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A14 195/2 · 2017-09-20 · PASQUALE SERRA 10 Questo libro è il risultato di un ciclo di seminari...

Date post: 14-Apr-2020
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A14 195/2 STUDI DI FILOSOFIA POLICA E DIRITTO | 2
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STUDI DI FILOSOFIA POLICA E DIRITTO | 2

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STUDI DI FILOSOFIA POLICA E DIRITTOCollana diretta da Pasquale Serra

Travolgendo le basi residue di tutte le culture del socialismo,l’Ottantanove ha prodotto una vera e propria omologazione plane-taria. Ogni voce dissonante sembra sommersa da un frastuono fasti-dioso e ingombrante, che impedisce finanche di distinguere il verodal falso, l’essenziale dal superfluo. Ma tra le crepe affiora qualcosadi non previsto, una diffusa ansietà, o nuovi semi per un diversocammino, e occorre capire se in questo magma può sorgere qualco-sa di nuovo, un nuovo pensiero, o se a partire da esso sia ancorapossibile tornare a vedere. L’intento di questa collana è quello dipromuovere e sostenere questa nuova ricerca, passando al vaglio idiversi filoni critici che oggi tengono il campo o quelli che sonoormai seppelliti e fuori dal campo, ma le cui flebili voci continuanoa farci delle domande, e a renderci inquieti, o non del tutto assopiti;anche i filoni da noi più lontani, la cui radicalità richiede a volte diessere ascoltata con più attenzione, e messa a disposizione di unaricerca comune. Raccogliere frammenti, liberare domande, o alme-no non accettare più il divieto di fare domande: questo è l’obiettivodi questa collana. Una collana plurale, ma non eclettica, compostada frammenti non del tutto perduti, che guardano con nostalgia latotalità, o che a essa continuano disperatamente a tendere, fram-menti in attesa, di qualcuno o di qualcosa, in divergente accordo pertenere aperto il mondo, liberandolo dalla prigione dell’Uno.

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Per una criticadella secolarizzazione

a cura diPasquale Serra

Postfazione diMario Tronti

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Copyright © MMIXARACNE editrice S.r.l.

[email protected]

via Raffaele Garofalo, 133 a/b00173 Roma(06) 93781065

ISBN 978–88–548–2490–4

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: aprile 2009

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Indice 9 Questioni di secolarizzazione di Pasquale Serra 27 Adele Patriarchi Secolarizzazione e filosofia del lavoro: dal “lavoro vocato” al

“lavoro flessibile” 1. Secolarizzazione e sacro: questioni temrinologiche, 27 – 2. La dialettica sacro–profano, 29 – 3. La secolarizzazione e la “cattiva” sintesi della dia-lettica sacro–profano, 39 – 4. Lavoro “vocato”, lavoro sacro, 42 – 5. Il la-voro “vocato” nel taylor–fordismo, 44 – 6. Il toyotismo e il sogno della poliattività, 53 – 7. Postfordismo e flessibilità, 62

65 Pietro Secchi Martin Lutero: una secolarizzazione incompiuta 81 Gabriele Guerra Storia a termine. Riflessioni politico–religiose sulla differenza

tra apocalittica ed escatologia nel pensiero tedesco 103 Claudio Bazzocchi Un argine al nulla. La politica in Leopardi 1. Il Machiavelli di Leopardi, 103 – 2. Impossibile reincantare il mondo,

115 – 3. Dall’Inno ai Patriarchi alla Ginestra, 118

139 Antonio Stefano Caridi Messianismo e tradizione nascosta. Anders, Arendt e l’ebraismo 1. Gli ebrei come “il sale della terra”, 144 – 2. L’ebraismo tra acosmismo e

nazionalismo: la sda politica della secolarizzazione, 155 – 3. Modernità e perdita del mondo, 163 – 4. L’ebraismo tra elezione e universalismo, 173

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INDICE

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181 Epimeteo Teologia politica della finis Europae 1. La liquidazione del teologico politico, 181 – 2. Metasica della morte

dell’Europa, 189 – 3. Il mito della terra promessa, 197 – 4. Teologia politi-ca e modernità democratica, 202

209 Giovanni Cogliandro La secolarizzazione e la possibilità di relazionarsi con l’altro (e

con Dio) 1. La modernità come ritrarsi della forma della Gloria, 211 – 2. La losoa

trascendentale e l’anteriorità del mistero della relazione, 219

237 Adriano Vinale La ragione sociale del desiderio 1. Premessa, 237 – 2. Concatenamenti di desiderio, 238 – 3. Homo affectivus,

242 – 4. Stato di natura permanente, 245 – 5. Ragione sociale democratica, 247 – 6. Moltitudine desiderante, 251 – 7. Regolarità affettive, 256 – 8. Articio affettivo, 259 – 9. Socialità naturale, 263 – 10. Il lavoro social-mente utile delle passioni, 266 – 11. Conclusioni, 269

273 Lorenzo Marras Verticalità dell’Istina. I paradossi della secolarizzazione in

Dostoevskij 1. Enantiodromia e desecolarizzazione, 278

321 Alessandro Calabrese La secolarità sacra e la trascendenza immanente. Per un’intro-

duzione all’intuizione cosmoteandrica di Raimon Panikkar 1. L’intuizione della secolarità, 324 – 2. L’esperienza del tempo, 328 – 3.

La secolarità sacra, 331 – 4. Secolarità e modernità, 334 – 5. La trascen-denza nell’immanenza, 337 – 6. L’intuizione trinitaria, 341 – 7. L’esperien-za cosmoteandrica, 345

351 Postfazione di Mario Tronti 355 Gli Autori

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PASQUALE SERRA Questioni di secolarizzazione 1. All’ordine del giorno politico non vi è certo il ritorno del reli-

gioso, come spesso superficialmente si sostiene, ma una crisi pro-fonda del processo di secolarizzazione, crisi che sta trascinando con sé la politica contemporanea, la quale risulta sostanzialmente inadeguata a interloquire con un nuovo senso di insecuritas, che da quella crisi è fuoriuscito.

Se di ritorno del religioso si tratta, esso va inteso, quindi, come un fenomeno totalmente dipendente dalla forma della secolarizzazio-ne1 , attraverso il quale si risponde in modo regressivo a un’inquie-tudine oggettiva del mondo contemporaneo.

Dopo l’ideologia della secolarizzazione (che aveva dato comunque una risposta ai problemi dell’uomo e della storia a partire dall’ero-sione filosofica dell’idea di un ordine trascendente), non solo l’uo-mo scopre di non bastare più a sé stesso, di essere, cioè, un essere fondamentalmente mancante, ma ritorna anche, come notò pro-prio Mario Tronti, intervenendo sul nuovo papato di Benedetto XVI, quel circolo fra il sacro e il secolare, che la modernità sem-brava aver risolto una volta per tutte2 .

Che cosa significa secolarizzazione? E in che modo vanno con-figurati i rapporti tra sacro e secolarizzazione?

