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1 IL SAPERE SCIENTIFICO E L’INDAGINE CAUSALE * 1 Rocco Blaiotta 24 5 2004 § 1. – Il sapere scientifico ed il dibattito sulla causalità. Una breve storia. - § 2. La pronunzia delle Sezioni unite. - § 2.1. I passaggi fondamentali della sentenza. – § 3. Causalità, scienza, esperienza: il giudice onnivoro. – § 4. Un modello per l'utilizzazione del sapere incerto nella giurisprudenza delle Sezioni unite: induzione ed abduzione. - § 5. Probabilità logica e credibilità razionale. - § 6. La spiegazioni storica di eventi singoli e l’indagine giudiziaria. - § 7. Il modello nomologico deduttivo. - § 7.1 – I limiti del modello nomologico deduttivo di spiegazione causale. - § 7.2 . I limiti del modello nomologico deduttivo nell’esperienza giuridica. – § 8. Il pensiero ipotetico deduttivo falsificazionista. - § 8.1 - Il modello ipotetico-deduttivo nel pensiero di K. POPPER. - § 8 . 2 Il modello ipotetico deduttivo e l’esperienza giuridica. - § 8.3 – Il modello ipotetico deduttivo e l’inferenza fattuale. - § 9. Verso la conclusione. - § 9.1 - La spiegazione dell’evento. - § 9.2 – La dimostrazione del rilievo condizionante della condotta omessa. – § 9.3 . La risoluzione di problemi causali nuovi. - § 9.4 Le buone intenzioni e le vie dell’inferno. - § 9.5 La verifica in ordine alla scientificità del sapere utilizzato. § 1. – Il sapere scientifico ed il dibattito sulla causalità. Una breve storia. - Il dibattito sull’utilizzazione del sapere scientifico nel processo penale si colloca storicamente attorno alle problematiche inerenti alla causalità. Esso ha subito negli ultimi anni una fortissima accelerazione; ed è stato alimentato da alcuni importanti contributi dottrinali nonché dalla pressione di numerosi e complessi casi giudiziari. L’esperienza giudiziaria ha riguardato in primo luogo le persone cui è istituzionalmente demandato il governo delle situazioni di rischio nelle quali entra in questione il sapere scientifico: progettisti, medici aziendali, sanitari. In particolare, alla responsabilità connessa all’esercizio della professione medica si è dedicata larga parte della giurisprudenza in tema di causalità, in parte per l’elevato numero di processi che tale attività quasi naturalmente genera ed in parte perché in tale ambito s’intrecciano complessi e delicati problemi che mettono a dura prova le classiche elaborazioni ed interrogano l’interprete su temi che non rientrano nel tradizionale orizzonte del giurista. Così, è accaduto che nelle pronunzie di legittimità sono comparsi termini e sintagmi inusuali come leggi universali e statistiche, probabilità logica, induzione, abduzione e simili. Si tratta di una contingenza che ha un preciso significato che non può essere trascurato e di cui, anzi, occorre acquisire consapevolezza. Infatti, è ben noto che la giurisprudenza, ancorata ad un sano pragmatismo alimentato dal senso comune, rifugge solitamente da disquisizioni teoriche, astratte. Pertanto, l’insistenza con cui sono stati trattati temi cari al dibattito epistemologico segnala l’esistenza di un problema cruciale da risolvere che riguarda, in sintesi estrema, il metodo dell’indagine causale e più in generale dell’indagine sul fatto nelle contingenze nelle quali entra in questione l’utilizzazione della conoscenza scientifica. Il dibattito giurisprudenziale, pur tra molte incertezze, ha costituito un formidabile banco di prova per saggiare la tenuta di astratte elaborazioni teoriche e per dare ai problemi teorici una dimensione concreta, vivificata dalle esigenze della prassi. Esso ha trovato recentemente compimento in una importante decisione delle Sezioni unite, incentrata proprio sulla professione medica, che ha trattato la difficile materia con sorprendente profondità; ed ha offerto per la prima volta una originale ed argomentata presa di posizione di carattere generale sulla causalità e più in generale sul metodo giudiziale di accertamento del fatto, che apre per la giurisprudenza una nuova stagione, tutta da scrivere. Così, non è esagerato affermare che la recente discussione critica sui temi della causalità, finemente intessuta tra teoria e prassi, costituisce un patrimonio di inestimabile valore dell’esperienza giuridica italiana, di cui vale la pena di acquisire consapevolezza e conservare memoria, nella prospettiva dei problemi non lievi che attendono l’interprete. 1 * Brani da R. BLAIOTTA, La causalità nella responsabilità professionale. Tra teoria e prassi . Giuffrè, 2004
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IL SAPERE SCIENTIFICO E L’INDAGINE CAUSALE *1

