico Ita-lo Calvino in merito al racconto in questione:

Lei dice «prendere sul serio i vampiri». Non credache io non li abbia presi sul serio: forse li ho presitroppo sul serio, e quindi me ne sono difeso con gio-chetti della più spicciola parodia.24

M PASSAGGIO DI TESTIMONE.Per cui, tornando alla tesi di Vigna, cioè del pas-

saggio dell’ideologia comunista dal campo ambi-guo e interlocutorio dello pseudo-umanesimoscientifico di Marx ed Engels a quello rigoroso elucidamente folle del naturalismo [e neopaganesi-mo] nazista, si può allora sostenere che la figura diFurio Jesi abbia un valore esemplificativo importan-te e meriti una rinnovata attenzione. Tuttavia, sideve aggiungere, il suo valore non sta solo in ciòche essa ha direttamente prodotto (e di cui qui ab-biamo dato alcuni cenni), quanto anche in ciò cheessa ha «indicato», nell’ambiente a cui ha virtual-mente passato il testimone e la cui identità ci sem-bra deducibile da un passo autobiografico dello stes-so Jesi, più volte citato dai suoi glossatori:

Parve allora di viaggiare sulle acque del Nilo versouna remota infanzia, ben più antica del tempo egi-zio. Il paesaggio solitario del fiume e del deserto funuovamente l’ora del primo uomo, cui l’uomo ritor-na con meraviglia commossa come alle profonditàdi sé quotidianamente ignorate. E fu anche un anda-

22 Ibidem, p. 55.23 Letteratura e mito, op. cit., p. 189.24 Cultura tedesca, op. cit., p. 102.

re verso la morte, e cioè verso il limite della distru-zione che coincide con l’ora della nascita.25

Proprio questo limite, però, non si situa in Egitto,ma porta verso il Sudan, precisamente verso la re-gione del Kordofan, sede di quel mitico regno diKasch descritto da Leo Frobenius nei suoi studi et-nologici e ripreso poi dallo scrittore ed editore Ro-berto Calasso come metafora centrale del suo libropiù importante, La rovina di Kasch appunto. Unapura coincidenza, certo, ma suggestiva, perchéeffettivamente l’ambiente che ha continuato in Ita-lia — e su ben altra scala — quelle iniezioni di reli-gio mortis nella cultura di sinistra anticipate da Jesiè stato proprio il gruppo di intellettuali raccoltosiattorno al marchio Adelphi e alla figura di RobertoCalasso. A testimoniarlo, più dei rapporti di Jesicon Luciano Foà, Italo Calvino e altri personaggiche fecero da trait d’union tra il mondo di Einaudie quello della neonata editrice milanese, gli stessimaggiori interessi del prismatico studioso dalla Ro-mantik al vampirismo nell’opera di Heinrich Hei-ne, dal finis Austriae a Rainer Maria Rilke, daThomas Mann a Mrolyi Kerényi, da Elias Canettia Georges Dumézil, dallo Yoga a Martin Buber ealle aberrazioni del cabalismo ebraico prima indica-te, da Carlos Castaneda ai culti isiaci, eccetera —che, in modi differenti, sono stati tutti incastonatinel catalogo adelphiano e, grazie ad esso, hanno ot-tenuto a sinistra il crisma dell’ufficialità. Una conti-nuazione, quella di Adelphi, che però ha rappre-sentato un perfezionamento dell’impostazione diJesi in almeno due sensi. Il primo è che se già il la-voro di quest’ultimo, nonostante la denunciata «fa-ziosità» politica, attirava la morbosa attenzione del-la destra più o meno paganeggiante, quello di Adel-phi è riuscito a saldare definitivamente queste dueanime (e non solo queste) apparentemente contrap-poste. Il secondo è che se la religione dello swa-stika appariva nell’opera di Jesi in modo ancoravelato, spesso reticente e prevalentemente sottoforme «spurie», Roberto Calasso ha invece indicatochiaramente in essa e nella sua dimensione origina-ria, lo shivaismo,26 l’orizzonte spirituale della poli-morfa e quasi quarantennale produzione Adelphi.

25 Furio Jesi, Esoterismo e linguaggio mitologico, studi su Rainer Ma-ria Rilke, p. 22.

26 Il «Cristo» di Marcione, infatti, come ha chiaramente spiegato Si-mone Weil (e di riflesso un’autrice come Cristina Campo) altronon è che l’avatar di Shiva/Dioniso.