–––––––––– 1 Cfr. F. LENOIR, La metamorfosi di Dio. La nuova spiritualità occidentale (2003), Gar-zanti, Milano 2005. 2 Cfr. M. TRONTI, Quel circolo di sacro e secolare (Intervista a cura di I. Dominijanni), in Il Manifesto, 29 aprile 2005, p. 14; M. TRONTI, P. SERRA, La sinistra secolarizzata e l’antipolitica della destra (Conversazione), in Aprile, maggio 2005, pp. 5–6. Di Tronti cfr. anche Crisi della ra-gione e critica della fede, in L. Savarino (a cura di), Laicità della ragione, razionalità della fede? La le-zione di Ratisbona e repliche, Claudiana, Torino 2008, pp. 123–131.

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Questo libro è il risultato di un ciclo di seminari su Sacro e seco-larizzazione, tenutisi, tra il 2006 e il 2007, al CRS, a cui hanno par-tecipato giovani studiosi di diversa formazione e diverso orienta-mento, insegnanti, docenti di Facoltà teologiche, studenti, uniti da una forte esperienza della libertà.

Distinguer pour unir, la formula, adottata da Maritain in un suo volume del 19323 , è tornata a essere, nella nostra esperienza se-minariale, di straordinaria attualità.

Infatti, è una formula che si oppone a ogni integralismo, ma che non rinuncia tuttavia alla possibilità di poter ritrovare una comune radice, la quale può essere realmente ritrovata solo se ognuno guarda il mondo da un punto di vista e se, da questa collocazione di parte, si prende poi la responsabilità di fare delle affermazioni.

Pensare è sempre affermare, diceva Gentile, in una tesa pole-mica degli anni Trenta con Ugo Spirito4 , perché solo affermando si restituisce all’altro il diritto alla propria verità, e si costituiscono le basi di un vero dialogo, perché solo nella verità gli uomini posso-no avvicinarsi gli uni verso gli altri, oltre le stesse differenze cultu-rali e le differenti opzioni di valore che li dividono5 .

Insomma, tutto è partito dalla proposta fatta da Giovanni Co-gliandro di discutere l’Enciclica Deus Caritas Est, ed è stato a parti-re da questa discussione che il discorso si è via via poi specificato sul tema Sacro e secolarizzazione.

Il seminario vero e proprio ha preso avvio, invece, da una ricca relazione di Lorenzo Marras sul concetto di secolarizzazione6 : che cosa intendiamo con tale concetto? Qual è la sua data di inizio? Quale la sua storia interna, le sue continuità e i suoi strappi? E poi: –––––––––– 3 J. MARITAIN, Distinguere per unire: i gradi del sapere, Morcelliana, Brescia 1974. 4 Cfr. G. GENTILE, La vita come ricerca. Al prof. Ugo Spirito, in Giornale critico della filosofia italiana, 1938, pp. 240–243. Il riferimento è a U. SPIRITO, La vita come ricerca, Sanso-ni, Firenze 1937. Su tutta questa problematica rimando a P. SERRA, Il problema dell’attualismo. Considerazioni sul rapporto tra Spirito e Gentile, in Annali della Fondazione Ugo Spirito, Fondazione Ugo Spirito, Roma 1993, pp. 237–250; ID., Ugo Spirito: il problema dell’attualismo, in H.A. Ca-vallera, F.S. Festa (a cura di), Ugo Spirito tra attualismo e postmoderno, Fondazione Ugo Spirito, Roma 2007, pp. 71–86. 5 Cfr. J. RATZINGER, Lettera a Marcello Pera, in J. Ratzinger, M. Pera, Senza radici, Mondadori, Milano 2004, pp. 111–112. 6 L. MARRAS, Il concetto di secolarizzazione, di prossima pubblicazione sulla rivista De-mocrazia e diritto.

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QUESTIONI DI SECOLARIZZAZIONE

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quali rapporti tra sacro e secolarizzazione? tra immanenza e tra-scendenza?

Per la critica della secolarizzazione, appunto, nel senso che i saggi compresi nel volume, da prospettive e con finalità diverse, sono tutti impegnati a mettere in questione l’ideologia della secolarizzazione, e a pensare il processo in atto di desecolarizzazione, così come acu-tamente lo ha definito Peter Berger7 .

In esso non si trovano risposte ultime e definitive, ma molte domande, e, forse, anche una sorta di malessere sempre crescente nei confronti di un mondo che non ci piace.

O forse un insieme di dissidenze, come scriveva e auspicava il giovane Blanchot8 .

Ed è per questo, forse, che, nel nostro seminario, ci siamo re-almente incontrati, e reciprocamente riconosciuti.

Da qui, infine, il carattere di questo libro, il quale, pur essendo attentissimo alla dimensione religiosa e teologica, rimane sostan-zialmente un libro laico, integralmente laico, nel senso che il rap-porto tra filosofia e teologia è tutto giocato qui dal lato della filosofia, o di una teologia che mantiene sempre aperto il rapporto con la filosofia e, dunque, con la libertà.

2. I saggi raccolti in questo volume costituiscono altrettante

tappe di un viaggio che percorre e attraversa la frontiera (sempre mobile) che divide e unisce sacro e secolarizzazione.

Viaggio arrischiato e interminabile, perché abitare la frontiera significa intraprendere un viaggio di cui non si conosce il punto di arrivo, perché non si può predeterminare la tappa finale.

Il punto di partenza di questa ricerca è stato, invece, per noi molto chiaro, ed è il disastro che abbiamo sotto gli occhi, il cui da-

–––––––––– 7 P. BERGER, The Desecularization of the World: Resurgent Religion and World Politics, Eerdmans, Grand Rapids (Michigan) 1999. 8 Ma non quelle, proprie di coloro che «non sanno far altro che aderire» (M. BLAN-CHOT, Si cercano dissidenti [1937], in R. De Benedetti, La politica invisibile di Maurice Blanchot. Con un’antologia dei suoi testi degli anni Trenta, Medusa, Milano 2004, p. 139), e che, proprio per questo, rappresentano semplicemente un prodigio di costanza, ma, scriveva Blanchot, la “forma vera della dissidenza”, quella «che abbandona una posizione senza cessare di os-servare la stessa ostilità di fronte alla posizione contraria o, piuttosto, che l’abbandona per accentuare questa ostilità» (M. BLANCHOT, Si cercano dissidenti, cit., p. 140).

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PASQUALE SERRA

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to più evidente riguarda la questione del lavoro, vero e proprio punto di osservazione privilegiato per intendere il mondo nel qua-le siamo, che noi stessi siamo.

