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A S b D S B Arsenico e vecchi merletti - lavocedellisola.it · l’aeroporto il cavaliere Mario...

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di SALVO BARBAGALLO N ella commedia estiva della politica cata- nese non ci sono le candide vecchiette che animarono nel 1944 il memorabile film “Arsenico e vecchi merletti”; non c’è in questa estate bisex un regista della portata di Frank Capra a dirigere l’impagabile giornalista Gary Grant, che non riesce a convolare a giuste nozze, immerso in una surreale realtà familiare dove i cadaveri si sprecano; non c’è neanche il formidabile Peter Lorre, nei panni di un medico nazista, né tantomeno il forsennato che si crede- va essere il presidente degli Stati Uniti. A Catania Frank Capra avrebbe potuto am- bientare un altro tipo di commedia: i personaggi non mancano, le trame neanche. Abbiamo fatto riferimento al vecchio “Arsenico, eccetera” per- ché di veleno in questo periodo ne sta circolando in grande quantità a Catania, ed anche perché, tutto sommato, diversi protagonisti di questa estate politica potrebbero ben identificarsi nei personaggi creati da Frank Capra. Basta solo prestare attenzione a ciò che dicono e fanno per sedersi in poltrona e godersi lo spettacolo. Meta- fore a parte, vediamo cosa c’è di tanto elettriz- zante da attirare l’attenzione anche dei più sprov- veduti: una lotta senza quartiere fra alleati della Cdl. Cosa stia accadendo veramente all’interno del- la Casa delle Liberta (da Forza Italia, all’Mpa, ad An) non è facile capire, ma di certo (stando alle apparenze, e ciò che appare non sempre risponde al vero) c’ che è battaglia aperta fra il senatore Pino Firrarello, leader di Forza Italia nella pro- vincia etnea, e Raffaele Lombardo, leader nazio- nale del Movimento per l’Autonomia, e di con- seguenza i due schieramenti “alleati” si trovano in netta contrapposizione. La dichiarazione di guerra è stata presentata ufficialmente il 6 luglio scorso durante il Con- gresso provinciale di Forza Italia: Firrarello in persona, nel suo intervento, ha ribadito, senza peli sulla lingua, riferendosi al Mpa che il mo- mento di cambiare rotta, che il momento di dire “basta con questo modi di fare politica per il po- tere”. Il senatore non si è risparmiato: “Nel 2003 abbiamo dato la nostra adesione per la candida- tura alla Provincia di una persona che noi ritene- vamo intelligente. Non pensavamo però che il potere potesse portare questa persona a perdere l’equilibrio”. La “persona” citata, della quale mai è stato pronunciato il nome, evidentemente corrisponde all’attuale presidente della Provincia Raffaele Lombardo. E di motivi di rancori Forza Italia (o Firrarello che dir si voglia) ne ha tanti: basti pen- sare gli assessori provinciali e comunali che da Forza Italia sono transitati nelle fila dell’Mpa; basti pensare al “controllo” esercitato in enti pic- coli e grandi. Inevitabile, per Firrarello e Forza Italia, dire che per le prossime elezioni provin- ciali la poltrona di presidente non può essere mantenuta dall’esponente del Mpa: Raffaele Lombardo, da parte sua, non replica, ma per lui si esprime l’assessore regionale Lino Lenza: “Se Forza Italia ritiene Lombardo un dit- tatore, che esca dalla Provincia”. Butta acqua sul fuoco il coordinatore cittadino di Forza Italia, senatore Guido Ziccone: “Per il bene di Catania, bisogna riportare la serenità: oc- corre una discussione seria fatta fra persone se- rie”. Giorni prima di questa apertura di ostilità, altro attacco aveva subito Raffaele Lombardo da parte della Triplice, Cgil, Cisl e Uil, in merito a vicende riguardanti la Sac, la società di gestione dei servizi dell’aeroporto di Fontanarossa; attac- co che ha indotto a Procura della Repubblica di Catania ad aprire un’indagine conoscitiva. Sta di fatto che alla Sac, dopo mesi di ritardo, viene eletto il nuovo Consiglio d’amministrazio- ne e un nuovo presidente, l’imprenditore Alfio Turrisi, e il presidente “uscente” Stefano Maria Ridolfo, scaduto come lo stesso Cda alla fine di aprile scorso, si è visto costretto l’8 luglio ad ab- bandonare una poltrona nella quale sperava di re- star seduto ancora per lungo tempo. L’Mpa ha denunciato la “campagna di odio contro Lombardo”: una “campagna” che oggi si è affievolita, riportando (sempre almeno in appa- renza, e quel che appare non è sempre vero) le diatribe nell’ordine della normale routine. Come detto in apertura: veleni d’estate, arseni- co e vecchi merletti: tutto nella “logica” delle co- se di Catania… In tutte le edicole e anche via internet www.lavocedellisola.it Informazioni: [email protected] Lettere: [email protected] Catania: estate senza ferie per i politici della Cdl che si somministrano veleni a vicenda Arsenico e vecchi merletti Cambio in notturna del presidente e del Cda della Sac Gestione aeroporto, tutto ok con Alfio Turrisi? C ome in un film di John Landis, il cambio del presidente della Sac è stato fatto “Tutto in una notte”. Il neosindaco di San Michele di Ganzaria Stefano Ridolfo ha ab- bandonato la plancia di comando ed è stato sostituito durante il week end, un comportamento che più d’uno ha fatto somigliare ad una sorta di fuga da una nave che stava cominciando a mostrare qualche falla di troppo o, co- me altri malignano, un atteggiamento alla stregua di una sostituzione in cor- so di un allenatore che ha portato ri- sultati ampiamente insufficienti per la salvezza della propria squadra. Sta di fatto che, finita la festa per l’inaugu- razione del nuovo aeroporto (a propo- sito, magari sarebbe il caso di togliere manifesti e bandiere che ricordano ancora l’appuntamento tenutosi qual- che mese fa) dopo mesi di distinguo, frenate e diatribe si è giunti, a sorpre- sa (ma solo per i distratti e chi ha po- ca memoria), a scegliere come guida della società per azioni che controlla l’aeroporto il cavaliere Mario Turrisi, presidente della Sielte, impresa di suc- cesso del settore delle telecomunica- zioni applicate. C’è da dire che si trat- ta di un’ipotesi che era circolata an- che nelle prime ore successive all’ar- rivo di Pietro Agen alla presidenza della Camera di Commercio. Un nome non imprevisto, sebbene lo stesso Tur- risi ci abbia tenuto a far sapere, nelle prime dichiarazioni successive alla sua elezione, “Di tutto quello che è successo alla Sac in questi giorni non sono molto informato, perché per scelta, da quasi un anno non mi sono voluto interessare dell’aeropor- to”. Buon esempio di excusatio non petita… Al nuovo presidente toccherà ri- solvere le magagne esplose nelle ul- time settimane, che hanno provocato più di una protesta, sia dei lavorato- ri, che degli utenti dell’aeroporto. Una serie di questioni legate a filo doppio. Infatti è chiaro che, ad esem- pio, le lentezze riscontrate da chi ar- riva e da chi parte dal Filippo Ere- dia (a proposito, ci sarà anche la questione del nome dell’aeroporto da risolvere una volte per tutte) sono legate al numero di persone in servi- zio che, ad esempio, svolgono i lavo- ri di controllo dei passeggeri in par- tenza, un numero esiguo ed insuffi- ciente a coprire i momenti di traffico più intensi che in queste settimane stanno giungendo allo zenith. Un ti- po di problemi che il nuovo presiden- te si troverà ad affrontare sperando nella benevolenza dei soci (che sem- bra esserci, e trasversale) e nelle sue doti imprenditoriali. E anche gli utenti dell’aeroporto si affidano alle stesse speranze per risollevare le sorti di un aeroporto che, dopo i bot- ti della festa per l’inaugurazione del- la nuova aerostazione, sembra aver ripreso gli usi, pessimi, della vecchia gestione dei servizi. Mds Alfio Turrisi GIORNALE SICILIANO DI POLITICA, CULTURA, ECONOMIA, TURISMO, SPETTACOLO ANNO SECONDO Nº 15-16 NUMERO DOPPIO • 21 LUGLIO ~ 31 AGOSTO 2007 • b 1,50 DIRETTORE RESPONSABILE SALVO BARBAGALLO
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Page 1: A S b D S B Arsenico e vecchi merletti - lavocedellisola.it · l’aeroporto il cavaliere Mario Turrisi, presidente della Sielte, impresa di suc-cesso del settore delle telecomunica-zioni

di SALVO BARBAGALLO

Nella commedia estiva della politica cata-nese non ci sono le candide vecchietteche animarono nel 1944 il memorabile

film “Arsenico e vecchi merletti”; non c’è inquesta estate bisex un regista della portata diFrank Capra a dirigere l’impagabile giornalistaGary Grant, che non riesce a convolare a giustenozze, immerso in una surreale realtà familiaredove i cadaveri si sprecano; non c’è neanche ilformidabile Peter Lorre, nei panni di un mediconazista, né tantomeno il forsennato che si crede-va essere il presidente degli Stati Uniti.

A Catania Frank Capra avrebbe potuto am-bientare un altro tipo di commedia: i personagginon mancano, le trame neanche. Abbiamo fattoriferimento al vecchio “Arsenico, eccetera” per-ché di veleno in questo periodo ne sta circolandoin grande quantità a Catania, ed anche perché,tutto sommato, diversi protagonisti di questaestate politica potrebbero ben identificarsi neipersonaggi creati da Frank Capra. Basta soloprestare attenzione a ciò che dicono e fanno persedersi in poltrona e godersi lo spettacolo. Meta-fore a parte, vediamo cosa c’è di tanto elettriz-zante da attirare l’attenzione anche dei più sprov-veduti: una lotta senza quartiere fra alleati dellaCdl.

Cosa stia accadendo veramente all’interno del-la Casa delle Liberta (da Forza Italia, all’Mpa, adAn) non è facile capire, ma di certo (stando alleapparenze, e ciò che appare non sempre rispondeal vero) c’ che è battaglia aperta fra il senatorePino Firrarello, leader di Forza Italia nella pro-vincia etnea, e Raffaele Lombardo, leader nazio-nale del Movimento per l’Autonomia, e di con-seguenza i due schieramenti “alleati” si trovanoin netta contrapposizione.

La dichiarazione di guerra è stata presentataufficialmente il 6 luglio scorso durante il Con-gresso provinciale di Forza Italia: Firrarello inpersona, nel suo intervento, ha ribadito, senzapeli sulla lingua, riferendosi al Mpa che il mo-mento di cambiare rotta, che il momento di dire“basta con questo modi di fare politica per il po-tere”. Il senatore non si è risparmiato: “Nel 2003abbiamo dato la nostra adesione per la candida-tura alla Provincia di una persona che noi ritene-vamo intelligente. Non pensavamo però che ilpotere potesse portare questa persona a perderel’equilibrio”.

La “persona” citata, della quale mai è statopronunciato il nome, evidentemente corrispondeall’attuale presidente della Provincia RaffaeleLombardo. E di motivi di rancori Forza Italia (oFirrarello che dir si voglia) ne ha tanti: basti pen-sare gli assessori provinciali e comunali che daForza Italia sono transitati nelle fila dell’Mpa;

basti pensare al “controllo” esercitato in enti pic-coli e grandi. Inevitabile, per Firrarello e ForzaItalia, dire che per le prossime elezioni provin-ciali la poltrona di presidente non può esseremantenuta dall’esponente del Mpa:

Raffaele Lombardo, da parte sua, non replica,ma per lui si esprime l’assessore regionale LinoLenza: “Se Forza Italia ritiene Lombardo un dit-tatore, che esca dalla Provincia”.

Butta acqua sul fuoco il coordinatore cittadinodi Forza Italia, senatore Guido Ziccone: “Per ilbene di Catania, bisogna riportare la serenità: oc-

corre una discussione seria fatta fra persone se-rie”. Giorni prima di questa apertura di ostilità,altro attacco aveva subito Raffaele Lombardo daparte della Triplice, Cgil, Cisl e Uil, in merito avicende riguardanti la Sac, la società di gestionedei servizi dell’aeroporto di Fontanarossa; attac-co che ha indotto a Procura della Repubblica diCatania ad aprire un’indagine conoscitiva.

Sta di fatto che alla Sac, dopo mesi di ritardo,viene eletto il nuovo Consiglio d’amministrazio-ne e un nuovo presidente, l’imprenditore AlfioTurrisi, e il presidente “uscente” Stefano Maria

Ridolfo, scaduto come lo stesso Cda alla fine diaprile scorso, si è visto costretto l’8 luglio ad ab-bandonare una poltrona nella quale sperava di re-star seduto ancora per lungo tempo.

L’Mpa ha denunciato la “campagna di odiocontro Lombardo”: una “campagna” che oggi siè affievolita, riportando (sempre almeno in appa-renza, e quel che appare non è sempre vero) lediatribe nell’ordine della normale routine.

Come detto in apertura: veleni d’estate, arseni-co e vecchi merletti: tutto nella “logica” delle co-se di Catania…

In tutte le edicolee anche via internet

www.lavocedellisola.itInformazioni: [email protected]

Lettere: [email protected]

Catania: estate senza ferie per i politici della Cdl che si somministrano veleni a vicenda

Arsenico e vecchi merletti

Cambio in notturna del presidente e del Cda della Sac

Gestione aeroporto, tutto ok con Alfio Turrisi?Come in un film di John Landis,

il cambio del presidente dellaSac è stato fatto “Tutto in una

notte”. Il neosindaco di San Micheledi Ganzaria Stefano Ridolfo ha ab-bandonato la plancia di comando ed èstato sostituito durante il week end, uncomportamento che più d’uno ha fattosomigliare ad una sorta di fuga dauna nave che stava cominciando amostrare qualche falla di troppo o, co-me altri malignano, un atteggiamentoalla stregua di una sostituzione in cor-so di un allenatore che ha portato ri-sultati ampiamente insufficienti per lasalvezza della propria squadra. Sta difatto che, finita la festa per l’inaugu-razione del nuovo aeroporto (a propo-sito, magari sarebbe il caso di toglieremanifesti e bandiere che ricordanoancora l’appuntamento tenutosi qual-che mese fa) dopo mesi di distinguo,frenate e diatribe si è giunti, a sorpre-sa (ma solo per i distratti e chi ha po-ca memoria), a scegliere come guidadella società per azioni che controllal’aeroporto il cavaliere Mario Turrisi,presidente della Sielte, impresa di suc-cesso del settore delle telecomunica-zioni applicate. C’è da dire che si trat-ta di un’ipotesi che era circolata an-che nelle prime ore successive all’ar-rivo di Pietro Agen alla presidenzadella Camera di Commercio. Un nomenon imprevisto, sebbene lo stesso Tur-risi ci abbia tenuto a far sapere, nelleprime dichiarazioni successive allasua elezione, “Di tutto quello che è

successo alla Sac in questi giorninon sono molto informato, perchéper scelta, da quasi un anno non misono voluto interessare dell’aeropor-to”. Buon esempio di excusatio nonpetita…

Al nuovo presidente toccherà ri-solvere le magagne esplose nelle ul-time settimane, che hanno provocatopiù di una protesta, sia dei lavorato-ri, che degli utenti dell’aeroporto.Una serie di questioni legate a filodoppio. Infatti è chiaro che, ad esem-pio, le lentezze riscontrate da chi ar-riva e da chi parte dal Filippo Ere-dia (a proposito, ci sarà anche laquestione del nome dell’aeroportoda risolvere una volte per tutte) sonolegate al numero di persone in servi-zio che, ad esempio, svolgono i lavo-ri di controllo dei passeggeri in par-tenza, un numero esiguo ed insuffi-ciente a coprire i momenti di trafficopiù intensi che in queste settimanestanno giungendo allo zenith. Un ti-po di problemi che il nuovo presiden-te si troverà ad affrontare sperandonella benevolenza dei soci (che sem-bra esserci, e trasversale) e nelle suedoti imprenditoriali. E anche gliutenti dell’aeroporto si affidano allestesse speranze per risollevare lesorti di un aeroporto che, dopo i bot-ti della festa per l’inaugurazione del-la nuova aerostazione, sembra averripreso gli usi, pessimi, della vecchiagestione dei servizi.

MdsAlfio Turrisi

GIORNALE SICILIANO DI POLITICA, CULTURA, ECONOMIA, TURISMO, SPETTACOLO

ANNO SECONDO Nº 15-16 NUMERO DOPPIO • 21 LUGLIO ~ 31 AGOSTO 2007 • b 1,50

DIRETTORE RESPONSABILE SALVO BARBAGALLO

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2 LA VOCE DELL’ISOLA21 luglio-31 agosto 2007

di MARCO DI SALVO

La trasformazione della Dichiara-zione di Cape Town (sullo sradi-camento della povertà, lo svilup-

po sostenibile e la difesa dell’ambien-te) in un documento ufficiale dell’Onue un prossimo, imminente appunta-mento al Palazzo di Vetro a New York,per definire un’azione sinergica suiproblemi più urgenti da affrontare.

Sono i due risultati concreti che ilpresidente della Cibjo (The world je-wellery confederation), il cataneseGaetano Cavalieri, ha ottenuto dopoavere incontrato nei giorni scorsi il se-gretario generale dell’Onu. L’incontroè avvenuto al Palazzo delle Nazioni(sede dell’Onu a Ginevra), nell’ambitodella sessione ministeriale del Consi-glio economico e sociale delle NazioniUnite (Ecosoc), svoltasi nei primigiorni di luglio, alla quale è stato invi-tato a intervenire anche il presidenteCavalieri.

Da anni la Confederazione mondialedei gioiellieri si batte per l’abbattimen-to della povertà nei Paesi in via di svi-luppo (soprattutto nel Sud dell’Africa)e per la tutela di donne e bambini, conla strategia diretta di rifiutare nell’am-bito del commercio internazionale idiamanti provenienti da guerre e con-flitti e considerati, dunque, “merce in-sanguinata”.

Sotto la presidenza dell’imprendito-re catanese la Cibjo si è impegnata suscala mondiale sulla problematica digrande attualità della responsabilitàsociale delle imprese, che hanno assi-milato un particolare codice etico cheimpedisce lo sfruttamento di bambini edonne nel ciclo lavorativo, la destina-zione di parte degli utili in attività so-ciali quali, ad esempio, al realizzazio-ne di scuole e il finanziamento di corsidi formazione professionale e la com-patibilità della produzione con la tuteladell’ambiente.

Tutto ciò è ispirato al rispetto deidieci principi delle Nazioni Unite(United nation millenium declarationdel 2000) per lo sviluppo sostenibileche produce effetti di pacificazione so-ciale e, di conseguenza, rende contri-buisce a rimuovere le cause di conflittitra nazioni o tra aree più e meno svi-luppate dello stesso paese.

Il Segretario Generale si è compli-mentato dell 'azione svolta daCIBJO,The World Jewellery Confede-ration e del suo Presidente ed ha com-mentato con molto interesse la Dichia-razione Di Cape Town che il Segreta-rio ha ricevuto e recepito ed è diventa-to Documento Ufficiale dell'ONU se-condo il paragrafo 30 e 31 della risolu-

zione 1996/31 del Consiglio Economi-co e Sociale (ECOSOC). La dichiara-zione di Cape Town parla dello sradi-camento della povertà, dello svilupposostenibile,dell'ambiente con il soste-gno del Protocollo di Kioto e di comeCibjo ha svolto la sua azione nei paesiin via di sviluppo come la parte Suddell'Africa attraverso la creazione diOspedali, Scuole, e l’interessamentonei confronti della tutela delle condi-zioni dei bambini e delle donne.

Grazie agli associati a Cibjo è statacoordinata un'azione mirata a creareposti di lavoro tale che si è creata inquesti paesi un forte incremento dellecondizioni di vita di cui hanno benefi-ciato diverse migliaia di famiglie.

Il Segretario Generale ha dato ap-puntamento al Dr. Gaetano Cavalierial Palazzo di Vetro (quartier generaledell'ONU di New York) per definirel'azione comune da intraprendere sunuovi progetti esposti a Ban Ki Moon.“Il segretario generale delle nazioniUnite. ha espresso il suo appoggio allosforzo del CIBJO a questo propositoed ha sottolineato la necessità di im-piegare e rinforzare tutti gli strumentiatti ad assicurare la Comunità interna-zionale sul fatto che i diamanti ed altriprodotti del nostro settore sono beni dipace” ha sottolineato Cavalieri in unadichiarazione alla fine dell’incontro.

Uno sforzo che la Cibjo sta com-piendo da anni visto che si tratta del-

l’unica organizzazione di imprese nelmondo che ha visto riconosciuta la suapressante e continua azione a difesadel consumatore, della responsabilitàsociale delle imprese, dell’ambiente edell’etica, ottenendo lo Special Con-sultative Status, ovvero lo status di“consulente permanente” sui temi so-ciali ed economici presso l’EcoSoc, ilConsiglio Economico e Sociale delleNazioni Unite. Questo ruolo consulti-vo e di supporto su temi di caratteresocio-economico e legati alla respon-sabilità sociale di impresa si esercita inseno al DESA, il Dipartimento di Eco-nomia e Studi Sociali dell’ONU, che sirapporta direttamente con il segretaria-to generale delle Nazioni Unite e rap-presenta un'interfaccia vitale fra le po-litiche globali nelle sfere economiche,sociali ed ambientali.

Fondata a Parigi nel 1926 allo scopodi rappresentare gli interessi dell’inte-ra filiera dei preziosi, dall’estrazionemineraria alla produzione fino al com-mercio, nel panorama europeo, dal1961 la rifondata CIBJO presiedutadall’italiano Dr. Gaetano Cavalieri,opera per promuovere la cooperazioneglobale degli operatori del settore neirapporti istituzionali con i Governi,con l’Organizzazione Mondiale delCommercio, per favorire e facilitaregli scambi a livello internazionale. Perrealizzare questi importanti obiettivi laConfederazione conta sull’iniziativa ela partecipazione delle oltre quarantanazioni aderenti e, per l’Italia, la Conf-commercio Nazionale.

Tra essi vengono nominati i delegatiche avranno il compito di rappresenta-re permanentemente la Confederazio-ne presso le sedi delle Nazioni Unitenel mondo (Ginevra, New York eVienna) e presso le cinque sedi econo-miche d’area. Ciascun delegato dellaCIBJO fa inoltre parte di diritto delboard di tutti gli organismi delle Na-zioni Unite nel mondo.

Il presidente Gaetano Cavalieri incontra il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon

La Cibjo conferma il suo impegnoin favore dello sviluppo sostenibile

Rinnovata attenzione ai temi ambientali anche nel settore estrattivo

Giornale Sicilianodi politica, cultura,

informazione, economia,turismo, spettacolo

Iscritto al n° 15/2006dell’apposito Registro

presso il Tribunale di Catania

EditoreMare Nostrum Edizioni Srl

Amministratore delegatoFrancesco Dato

Direttore responsabileSalvatore Barbagallo

RedazioneCatania - Via Distefano n° 25

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Anno II, nº 15-16Numero doppio

21 LUGLIO ~ 31 AGOSTO 2007

Gli articoli rispecchianol’esclusivo pensiero

dei loro autori

Dichiarazione della Confederazione mondiale della gioielleria (Cibjo) all’Onu

Sviluppare la cooperazione fra i PaesiIl segretario generale dell’ONU, Ban ki

Moon, ha ricevuto la seguente declaratoriache è scritta in conformità con i paragrafi

30 e 31 della risoluzione 1996/31 del Consiglioeconomico e sociale:

I membri della Confederazione mondiale del-la gioielleria, riuniti dal 12 al 15 marzo a Cittàdel Capo (Sudafrica), hanno approvato la se-guente dichiarazione che:

Conferma la funzione della Cibjo, organizza-zione non governativa riconosciuta come organoconsultivo dal Consiglio economico e sociale,che sottolinea tutti gli strumenti necessari perassicurare alla comunità internazionale che idiamanti e gli altri prodotti della gioielleria sono

utili per la pace, celebra l’azione positiva, il dia-logo consistente e l’alleanza positiva stabilità trai suoi membri al fine di creare un settore mon-diale della gioielleria responsabile e sostenibile,ricorda la risoluzione 55/2 dell’assemblea gene-rale delle Nazioni Unite intitolata “Dichiarazio-ne del millennio” che indica gli altri obiettivi daraggiungere nel millennio in corso.

Riconosce la funzione del Processo di Kim-berly, frutto della cooperazione fra i vari settoriper un’azione che costituisca un passaggio effi-cace al fine di assicurare il compimento di nor-me sociali per i consumatori del settore; consi-derare che il codice etico della Confederazionemondiale della gioielleria è uno strumento auto-

rizzato per il rispetto delle responsabilità etichee sociali per le imprese del settore; sottolineal’importanza del patto mondiale che impegna ifirmatari che riconoscono i principi dell’ONU,relativi ai diritti umani, alla difesa dell’ambientee contro la corruzione, dichiara:

1) l’impegno della Cibjo rispetto al tema dellesessioni del Consiglio economico e socialeimpegnato a sradicare la povertà medianteun’alleanza mondiale a favore dello svilup-po;

2) la funzione che riveste il settore della gioiel-leria e la promozione delle responsabilità so-ciali delle imprese, elaborando programmi afavore del settore produttivo, un lavoro di-gnitoso e uno sviluppo sostenibile,

3) la volontà della Cibjo di assicurare ai proprimembri il rispetto delle iniziative sopra elen-cate per creare un settore sostenibile in con-formità con il programma dell’ONu

4) il riconoscimento dell’importanza che rivestela ratifica del Protocollo di Kyoto come partedell’impegno a collaborare per la promozio-ne dello sviluppo sostenibile

5) l’impegno dei suoi membri a seguire il pro-gresso avviato su un processo di sviluppo so-stenibile, ad informare sull’esperienze e suirisultati ottenuti nel prossimo congresso e neicongressi futuri

6) il riconoscimento che il settore dei gioielli inquanto componente della comunità imprendi-toriale internazionale comporta la responsa-bilità di contribuire ad una società migliorericercando soluzioni pratiche per lo sradica-mento della povertà estrema tramite la con-certazione delle strategie mondiali per lo svi-luppo.

Gaetano Cavalieri (al centro con il segretario generale dell’Onu Ban Ki Moon) e i membri della delegazione Cibjo

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3LA VOCE DELL’ISOLA21 luglio-31 agosto 2007

di MARCO MARTURANO

Una vecchissima massima delgiornalismo narra che non fanotizia il cane che morde l’uo-

mo ma fa certamente notizia eccomel’uomo che morde il cane.

Ecco, nelle settimane scorse la noti-zia ha saputo farla sicuramente SilvioBerlusconi tanto quanto prima era sta-to proprio lui a regalare a Walter Vel-troni il meglio della sua performancedi lancio della candidatura a leader delPartito Democratico.

Uno degli ultimi periodi, così diffi-cili per il Governo Prodi e così a ri-schio di essere la terza settimana di se-guito in cui l’agenda mediatica eradettata dal sindaco di Roma, è diventa-to il momento in cui Berlusconi si è ri-preso il pallino del dibattito su giornalie tv. E, soprattutto, ha lavorato ai fian-chi, giocandosela tutta come suo soli-to, le debolezze più percepite del suoavversario oggi più pericoloso, perchéin piena fase di innamoramento inizia-le con il popolo del centrosinistra chec’è e con quello che ci potrebbe esse-re.

Come? Berlusconi, forse tarando leproprie scelte comunicative anche su-gli errori di demonizzazione della set-timana dell’evento torinese di Veltroni,ha scelto la strada del gioco sui dueveri punti deboli del lanciatissimo Sin-daco romano.

Primo, il Cavaliere ha scelto di acce-lerare, proprio adesso che Veltronisembrava poter dare una nuova linfa alGoverno, l’attacco esplicito alla con-quista dei senatori centristi/riformistidella maggioranza che potrebbero es-sere determinanti per far cadere Prodie che comunque sono fondamentaliadesso per rendere ancora più chiaraall’opinione pubblica la difficoltà diconciliare, Veltroni o non Veltroni, lasinistra con le riforme. Lo scalone èovviamente solo l’esca per dare un’ali-bi ai senatori decisivi per l’operazionedi Berlusconi, ma è evidente che ilmessaggio forte è “Non c’è Veltroniche tenga, il centrosinistra non è ingrado di governare fisiologicamente,almeno finchè ci sarà la sinistra”. Di-ciamo che naturalmente le posizionidella sinistra della maggioranza equelle dei senatori in questione li ren-dono le spalle ideali per questa strate-gia comunicativa e, in seconda battuta,politica, ma il protagonista assoluto èsicuramente Berlusconi sia per i tempiperfettamente antiveltroniani scelti siaper i modi che, in questo caso, demoli-scono Veltroni senza attaccarlo diretta-mente.

Secondo, il leader di Forza Italiagioca su un suo terreno classico e sem-pre efficace e lo fa per mettere in risal-to una caratteristica di Veltroni che neha fatto un personaggio e insieme loha parzialmente indebolito. Berlusconiha scelto, cioè, di riprendere il suo co-stume da supereroe del popolo populi-sta e “incazzato”, quello che aveva ge-nerato un piccolo successo nel rush fi-nale della campagna 2006. Vi ricorda-te? I ciglioni. Ecco, Berlusconi ripren-de quel personaggio con quei toni equel linguaggio più vicino a Borghezioo Prosperini che a Angela Merkel oGeorge Bush. E lo fa, lanciando la ma-nifestazione per le elezioni anticipatecon 5 milioni di persone in piazza (an-che se poi Berlusconi due volte su duea colloquio da Napolitano le elezionianticipate non le ha mai chieste). Lo faparlando della sua difficile resistenzanei faccia a faccia del 2006 alle “stron-zate di Prodi”. Lo fa nel suo show allatv della libertà in una sfida tra maestroe allieva di populismo mediatico conla mitica Michela Vittoria Brambilla. Econ questo ottiene due risultati in unavolta sola, tutti contro Veltroni. In pri-mo luogo, riprende su di se la vittimiz-zazione a lui tanto cara di tutto il cen-trosinistra e di una parte di centrode-stra sulla sua presunta incontentinenzaverbale, riconquistandosi ancora di piùle simpatie del vasto popolo di italianiantipolitica che amano quel linguaggioe negli attacchi che la politica fa aBerlusconi perché lo usa trovano una

ragione in più per sostenerlo. In secon-do luogo, il Presidente del Milan esaltacon il suo personaggio “cattivo” lamorbidezza del Veltroni storicamentebuonista.

Del Veltroni non solo delle fiurinePanini e dell’Africa ma anche e so-prattutto di quello oggi candidato aguidare il PD e il Paese sulla base diun nuovo bipolarismo mitissimo. Tan-to che Veltroni stesso, non reagendoalle provocazioni del Berlusconi catti-vo, rafforza l’idea del buonismo cheBerlusconi gli vuole ritagliare addos-

so. Quel buonismo che grondava peresempio dalla lettera che il Sindaco diRoma ha scritto ad Affari Italiani in ri-sposta alle migliaia di auguri arrivatiper il suo compleanno. Diciamo cheBerlusconi legittima su questa strada ilbipolarismo delle primarie del PD:quello tra buonismo e cattivismo.

Insomma dopo la Coppa America,anche il match race tra Silvio e Walterci sta offrendo molte emozioni sul filodei secondi. E alla fine forse vinceràquello che riuscirà di più a far mordereil cane più che l’uomo.