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| (8) |M LA RELIGIONE DELLO «SWASTIKA».

Come spiegava l’autorevole studioso e divulgato-re dell’argomento Alain Daniélou — fratello delnoto teologo gesuita Jean esso è da intendersi comequella religione antichissima, le cui origini si per-dono nella notte dei tempi, ma la cui codificazionesi può far risalire al VI millennio, circa all’iniziodel neolitico, come attestano la comparsa nel me-desimo periodo dei suoi simboli e dei suoi riti, qualiil culto del toro, del fallo eretto, del serpente, il la-birinto e la croce uncinata o swastika. Difficile indi-viduare un preciso luogo d’origine vista la sua diffu-sione — dal subcontinente indiano alle propagginiatlantiche dell’Europa —, la quale ha lasciato trac-ce in una lunga serie di religioni successive, da quel-la dei celti, a quella dei cretesi, a quella degliadoratori della Grande Madre nel mondo mediter-raneo, a quella dei cananei, al «buddhismo» tibeta-no e via elencando. Possibile però individuare luo-ghi in cui tale tradizione si è conservata in una suapurezza originaria: tra questi l’India dove, comescriveva Daniélou con cognizione di causa,

si sono mantenuti senza interruzione, dalla preisto-ria ai giorni nostri, la tradizione shivaita e i riti chechiamiamo dionisiaci27

e dove:la profonda influenza dello shivaismo sull’insiemedel pensiero [sull’atteggiamento [...] verso gli ani-mali, gli uomini e gli dèi, ha salvaguardato in granmisura [...] il rispetto per il Creatore e uno spiritodi tolleranza fondamentale che altrove è persistitoassai di rado. Dopo gli attacchi mossigli dal Vedi-smo e dal Buddhismo, poi dal puritanesimo islami-co e cristiano, lo shivaismo tende a rinchiudersi inun certo esoterismo. Non lo si accosta facilmente.Le classi modernizzate dell’India fingono di igno-rarlo, ma ciò non ne intacca la vitalità profonda.Lo shivaismo resta essenzialmente la religione delpopolo, ma anche quella dei più alti gradi dell’ini-ziazione nel mondo hindu. In effetti non esiste verainiziazione che non sia shivaita. Tutti i culti esoteri-ci hanno carattere shivaita o dionisiaco.28

India segreta, quindi, che sarebbe la continuazionediretta di un mondo preariano testimoniato da cen-tri della valle dell’Indo come MohenjoDaro e Ha-rappa (oggi in territorio pakistano) distrutti fisica-mente, ma non nella loro eredità spirituale, dagliinvasori ariani del XVIII sec. a.C.

27 Alain Daniélou, Shiva e Dioniso, la religione della natura edell’eros, Astrolabio Ubaldini, Roma 1980, p. 32.

28 Ibidem, p. 18.

Quali i punti fondanti di quella religione delloswastika che Daniélou sintetizzava efficacementecome «religione della natura e dell’eros»? L’autoreli espone così:

1) La creazione è una. I vari aspetti del mondo,dell’essere, della vita, del pensiero, della sensazio-ne, sono inestricabilmente legati e interdipendenti.2) L’essere umano è uno. Non lo si può dividere incorpo, spirito e anima. Non si possono dividere lefunzioni vitali dagli elementi intellettuali, le attivi-tà del corpo fisico da quelli della mente.3) La vita è una. Non c’è separazione tra il mondovegetale, l’animale e l’umano.4) Gli dèi, gli spiriti sottili e gli esseri viventi sonostati originati dagli stessi princìpi, sono indissolubil-mente legati.5) La verità è una. Non esistono una sapienza orien-tale e una occidentale, una scienza che si contrappo-ne alla religione. Esse altro non sono che forme di-verse di una stessa ricerca.29

Punti su cui si fonda la via ascetica propria delloshivaismo, ovvero il tantrismo:

Il metodo tantrico ha lo scopo di risvegliare, utiliz-zare, controllare movendo dall’energia avvolta nelcentro di base, le energie potenziali che sono legatea tutte le energie del corpo, funzioni digestive, escre-torie, riproduttrici dell’animale umano che sono labase stessa della vita, ma anche ai poteri latenti,percezioni sottili non condizionate dallo spazio edal tempo [...]; muove dai meccanismi fondamenta-li dell’essere vivente per risalire verso le funzioni su-periori, i meccanismi mentali, intellettuali e le aper-ture spirituali dell’essere umano per controllarli esuperarli. Ogni tentativo d’esperienza che non tengaconto della natura dell’essere vivente nella sua totali-tà è illusorio, il Kali Yuga, in cui un apparente svi-luppo di certe facoltà mentali corrisponde in realtàa una diminuzione globale delle percezioni intuiti-ve, della forza vitale ed è di fatto una decadenza chepreannuncia la morte della specie. Il divino è al difuori dei limiti visibili dell’essere vivente, al di quacome al di là del creato. Per oltrepassare le barriereche ci imprigionano, per liberarci, avvicinarci [adesso], possiamo prendere l’una o l’altra via. La viashivaita è la via tantrica, tamasica, che utilizza comepunto di partenza le funzioni fisiche e gli aspetti ap-parentemente negativi, distruttivi, sensuali dell’ani-male umano, mentre la via sattvica usa come stru-menti l’ascetismo, la virtù, l’intelletto [...] via[che] è ritenuta inefficace nel Kali Yuga.30

Ancora:

29 Ibidem, pp. 227−228.30 Ibidem, pp. 143−144.

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| (9) |Il desiderio represso genera la pestilenza, scrivevaAnanda Coomaraswamy in The dance of Shiva. Lapromiscuità, la momentanea sparizione di ogni limi-te, l’evocazione e la riattivazione orgiastica del caosprimordiale favoriscono, cert forme d’estasi un ri-torno all’origine della vita, al principio creatore, aldivino.31

Tantrismo e orgiasmo che però non sono realtà ul-time, ma vie per raggiungere più alti misteri, di cuiDaniélou ha dato qualche anticipazione:

Il creatore è un Dio crudele che ha voluto un mon-do in cui nessuno può vivere senza distruggere lavita, senza uccidere altri esseri viventi. Nessun esse-re può vivere senza divorare altre forme di vita, ve-getale o animale. E questo un aspetto fondamentaledella natura del creato. Tutta la vita del mondo ani-male o umano non è che un’interminabile strage.Esistere vuol dire mangiare ed essere mangiati.L’uomo è ciò che egli mangia. Ogni essere viventesi nutre di altri esseri e diverrà nutrimento di altriesseri in un ciclo interminabile [...]. Shiva spiegaalla sua compagna: «nel mondo non c’è nessunoche non uccida. Chi cammina uccide coi piedimoltissimi insetti. Persino dormendo si possono di-struggere delle vite. Tutte le creature si uccidonotra loro. Nessuno può vivere senza uccidere».32

Il principio fondamentale dello shivaismo è l’accet-tazione del mondo com’è, non come vorremmo chefosse. Solo quando accettiamo la realtà del mondopossiamo cercare di comprenderne la natura, avvici-narci al Creatore, prendere il nostro posto nell’ar-monia della creazione. Poiché nessuno può esisteresenza nutrirsi della vita di altri esseri: dobbiamo as-sumercene la responsabilità di fronte a noi stessi e difronte agli dèi che così hanno voluto [e quindi J ri-tualizzare l’atto di uccidere come l’atto di amore.33

In altre parole,dicendo che gli dèi sono assetati del sangue dellevittime, non si fa, che identificarli con un mondo

31 Ibidem, p. 146. Altrove leggiamo anche: «Per essere genuini,l’amore e l’ebbrezza del piacere devono essere assolutamente prividi ragione. Non devono essere «utili», «normali», «conformi alleleggi» [...]. Solo l’amore adultero, anormale o incestuoso è consi-derato puro, veramente libero da ogni legame, e può dare un’ideadi quell’esperienza dei mistici, così assurda, disinteressata e di-struttrice di ciò che è umano»; «nelle sculture che ornano i tem-pli sono perciò rappresentati gli atti erotici più complessi [...],sono comprese tutte le relazioni possibili tra uomini e donne, maanche svariati rapporti tra personaggi dello stesso sesso e tra esse-ri umani e animali. Infatti, poiché è nella voluttà che realizziamola natura divina nel modo più immediato, questa esperienza nondovrebbe avere limiti». Cfr. Alain Daniélou, L’erotismo diviniz-zato, Red edizioni, Como 1999, pp. 33−34 e 36.