Del lavoro corroso, di questo flagello del nostro tempo, si occupa il contributo di Adele Patriarchi (filosofa politica, allieva di Anti-mo Negri, studiosa di Marx e di filosofia del lavoro), nel quale si individua nell’integrale secolarizzazione (nuovo capitalismo flessi-bile) non solo la genesi del passaggio dal lavoro vocato al lavoro pro-fanato (lo spettacolo miserabile del lavoro precario che abbiamo sotto gli occhi), ma anche la crisi della stessa secolarizzazione o, almeno, del significato contemporaneo di secolarizzazione, che scan-disce la fase della modernità aperta dalla Rivoluzione francese.

In questo senso ha ragione Pietro Secchi quando sostiene, nel suo contributo, che la secolarizzazione prende forma compiuta so-lo con la Rivoluzione francese9 , e che, quindi, la posizione di Lute-ro (della linea Scoto, Ockham, Lutero)10 , sebbene, come nota Sec-chi, abbia un ruolo assolutamente preminente e fondante, va inte-sa comunque come una forma di “secolarizzazione incompiuta”. Studioso di Cusano e di Bruno, autore dell’importante volume “Del mar più che del ciel amante”. Bruno e Cusano11 , Secchi fa vedere in maniera limpida come, nel caso di Lutero, la secolarizzazione è da considerarsi incompiuta, perché, essendo Dio il riferimento esclu-sivo della sua mente, primum ineliminabile, si attua ancora entro una cornice cristiana.

Lo stesso illuminismo come secolarizzazione — lo sottolineava Derrida — è un fenomeno di essenza cristiana12 , nel senso che con «il processo di privatizzazione della fede, di autonomia della mo-rale dalla religione che si attua nella seconda metà del Settecento»,

–––––––––– 9 Cfr. R. REMOND, La secolarizzazione. Religione e società nell’Europa contemporanea, La-terza, Roma–Bari 2003. 10 Su questi temi cfr. il volume di G. COTTA, La nascita dell’individualismo politico. Lute-ro e la politica della modernità, il Mulino, Bologna 2002. 11 P. SECCHI, “Del mar più che del ciel amante”. Bruno e Cusano, Prefazione di M. Ciliber-to, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2006. 12 J. DERRIDA, Fede e Sapere. Le due fonti della “religione” ai limiti della semplice ragione, in J. Derrida, G. Vattimo (a cura di), La religione, Annuario Filosofico Europeo, Laterza, Ro-ma–Bari 1995.

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QUESTIONI DI SECOLARIZZAZIONE

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la morale «non si fonda più sulla Rivelazione, ma sulla ragione e, tuttavia, rimana “cristiana” nei suoi contenuti»13 .

È solo con la Rivoluzione francese che il referente teologico scompare del tutto, ed è esattamente a partire dalla crisi del lungo ciclo aperto dalla Rivoluzione francese, della crisi della secolariz-zazione postrivoluzionaria (nel momento in cui, cioè, il profano assorbe dentro di sé tutto il sacro, e il processo di secolarizzazio-ne, proprio per questo — come ha sostenuto in più occasioni Ha-bermas —, si dimostra incapace di bastare a sé stesso, perché si nutre di premesse normative che esso, da solo, non può garanti-re)14 che emerge una sistematica sfiucia riguardo alla possibilità di trovare salvezza nella storia presente, nel presente, ed è esattamen-te all’interno di questa emersione, dentro una condizione di vita so-spesa, di una vita strutturalmente in condizione di rinvio15 , che si formano, o che prendono nuovo vigore e rinnovata consistenza, i due modelli che abbiamo a lungo discusso nei vari seminari, il modello messianico e il modello escatologico, il cui «Eone futuro, da realizzare ex novo o da “restaurare”»16 , si fonda, appunto, sul non più e il non ancora e, dunque, sul disprezzo del presente, sull’impos-sibilità o sul divieto di costruire un pensiero del presente.

Storia a termine, dice Gabriele Guerra, riprendendo una defini-zione di Taubes, e questa definizione vale per entrambi i modelli (i quali si rimandano l’uno con l’altro, senza mai sovrapporsi), anche se il momento messianico ha la tendenza a essere sostituito da una sua sistematizzazione escatologica, e quello escatologico, nel mo-mento in cui necessariamente si inceppa, ha la tendenza a tornare a ritroso verso il momento messianico. –––––––––– 13 M. BORGHESI, Secolarizzazione e Nichilismo. Cristianesimo e cultura contemporanea, Canta-galli, Siena 2005, p. VI. Su questi aspetti cfr. anche A. DEL NOCE, Il problema dell’ateismo, il Mu-lino, Bologna 1964; ID., L’epoca della secolarizzazione, Giuffrè, Milano 1970. Una discussione delle tesi di Del Noce è in P. SERRA, Augusto Del Noce. Metafisica e storia, ESI, Napoli 1995. 14 Cfr. J. HABERMAS, Quel che il filosofo laico concede a Dio (più di Rawls), in Reset, mag-gio–giugno 2004, pp. 24–30; ID., Tra scienza e fede (2005), Laterza, Roma–Bari 2006; ID., La voce pubblica della religione, in Reset, novembre–dicembre 2007, pp. 6–8. Su questi aspetti del pensiero di Habermas cfr. A. LATTARULO, La ricerca di Habermas tra illuminismo e religione, in Id., Stato e Religione. Gli approdi della secolarizzazione in Böckenförde e Habermas, Progredit, Bari 2009, pp. 45–88. 15 Cfr. G. SCHOLEM, Concetti fondamentali dell’ebraismo, Marietti, Genova 1986. 16 M. BORGHESI, Secolarizzazione e Nichilismo. Cristianesimo e cultura contemporanea, cit., p. VII.

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PASQUALE SERRA

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Il primo, il messianico, è approfondito in questo volume proprio da Guerra, il quale, nel suo ricchissimo contributo, evidenzia co-me, nel giro di anni tra la fine della prima guerra mondiale e l’av-vento al potere di Hitler, vi è un ricorso per certi versi ossessivo di temi e motivi propri del lessico e della simbologia religiosa, ovvero dell’idea di un radicale rinnovamento del mondo, che tende a coincidere con la sua abolizione.

Il modello messianico, che rappresenta una ripresa, e una radi-calizzazione, fuori dall’orizzonte cristiano, del protestantesimo (u-na sorta di protestantesimo senza cristianesimo), libera la trascen-denza dal mondo, e fuori dal mondo la trascendenza torna ad as-sumere i caratteri del privatismo e dell’esistenzialismo protestante, come dimostra il caso significativo di Karl Barth, il quale, legando indissolubilmente «alla positività della sola trascendenza […] la negazione del mondo, dell’uomo e dell’esserci»17 , trascina il prote-stantesimo sino alle soglie del messianismo, nel cuore di una fe-nomenologia del rapporto tra forme e trascendenza che è comune a entrambi.

Il secondo, l’escatologico, indica, invece, l’immanentizzazione se-colare del Regno di Dio.

È una linea che stringe Marx alla reazione di Carl Schmitt18 , alla sua controescatologia 19 , e che in questa ricerca affrontiamo tramite una lettura originale di Leopardi e della tematica katecontica di porre un argine al nulla, condotta da Claudio Bazzocchi.