Berlusconi alla conquista dei senatori che potrebbero essere determinanti per far cadere Prodi

Cattivismo berlusconiano, buonismo veltroniano Non fa mai notizia il cane che morde l’uomo

Il leader di Forza Italia gioca su un terreno classico ed efficace

Per il Meridione il miraggio di un vero benessere mai realmente conosciuto

Nuova 500, pezzo di storia da ricordaredi FRANCO LOMBARDO

Son passati più di 50 anni da quando una dellepiù importanti case automobilistiche delmondo, sicuramente la più importante in Ita-

lia, ha messo sul mercato una delle più belle, pra-tiche ed economiche autovetture: la 500! In quelmomento storico, di grande ripresa economica do-po una devastante e cruenta seconda guerra mon-diale, questa macchina ha rappresentato per tuttoil popolo italiano un simbolo, una voglia di riscat-to, un momento importante anche dal punto di vi-sta sociale, poiché in effetti questa utilitaria davala possibilità anche ai cittadini meno abbienti divedere realizzato un sogno: l’auto non era più unbene di lusso destinato solo ai ricchi, ma anche glioperai e gli impiegati potevano averne una! È ilmomento dell’industrializzazione, della convergen-za di tutte le grandi fabbriche nel nord della peni-sola: Breda, Falk, Pirelli, Marelli, Fiat, Lambor-ghini, Maserati, Alfa Romeo, e decine di altregrosse industrie collegate con un indotto produtti-vo alle grandi aziende leader. È il boom economi-co! È il momento in cui le aziende hanno bisognodi tanta mano d’opera ed il nord non riesce a sod-disfare tale enorme esigenza (ricordiamoci che altempo la tecnologia ed i processi produttivi nonerano quelli di oggi, non esistevano i robots e le li-nee di produzione erano meccaniche o elettromec-caniche); si attiva in quel modo, anche con unamirata programmazione politica, una grossa emi-grazione di manovalanza dal sud verso il nord,dalla miseria e spesso indigenza, verso il miraggiodi un vero benessere mai realmente conosciuto.

Si incominciano a svuotare le campagne, mentrela Cassa del Mezzogiorno continua a foraggiareinutili progetti di rilancio del Sud e delle Isole. Lospecchietto per le allodole. Nessun vero progetto èstato mai completato,l’agricoltura è stata traditadagli accordi romani con altri Paesi produttori(consenzienti, come sempre, i nostri politici locali),le vere risorse naturali, soprattutto della Sicilia,mai sfruttate, utilizzate, trasformate in prodotti daimmettere sul mercato regionale e nazionale. Nien-te di tutto questo! Solo emigrazione! Non era poistrettamente necessario fare investimenti produttiviin Sicilia poiché il vero prodotto che questa terrapoteva dare era la manod’opera.

Cresce sempre più il divario nord-sud e mentrele città del nord si trasformano in metropoli, le cit-tà ed i paesi del sud si svuotano (è un fenomenoancora attuale). Occorre a questo punto dare unavera risposta programmatoria al popolo meridio-

nale, non è più accettabile che i grossi impianti in-dustriali siano ubicati sempre al nord, occorrebloccare o ridurre l’emigrazione; ecco che a que-sto punto nascono i grossi impianti di Gela, Prio-lo, Termini Imprese, Milazzo, Augusta; nascono leraffinerie, le centrali elettriche (per produrre mi-gliaia di megawatt per i fabbisogni del nord)chesicuramente riducono notevolmente la disoccupa-zione, ma gli effetti ambientali sono un disastroproducendo danni ecologici e gravissime malattie(quasi una pandemia).

Potremmo continuare all’infinito a denunciare igravi danni arrecati al popolo siciliano, forte diuna Autonomia mai applicata, potremmo aggiun-gere che in grandi momenti di crisi del settore au-

tomobilistico, non solo tanti meridionali sono do-vuti rientrare al paese di origine (ormai non servi-vano più), ma la Fiat d’accordo con sindacati egoverno metteva gli operai in cassaintegrazione,così il costo restava e resta a caricodi tutti i cittadini (compresi i meridionali beffatidue volte) e la casa automobilistica manteneva in-tatti gli utili. Bisogna veramente affermare che inbuona compagnia di altri soggetti più o meno noti,Agnelli e Lama sono stati dei geni!

Era doveroso ricordare questo importante pas-saggio storico della nostra Italia, così come è im-portante e doveroso essere fieri che comunque l’in-dustria automobilistica italiana sta avendo un mo-mento di riscatto, è entusiasmante vedere anche igiovani interessati a questo nuovo (vecchio nel no-me)modello di auto, ma occorrerebbe loro inse-gnare la vera storia dell’industria italiana, perchénon è tutto poi così semplice come appare (cometante altre non verità di Stato: Garibaldi ne è l’e-sempio). Abbiamo visto il Capo dello Stato guidarela nuova 500, che si ricordi anche Lui, politico deltempo che fu, che quest’auto è un prodotto nazio-nale, non solo piemontese,e che forse qualche suocomponente e stato assemblato e costruito daqualche Siciliano che avrebbe preferito non lascia-re mai la terra d’origine.

Silvio Berlusconi

Walter Veltroni

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4 LA VOCE DELL’ISOLA21 luglio-31 agosto 2007

di GUGLIELMO ALTAVILLA

Le vergognose condizioni dellenostre strade e delle nostre città,che stanno letteralmente scop-

piando di spazzatura, ci portano, anco-ra una volta, a parlare di smaltimentodei rifiuti. Nello scorso numero abbia-mo lanciato una nostra proposta cam-biare lo stato delle cose: privatizzaretotalmente la gestione dei rifiuti facen-do si che i cittadini si vendano la pro-pria spazzatura alle società private chepoi la rivenderanno ai termo-valoriz-zatori, per la parte organica, ed alle so-cietà di produzione (alluminio, plasti-ca, vetro, carta) come materia primasecondaria. A sostegno dell’impossibi-lità di continuare a considerare losmaltimento dei rifiuti un problema dafare gestire alla pubblica amministra-zione vi presentiamo i risultati di unostudio condotto da CittadinanzaAttiva,un’importante associazione a tutela deicittadini e dei consumatori. Questostudio è basato su dati pubblici fornitidall’Apat (Agenzia per la protezionedell’ambiente e per i servizi tecnici),un agenzia del governo. I dati sonoimpietosi e rivelano un’agghiaccianteverità: il valore medio della tassa dismaltimento è maggiore dove i servizisono peggiori! Tutto ciò in barba al ri-spetto del contribuente e della morali-tà. Ma procediamo con ordine. Secon-do i dati dell’Apat nel 2005, in Italia,si sono prodotte, complessivamente,32 milioni di tonnellate di rifiuti conun incremento del 1,6% rispetto al2004. Ovviamente non tutte le regionihanno lo stesso tasso di produzione dirifiuti in quanto questo dipende daltasso, differente, di presenza di indu-stria, commercio, turismo ed abitazio-ni private. Oltretutto la produzione dirifiuti è fortemente influenzata dal tipodi gestione del rifiuto che si applicanel territorio. Ad esempio in Lombar-dia vi è un fabbisogno di discarica del29% e questo significa che di tutti i ri-fiuti prodotti in Lombardia solo il29%, in media, ha bisogno di andare indiscarica.

In Sicilia, invece, abbiamo un tassospaventoso di fabbisogno di discarica,pari al 93%. A confermare questi datisi possono osservare le percentuali re-lative alla raccolta differenziata. Se-guendo il nostro esempio abbiamo il42% in Lombardia ed il 5% in Sicilia.Appare del tutto evidente che le stradesiciliane scoppino di spazzatura; tuttova in discarica e gli spazi, legali si in-tende, destinati a tale uso sono semprepiù limitati e, quindi, costosi. Ma biso-gna anche capire, nello specifico, co-me questo sistema di gestione dellosmaltimento di rifiuti vada ad incideresulla tassa che tutti noi andiamo a pa-gare al comune. Attualmente tutti i cit-tadini siciliani proprietari di immobilipagano la Tarsu (Tassa smaltimento ri-fiuti solidi urbani) che è commisurata,per il cittadino, alla superficie in metriquadri dell’immobile. Per ogni metroquadro il comune di riferimento deveelaborare una cifra che deve essere de-terminata in base a due fattori: il costocomplessivo del servizio di smalti-mento rifiuti, quantità media ordinariadi rifiuti producibili dalla superficie inquestione. Ma attenzione, i comunihanno un obbligo: coprire con la Tarsualmeno il 50% del costo complessivodel servizio. Esistono delle derogheche portano tale limite al 70% (comunistrutturalmente in difficoltà finanzia-ria) ovvero al 100% (comuni in disse-

sto finanziario). Questo significa cheun comune con il bilancio sano potreb-be scegliere di coprire in parte, fino al-la metà, i costi del servizio e non scari-carlo interamente sui cittadini. In Sici-lia, dove i bilanci comunali non si tro-vano nemmeno a pagarli a peso d’oro,non è democraticamente possibile ca-pire come i nostri amministratori agi-scono su questo balzello “immondo”.All’importo per ogni metro quadro vaaggiunta un’addizionale erariale del10% ed una provinciale fino ad unmassimo del 5%. Anche questo è unaltro scandalo tributario. Non si capi-sce perché l’erario, debba prendersi il10% di “pizzo” sulla tassa per un ser-vizio. Si vuole ricordare ai nostri letto-ri che una tassa è tale perché la si pagaper usufruire di un particolare serviziopubblico ed è, quindi, mirata al servi-zio stesso. L’addizionale del 10% chesi prende l’erario (il Ministero delleFinanze per intenderci) che cosa c’en-tra con il servizio di smaltimento deirifiuti? Ma ancora di più che cosac’entra un ulteriore 5% aggiuntivo perla provincia? Non ci pare che la pro-vincia faccia qualcosa per cui maturi ildiritto ad incassare queste somme. Nelcaso del comune di Catania è stata fis-sata una tariffa, per il 2006, di 2,08 per ogni metro quadro (Enna addirittu-ra arriva a 3,03 ) per cui una apparta-mento di cento metri quadri produceuna tassa di 208 . A questi bisogna

aggiungere il 10% per l’erario (20,8 )ed il 5% per la provincia (10,4 ) perun totale di poco più di 239 . Se con-sideriamo la qualità del servizio pen-siamo proprio che si tratti di uno scan-dalo, non ci sono altre parole. Ad ag-gravare la situazione possiamo regi-strare che Catania e Palermo sono staticomuni che hanno fatto registrare i piùalti incrementi del valore della Tarsudal 2005 al 2006.

In particolare il comune di Catania

ha aumentato la tassa del 37,5% dal2005 al 2006, per non parlare di Paler-mo che ha visto un aumento addirittu-ra del 75%. I valori della Tarsu pagatidai cittadini siciliani sono fra i più altiin Italia e l’appartamento di 100 metriquadri, come media siciliana, paghe-rebbe 244 .

Nel Molise tale importo è di 118 .Forse i molisani controllano meglio laloro spazzatura. Vorremo chiedere aidirigenti pubblici siciliani, che prendo-no centinaia di migliaia di euro l’annoper gestire lo smaltimento dei rifiuti,come mai in Lombardia, dove il servi-zio è abbastanza efficiente e c’è moltouso di raccolta differenziata si pagauna tassa media di 184 mentre in Si-cilia dove il servizio fa pietà se ne pa-gano, ripetiamo, 244 .

Il Presidente Cuffaro ritiene che lacostruzione dei termo-valorizzatori(affidata però al gruppo Falck, milane-se manco a dirlo) risolverà “magica-mente” ogni problema ed in questo èassistito da tutta la stampa di regime.Di raccolta differenziata e privatizza-zione del servizio (seria non con gliAto che sono soltanto dispensatori dipoltrone per il sottobosco politico) nonse parla nemmeno ed, intanto, noi con-tinuiamo a pagare cifre iperboliche eda sentire una puzza proporzionale alloscadimento della politica: enorme.

Se, intanto, qualcuno rendesse i bi-lanci dei comuni consultabili facil-mente da tutti i cittadini sarebbe già unbuon segno.

Un dossier di Cittadinanzattiva sui rifiuti in Italia mostra la regione siciliana in difficoltà

Tassa alle stelle e gestione da stalleTariffe esose per lo smaltimento dei rifiuti

Con la media di 244 euro ad immobile è la seconda Tarsu d’ItaliaProspetto tassa media smaltimento rifiuti per immobile medio di 100mq (dati in aa)

Fonte: Cittadinanzattiva-Osservatorio Prezzi e tariffe 2007

Tabella scostamento % rispetto a tassa media nazionale 2006 (aa 206) – In rosso le regioniche superano la media nazionale, in blu quelle che stanno al di sotto

Fonte: Ns. elaborazione su dati Cittadinanzattiva-Osservatorio Prezzi e tariffe 2007

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5LA VOCE DELL’ISOLA21 luglio-31 agosto 2007

di FRANCO ALTAMORE

Nino Speziale, il ragazzo violen-to del Massimino, resta in car-cere. Ora è accusato anche del-

l’omicidio dell’ispettore Raciti. “È untrucco, un modo per tenerlo ancora incarcere…”, sostiene uno del suo quar-tiere. Se si divide idealmente in due lapopolazione, quella del benessere e delprivilegio (che si trova grosso modoad est di via Etnea, verso il mare) equella del malessere e della discrimi-nazione (quella che vive ad ovest, ver-so la piana) la prima metà sembra ave-re rimosso la tragedia dello stadio,mentre la seconda, non si rassegna. Ilpadre del ragazzo, operaio di buon li-vello, ha reagito con molto equilibrio:“Mio figlio ha sbagliato ed è giustoche paghi, ma deve essere punito perquello che ha fatto e non per quelloche assolutamente non ha fatto… miofiglio è il capro espiatorio dei fatti delMassimino…” Le indagini della scien-tifica sembrano dargli ragione; le feriteche hanno portato alla morte l’ispetto-re Raciti non sarebbero compatibilicon il tubo di scarico di lavabo cheSpeziale è accusato di avere usato percolpire la vittima.

Nel tam-tam del West Side catanesesi va diffondendo la versione secondola quale il ragazzo non verrà rilasciatosino a quando non rivelerà i nomi de-gli organizzatori e dei complici del-l’assalto ai poliziotti al Massimino.

Nelle fermate degli autobus, nei ca-pannelli agli incroci di via Plebiscito,nei bar dei quartieri popolari è tuttouno scambio di sussurri ed ammicca-menti. Nessuno vuole dare l’impres-sione di parlare troppo, ma ognuno ag-giunge un particolare o un commentoche dovrebbero aiutare a far venir fuo-ri la verità. “Prima hanno fatto finta dinon vedere e di non sentire, poi di col-po la polizia si èscatenata e i caru-si che si guada-gnavano da viveregliela vogliono fa-re pagare”. Quelloche le forze del-l’ordine primaavrebbero consa-pevolmente igno-rato è il piccolospaccio di sostan-ze stupefacenti inalcuni quartieri.“Che faccio, vadoa rubare o a farerapine? Non è me-glio spacciare, chenon faccio male a nessuno?”. È un la-voro… un commercio e non un delit-to”. ”Chi fa uso di droga lo fa per suascelta, non lo costringe nessuno…..ognuno coi suoi soldi fa quello chevuole…” Il piccolo spaccio, dunque,sarebbe, in mancanza d’altro lavoro,una vera e propria occupazione, l’uni-co modo per guadagnarsi da vivere,

come ai tempi del contrabbando di si-garette.

Nella città spezzata in due fra areadel privilegio e West Side dell’indigen-za, nella Milano del Sud sconvolta dal-la demolizione forzata dei quartieri po-polari del centro, umiliata dalla depor-tazione di migliaia di famiglie di arti-giani, commercianti ed operai verso lezone “popolari” dei casermoni in ce-

mento armato; nella metropoli che havisto l’ascesa irresistibile ed i crollorepentino dei “cavalieri del lavoro” ela depressione economica e occupazio-nale che ne è seguita; nella Cataniache nel mese di febbraio di ogni annosi stringe attorno alla patrona Sant’A-gata, la cui vicenda di persona ingiu-stamente incarcerata e martire viene

percepita come esperienza comune datanta parte dei suoi devoti; in questacittà può accadere anche questo: cheper rappresaglia contro la repressionedel piccolo spaccio vengono organiz-zate squadre per ngagghiare e malme-nare i poliziotti allo stadio.

Il messaggio è chiaro: tu rendi im-possibile il mio lavoro (tale è conside-rato il piccolo spaccio) e io rendo im-

possibile il tuo (latutela dell’ordinepubblico allo sta-dio.

Se fosse vera-mente come si dicenei capannelli, pen-sare che per risol-vere il problemabastano l’azione dipolizia, i processi eil carcere sarebbe,più che una illusio-ne, una vera e pro-pria follia. Cataniacontinua a mante-nere in Italia il pri-mo posto nella gra-

duatoria del tasso di criminalità mino-rile. È un record che dura da troppi an-ni, con la sostanziale indifferenza dellapolitica. L’ultimo uomo politico cata-nese di cui si ricorda l’impegno per laparte dolente della sua città fu Giusep-pe De Felice. È trascorso un secolo…

In queste condizioni il messaggio diFiumara d’Arte, con le sue festose

bandiere di speranza sui pali della lucenelle grandi arterie metropolitane delWest Side, è puntuale, ma rischia di es-sere effimero. Le bandiere scoloriran-no, si lacereranno e tutto tornerà comeprima. I ragazzini che le hanno dipin-te, diventati più grandi, ricorderannoquella esperienza come un episodiodell’infanzia, solo come un gioco.

Troppi di loro andranno a finire die-tro i cancelli della Bicocca o di PiazzaLanza; alcuni troveranno giusto vendi-carsi dei poliziotti ingaggiando col lo-ro altri scontri allo stadio.

Questo non può essere consentito.Bisogna riprendere le fila smagliate diquesta importante metropoli siciliana,ricominciando a parlare con tutti, contutto il tempo e la pazienza che occor-rono. Per dialogare proficuamente contutti occorre fare a meno - anzi proprioliberarsi - degli schemi politici sin orahanno articolato il potere locale; sitratta di bardature che non giovano aldialogo e possono soltanto creare altredivisioni.

Il generoso incoraggiamento deglielettori catanesi al movimento autono-mistico dell’onorevole Lombardo halanciato un messaggio molto preciso:si abbia cura innanzitutto della cittadi-nanza. A questa aspirazione si rispon-de non con diversivi, come la marciasu Roma per il ponte e il processo aGaribaldi, ma con impegni precisi e at-teggiamenti coerenti, di cui tutti peròsiamo ancora in attesa.

Intervista al neosindaco di Sant’Agata li Battiati, avvocato Carmelo Galati

“Darò a questa cittadina una vera identità civicaLombardo? Gioco forza si crea nemici ovunque...”

di GIUSEPPE FIRRINCIELI

Una sera di luglio, piuttosto calda per loscirocco che spinge afa umida verso ipaesi che formano l’altra Catania, stiamo

seduti l’uno di fronte all’altro nel terrazzino diuna mansarda, a Sant’Agata Li Battiati, a casadi Carmelo Galati, per parlare della sua nuovaavventura politica che lo ha portato con unamesse di voti, soltanto un mese addietro alla ca-rica di sindaco della cittadina etnea.

Carmelo Galati, affermato avvocato penalista,49 anni, tre figli sposato con la signora Anna,anche lei legale, dell’Avvocatura dello Stato, dal2000 vive a Sant’Agata Li Battiati e nello scor-so mese di aprile ha voluto cimentarsi in unacompetizione elettorale difficile, ritornando afar politica dopo le esperienze di ben due legis-lature, quale consigliere provinciale di Catania(la prima negli anni di mani pulite, dal 90 al 94,quando vide decimare giunta e Consiglio pro-vinciale dai colpi inferti dalla magistratura cata-nese, e l’altra con l’avvento della seconda Re-pubblica, dal 94 al 98) e poi ancora con incari-chi nel consiglio di amministrazione della Sidra,prima, e nel consiglio di amministrazione del-l’Ato 3, dopo.

Sorseggiando una limonata, piuttosto frescaper mitigare la calura, l’avvocato Galati era ri-tornato da poco dal palazzo comunale, doveaveva avuto una serie di riunioni con l’esecutivoe dopo la sua estenuante giornata di lavoro daprofessionista legale, e possiamo dire che nonmostrava segni di stanchezza, ma anzi esprime-va una carica di energia per tutto quello chevuole iniziare subito a fare come amministratoredel suo Comune.

I suoi occhi facevano trasparire un senso disicurezza su come affrontare le problematichesociali della sua cittadina ed anche una ferreavoglia di fare.

Sindaco, la sua candidatura è uscita dal ci-lindro dell’on. Lombardo, visto che è un suofraterno amico da tantissimi anni?

No, assolutamente no! Il mio rapporto di ami-cizia con il presidente del Mpa è tale che non miavrebbe mai imposto qualcosa senza la mia vo-lontà, anzi posso dire che la voglia di spenderminuovamente in politica è scaturita dal coinvolgi-mento e l’insistenza di amici, professionisti,colleghi, imprenditori ed esponenti della societàcivile, e siccome io faccio parte del Movimentoper l’Autonomia ho trovato la massima disponi-bilità per il sostegno politico e non solo, visto

che molti altri partiti dell’area del centro destrasono confluiti nel mio progetto.

Mi permette di rivolgere all’amico dell’on.Raffaele Lombardo questa domanda: l’emer-gente leader del Mpa, negli ambienti politicisiciliani, viene definito, autoritario, prepoten-te e il suo modo di fare politica indicato comedittatoriale. L’onorevole Lombardo, si affer-ma, impone scelte a tutti, tanto è vero che sicrea nemici ovunque. E d’accordo con questigiudizi?

Un uomo politico che lascia un partito centra-lista al massimo, come l’UDC, perché si rendeconto che la Sicilia merita ben altro e non puòsottostare alle briciole che ogni tanto Roma as-segna a quest’Isola, gioco forza deve necessa-riamente crearsi un consistente numero di con-sensi e la politica la deve condurre in modo se-rio proprio per non rimanere schiacciato dai po-teri forti. Ed ecco che il modo determinato dicondurre l’azione politica lo fa apparire intran-sigente. Parliamoci chiaro, nell’ultimo mezzosecolo, quale uomo politico sicilianista è sopra-vissuto dopo qualche anno? Nessuno! Se Lom-bardo non usasse una linea seria e consistente,non conducesse una battaglia politica d’identitàgiorno per giorno, se non cercasse giorno pergiorno consensi, diventerebbe vulnerabile e tut-to quello che ha fatto lo vedrebbe crollare inmen che non si dica; di già lo avrebbero distrut-to politicamente. Per forza di cose deve esserecosì, perché se non ha un bagaglio di consensinon avrà mai poteri contrattuali, a difesa dellanostra Isola.

Sant’Agata Li Battiati ha avuto negli ulti-mi anni parecchi problemi nella conduzionedella cosa pubblica per i perenni litigi fra lecomponenti partitiche di maggioranza ed èper questo che non ha registrato uno svilup-po piuttosto adeguato alle esigenze di una cit-tadina definita “zona dormitorio”.

Si è vero! Sant’Agata Li Battiati è una zonadormitorio di lusso e l’obiettivo di questa miaamministrazione è quello di dare alla cittadinaun’anima, una identità civica che deve esseresuffragata da una propria realtà culturale, di pro-gresso scientifico, di confronto con altre realtàurbane; in buona sostanza dobbiamo creare unarealtà capace di dare risposte adeguate alle esi-genze che esprime il dignitoso ceto sociale chevi abita.

Sono circa 10 mila le persone residenti nelsuo Comune che appartengono ad una classesociale che rientra nella piccola e media bor-

ghesia, tanto è vero che non esistono quartie-ri di edilizia economica e popolare e, addirit-tura, il paesino è scevro da rilevanti violenzeurbanistiche e profonde ferite di ordine ar-chitettonico.

Anche questo è vero, infatti vanno mantenutee garantite le caratteristiche urbanistiche esi-stenti. Questo è un impegno che ho già presocon i miei concittadini: tutelare al massimo il ti-po di volumetria abitativa, senza trascenderemai in una volgare e spietata speculazione edili-zia. Mi sento garante di consolidare un rapportoarmonico uomo-struttura abitativa, come del re-sto devo lavorare assieme alla giunta e al consi-glio comunale per migliorare l’offerta qualitati-va dei servizi di supporto, con la introduzione ditecnologie, nei vari settori del vivere comune,del tipo innovative ed a minimo impatto am-bientale. Pertanto Sant’Agata Li Battiati va sal-vaguardata dal traffico caotico, proveniente da eper Catania; occorre pedonalizzare il centro edincentivare gli investimenti di natura commer-ciale di elevato profilo; occorre ridisegnare bre-vi tratti di strada con modelli commerciali d’eli-te, e non introdurre faraonici centri commercialiche nulla hanno a che fare con i cittadini di S.Agata Li Battiati. E non è finita: i cosiddettimoduli commerciali debbono godere di coreo-grafie di incontro meno caotici, che mettanonelle condizioni gli stessi residenti di non doverraggiungere forzatamente Catania per fare shop-ping in Corso Italia o in via Monfalcone.

Avverto in queste sue ultime pa-role, un orgoglio di sicilianità,anche se risulta ridisegnataper la sua cittadina, cosa si-gnifica?

Io sono siciliano, affermoche tutti i siciliani dovremmoessere orgogliosi della nostraterra e dovremmo fare qualcosaanche solo nel raggio di azionein cui ci si muove. Ed anche perquesto motivo, quando l’onorevo-le Lombardo ha fondato il Mpa, hoaderito all’iniziativa, sono stato esono orgoglioso di farne parte. Que-sto mio sentimento politico lovoglio esternare, anzi permeglio dire, lo vo-glio applicarenell’ attività am-m i n i s t r a t i v a ;mettere in con-

correnza la mia cittadina con le parti migliori dialtre realtà abitative significa realizzare un so-gno: creare una città a misura d’uomo, alleviareal massimo i disservizi e dare dignità di apparte-nenza al proprio Comune per chi vi abita.

La maggior parte dei residenti di Sant’A-gata Li Battiati lavorano a Catania e dintor-ni. Lei è uno di questi e sicuramente il pro-blema lo conosce e vive in prima persona ildramma del mattino quando deve recarsi allavoro o accompagnare i bambini a scuola,quando nelle ore di punta più di dieci milaauto attraversano per lungo la sua cittadinaper raggiungere i due soli ingressi di Catania,quello di viale Vincenzo Giuffrida e del Ton-do Gioeni.

Questo è un problema di più ampio aspetto:qui necessita il coinvolgimento dei Comuni col-locati a monte, tanto è vero che è già in pro-gramma la realizzazione di una metropolitana disuperfice. Si spera che al più presto venganomessi in funzione i parcheggi scambiatori dipertinenza. Poi c’è anche un altro problema:quello del canale di gronda per il deflusso delleacque piovane che nel prossimo mese di ottobredovrebbe essere risolto. A ottobre l’allacciamen-to definitivo dovrebbe essere varato e quindi lapiaga degli allagamenti delle principali sedi via-rie dovrebbe essere risanata.

E le strutture sociali? Questo è un argomento che mi sta molto a

cuore, perché da siciliano aspiro al-l’indipendenza sportiva per la mia

cittadina: ho in programma larealizzazione della piscina co-munale, tramite project finan-

cial, una sala scherma, audi-torium per le attività teatralie concertistiche. Non per

nulla ho voluto al mio fian-co in giunta, GuglielmoFerro, regista teatrale e fi-glio del grande Turi Ferro.

La violenza organizzata nello stadio Massimino punta di iceberg dell’emarginazione giovanile

Recuperare i “carusi” del West SideCatania, città del benessere e del malessere

Lo spaccio della droga viene considerato un lavoro regolare

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6 LA VOCE DELL’ISOLA21 luglio-31 agosto 2007

di GIOVANNI PELLIZZERI

Rileviamo giorno dopo giornoquanto da noi scritto in tanteprecedenti edizioni a proposito

di apparentamenti politici convergential centro (almeno si spera).

La vecchia nomenklatura non molla,anzi si ricicla, perché, parliamoci chia-ro una volta e per tutte, i nostri politicinon sono degli sprovveduti; è genteaccorta, furba, in alcuni casi intelligen-te e propositiva ed ecco che per restarea galla (con tutti i vantaggi che sololoro conoscono veramente) cercano lealleanze più appropriate o più strane(strane perché non sempre rispettanole ideologie originarie dove sono nati esi sono riconosciuti).

Questo è il momento dei sondaggi(Berlusconi docet: si dice scherzosa-mente che non esce di casa se primanon legge gli ultimi sondaggi), è ilmomento di capire cosa pensa il popo-lo, cosa vuole, quali i suoi bisogni pri-mari, quali le sue aspettative.

Ma un politico che vive (dovrebbevivere) in mezzo alla gente, ai proprielettori, ha veramente bisogno dei son-daggi? Forse siamo arrivati al capoli-nea, forse finalmente alcuni di loro piùacuti e più lungimiranti hanno capitoche il Paese del Bengodi è fallito e cheoccorre ricostruire una vera democra-zia.

Potremmo argomentare all’infinito,ma ci perderemmo in una inutile e ste-rile retorica; vogliamo, come sempre,essere concreti e guardare la realtà infaccia. Nel precedente numero del no-

stro giornale abbiamo scritto, sollecita-to, ed auspicato un vero riavvicina-mento fra Lombardo e Cuffaro: oggi citroviamo a rilevare che una alleanzaforte fra i due li porterebbe ad un 35per cento dei voti, superando di parec-chio qualunque altro partito.

Riteniamo che una forza del generein Sicilia potrebbe far tremare vera-mente i poteri romani e milanesi, ma idue si dovrebbero mettere d’accordosull’Autonomia, sul mantenimentodella versione originale dello Statuto,sulla sua totale e reale applicazione,

poiché non farlo sarebbe un vero tradi-mento di entrambi nei confronti dell’e-lettorato. E mentre il totopolitico proli-fera, nessuno sta fermo; apprendiamoche l’onorevole Enzo Culicchia è pas-sato dalla Margherita al Mpa ed è allaricerca di altri proseliti; che l’onorevo-le prof. Ferdinando Latteri da tempoauspica un avvicinamento al Mpa.

Per la cronaca, ci complimentiamocon Latteri per la forza con la quale staconducendo la battaglia per i Casinò inSicilia, ma dovrebbe essere tanto bra-vo da convincere prima Rutelli e poi

tutti gli altri che remano contro la no-stra Isola.

I cervelli ci sono, gli uomini di buo-na volontà non mancano, liberi dacompromessi e fedeli al giuramentodel loro mandato nel pieno rispettodella Costituzione; noi siamo pronti aplaudire a chi finalmente dedica il pro-prio incarico al bene di questa terra ab-bandonata, ma siamo pronti ad addita-re (e lo abbiamo sempre fatto) chi tra-disce i propri conterranei.

Non vogliamo inneggiare a stravol-gimenti storico-socio-politici. Deside-

riamo soltanto che finalmente i sicilia-ni si occupino della Sicilia.

Se questi sigg. da noi citati ed altrinon menzionati facessero sul serio, noisiamo pronti a dar loro una mano, lospirito apartitico che ci contraddistin-gue non ci tiene lontani dalla politica,anzi!

Sappiamo, crediamo di esserne certiche le persone in indirizzo ci leggono,vorremmo sentirli dal vivo, vorremmoincontrarli affinché possano leggerenei nostri occhi le speranze dei sicilia-ni di oggi e di domani.

Troppi pregiudizi: resta radicato il sentimento antisiciliano

Quella del ministro Amatosoltanto gaffe o strategia?

La prevenzione e l’informazioneper difendere i mali della donna

Sesso e tumore

Prima, seconda o terza repubblica. Per certi perso-naggi della politica, nati vecchi e destinati ad esse-re immortali, almeno nella loro ambizione, non è

mai cambiato nulla. Forse solo l’inclinazione degli oc-chiali, sempre più pericolosamente in bilico sul naso sa-piente. Giuliano Amato è un uomo per tutte le repubbli-che e per tutte le ere politiche. Il “dottor sottile” sembraessere un personaggio di fantascienza, buono per la seriecinematografica “Matrix”: si rigenera continuamente,alimentandosi del culto della propria personalità e diuna supponenza rara.