32 Ibidem, p. 159.33 Ibidem, pp. 159−160.

che è l’espressione della loro natura. Ci avvicinia-mo a loro santificando l’atto di uccide.34

Ne consegue, scrive Daniélou.. che «il sacrificiodev’essere pubblico, cosciente del suo valore e dellasua crudeltà […]. Uccidere è un atto sacro, comedare la vita,35

uccidere per vendetta rimane un atto odioso, ma-lefico. Il sacrificio non potrebbe essere una punizio-ne o una vendetta. Non deve dare a nessuno la sod-disfazione di liberarsi di un importuno. Per essereefficace deve essere ripugnante36

e «il sacrificio umano è la forma più alta di sacrifi-cio».37 Ora, a indicare che lo shivaismo, questo cul-to dello sperma e del sangue, questa primordiale reli-gione della morte come avrebbe scritto Jesi, siaquel punto d’attrazione verso cui è orientata tuttala produzione Adelphi — punto a cui ha allusopoco tempo fa Roberto Calasso sulla rubrica Storiedel sito www.adelphi.it38 — non sono soltanto testicome Il grande brivido del prima citato AnandaCoomoraswamy, Il regno della quantità e i segni deitempi, L’uomo e il suo divenire secondo il Vedanta,Introduzione allo studio delle dottrine indù, Simbolidella scienza sacra del grande mistificatore franceseRené Guénon (ripetutamente citato da Daniéloucome testimone della tradizione shivaita, e al cui ri-guardo vedasi l’articolo di Gianni Rocca, «CristinaCampo e la ‹Tradizione› primordiale», sul numerodi giugno 200239 di questa rivista), Shiva, l’ascetaerotico, Le origini del male nella dottrina Indù diWendy Doniger (allieva di Mircea Eliade presso laDivinity School dell’università di Chicago ed excollega del tantrista romeno Ioan Petru Culianu,«sacrificato» in una latrina della stessa universitànel 1991), Il mito psicologico dell’India antica di Ma-ryla Falk, Miti e simboli dell’India di Heinrich Zim-mer e La presenza di Shiva di Stella Kramrisch

34 Ibidem, p. 160.35 Ibidem, pp. 160−161.36 Ibidem, p. 164.37 Ibidem, p. 163.38 «In ogni caso l’idea che il nome indubbiamente conteneva [cioè

Adelphi] era quella di un gruppo legato da una qualche affinitàche si propone di pubblicare libri legati anch’essi da una qualcheaffinità, tale da permettere di passare naturalmente, e quasi inevi-tabilmente, dall’uno all’altro [...]; l’esatto contrario di certe strut-ture editoriali concepite come imponenti costruzioni divise in set-tori, dove si pensa a nutrire ogni sorta di pubblico, dal più bassoal più alto, ogni volta con metodi e allettamenti diversi. La no-stra idea invece si indirizzava a un lettore ignoto, che idealmenteavrebbe dovuto essere attratto da tutti i libri della casa editrice. Euna traccia di quell’idea è implicita anche nel marchio, che avrem-mo scelto poco più tardi». Cfr. Roberto Calasso, rubrica Storie,sul sito www.adelphi.it.

39 Ora in Il Covile N° 812. [N.d.R.]

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| (10) |all’interno della collana più prestigiosa e scelta del-la casa editrice milanese, «Il ramo d’oro»; né sonosolo Luce dei Tantra di Abhinavagupta, Iniziazio-ne del «buddhista» tantrico Naropa, La liberazionein vita di Vidyaranya, Le leggi di Manu sempre diWendy Doniger nell’altrettanto prestigiosa colla-na «Biblioteca orientale» e gli altri testi esplicita-mente shivaiti disseminati nel resto del catalogo,ma è lo stesso Calasso a suggerircelo nel cuore del-la propria personale produzione, nelle pagine cen-trali de La rovina di Kasch.