–––––––––– 17 L. PAREYSON, L’esistenzialismo di Karl Barth (1939), in Id., Studi sull’esistenzialismo, Sansoni, Firenze 1971, p. 175. 18 Autore, quest’ultimo, centralissimo in tutto il nostro seminario, e sul quale è in-tervenuto in più occasioni il nostro collaboratore Beppe Foglio, acutissimo studioso di que-stioni europee: cfr. G. FOGLIO, Theatrum imperii. La sovranità e la genealogia dell’Europa, Intro-duzione di A. Cantaro, Aracne, Roma 2008. 19 Infatti, la differenza tra piano storico e piano escatologico è da sempre presente nella prospettiva di Schmitt, e proprio sulla base di riferimenti agostiniani. La sua stessa «a-desione al regime nazionalsocialista, infatti, non nasce da un’identificazione di tale regime con il “regno finale”, ma da valutazioni squisitamente storiche», a sua volta riconducibili a quella contrapposizione, pur essa di origine agostiniana, tra teologia della grazia e perfettismo storico, che attraversa tutto il suo pensiero. Su questo tema cfr. M. NICOLETTI, Carl Schmitt e Eric Voegelin. «Teologia politica» e gnosi, in L. Alici, R. Piccolomini, A. Pieretti (a cura di), Storia e politica. Agostino nella filosofia del Novecento, vol. IV, Città Nuova, Roma 2004, pp. 39–75 (la citazione è tratta da p. 66).

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Studioso di De Martino e di Hegel, appassionato cercatore di una nuova antropologia socialista, Bazzocchi, nel suo contributo, conside-ra Leopardi il massimo erede della concezione machiavelliana della politica, in quanto, in nome della fragilità dell’esistenza umana e della “brama di infinito” che la caratterizza, fonda un’idea della politica come argine al nulla, facendo di fatto, ancora una volta, in-teragire Marx con Schmitt, e anche politica e tragedia, la politica con la storia (tragica) del passaggio umano sulla terra.

E tuttavia, questo è l’approdo a cui giunge il nostro percorso, sia il messianico sia l’escatologico risultano essere insufficienti, perché non riescono a mettere realmente in relazione sacro e seco-larizzazione, oscillando e rimbalzando di continuo tra il polo anar-chico e quello teocratico della riflessione teologico–politica.

Di questi temi si è occupato a lungo proprio Gabriele Guerra, germanista di grande valore, autore di un volume su questo tema, oltre che di vari saggi su Benjamin, Junger, Schmitt e Sorel, nei quali viene messa a tema la questione (politica) del mondo e della demondificazione20 .

Che fare nel frattempo del mondo? Dove conduce (o con chi col-labora) un processo di radicale demondificazione?

3. Come scrisse Benjamin, in un saggio del 1929 sul surreali-

smo, il problema vero è quello di come organizzare il pessimismo21 . Insomma, «in attesa della fine (o della redenzione) l’ordine del

profano va in qualche modo “organizzato”»22 . Sulla questione del frattempo, del tempo intermedio, abbiamo

discusso a lungo nel nostro seminario, con riferimento alla teolo-gia di san Paolo, ad Agamben, a Jacob Taubes, e, infine, a Quin-zio, sul quale ci siamo in particolar modo soffermati discutendo,

–––––––––– 20 Cfr. G. GUERRA, Il Messia senza scettro. Rilettura filosofica di alcune prese di posizione po-litiche nel campo dell’ebraismo, in Il Cannocchiale, 1, 2003, pp. 33–68; ID., Judentum zwischen Anar-chie und Theokratie. Eine religionspolitische Diskussion am Beispiel der Begegnung zwischen Walter Ben-jamin und Gershom Scholem, Aisthesis, Bielefeld 2007; ID., La teologia politica tra anarchia e teo-crazia, relazione presentata al seminario di Teologia politica del CRS il 12 gennaio 2009. 21 Cfr. W. BENJAMIN, Il surrealismo. L’ultima istantanea sugli intellettuali europei, in Id., Avanguardia e rivoluzione, Einaudi, Torino 1973, p. 24. 22 M. PONZI, Organizzare il pessimismo. Walter Benjamin e Nietzshe, Lithos, Roma 2007, p. 35.

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insieme a Caterina Resta, il bel libro di Rita Fulco, dedicato a Il tempo della fine. L’Apocalittica messianica di Sergio Quinzio 23 .

E tuttavia, la questione dirimente è che la trascendenza, per es-sere realmente tale, richiede un mondo tramite cui declinarsi. Isti-tuendo un confronto tra Anders e Hannah Arendt, il contributo di Caridi, studioso di Simondon e della tradizione dell’ebraismo, met-te con forza al centro questo tema, la questione della perdita del mondo che caratterizza l’epoca moderna, il nostro essere divenuti estranei alla nostra umana terra, e, insieme, il problema della mon-dificazione, della stabilità dell’esistenza, di come recuperare un altro rapporto con l’esistenza terrena, capace di valorizzarne il potenziale di senso in grado di porre un freno al trapassare incessante delle cose e degli uomini.

Sebbene divisi da un diverso atteggiamento nei confronti della dimensione religiosa, e anche dalle opposte concezioni con le quali guardarono alla storia e alla libertà, entrambi, secondo Caridi, in-dividuarono nella moderna perdita del mondo, nel mondo acosmico, il nucleo di un processo dissolutivo che ci rende tutti stranieri al mondo, estranei a ogni assetto del mondo, processo che può esse-re contrastato, è questo è il caso soprattutto della Arendt, solo tramite una riconfigurazione del rapporto tra politica e mondo, tra trascendenza e forma, tra mondificazione e trascendenza, o ri-prendendo l’antica articolazione tra religione e politica, tra sacro e secolare che la moderna secolarizzazione aveva distrutto o dato per morta.

E tuttavia, è solo con la Trinità cristiana, e con la complessa te-matica dell’Incarnazione, che la trascendenza si radica nel mondo.

Questo è il tema dei ricchissimi contributi del gruppo Epime-teo e di Giovanni Cogliandro, nei quali il tema dell’Incarnazione fa tutt’uno con la critica della differenza, qualitativa, tra uomo e Dio, in presenza della quale non si dà relazione, ma solo distanza e se-parazione, nel senso che tra i due mondi, come in Barth, c’è un abis-so incolmabile.

Ed è esattamente di relazione che parlano i contributi di Co-gliandro e di Epimeteo, di relazione con Dio e con l’altro, nel sen-–––––––––– 23 R. FULCO, Il tempo della fine. L’Apocalittica messianica di Sergio Quinzio, Diabasis, Reg-gio Emilia 2007.

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so che, per entrambi, è impossibile avere un rapporto con l’altro fuori dalla trascendenza.

Solo a partire dalla “concezione cristiana della persona”, l’es-sere umano ha la «possibilità in lui intrinseca di decidere sulla rela-zione con l’altro».