L’ultima originale trovata del ministro dell’Interno èuna bizzarra dichiarazione che ha fatto nei giorni scorsie che riportiamo per dovere di cronaca.

“Nessun Dio autorizza un uomo a picchiare la donna.È una tradizione siculo-pakistana che vuole far credereil contrario”. Lo ha sottolineato l’affabile ministro nelsuo intervento al convegno su Islam e integrazione, aRoma. Amato ha più volte ricordato come solo fino aglianni ‘70 si trovavano in Sicilia costumi e tradizioni nonmolto distanti da quelle che ora in Italia sono importatedagli immigrati di certi gruppi musulmani. “Dobbiamoevitare di imputare a Dio - ha ribadito -, il Dio dei cri-stiani e dei musulmani, che in realtà e lo stesso, ciò che

è da imputare invece agli uomini”. L’acuto Amato stra-parla, non sappiamo se nella veste di barone universita-rio o in quella istituzionale di ministro dell’Interno, conuna caduta di stile ben lontana da quella che dovrebbeessere la contenuta oratorio che tale ruolo imporrebbe,superando in avventatezza anche il più sfortunato e in-cauto Enzo Bianco, che stravolse all’epoca per estempo-raneità degli interventi il ferreo protocollo ministerialeche limitativa le esternazioni a pochi e importanti moti-vi.

Che Giuliano Amato, come gran parte del GovernoProdi, sia un antimeridionalista convinto non ci sorpren-de più di tanto. Non più di un mese fa, accettando un in-vito dell’ateneo catanese, tenne una lezione in manichedi camicie (da professore anticonformista, da ministroaccaldato o da oratore snob, che non riteneva in quellasede necessario indossare la giacca?), trattando con di-stacco e sufficienza i giornalisti che, ingenui, gli chiede-vano una dichiarazione sui temi “caldi” dell’isola: glisbarchi di clandestini, l’ordine pubblico, la criminalitàorganizzata. Non aveva nulla da dire il signor ministro,così affermava, infastidito.

A Roma, qualche giorno fa, avrebbe potuto ripetere ilsilenzio di allora e renderlo prezioso.

di MARIALAURA ONTARIO

Il sesso, l’arma più efficace chela natura abbia mai elaborato perla sopravvivenza della specie,

puo’ paradossalmente trasformarsiin un subdolo killer capace di dif-fondere morte con la stessa effica-cia con la quale diffonde la vita.

Ogni anno in italia sono più di3.500 le donne che si ammalano dicancro all’utero.

La causa di questa patologia, chedopo il tumore al seno rappresentala seconda causa di morte nella po-polazione femminile, è rappresenta-ta dal virus del papilloma umano oHPV (acronimo di Human Papillo-ma Virus).

Il papilloma virus, che appartienealla famiglia delle Papillomaviri-dae, è un piccolo virus che si tra-smette per via sessuale e infetta lecellule epiteliali. Ad oggi oltre l’80per cento delle donne risulta positi-va al test per l’HPV che spesso nonda alcun sintomo.

Nel 2003 si sono registrati 6.862ricoveri per tumore maligno dellacervice uterina: un terzo riguardavadonne tra i 25 ed i 44 anni ed un al-tro terzo donne tra i 45 ed i 65 anni.

La carcinogenesi è in relazione alsubtipo di HPV. Alcuni causano tu-mori benigni come i condilomi ge-nitali, altri invece definiti ad alto ri-schio come HPV 16 e HPV 18, cau-sano tumori maligni come il cancroalla cervice uterina e al pene.

I condilomi generalmente provo-cati dal virus HPVsono escrescenzedella pelle di tipo verrucoso checolpiscono le zone genitali sia nelmaschio (glande, prepuzio,corpodel pene, scroto) che nella femmina(perineo, vulva, vagina, collo del-l’utero).

La ricerca riferisce che il 100%dei tumori all’utero risultano positi-vi ai ceppi di HPV quindi è eviden-te che il cancro all’utero è causatodall’Hpv. Il dna di questo virus si

integra con il dna delle cellule dellacervice uterina modificando l’azio-ne di due importanti tratti geneiciche controllano il processo di cre-scita e di proliferazione cellularecon il risultato della realizzazionedi cellule tumorali.

Dal 28 marzo è disponibile nellefarmacie italiane il primo vaccinocontro il Papilloma virus, quindicontro il cancro e contro alrti tipi dipatologie associate all’HPV qualiad esempio il carcinoma squamosodella vulva, del pene, del retto edella vescica.

Recenti studi vedono HPV diret-tamente correlato anche ad alcunemalattie croniche, infiammatorie edautoimmuni, tra cui, la sclerosimultipla, il lupus eritematoso siste-mico, artrite reumatoide e la malat-tia di kawasaki. Il nome commer-ciale del vaccino è Gardasil ed ilcosto per dose è di 188.15 euro perun totale di 564.45 euro; L’indica-zione alla vaccinazione è per ledonne comprese tra i 9 ed i 30 annima tutte coloro che vogliono pro-teggersi possono acquistare le tredosi in farmacia sotto ricetta medi-ca. L’italia è il primo Paese dell’u-nione europea che concederà lavaccinazione gratuita alla fasciadelle ragazze dodicenni.

Per quanto paradossale sia il co-sto di tale vaccino e per quanto in-verosimile sia la logica commercia-le dello stesso, Gardasil è l’unicaarma momentaneamente valida dicui siamo in possesso e con le tredosi si eviterà una volta per tutte ilrischio di contrarre i quattro tipi diHPV(6,11,16,18) responsabili delcancro al collo dell’utero delle altrepatologie poc’anzi citate.

Ogni donna che non abbia con-tratto i ceppi ad alto rischio ha l’as-soluto dovere di effettuare tale pra-tica preventiva sia per se stessa, siaper una, per quanto apparente, gio-vevole e meno caustica convivenzacon il sesso.

Raffaele LombardoTotò Cuffaro

Il ministro Giuliano Amato

Forse dovrebbero comprendere che occorre ricostruire una democrazia condivisa dalla collettività

Lombardo e Cuffaro faranno sul serio?Rapporto a due dal risultato imprevedibileUna forza unita potrebbe far tremare i palazzi romani e milanesi

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7LA VOCE DELL’ISOLA21 luglio-31 agosto 2007

di GIUSEPPE FIRRINCIELI

Oggi non è che ci sia da meravi-gliarsi più di tanto, per quelloche sta succedendo in Sicilia ed

in particolare a Catania, visto che ilcosiddetto “Pacchetto Sicurezza” tantoagognato dal Governo regionale e daisindaci delle città metropolitane haprodotto la firma di un accordo tra ilvice ministro dell’Interno, on. MarcoMinniti, del Governo italiano, il sinda-co Umberto Scapagnini di Catania e ilpresidente della Provincia regionale diCatania, Raffaele Lombardo, con l’im-pegno di versare allo Stato italiano fiordi moneta, da parte dei due Enti locali(e per giunta, stando agli accordi, mol-to presto da rispettare, anche dalla Re-gione Siciliana). In verità due milionidi euro per avere assicurata una pre-senza maggiore di forze di polizia, paria 40 unità e precisamente 30 poliziottiall’aeroporto di Catania e 10 poliziottinel circuito cittadino del capoluogo et-neo.

La spinta dei sindacati italiani, aiquali purtroppo i lavoratori sicilianicredono, con la organizzazione di unagiornata di sciopero, più politico chesindacale, ha prodotto le condizioni diforza a cui sono stati costretti le auto-nomie locali a versare ben 2 milioni dieuro per far giungere nella nostra cittàun esiguo numero di agenti e tutti con-vinti, almeno da parte di chi ci rappre-senta a Roma, che il fine della sicurez-za e della tranquillità dei cittadini ver-rà raggiunto da qui a poco.

Stando ad una recente indagine dellaConfcommercio sulla microcriminilità,il 60 per cento dei catanesi non si sen-te al sicuro, in molti chiedono presen-za di uomini in divisa nelle strade enei quartieri, strade più illuminate, uf-fici postali e banche più sicure, mag-giori sistemi di allarme tramite il tele-controllo. Tutte richieste legittime, percarità, ma è anche vero che rientranointeramente nel pacchetto sicurezzache deve garantire lo Stato italiano enon le Autonomie locali, le qualiavrebbero ben altro di doveri da svol-gere per la vivibilità cittadina.

In termini più chiari, al danno dellainvivibilità catanese, si aggiunge labeffa e cioè ancora una volta si è veri-ficata una colossalepresa in giro per i cit-tadini etnei, i quali so-no chiamati ancora arifinanziare lo Statoper assicurarsi un ser-vizio (in realtà un dis-servizio visto l’esiguonumero di poliziottipromessi) di sicurezzae di ordine pubblico,come se lo Stato italia-no, unico Ente, per laCostituzione italiana,preposto a garantire lasicurezza in Italia edanche in Sicilia, non sitrova più un becco diun quattrino e chiede il“pizzo” agli Enti loca-li. Cosa peraltro giàsperimentata con ilCorpo dei Vigili del fuoco di Catania,infatti la provincia regionale etnea,ogni anno da un contributo per pagarelo straordinario ai pompieri nei mesiestivi, considerato la intensa mole dilavoro a cui sono sottoposti per spe-gnere incendi, visto che il ministero

dell’Interno da cui dipendono non sitrova nelle condizioni di poter garanti-re integralmente le dovute spettanze.Di norma dovrebbe essere al contrarioe cioè lo Stato italiano dovrebbe asse-gnare contributi agli enti locali, in Si-cilia, e per meglio dire, a Catania suc-cede viceversa.

Con questa bacchettata nel fondoschiena, non possiamo più permetterciil lusso di meravigliarci quando in re-gioni del mondo poco sviluppate, siverificano casi in cui un malcapitatoche ha subito un furto in casa, debbadare i soldi ai poliziotti per comprarela benzina per l’auto di servizio, perpoter acciuffare il ladro con la refurti-va. Ed in Sicilia sta succedendo dipeggio, i sindacati con quella giornatadi sciopero hanno spinto ancora di piùil Comune e la Provincia ad essere so-lidali con il ministero dell’Interno, perriportare un po’ di tranquillità ai citta-dini che vivono giorno per giornopreoccupati di subire rapine, scippi,truffe, estorsioni e così via. Bella tro-vata, non c’è che dire! Di lavoro e disoldi nella nostra Isola ce ne sono tantiche ci possiamo permettere come aMilano di rimpinguare le casse delloStato per aiutare a gestire l’ordinepubblico, qui a Catania!

Quanti progetti produttivi si sareb-bero potuti mettere in cantiere con duemilioni di euro per dare una spinta aquell’economia nostrana, capace dicreare nuovi posti di lavoro in tantisettori.

Ma per rimanere nel tema, a conti

fatti, se il Comune e la Provincia re-gionale avessero stipulato un contrattocon alcuni istituti di vigilanza privata,sicuramente il pacchetto “sicurezza”sarebbe costato molto di meno e sareb-be risultato più efficiente, rispetto aquello che potrà fare lo Stato, viste leprospettive disarmanti sull’esiguo nu-mero di poliziotti che arriverà a Cata-nia.

Noi siciliani, forse non ce la pren-diamo più di tanto, considerato che apagare una molteplice varietà di tasseci hanno costretto ad abituarci a farlosin dalle epoche remote e precisamen-te quando i garibaldini hanno conse-gnato l’Isola ai piemontesi. Per questoun’altra sberla la stiamo prendendo inquesti giorni, con le celebrazioni delbicentenario della nascita dell’Eroe deidue mondi, visto che non solo lo Statospende soldi per celebrare in Italia edanche in Sicilia, incontri, dibattiti, ri-cerche scolastiche ed universitarie, ri-aprendo una piaga, almeno per i sici-liani, lunga un secolo e mezzo, che haprodotto la colonizzazione della nostraterra da parte dei piemontesi, i rispar-mi dei siciliani portati nel nord per larealizzazione del triangolo industriale,povertà, lutti, delusioni, tasse, confi-sche di beni ed emigrazioni bibliche

verso le americhe, il tutto per un altoscopo l’Unità d’Italia con il Risorgi-mento italiano e di sicuro non quellosiciliano.

Sicuramente abbiamo dimenticatol’ultima finanziaria, con la quale il Go-verno Prodi ci ha messo ko ed ancoranon contento, non solo ha tagliato fon-di per opere pubbliche di grande utilitàin Sicilia, ma ha dirottato al Nord, constrategie di regime, fondi europei pre-destinati in Sicilia. Beh! La storia èfatta di corsi e ricorsi storici. Ma quan-ti secoli ancora dovrà durare questa si-tuazione di sfruttamento. Nessuno siaccorge che non ne possiamo più, nes-suno si accorge che agli italici la Sici-lia e i siciliani servono solo per esseresfruttati?

A 80 miglia di mare, del tratto di co-sta sud orientale della Sicilia, esisteuna terra indipendente, molto, ma mol-to più piccola della nostra Isola e cioèMalta dove non esiste da parecchi annipiù disoccupazione e molti imprendi-tori, commercianti e professionisti si-ciliani trasferiscono lì la propria resi-denza perché in tema di tasse godonodi una fiscalità di vantaggio ecceziona-le.

E la fiscalità di vantaggio in Sicilia?Anche questo progetto, tanto agognato

e tanto sperato, non ha fortuna; appenavi è qualcuno dei nostri politici chevuole sottoporlo a Roma, sembra pro-prio un qualcosa che da fastidio e chemerita di essere subito archiviato, co-me se fosse veicolo di disgrazie equindi non trattabile.

Eppure la fiscalità di vantaggio perla nostra terra, rappresenta il sogno diuno sviluppo economico che una voltaapplicato metterebbe nelle condizionil’Isola ed i siciliani di poter intrapren-dere un nuovo percorso, la strada delriscatto di una terra che aspira da quasitre secoli di poter godere di tale diritto.

Per la Carta costituzionale e cioè loStatuto Siciliano, la nostra Isola po-trebbe agire autonomamente senzaporsi problemi su quello che ne pensail governo italiano e la cosa che ancorada più fastidio è quella che nel 1720,Ignazio Perlongo, uno dei maggioriministri siciliani che alla fine della suacarriera ricoprì il prestigioso incaricodi reggente per la Sicilia nel SupremoConsiglio di Vienna, lanciò un suoprogetto di rilancio economico, deno-minato “Sul Commercio in Sicilia” ilquale ebbe grande influenza sulle scel-te politiche economiche del governoaustriaco e addirittura con tale docu-mento avanzò proposte per un comple-to inserimento dell’Isola all’interno diun’area economica euromediterranea,con il potenziamento delle industrie,della produzione agricola e delle atti-vità commerciali.

Ignazio Perlongo è stato il padre delgrande progetto degli scambi commer-ciali euromediterranei, parlando anchedi portofranco in Sicilia. Ed ancora og-gi, a distanza di quasi trecento anni sene discute a a Bruxelles e a Strasbur-go, in sede di Unione Europea per es-sere procrastinato dopo il 2010.

Accordo tra Comune, Provincia di Catania e ministero dell’Interno per rafforzare la Polizia nel territorio

Lo Stato ai catanesi: io vi dò la sicurezzavoi mi date in cambio due milioni di euro

Spesa ingiustificata per avere 40 poliziotti in più nel capoluogo

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8 LA VOCE DELL’ISOLA21 luglio-31 agosto 2007

22 luglio

Nel 1812 le forze inglesi dislocate in Spagnasconfiggono le truppe napoleoniche a Salmanca.Nati: Ferruccio Amendola (attore e doppiatore,1930), Gregor Mendel (fondatore della genetica,1822), Innocenzo IX (papa, 1519)Morti: Indro Montanelli (giornalista, 2001), Gio-vanni Guareschi (umorista, 1968), FrancescoMaurolico (matematico, 1575)Si festeggia: Santa Maria Maddalena

23 luglio

Nel 2005 l'attentato terroristico di Sharm ElSheikh, in Egitto, miete 63 vittimeNati: Edoardo Bennato (cantautore, 1949), ElioVittorini (scrittore, 1908), Francesco Cilea (com-positore, 1866)Morti: Sandro Paternostro (giornalista, 2000),Giuseppe Tomasi di Lampedusa (scrittore, 1957),Ulysses S. Grant (presidente Usa, 1885)Si festeggia: In Libia si festeggia il giorno dellarivoluzione

24 luglio

Nel 1701 viene fondata la città americana di De-troit (Usa) nello stato del MichiganNati: Ermanno Olmi (regista, 1931), VitalianoBrancati (scrittore, 1907), Simòn Bolìvar (rivolu-zionario, 1783)Morti: Peter Sellers (attore, 1980), Martin VanBuren (presidente Usa, 1862), Matilde di Canos-sa (contessa, 1115)Si festeggia: In Venezuala ed Ecuador si festeg-gia la nascita di Simòn Bolìvar

25 luglio

Nel 1943 il Gran Consiglio del Fascismo deponeBenito Mussolini, è l'inizio della fine della ditta-tura fascista in ItaliaNati: Gigi Marzullo (giornalista, 1953), Elias Ca-

netti (premio Nobel per la letteratura, 1905), Gia-como Acerbo (economista, 1888)Morti: Otto Dix (pittore, 1969), Innocenzo VIII(papa, 1492), Costanzo Cloro (imperatore roma-no, 306 d.c.)Si festeggia: In Tunisia si festeggia il giorno dellarepubblica

26 luglio

Nel 1936 le potenze dell'Asse decidono il loro in-tervento militare nella guerra civile spagnola alfianco di Francisco FrancoNati: Mick Jagger (cantante, 1943), FrancescoCossiga (presidente della repubblica, 1928), Sal-vador Allende (politico, 1908)Morti: George Gallup (statistico, 1984), Evita Pe-ron (moglie del presidente argentino Peron,1952), Daniel Del Barba (violinista, 1801)Si festeggia: Giorno dell'indipendenza in Liberia

27 luglio

Nel 1987 il paese di Sant'Antonio Morignone, inValtellina, viene sepolto da una frana staccatasidal Pizzo CoppettoNati: Peppino di Capri (cantante, 1939), AdolfoCeli (attore,1922), Giosuè Carducci (poeta, 1835)Morti: Antonio Salazar (dittatore portoghese,1970), Salvatore Aldisio (politico, 1964), Giaco-mo I (re d'Aragona, 1276)Si festeggia: San Pantaleone

28 luglio

Nel 1976 la Corte Costituzionale sentenzia l'ille-galità del monopolio televisivo della RAI. Inizial'epoca delle emittenti Tv private.Nati: Riccardo Muti (direttore d'orchestra, 1941),Karl Raimund Popper (filosofo, 1902), GiuseppePellizza da Volpedo (pittore, 1868)Morti: Tiziano Terzani (giornalista, 2004), Anto-nio Vivaldi (compositore, 1741), Vittore II (papa,1057)

Si festeggia: In Perù si festeggia il giorno dell'in-dipendenza

29 luglio

Nel 2004, dopo 143 anni, in Italia viene abolito ilservizio di leva obbligatorio.Nati: Benito Mussolini (dittatore italiano, 1883),Alexis de Tocqueville (politologo, 1805), Giaco-mo Leopardi (poeta, 1798)Morti: Umberto I (re d'Italia, 1900), AgostinoDepretis (politico, 1887), Urbano II (papa, 1099)Si festeggia: Santa Marta

30 luglio

Nel 1965 il presidente Usa Johnson fonda i pro-grammi di assistenza sanitaria pubblica Medicaree MedicaidNati: Andy Luotto (attore, 1950), Henry Ford (in-dustriale americano, 1863), Giorgio Vasari (arti-sta, 1511)Morti: Umberto Nobile (esploratore, 1978), Ottovon Bismarck (statista tedesco, 1898), Nicolo daPonte (doge veneziano, 1585)Si festeggia: a Vanuatu si festeggia il giorno del-l'indipendenza

31 luglio

Nel 1928, ad Amsterdam, si corre la prima finalefemminile di una gara olimpica di atletica legge-ra, Elizabeth Robinson vince i 100 metri piani.Nati: Primo Levi (scrittore, 1919), Mario Bava(regista, 1914), Massimiliano II (imperatore delSacro Romano Impero, 1527)Morti: Guido Crepax (fumettista, 2003), Ignaziodi Loyola (fondatore dei gesuiti, 1556), El Cid(condottiero spagnolo, 1099)Si festeggia: San Calimero di Milano

1 agosto

Nel 1967 lo stato di Israele si annette Gerusalem-

me Est - Nati: Herman Melville (scrittore, 1819),William Clarck (esploratore, 1770), Paolo IV(papa, 1476)Morti: Luigi Carlo Farini (politico, 1866), Mar-cantonio Colonna (principe, 1584), Lorenzo Valla(umanista, 1457)Si festeggia: Festa nazionale in Svizzera

2 agosto

Nel 1902 un regio decreto legge elimina l'obbligodi tenere in catene i detenuti nelle carceri italiane.Nati: Isabelle Allende (scrittrice, 1942), CorradoMantoni (presentatore televisivo, 1924), Costan-tino I (re di Grecia, 1868)Morti: Fritz Lang (regista,1976), Pietro Mascagni(compositore, 1945), Lazare Carnot (matematicoe militare francese, 1823) Si festeggia: In Macedonia ricorre la festa nazio-nale

3 agosto

Nel 1492 Cristoforo Colombo salpa da Palos concelebri 3 caravelle per un viaggio che cambieràper sempre il volto del mondo.Nati: John Landis (regista, 1950), Piero Ottone(giornalista, 1924), Federico Guglielmo III (re diPrussia)Morti: Luciano Tajoli (cantante, 1996), JosephConrad (scrittore, 1924), Francesco Borromini(architetto, 1667)Si festeggia: San Nicolò Politi

4 agosto

Nel 1984, in Africa, l'Alto Volta cambia nomeper diventare Burkina FasoNati: Laura Biagiotti (stilista, 1943), Yasser Ara-fat (rivoluzionario, 1929), Urbano VII (papa,1521)Morti: Giovanni Spadolini (politico, 1994), AnitaGaribaldi (rivoluzionaria, 1849), Enrico I (re diFrancia)Si festeggia: San Raniero

Il 28 luglio ricorre il 105º anniversario della nascita del filosofo della scienza

Karl Popper, l’uomo che rese scientifico l’erroredi ENZO LOMBARDO

Il 28 luglio del 1902 nacque a Vienna, da una famiglia dellamedia borghesia austriaca di origine ebraica, Karl RaiumundPopper, un uomo destinato a rivoluzionare il pensiero della

filosofia della scienza (epistemologia) e della politica. Già dagiovanissimo mostrava grande attitudine per la logica ed il ra-gionamento filosofico e coltivò diverse esperienze intellettualinei campi più disparati (fisica, matematica, musica, politica).Prima di laurearsi frequentò la clinica per l'infanzia di Carl Ad-ler. Nel 1928, a ventisei anni, si laureò in filosofia all'Universitàdi Vienna ed iniziò a frequentare il famoso “Circolo di Vienna”che era il ritrovo culturale dei neopositivisti ed iniziò la carrieradi insegnante presso una scuola media come docente di fisica ematematica. Ben presto si allontanò dalle posizioni dei neoposi-tivisti ed iniziò un suo percorso epistemologico.

Le principali critiche di Popper al neo-positivismo si basaronosul concetto di significatività scientifica (più semplicementescientificità) delle teorie della scienza. I neopositivisti per sepa-rare la fisica dalla metafisica (ciò che non si conosce fisicamentema della cui esistenza si è convinti: es. Dio, l'anima, etc.) stabili-rono che poteva essere significativo ai fini scientifici (è quindifacente parte della “scienza”) solo ciò che poteva essere dimo-strato tutto il resto era metafisica e, quindi, irrilevante dal puntodi vista scientifico. Popper riuscì a “dimostrare” come i neoposi-tivisti fossero in contraddizione, in quanto esistono, in natura,dei fenomeni che sono indimostrabili (soprattutto in matematicaed in fisica) eppure reggono tutta l'impalcatura dimostrabile chesu di essi viene costruita, in secondo luogo l'esperienza scientifi-ca dell'essere umano è, per sua stessa natura, empirica e limitatanel numero delle sue ripetizioni per verificarla. Fu proprio diPopper il celebre esempio del cormorano.

Noi tutti siamo portati a pensare che il cormorano sia biancoperché, nella nostra vita, abbiamo visto sempre e soltanto cor-morani bianchi; per quanto la nostra vita possa essere lunga emovimentata non potremmo mai vedere tutti i cormorani dellaterra ed essere sicuri che essi sono bianchi, ed inoltre non sapre-mo se tutti i cormorani che sono morti e quelli che nascerannosono stati o saranno bianchi, quindi, si chiede Popper, come sipuò sancire la scientificità di un fenomeno secondo il criterioneopositivista se non è possibile verificare il fenomeno stesso

tutte le volte che si manifesta? Da questa critica Popper passò al-la sua controproposta sul criterio di scientificità di una teoria in-troducendo il concetto della falsificazione.

In sostanza, il filosofo austriaco, sostenne che l'unico modo direndere scientifica una teoria era ammettere, sin dal principio,che essa fosse smentibile perché solo il problema o il tempo por-tano le nuove soluzioni e quindi le nuove teorie. Tornando al no-stro esempio del cormorano Popper sostenne che si può dire che

tutti i cormorani sono bianchi a patto di ammettere sin dal prin-cipio che questo sarà vero fin tanto che non avverrà un fatto o unevento che smentisca la teoria in esame. Secondo l'impostazionepopperiana, dunque, la scienza è tutt'altro che esatta e perfettama è un insieme di teorie sempre pronte ad essere smentite, mo-dificate ed, in ultima analisi, migliorate. Invece la scienza neo-positivista diviene talmente dogmatica da divenire essa stessametafisica. Durante l'invasione nazista dell'Austria, Popper fuggìin Nuova Zelanda dove gli fu offerta una cattedra universitaria.Finita la Seconda Guerra Mondiale, egli tornò in Europa e inse-gnò in una delle più prestigiose università al mondo, la LondonSchool of Economics, dove insegnò prima logica e poi metodo-logia. Si ritirò dall'insegnamento nel 1969, a sessantasette anni,ma rimase in Inghilterra fino alla sua morte. Un altro essenzialecontributo cognitivo e scientifico, venne fornito da Popper, nelcampo della filosofia politica e sociale.

Egli fu un convinto assertore del liberalismo e della democra-zia e sostenne che lo storicismo marxista ed il materialismo dia-lettico erano i fondamenti per la costruzione di società oppressi-ve e totalitarie. Popper sosteneva che lo storicismo marxista (cheritiene di trovare nella storia passata gli elementi per l'assetto fu-turo delle società) sia un modo “elegante” per pianificare la so-cietà secondo ciò che nella storia stessa si vuole leggere per ipropri scopi. Le società pianificate, costruite su piattaforme poli-tiche totali e totalitarie, sono per Popper delle società chiuse de-stinate alla miseria, all'oppressione ed al fallimento, mentre egliauspica delle società aperte capaci di misurare e adeguare le pro-prie abitudini e regole al tempo ed al progresso scientifico, civilee morale. Una società aperta deve incoraggiare la critica alleproprie fondamenta e deve saperle rimettere in discussione, solocosì essa può progredire. In una società aperta sono i governatiche dirigono i governanti e mai il contrario.

Nel 1965 egli fu nominato Sir, il più alto riconoscimento delRegno Unito, e fu membro onorario della Royal Society, dellaLondon School of Economics e Political Science e di altre pre-stigiose istituzioni. Svolse, fino ad età avanzata, un'intensa atti-vità di conferenziere in giro per il mondo e criticò fortemente latelevisione per l'uso distorto che se faceva a livello pedagogico.Le sue opere sono tradotte in tutte le principali lingue del mon-do. Morì a Londra il 17 settembre del 1994 all'età di novantadueanni.

ACCADDE DOMANI A cura di ENZO LOMBARDO

Per non disperdere la nostra memoriaSintetico vademecum per ricordare i fattiGiorno per giorno le ricorrenze più salienti di luglio e agosto

Karl Popper

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di GIOVANNI PERCOLLA

Non bastassero le polemiche chehanno accompagnato il bicen-tenario della nascita di Giusep-

pe Garibaldi (e di cui riportiamo qual-che stralcio nell’altro articolo di que-sta pagina), altri possibili attacchi al-l’unità nazionale sono venuti nellescorse settimane. E non si tratta solodelle mattane di dirigenti leghisti o diintraprendenti esponenti del centrode-stra. Anche dalle parti dell’Unione cheguida le amministrazioni locali si stafacendo strada l’idea che a far da soli,insieme, sia meglio che attendere lescelte di riforma del governo naziona-le. E così dopo gli amoreggiamentisempre più insistiti tra i governatori diLombardia e Veneto, rispettivamenteRoberto Formigoni e Giancarla Galan,anche nel nord ovest del paese sembraci sia voglia di darsi una mossa.

Ecco a voi il “Limonte”.Il «patto di Noli», benedetto anche

dalla presenza del vescovo di Savona,monsignor Domenico Calcagno, san-cisce ufficialmente l’avvio del percor-so di integrazione tra Piemonte e Li-guria. Claudio Burlando cita MarioSoldati: «Mi chiedo che bisogno ave-va il Piemonte di conquistare l’Italiaquando aveva Genova». MercedesBresso puntualizza: «Il termine Li-monte sarà un marchio registrato».Non ci sarà una fusione ma un percor-so che potrebbe portare alla creazionedi una macroregione a statuto specialesul modello del Trentino Alto Adige.

Per attuarlo è necessaria una leggecostituzionale e un accordo con le al-tre regioni e il governo nazionale. Perquesto i due presidenti e le giunte ri-unite al gran completo nel Palazzo Ve-scovile di Noli hanno scelto una stra-da più breve che si basa sull’applica-zione dell’articolo 117 comma 8 dellaCostituzione: definizione di un accor-do quadro interregionale «per la ge-stione comune di interventi di interes-se congiunto». Per renderlo operativoè sufficiente una legge di ratifica re-gionale.

Per dirla con Burlando è stato lan-ciato «un sasso nello stagno» che ser-virà a valutare la reazione delle altreistituzioni. Scartato il modello catala-no - evocato a più riprese dalla Bressoma di difficile e complessa attuazione- Piemonte e Liguria hanno deciso dilavorare sull’applicazione di un arti-colo della Costituzione «finora mai at-tuato» su così larga scala per «la ge-stione comune di interventi che per-mettono di migliorare l’esercizio delleproprie funzioni». Spiega Bresso:«Elaboreremo un protocollo con rego-le di controllo da parte dei consigli re-gionali». Dunque i primi interlocutorisaranno le assemblee legislative. Perquesto saranno coinvolti i presidentidelle Assemblee e il percorso si avvar-rà della consulenza di due costituzio-nalisti.

E si tratta di un percorso lanciato intutta fretta. Secondo Burlando il lavo-ro si potrebbe concludere «entro l’an-no». E non si tratta solo di ingegneriaistituzionale ma ci saranno «conse-guenze dirette sui cittadini e sul siste-ma economico». I primi risultati siavranno in campo sanitario: una socie-tà mista avrà il compito di ridurre en-tro il 2009 le liste d’attesa per le anali-si diagnostiche; i pensionati, gli stu-denti e i lavoratori stagionali residentiavranno diritto al doppio medico difamiglia. E poi infrastrutture: candida-tura congiunta per ottenere la sededell’Autorità dei Trasporti; costituzio-ne di una società concessionaria conAnas per il trasporto locale per realiz-zare, ad esempio la Albenga-Acqui-Pedrosa; promozione congiunta del si-stema portuale e dei retroporti.

L’articolo 117 parla anche dellapossibilità di «individuare organi co-muni». Per ora si parla solo di sedutein contemporanea dei due consigli perapprovare le intese regionali. SpiegaBresso: «L’operazione non comporte-rà un aumento dei costi della politica el’intesa punta ad ottenere dei risparmiper quanto riguarda la gestione buro-

cratica». Un esempio? Si potrebberomettere in comune le società per l’in-ternazionalizzazione, per le Adozioniinternazionali, per la promozione turi-stica. L’obiettivo è quello di «otteneresensibili economie di scala nella ge-stione amministrativa».