La percezione all’origine del sacrificio è appuntoche ogni cogliere è anche un assassinare, che ognisradicamento, distacco da ciò che gli è connesso (enon è altro che, di passaggio in passaggio, il Tut-to), è un’uccisione. Ma la vita, se vuole perpetuarsi,esige che si colga qualcosa. Il sacrificio avvolge ilprimo sradicamento, il primo distacco, l’originariadecisio (da caedo, il verbo dell’uccidere la vittima sa-crificale con effusione di sangue), in una delicata,sottilissima, immensa rete, che riconnette al Tuttola cavità della ferita, nel momento in cui essa siapre. Si può cogliere anche solo una spiga, ma ilsommo accrescimento di potenza si ha quando il co-gliere è anche un uccidere. Invece di uno stelo, sra-dicare il cuore ancora palpitante, con la «farfalla diossidiana», dal tronco della vittima riversa: strap-pando quell’altra rete, che unisce il cuore al tuttodel corpo, si è inondati da circa sei-sette litri disangue. È l’esuberanza della vita, che soltanto inquel sangue si promette perenne;40

la teoria del sacrificio fa ruotare tutti i gesti ripetibi-li e reversibili respiro, eros, musica — attorno aidue gesti irreversibili: mangiare e uccidere;41

il sacrificio è inscritto nella nostra fisiologia: qual-siasi ordine, biologico e sociale, è fondato su un’e-spulsione, su una quantità di energia bruciata,

nella formulazione di Guénon, il sacrificio riflette(e quindi inverte) il solve et coagula delle origini: ciòche nella creazione era stato diviso ora torna a riu-nirsi [...] di qui la coniunio, la ierogamia, che siintreccia agli atti del sacrificio: fondamento ritualedell’intrecciarsi fra Eros e Thanatos. Di qui il sen-tore di carneficina che è l’aura del sesso [...] uneros assassino, un’amorosa uccisione, l’ archetipo diogni viaggio;42

delicatezza dei veggenti vedici: le cinque armi del-l’assassinio sono oggetti di uso domestico: la scopa,la brocca dell’acqua. Per mostrare che l’assassinio

40 Roberto Calasso, La rovina di Kasch, Adelphi, Milano 1983, p.178.

41 Ibidem, p. 193.42 Ibidem, p. 198.

penetra nel più semplice, nel più quotidiano, nelpiù inconsapevole degli atti. Si spazza una stanza, sistrangola una vittima: la connexio fa risuonare unatto con l’altro;43

offrendo il sacrificio, noi accettiamo — pur dietroil sotterfugio della sostituzione, che provvisoria-mente ci mantiene in vita — di essere un giorno noistessi divorati, se non dagli uomini da quegli dèi chesono gli ospiti invisibili al banchetto: «uccidere èsempre uccidersi»;44

le Upanisad45 sono insaziabili nell’attribuire il sa-crificio a tutto: al respiro e all’alimentazione,all’eros, alla parola, al gesto, perché il sacrificio èla sola forma che risponda, nelle vene, alla vita: chela insegua nei suoi movimenti, siano involontari o ar-bitrari, senza requie. La forma del sacrificio è laten-te nell’esistenza del sangue: vita che si rinnova, maper un certo tempo, costruzione ininterrotta e cadu-ca. E vita, ma non potrà mai raggiungere la duratasenza termine della trasparente linfa che circola ne-gli dèi. Come il sangue viene ogni giorno nutrito daoscure vittime, così la vita in genere esige quellacostruzione assassina che ogni giorno si rinnova di-nanzi al palo dei sacrifici.46

Sono soltanto poche citazioni, ma che possonocomunque dare un’idea della sintonia, quando nondella coincidenza, tra certi «misteri» editoriali equelli venerati da personaggi come Jesi o Danié-lou. Misteri che, è bene ribadirlo, non sono destina-

43 Ibidem, 199.44 Ibidem, 209.45 Va precisato, per non dare adito a ulteriori equivoci, che quando

Calasso si riferisce alle Upanisad, i trattati conclusivi della tradi-zione vedica, lo fa nel modo mistificatorio del proprio maestroGuénon, il quale cercò di spacciare la tradizione shivaita comeomogenea alla scuola filosofica dell’Advaita Vedanta, basata ap-punto sulle Upanisad, quando la prima si pone nella realtà indùcome la radicale negazione della seconda. Ne seppe qualcosaShankara, filosofo e massimo esponente dell’ Advaita Vedanta,che per tutta la vita combatté le sette shivaite e la diffusione deiloro culti di morte nell’India dell’VIII secolo d.C.