Questa possibilità — continua il gruppo di Epimeteo — può sfuggire al nichilismo che porta con sé ogni concezione che fa dell’essere umano qualcosa di radicalmente contingente, […] solo a condizione che la per-sona creaturale sia immagine di un essere che costituisca una relazione so-stanziale, cioè una relazione che non sia in alcun modo riducibile a fun-zione. Solo sulla base di un fondamento trascendente di quel tipo la con-tingenza dell’umano può sperare (visto che di disperazione stiamo par-lando) di non essere fagocitata dalla potenza della tecnicizzazione24 . Muovendo da alcune categorie della teologia politica cristiana

(ovvero dal riconoscimento del trascendente, nella figura persona-le che assume nel Cristianesimo, quale elemento costitutivo del mondo), il gruppo Epimeteo approda a un’antropologia personali-stica a base teologica, a una teologia politica della persona.

Autori di un’importante libro sulla Finis Europae 25 , il gruppo Epimeteo, nel contributo che presentiamo in questo volume, sot-tolinea l’importanza della relazione trascendenza–politica, la quale è resa possibile solo tramite la mediazione storica operata dall’In-carnazione.

L’evento dell’incarnazione, scrivono gli autori, ha, infatti, rap-presentato il perno di un’istituzione personale, un paradigma nei confronti del caos dell’umanità. L’unità politica ha avuto qui il suo Evento costitutivo; il mondo non è stato abbandonato a se stesso, ma il trascendente si è radicato in esso.

Ovviamente, come in tutti i contributi presenti in questo libro, anche in quello di Epimeteo c’è dell’altro, c’è ben altro, rispetto al-le cose che dico e che riesco a dire in questa breve Introduzione.

–––––––––– 24 EPIMETEO, Sul “concetto” di Teologia politica, relazione presentata al seminario di Teologia politica del CRS il 15 dicembre 2008. 25 Cfr. EPIMETEO, Finis Europae. Una catastrofe teologico politica, Presentazione di M. Tronti, Bibliopolis, Napoli 2007.

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Anche perché il mio compito non è qui quello di riassumere i vari contributi che compongono il libro, ma solo quello di delinea-re, con molte forzature, forse, e, comunque, dentro un ordine del di-scorso che non coincide necessariamente con quello praticato dai singoli autori, la problematica di fondo del libro, l’unità problema-tica di questa ricerca.

Di relazione e di critica della differenza parla anche, come ab-biamo già detto, Giovanni Cogliandro.

Filosofo cattolico, studioso di Fichte e della modernità politica e giuridica, Cogliandro, nel suo contributo, imperniato proprio su una complessa e originale interpretazione di Fichte, trascina tutto il discorso nei quadri della prospettiva cristiana, nel cuore della frattura rappresentata dal realismo cristiano, per il quale Dio stesso, nel Cristo di carne e di sangue, diventa la via adeguata ai sensi dell’uomo sulla terra.

Su questo terreno si gioca anche il rapporto tra realismo cri-stiano e idealismo, nel senso che è solo attraverso il realismo cri-stiano che si perviene alla valorizzazione di quel mondo delle ombre, della forma concreta, dichiarata, invece, illusoria dalla cultura filosofica. Lo stesso Agostino, come hanno dimostrato, tra gli al-tri, Ratzinger e Balthasar, passa dal platonismo (o dal neoplatoni-smo) al realismo cristiano nel momento in cui dà una diversa valu-tazione della realtà sensibile26 .

Insomma, come ha scritto il maestro di Balthasar, Erich Pzywara, in Analogia entis, la risalita idealistica dal “buio” della “ca-verna” della realtà concreta (una sorta di ascesi filosofica, che necessa-riamente deve considerare la realtà pessimisticamente, come il mondo delle ombre) diviene ora, in senso diametralmente opposto, una risa-lita nella realtà concreta e mediante la realtà concreta27 .

–––––––––– 26 Cfr. J. RATZINGER, Popolo e casa di Dio in sant’Agostino (1954), Jaca Book, Milano 1978; H.U. von BALTHASAR, Gloria. Un’estetica teologica, vol. II, Stili ecclesiastici, Jaca Book, Milano 1978. 27 E. PRZYWARA, Il fondamento religioso della gnoseologia di Agostino (1958), in Id., Analo-gia entis. Metafisica. La struttura originaria e il ritmo cosmico (1962), Vita e Pensiero, Milano 1995, pp. 415–434 (in particolare pp. 427–428). Su questi temi cfr. M. BORGHESI, Una via adegua-ta ai sensi (1996), in Aa.Vv., Il potere e la grazia. Attualità di Agostino, Òmicron, Roma 1998, pp. 109–114.

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Il fatto è che non si può raggiungere la salvezza metafisicamente, ma solo tramite un recupero del sensibile e della realtà concreta, ovvero, come sosteneva il giovane Camus, trascinando tutti i pro-blemi sul piano dell’Incarnazione28 . «L’Incarnazione, vale a dire la messa in contatto del divino e della carne nella persona di Gesù Cristo; l’avventura straordinaria di un Dio che si fa carico del pec-cato e della miseria dell’uomo, l’umiltà e le umiliazioni presentati come altrettanti simboli della Redenzione»29 .

Questa è la particolare relazione che il cristianesimo istituisce tra immanenza e trascendenza, attraverso la quale la trascendenza si riarticola alle forme, e il mondo, per dirlo ancora con le parole di Epimeteo, non è più abbandonato a se stesso, perché il trascen-dente si è radicato in esso.

4. Un punto cruciale di tutto questo ragionamento è dato dal

saggio di Adriano Vinale, il cui programma di ricerca mira a ripor-tare Deleuze, filosofo chiave dell’immanentismo contemporaneo30 a Hume, e Hume ad Adam Smith.