Se la sperimentazione darà buoni ri-sultati si potrà procedere con la secon-da fase: obiettivo la macroregione astatuto speciale. Il modello da seguire

è quello di Trento-Bolzano (natural-mente nessuno cita più quello sicilia-no, vista anche l’inconsistenza dellaclasse politica regionale nel difenderloe promuoverlo), così ogni regionemantiene le proprie strutture ammini-strative.

Per l’Italia un futuro pre-unitario?Ora facciamo un po’ di fantapoliti-

ca, anzi di fantageografia. Abbiamo il“Limonte”, il “Lombardo Veneto” è in

fieri, le regioni del centro Italia, dal-l’Emilia Romagna fino alla Campaniasembrano fornire all’Unione un con-senso pressoché costante (a livello dielezioni amministrative è quello che èaccaduto degli ultimi dieci anni) citroviamo con una geografia politicaquasi da stato preunitario. Lì su, il re-gno di Piemonte (Sardegna esclusa,ma poi chissà per quanto…), a destragli austroungarici, al centro una riedi-

zione “spretata” (ma mica tantopoi…) dello Stato Pontificio.

E tutto ciò con buona pace deglieroi del Risorgimento italiano e di co-loro che, a tutt’oggi credono che esi-stesse già un’istituzione sovra-regio-nale, che avesse il compito di coordi-nare le politiche regionali e rendere iservizi uniformi sul territorio, e chequesta istituzione si chiamasse Statoitaliano…

9LA VOCE DELL’ISOLA21 luglio-31 agosto 2007

“L’erede” di Silvio si mette in cattedra e dà lezioncine di “stile” ai siciliani

La Brambilla fa la lista della spesa

Mercedes Bresso Claudio Burlando

di SERURIER

Che la Sicilia abbia diversi problemi,molti dei quali storici e strutturali,lo diciamo da tempo tramite le co-

lonne del nostro giornale. Ma che doves-simo venire a sapere quello di cui abbia-mo bisogno da un'affabile e cortese “sciu-ra” padana ci sembra veramente un po’troppo. Stiamo parlando di quanto acca-duto nei primi giorni di luglio a Palermo,quando è venuta a farci visita la signoraMichela Vittoria Brambilla, presidente na-zionale dei Circoli della Libertà, un movi-mento similare a quello degli ormai estintiClub Forza Italia, che ha tenuto una con-ferenza stampa nella quale ha presentatoil “suo” movimento.

Di questa raffinata signora, con aplombtipicamente appartenente alla Milano be-ne, si è parlato, in passato, come personacandidata da Silvio Berlusconi (ormai no-vello Caligola) alla sua successione, an-che se lei ci tiene, giustamente, a sottoli-neare che il suo è un movimento libero eche si “avvale” del centro-destra per por-tare avanti le sue battaglie.

Dopo aver fatto i doverosi auguri allasignora per la sua carriera politica (chenon si dica che i Siciliani sono villani conle donne) dobbiamo però ricordarle, senzaoffesa si intende, qualche regola di bonton politico che i nostri illuminati rappre-sentanti si sono del tutto dimenticati difarle notare.

Ad un certo punto della sua conferenza,e durante le successive interviste, la si-gnora Brambilla ha cominciato a decla-mare “Voi avete bisogno delle infrastrut-ture, Voi avete bisogno degli investimen-ti” e così via elencando con la conclusio-ne, ovvia, “... ed invece il governo Prodi

vi ha dimenticato”. Che Prodi, e tutto ilsuo schieramento, non meritino nulla dal-la Sicilia, i Siciliani lo hanno già detto daloro parlando dentro la cabina elettorale,non abbiamo certo bisogno che ora i mila-nesi ci vengano pure a spiegare, come sifa a quegli scolaretti buoni e simpatici maun po’ tardoni, chi sono i buoni e chi sonoi cattivi. Oltretutto ci sembra anche ecces-sivo usare quel “Voi avete” come a sotto-lineare il pesante gap infrastrutturale esi-stente tra il nord e la Sicilia, come se stes-simo tutti qui ad aspettare che, prima opoi, qualcuno ci faccia l'elemosina di unastrada o di un ponte.

La signora Brambilla dovrebbe anchesapere che buona parte delle opere pubbli-che infrastrutturali di un certo rilievo inSicilia, negli ultimi quindici anni, se le so-no accaparrate solo le aziende del nord,perché le nostre (che appunto davano la-voro, sviluppo e tecnologia) sono statefatte chiudere, non sarà che prendevanotroppi appalti anche al nord?

E poi che dire delle banche? Non neesiste più una siciliana, tutto il nostro ri-sparmio va a finire in Padania e qui di im-pieghi per le aziende sane e competitivenon ce sono. Sarebbe interessante capirecome, se Prodi si è dimenticato di noi,Berlusconi abbia lavorato per noi, perchésu questi due aspetti, fondamentali per ilrilancio sano della nostra economia, nonci pare che dal centro destra siano mai ar-rivati strumenti concreti. Aspettiamo.

Nel frattempo vorremmo ricordare a noistessi che non abbiamo bisogno di niente,vogliamo soltanto comandare in casa no-stra e non ci pare né reato né richiesta of-fensiva, ma questo è un problema di ri-spetto, dobbiamo imparare da soli a farce-lo portare. Michela Vittoria Brambilla

Cresce l’insoddisfazione per lo Stato centrale, primi passi verso un ridisegno delle istituzioni locali

L’Italia si è rotta? Ecco le MacroregioniDa noi si vuole ridimensionare l’AutonomiaCosì nasce il “Limonte”, mentre il Veneto flirta con la Lombardia

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di GIUSEPPE PARISI

Ancora una volta il senatore Ro-berto Calderoli della Lega Nord(ma non è il solo), noto per non

aver affatto peli sulla lingua, durante lecelebrazioni in Parlamento del duecen-tenario della nascita di Garibaldi, haespresso duri apprezzamenti.

Sul sito internet del Carroccio di For-li (tanto per citarne uno), una delle roc-caforti della Lega Nord ma anche dellesinistre, leggiamo le parole del segreta-rio Vanetti: “Calderoli ha giustamenteribadito come le azioni di Garibaldi edei Savoia abbiano fatto tanto male siaalla Padania sia al Meridione. Ci hafatto molto piacere vedere in aula e suimedia diversi parlamentari meridionalidel Movimento per le Autonomie inter-venire duramente sulla questione Gari-baldi. È un chiaro segnale che dimo-stra come il sentimento autonomista efederalista, in poche parole, la vogliadi essere padroni a casa propria, stiacrescendo forte anche al Sud.

Sarebbe ora che nelle scuole si fa-cesse una giusta opera di insegnamen-to delle verità storiche fino ad ora ta-ciute sul tema del Risorgimento. Gari-baldi, che oggi viene celebrato comeun eroe senza macchia, era in realtà unguerrigliero, un personaggio dal pas-sato nebuloso e controverso… da fede-ralisti e autonomisti convinti ci chie-diamo che senso abbia festeggiare talipersonaggi e tali eventi storici contro-versi della storia…”.

Si rimane davvero allibiti nel sentirecome un Governo, che ha dichiarato divoler contenere qualunque tipo di spesaritenuta superflua, per recuperare quan-to più soldi è possibile per rilanciarel’economia italiana e dare così “pane elavoro” a tutti, soprattutto ai giovani,parli tanto bene e razzoli negativamen-te altrettanto bene, che meglio non sipuò.

Prodi & ministri non perdono infattigiorno e occasione per mettersi in bellamostra contraddicendosi sempre più inmille modi, finanche riuscendo a“spendere e spandere” tanti soldi finan-ziando spettacoli di dubbio gusto, spac-ciati per eventi culturali e, non ultimo,acquistando pagine e pagine su giornalidi importanti testate nazionali che re-clamizzano certi personaggi di dubbiae controversa storia con frasi che fannoaccapponare la pelle, tipo: “ La storiadi ognuno di noi inizia qui. Dalle im-prese di chi ci ha reso liberi e uniti”, egiù proclama della presa di Calatafimiche, a ben leggerlo, ci fa ancor più ac-capponare la pelle.

A duecento anni dall’evento, “uniti”nella fattispecie si stanno rivelando Le-ga Nord e tutti, nessuno escluso, i varimovimenti e partiti sicilianisti ivi com-preso l’ultimo arrivato, l’Mpa, che,seppur distanti mille miglia da tanteconcezioni “politiche” tutte ben note,su quest’argomento si stanno trovandod’accordo convenendo appieno su talegiudizio negativo. Pagine e pagine didiscutibile pubblicità ordinate dallaPresidenza del Consiglio dei ministri edal ministero per i Beni e le attivitàculturali e pagate con i soldi dei contri-buenti, cioè sempre con i nostri.

Ci riferiamo espressamente al fami-gerato “eroe” dei due mondi che fuGiuseppe Garibaldi di cui ricorre il bi-centenario. Ci piace l’asserto… “liberie uniti”, ma essendo nati in Sicilia eamando la nostra terra, così comeamiamo la verità, questa frase ci fa an-che tanto pensare a come nella nostraTrinacria fu vissuta l’epopea garibaldi-na e l’annessione al Regno dei Savoia,come amava dire, mentendo spudorata-mente Camillo Benso, conte di Cavour,“plebiscitaria”.

Plebiscito fasullo, come la storia am-piamente ha dimostrato, che costò ai si-ciliani solo ed esclusivamente lacrimee sangue.

Altro che libertà! I Savoia sepperosolo concedere ai loro nuovi sudditimeridionali le “carabine reali”, perchéiniziassero a difenderli dai briganti.Prefetti Regi, Commissari e fisco spre-

mettero l’isola e i suoi abitanti come siusava fare un tempo nelle terre di con-quista, spogliandoli proprio di tutto. Èassai noto infatti che Casa Savoia noncambiò nulla nell’isola.

Con i nobili e altri “potentati” cheaveva apparentemente combattuto, era-no stati invece sanciti sottobanco, ac-cordi sciagurati perché mantenessero iloro privilegi, e tanti divennero puresenatori del Regno, così per dimostrareal popolo la nuova svolta. Poteri, privi-legi e servitù della “vecchia” casta ri-masero tutti, e a pagare ancora una vol-ta fu solo ed esclusivamente il popolo.

I Savoia, in cambio, seppero ben at-tingere a tutte, nessuna esclusa, le ri-sorse economiche dell’isola, compresequelle delle braccia dei maschi, tolteper lo più all’agricoltura, asse portantedell’economia isolana, costretti a servi-zio di leva nell’età più proficua che im-poneva per ben sei lunghi anni il servi-zio obbligatorio, irrisoriamente remu-nerato, nell’esercito sabaudo. Asser-vendo ancor più alla povertà intere fa-miglie e generazioni del Sud, costrette,com’è storia nota, all’immigrazione dimassa.

Ancora oggi tutti noi siciliani, nessu-no escluso, di questa servitù reale ac-quisita con le punte delle baionette dacasa Savoia e da chi per essi, e Garibal-di fu uno di questi, ne sopportiamo leconseguenze pagando a caro prezzo lastessa fruizione delle nostre risorse na-turali (energia elettrica, prodotti mine-rari e altro) e dalla trasformazione delpetrolio che ha effetti devastanti sullasalute pubblica, prima al mondo in ne-gativo per insorgenze tumorali in rap-porto abitanti-estensione territoriale.

E se a questo aggiungiamo lo sfrutta-mento nonché il depauperamento diimmense risorse naturali e paesaggisti-che (vedasi gli ex meravigliosi golfi diPriolo e di Gela), la misura è colma.Questi e altri fatti, come appresso di-mostreremo, non ci portano proprio acondividere l’asserto della Presidenzadel Consiglio dei Ministri e non saremocerto noi ad alzare i calici per brindaread un Garibaldi liberatore.

Anzi, ancora oggi ci domandiamoperplessi da cosa e da chi ci abbia libe-rati. Non vogliamo togliere nulla all’U-nità d’Italia, che ormai è fatta e conso-lidata, e alla cui bandiera ci inchiniamoriverenti.

Ma vogliamo anche ricordare ai no-stri governanti romani che la Sicilia èuna regione a Statuto Autonomo nonper… volontà di Dio e della Nazione,come scrivevano i regnati di Casa Sa-voia, ma per un preciso “patto” con laneonata Repubblica Italiana sorta nel-l’immediato dopoguerra, sfociato in undettame costituzionale, che riconoscevail nostro Statuto, bagnato dal sangue ditanti martiri siciliani, di cui Canepa è,uno per tutti, un fulgido esempio.

Per meglio far capire ai nostri lettoriquella che fu l’epopea garibaldina nel-l’isola, proponiamo alcuni spunti di unnostro precedente servizio già apparsosu questo giornale, nella speranza di farcosa gradita, o quantomeno utile, perrendere giustizia ai fatti.

Uno degli episodi più drammaticidella guerra risorgimentale, resta il fat-to d’arme avvenuto a Bronte, dove i li-beratori, con a capo il braccio destro diGaribaldi, Nino Bixio, massacraronomolti innocenti.

Ancora oggi, il viandante che si recain quei luoghi ameni può percepirel’angosciante presenza di quelli che fu-rono, possiamo ben asserirlo, i primimartiri ed eroi siciliani per mano sa-bauda.

Come si possa quindi dire che il con-troverso personaggio che fu Garibaldici abbia liberati e uniti è un mistero,uno dei tanti misteri che questo e altrigoverni ci hanno da sempre propinatoper giustificare l’asservimento del me-ridione a Roma, che Bossi del nord ita-lia e non noi che siamo suddisti, ha co-m’è noto definita ladrona. Sarà vero?

10 LA VOCE DELL’ISOLA21 luglio-31 agosto 2007

Garibaldi nei tempi nostridovrebbe essere consideratoun brigatista o un piduista

La storia di paradossi ne ha tanti, e non c’è dastupirsi se Garibaldi viene celebrato dagli at-tuali governanti che ruotano attorno ai Ds (fi-

no all’estrema sinistra) come un “eroe”, tanto che,agli albori della non ancora nata Repubblica, l’effigedel generale venne utilizzata per attirare i meno“colti” (cioè, le cosiddette masse proletarie) ad unvoto di parte.

Pericolo del quale si accorsero i neodemocristiani(Don Sturzo in testa), che cercarono di usare lo stes-so strumento dell’effige che, capovolgendola, trasfor-mava il generale dei “due mondi” nel bel noto ditta-tore sovietico Stalin Episodi di ieri, che vengono ri-portati a galla soltanto perché c’è chi si meravigliadelle “celebrazioni”, con grande spreco di danaropubblico, che sono state rese come doveroso tributoall’eroe che consentì, con la sua impresa, di “unire”sotto un’unica bandiera territori diversi per culturaed economia.

Le conseguenza di questa “unità” il Sud le conti-nua a pagare tutt’oggi. Questa nota non vuole entra-re nel merito “storico” di Garibaldi e dei suoi man-danti: ha lo scopo di sottolineare alcuni aspetti che aipiù sfuggono. Garibaldi un massone (addiritturaGran Maestro), e Napolitano, Bertinotti e tanti altri,

di matrice comunista, lo applaudono. Perché, allora,non applaudire anche Gelli che, a modo suo (tuttosuo), voleva rendere più “democratica” l’Italia? Icomunisti ufficialmente si sono posti e si pongonocontro la massoneria, tranne poi a scoprirne chemolti ne possono far parte integrante. Bologna inse-gna.

Un paradosso, sicuramente. Ma Garibaldi non èvero che tramò (e arrivò alle armi, sovvenzionato dapoteri più o meno occulti dell’epoca) contro Governicostituiti? Se fosse vissuto oggi, dovremmo conside-rare il generale Garibaldi un golpista, un brigatista,o un piduista.

Ma non finirebbe in galera, come non sono finiti ingalera, nei tempi moderni, tanti golpisti, brigatisti opiduisti, quanti, insomma, sono stati servitori dei so-liti poteri, che tanto occulti non sono.

Gli “eroi” vengono creati dal potere in carica, chene fa uso e consumo a seconda delle necessità: quelche vale per un uomo può non valere per un altro chemilita sotto gli emblemi non omologati dallo stessopotere in carica.

Non c’è morale in questa nota, non può essercene,e se ci fosse non ne faremmo uso.

Sa. Ba

SPE

CIA

LE

GA

RIB

AL

DI Una messe di applausi e riconoscimenti a Garibaldi dagli attuali governanti del Paese Italia

È il potere che usa trasformarei suoi servitori in eroi patentati

La “storia ufficiale” la scrivono e la scriveranno sempre i vincitori

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11LA VOCE DELL’ISOLA21 luglio-31 agosto 2007

Bianco, nero e rosso nelle celebrazioni del bicentenario di Garibaldi

Cosa accadde veramente in Siciliasul finire del 1860? L’impresa dei Millefu un’avventura personale e piratescaassolutamente illegale, che permise

al nuovo invasore di sostituirsi ai Borboni_______

di Giuseppe Parisi

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In questi giorni ricorre il bicentenario di Giuseppe Garibaldi,cosa che il nostro governo ha ben voluto evidenziaremettendo in essere tutta una serie di iniziative e di

“pubblicità” all’evento, dimenticando che il nostro eroe è unadelle figure più controverse del Risorgimento, a cui nonmancarono apprezzamenti poco lusinghieri sia da moltiosservatori storici e politici, anche dell’epoca, che da parte diquei “padroni” che l’eroe dei due mondi servì fedelmente. Sonoormai note alcune pesanti esternazioni di Vittorio Emanuele diSavoia che, in parole spicciole, parlando con Camillo Bensoconte di Cavour liquida seccamente il soggetto ponendolo allastregua di furfante. Inoltre, alla luce di così tanto scalporeverificatosi in parlamento che, su un punto ha visto convergereanime politiche diametralmente opposte quali la Lega Nord el’Mpa, vogliamo dire la nostra su quanto accadde in Sicilia sulfinire del 1860, anche perché, ne siamo convinti, ancora sono intanti a non conoscere la “verità” vista da un punto diosservazione diverso da quello ufficiale, di quella pagina distoria che ci ha portato a ciò che siamo oggi.

Al fine di essere il più possibile chiari sulla questione, nonpossiamo esimerci d’iniziare senza accennare ad alcune ogget-tività sullo sbarco di Garibaldi,azione che Mack Smith (storico)ha definito “la donchisciottescaspedizione di Garibaldi e deisuoi Mille”, circa il modo roc-cambolesco di come avvennel’operazione di sbarco. C’e an-che da dire che le operazioniparamilitari di Garibaldi furonoprive di validità giuridica perchéa quell’impresa mancò la cre-denziale di uno Stato ufficial-mente costituito e, quindi, la ne-cessaria copertura di una ban-diera. Si trattò dunque, a nostroavviso, di un’avventura persona-le e piratesca…assolutamente il-legale per usare un linguaggio invoga oggi.

Sin dal primo momento, il po-polo siciliano che contrariamen-te a quanto detto non partecipòall’azione, anzi, ebbe seri dubbiponendosi da subito il quesito sesi voleva realmente liberare laSicilia dalla dominazione borbo-nica oppure compiere un’altravera e propria invasione. Infatti,quel giorno di maggio, quandoGaribaldi giunse a Marsala conle navi, in rada e alla fonda delporto trovò due cannoniere dellaMediterranean Fleet: le H.M.S.Argus e Intrepid, formalmentein visita di cortesia in Sicilia,ma in realtà giunte lì su preciseistruzioni del gabinetto londine-se di Palmerston Russel; così,mentre i garibaldini del Piemon-te erano già sbarcati e gli altridel Lombardo stavano per farlo,sopraggiunsero a Marsala loStromboli e due altri piroscafiarmati della flotta Borbonica alcomando di Guglielmo Actonche si accorse subito della pre-senza sul molo di uomini in giubbe rosse e li scambiò per i“red coats” inglesi. A quel punto, Acton, che aveva già dato or-dini di armare i pezzi, fece chiedere agli inglesi se gli uominiarmati che si vedevano sul molo erano truppe britanniche. Gliinglesi risposero di no e, nel contempo, avvertirono Acton chei loro comandanti si trovavano a terra. Acton, che rabbrividì alsolo pensiero che una scheggia di granata potesse colpire unufficiale della Regina Vittoria, decise di attendere il loro ritor-no sulle navi, e solo dopo un’ora buona aprì il fuoco. Ma aquel punto, i garibaldini erano già al sicuro e ben nascosti daitiri dello Stromboli e dei piroscafi Partenope e Capri. A noi,viene spontaneo pensare, confortati da illustri personaggi, chegià da qui si possa iniziare a parlare di “inciuci”, tanto per usa-re un termine oggi assai noto. Questi inquietanti episodi delleprime ore dei Mille sbarcati in Sicilia, la dice già lunga e c’in-ducono a ritenere che, l’azione del capitano di fregata Actonnon fu affatto brillante. Se egli avesse meditato un tantino sullalealtà britannica e avesse adempiuto al suo dovere di soldatolegato al destino dei reali Borbonici, almeno la metà, se non dipiù della spedizione che approfittò di tanta esitazione per ab-bandonare il Lombardo, avrebbe fatto la stessa fine che feceronel 1857 i 300 di Carlo Pisacane, e forse la storia che portò laSicilia dall’una all’altra dominazione sarebbe ancora tutta dascrivere.

D’altronde, la perfidia e l’egoismo della diplomazia inglese,le sue riserve mentali sul destino coloniale della Sicilia, nelmaggio 1860 non vennero compresi soltanto da quell’ufficialeborbonico che, dopo tutto, a spregio di ogni virtù militare pas-sò al nemico prima ancora della capitolazione del proprio re,ma non lo furono dagli stessi Siciliani nel 1812, nel ’48, nel’60, e anche nel 1943-45.

La narrazione di quei fatti non ha lo scopo di fare filosofiapolitica o di rifare la storia dell’impresa siciliana di un Garibal-di a cui il Foreign Office credette di riconoscere la stoffa delBolivar, di San Martin, di Artigas, di Espartero, la stoffa del li-bertador sudamericano o iberico insomma, anglofilo per incli-nazione o per necessità; né di dare spazio alla sterile e odiosapolemica sull’estrazione tipicamente italica e nordista del con-tingente originario dei cosiddetti Mille. Lo scopo è invece dichiarire lo status che il nuovo invasore rivesti in Sicilia, succe-dendo all’occupante borbonico. Giuseppe Garibaldi non presemai in considerazione il sacrosanto diritto dei siciliani alla li-bertà, né volle riconoscere l’esistenza di quel partito costitu-

zionale che rappresentava l’opinione politica maggioritaria diessi. Non di meno, i testi scolastici e la storiografia tradiziona-le tentano, ancora oggi, di far passare per verità la grossolanamenzogna secondo cui egli sbarcò nell’isola per aiutare il po-polo siciliano a riprendere in mano la disponibilità del propriodestino. Infatti, nel primo decreto fatto a Salemi, due giornidopo lo sbarco, egli dichiarò d’intitolarsi “Comandante in capodelle forze nazionali in Sicilia” e di “assumere nel nome diVittorio Emanuele Re d’Italia, la Dittatura in Sicilia”. Cioè, siattribuì senza mezzi termini e senz’alcun equivoco la posizionegiuridica dell’occupante bellico e, in particolare, dell’invasoreil quale, per delega più o meno espressa del non ancora re d’I-talia, intendeva succedere al precedente invasore. È dunqueinoppugnabile che fin da questo suo primo decreto, egli scar-tasse ogni pur minima concessione alla libertà dei siciliani,poiché con la forza acquistava la sovranità del territorio chegradualmente andava occupando. Contrariamente alla sua con-clamata sensibilità di “eroe della libertà dei popoli”, che avreb-be dovuto indurlo a scegliere di concedere la legislazione el’organizzazione che lo Stato di Sicilia si era dato nel 1848-49,si comportò da invasore, sfruttando il territorio occupato, di-

straendone le risorse finanziarieper i bisogni di altri territori, dialtre popolazioni, di altri Stati.Gli eventi di quella triste paginadi storia del popolo siciliano, chefu rapinato, saccheggiato, umilia-to, reso servo e trucidato dai libe-ratori garibaldini, non trova spa-zio di approfondimento in questanarrativa che principalmente è ri-volta all’atto di annessione bencongegnato. Infatti, il 2 giugno, ilgoverno provvisorio del DittatoreGaribaldi aveva emanato da Pa-lermo un decreto sulla divisionedei demani; ma non appena i con-tadini passarono a reclamarnel’attuazione e a rivendicare anchela quotizzazione delle terre dema-niali acquistate illegalmente daicommercianti e dai borghesi, fuproprio quel governo che comin-ciò ad applicare contro di essiquegli altri decreti emanati dallostesso Dittatore in difesa dellaproprietà e degli interessi agraridella borghesia e, per di più, adot-tando contro i poveri disillusi laprocedura sommaria dei Consiglidi guerra distrettuali, istituiti conil decreto del 20 maggio.

E se ciò costituì da un lato unagaranzia per la classe aristocrati-co-borhese, la quale inclinò subi-to all’annessione pronta ed incon-dizionata, determinò dall’altro la

frattura definitiva tra quello pseudo-liberatore e il proletariatodell’isola. Inoltre, le stragi contadine che Bixio e gli altri co-mandanti delle colonne garibaldine consumarono a Bronte, aNicosia, a Mascalucia, Nissoria, a Leonforte e a Biancavilla,sono il suggello e le prove storiche più schiaccianti della poli-tica filoborghese e reazionaria adottata da subito dall’Eroe del-la libertà dei popoli. Egli dunque mise in atto prontamente idettami del re “che si compisse senza ritardo l’annessione”, eDepretis (pro-dittatore con il decretò di Milazzo del 21luglio)cominciò ad emanare tutta una serie di provvedimenti allo sco-po di far scomparire ogni residua possibilità di autodetermina-zione dei siciliani. A tale proposito, ricordiamo in modo speci-fico quelli politicamente e psicologicamente incisivi deI 13giugno, con il quale si abolì l’emblema nazionale dell’isola,sostituendolo con lo stemma sabaudo, come se la Sicilia do-vesse essere considerata d’ora innanzi un bene di quella Coro-na o addirittura parte del patrimonio privato di quei re; del 16giugno, che revocò le dogane tra l’isola e le province italiane;del I7giugno, che impose alle navi siciliane la bandiera delloStato sabaudo; del 2 luglio, con il quale si stabili che gli effet-tivi dell’esercito siciliano venivano a costituire la XV e la XVIdivisione dell’esercito piemontese; del 6 luglio, che disposel’intestazione di tutti gli atti pubblici a “Vittorio Emanuele IIRe d’Italia”, quando ancora non lo era; del 5 e del 14 luglio,

con i quali gli uomini della MarinaMilitare siciliana furono incorpo-rati negli organici di quella Sarda.

Dal 3 agosto ad oltre la metà diottobre, anziché dare la pro-ditta-tura ad Antonio Mordini, si attuòuna vera e propria buriana di prov-vedimenti: l’estensione all’isoladello Statuto Albertino; l’adozionedella formula del giuramento di fe-deltà a Vittorio Emanuele Il e aisuoi reali successori; l’intestazionedelle leggi “in nome di S.M. Vitto-rio Emanuele Re d’Italia”; l’unifi-cazione monetaria; il riconosci-mento alla pari dei gradi accade-mici conseguiti fuori della Sicilia enei pubblici concorsi svoltisi nel-l’isola. E vennero recepiti pure idecreti piemontesi sull’ordinamen-

to degli uffici di questura e sulla pubblica sicurezza, come an-che le leggi e i regolamenti della marina mercantile sarda. Ven-nero estesi all’isola la legge comunale e provinciale sarda del23 ottobre 1859, il codice penale militare piemontese e la leg-ge piemontese 16 novembre 1859 sulla composizione degli uf-fici di governo e d’intendenza, sui gradi, le classi, gli stipendidei funzionari, degli impiegati e del personale di segreteria.Questa pesante messe di disposizioni, è stato giustamente os-servato da De Stefano e Oddo, “metteva l’isola né più e né me-no sul medesimo piano delle province che avevano votato l’an-nessione al regno sardo, e annullava e trasformava radicalmen-te istituzioni, uffici, metodi inveterati e adeguati alle tradizioniisolane”. La flebile opposizione radicale del gruppo crispinoaffogava dunque nella marea di quei decreti e di quel “riordi-namento amministrativo” che costituirono la base politica epsicologica per il plebiscito di annessione immediata. Quandoperò il 14 settembre Garibaldi si vide costretto a Napoli, ad ac-cettare le dimissioni di Depretis per sciogliere il nodo del con-trasto insorto tra la politica di quest’ultimo e quella temporeg-giatrice del gruppo dei radicali - contrasto che aveva portatoalle dimissioni dello stesso cervello politico del Dittatore dalgoverno presieduto dal Depretis - sembrò che tra il nuovo pro-dittatore Mordini e i democratici e i moderati autonomisti chia-mati al Ministero si potesse giungere alla mediocrità di un ac-

cordo di massima sul futuro asset-to costituzionale dell’isola.

È in questo senso che deve esse-re interpretata la decisione del 5ottobre del Consiglio dei Ministri,in base alla quale Mordini decretòe promulgò la convocazione deicomizi elettorali per l’elezione deiDeputati che avrebbero dovuto sta-bilire a Palermo, «…in Assemblea,le condizioni dell’annessione».Ora, avrebbero partecipato alleelezioni “tutti i cittadini” alfabetiz-zati e non esclusi dal titolo di elet-tore, dai 21 anni in poi, come d’al-tronde aveva proposto il decretodittatoriale n 57 del 23 giugno, conil quale si richiamarono ancora lestesse norme della legge elettoralepromulgata dal Governo sicilianodel ’48 e caddero tutte quelle categorie del censo che eranostate ripristinate invece dal Borbone dopo il maggio ’49. Neldecreto del 5 ottobre si premise che quei comizi avevano loscopo di «stabilire le condizioni di tempo e di modo… per en-trare in seno alla grande famiglia Italiana», e mentre l’art. 1fissava le elezioni per il 21 ottobre, all’art. 14 si diceva:«un’altro prossimo Decreto indicherà il giorno ed il luogo incui i Deputati eletti si debbano riunire in Assemblea, nella cittàdi Palermo». Non appena infatti pervenne anche l’assenso de-finitivo del Dittatore che si trovava ad attendere sul Volturnol’avanzata dell’esercito piemontese, il 9 ottobre il governoMordini sancì che alla data fatidica del 4 novembre “L’Assem-blea dei Rappresentanti del Popolo Siciliano” avrebbe dovutoriunirsi a Palermo. Lo stesso Mordini, nella nota illustrativadel precitato decreto diretto ai Governatori dell’isola, dopoaver affermato che “il suffragio universale diretto è la più irre-cusabile consacrazione della volontà di un popolo”, volle met-tere in risalto il motivo per il quale il governo da lui presiedutoaveva scelto il ricorso all’Assemblea dei Rappresentanti e nonil suffragio diretto, abbandonandosi a queste candide confes-sioni: “Nel ricevere dalle mani del Dittatore la delegazione deisuoi poteri sull’isola, ‘io riconobbi l’esistenza di elementi didiscordia alla superficie, non al fondo della società siciliana’,per cui, convintosi che ‘dalla massa emerge la classe che non

ragiona soltanto col cuore e che discute i problemi dell’avveni-re con calcoli freddi e maturi’, il Governo da lui presiedutoaveva deciso per la convocazione dell’Assemblea, in quanto lastessa apriva «larghissimo il campo alla classe intelligente ecolta di svolgere, in un terreno libero, indipendente, non sog-getto a coazione alcuna, i propri studi, le proprie vedute, i con-cetti che ognuno crede meglio conducenti a consolidare il be-nessere generale»”. E l’opinione pubblica, come rileva MackSmith in Cavour e Garibaldi nel 1860, “aveva accolto con fa-vore il suo progetto di Assemblea”, giacché a tutti pareva giu-sto che si discutessero le forme e i modi di quella non invisa ri-chiesta di adesione alla “grande famiglia Italiana”.