46 Ibidem, 214. A ciò si potrebbe aggiungere la presentazione cheCalasso ha scritto a una delle ultime novità Adelphi mandate in li-breria, Apollo con il coltello in mano, del francese Marcel Detien-ne: «Secondo un perentorio asserto di Winckelmann, la rap-presentazione di Apollo «esige lo stile più elevato: un innalzamen-to al di sopra di tutto ciò che è umano». E questa canonizzazionedi Apollo — dio della luce, della ragione e della purezza — trovacerto illustri riscontri in numerose opere dell’antichità classica edellenistica: a cominciare dalle Odi di Pindaro, per continuare coni Dialoghi di Platone, fino agli Inni di Callimaco. Tuttavia, dietroil volto luminoso e rassicurante si nascondono la lama insanguina-ta di un coltello, l’impurità della malattia e la dissoluzione dellamorte Le tracce sono semicancellate dal tempo, ma si scorgonoancora: innanzitutto nei riti e nelle pratiche religiose. Ma anchenella letteratura: dai poemi di Omero fino all’Orestea di Eschilo,ecco apparire un altro Apollo, latore implacabile di pestilenze e dilutti, avido di stragi, compiaciuto dei suoi altari cruenti, impastatidi cenere, sangue e umori».

dIl Covilef N° 816

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| (11) |ti a rimanere confinati in una dimensione di «puraintellettualità» o di semplice lettura, come un luci-do sguardo alla metamorfosi dei costumi in atto,sotto il segno di eros e natura, può facilmente di-mostrare, o come sempre Calasso ci ricorda, stavol-ta nella sua ultima prova sull’opera di Franz Kaf-ka, dove scrive:

L’ordine sociale si sovrappone all’ordine cosmico[ricordando che per gli gnostici «cosmo» equivale acaos e orgia sanguinaria] fino a coprirlo e a inghiot-tirlo. Ma ne conserva la maestà e le articolazioni,pur cancellandone la memoria. Mimetizzato all’in-terno dell’ordine sociale, l’ordine cosmico sussiste econtinua ad agire. In fondo [quest’ultimo] nonparlava soltanto di astri e di sfere, ma di potenze edi arconti e quelle potenze non sono scomparse.Anzi, ora che non vi sono più nomi per evocarle pos-sono agire più liberamente e selvaggiamente anchea viso aperto.47

E, dai visi di Erika e Omar, a quello di RuggeroJucker e simili, non è difficile trovare riscontri at-tuali a tale affermazione.

M APERTURE AL SOTTOSUOLO.Curioso — qualcuno potrà allora pensare in rife-

rimento a quanto segnalato — che con questi am-bienti shivaiti stringano sodalizio, oltre che sperr-natofagi e tanatofili vari, anche ambienti ecclesiali.La spiegazione del fenomeno la si potrebbe chiede-re, tra i tanti, a Enzo Bianchi — figura aggiornatadi monaco mediatico — la cui comunità religiosa,a Bose in provincia di Biella, si dimostra tra le piùdevote e sodali del mondo adelphiano e della cultu-ra che da esso fluisce. Dallo shivaismo in abiti cri-stiani di Cristina Campo, su cui Bose ha ospitatoun convegno nel 1997 e di cui alimenta fedelmentela memoria, al cabalismo hassidico di AbrahamJoshua Heschel e Martin Buber; alla «mariologia»isiaca di Rainer Maria Rilke, all’ortodossia esoteri-ca di Pavel Florensky, tutti ospitati nel catalogodelle edizioni Qiqajon della comunità di Bose; allanecrofilia di Guido Ceronetti, con cui recentemen-te Enzo Bianchi ha «dialogato» sul problema delMale; al «tantrismo» del derviscio danzante al Hal-laj e del suo massimo commentatore, il cainita espia francese Louis Massignon, illustrati alla co-munità di Bose nel maggio dello scorso anno daPietro Citati; alla teologia di Gregorio Palamas, at-tacco all’umanesimo cattolico di san Paolo, sant’Agostino, Dionigi Areopagita e san Tommaso, che

47 Roberto Calasso, K., Adelphi, Milano 2002, p. 34.

bisognerà chiarire a fondo; al Monte Athos, findall’inizio punto d’appoggio per ambienti «iniziati-ci» e portatore nei secoli di un furibondo odio anti-papale; a