–––––––––– 28 «Il Cristianesimo, ha scritto Camus, ha tratto dal pensiero greco il materiale, dal neoplatonismo un metodo. Ha custodito intatte le sue verità profonde trascinando tutti i problemi sul piano dell’Incarnazione. E se non avesse introdotto proprio questa maniera sconcertante di porre i problemi, senza dubbio la Grecia l’avrebbe assorbito» (A. CAMUS, Me-tafisica cristiana e neoplatonismo [1936], a cura di L. Chiuchiù, Diabasis, Reggio Emilia 2004, p. 111, del quale si segnala la bella postfazione del curatore, Metafisica della rivolta, pp. 121–196). Infatti, Camus, proprio in questo importante scritto giovanile, pone l’alternativa — dramma-tica — tra cristianesimo e assurdo, l’assurdo di una vita pellegrina, straniera a sé stessa, e in esilio forzato su questa terra, impossibilitata a spiegare il male e la morte, sola con se stessa e senza nulla che la giustifichi (cfr. N. EMERY, Lo Sguardo di Sisifo. La via italiana alla filosofia della crisi, Prefazione di A. Negri, Marzorati, Milano 1997, cit., p. 12). Si tratta di un’alternativa drammatica, e anche gnostica, nel senso che Camus è un autore che «ha pienamente presente la struttura gnostica sottesa alla propria riflessione esistenzialistica e nichilistica», tanto che in Métaphysique chrétienne et néoplatonisme, la sua tesi di laurea, in cui al centro della trattazione stanno le figure di Plotino e Agostino, Camus si era occupato della gnosi», con «un interesse non meramente storico ma tipologico, alla luce del quale non si può liquidare come una semplice coincidenza il fatto che Camus scelga come titoli di alcune sue opere altrettante me-tafore gnostiche: L’étranger, La chute, L’exile et le royaume». E, infatti, «l’orizzonte metafisico del nichilismo che Camus tratta e svolge lungo il filo conduttore dei due motivi che lo ossessio-nano, cioè l’assurdo e la rivolta della finitudine», nei quadri di questa prospettiva diventano assai più chiari (F. VOLPI, Il nichilismo, Laterza, Roma–Bari 1996, pp. 83–84). 29 A. CAMUS, Metafisica cristiana e neoplatonismo, cit., p. 19. 30 Cfr., da una diversa prospettiva, l’importante volume di R. CICCARELLI, Immanen-za. Filosofia, diritto e politica della vita dal XIX al XX secolo, il Mulino, Bologna 2008.

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Muovendo dal dialogo intercorso tra Deleuze e Foucault, e in-quadrandolo nel contesto spinoziano, dentro la questione politica che, da qualche decennio, si gioca intorno a Spinoza, tra Deleuze che può essere considerato l’ultimo spinoziano31 , e Foucault che intravede, invece, in Spinoza una sorta di ontologia della ragione go-vernamentale (di una linea di pensiero democratico–liberale), Vinale trascina Spinoza sulla strada di Hume, colpendo al cuore (e dal di dentro) uno dei filoni più influenti dell’immanentismo contempo-raneo.

Infatti, Vinale, riprendendo in questo Foucault, sostiene che è proprio dalla costituzione di un “campo indefinito d’immanenza” che si delinea lo statuto della ragione governamentale moderna come capacità di gestione economica e integrazione collettiva degli interessi individuali, da Hume a Smith32 . E, nella fattispecie, come «produzione dell’interesse collettivo mediante il gioco del deside-rio»33 , nel senso che l’organizzazione politica è tale proprio perché gestisce i desideri antagonistici componendoli in un regime comu-ne di produzione sociale.

Diversamente da Deleuze, Foucault vede il desiderio come punto di fondazione della socialità, perché è esattamente la sua ambivalenza «che lo dispone a una sussunzione economica»34 .

In altri termini, conclude Vinale, Foucault vede il fantasma di Hume dietro la mappatura affettiva spinoziana.

A partire dalla filosofia dell’immanenza, da una certa filosofia dell’immanenza, di quella che Gramsci, sulla scia di Marx, chiama-va l’immanenza speculativa35 , si gira sostanzialmente a vuoto o, più –––––––––– 31 Cfr. G. DELEUZE, Spinoza e il problema dell’espressione (1968), Quodlibet, Macerata 1999; ID., Spinoza. Filosofia pratica (1981), Guerini & Associati, Milano 1991. È da vedere di Deleuze anche il suo volume su Hume: Empirismo e soggettività. Saggio sulla natura umana secon-do Hume (1953), Cronopio, Napoli 2000. 32 M. FOUCAULT, Nascita della biopolitica. Corso al Collège de France (1978–1979), Fel-trinelli, Milano 2005 (lezione del 28 marzo 1979). 33 M. FOUCAULT, Sicurezza, territorio, popolazione. Corso al Collège de France (1977–1978), Feltrinelli, Milano 2005, p. 64. 34 A. VINALE, Introduzione, in Id., Organismo democratico. Tre saggi spinoziani, Ghibli, Mi-lano 2008, p. 21. 35 «L’immanenza — scrive Gramsci — viene da Marx non solo depurata “di tutto il suo apparato metafisico” e condotta sul “terreno concreto della storia”, l’unico terreno nel quale si può creare un’unità tra filosofia e senso comune, in assenza della quale non è nean-

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precisamente, come suggerisce Vinale, si gira nel pieno dell’econo-mia politica, nel senso che il soggetto e il fondamento dell’imma-nentismo speculativo è il capitalismo e, appunto per questo, ridi-venta cruciale, nel nostro discorso, il tema “Marx e l’economia po-litica”, e la necessità di mettere in questione la stessa marxiana criti-ca dell’economia politica, nel senso che se si assume integralmente il piano dell’economia politica, il rischio che si corre è quello di gira-re in eterno all’interno di essa, e, infine, di rimanervi intrappolati.

Nel corso del seminario, e a latere di esso, abbiamo discusso un libro di Fabio Vander, fine studioso di filosofia italiana (e a-mante come pochi dell’antica abitudine alla discussione e al con-fronto), mirante a contrapporre in maniera netta immanenza a tra-scendenza da una prospettiva da lui definita hegeliana e neodialet-tica36 .

In questo libro Vander dedica anche un capitolo alla filosofia di Cacciari37 , e curiosamente a fronte di un Cacciari che, in Della cosa ultima38 , recupera Hegel e la tematica della mediazione, Vander sostiene che tale recupero non è sufficiente, se, contemporanea-mente, non si mette in discussione il modello della scissione con il quale tale recupero si accompagna.

–––––––––– che pensabile la saldatura tra immanenza e politica, ma viene anche integralmente storicizza-ta, […] perché — è ancora Gramsci — il principio di specificazione storica va applicato al “materialismo storico stesso”» (A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, a cura di V. Gerratana, Ei-naudi, Torino 1975, I, Q. 4, pp. 438 e 465). Questa è, secondo Gramsci, la più profonda debolezza dell’immanentismo speculativo, il quale ignora il nesso filosofia–politica e, quindi, la filosofia della praxis, le cui implicazioni teoriche sono «in alternativa all’immanenza speculati-va della filosofia dello Spirito» (F. FROSINI, Gramsci e la filosofia. Saggio sui Quaderni del carcere, Carocci, Roma 2003, p. 168). La questione è questa, scrive Gramsci: «un movimento filosofico è tale solo in quanto si applica a svolgere una cultura specializzata per un ristretto gruppo di intellettuali o invece è tale solo in quanto, nel lavoro di elaborazione di un pen-siero superiore, scientificamente organato, non dimentica mai di rimanere in contatto con i “semplici” e anzi trova in questi contatti la sorgente dei problemi da studiare e risolvere? Solo per questi contatti una filosofia diventa “storica”, si depura degli elementi di origine “individuale”, si fa “vita”» (A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, cit., II, Q. 8, pp. 1070–1071). 36 F. VANDER, Critica della filosofia italiana contemporanea. Dialettica e ontologia: i termini di una contrapposizione, Marietti, Genova–Milano 2007. Sulla stessa linea cfr. anche ID., Contrad-dizione e divenire. Filosofia e politica in prospettiva neodialettica, Mimesis, Milano 2005. 37 F. VANDER, Cacciari e la riscoperta della mediazione, in Id., Critica della filosofia italiana contemporanea. Dialettica e ontologia: i termini di una contrapposizione, cit., pp. 95–128. 38 M. CACCIARI, Della cosa ultima, Adelphi, Milano 2004.