Come però era da attendersi, Cavour reagì immediatamenteanche perché aveva già respinto la stessa proposta fattagli alprincipio di luglio dal gruppo moderato autonomista guidatoda Emerico Amari, da Francesco Ferrara e dal conte MicheleAmari; e, deciso a scongiurare il pericolo delle aumentate pres-sioni di Mazzini, Cattaneo, Conforti e Crispi, su Garibaldi perla convocazione delle Assemblee costituenti di Sicilia e di Na-poli, quando il 2 ottobre si aprì a Torino la seconda e ultima

sessione di quella VII Legislatura, presentò alla Camera un di-segno di legge in cui si autorizzava il governo ad accettare perregi-decreti le “annessioni incondizionate da farsi con i plebi-sciti”. L’1l ottobre, la Camera approvò la proposta quasi adunanimità, e così il 16, il Senato e, a questo punto, il genio po-litico di Garibaldi, partorì quel decreto di Sant’Angelo del 15ottobre, nel quale addirittura sancì, sei giorni prima della datagià fissata in Sicilia per quegli altri ben diversi comizi elettora-li, l’annessione sic et simpliciter della Sicilia e del Napoletanoal Regno di Vittorio Emanuele Il. «Le Due Sicilie», dice l’uni-co articolo del madornale decreto, «...fanno parte integrantedell’Italia una ed indivisibile, con Re Costituzionale VittorioEmanuele e i suoi discendenti. I Pro-dittatori sono incaricatidell’esecuzione del presente decreto. E se questa non fosse lastoria sulla quale è tessuto il dramma della Sicilia dal 1860, sa-remmo tentati di credere che ci si trovi di fronte ad una pocha-de o a un vaudeville. Ma non è ancor tutto perché, nello stessogiorno, Torino indusse il suo eroe sudamericano ad annullare ildecreto, spiegandogli forse discretamente che per salvare al-meno la faccia di fronte all’Europa si sarebbe dovuto procede-re all’annessione coi plebisciti e non con un decreto dittatoria-le. E così, i due pro-dittatori, Pallavicino a Napoli e Mordini aPalermo, ricevettero dal loro capo politicamente esautorato lalibertà di rimescolare ancora le carte. Mordini, infatti, con un

proclama dello stesso 15 ottobre ritrattò la convocazione diquei comizi indetti per eleggere i Rappresentanti dell’Assem-blea che avrebbe dovuto “stabilire le condizioni” della Siciliaper entrare a far parte della “grande famiglia Italiana”, e dopoavere puerilmente affermato che in quel giorno «nuovi casi»avevano «cambiato le condizioni nel decreto», pubblica in cal-ce al buffo e sconcertante proclama: “Art. 1°, i comizi elettora-li convocati per il 21 ottobre, in luogo di procedere all’elezionedei Deputati, dovranno votare per plebiscito sulla seguenteproposizione: «Vogliamo l’Italia una e indivisibile con VittorioEmanuele Re Costituzionale e i suoi legittimi discendenti».Art. 2°, il voto sarà dato per bullettino stampato o scritto por-tante la scritta «Si» o «No»; ogni altro bullettino sarà reputatonullo...”.

S’immagini dunque quanta confusione produssero questi rei-terati contraccolpi sul già disorientato spirito pubblico di unPopolo che contava ancora un numero di analfabeti che tocca-vano il 90% e che raggiungevano il 100% tra le popolazionirurali e nei quartieri più popolosi delle stesse città. Come os-serva Mack Smith nell’opera citata, «fu proprio l’ignoranzagenerale, di fatto, che in Sicilia garantì a Cavour il voto popo-lare». Le nuove modalità dettate da Mordini per esprimere il“voto plebiscitario” erano tra l’altro profondamente differentidalle modalità adottate l’11 e il 12 marzo del 1860 in Emilia ein Toscana dai Governi provvisori annessionisti del Farmi e delRicasoli, i quali, sempre in adempimento alle istruzioni di Ca-vour, avevano chiamato gli ex-sudditi di quegli ex-ducati asso-lutisti e senza storia a scegliere una di queste due proposte:“Annessione alla monarchia costituzionale del Re VittorioEmanuele Il” oppure “Regno separato”. Come invece abbiamovisto, per i siciliani la necessaria chiarezza di questa legittimaalternativa non ebbe spazio. Da parte di alcuni dei tanti giorna-li annessionisti che fiorivano ormai in ogni Comune con i soldidella Società Nazionale, in quei giorni si scrisse pure che l’eli-minazione dell’espressione «annessione alla monarchia di Vit-torio Emanuele» dalla formula plebiscitaria proposta, sottin-tendeva già la considerazione dei diritti particolari dei siciliani,e che dunque si votava solo “per entrare a far parte di un nuo-vo Stato italiano e non per annettersi a uno Stato già esistente ein possesso di una costituzione già interamente redatta”. Que-sta grossolana menzogna dei gazzettieri era però smentita dallostesso testo della formula plebiscitaria, ma di per sé illumina lapreoccupazione del nuovo occupante e del suo mandante, chericorreva ad ogni mezzo per piegare al plebiscito la “libera vo-lontà” del Popolo. Torino ben sapeva che l’occupazione belli-ca, pur se si estendeva alla maggior parte del territorio nemico,non poteva spiegare da sé alcuna efficacia giuridica in ordineal suo acquisto e rimaneva sempre un fatto puramente militare,senza nessun mutamento alla sovranità.

Era dunque necessario che all’occupazione si aggiungesseun titolo giuridico tale da non revocare il fondamento dell’inte-ro processo acquisitivo della sovranità territoriale: un titolo ilquale, facendo seguito alla conquista del territorio e alla debel-latio del Regno di Napoli, avesse appunto come effetto formalee sostanziale l’estinzione dello Stato annesso e di tutti queisuoi diritti e doveri che ne presuppongono l’indipendenza o so-vranità. E quel plebiscito di natura mista che la conquista pie-montese impose ai siciliani nella complessa situazione del1860, altro non fu, come vedremo, se non l’attuazione di unprogetto accuratamente elaborato per sanzionare l’annessioneattraverso il metodo, in principio ineccepibile, del ricorso al“suffragio universale”. Non vi era molto da aspettarsi; ma poi-ché il 17 e nei giorni seguenti erano stati emanati anche alcunidecreti che allargavano e rafforzavano le piante organiche deivari ministeri di quel governo prodittatoriale, come confessònel 1868 lo stesso ex-unitario pentito Paolo Gramignani nelloscritto intitolato I Regionisti, «si accreditò e ribadì sempre dipiù l’idea che si sarebbe stabilito e mantenuto in Sicilia un im-portante Governo locale». Furono anzi queste implicite pattui-zioni, dice il Gramignani, a spingere “fiduciosi e compatti i si-ciliani alla votazione del plebiscito”.

Nei precedenti centocinquanta giorni dall’invasione, ognimossa politica, legislativa e amministrativa era stata peraltro

12 LA VOCE DELL’ISOLA21 luglio-31 agosto 2007

In alto a sinistra: Nino Bixio. Sopra: illustrazione degli scontri dei Mille

Sopra e in basso: illustrazioni dello sbarco dei Mille in Sicilia

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finalizzata a preparare il rito dell’adesione totalitaria alla propo-sta di una formula che, come ha osservato di recente anche San-dro Attanasio in Gli occhiali di Cavour, «non offriva alternati-va… o Vittorio Emanuele e i suoi legittimi discendenti, oppureniente». E a questo scopo, capipopolo e propagandisti politici,mafiosi di ogni calibro e piccoli burocrati desiderosi di far car-riera, indigenti e possidenti, arrivisti e mestatori d’ogni genereerano stati mobilitati con qualunque mezzo dai governi dei duepro-dittatori e dai loro organi provinciali e comunali. Erano statidistribuiti a iosa posti, prebende, incarichi e gradi che, in verità,durarono in moltissimi casi fino all’indomani della celebrazionedi quella kermesse, ma risultarono oltremodo efficaci ad ali-mentare tutte le illusioni e le allucinazioni di quel momento. Aquesto giuoco, d’altro canto, si prestava mirabilmente l’odio co-vato per lungo tempo dal Popolo contro la dominazione del go-verno di Napoli, sicché la sua strumentalizzazione contribuivain maniera determinante a far dimenticare che la posta ora nonera il cambio dei cavalli governativi, ma il destino medesimodello Stato di Sicilia, esistito nella sua più sostanziale integritàdal 1131 al 1815 e risorto ancora nel 1848-49. Uno storico comeMack Smith, a cui di certo non si può rimproverare una qualchesimpatia per i siciliani e la loro causa, ma che non pecca di ac-curatezza e originalità di ricerche negli Archivi di Stato dell’iso-la, in “Cavour e Garibaldi neI 1860” precisa: «Se ci fosse statoqualche dubbio sul modo in cui il popolo avrebbe votato, essofu dissipato dall’annuncio fatto da Garibaldi, che le Due Sicilieformavano già parte dell’Italia una e indivisibile e della sua pro-

posta di cedere a Vittorio Emanuele il potere dittatoriale che lanazione gli aveva conferito». Dopo di che, riassume così i dati ei fatti più significativi di quel 21 ottobre: «A Palermo, su unapopolazione totale di un quarto di milione di abitanti, gli elettoriregistrati erano solo poco più di quarantamila e di essi trentaset-temila avrebbero poi effettivamente votato».

Quella di “suffragio universale” era evidentemente un’espres-sione arbitraria. Molti cittadini non sierano affatto iscritti nei registri, per“non avere niente capito” - comescrisse il giornale palermitano Il Re-gno d’Italia del 17 ottobre - “dell’im-portanza del diritto di elettori...; incinque mesi molti hanno smarrito ilbiglietto, molti non l’hanno più perchénon sapevano cosa farsene”. Il giornoprecedente la votazione, i registri do-vettero essere aperti di nuovo. Il de-creto originario del 21 giugno sulla procedura del voto, avevaconcesso ad ogni località di regolarsi in proposito come volesse.Messina chiese, ma invano, altri dieci giorni di preparazione;Siracusa non aveva compilato affatto le liste elettorali e un pro-clama invitò il popolo a firmare su un registro aperto; a Palermograndi folle - come attesta tra l’altro il giornale palermitanoL’Annessione del 21 ottobre - “dovettero votare senza nessunaprevia formalità”. Nella capitale c’era un’enorme eccitazioneper questo nuovo genere di feste che precedettero il grande gior-

no in molte località, con illuminazioni notturne e strade - comecomunicò il viceconsole inglese Richard al suo ambasciatore aNapoli Elliot in data 22 ottobre - bellamente decorate con tappe-ti e bandiere sarde. Il 21 era domenica e la votazione si tenne ingenerale nelle chiese, dopo la messa; il pro-dittatore con i mini-stri, gli impiegati pubblici e l’arcivescovo votarono tutti nellacattedrale. Alla sera, molti non si erano ancora rammentati divotare, cosi il Consiglio comunale risolse che sarebbe stato le-gale lasciare la votazione aperta anche tutto il giorno successi-vo. Sarebbe facile dimostrare come, in molti casi particolari, ilsistema usato non fosse il metodo per sincerarsi della volontàpopolare. La votazione era pubblica, su un palco, con due urneaperte perché tutti vedessero quale fosse la scelta e davanti a unsemicerchio di agenti lafariniani travestiti, con facce scure eun’aria di mistero, seduti al centro della navata. Fuori dallegrandi città, nelle zone dove i villaggi erano ancora feudali e iproprietari terrieri si erano convinti che l’unione con il Piemon-te offriva le migliori speranze per la restaurazione dell’ordine,la pubblicità che circondò la votazione significò un sì quasi ob-bligatorio. In alcuni luoghi, per esempio a Trapani - come è at-testato da un telegramma dello stesso governatore di Trapani aMordini in data 30 ottobre - i contadini, nella loro ignoranza,fuggirono in montagna, avendo l’impressione che il voto fossesolo un trucco per intrappolarli e obbligarli al servizio militare.Il corrispondente del giornale L’Unità Italiana di Palermo, in da-ta 1 novembre descrive come, nel suo villaggio, il capo del mu-nicipio si alzò anzitutto per spiegare il significato del sì e delno, ma non ebbe in risposta che grida di “Non vogliamo né Vit-torio Emanuele né Francesco, ma don Peppino”, (cioè Garibal-di); allora l’oratore, un po’ perplesso, rispose che proprio inquesto caso dovevano votare per il sì e la gente lo fece concor-de.

Un Governatore, quello di Mazara, aveva scritto l’8 ottobre alGoverno di fare molta attenzione a questa sorta di problemi, e direndersi conto che l’analfabetismo completo di quasi tutti gliabitanti rendeva impossibile un voto segreto; ma ebbe dal Go-verno, in data 11 ottobre, questa risposta che non gli recò certomolto aiuto: “Se l’elettore analfabeta è sottoposto all’arbitriodello scriba, il difetto sta nel fatto non nella legge”... I moderatisi sentivano sicuri che, con la Guardia Nazionale che faceva ilsuo dovere, con una votazione pubblica, con la direttiva perso-nale di Garibaldi e con alla presidenza dei seggi magistrati cheavevano tutti giurato fedeltà a Vittorio Emanuele, non vi potes-sero esser dubbi sul risultato del plebiscito. Era però necessariounire disciplina ed entusiasmo; per questo la Guardia Nazionalefu obbligata a votare - come risulta dal rapporto del comandantedella Guardia Nazionale di Milazzo al suo ispettore generale aPalermo, in data 22 ottobre - “in corpore” e in uniforme per dare

l’esempio di un voto solido con ban-diere e cartelli per il Sì. Non solo lacompilazione delle liste era stata alte-rata, ma in certi casi le schede elettora-li erano messe in vendita al mercatonero. P. Grofani dà il prezzo di duescudi per ogni scheda, in una lettera aMordini, 11 ottobre; il giornale L’As-semblea del 12 ottobre dà il prezzo di5 franchi per scheda. Il governatore diCatania e quello di Messina proibirono

quella che secondo loro era la “stampa clandestina” degli “agi-tatori” autonomisti. A Catania, uno del partito dell’annessione sivantò di aver messo a tacere ogni gruppo di opposizione nellasua provincia. Ancor più significative le parole del governatoredi Girgenti, come risulta da un suo rapporto a Mordini in data29 ottobre. A Noto e a Modica, e forse anche altrove, i governa-tori usarono una forma veniale d’inganno: avrebbero tralasciatodi continuare la coscrizione e sospeso le operazioni di leva finoalla conclusione del voto.

I votanti furono un po’ meno del quinto della popolazione. Suun totale di 292 distretti [seggi elettorali] in Sicilia, sembra che238 non abbiano registrato nessun voto negativo. Non menosingolare appare forse il fatto che solo per 18 distretti le autoritàriferirono di qualche voto nullo o di qualche scheda bianca. Al-trettanto notevole, anche se più significativo, quanto riferisconole relazioni da Patti, cioè che su 1.646 elettori, votarono tutti, etutti per il sì. A Palermo, su 40.000 registrati ci furono più di4.000 astenuti e solo 20 voti negativi; Messina, su 24.000 vo-tanti registrò solo 8 contrari. Il giornale La Forbice di Palermo,il 23 ottobre mostrava di fare un gran conto dei 14 voti negativisui 3.000 di Alcamo, dicendo che la loro esistenza mostrava lalibertà della votazione. Alcara Li Fusi ne ebbe ancora di più, 27su 384; Caltabellotta, 47 su 500; ma furono casi eccezionali. Ilnumero più alto di voti contrari si ebbe nel distretto di Girgenti,con 70 no su circa 2.500 sì.

Non si seppe mai quanti fossero gli aventi diritto al voto suuna popolazione di quasi 2.400.000 abitanti né quanti furono gliastenuti. Come osserva Attanasio, «Mancò poco che i voti favo-revoli superassero il 100% dei votanti». Il risultato del plebisci-to infatti, anche secondo quanto afferma Mack Smith nella Sto-ria della Sicilia medievale e moderna, diede «una maggioranzafavorevole del 99,5%».

È vero che non si hanno esempi di plebisciti contrari al regi-me che ne proponevano le risposte, ma è vero altresì che non sihanno esempi di plebisciti in cui, come in quello di Sicilia, su432.720 votanti si siano avuti 432.053 sì e soltanto 667 no.

Ma la radicale nullità dell’atto che i suoi promotori avrebberovoluto far passare agli occhi del mondo come un limpido e so-lenne negozio di diritto pubblico internazionale, come un vero eproprio Atto o Contratto di valore politico reale, venne subitocolta ed evidenziata sia da osservatori inglesi, come il Mundy eil Clark, sia da tutti i consoli e i ministri plenipotenziari accredi-tati ancora dai loro Governi a Palermo e nella capitale del Re-gno di Napoli.

E i testi di alcuni di quei dispacci inviati alla vigilia e all’in-domani del 21 ottobre a Londra e a Napoli dal console Good-win, che risiedeva a Palermo e a cui faceva capo tutta la reteconsolare inglese di Licata, Messina, Catania, Marsala, come diquelli inviati dal ministro plenipotenziario Elliot al Segretario diStato agli Esteri Lord Russell, come il rapporto di quest’ultimo

14 LA VOCE DELL’ISOLA21 luglio-31 agosto 2007

Una pittura satirica di Garibaldi e Cavour che pescano la “Trinacria”. In alto: altre illustrazioni dello sbarco

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al ministero presieduto da Lord Palmerston, sono eloquenti diper se. Elliot scrisse in quei giorni al capo del Foreign Office:«pur essendo moltissimi i dissidenti, sono tutti forzati a votareper l’annessione; ed infatti la formula del voto e il modo diraccoglierlo così disposti, assicurano la gran maggioranza pos-sibile per l’annessione, ma non constatano il desiderio del pae-se». E il 30 ottobre aggiunse che «il voto era stato la farsa piùridicola che si poteva immaginare e non c’era stata nemmenola pretesa di limitarlo a quelli che erano qualificati, poichégente di ogni paese e di ogni età e anche di ogni sesso nonhanno difficoltà nel far contare anche la loro opinione».

Il ministro Russell precisò al Gabinetto: «I voti del suffragiouniversale in quei Regni non hanno alcun valore; sono mereformalità dopo un rivolgimento ed una ben riuscita invasione;né implicano in sé l’esercizio della volontà della Nazione, nelcui nome si son dati...». E il perdurare del divieto agli storici divisionare presso il Publjc Record Office del Foreign Office tut-te quelle notizie documentali e di carattere diplomatico; il si-lenzio medesimo che grava ancora sui rapporti inviati ai loroGoverni dagli altri consoli e diplomatici, dimostrano soltantoche i giudizi di tutti i rappresentanti dei Paesi a Palermo e aNapoli furono negativi in proposito.

In questo modo si concluse l’ultimo atto di un dramma chevenne subito definito dal Popolo «lu schifiu di la Rivoluzzio-ni». Ma non fu tuttavia, come si può credere, il plebiscito a rin-viare la soluzione del problema della libertà dei siciliani, bensìil riaccendersi, come dodici anni prima, del vecchio contrastofranco-inglese per la supremazia nel Mediterraneo, dove l’isolarappresenta la più importante posizione strategica. Il risultatodi quell’intrigo che Cavour seppe tessere, è ancora inciso admemoriam dei siciliani sulle lastre di marmo poste ad orna-mento delle facciate di tanti vecchi e gloriosi Comuni dell’iso-la e su molti giornali italiani che riportano a pagamento il giu-dizio del Governo Podi sull’argomento: “ La storia di ognunodi noi inizia qui. Dalle imprese di chi ci ha reso liberi e uniti”.Liberi e uniti da chi e da cosa ci piacerebbe non poco saperlo.

15LA VOCE DELL’ISOLA21 luglio-31 agosto 2007

Tv estiva, Garibaldi fa audience

Otto e mezzoa Raffaele

Nel palinsesto televisivo estivo italiano, si sa, domi-nano da tempo le repliche ed i programmi di scar-to. Ma negli ultimi anni una tendenza sempre più

in voga è stata quella di fare le versioni estive di program-mi invernali di successo. L’ultimo esempio (ma non il piùriuscito in verità, a vedere i dati di ascolto) è il figlio di unprogramma di notevole successo dell’emittente La 7, chenella sua versione invernale schiera il suo fondatore, Giu-liano Ferrara, accompagnato dalla ex portavoce dell’at-tuale presidente della Camera Fausto Bertinotti, RitannaArmeni.

Nella sua versione vacanziera il posto di Ferrara è statoceduto al neo presidente del teatro Stabile di Catania, Pie-trangelo Buttafuoco, che è accompagnato da una dellegiornaliste di punta della redazione politica del Tg di La 7,Alessandra Sardoni. Nella puntata dello scorso 4 luglio,bicentenario della nascita di Giuseppe Garibaldi, a con-frontarsi sui pregi e difetti dell’eroe dei Due Mondi, sonostati invitati, Mario Borghezio (esponente tra i più “agita-ti” della Lega Nord), Raffaele Lombardo (leader dell’M-pa) e Claudio Martelli (ex delfino di Bettino Craxi e, inera post Tangentopoli, impegnatosi con alterne fortune nelrutilante mondo della televisione come autore e presenta-tore).

Oltre agli esponenti politici (o, formalmente, ex) c’eraanche una giovane professoressa di storia che, a dire il ve-ro, ad ogni intervento dei suddetti esponenti, soprattutto dicoloro che indossavano i panni degli anti garibaldini dasalotto tv, mordeva il freno e restava sempre più sgomen-ta. Motivo di questa palpabile sensazione di estraneità daparte della docente di certo il modo in cui è andava via viaconfigurandosi la discussione, piena com’è stata di tanteinesattezze buttate lì per caso, o, peggio, tanto per alzareun polverone.

Come si può immaginare questo giornale non vede dicerto di buon occhio la spedizione dei Mille guidata dal-l’avventuriero nizzardo, soprattutto per le conseguenzeamare che provocò per la Sicilia, e non certo per responsa-bilità tutte politiche sulle quali il povero Peppino Garibal-di ebbe ben poca influenza. Ma sentire straparlare attualiesponenti della classe politica di storia patria come seavessero ripassato (e male) i sussidiari delle medie non hadato fastidio solo alla professoressa, ma anche a chi, comechi scrive, vorrebbe che venisse fatta luce sulle responsa-bilità (ottocentesche ma anche molto più recenti) dell’arre-tratezza della nostra terra.

Responsabilità figlie anche di classi dirigenti sicilianeconniventi coi presunti “invasori” (ed anche in questo benpoco diverse da quelle del periodo pre unitario). La storiase vogliamo rifarla, dobbiamo rifarla meglio di come si èfatta prima, con più onestà intellettuale e, magari, docu-mentandosi davvero prima di andare a parlarne davanti a,per fortuna pochi, spettatori televisivi.

Ma, si sa, questi sono anni in cui l’importante è apparirein tv, fare un po’ di scena, farsi riconoscere a livello nazio-nale. Anche così ci si gonfia di orgoglio, prendendo unbell’Otto e mezzo. Peccato che a darlo sia stato il supplen-te, che è anche nostro amico…

G.P.

Giochini satirici della prima campagna elettorale nazionale nel 1948. Sopra: Giuseppe Garibaldi

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16 LA VOCE DELL’ISOLA21 luglio-31 agosto 2007

di ENZO LOMBARDO

Nei giorni scorsi, al palazzo Steridi Palermo, sono stati presenta-ti i risultati di una ricerca medi-

ca condotta dal Dipartimento di Medi-cina Clinica e delle Patologie Emer-genti dell’Università di Palermo incollaborazione con il dipartimento diScienze Biomediche dell’Università diModena e Reggio Emilia.

Dallo studio condotto su circa dieci-mila pazienti, sono stati individuati al-cuni soggetti siciliani (ed anche qual-che calabrese) che mostrano una parti-colarità genetica che promette di rivo-luzionare il mondo delle patologie car-diovascolari dei prossimi decenni.

In sostanza, in questi soggetti, è sta-ta riscontrata una sorta di immunitànaturale all’innalzamento del livello dicolesterolo nel sangue. In medicina laconcentrazione di colesterolo nel san-gue viene definitacome colesterole-mia. Come tutti igrassi (lipidi) ilcolesterolo nonpuò essere scioltoin acqua per cui,per essere traspor-tato nel sangue,esso ha bisogno diuna proteina vetto-re. Le proteine chetrasportano il cole-sterolo dal fegatoverso i tessuti ven-gono chiamate li-poproteine a bassadensità (LDL) esono quelle che, ingergo, vengonochiamate “coleste-rolo cattivo”.

Al contrario,quelle che fanno ilpercorso inversovengono chiamateHDL ed identifica-no il “colesterolobuono”. Quandosulle pareti dellearterie c’è un ec-cesso di LDL allo-ra si parla di iper-colesterolemia da LDL che esprime unpotenziale fattore di rischio per patolo-gie cardiovascolari. In genere i valoriottimali della colesterolemia dipendo-no dal soggetto e dal complesso deifattori di rischio cardiovascolare a cui

egli è soggetto pertanto è sempre benenon fidarsi di un valore in termini as-soluti o, peggio, per “sentito dire” madiscuterlo con il proprio medico ovve-ro con lo specialista. In questi pazientisiciliani è emerso che il gene chiamatoPCSK9 modifica la dimensione delleproteine LDL facendole passare da unacomposizione di 650 amminoacidi aduna composizione di 80/90 amminoa-cidi. In pratica, quando il PCSK9 regi-stra un certo di livello di colesterolonel sangue, si rimpicciolisce il “ca-mion” che lo porta nei tessuti facendosi che esso diventi facilmente degrada-bile e non si accumuli nelle pareti del-le arterie favorendo l’aterosclerosi.

Questo effetto è stato denominato“stop codon”. I risultati dello studiosono stati pubblicati sulla rivista medi-ca “Arteriosclerosis Thrombosis andVascular Biology”, organo ufficialedell’American Heart Association. Il

professore Maurizio Averna, del Di-partimento di Medicina Clinica e dellePatologie Emergenti dell’Università diPalermo, ha dichiarato: “Da circa ven-ti anni ci sforziamo di comprendere lebasi genetiche delle malattie del meta-

bolismo puntando soprattuttoa scoprire le patologie a ri-schio cardiovascolare.

Il gene PCSK9 è stato sco-perto dai ricercatori più di tre anni fa,e subito dopo è partita l’indagine cheha portato a identificare queste tre fa-miglie detentrici della benefica muta-zione genetica su un campione di oltrediecimila soggetti.

Si tratta del primo caso registratonella popolazione caucasica, ovvero dirazza bianca. Infatti, una scopertaanaloga era stata compiuta nel 2005da ricercatori statunitensi, che eranoriusciti a dimostrare che il due percento di individui afro-americani eraportatore della stessa mutazione”.

Questi importanti risultati aprono lastrada ad eventuali ed importanti inve-

stimenti dell’industria farmaceutica,considerato il fatto che pare dimostratoche si può geneticamente proteggerel’organismo dall’ipercolesterolemia.

Certamente resta la soddisfazioneche, anche questa volta, nonostante imagri bilanci e le condizioni non pro-prio ottimali, la ricerca ed i ricercatorisiciliani abbiano registrato un risultatodi sicura eccellenza.

Attività di prevenzione con esami diagnostici

Conoscere l’aterosclerosiper fronteggiarla meglio

L’aterosclerosi è una patologia dei vasisanguigni arteriosi di grande e medio ca-libro caratterizzata da accumuli di sostan-

ze (grassi, carboidrati, componenti ematici, tes-suto fibroso, sali di calcio) sulle pareti più in-terne dell’arteria. Con il tempo questi deposititendono ad ossidarsi e con il concorso di unaserie di fattori chimici e fisici si trasformano invere e proprie “placche aterosclerotiche” o ate-romi.

Fin dal primo decennio di vita nell’essereumano si sviluppano queste placche che con iltempo cominciano a degenerare formando dellelesioni solide e biancastre al cui interno si accu-mula una poltiglia (ateroma deriva dal grecoathere che significa letteralmente “pappa”).

L’ispessimento e la degenerazione di questeplacche portano ad una ostruzione sempre piùmarcata del vaso sanguigno con la conseguenteriduzione del flusso sanguigno nella zona inte-ressata (ischemia). A volte la patologia degene-ra fino al punto di ostruire completamente lacircolazione sanguigna causando infarti delmiocardio, ictus cerebrali ed altre gravi patolo-gie.

Le cause che contribuiscono alla formazionedelle placche sono diverse ed alcune di esse so-no ancora poco chiare. Una di esse è l’iperten-

sione per una ragione puramente fisico-mecca-nica. Infatti, quando le arterie curvano o si dira-mano un’elevata pressione del sangue crea deivortici che grazie alla forza centrifuga costantespingono determinate particelle (colesteroloLDL ed altro) sulla parete del vaso, con il tem-po queste sostanze sotto pressione finiscono per“incollarsi” alla parete stessa.

Non a caso frequenti episodi di aterosclerosisi trovano in corrispondenza delle diramazionidelle arterie. Ne consegue che un’elevata pre-senza di colesterolo LDL è sicuramente un fat-tore di rischio determinante per questa patolo-gia. La sedentarietà, il fumo, una dieta tropporicca di grassi, un eccessivo consumo di alcoolsembrano essere dei fattori che esaltano il ri-schio di aterosclerosi. Come per molte altre pa-tologie, l’aterosclerosi può essere efficacementecombattuta con la prevenzione.

L’attività di prevenzione deve consistere inun attento e costante dialogo con il medico difamiglia che conoscendoci può riconoscere lasintomatologia e prescrivere gli esami diagno-stici del caso. Ma anche le abitudini di vita co-stituiscono una buona arma contro questa pato-logia. Evitare il fumo, il consumo eccessivo dialcolici e la sedentarietà totale può essere unbuon viatico.

Su un campione di abitanti riscontrata una condizione genetica che abbassa il livello di colesterolo

Buone notizie sul rischio cardiovascolarePositivi risultati da una ricerca svolta in SiciliaL’Università di Palermo scopre il gene che riduce le lipoproteine

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17LA VOCE DELL’ISOLA21 luglio-31 agosto 2007

Don Antonino (Ninì) Scucces, nato a Modica il 19 gennaiodel 1938, è deceduto a Viagrande il 21 giugno scorso nellaCasa Nazareth, da lui creata per il recupero dei tossicodi-

pendenti e dei disadattati. Ha lasciato un grande vuoto non solofra i “suoi” giovani, ma anche fra quanti lo hanno conosciuto edapprezzato in una vita dedicata agli altri, al bene di tutti, indos-sando coraggiosamente anche “casacche” non usuali nel mondodi tutti i giorni. Ecco come lo ricordano coloro che gli sono stativicini.

L’occasione di fermarsi

A volte, nella vita capita che un certo avvenimento ci dà l’occa-sione di fermarci, di riflettere, di esaminarci, e porci delle doman-de sui comportamenti a cui non abbiamo fatto caso, perchè presidal quotidiano che ci avvolge, nostro malgrado.

Cosi, un giorno di alcuni anni fa, mio figlio Mario ci comunicòche un salesiano, Don Ninì, voleva conoscere i genitori di Rosario(mio figlio deceduto alcuni anni fa) suo caro amico.

Don Nini ci accolse nella comunità con simpatia e cosi ci incam-minammo lungo un viale fino ad arrivare ad una grande piscina.

“ Questa - ci disse Rosario - l’ha donata agli ospiti di questa co-munità. I singoli elementi sono stati acquistati con il 70% di scon-to, mentre lui ha fornito il personale dando la sua assistenza tecni-ca, il tutto gratuito affinché si realizzasse questa piscina”.

È nato così un legame di stima e di affetto tra noi.Io e mia moglie attraverso un evento doloroso ed un salesiano,

del tutto particolare, abbiamo vissuto e sentito direttamente quantasofferenza, quanto bisogno di amore e di sostegno c’è intorno aciascuno di noi, che, presi e frastornati dagli impegni quotidianospesso sottovalutiamo.