Thomas Merton, [...] Isacco di Ninive, il grande si-riano cantato da Battiato, alla stele di Xian, strepito-sa testimonianza del nestorianesimo cinese, nellacui pubblicazione i monaci [di Bose] hanno battutosul tempo perfino l’ Adelphi,

come scriveva entusiasta su La Stampa del 23 set-tembre 2001 la «bizantinista», e seguace di JamesHillman, Silvia Ronchey. Domanda: che la tesi diVigna sia da applicare in ambienti del mondo sedi-cente «cattolico» oltre che «laico»? Che l’aperturi-smo a «sinistra» e lo slancio «progressista»all’inseguimento del fantomatico «spirito del Con-cilio» si siano tramutati anche qui in apertura al sot-tosuolo e ai suoi venefici liquami? Chissà. Intanto,per la riflessione, si possono segnalare tre articolidella rivista bolognese Cristianesimo nella storia,nel cui consiglio editoriale figura anche Enzo Bian-chi e alla cui direzione siede lo storico della ChiesaGiuseppe Alberigo, vero architetto dell’operazioneBose e di altre dello stesso segno: Enrico Norelli,«Una ‹restituzione› di Marcione?», anno VIII,1987; Gerhard May, «Marcione nel suo tempo»,anno XIV, 1993; Enrico Norelli, «Marcione letto-re dell’epistola ai Romani», anno XV, 1994.GIANANDREA TORRE

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a Uno studioso singolare.DI LEANDRO PIANTINI

Fonte e ©. Tratto da «La mente critica di Furio Jesi», inStudi Filologici, ed. Bibliopolis, XVI, 1993, pp. 404 −406.

O ricordato prima l’interesse di Jesi perl’uso che Mann faceva dell’astrologia:H

Pietre, metalli, colori, secondo le dottrine astrologi-che, stabilivano tra loro rapporti omologhi di quelliesistenti tra i pianeti.

Anche Jesi si è servito della sua sapienza astrolo-gica e lo ha fatto nel suo romanzo fantastico L’ulti-ma notte, in cui c è una pagina deliziosa e inquietan-te che descrive una «metamorfosi» cosmica, la con-giunzione astrale tra Venere e Saturno. Con un faretra il solenne e l’ironico egli ha saputo raccontareun evento archetipico, rappresentando in immagini

10 Ottobre 2014 Anno XIV

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| (12) |concrete, che attingono alla sua incredibile sapien-za esoterica, la metamorfosi celeste che avviene nelmomento più drammatico del racconto, quandoDio decide di dare la vittoria ai vampiri nella guer-ra che li oppone agli uomini per il dominio sullaterra. L’asse del romanzo sta nella congiunzioneche esso stabilisce tra il cielo e la terra, tra le epifa-nie cosmiche e la vita terrestre rappresentata nellasua sostanza primordiale: il sangue, il suolo, la vitavegetale e la putrefazione. Mediante tale congiun-zione Jesi vuoi rappresentare quel principio di «soli-darietà» che esiste tra le forze opposte della natura.Questa esigenza la troviamo anche in altri momentidel racconto: «gli edifici ripetevano sotto il sole ele stelle le architetture segrete del muschi e delle ra-dici»;48 così pure nel rito del teatro d’ombre chel’artista Faraqàt (un’evidente proiezione autobio-grafica di Jesi) fa con delle pelli d’animale sullequali ha riprodotto i segni zodiacali; o nel motivoricorrente delle pozzanghere e del fango su cui siproiettano le emanazioni delle stelle.

La descrizione della congiunzione astrale ha lasacralità della rivelazione mitica. Ma secondo Jesial poeta è consentito, oggi, non tanto l’accessodiretto al mito, quanto di esprimere il proprio «es-sere fuso» con la natura e con le forze misterioseche operano in essa. Questa epifania del «segreto»Jesi l’ha evocata in un’altra pagina indimenticabilein cui racconta un suo viaggio in nave sul Nilo.49

Esso fu per lui il viaggio verso «una remota infan-zia», e fu anche la rivelazione de

l’ora prima dell’uomo, cui l’uomo ritorna con mera-viglia commossa, come alle profondità di sé quoti-dianamente ignorate. E fu anche un andare verso lamorte, e cioè verso il limite della distruzione checoincide con l’ora della nascita.50 51