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Insomma, si chiede Vander, «trascendenza o immanenza? Im-mediatezza o mediazione?»39 , come se realmente fosse possibile sostenere, come fa Vander, la non esistenza di un problema del trascendente40 , o l’esistenza di un’immanenza senza trascendenza.

E tuttavia, questa è stata la nostra scommessa: pensare insieme mediazione e trascendenza, dialettica e ontologia, Hegel e l’idea di un’alterità assoluta, o, comunque, questo è stato il filo conduttore dei nostri incontri, e dell’insieme dei lavori che qui presentiamo.

Trascendenza e immanenza, lo ripeteremo più volte nel volu-me, e questo perché un pensiero dell’immanenza (che ha l’obietti-vo di pensare sempre la congiuntura, nella congiuntura) può fon-darsi solo (esclusivamente) sulla trascendenza nel senso che si può pensare la congiuntura, nella congiuntura, solo se c’è qualcosa che si articola con essa, e dunque con il piano d’immanenza, perché senza trascendenza si è sì capaci di funzionalizzare tutto a una congiuntura, ma non si è poi liberi da essa, ovvero capaci di entra-re in relazione con altre congiunture (di viaggiare tra le congiuntu-re), e quindi capaci di fare quello che il pensiero dell’immanenza richiede che si faccia41 .

Non si deve buttare in una congiuntura tutta una vita, se non si vuole farsi risucchiare completamente, definitivamente, da essa, e farsi vincere una volta per tutte.

Insomma, è la trascendenza, non un rigoroso pensiero dell’im-manenza, che, consentendoci di spostarci da una congiuntura al-l’altra, può fondare una radicale teoria del divenire.

Una trascendenza che vive nel mondo e che, contemporanea-mente, incessantemente, lo eccede.

Qui va collocata la questione della libertà e anche quella della durata, perché fuori dalla trascendenza, quando il vento cambia, e non va più nella nostra direzione, c’è sempre il rischio di essere travolti da esso.

–––––––––– 39 F. VANDER, Cacciari e la riscoperta della mediazione, in Id., Critica della filosofia italiana contemporanea. Dialettica e ontologia: i termini di una contrapposizione, cit., p. 96. 40 Ivi, p. 128. 41 Su questa tematica cfr. M. TRONTI, Politica e destino, Luca Sossella, Roma 2006, pp. 11–29.

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Questa è la vera tragedia di tutte le filosofie dell’immanenza, di tutte le filosofie della prassi novecentesche (di tutte le nostre cultu-re), le quali, a un certo punto, dopo aver a lungo parlato, si ammuto-liscono e muoiono.

Del Noce parlava di suicidio. Non so se quella di Del Noce sia l’espressione più felice o il concetto più fecondo, di certo a un cer-to punto le filosofie del divenire (rigorosamente immanentistiche) non si muovono più, ed escono in silenzio dal centro della scena42 .

Il problema cruciale è quello della durata, e per durare (per re-sistere, e rimanere in vita, quando il mondo va verso una direzio-ne completamente diversa dalla nostra) occorre «sfuggire alla trappola della Jetztzeit, con una predisposizione alla lunga durata. Non perché, questa abbia un valore in più, ma perché in essa c’è, in questo nostro che è il tempo della damnatio memoriae, una con-venienza in più»43 .

Immanenza/Trascendenza, Incarnazione/Trascendenza. Di questo abbiamo discusso nel seminario, occupandoci, come si leg-ge nella Lettera a Diogneto, del secolo, ma protesi verso l’incorrutti-bilità dei cieli, perché solo se si sta con lo sguardo rivolto al cielo si è liberi e leggeri sulla terra44 .

La pesanteur et la grâce, diceva Simone Weil, ed è qui, ancora og-gi, in questa antinomia, nel cuore di questa lotta, che si gioca la partita decisiva della libertà45 .

Da questo punto di vista, il contributo di Lorenzo Marras è stato, per la nostra prospettiva, molto importante.

Studioso di filosofia italiana primonovecentesca (autore tralal-tro di un importante ricerca su Pantaleo Carabellese), Marras è an-che fine analista del pensiero ortodosso, dell’altro cristianesimo (di quello che egli definisce l’Oriente dell’Occidente), un pensiero, quest’ulti-mo, di grande importanza per tenere vivo e operante il nesso tra Incarnazione e Trascendenza, in assenza del quale, nel momento in cui, cioè, il discorso sull’articolazione trinitaria assorbe dentro di sé

–––––––––– 42 Cfr. A. DEL NOCE, Il suicidio della rivoluzione, Rusconi, Milano 1978. 43 M. TRONTI, Politica e destino, cit., p. 12. 44 G. CARRARO, E. D’AGOSTINI (a cura di), Lettera a Diogneto, Città Aperta, Troina 2007, p. 35. 45 S. WEIL, L’ombra e la grazia (1947), Bompiani, Milano 2002.

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ogni eccedenza, e si dimentica completamente del fatto che, come sosteneva Barth, noi conosciamo che Dio è quello che noi non conosciamo, noi conosciamo che Dio è la personalità che noi non siamo (e che proprio questo non conoscere è il problema e l’origi-ne del nostro conoscere), Gesù è solo il Gesù di Hegel, e l’Incar-nazione, perdendo ogni rapporto con quella che Marras, nel suo lavoro su Dostoevskij, chiama la “verticalità dell’Istina”, è sempre sull’orlo di affogare nella pravda.

Istina è, infatti, qui contrapposta a pravda, che indica non solo il vero contrapposto al falso, cioè la giustezza e la correttezza scien-tifico–sperimentale, ma anche l’integrale divinizzazione dell’uomo.

«Con il termine istina — scrive Florenskij — il russo designa il momento ontologico di questa idea, perciò esso significa l’identità assoluta e quindi l’uguaglianza a se stesso»46 .

Leggendo Dostoevskij attraverso le lenti dell’ortodossa teodicea triunitaria di Florenskij, Marras libera, per così dire, l’Incarnazione dalla pravda, da ogni pravda, sospingendola verso una realtà che è più di se stessa, verso qualcosa che essa stessa non è, o, si potreb-be anche dire, verso una Verità che eccede la stessa articolazione trinataria, la stessa Relazione, sebbene quest’ultima sia da sempre parte di essa47 .