Assistere alla celebrazione della santa messa non era un avveni-mento di rito, perché Don Ninì non faceva “prediche” ma ci coin-volgeva uno ad uno affinché dicessimo chi era il nostro essere difronte a quel passo delle scritture.

Quali reazioni e quali sentimenti ci suggeriva. Così si apriva undialogo articolato, ricco e partecipato, che coinvolgeva tutti i pre-senti ricoverati, parenti ed ospiti.

Spesso ci intrattenevamo a pranzo (una buona occasione per col-loquiare con i ragazzi) e tutti ringraziavano u zu Oraziu e a Zia En-za che avevano portato il dolce, la crostata.

Ora il nostro Ninì non c’e più. La comunità continua sulla lineadel suo esempio ed insegnamento.

Pure noi continuiamo e continueremo assieme agli altri, a dare ilnostro contributo di sostegno, amore e solidarietà verso quanti percause che a noi non compete conoscere e peggio ancora giudicare,hanno perduto affetti e personalità, quindi hanno bisogno di soste-gno per ritornare ad essere uomini in seno alla famiglia ed in senoal contesto sociale.

Parlare e raccontare di noi stessi, accettare che solo attraversol’amore e i valori della vita, riusciamo a essere “uomini”, amarcifino in fondo: “Solo cosi riusciamo ad amare il prossimo”, mi ripe-teva sempre il mio “Abbà”.

Un sacerdote, un uomo, che quando accoglieva un ragazzo loprendeva in consegna per tutta la vita e non lo abbandonava mai.

Oggi più che mai capisco quanto fosse grande il suo cuore,quanta sofferenza riusciva a tirar fuori dentro quelli a cui non cre-deva più nessuno, gli emarginati da tutti e da tutto.

Mi piace pensare che ci ha lasciati fisicamente, per farci conti-nuare a crescere a camminare con i nostri piedi e con la forza chein tutti questi anni ci ha dato.

In Paradiso avevano bisogno di te, ne sono sicuro, riposati ades-so, continueremo noi, il tuo messaggio e dentro di noi e non ci la-scerà mai.

Negli sguardi solo tristezza

La calura che gravava nel primo giorno di questa incerta estate,sul crinale pedemontano del territorio di Viagrande ed in particola-re a “Casa Nazareth”, si confondeva con la tristezza che affioravadagli sguardi stupiti e increduli dei tanti e tanti amici accorsi sindalle prime ore del mattino appresa la repentina scomparsa di DonNinì.

La salma esposta nel salone, dove Don Scucces amava celebrarela messa nelle festività attorniato dai suoi ragazzi e dalle loro fami-glie, è stato per tutto il giorno e la notte meta di veglia e di silenzioattonito e scrutatore del mistero della vita e della morte dinanzi adun uomo di fede “estrema”. Nella vita del cui fascino aveva saputocomunicare nel corso della sua missione terrena il volto sorridentee talvolta affaticato del salesiano fedele ai valori ed ai sentimentiispiratori di San Giovanni Bosco verso cui nutriva una profondadevozione ed una intensa amorevolezza.

Poi, pian piano, la gente accorsa da ogni angolo della Sicilia, isuoi familiari, tranne la mamma Giorgina che lo ha incontrato nelpomeriggio a Modica, suo luogo natale, i suoi confratelli guidatidall’ispettore don Luigi Perelli e tante consorelle salesiane chehanno pregato assieme alla sorella Giovanna, tanti giovani cheavevano condiviso il suo impegno nella comunità di Viagrande,numerose autorità civili tra cui il sindaco di Viagrande, dottoressaVera Cavallaro, hanno partecipato alla cerimonia funebre nell’am-pia ternsostruttura in cui spesso la voce forte e stentorea di DonNinì aveva accompagnato le sue gioiose iniziative di prevenzioneverso migliaia di ragazzi e giovani provenienti dalle varie scuoledell’isola.

È stato don Perelli a celebrare la Santa Messa ed a ricordare consemplicità e toni a tratti commossi la forte vocazione in Cristo diDon Ninì e il suo percorso di sacerdote salesiano in vari centri del-

la Sicilia quali: Gela, Riesi, Mazzarino, Messina, Palermo prima dirifondare il suo impegno e la sua dedizione verso i più poveri, tra ipoveri gli emarginati ed i tossicodipendenti.

Altri brevi ma significativi momenti di testimonianza hannoespresso in tanti prima che la salma, accompagnata da applausi elacrime e dallo sguardo protettivo della statua di San Giovanni Bo-sco e dal volto i San Domenico Savio che Ninì, forse per un imper-scrutabile segno del suo prossimo venir meno, aveva fortementevoluto, lasciasse definitivamente quella casa tanto vissuta e tantoamata in vita.

Santo Grasso

Nel momento delle esequie

A NinìNella vita di ogni giorno trovare un riferimento, qualcosa in cuicredere, è un privilegio che sempre meno persone hanno. Noi ab-biamo trovato te.Siamo i ragazzi della comunità “Casa Nazareth”, siamo una classedi alunni. Ognuno di noi, anche se con dei limiti, dei problemi, haun grande spirito di gruppo che ci da la forza di rialzarci davantialle difficoltà. Questo grazie al nostro direttore, don AntoninoScucces, per gli amici Ninì: il padre di tutti noi.Si, padre. Perché l’affetto e l’amore che lui manifesta per ognunodi noi ragazzi è indescrivibile, inestimabile.Il suo spirito e le sue volontà sono sempre vive in noi.La più grande ricchezza per te è sempre stata la vita in ogni suasfaccettatura; il tuo grande carisma, altruismo, la tua grande fede eumiltà, il tuo sorriso: sono i più bei doni che abbiamo mai ricevutonella nostra vita e faremo di questi un grande tesoro.Si. Perché ci hai insegnato a credere in noi e negli altri, e siamo si-curi del fatto che veglierai e pregherai in eterno per ognuno deituoi figli.Molte volte ci hai detto che qualcuno sarebbe dovuto venire per“sostituirti” e noi non ne volevamo sentire, ci nominavi spesso unprete degno di portare avanti la tua missione. Stai sereno, sarà ilbenvenuto, saremo lieti di dimostrare che dai frutti si riconoscel’albero.Amici cari, vogliamo dirvi un’ultima cosa: quando crediamo che èingiusto averlo perso, consoliamoci pensando alla fortuna che ab-biamo avuto nell’averlo incontrato e facciamo tutti tesoro di ognisuo insegnamento. In questo modo lo avremo sempre vicino.Dobbiamo essere forti, questa è una delle dure prove a cui la vita cisottopone. Facciamo sempre in modo che Ninì sia fiero di noi.Ninì, dal profondo del cuore ti auguriamo Buona Vita. Sarai sem-pre con noi.

I ragazzi della Comunità

Dopo la scomparsa del Salesiano don Scucces che a Viagrande ha creato un luogo di recupero per tossicodipendenti

Da casa Nazareth messaggio della solidarietàLa via tracciata da Don Ninì non si interrompe

Restano saldi i legami di stima e la prospettiva della speranza

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18 LA VOCE DELL’ISOLA21 luglio-31 agosto 2007

Abbiamo dato il via nel nume-ro precedente alla pubblica-zione delle opinioni e delle

posizioni (purtroppo, spesso diversi-ficate al limite della conflittualità)espresse su internet dei Movimentidei Siciliani. Come abbiamo prean-nunciato, non entriamo volutamentenel merito di ciò che esprimono iMovimenti, con l’intento non solo dimettere a confronto le “verità” dellequali ognuno si sente veramenteportatore, ma perché convinti cheuna concreta verifica possa aprirsiun dialogo costruttivo. Convinti che

molti sono in punti in grado di unire,e che i punti di contrasto possonoanimare un dibattito leale, se è vero(come noi riteniamo) che le finalità egli obiettivi che si intendono rag-giungere sono comuni.Se c’è “qualcosa” che, da sempre,ha frenato, oppure ostacolato, unaforte aggregazione fra i Siciliani, èda ricercare nel pesante senso del-l’individualismo che noi tutti Isolani(purtroppo) abbiamo radicato nelnostro dna: in tanti momenti dellanostra storia, quando questo sensodell’individualismo è stato superato,

i Siciliani hanno trovato armoniad’intenti, muovendosi all’unisonoper il bene di tutti. Da tempo, datroppo tempo prevalgono le conflit-tualità e le furbizie: su questi fattorihanno saputo giocare le forze (poli-tiche ed economiche, esterne ed in-terne) che hanno tenuto, e continua-no a tenere soggiogata la collettivitàSiciliana, usata soltanto per “consu-mare” i prodotti che vengono dalContinente, impedita nel suo natura-le sviluppo, colonializzata a tutti i li-velli da un potere che, ora come ora,è difficile contrastare.

Altrettanto difficile recuperare unamemoria storica che sottilmente èstata progressivamente cancellata,rendendo inerti e soggiogate le nuo-ve generazioni, private di punti di ri-ferimento certi, costrette a umiliazio-ni inverosimili per potere sopravvi-vere, costrette a subire il più nefastosistema clientelare per ottenere unposto di lavoro.La Sicilia possiede tante energie chevengono represse, che vengono sog-giogate: il lavoro di recupero è pos-sibile, e il dovere di quanti si intesta-no una lotta per cambiare questo

stato delle cose, è quello di ritrovareuna via che tutti possano percorrere,al di là degli individualismi, al di so-pra delle ideologie di parte.Siamo convinti che un dialogo è pos-sibile, se si è sinceri e leali e se nonsi intendono le istanze Sicilianistichecome strumenti di personale contrat-tazione con il potere. Con il poterenon si può “contrattare”, ma si pos-sono fare solo i conti, tenendo pre-sente che prima bisogna ottenere ciòche ci è dovuto. E i conti si fannosenza sconti.

Sa. Ba.

www.osservatorio-sicilia.it

4 LUGLIO 2007. LA MOBILITAZIONE PSEUDOCULTURALE E PROPAGANDISTICA IN CORSOPER LA RICORRENZA DEL BICENTENARIO DELLA NASCITA DI GARIBALDI È NECESSARIA-MENTE BASATA SULLA RIUTILIZZAZIONE DEL PEGGIO DELL’AGIOGRAFIA RISORGIMENTA-LE, LONTANA MILLE MIGLIA DALLA REALTÀ DEI FATTI E DALLA VERITÀ STORICA.QUESTO INDEGNO SPETTACOLO È OFFENSIVO SOPRATTUTTO PER IL POPOLO SICILIA-

NO E PER I POPOLI DEL MERIDIONE D’ITALIA, CHE FURONO VITTIME DELLE TRAGICHE VI-CENDE DELLA CONQUISTA DEL SUD,NELLE QUALI L’EROE NIZZARDO AGI’ COME TESTA DILEGNO.

Gli Indipendentisti di lu Frunti Nazziunali Sicilianu ribadiscono – ancora una volta- le loro prese diposizione politiche e culturali sulla figura di Giuseppe Garibaldi e sul mito risorgimentale,falso e bu-giardo, che ci viene riproposto, anche in versioni televisive, ad ogni piè sospinto.

Le ignobili menzogne, la trita e ritrita agiografia risorgimentale, la disinformazione e la manipolazio-ne degli avvenimenti storici e politici, la complicità dei cosiddetti intellettuali del “sistema” o l’ascari-smo “militante” degli uomini e dei partiti politici di volta in volta al potere nel SUD non sono stati e nonsono sufficienti, infatti, per legittimare e rendere credibile il “lavaggio del cervello” iniziato nel 1860 coni metodi violenti ed immorali che ben conosciamo. Le odierne provocazioni e la mancanza di rispettoper la dignità dei Popoli del Sud, - (ai quali si pretende di sottrarre - oltre che le potenzialità di cresci-ta e di sviluppo- anche i rispettivi diritti alla “ memoria storica” e alla “identità nazionale”),- diventa-no- però- più evidenti e più inaccettabili in occasione della ricorrenza in questione. Dobbiamoquindi respingerle al mittente.

Ci conforta tuttavia il fatto che,- come peraltro scriveva Leonardo Sciascia,- la VERITÀ, - prima opoi e sia pure a fatica,- è destinata comunque a venire a galla.

Non ci dilunghiamo troppo. Ci permettiamo in proposito di riportare due citazioni, distanti nel tem-po fra di loro, ma significative ed utili a farci meglio conoscere il personaggio più “reclamizzato” del-la Storia d’Italia ed (ahinoi!) anche della Storia della Sicilia e di quella del Meridione:

La prima è quella del noto storico e giornalista meridionalista Antonio Pagano, Direttore del pe-riodico “ DUE SICILIE”, che, intervenendo in una polemica sullo sceneggiato televisivo “ Eravamo solomille”, ha scritto: «… Infatti,come si sa dalla storia, quella vera, il Garibaldi fu un mercenario,ladro dibestiame e negriero in Sud America. Fu manovrato da Cavour e da Vittorio Emanuele per creare di-sordini nel Regno delle Due Sicilie allo scopo di giustificare l’invasione dell’esercito savoiardo. Egli, tral’altro, fu responsabile di numerosi episodi di criminalità per le stragi e le rapine avvenute durante lasua avanzata fino a Teano (Caserta), dove fu allontanato appena dopo l’incontro con Vittorio Emanue-le. Così, infatti, Vittorio Emanuele scrisse a Cavour: “ …come avrete visto, ho liquidato rapidamente laSGRADEVOLISSIMA faccenda di Garibaldi, sebbene- siatene certo- questo personaggio non è af-fatto docile né così onesto come lo si dipinge e come voi stesso ritenete. Il suo talento militare è moltomodesto, come prova l’affare di Capua, e il male immenso che è stato commesso qui, ad esempiol’infame furto di tutto il denaro dell’erario, è da attribuirsi interamente a lui che s’è circondato di cana-glie, ne ha eseguito i cattivi consigli e ha piombato questo infelice paese in una situazione spavento-sa.”». Lo stesso Pagano puntualizza poi che «…Lo stesso Garibaldi,inoltre, così aveva definito i suoifamosi Mille il giorno 5 dicembre 1861 in pieno Parlamento a Torino: “ Tutti generalmente di originepessima e per lo più ladra; e tranne poche eccezioni con radici genealogiche nel letamaio della vio-lenza e del delitto”.»

Il Pagano – per essere più preciso – ci ricorda che «…con tale feccia umana sbarcarono in Siciliaanche mercenari francesi, svizzeri, inglesi, indiani, polacchi, tedeschi, russi e soprattutto ungheresi,tanto che fu costituita una legione ungherese utilizzata per le repressioni più feroci. Al seguito sbarca-rono anche 22.000 soldati piemontesi di proposito dichiarati dal governo savoiardo “congedati” o “di-sertori”.Altro che “eravamo solo mille!” ….» (“Due Sicilie “, N° 2 anno 2007, pag.27.)

L’altra testimonianza è quella di un contemporaneo dell’Eroe Nizzardo. Si tratta di alcune afferma-zioni fatte dal deputato autonomista cattolico, siciliano e sicilianista, Vito D’Ondes Reggio nella lungalettera indirizzata al suo compagno di fede Lorenzo Cottù Marziani, marchese di Roccaforte, in data

15 agosto 1862. Ne riportiamo un solo “passaggio” significativo ed utile ai nostri fini immediati, an-che perché la lettera prende in considerazione i fatti del 1862 (finta marcia su Roma conclusasi inAspromonte):

«… Garibaldi, finiamola una volta con il linguaggio convenzionale, è un uomo arrisicato e coraggio-so che nella spedizione di Sicilia doveva perire, eppure visse e trionfò,come uno che buttandosi dalCampanile di Notre Dame, invece di fracassarsi in cento pezzi comincia a correre,e prendere un pal-lio (sic); ma la cosa diventa meno straordinaria quando si scopre che nel terreno vi era del fieno,eche delle corde, a cui afferrarsi momentaneamente scendevano già dal campanile.» E a questo puntoil D’Ondes esce dalla metafora dicendo: « La flotta che NON lo mandò a fondo erano legni napole-tani, ed i denari furono versati a larga mano a’ generali. Del resto Garibaldi è un IDIOTA, incapace dicomandare un reggimento, è un ambiziosissimo, ed è impazzito dall’adulazione di Mazzini e mazzi-niani, che, mutato nome, si chiamano garibaldini, i quali l’intorniano, e se ne servono come un fantoc-cio.»

Vi sono nella lettera anche alcuni giudizi sulla questione siciliana che va di male in peggio, ma nonpossimo soffermarci oltre.

Aggiungiamo che il tanto strombazzato Risorgimento Italiano forse si sarebbe concluso diversa-mente se non fosse stato pensato, diretto e pedissequamente “concretizzato” – nella quasi totalità-dal “pesante” e “globale” intervento della Gran Bretagna,che era la più grande potenza del Mondo. Eche dopo la morte di Napoleone (1821) aveva deciso di traformare gli Stati “italiani”Pre-unitari (conla sola eccezione della Repubblica di San Marino) in un unico grande Stato, accentratore e monoliti-co, che andasse dalle Alpi al Mediterraneo e che fosse funzionale alla strategia complessiva del Go-verno di Londra in Europa e nel Mediterraneo. Senza intromissioni di altre potenze e… annientando loStato Pontificio ed il potere temporale del Papa.

Questo spiega anche perché il ruolo di tutti o quasi coloro, che noi siamo costretti a chiamare PA-DRI DELLA PATRIA, era un RUOLO, ben retribuito per la verità, di MOSCHE COCCHIERE (qualcunoper la verità come il nostro Garibaldi ebbe talvolta anche il RUOLO di Testa di Legno). E spiega per-ché navi, armi, ufficiali e uomini di Stato inglesi,oltre che mercenari e ribaldi di tutto il mondo (mabene inquadrati) fossero stati messi a disposizione di Garibaldi,dei Savoia e del Governo di Torino.Preferiti,questi ultimi, per il GRANDE GIOCO, soprattutto per la loro spregiudicatezza, per la ricattabi-lità e per la fragilità della posizione politica e militare...

Non trascuriamo – quando parliamo del Risorgimento- di ricordare un piccolo particolare: dal 1821in poi LONDRA è affollata da un numero indicibile di “PATRIOTTI” italiani. Non ci sembra una pura esemplice coincidenza. E non è escluso che molti di questi insospettabili PATRIOTTI” fossero scritti neiLibri-paga dei Ministri di Sua Maestà Britannica.

Tutta questa ingarbugliata situazione ci spiega in buona parte perché – (in mancanza dell’appog-gio e del “consenso” della stragrande maggioranza delle popolazioni e della gente onesta della Sici-lia e del Mezzogiorno)- i Servizi segreti britannici avessero per tempo “programmato” e “comprato”il sostegno fondamentale dei “traditori” dello Stato, della Flotta militare e dell’Esercito del Regno del-le Due Sicilie. E perché avessero arruolato gli “adepti” della Camorra nel Napoletano, della ‘NDRAN-GHETA in Calabria e della Mafia in Sicilia, facendo fare loro quel “salto di qualità” e quell’inserimentonelle Istituzioni, dei quali ancora oggi piangiamo le conseguenze.

Ci sia consentito infine di fare salve le poche e lodevoli eccezioni umane che pure vi furono nel Ri-sorgimento italiano e che meritano a loro volta rispetto. E che però non riuscirono a “caratterizzare”diversamente la storia di quel periodo tragico e disastroso soprattutto per i Popoli dell’EX REGNODELLE DUE SICILIE. In quanto i FATTI sono FATTI. E le OPINIONI sono OPINIONI.

E…I “MITI FALSI E BUGIARDI” RESTANO FALSI E BUGIARDI.-

Palermu, 4 Lugghiu 2007.

Giuseppe Scianò

Il 18 dicembre 2005 a Bari il segretario dell'Mpa RaffaeleLombardo affermava con enfasi che "Se noi dicessimoche ci mettiamo da una parte o dall'altra saremmo iscrittinell'elenco degli ascari"

Dichiarazione pubblicata su Repubblica.

Nel 2006 alle elezioni l'MPA si presenta con la CDL e Cuffaroafferma che l'MPA è parte fondante del suo governo. Semprenel 2006 chiedeva visibilità, leggasi poltrone, sia nel governoCuffaro che all'ARS. Durante il 2006, precisamente il26/10/2006 l'MPA presenta il disegno di legge n° 424 per l'i-stituzione di nuove province "regionali" in Sicilia in palese vio-

lazione dello Statuto che le ha abolite. Sempre durante il2006 è tra i sostenitori dell'aggiornamento, leggasi affossa-mento dello Statuto. Nel 2007 giravolta, si iscrive nell'elencodei sostenitori dello Statuto e chiede la sua integrale applica-zione.

Adesso, troviamo Raffaele Lombardo che in un momento for-se di stanca non sapendo cosa inventarsiper presentarsi co-

me "sicilianista" dell'ultima ora si chiede in un fondo pubblica-to su GDS del 4 luglio, se sia lecito nutrire qualche dubbiosull'opportunità di continuare ad osannare Garibaldi.

Ecco. Lombardo ha pensato ancora una volta ma questa vol-ta non ha fatto giravolta, non ne è stato politicamente capace.Non ha avuto il coraggio politico di esporsi e di dire aperta-mente, dalla posizione istituzionale che ricopre, quello che isiciliani pensano da molto tempo. Quale credibilità attribuiread un politico capace di giravolte di questo tipo e che autono-mamente si è iscritto nell'elenco degli ascari per aver smenti-to se se stesso?

Le giravolte di Raffaele Lombardo

La Sicilia possiede tante energie che vengono represse, che vengonosoggiogate: il lavoro di recupero è possibile dialogano e unendo le forze

Con il potere non si contrattané si concedono sconti

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19LA VOCE DELL’ISOLA21 luglio-31 agosto 2007

IL CONSIGLIO DELL'ABATE [email protected]

Il Consiglio, nella totale indifferenza di tutte le voci ufficiali della cit-tà, si unisce alla famiglia di AS, ancora in carcere per i fatti avvenuti il2 febbraio scorso FUORI dallo stadio Massimino, nell’augurare al ra-gazzo i migliori auguri per il suo compleanno di domani.

Con questo non si vuole qui proporre un giudizio sull’innocenza omeno del giovane, ma solo stigmatizzare la vergognosa parzialitá dichi a Catania dovrebbe essere paladino della giustizia e che invece sipermette di esercitare i suoi poteri con tracotanza, calpestando ognipiú elementare diritto e compiacendosi del poter dimostrare pubblica-mente la sua violenza.

Anche se AS fosse realmente colpevole di omicidio (e vi sonoFORTI elementi a provare il contrario) non si puó accettare la giusti-zia sommaria che si sta tentando di somministrare. Se AS ha confes-sato il reato di resistenza a pubblico ufficiale, ben venga la giusta pu-nizione.

Ma anche qui le leggi non sono uguali per tutti, visto che centinaiadi teppisti, socialmente molto piú pericolosi dell’indagato, continuanoa fare il bello ed il cattivo tempo nelle nostre cittá.

L’ultimo esempio lo abbiamo avuto proprio ieri, quando un gruppo

di teppisti ha scatenato a Palermo una guerriglia urbana degna vera-mente di scenari da guerra civile, un atto molto piú pericoloso diquello degli scontri del Massimino, e solo per la visita nella capitaledi un politico le cui idee non sono piaciute agli intolleranti che hannoinscenato l’incivile protesta.

Ebbene, gli scellerati sono giá tornati a piede libero, pronti a eser-citare i loro atti prevaricatori alla prossima occasione.

Infine la solita riflessione tagliente che caratterizza la maggior par-te dei post di questo blog: a Catania il comune ha firmato un proto-collo per la sicurezza con le forze dell’ordine per rendere piú sicurala cittá (stando alle statistiche giá una delle piú sicure d’Italia...).

Ma quando a rappresentare la legalitá si erge un signor prefetto, diper sé espressione dell’illegalitá dell’attuale situazione giuridica delloStato Italiano (ricordiamo che secondo lo Statuto Siciliano, e quindisecondo la Costituzione dello Stato Italiano, i prefetti in Sicilia sonoaboliti) che esempio di legalitá stamo dando ai nostri giovani? Qualeci aspettiamo possa essere la risposta dei Siciliani all’ennesima di-mostrazione che da noi giustizia e democrazia sono semplice propa-ganda elettorale di un regime autoreferenziale?

Le prime azioni mafiosecontro la Sicilia

che la storia non insegnaNel 265 A.C., 25 anni dopo la morte di Agatocle, la Si-cilia subisce la prima aggressione romana.Nel 260 A.C. 2 anni dopo la caduta di Agrigento, Trapa-ni e Marsala, cade Palermo e viene distrutta Selinunte;la ferocia dei romani non ha limiti: viene massacrato ilpopolo di Lipari.Per ironia della sorte, davanti alla ferocia dei romani, isiciliani con Gerone II formularono un patto di alleanzacon i secolari nemici punici.Il 10 marzo del 241 A.C. lo scontro tra i romani e i sicu-lo-cartaginesi, nella battaglia navale di Favignana, se-gnava la caduta della Sicilia, dopo 23 anni di carnefici-ne romane e concludeva la prima guerra punica. Subitodopo, Roma si stabilì saldamente in Sicilia facendone il“granaio dell’impero” (la coltura dei cereali è estrema-mente arcaica).Oppresso dalla mostruosità dell’invasore italico, nel 214A.C. re Geronimo di Siracusa riproponeva l’alleanzacon Cartagine che riconosceva l’indipendenza della Si-cilia e la sovranità di Geronimo su tutta l’Isola. L’ecodell’alleanza scatenò la furia dei Siciliani che spazzaro-no i presidi romani, liberarono Agrigento e le altre loca-lità dell’Isola. Roma, con un’azione mafiosa, dirotta inSicilia nuove forze e soffoca gli insorti. Iniziano le rap-presaglie romane ancora più spietate e feroci controtutta la popolazione.

Le ultime azioni mafiose del dominatore

La Storia insegna che la mafia è una conseguenzadell’azione repressiva italiana

I contadini siciliani attendevano dal ricongiungimentodella Sicilia alla penisola italica la risoluzione dei pro-blemi della terra, furono rapidamente delusi. La classedirigente ottenne ciò che sperava dal mutamento politi-co che nel 1860, aveva fatto dei privilegiati i tardivi so-stenitori dell’unità’. Venne decisa la vendita degli antichifeudi e poi quella delle terre delle congregazioni religio-se soppresse. Ma i latifondi furono divisi in appezza-menti e ceduti a contadini troppo poveri per acquistaresementi e materiale. Dopo pochi anni, i baroni ed i bor-ghesi li recuperarono a bassissimo prezzo. Le cause dimalcontento si moltiplicavano. Al profondo malessereeconomico e sociale si aggiungevano ancora gli intrighidegli agenti del re decaduto e l’atteggiamento dellaChiesa cattolica che scomunicava gli acquirenti di beniecclesiali, mentre spesso incoraggiava e benediva i so-stenitori del vecchio regime ed i ribelli.La maldestra applicazione della legislazione fiscale emilitare del Piemonte in una regione per la quale nonera stata concepita, provocava grandi difficoltà. I Sicilia-ni conobbero un regime fiscale molto più pesante diquello dell’ex regno di Napoli: così i contadini dellegrosse borgate rurali furono sottoposti all’imposta im-mobiliare perchè abitavano in città.Al tempo dei Borboni i Siciliani non erano mai stati sot-toposti al servizio militare. Fu l’applicazione nell’Isoladelle leggi sulla coscrizione che costituì, fin dal 1861, lacausa immediata della prima ribellione. Il numero dei

disertori divenne ben presto considerevole, più di25.000; essi si unirono ad altri ribelli per costituire quel-le truppe di eroici (chiamati briganti) già protetti dallastraordinaria adesione degli abitanti e delle autorità lo-cali. Il governo piemontese dovette far votare la leggemarziale (legge Pica) e lanciare contro gli eroici ribelli i120.000 uomini del mercenario Giuseppe Garibaldi. Larepressione aveva fatto 2.500 morti. Furono condannati2.800 eroici Siciliani che si erano ribellati all’azione ma-fiosa del piemonte.L’Isola infine, sebbene fornisse all’Italia una parte im-portante dei quadri politici, funzionari numerosi e so-vente ottimi, rimaneva a sua volta sotto-amministrata.Ancora una volta, il popolo tendeva a staccarsi dalloStato.