L’ultima notte ha come protagonisti i vampiri.Perché, c’è da chiedersi, essi sono visti dal narrato-re in modo anomalo rispetto all’immagine demonia-

48 F. Jesi, L’ultima notte, Genova, Marietti, 1987, p. 30.49 Il viaggio fu compiuto nel 1964 [N.d.R.].50 F. Jesi, Esoterismo e linguaggio mitologico, cit., p. 22.51 In quel testo un’altra annotazione ci ha ricordato H. P. Lovecraft

e i suoi Miti di Cthulhu. Jesi parla (affascinato?) dei monumentiedificati da Ramesse II ad Abu Simbel come «testimonianze diuna religione del potere, più brutale di qualsiasi religione dellamorte, e tale da usare la religione della morte per fingersi potereconsacrato. E quella stessa nave che risaliva il Nilo verso AbuSimbel, e che avrebbe potuto benissimo suscitare miti egizi di navisulle acque dell’aldilà, era di fatto, con tutto il suo mogano e ilsuo ottone lucido, ancora una delle sopravvissute, che eran0 ser-vite a portare le truppe inglesi di Lord Kitchener a reprimere laribellione del Sudan. Se di mito si doveva parlare, in quell’occa-sione c’erano molti miti del potere che si affollavano verso i confi-ni nubiani, sotto le costellazioni». [N.d.R.]

ca e terrificante che essi hanno sempre avuto nellaletteratura vampirologica? Benché abitatori dellaterra e del sottosuolo e benché si nutrano di sangueumano, i vampiri di Jesi sono creature pacifiche ebenefiche, difensori della libertà e della tolleranza.Nella costruzione allegorica del romanzo essi rap-presentano le forze primordiali della natura. Eidentificandoli con la «buona terra», con la notte,con l’umido e con tutto ciò che è vivo e pulsante,Jesi ha voluto attribuire ad essi le risorse salvifichedel mito, rovesciando in fattore di vita e di rigene-razione le prerogative di crudeltà e di distruttivitàche l’immaginario popolare aveva sempre loro at-tribuito.

Jesi pubblicò nel 1973 un saggio importante,L’accusa del sangue, nel quale studiava un processoottocentesco contro di Ebrei di Damasco (uno deitanti processi di quel genere), accusati di omicidiorituale fatto allo scopo di impastare il pane azzimonecessario alla Pasqua con il sangue cristiano. Accu-sa in base alla quale l’ebreo diventa appunto il«vampiro» per eccellenza, il mostro criminale.

È assai probabile, dunque, che con la meta-morfosi che la figura del vampiro subisce nel suoracconto Jesi abbia voluto rovesciare «l’accusa delsangue» fatta al suo popolo, rendendogli simbolica-mente giustizia, rendendo cioè umano e beneficoquell’«ebreovampiro» criminalizzato per secoli.

Ma è anche probabile che Jesi non abbia volutoproiettare sui vampiri nessuna figura storica deter-minata, bensì l’archetipo del primitivo e del «di-verso», alludendo così ad antiche realtà mitichenelle quali i sacrifici umani erano una «realtà divita», e si era tanto vicini «alla forza della vita dapoterla in certa misura manipolare».52

Faremmo però torto all’intelligenza disincantatadi Jesi se prendessimo troppo sul serio le sue fantasiee cercassimo di sottoporre i simboli che costellanoL’ultima notte ad un’esegesi troppo rigida. Essi sonomotivi appena abbozzati, «prove d’artista», liberigiochi della fantasia, simbologie nelle quali Jesi ma-nifestava i propri «pensieri segreti: sono le confessio-ni di un uomo singolare che si sentiva, — come hascritto Marta Jesi in un bellissimo ricordo autobio-grafico — «poco uguale a tutti».53

LEANDRO PIANTINI

52 F. Jesi, «L’accusa del sangue», in Comunità, ottobre 1973, n. 170,p. 296. Vedilo ora su F. Jesi, L’accusa del sangue, Morcelliana, Bre-scia, 1993.

53 M. Jesi, «Memorie di Furio», in Immediati dintorni: un anno dipsicologia analitica e di scienze umane, 1989, Bergamo, Lubrina, p.322.

dIl Covilef N° 816Wehrlos, doch in nichts vernichtet / Inerme, ma in niente annientato (Konrad Weiß Der christliche Epimetheus)


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