Si tratta di una forma di monismo dualistico, dove Dio esiste (per la coscienza) solo nell’Incarnazione, attraverso le sue rivelazioni, quando si manifesta nel fenomeno, ma non si esaurisce mai del tut-to in esso (in quanto la sostanza stessa di Dio è inconoscibile e i-nattingibile per gli intelletti creati), pur rimanendo, tuttavia, sem-pre attaccato alle sue manifestazioni fenomeniche, consustanziale e uguale a esse in ogni cosa.

–––––––––– 46 P.A. FLORENSKIJ, La colonna e il fondamento della Verità (1914), Rusconi, Milano 1974, p. 51. 47 Da qui la centralità, nel pensiero ortodosso, del simbolo, il quale «è un’entità che manifesta qualcosa che esso stesso non è, che è più grande e che però si rivela attraverso questo simbolo nella sua essenza […]. Il simbolo è una realtà la cui energia cresciuta insie-me o, meglio, confluita insieme con un altro essere più prezioso rispetto a lui, contiene in sé quest’ultimo» (P.A. FLORENSKIJ, La venerazione del nome come presupposto filosofico, in Id., Il valore magico della parola, Medusa, Milano 2001, p. 28. Sulla questione del simbolo in Flo-renskij cfr. L. MARRAS, Il problema del nome di Dio nella disputa dell’Athos (1907–1917), in Pro-ceedings METAPHYSICS 2003 Second World Conference (Rome, July 2–5, 2003), vol. II, a cura di D.G. Murray, Fondazione Idente di Studi e di Ricerca, Roma 2006, pp. 32–50).

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«Il fenomeno, scrive Florenskij, era per me un fenomeno del mondo spirituale, e il mondo spirituale oltre il proprio manifestarsi era da me concepito come non manifestato, come esistente in sé e per sé e non per me»48 , in quanto l’invisibile si manifesta attraver-so il visibile, ma non si esaurisce in esso.

Questioni difficili, questioni che meriterebbero analisi più pre-cise, e ben altro approfondimento, ma lo scopo principale, se non esclusivo, di queste parole introduttive è soltanto quello di ribadire che se tutto Dio si incarnasse, se tutto Dio fosse incarnato, non si potrebbe che approdare, come abbiamo già visto, a una sorta di divinizzazione dell’uomo, ovvero a un totale ateismo, l’Ateismo nel Cristianesimo, appunto49 .

Sebbene dentro una prospettiva diversa, e in un quadro pro-blematico sostanzialmente più pacificato, un contributo all’impo-stazione e alla definizione di questi problemi viene anche da Pa-nikkar, sulla cui opera, si sofferma il ricco contributo di Alessan-dro Calabrese. Giovane studioso di filosofia della religione a Siena, Calabrese, nel suo saggio, ricostruisce in maniera accurata il modo come Panikkar imposta il rapporto tra immanenza e trascendenza (la trascendenza nell’immanenza), anche perché è a partire da tale impostazione che discende, nel suo pensiero, un’interpretazione della complessità dei fenomeni riconducibili al problema della se-colarizzazione, ovvero della questione riguardante il rapporto tra sacro e secolarizzazione.

Muovendo dagli studi di Mircea Eliade sulla relazione tra il sacro e il profano50 , Panikkar approda, secondo Calabrese, a un’interpre-tazione non duale, advaita di questa relazione, a una relazione creati-va fra immanenza e trascendenza, a una sorta di equilibrio dinamico e costitutivo per cui l’una non esiste fuori dalla relazione con l’altra.

Nessuna possibilità, ovviamente, nemmeno in questa prospet-tiva, neanche in questa radicale visione trinitaria, «di disporre con-cettualmente della relazione originaria […]. La relazione originaria ci sfugge quando vogliamo possederla», e, di conseguenza, occorre –––––––––– 48 P.A. FLORENSKIJ, Ai miei figli. Memorie di giorni passati, Mondadori, Milano 2003, pp. 201–202. 49 Su tutti questi temi cfr. M. CACCIARI, Della cosa ultima, cit., pp. 331–350. 50 Cfr. M. ELIADE, Il sacro e il profano (1965), Bollati Boringhieri, Torino 2006.

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ammettere «l’esistenza di una faccia opaca della realtà», di un’opa-cità insuperabile51 .

Insomma, per concludere, senza trascendenza, quando la seco-larizzazione nega finanche l’esistenza di qualcosa che possiamo definire come trascendente, o quando Dio viene considerato, di nuovo ateisticamente, come tutto incarnato, come integralmente in-tellegibile, il mondo si assolutizza, e, nella trappola della Jetztzeit, diventa, per riprendere le categorie di Adele Patriarchi, solo un mondo profanato e, proprio per questo, un mondo chiuso, mono-cromico, un mondo abitato solo da silenzio e solitudine, come quando è caduta la speranza.

Un mondo di angoscia, come ho argomentato in altre occasioni, angoscia che è sì ontologica, ma che nella crisi della secolarizza-zione (e di tutto il nostro mondo) si manifesta ad alta gradazione e che, proprio per questo, si inoltra pericolosamente nelle vicinanze immediate della politica, alle soglie di un nuovo rapporto tra ango-scia e politica52 .

«Qui sta, come scrive Mario Tronti nella posfazione che chiude (e apre) questo volume, il segno inquietante dell’attuale crisi di civiltà»; una «collettiva perdita di senso del vivere in comune di uomini e donne in carne e ossa. Se ognuno per sé, senza altro oltre, allora non si dà più società. E il futuro è veramente dietro le spalle». Alla fine, è ancora Tronti, nel suo esito, questa secolarizzazione

si rivela come un enorme potente procedimento di alienazione umana, espropriazione di umanità, che una volta oggettivata non viene restituita, e quindi viene perduta, appropriata da un mondo estraneo e ostile a qual-siasi forma di interiorità. È l’universale borghesizzazione di tutto ciò che è umano: sotto la falsa forma di una crescita esteriore, di condizioni, di comportamenti, di convinzioni, di emancipazioni. L’esatto contrario del-la libertà è quello che garantiscono oggi i cosiddetti paesi liberi.

–––––––––– 51 A. ROSSI, Pluralismo e armonia. Introduzione al pensiero di Raimon Panikkar, l’altrapagi-na, Città di Castello 1990, pp. 24–25. 52 «È la speranza che ci permette di vedere nel presente una dimensione che altri-menti non si vedrebbe. La speranza è il dono di una visione, di un’esperienza che ci apre al-la trascendenza nell’immanenza delle cose. La potremmo descrivere come fiducia nella real-tà, la fede che in qualche modo la realtà è fatta da noi e per noi e che, pur dipendendo da noi, ha una consistenza che ci trascende» (R. PANIKKAR, La nuova innocenza, Servitium, Ber-gamo 2003, p. 87). Su questi temi cfr. P. SERRA, Angoscia e politica (2007), in Id., Tra le due comunità. Singolarità e relazione oltre il paradigma di Marx, Ediesse, Roma 2008, pp. 21–36.


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