Cronologia moderna delle azioni mafiose

27 marzo 1848 - Nasce la Repubblica Siciliana. La Si-cilia ritorna ad essere indipendente. Ruggero Settimo ècapo del governo, ritorna a sventolare l’antica bandierasiciliana. Gli inglesi hanno numerosi interessi nell’Isolae consigliano al Piemonte di annettersi la Sicilia. I Sa-voia preparanouna spedizioneda affidare a Ga-ribaldi. Cavour sioppone perchèconsidera que-st’ultimo un av-venturiero senzascrupoli (ricorda-no impietositi ibiografi che Ga-r ibaldi ladro dicavall i , nell ’America del sud,viene arrestato egli viene tagliatol’orecchio destro.Sarà, suo mal-grado, capellonea vita per na-scondere la mutilazione). Il nome di Garibaldi, viene ab-binato altresì al traffico di schiavi dall’Africa all’America.Rifornito di denaro inglese e dei Savoia, Garibaldi parteper la Sicilia.11 maggio 1860 - Con la protezione delle navi inglesi“Intrepid” e “H.M.S. Argus”, Garibaldi sbarca a Marsala.Scrive il memorialista garibaldino Giuseppe Bandi: Imille vengono accolti dai marsalesi come cani in chie-sa! La prima azione mafiosa è contro la cassa comuna-le di Marsala. Il tesoriere dei mille, Ippolito Nievo la-menta che si trovarono pochi spiccioli di rame. I sicilianiallora erano meno fessi! È interessante la nota di Gari-baldi sull’arruolamento: “ Francesco Crispi arruolachiunque: ladri, assassini, e criminali di ogni sorta”.15 maggio 1860 - Battaglia di Calatafimi. Passata allastoria come una grande battaglia, fu invece una mode-sta scaramuccia, si contarono 127 morti e 111 furonomessi fuori combattimento. I Borboni con minor perditedisertano il campo. Con un esercito di 25.000 uomini enotevole artiglieria, i Borboni inviano contro Garibaldisoltanto 2.500 uomini.È degno di nota che il generale borbonico Landi, fucomprato dagli inglesi con titoli di credito falsi e che l’e-sercito borbonico ha l’ordine di non combattere. Le vit-

torie di Garibaldi sono tutte una montatura.27 maggio 1860 - Garibaldi entra a Palermo da vincito-re!...ateo, massone, mangiapreti, celebra con fasto lafesta di santa Rosalia.30 maggio 1860 - Garibaldi dà carta bianca alle bandegaribaldine; i villaggi sono saccheggiati ed incendiati; igaribaldini uccidevano anche per un grappolo d’uva. Ni-no Bixio uccide un contadino reo di aver preso le scar-pe ad un cadavere. Per incutere timore, le bande gari-baldine, torturano e fucilano gli eroici SICILIANI.31 maggio 1860 - Il popolo catanese scaccia per sem-pre i borboni. In quell’occasione brillò, per un atto di im-pavido coraggio, la siciliana Giuseppina Bolognani diBarcellona Pozzo di Gotto (ME). Issò sopra un carro uncannone strappato ai borboni e attese la carica avver-saria; al momento opportuno, l’avversario a due passi,diede fuoco alle polveri; il nemico, decimato, si diede al-la fuga disordinata. Si guadagnò il soprannome Peppa‘a cannunera (Peppa la cannoniera) e la medaglia dibronzo al valor militare.2 giugno 1860 - Con un decreto, Garibaldi assegna leterre demaniali ai contadini; molti abboccano alla pro-messa. Intanto nell’Isola divampava impetuosa la rivolu-

zione che vede-va ancora unavolta i l PopoloSiciliano vittorio-so. Fu lo stessopopolo che unitoe compatto co-strinse i borboni-ci alla ritirata ver-so Milazzo.17 luglio 1860 -Battaglia di Mi-lazzo. Il governopiemontese inviail Generale Medi-ci con 21.000uomini bene ar-mati a bordo di34 navi. La mon-tatura garibaldi-

na ha fine. I contadini siciliani si ribellano, vogliono laterra promessagli. Garibaldi, rivelandosi servo degli in-glesi e degli agrari, invia loro Nino Bixio.10 agosto 1860 - Da un bordello di Corleone, Nino Bi-xio ordina il massacro di stampo mafioso di Bronte.Vengono fucilati l’avvocato Nicolò Lombardo e tre con-tadini, tra i quali un minorato! L’Italia mostra il suo verovolto.21 ottobre 1860 - Plebiscito di annessione della Siciliaal Piemonte. I voti si depositano in due urne: una per il“Sì” e l’altra per il “No”. Intimorendo, come abitudinemafiosa, ruffiani, sbirri e garibaldini controllano come sivota. Su una popolazione di 2.400.000 abitanti, votaro-no solo 432.720 cittadini (il 18%). Si ebbero 432.053“Sì” e 667 “No”. Giuseppe Mazzini e Massimo D’Azegliofurono disgustati dalla modalità del plebiscito.Lo stessoministro Eliot, ambasciatore inglese a Napoli, dovettescrivere testualmente nel rapporto al suo Governo che:“Moltissimi vogliono l’autonomia, nessuno l’annessione;ma i pochi che votano sono costretti a votare per que-sta”. E un altro ministro inglese, Lord John Russel,mandò un dispaccio a Londra, cosí concepito: “I voti delsuffragio in questi regni non hanno il minimo valore”.1861 - L’Italia impone enormi tasse e l’obbligo del servi-

zio militare, ma chi ha soldi e pagando, niente soldato.Intanto i militari italiani, da mafiosi, compiono atrocità emassacri in tutta l’Isola. Il sarto Antonio Cappello, sor-domuto, viene torturato a morte perchè ritenuto un si-mulatore, il suo aguzzino, il colonnello medico Restelli,riceverà la croce dei “S.S. Maurizio e Lazzaro”.Napoleone III scrive a Vittorio Emanuele: “I Borboni noncommisero in cento anni, gli orrori e gli errori che han-no commesso gli agenti di Sua Maestà in un anno.1863 - Primi moti rivoluzionari antitaliani di pura marcaindipendentista. Il governo piemontese instaura il primostato d’assedio. Viene inviato Bolis per massacrare ipatrioti siciliani. Si prepara un’altra azione mafiosa con-tro i Siciliani.8 maggio 1863 - Lord Henry Lennox denuncia alla ca-mera dei Lords le infamie italiane e ricorda che non Ga-ribaldi ma l’Inghilterra ha fatto l’unità d’Italia.15 agosto 1863 - Secondo stato d’assedio. Si instaurail terrore. I Siciliani si rifiutano di indossare la divisa ita-liana; fu una vera caccia all’uomo, le famiglie dei reni-tenti furono torturate, fucilate e molti furono bruciati vivi.Guidava l’operazione criminale e mafiosa il piemonteseGenerale Giuseppe Govone. (Nella pacifica cittadina diAlba, in piazza Savona, nell’aprile 2004 è stato inaugu-rato un monumento equestre a questo assassino. Igno-riamo per quali meriti.)1866 - In Sicilia muoiono 52.990 persone a causa delcolera. Ancora oggi, per tradizione orale, c’è la certezzache a spargervi il colera nell’Isola siano state personelegate al Governo italiano. Intanto tra tumulti, persecu-zioni, stati d’assedio, terrore, colera ecc. la Sicilia veni-va continuamente depredata e avvilita; il Governo italia-no vendette perfino i beni demaniali ed ecclesiastici si-ciliani per un valore di 250 milioni di lire. Furono, nelfrattempo, svuotate le casse della regione. Il settentrio-ne diventava sempre più ricco, la Sicilia sempre più po-vera.1868 - Giuseppe Garibaldi scr ive ad AdelaideCairoli:”Non rifarei la via del Sud, temendo di esserepreso a sassate!”. Nessuna delle promesse che avevafatto al Sud (come quella del suo decreto emesso in Si-cilia il 2 giugno 1860, che assegnava le terre comunaliai contadini combattenti), era stata mantenuta.1871 - Il Governo, con un patto scellerato, fortifica lamafia con l’effettiva connivenza della polizia. Il corag-gioso magistrato Diego Tajani dimostrò e smascheròquesta alleanza tra mafia e polizia di stato e spiccò unmandato di cattura contro il questore di Palermo Giu-seppe Albanese e mise sotto inchiesta il prefetto, l’exgaribaldino Gen. Medici. Ma il Governo italiano, con fa-re mafioso si schiera contro il magistrato costringendo-lo a dimettersi.1892 - Si formano i “Fasci dei Lavoratori Siciliani”. L’or-ganizzazione era pacifica ed aveva gli ideali del popolo,risolvere i problemi siciliani. Chiedeva, l’organizzazionedei Fasci la partizione delle terre demaniali o incolte, ladiminuzione dei tassi di consumo regionale ecc.4 gennaio 1894 - La risposta mafiosa dello stato italia-no non si fa attendere: STATO D’ASSEDIO. FrancescoCrispi, presidente del Consiglio, manda in Sicilia40.000 soldati al comando del criminale Generale Mor-ra di Lavriano, per distruggere l’avanzata impetuosa deiFasci. All’eroe della resistenza catanese Giuseppe DeFelice vengono inflitti 18 anni di carcere; fu poi amni-stiato nel 1896, ricevendo accoglienze trionfali nell’Iso-la. Continua....

“Certa” Sinistra… di Andrea Balìa

La Destra, una certa Destra, non ci piace per i suoi principi, perché la loro Patria ri-sorgimentale non è la nostra Patria, per i suoi alleati profondamente antimeridionali, eper quello che rappresenta per il Sud, e per i danni, le ferite e il non interventismo re-galati al Meridione.Detto ciò, e ribadita quindi la nostra convinzione che non è con loro e da loro che lanostra terra possa aspettarsi il suo riscatto ed un futuro degno proporzionalmente allasua storia, però ci sembra opportuno comunque dichiarare che “certa” Sinistra ci pia-ce anch’essa molto poco!La accreditiamo di sicuro della capacità di critica ed autocritica che dovrebbero appar-tenerle, mentre dall’altra parte c’è un DNA e dei dogma di base che non lascianomargini di praticabilità. Però “certa” Sinistra dovrebbe piantarla con un intellettualismoricorrente (contraddittorio a quella che dovrebbe essere la sua stessa natura) checontinua a farle guardare – da parte di svariati suoi esponenti, scrittori, storici ecc… alSud e alla sua storia con supponenza, diffidenza rizelante appena si parla del nostroex regno, di Borbone, e di tutto il periodo preunitario.Si discute ancora poco e non si è dato il giusto rilievo al fenomeno della resistenzadefinita “brigantaggio”. Una vera lotta di popolo equivalente allo zapatismo e a moti si-milari. La questione meridionale, ancor oggi, “certa” Sinistra la fa partire da questo se-colo bypassando le ragioni che nutrirono le radici di questo fenomeno.“Certa” Sinistra dimentica le riflessioni, a tal proposito, di Gramsci e le colpe che ad-dossò al nuovo Stato unitario. “Certa” Sinistra dimentica il grave errore storico dellasvendita di braccia e manovalanza meridionale sostenuta anche da loro capi storici,

nell’immediato ultimo dopoguerra, per foraggiare la grande industria del Nord, giustifi-candola come partecipazione ai benefici.“Certa” Sinistra sostiene, appoggia ed organizza commemorazioni stantìe sui presuntieroi risorgimentali come Garibaldi, fermandosi ad informazioni e valutazioni da sussi-diario elementare, dimenticando un metodo analitico e di ricerca che non dovrebbetrovarla così restia.“Certa” Sinistra ancor oggi piange troppo, anche in libri e saggi dell’ultim’ora, la deca-pitazione di una parte della borghesia napoletana nel 1799 della Repubblica Parteno-pea, che avrebbe causato una frattura ed un danno insanabile che a tutt’oggi Napoli eil Sud starebbe pagando!Come se poi la borghesia fosse stata solo quei 102 uomini e non si fosse ricreata!Non si chiede se (fermo restando il rispetto ed il giusto valore per un intelligenza di si-curo rispettabile di quegli uomini) quelle teste dovessero per forza valere di più diquelle di 40.000 lazzari e popolani morti in buona parte nei 6 mesi della RepubblicaPartenopea al grido e dietro la giustificazione di “libertè, egalitè e fraternitè”!Sorvola sul fatto che quel governo provvisorio si autoproclamò senza alcun consensoo investitura popolare (come scrissero anche Croce e Colletta), e che il popolo fu trat-tato, appellato e considerato non come tale ma come plebe.Fece, in sostanza, e pur partendo da ideali che sono rispettabili – un’operazione vio-

lenta, impositoria e gestita con metodi di sicuro poco democratici e più di stampo de-strorso, dove appunto è di solito una rivoluzione di Destra che gestisce le masse sen-za alcuna forma partecipativa. E quindi “certa” Sinistra dovrebbe analizzarlo e capirlo,se vuol conservare le sue matrici popolari, non prestando il fianco ad un giacobinismosnobistico che la autoesclude da una onesta lettura storica.Il Sud è di ciò che necessita, ed a cui la Sinistra non può sottrarsi! Anche a noi oggipiacerebbe di più vivere in una Repubblica Partenopea anziché essere provincia po-vera, defraudata e degradata di una Repubblica Italiana; ma in una Repubblica Parte-nopea non nata ed imposta in quel modo come quella del ’99!Altrimenti con lo stesso metro dovremmo condividere la guerra di Bush in Iraq: la de-mocrazia non si esporta ed impone, o almeno non con le guerre pagate dal popolo!Tutti facciamo fatica a condividere un Saddam, ma il problema non si risolve con queimetodi, così come le intenzioni o gli ideali dei cosiddetti “martiri” del ’99 potevano es-sere pure condivisibili ma di certo non applicabili come fecero! E per giunta nel postoprobabilmente sbagliato e contro la volontà popolare, dove la stragrande maggioranzadel popolo (fenomeno unico ed atipico, ma comunque autentico) era dalla parte deiregnanti ed aveva (pur tra indubbi difetti) un buon rapporto con i suoi governanti!Se a ciò si aggiunge che le condizioni del Regno delle Due Sicilie erano tra le migliorid’Europa si evince l’inopportunità di quella rivoluzione molto elitaria e borghese, ed ilperché della reazione popolare. Il problema è intendersi sul concetto di Sinistra: eranopiù a Sinistra i giacobini o il popolo?Qualche segnale, ancora troppo debole e minoritario – che pur auspichiamo di potercontinuare a vedere inizia a manifestarsi, vedi Grillo, Erri De Luca e pochi altri, ma an-cora troppo pochi perché il loro supponente, elitario e riottoso atteggiamento rispettoa questa problematica li giustifichi.

Giustizia e democrazia: quello di cui ha sete la Sicilia

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20 LA VOCE DELL’ISOLA21 luglio-31 agosto 2007

di MORENA FANTI

Gli incontri sono spesso curiosi, a volte di-vertenti, e a volte suscitano un interessecosì grande da diventare affascinanti.

Questo incontro potrebbe essere tutto questo, co-me lo è la materia di cui spesso scrive SalvatoreSpoto, grande conoscitore di storia e antichi miti.Inizio subito chiedendole come è nata questapassione per la storia. È stata contemporaneaalla nascita della passione per la scrittura, oderiva da un approfondimento delle sue cono-scenze e conseguenti interessi? O, meglio an-cora, deriva da ciò che chiamiamo caso?

Da ragazzino restavo a fissare l’Etna, alle cuifalde sono nato, che si specchiava nel mare Jo-nio. Il canto della risacca mi portava fuori daltempo. Le immagini oniriche di Ulisse, Polifemo,Aci, Galatea ed altri personaggi del mito sfilava-no davanti a me per ricordarmi che l’uomo di ie-ri è l’immagine di quello di oggi. Dopo il liceo,ho raggiunto i miei genitori in Emilia. C’è unapiazza di Bologna, quella di Porta Ravegnanache mi ricordava la spiaggia con le due Torri.Come l’Etna, si specchiavano sul mare di gente,poliglotta e cosmopolita, in movimento come leonde del mare. Catania mi ha dato la fantasia.Bologna mi ha offerto il piacere dello studio. Co-sì il sogno del mito è diventato culto per la sto-ria.

Ad un catanese doc come lei, non è sembra-to strano scrivere il primo libro a sfondo stori-co su Roma, in particolare su Ostia antica e isuoi misteri? Anche se in seguito si è poi rifat-to e ha scritto anche della sua stupenda isola.

Uno dei miei libri su Roma, precisamente “Ro-ma esoterica”, inizia con la citazione di un poetasiceliota del V secolo a.C, Stesicoro. C’è un filoche unisce la Sicilia antica a Roma ed all’Euro-pa. Ostia è importante: ci sono molti ricordi del-la mia isola: terme con raffigurazioni della Tri-nacria, culti siciliani come quello per Cerere. Epoi la Sicilia, “granaio” di Roma, non vi manda-va solo cereali ma anche culti “misterici”, cioèriservati solo agli iniziati, giochi strani ed un po’erotici, come quello del Kottabos che si pratica-va prima del convivio ed il gusto di scoprire l’im-perscrutabile.

Quanto le è pesato trasferirsi a Roma, perquanto città di enorme fascino e cultura, e ab-bandonare la sua Catania con quei luoghi do-ve tutto è frizzante come l’acqua sessa e doveil mare è incantato? E quanto questo ha influi-to sulla sua scrittura?

Come ho detto prima, ho lasciato Catania ingiovane età, anche se ho mantenuto un forte le-game con la mia città e l’isola. E poi, trasferen-domi a Roma, sono andato a vivere nel quartieremarinaro di questa città, Ostia. Amo il mare so-prattutto d’inverno, quando è possibile passeg-giare sulla spiaggia per sentire il canto della na-tura fatto di voci lontane e misteriose, portatedal vento che, accarezzandomi, mi permette diascoltare voci lontane, di invisibili sirene e dioniriche ninfe. Per il resto, anche a Roma ho tro-vato un posticino dove è possibile bere “acquasessa”. E poi, fantasia e sentimento, miei amicidi sempre, sono cittadini del mondo. E poi, mipiace sottolinearlo, sono un Marinaio, ho fre-quentato anche l’Accademia Navale. Mi piacelasciarmi cullare dall’eter-na sinfonia della risaccache muore cantando sullaspiaggia. È la mia grandefonte di ispirazione e vorreiche lo fosse per tutti.

Scorrendo i titoli deisuoi libri ci si stupisce unpoco di trovare in mezzoa pubblicazioni che sem-brano più dotte, quel “Lecarte da gioco, storia emistero” con presentazio-ne del mago Silvan. Hatrovato la scrittura diquesto libro più diverten-te del solito?

Il compito è stato arduoperché non ho trovato nes-suna bibliografia sull’argo-mento. Mi sono affidato aricerche negli archivi stori-ci che mi hanno dato rispo-ste sorprendenti. Così è na-to questo percorso, per la verità insolito,dell’uo-mo sulla strada della civiltà. Le carte, infatti, so-no nate come strumento di cultura. Solo dopo il“sacco di Roma” sono state utilizzate per gioca-re e, nel Settecento, come strumenti per la divi-nazione.

Queste cose ho scritto non solo nel libro a cuifa riferimento ma anche in una fortunata serie didispense settimanali pubblicate da un grandeeditore milanese. Quanto a Silvan, poi, non è so-

lo un mago ma anche un artista molto sensibilealla cultura.

Leggere di magia e antichi riti è molto affa-scinante e ritrovare antiche fiabe ci fa calaredi nuovo nella profondità della nostra “animabambina”. È la stessa cosa per lei, quando fale sue ricerche e poi scrive di questi argomen-ti?

È proprio così! Prima di scrivere di antichi mi-steri e favole del passato, mi piace balzare ingroppa all’alato cavallo Pegaso per galopparenelle praterie fiorite di sogni per cogliere i vario-pinti fiori delle fiabe che diventano storie.

Immagino che per uno scrittore, scrivere siasempre divertimento, anche quando lo fa dimestiere, se non con “mestiere”. E lei ha sem-

pre scritto, come fosse spintoda un inesorabile destino.Pensa che scrittori si nasca, ocome dicono alcuni, basta ave-re qualche nozione e una spol-verata di grammatica, perquanto oggi la grammaticasembri un’optional, come percerte vetture lo è avere il navi-gatore satellitare?

Sostengo che uno scrittore de-ve essere portato a comunicare.E poi deve avere la capacità disapere intingere la penna nel-l’inchiostro del sentimento, pen-sando non solo a se stesso masoprattutto agli altri. Offriremomenti di buona lettura non èfacile, provarci è sempre bello estimolante. La miglior ricom-pensa? Il sorriso di un bimbo,la serenità di un uomo triste.

Che rapporti ha con gli altri scrittori sicilia-ni, ora che vive a Roma? Quali tra questi amaleggere?

Mi ha colpito molto Giuseppe Bonaviri, ungrande saggio. L’ho conosciuto in occasione diun recente premio letterario che ci è stato conse-gnato a Palermo. Per il resto, ero ragazzo quan-do ebbi modo di conoscere Ercole Patti e Vitalia-no Brancati. E poi ricordo i racconti del figliodel portinaio della casa di Giovanni Verga. Cosìho imparato a conoscerlo non solo come scritto-re ma anche come uomo. La sua nobiltà? Laesprimeva con la semplicità dell’anima.

Giornalista, docente di Diritto, narratore esprime il carattere degli isolani

Nei suoi libri la passione dei culti orientaliSalvatore Spoto, residente in

Roma Lido, dopo avere fre-quentato il liceo classico

“Mario Cutelli” di Catania e la Fa-coltà di Giurisprudenza dell’Uni-versità di Bologna, laureandosicon una tesi specialistica sui rap-porti internazionali delle antichemarinerie in Diritto romano e dirit-ti marittimi orientali, vincitore di

concorso pubblico “a nomina di-retta” per laureati, è stato ammessoall’Accademia navale di Livornodove ha conseguito i gradi e laqualifica di Ufficiale di Marina(commissario in s.p.e). Le funzionigli hanno consentito di approfon-dire, anche a livello scientifico, lediverse tematiche relative al mare

(ambiente, traffici, spiagge, rico-struzione di antiche rotte, etc).

Nella vita civile, ha operato alungo presso le cattedre di Dirittoromano, Storia del Diritto romano,Esegesi delle fonti e Papirologiasociale e giuridica dell’Universitàdi Bologna e presso i Dipartimentidi Studi storico religiosi e di Dirit-to Romano e diritti Orientali del-

l’università “la Sa-pienza di Roma”,approfondendo glistudi sui riflessi deiculti orientali relati-vamente allo svilup-po delle forme so-ciali e giuridichenella civiltà del Me-diterraneo.

È stato anche tito-lare della cattedra di“Teoria e tecnica dellinguaggio della Co-municazione”, pres-so l’Accademia na-zionale di Comuni-cazione ed Immagi-ne ed altre scuole dispecial izzazione,approfondendo lacomplessa tematicadella comunicazionea livello culturale.

Come giornalista ha lavorato perla “Gazzetta di Reggio Emilia”, il“Resto del Carlino”, “Paese sera”,“Repubblica”, “Panorama”,“Espresso” e, nell’ultimo venten-nio per il “Messaggero”.

Attualmente è redattore capo perla cultura del “Tg culturale”, con-tenitore di informazioni culturali

per conto di 90 emittenti televisivenazionali. Sempre per la televisio-ne, cura la rubrica di libri “in viag-gio con le parole”. È fondatore edirettore della nuova agenzia stam-pa “Aletheia news”, specializzatain cultura, storia e ambiente mari-no.

Salvatore Spoto è soprattutto no-to come scrittore e narratore. Sueopere sono presenti non solo in bi-blioteche pubbliche ed istituti uni-versitari italiani ma anche nelle ca-tene librarie e nelle biblioteche diprestigiose università straniere(University of Cincinnati, Colum-bia University, Yale University,The New York Public Library nel-la Biblioteca del Congresso degliStati Uniti, a Washington).

Tra le sue opere, note anche al-l’estero, si ricordano “Roma esote-rica” (Newton & Compton), “Ro-ma porta d’Oriente” (Atanor),“Miti, riti, misteri e magie dellaSicilia antica” (Newton & Comp-ton), “I Baccanali, il caso di unoscandalo erotico-religioso nellaRoma repubblicana” (Lithos), “Si-cilia antica” (Newton & Comp-ton), “Sicilia normanna” (Newton& Compton), “Sicilia templare”(Newton & Compton), “Misteri ri-solti e irrisolti” (Newton & Comp-ton), “Storia delle carte da gioco”(Logart press), “Carte” (Fabbri –Rizzoli, dispense settimanali). Èanche autore di pubblicazioni giu-ridiche relative alla responsabilitàcivile e penale.

Attualmente ha in preparazioneun libro inchiesta sugli intrighidelle famiglie nobili del Sud, una

ricostruzione, senza veli, degliaspetti più segreti e conturbantidelle antiche religioni, un romanzo“tra passato e presente” di un uo-mo che risolve i suoi problemi conun tuffo rigeneratore nel passato.

Per la sua attività ha ricevutonumerosi riconoscimenti italiani estranieri. È stato, tra l’altro, insi-gnito del Premio “Telamone”, pre-stigioso riconoscimento per la let-teratura.

Nell’anno 2004, a Roma, unagiuria composta da docenti univer-sitari ed esponenti della cultura gliha conferito il Premio nazionaledell’Associazione tra le Regionid’Italia.

Nello stesso anno, una commis-sione formata da docenti di univer-sità italiane gli ha assegnato il Pre-mio nazionale “Giancarlo Merli”per l’importante contributo offertodalla sua attività di scrittore per lacrescita della cultura storia e dellacoscienza ambientale in Italia e nelbacino del Mediterraneo. Nel2005, a Roma, ha ricevuto il pre-mio internazionale “Anco Marzioper la Cultura” come riconosci-mento del suo impegno nella di-vulgazione degli aspetti più inte-ressanti della civiltà mediterranea.

Nel dicembre del 2005 è statoscelto da una giuria di giornalisti escrittori del Mezzogiorno e delleisole per il “Premio giornalismo aSud”. Recentemente è stato insi-gnito del premio “Ottagono lette-rario”, conferitogli da una com-missione formata da docenti edesperti delle università del Medi-terraneo.

Salvatore Spoto

Incontro con lo scrittore catanese Salvatore Spoto che vive a Roma ma non ha dimenticato la Sicilia

Miti e storia a braccetto in riva al mareFantasia e sentimento, gli amici di sempreAntichi misteri e favole del passato nella magia dei sogni reali

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21LA VOCE DELL’ISOLA21 luglio-31 agosto 2007

Il racconto di una memorabile vittoria

Nelle parole di Tucidite una cronaca di storia che vede la Sicilia,così come spesso è accaduto, un territorio da conquistare

_______di Corrado Rubino

Quando la terribile notizia arrivò adAtene molti non vollero credere aquello che si diceva in giro, per le

vie, nei negozi e nei mercati della città bassa.Incredula la gente cercava chi avesse portatoquella terribile notizia, cercava i reduci di ri-torno dalla Sicilia per sentire dalla loro vivavoce cosa fosse successo agli altri, lì in quellalontana terra d’occidente. Un disastro, unacarneficina, una maledizione degli dei; questosi diceva giù, al porto del Pireo. Morti incombattimento, annegati, catturati, trucidati,ridotti in schiavitù. Più di 15.000 uomini fraopliti, peltasti, arcieri, cavalieri, marinai, ser-vi ecc. scomparsi oltremare. Un intero contin-gente militare salpato dal quel porto e daquelli delle polis alleate di Atene, era statoannientato, distrutto da... da chi?

La maggior parte del minuto popolo di Ate-ne non sapeva neanche quant’era grandequell’isola e quanti greci o barbari l’abitasse-ro. L’immane tragedia ora la raccontavano ipochi superstiti tornati a casa in condizionipietose. Una volta fieri opliti ateniesi oggiuomini spezzati nel corpo e nella mente. Ma-

ledetti Siracusani... la rabbia della gente si le-vò al cielo assieme alle grida di dolore delledonne che non videro tornare padri, mariti, fi-gli e fratelli. Né a consolarle un corpo sulquale piangere.

Si era nel 3° anno dopo la 91ª Olimpiade(agosto del 413 a.C.); ma era anche il 19° an-no della guerra del Peloponneso fra Atene eSparta, ed era accaduto quello su cui nessunoavrebbe scommesso neanche mezzo obolo.Siracusa, alleata di Sparta, aveva sconfitto, interra di Sicilia, le falangi della potente Atenee dei suoi alleati; aveva affondato la flottadelle temibili triere della signora dell’Egeo,faro della civiltà greca e primo partner com-merciale della Magna Grecia.

La democratica Siracusa, al contrario diAtene, esultava e con essa tutte le città sice-liote che avevano partecipato e creduto nellavittoria della più potente città greca della Si-cilia. Anche loro avevano avuto i morti, maerano eroi e potevano essere pianti, potevanoavere un funerale.

Gli Ateniesi erano venuti in Sicilia per con-quistare, per sottomettere, per assicurarsi il

grano siciliano e tutto quanto era necessario avincere la guerra contro Sparta: ma fu un tra-gico errore. Il vecchio generale Nicia avevavisto giusto: i siciliani non si sarebbero sotto-messi facilmente al giogo ateniese.

Ma torniamo indietro di qualche anno. Co-me si arrivò a questa memorabile vittoria celo racconta Tucidide nella sua Guerra del Pe-loponneso. Il grande storico greco è contem-poraneo ai fatti, ed è forse la fonte più direttache ci permette di rivivere, quasi come sefossimo presenti a Siracusa, i momenti delloscontro. Tucidide è tra l’altro attore di alcunidegli avvenimenti di quel tempo. Allo scop-pio della guerra, nel 431, ha circa trent’anni enell’inverno del 424, eletto stratega, gli vieneassegnata una squadra navale, in assetto diguerra, nello scacchiere dell’Egeo settentrio-nale. Compito: difendere le basi costiere ate-niesi in Tracia. Ma il generale spartano Brasi-da attacca, con una armata terrestre, la città diAnfipoli nel cuore dei possedimenti greci inTracia. Tucidide riceve l’ordine di intervenirema lo fa maldestramente ingenerando nei su-periori il sospetto di tradimento. Egli stesso

scrive: «Mi toccarono venti anni di esilio dal-la mia patria, frutto di quella strategia cheesercitai ad Anfipoli; mi fu così dato di fre-quentare ambedue i terreni d’operazione e, acausa della mia sorte d’esule, d’esser vicinosoprattutto al campo dei Peloponnesi e di do-cumentarmi con scrupolo minuzioso su ognipiega, su ogni sfumatura dei singoli episodi.»

Tucidide vive e scrive in un periodo di re-visione e di critica della tradizione. Egli negai concetti assoluti, le certezze e le verità pre-costituite di cui sono pieni i miti, la religionee il moralismo della tradizione dei suoi tempi.Insomma è uno storico anticonformista. Usail dialetto attico, che per la prima volta vieneusato in prosa, ed è consapevole di scrivere inun modo nuovo. Nell’esposizione dei fatti re-sta imparziale fra i contendenti, ed anche se èlegato al partito dei conservatori ateniesi, simantiene sufficientemente distaccato. A mag-gior ragione quando sarà allontanato da Atenecolpevole di non essere riuscito ad impedireil colpo di mano del generale Brasida controAnfipoli. Del resto ha una invidiabile posi-

Page 21: A S b D S B Arsenico e vecchi merletti - lavocedellisola.it · l’aeroporto il cavaliere Mario Turrisi, presidente della Sielte, impresa di suc-cesso del settore delle telecomunica-zioni

zione economica che, anche da esule, non lo co-stringe a cercare protettori per i quali scrivere una“Storia compiacente”.

La guerra del Peloponneso fu la più sanguinosaguerra combattuta nell’antichità tra popoli di etniagreca. Durò circa trent’anni (era iniziata dopol’87ª Olimpiade) e fu provocata dalla volontà poli-tica di Atene di ottenere il predominio su tutto ilmondo greco. Dopo la vittoria dei Greci sui Per-siani all’inizio del 5° secolo, Atene vide notevol-mente aumentato il proprio prestigio e forte diquesta posizione aveva trasformato la libera Legadi Delo, dov’era primus inter pares, in un imperomarittimo e commerciale in cui il governo ateniesedettava legge. Tutto questo durò fino a quando idissidenti non trovarono ascolto e sostegno inSparta decisa ad opporsi all’egemonia ateniese.

I motivi di contrasto che provocarono il conflit-to potevano essere appianati, ma il desiderio deicontendenti e soprattutto degli Ateniesi, guidati daPericle, di affermare la propria egemonia su tuttele stirpi greche, non permise che si arrivasse aduna soluzione pacifica.

Dopo diciassette anni di guerra il conflitto si al-largò anche alla Sicilia e la causa scatenante fuuno “sconfinamento” delle truppe di Selinunte,città alleata di Siracusa, nel territorio di Segesta,città degli Elimi. La cavalleria di Selinunte, varca-to il fiume che divideva i territori delle due città,aveva occupato la sponda degli Elimi e gran partedel territorio limitrofo. Al primo scontro i Segesta-ni avevano subito una grave sconfitta e allora de-cisero, d’accordo con gli esuli Calcidesi di Leonti-noi (Lentini) e con altri sicelioti (così chiamati igreci di Sicilia) che si sentivano minacciati dallapolitica siracusana, di rivolgersi ad Atene: la gran-de potenza d’oltremare.

In Grecia la richiesta d’aiuto, portata dagli am-basciatori di Segesta nell’inverno fra il 416 e il415, fu discussa in assemblea. Ma l’eventuale in-tervento ateniese non sarebbe stato certamente di-sinteressato, e quindi fu deciso d’inviare in Siciliaosservatori che riferissero circa la situazione poli-tica nell’isola e la consistenza delle risorse econo-miche dei Segestani; visto tra l’altro che i loro am-basciatori avevano anche detto che Segesta erapronta a fornire i mezzi finanziari sufficienti perarmare una flotta di 60 triere (o triremi). Al ritornodegli osservatori, gli Ateniesi intravidero la possi-bilità di risollevare la propria economia bellicasfruttando le ricchezze che gli osservatori stessi ri-ferirono di aver visto nei templi e nelle casse del-l’erario della città siciliana. Resi euforici anchedalla situazione favorevole che Atene stava attra-versando nella lotta contro Sparta, gli Ateniesi de-cisero di inviare le 60 navi richieste con a capodella flotta tre strateghi con pieni poteri: Nicia, Al-cibiade e Lamaco. Il generale Nicia, che aveva so-stituito Periclemorto nel 429, eraun aristocraticoconservatore, unodei più ricchi fra gliAteniesi. Imprendi-tore e possidentefondiario, attento aipropri interessi eraaggrappato ai suoiprincipî della reli-gione e della mora-le tradizionale. Unuomo d’alti tempisi direbbe oggi: unbacchettone. Entrònella vita politicamentre era in augePericle. La classedei possidenti fon-diari era totalmenteavversa a questaguerra; riteneva diaverne solo danni enessun vantaggio.Quindi Nicia, chene era l’alfiere, non era interventista. Malgradotutti conoscessero questa sua posizione politica glifu affidato l’incarico di comandare la spedizionein Sicilia. Aveva almeno cinquantacinque anni enon godeva di ottima salute. Invano cercò, conconsigli di prudenza, di far desistere i concittadinidall’impresa, prospettando le complicazioni chepotevano facilmente nascere per Atene quandoquesta (nella situazione tuttora fluida nonostante iltrattato con Sparta) si fosse ulteriormente indebo-lita per una spedizione in un’isola dove Atene nonaveva immediati interessi. E poi solo per andarein soccorso “di stati lontani per stirpe da noi” o “di esuli sempre in caccia d’aiuti”. Atene si sarebbeanzi attirata l’ostilità della potente Cartagine.

Contro questo suo parere parlò all’assemblea ilcollega generale Alcibiade; venticinque anni piùgiovane di Nicia. Rampollo di famiglia nobile perparte di madre, fu eletto stratega appena raggiuntal’età legale di trent’anni. Dapprima fu tra le filadel partito democratico ma dopo la sconfitta ate-niese di Mantinea ad opera degli spartani, passòtra quelle del partito conservatore di Nicia. Con ilsuo atteggiamento rampante si era fatto molti ne-mici e non erano pochi quelli che pensavano cheegli coltivasse segretamente l’ambizione del tiran-no. Ebbero però successo gli incitamenti dell’im-modesto ed ardente Alcibiade, che illustrava al po-polo prospettive di gloria militare e di primato ate-niese. Contro la senile prudenza del suo avversa-rio, esaltò l’orgoglio civico e sciorinò un abile di-segno di facili conquiste contro genti che sicura-

mente avrebbero tremato solo alla vista delle triereateniesi e sarebbero caduti sotto l’urto delle falan-gi di opliti.

Anche il vecchio generale Lamaco era favore-vole alla spedizione; del resto anche se non era unmilitare di professione aveva dimostrato in diverseoccasioni, contro gli Spartani, di essere un valoro-so. Nicia a questo punto, riconosciuto vano ognitentativo di persuasione, pensò di assecondare lascelta di approntare il corpo di spedizione in Sici-lia, confidando nel fatto che la mole dei preparati-vi militari ch’egli aveva l’autorità di consigliare,come esperto uomo di guerra, e il diritto di esige-re, come stratega, avrebbe indotto gli Ateniesi a ri-nunziare alla spedizione. Parlando ancora in as-semblea mise quindi in evidenza le forze militaried i mezzi di cui potevano disporre i sicelioti, ledeficienze Ateniesi per una guerra in terra di Sici-lia e l’impreparazione dei Segestani, alleati pocovalidi. Ma le difficoltà prospettate non fecero altroche confermare negli Ateniesi la loro decisione, inquanto le osservazioni di Nicia, tecnicamente fon-date, diedero all’assemblea la sicurezza che il cor-po di spedizione, risolti i problemi militari e logi-stici, avrebbe avuto successo.

Il popolo approvò la spedizione in Sicilia. Ai trestrateghi, eletti al comando del contingente che sa-rebbe stato uno dei più potenti che la lega Atticaabbia mai potuto approntare, furono pertanto con-feriti pieni poteri perché provvedessero ad integra-re la spedizione secondo l’avviso di Nicia.

Tucidide stesso scrisse che era costituito da al-meno 7000 fanti, di cui 5100 opliti, e 134 triere.Solo Atene ne aveva fornito 60 da guerra e 40 peril trasporto degli opliti; altre triere e navi onerariefurono chieste agli Stati della Lega. Gli opliti ate-niesi, nucleo dell’armata terrestre, furono scelticon leve accurate: ad essi si aggiunsero arcieri ate-niesi e cretesi e frombolieri rodii; mentre per la ca-valleria si confidava sull’aiuto degli alleati sicilia-ni. Si provvide con la necessaria larghezza al vet-tovagliamento dell’imponente armata. Il ricordobruciante degli insuccessi della prima spedizionefaceva assumere alla nuova il carattere di un’im-presa d’assai più vasta portata che non un inter-vento in aiuto di Segesta. Gli Ateniesi pensavanoormai di sottoporre alla loro egemonia tutta la Si-cilia (almeno la Sicilia greca). Nicia aveva consi-derato, nella sua valutazione delle forze avversa-rie, soltanto gli stati sicelioti, ma Alcibiade sogna-va di portare la guerra fino a Cartagine, e quindi, aquesto proposito, non è da escludere che dava ali-mento alla spedizione anche il desiderio del pri-mato internazionale, lo spirito d’avventura, la spe-ranza di fare affari e la curiosità di terre lontane.

Il nostro racconto inizia nell’inverno dell’anno416, quando hanno inizio le operazioni militari.Gli opliti, fanti pesanti ateniesi, nucleo principale

dell’armata terrestre, ven-gono radunati nel porto delPireo. Ma alla fine di mag-gio del 415, quasi alla vigi-lia della partenza, accadeun fatto che segnerà lo svi-luppo delle operazioni mi-litari. I nemici di Alcibia-de, approfittando dell’indi-gnazione popolare natadall’improvvisa scopertadella mutilazione delle Er-me nelle strade di Atene,accusano lui di questa e dialtre empietà. L’accusa hasubito credito perché Alci-biade non è uno stinco disanto. Ma mancano le pro-ve sicure e quindi il pro-cesso viene rinviato. L’as-

semblea del popolo decide che Alcibiade parta lostesso per la Sicilia.

Ai primi d’agosto la spedizione salpa alla voltadell’isola di Corcira (isola di Corfù), poi di Taran-to, e prosegue verso la Sicilia costeggiando l’Ita-lia, senza riscuotere simpatia fra le città costieredella Magna Grecia; la maggior parte di esse con-

cede solo acqua e un ormeggio aperto; tutte nega-no alle truppe ateniesi ospitalità entro le mura.Reggio, l’antica alleata si dichiara neutrale e nonconcede l’accesso degli Ateniesi in città. Messana(Messina), ha un comportamento analogo a quellodi Reggio. Anche altre città calcidesi, tranne Na-xos, si mostrano fredde nei confronti di Atene.Evidentemente la maggioranza degli antichi colonigreci, sia in Italia che in Sicilia, è preoccupata da-gli sviluppi della politica imperialista ateniese, eora si preparano a tutelare uniti i comuni interessie l’indipendenza.

Nel frattempo, a Siracusa, quando si apprendedell’arrivo degli Ateniesi si provvede rapidamentealla difesa della città e a preparare la flotta di 80triere. I Siracusani sapevano di essere loro l’obiet-tivo principale della spedizione ateniese. I pianidei tre strateghi Ateniesi per le operazioni in Sici-lia variano a seconda dell’indole e della visionestrategica di ciascuno di essi. Prevale, tuttavia, lastrategia di Alcibiade che propone di inviare am-basciatori nelle città siceliote e sicule che potreb-bero diventare alleate, soprattutto Messana. Rico-nosciuti così gli amici e i nemici, attaccare Siracu-sa da terra e dal mare.

Ma il tentativo di concludere l’alleanza conMessana fallisce; gli strateghi si trasferiscono, con60 navi (lasciando il resto a Reggio), prima a Na-xos, che li accoglie all’interno delle mura, e poi aKatane. Per gli Ateniesi avere una base vicina aSiracusa è di vitale importanza, ma Katane hascelto di rimanere neutrale, anche perché in città èpresente un forte partito filo siracusano. È quindi aKatane che gli Ateniesi forzano la situazione conl’inganno. Alcibiade e gli altri generali chiedono eottengono di entrare da soli in città per esporre leloro proposte in assemblea ai cittadini; ma mentreAlcibiade parla al popolo, accorso tutto all’assem-blea nel teatro, gli opliti ateniesi penetrano di sor-presa in città da una porta poco sorvegliata: i filoSiracusani, contrari a dare ospitalità agli Ateniesi,fuggono, e l’assemblea cittadina è costretta a de-cretare l’alleanza con Atene. Gli strateghi trasferi-scono quindi tutta la flotta da Reggio a Katane eorganizzano la base per le operazioni militari.

Intanto ad Atene Alcibiade è accusato definiti-vamente di sacrilegio. Viene richiamato in patria;obbedisce all’ingiunzione della sua città, e partedalla Sicilia ma, immaginando la sua sorte futura,fa perdere le sue tracce. Raggiunge Sparta, e metteal servizio dei nemici di Atene la sua conoscenzadei piani per la guerra in Sicilia e la sua naturaleabilità politica e strategica, consigliando anchel’invio a Siracusa del generale spartano Gilippo.

Partito Alcibiade, verso la fine dell’estate del415, Nicia, rimasto in Sicilia, commette l’errore dinon attaccare subito Siracusa ma si scontra primacon le truppe di Selinunte e Iccara, poi assalta IblaGeleatis, nella zona etnea; ma la città non cede.Questo insuccesso dà coraggio ai Siracusani, e an-che il fatto di non essere stati attaccati subito daglistrateghi ateniesi li conforta.

Sta per iniziare l’inverno fra il 415 e il 414. Ni-cia e Lamaco mettono a punto un piano per attira-re le truppe siracusane il più lontano possibile dal-la città e occupare quindi, una posizione strategicafavorevole per l’attacco a Siracusa. In realtà lapreoccupazione dei generali è l’assenza nelloschieramento ateniese di reparti di cavalleria dacontrapporre a quella siracusana che è numerosa evalidissima. Il piano è questo: mandare a Siracusaun catanese accreditato presso i Siracusani il qua-le, fingendosi un emissario dei filo Siracusani diKatane, deve informare i Siracusani stessi chemolti soldati ateniesi abitualmente, di notte, bi-vaccano in città, e quindi convincerli ad impiegaretutte le loro forze in un assalto notturno al campoateniese. Gli strateghi di Siracusa cadono nellatrappola e danno l’ordine di muovere nottetempoverso Katane con tutto l’esercito, rafforzato anchedai contingenti di Selinunte e degli altri alleati.Appena gli Ateniesi apprendono dalle loro spieche il nemico è arrivato nel territorio di Leontinoi,imbarcano tutto il contingente sulle navi, riparatelungo la spiaggia di Katane, e sbarcano all’albasulla riva occidentale del porto grande di Siracusa.

Si fortificano su un’altura, a sud dell’Olym-pieion, il santuario di Zeus Olimpio, per difendersidalla cavalleria. Quando i siracusani capisconol’inganno tornano velocemente indietro e tentanodi assalire il nuovo campo ateniese ma, stanchedella lunga marcia, l’attacco fallisce e Nicia e La-maco possono prepararsi per la battaglia del gior-

no seguente. All’alba gli Ateniesi e i loro alleati sipreparano alla battaglia: il centro dello schiera-mento è tenuto dal contingente ateniese, a destraquelli di Argo e Mantinea, a sinistra gli altri allea-ti; tutti gli opliti sono schierati in formazioni qua-drata su 8 file; la terribile formazione a falange.

Ma lo schieramento siracusano non è da meno. Igenerali schierano gli opliti su ben 16 file di pro-fondità e in più, a differenza degli Ateniesi, di-spongono di almeno 1200 cavalieri sull’ala destraassieme ai lanciatori di giavellotti; del contingentefanno parte anche truppe di Selinunte, di Gela e diCamarina. Gli Ateniesi attaccano per primi e pren-dono di sorpresa i Siracusani che non si attendonoda loro la prima mossa offensiva. La fanteria leg-gera siracusana si sbanda, si scompone e non reg-ge al primo assalto dei peltasti avversari. Ma ai Si-racusani non manca il coraggio; a differenza degliAteniesi, loro combattono per la propria terra perle proprie case; semmai non hanno l’esperienzadelle truppe elleniche. I Siracusani arretrano, si ri-organizzano; adesso iniziano gli assalti dei lancia-tori di giavellotti, dei frombolieri, degli arciericontro le rispettive truppe leggere. Il cielo si riem-pie di nugoli di giavellotti, di pietre, di palle dipiombo, di frecce che partono da uno schieramen-to all’altro. Dopo l’assalto delle truppe leggereora, al suono delle trombe, muovono all’attaccogli opliti di ambedue gli schieramenti. In campoaperto la fanteria pesante ateniese è molto temibi-le. L’urto delle falangi è potente. Il rumore dellelunghe lance che s’intrecciano precede di qualcheistante quello assordante degli scudi delle prime li-nee degli opliti che si scontrano. Ma gli opliti sira-cusani resistono e rispondonoagli assalti. Sfortunatamenteper loro scoppia un temporalecon tuoni e fulmini e l’espe-rienza al combattimento gio-ca un ruolo a favore dei vete-rani di Argo che sbaraglianogli avversari. Dopo anche gliAteniesi mettono in fuga i lo-ro avversari, e infine tutta lafanteria siracusana si ritira. Èla sconfitta; ma non per la ca-valleria siracusana che rovinala festa ai vincitori perchéevita l’inseguimento e il mas-sacro dei fuggitivi. Nientebottino, niente trofei.

Questa battaglia è servita aNicia e a Lamaco per capireche senza una cavalleria nonavrebbero potuto battere i lo-ro nemici in campo aperto.

A Siracusa invece molti so-no consapevoli d’avere difronte i migliori soldati diGrecia; essi stessi si defini-scono dei principianti a con-fronto dei professionisti d’ol-tremare; ma individuano su-bito i rimedi: i generali, cioègli strateghi, vengono ridottida 15 a 3; vengono arruolatinuovi opliti e gli altri dotatidi nuove armi; si costruisceun muro difensivo che protegge la zona di Acradi-na e Temenite; si intensifica l’addestramento fisicoe la disciplina in combattimento. Non è uno sforzoda poco. L’armamento personale di un oplita pesa35 chili: elmo, corazza, spada, schinieri, scudo elancia. Inoltre si deve essere bene allenati per cor-rere con quel peso addosso, tenendo lo scudo e lalancia, e si deve essere bene addestrati a muoversiin sincronia con gli altri compagni.

Nel frattempo i Siracusani inviano anche degliambasciatori a Corinto e a Sparta per sollecitarel’invio di un loro contingente in soccorso.

Nicia e Lamaco si ritirano a Naxos per passarel’inverno. Occorrono nuovi fondi per le spese diguerra, e le vettovaglie. Per l’offensiva di prima-vera sarà opportuno assicurarsi l’aiuto di altri sice-lioti, alle cui esitazioni avrebbe presumibilmenteposto fine una vittoria ateniese.

In realtà all’interno del contingente ateniese siva dissolvendo l’entusiasmo dei primi momenti.Gli uomini si chiedono perché molte genti dellaloro stessa stirpe non sono loro alleati; perché i lo-ro capi sono così indecisi. Specialmente la batta-glia davanti a Siracusa, durante il temporale, hadeluso le aspettative dei soldati di Atene; la vitto-

ria duramente ottenuta sul campo è rimasta prati-camente inefficace. L’eccellente operazione riusci-ta dello sbarco di sorpresa non ha condotto ad al-tro risultato che indurre Siracusa a premunirsi con-tro ogni attacco del genere.

La situazione è delicata, difatti, da Naxos, glistrateghi chiedono ad Atene denaro ed un corpo dicavalleria.

Sull’altro fronte Sparta decide di mandare a Si-racusa un esperto stratega, Gilippo, (sponsorizzatoda Alcibiade) per organizzare l’invio degli aiuti edirigere le operazioni di guerra. Inoltre Corinto,ora alleata di Sparta, decide di inviare in aiuto diSiracusa una flotta di navi da guerra. Gli aiuti diAtene, invece, giungono a Katane al principio del-la primavera del 414: si tratta di nuovi fondi e di250 cavalieri con bardature ma senza cavalli. Ni-cia li dovrà chiedere agli alleati.

Poco dopo si ricomincia. Il corpo di spedizionesferra un nuovo attacco. La flotta ateniese si spo-sta e approda di notte nella baia di Tapsos, a norddi Siracusa. I Siracusani riescono a sapere in anti-cipo dell’attacco ateniese alla città ma perdonotempo prezioso e l’esercito nemico, sbarcato al-l’alba, occupa l’Eurialo dilagando in una zonastrategica importantissima: l’Epipole, la terrazzarocciosa che sovrastava Siracusa. I Siracusani ten-tano di contrastare il controllo dell’Eurialo ma la-sciano sul terreno circa 300 opliti scelti. Gli Ate-niesi, rafforzati dall’arrivo di 400 cavalieri Siculi,di Naxos e di altri alleati sicelioti, si preparano abloccare Siracusa con una fortificazione e un muroche dovrebbe chiudere la città da terra. Un muroche si deve estendere da nord, cioè da Trogilo, at-

traverso l’Epipole, fino a sud,al porto grande.

I Siracusani tentano piùvolte di ostacolare il compi-mento di questo muro; e do-po vari scontri e sortite, inun’aspra battaglia che sisvolge nella zona paludosa diLisimeleia presso il portogrande, gli Ateniesi costrin-gono i nemici a ritirarsi nellacittà: ma durante il combatti-mento muore da valoroso ilgenerale Lamaco. Nicia, ri-masto unico comandante delcontingente ateniese, riesce arendere vani i nuovi attacchidei Siracusani contro la forti-ficazione che ha fatto costrui-re nell’Epipole, finché daTapsos giunge la sua flottanel porto grande e i suoi opli-ti arrivano in suo soccorso.

L’assedio si completa; Si-racusa è ora bloccata sia daterra che dal mare.

La notizia fa subito il girodella Sicilia e della MagnaGrecia e adesso agli Ateniesicominciano ad arrivare rifor-nimenti ed aiuti da ogni par-te. Anche gli Etruschi invianoaiuti, memori della sconfittasubita ad opera di Gerone.

Mentre Atene appare prossima a raggiungere ilsuo principale obiettivo in Sicilia, i Siracusani, as-sediati e privi di notizie da Corinto, destituiscono iloro strateghi e iniziano trattative di pace con Ni-cia.

Il generale spartano, Gilippo, è già in navigazio-ne quando riceve la notizia dell’assedio di Siracu-sa. Appena giunto a Locri apprende invece che Si-racusa non era ancora interamente bloccata e la sipuò ancora raggiungere da terra, perché il muro,iniziato dagli Ateniesi, non è stato ancora inspie-gabilmente completato; evita il blocco navale ate-niese, approda ad Imera (Termini Imerese) con 4navi e, organizzato un discreto contingente di2700 fanti e 100 cavalieri, Gilippo corre a tappeforzate in soccorso di Siracusa passando attraversoquella zona dell’Epipole che gli Ateniesi non han-no fortificato. Il suo arrivo, nell’agosto del 414,coglie di sorpresa gli Ateniesi.

Adesso è lo stratega spartano che pone le condi-zioni. L’assedio deve cessare e gli Ateniesi, entro5 giorni, devono lasciare la Sicilia. La propostaviene sdegnosamente respinta da Nicia.

Gilippo, collegate le sue forze con quelle dei Si-racusani, impedisce definitivamente il compimen-

to del muro di accerchiamento, togliendo così agliAteniesi ogni possibilità di bloccare Siracusa daterra. Infatti i Siracusani costruiscono un muro cheblocca a nord quello ateniese accerchiando a lorovolta l’esercito nemico nella zona meridionale del-l’Epipole. È questa la mossa vincente.

Al fallimento delle operazioni terrestri non èestranea la negligenza di Nicia, che ha trascuratodi completare il muro attorno ad Acradina, confi-dando che il prestigio ottenuto dalle armi ateniesivalesse ad impedire un intervento in aiuto di Sira-cusa da parte di altre città dell’isola.

Siamo a ottobre e Nicia deve porsi il problemadello svernamento. Il mare è la principale via di ri-fornimento per gli Ateniesi; lo stratega decidequindi di spostare la sua base navale dal portogrande al promontorio di Plemmirio. Nelle sue in-tenzioni la nuova base avrebbe evitato alle naviateniesi la traversata del porto qualora avesserodovuto impegnare battaglia in mare aperto. Fa co-struire dunque tre forti che permettano l’ormeggiosicuro delle navi; ma l’acqua potabile è scarsa elontana, e la onnipresente cavalleria siracusana as-salta di continuo gli Ateniesi con azioni di distur-bo. Ormai l’esercito che aveva bloccato Siracusadall’Epipole al porto grande domina solo la partemeridionale dell’Epipole e l’ingresso del porto, etra l’una e l’altra zona le comunicazioni per terrasono interrotte, sicché anche la parte a sud più in-terna del porto risulta essere insicura per gli Ate-niesi.

La critica posizione in cui si trovavano gli Ate-niesi, praticamente assediati dalla parte di terra ecostretti a tenersi sulla difensiva, induce Nicia adinsistere con maggiore urgenza nella richiesta diaiuti. La flotta, benché fosse la maggiore tra quan-te i Greci avevano fin allora messo in mare, era lo-gorata nel materiale; gli equipaggi e l’esercito diterra erano decimati dagli scontri dai continui at-tacchi di disturbo della cavalleria e dai disagi. Or-mai quasi l’intera Sicilia, tranne Ákragas (Agri-gento) rimasta neutrale, schiera compatta le suegenti d’origine greca a fianco dei Siracusani con-tro Atene e i suoi alleati.

Nella primavera del 413 Atene appronta per Ni-cia un altro contingente formato principalmente da73 navi da guerra con 5000 opliti e 2000 peltasti,al comando dello stratega Demostene.

Ma in Sicilia, prima dell’arrivo di Demostene, lesortite delle navi siracusane infliggono nuove per-dite alla squadra navale ateniese. Gilippo è appenarientrato a Siracusa dopo aver raccolto aiuti pressole altre città siciliane ed assieme ad Ermocrate ma-turano la convinzione che bisogna attaccare laflotta ateniese dentro il porto grande. Idea pazzaper molti. In effetti il primo scontro in mare nonva bene: 75 triere siracusane non riescono ad ave-re ragione di 60 triere ateniesi, perdendone 11 co-late a picco. Ma i siracusani traggono subito le in-formazioni necessarie per correre ai ripari. Neimesi estivi ci riprovano di nuovo a scontrarsi conle navi ateniesi, ma stavolta hanno accorciato e re-so più massicce le prue e hanno applicato alla cur-vatura prodiera delle triere dei robusti pali spor-genti all’esterno di circa due metri e mezzo.

Allo scontro successivo, che ha come teatro dinuovo il porto grande, le modifiche tecniche per-mettono ai piloti delle triere di usare una tatticad’attacco diversa da quella ateniese. Mentre la tat-tica d’attacco delle triere ateniesi prevede l’aggira-mento laterale alla nave nemica e il successivosperonamento perpendicolare sul debole fiancodella nave, le triere siracusane attaccano diretta-mente, quasi frontalmente, prua contro prua, con-ficcando nella zona prodiera i propri speroni. Adogni urto le navi siracusane aprono voragini im-mense nel fasciame anteriore delle navi ateniesi.Affondate 7 navi e danneggiate molte altre si riti-rarono, e stavolta il morale è alle stelle. La flottaateniese è battuta.

Poco dopo, alla fine di Luglio, arriva il contin-gente ateniese di Demostene e l’imponente dimo-strazione di forza da parte degli invasori getta i si-racusani nello sconforto. Demostene, che è forse ilmigliore dei generali ateniesi, sa che l’effetto de-moralizzante del suo arrivo non durerà molto neinemici e allora decide di attuare subito un attaccoterrestre. Ma vano risulta essere il suo assalto not-turno contro il muro con cui i Siracusani hannoimpedito che gli Ateniesi completassero quello de-stinato a bloccare la città dalla parte di terra. L’in-successo e le perdite demoralizzano anche le trup-pe della nuova spedizione e Demostene propone aNicia, interpretando il desiderio dei soldati, di ab-bandonare Siracusa fin quando per loro è ancoralibera la via del mare. Nicia, spaventato dalle con-seguenze che avrebbe avuto la fuga in Atene, in unprimo tempo non accetta il piano di Demostene,ma quando viene a sapere che Gilippo ha raccoltoaltre truppe nell’isola e dell’arrivo di altre navidalla Beozia e dal Peloponneso, Nicia si convincee aderisce al piano di Demostene.

Ma proprio durante quella notte di luna piena incui gli Ateniesi sono pronti a partire accade qual-cosa che fu fatale per gli Ateniesi: un eclissi di lu-na. La luna piena si oscura e getta nel terrore il su-perstizioso Nicia e non solo.

È la notte fra il 27 e il 28 agosto del 413. Unpresagio? Si, certamente un presagio. Ma come in-terpretarlo? Nella mente di Nicia appare un nome:Stilbide, il suo esperto indovino. Ma è morto. Si, èmorto durante l’assedio; e allora il generale mandaa chiamare altri àuguri i quali predicono grandisciagure se non si fosse rimandata la partenza ditre volte nove giorni: un intero mese lunare. Anchese si tratta di dilettanti nessuno osa contraddirli; è

un errore e sarà pagato amaramente da Nicia. I Siracusani, incitati dai loro strateghi e da Gi-

lippo, di lì a poco infliggeranno al nemico una ca-tastrofica sconfitta sul mare costringendo Demo-stene a scontrarsi in un ristretto specchio d’acqua.Nei primi giorni di settembre, infatti, nel portogrande, 76 navi siracusane affrontano 86 navi ate-niesi. Le veloci, leggere e temibilissime triere ate-niesi non sono preparate per combattimenti in ac-que chiuse. I rostri siracusani gettano lo scompi-glio al primo attacco il centro dello schieramentonemico. Una squadra ateniese posta all’ala destradello schieramento tenta di aggirare i Siracusanima sbaglia la manovra e si ritrova, facile preda,isolata nell’insenatura più a sud del porto grande.Lo schieramento princi-pale viene circondato emolte triere ateniesi ven-gono inseguite e spinteverso terra. Si accendeanche lo scontro fra re-parti di opliti che dallariva tentano di imposses-sarsi della navi spiaggia-te. Gli Ateniesi riesconoa mettere in fuga i Sira-cusani ma pagano conl’affondamento di diver-se navi e la cattura di al-tre 18.

Ora Nicia vuole affret-tare la ritirata e si prepa-ra all’ultima decisivabattaglia navale. Deve ri-uscire a rompere l’asse-dio siracusano. In ambe-due gli schieramenti gliuomini si rendono contoche si tratta dello scontrodecisivo. Per gli Ateniesie i loro alleati si tratta disalvare la faccia e la pel-le, visto come sono anda-te finora le fasi dellaguerra. Nicia, prima didare il via allo scontro,aveva fatto del suo me-glio per risollevare il mo-rale di marinai e fanti;aveva anche spiegatoche, trattandosi di uno scontro in un ristretto spec-chio di mare, sulle veloci, leggere e temibilissimetriere ateniesi, sarebbe stata schierata una folla diarcieri e lanciatori di giavellotti, che normalmentesarebbero stati d’intralcio nei combattimenti inmare aperto, ma che ora sarebbero tornati utili pre-vedendo scontri ravvicinati con le navi nemiche.Inoltre li aveva tranquillizzati dicendo che sareb-bero stati usati degli arpioni di ferro che, lanciaticontro le triere siracusane, le avrebbero agganciateimpedendo loro di arretrare dopo aver subito losperonamento, permettendo così alla fanteria im-barcata di assalire la nave nemica. In precedenza,gli strateghi siracusani avevano dato ordine diostruire l’imbocco del porto con varie navi all’an-cora.

La prima a muovere è una squadra navale ate-niese che si lancia verso lo sbarramento all’ingres-so del porto grande convinti di riuscire a passare.Riescono a disperdere le navi di guardia allo sbar-ramento ma mentre cercano di tagliare le cateneche ostruiscono il passaggio vengono assaliti dallenavi siracusane che sopraggiungono da tutti i lati.È lo scontro generale: le due formazioni navali siaffrontano, dapprima ordinatamente poi in modosempre più caotico. Nella rada del porto grandeora è un inferno. Quasi 200 navi si affrontano inun furioso scontro di legni, di remi, di ordini divoga, di tamburi, di rumori di scafi sfracassati dairostri, di grida, di canti, d’imprecazioni.

Per i circa 170 rematori imbarcati su una trierenon è agevole manovrare in acque chiuse. La mos-sa tattica di Nicia di imbarcare più fanti del previ-sto peggiora la situazione e quindi risulta perden-te. Le triere sono meno manovrabili e la fanteria,non abituata a combattere sulle navi, non è poi co-sì efficace come si sperava. I siracusani lo sapeva-no già in anticipo. Gilippo lo aveva predetto: “lorosono più pesanti e sono di più: meglio per noi, letriere s’intralceranno una con l’altra e sarà un gio-co trafiggerle”. I siracusani hanno anche provve-duto a neutralizzare il lancio degli arpioni conl’ingegnoso sistema di proteggere la prua e partedelle murate con strisce di cuoio su cui far scivola-re i ganci. La battaglia ha fasi alterne e per un po’le forze sembrano equivalersi.

Trascorrono molte ore e finalmente i siracusaniriescono a respingere verso terra gli Ateniesi. Ter-rorizzati gli equipaggi che riescono a toccare terrafuggono verso gli accampamenti. Il tentativo diforzare la barriera è quindi fallito. Nicia e Demo-stene decidono di imbarcare tutto e subito e di riti-rarsi la stessa notte. Sono rimaste 60 navi sulle ol-tre 130 che avevano gli Ateniesi e i loro alleati.Ma quando gli strateghi danno l’ordine di riarmarele navi i marinai si rifiutano di tornare ai loro po-sti.

Ormai è inevitabile la ritirata da terra, versol’interno dell’isola, verso Camarina; lì potrannodifendersi. Ma non vi arriveranno mai. Siracusavuole vincere senza appello.

Il resto è la storia di un massacro. Infatti i Sira-cusani hanno deciso di distruggere totalmente ilcontingente nemico, vogliono che questa vittoriasu Atene resti scolpita nella memoria degli Atenie-si che erano venuti da conquistatori, ma soprattut-

to serva da monito atutte le città della Si-cilia e della MagnaGrecia, alleate e non.

40.000 uomini di-visi in due esercitifuggono verso sud.Nicia comanda ilcontingente principa-le e Demostene la re-troguardia. La caval-leria siracusana rag-giunge per prima laretroguardia che vie-ne subito attaccatacon azioni di distur-bo, martellanti, daogni parte e per tuttala giornata. Fra mortie disertori restanoseimila combattenti eGilippo offre lorosalva la vita se si ar-rendono e depongonole armi. Demosteneaccetta. Nicia nelfrattempo fugge ver-so sud, verso il fiumeAssinaro. Gli Atenie-

si e i loro alleati sono ormai sfiniti dalla stanchez-za, dal sole, dall’arsura, e quando arrivano sullasponda dell’Assinaro è tanta la voglia di bere chenon fanno neanche più caso ai Siracusani che lihanno accerchiati. Entrano alla rinfusa nelle acquebasse del fiume, s’intralciano a vicenda si calpe-stano, cercano di bere, ma vengono colpiti da gia-vellotti e frecce. I morti insanguinano l’acqua epoi vengono trascinati via dalla corrente ma gli al-tri non smettono di bere. Il massacro continua finoa quando Nicia si arrende a Gilippo. Tutti gli Ate-niesi e gli alleati presi prigionieri saranno rinchiusinel fondo delle latomie di Siracusa. Gilippo vor-rebbe salvare la vita a Nicia e Demostene perché livuole portare a Sparta, ma i Siracusani sono di pa-rere contrario. La condanna a morte per i generaliateniesi viene decretata dai Siracusani nel settem-bre dell’anno 413.

Questa sconfitta, la più grave che fino a quelmomento avesse mai subito Atene, ne accelerò ildeclino come potenza politica. I democratici chel’avevano governata fino a quel tempo erano statiin più casi imprudenti e troppo fiduciosi nelle for-ze della loro città; ma, se nessuno di loro avevaavuto il genio di Pericle, la loro linea politica nonsi era discostata da quella che Pericle stesso avevaindicato, e che del resto era imposta ad Atene dallafunzione che essa aveva assunto nel mondo greco.La consapevolezza della sua potenza, della sua su-periorità civile e delle sue vittorie militari avevanonaturalmente alimentato un sentimento imperiali-stico che però, in Sicilia, si infranse contro la vo-lontà di libertà di un popolo che, pur essendo gre-co anch’esso, aveva scelto la Sicilia come patria.

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