Rocco Blaiotta 24 5 2004 § 1. – Il sapere scientifico ed il dibattito sulla causalità. Una breve storia. - § 2. La pronunzia delle Sezioni unite. - § 2.1. I passaggi fondamentali della sentenza. – § 3. Causalità, scienza, esperienza: il giudice onnivoro. – § 4. Un modello per l'utilizzazione del sapere incerto nella giurisprudenza delle Sezioni unite: induzione ed abduzione. - § 5. Probabilità logica e credibilità razionale. - § 6. La spiegazioni storica di eventi singoli e l’indagine giudiziaria. - § 7. Il modello nomologico deduttivo. - § 7.1 – I limiti del modello nomologico deduttivo di spiegazione causale. - § 7.2 . I limiti del modello nomologico deduttivo nell’esperienza giuridica. – § 8. Il pensiero ipotetico deduttivo falsificazionista. - § 8.1 - Il modello ipotetico-deduttivo nel pensiero di K. POPPER. - § 8 . 2 Il modello ipotetico deduttivo e l’esperienza giuridica. - § 8.3 – Il modello ipotetico deduttivo e l’inferenza fattuale. - § 9. Verso la conclusione. - § 9.1 - La spiegazione dell’evento. - § 9.2 – La dimostrazione del rilievo condizionante della condotta omessa. – § 9.3 . La risoluzione di problemi causali nuovi. - § 9.4 Le buone intenzioni e le vie dell’inferno. - § 9.5 La verifica in ordine alla scientificità del sapere utilizzato.

§ 1. – Il sapere scientifico ed il dibattito sulla causalità. Una breve storia. - Il dibattito sull’utilizzazione del sapere scientifico nel processo penale si colloca storicamente attorno alle problematiche inerenti alla causalità. Esso ha subito negli ultimi anni una fortissima accelerazione; ed è stato alimentato da alcuni importanti contributi dottrinali nonché dalla pressione di numerosi e complessi casi giudiziari. L’esperienza giudiziaria ha riguardato in primo luogo le persone cui è istituzionalmente demandato il governo delle situazioni di rischio nelle quali entra in questione il sapere scientifico: progettisti, medici aziendali, sanitari. In particolare, alla responsabilità connessa all’esercizio della professione medica si è dedicata larga parte della giurisprudenza in tema di causalità, in parte per l’elevato numero di processi che tale attività quasi naturalmente genera ed in parte perché in tale ambito s’intrecciano complessi e delicati problemi che mettono a dura prova le classiche elaborazioni ed interrogano l’interprete su temi che non rientrano nel tradizionale orizzonte del giurista. Così, è accaduto che nelle pronunzie di legittimità sono comparsi termini e sintagmi inusuali come leggi universali e statistiche, probabilità logica, induzione, abduzione e simili. Si tratta di una contingenza che ha un preciso significato che non può essere trascurato e di cui, anzi, occorre acquisire consapevolezza. Infatti, è ben noto che la giurisprudenza, ancorata ad un sano pragmatismo alimentato dal senso comune, rifugge solitamente da disquisizioni teoriche, astratte. Pertanto, l’insistenza con cui sono stati trattati temi cari al dibattito epistemologico segnala l’esistenza di un problema cruciale da risolvere che riguarda, in sintesi estrema, il metodo dell’indagine causale e più in generale dell’indagine sul fatto nelle contingenze nelle quali entra in questione l’utilizzazione della conoscenza scientifica. Il dibattito giurisprudenziale, pur tra molte incertezze, ha costituito un formidabile banco di prova per saggiare la tenuta di astratte elaborazioni teoriche e per dare ai problemi teorici una dimensione concreta, vivificata dalle esigenze della prassi. Esso ha trovato recentemente compimento in una importante decisione delle Sezioni unite, incentrata proprio sulla professione medica, che ha trattato la difficile materia con sorprendente profondità; ed ha offerto per la prima volta una originale ed argomentata presa di posizione di carattere generale sulla causalità e più in generale sul metodo giudiziale di accertamento del fatto, che apre per la giurisprudenza una nuova stagione, tutta da scrivere. Così, non è esagerato affermare che la recente discussione critica sui temi della causalità, finemente intessuta tra teoria e prassi, costituisce un patrimonio di inestimabile valore dell’esperienza giuridica italiana, di cui vale la pena di acquisire consapevolezza e conservare memoria, nella prospettiva dei problemi non lievi che attendono l’interprete.

1 * Brani da R. BLAIOTTA, La causalità nella responsabilità professionale. Tra teoria e prassi. Giuffrè, 2004

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Non è possibile comprendere tutta la novità dell’approccio espresso dalle Sezioni unite e la complessità del programma applicativo indicato senza ripercorrere nel modo più sintetico le linee del dibattito sulla casualità in Italia.

A partire dalla monografia dell’Antolisei del 1935 che costituisce l’atto fondativo del tema nella dottrina italiana e per un lungo tratto il dibattito si è incentrato su temi classici: le concause; le dispute teoriche sulla definizione della dottrina causale accolta nel nostro sistema, tra condicio, causalità adeguata o umana, dottrina del rischio. Negli anni settanta dello scorso secolo il panorama è improvvisamente mutato, con l'affacciarsi di problemi applicativi nuovi e concreti, gravidi di conseguenze radicali sulla sorte del giudizio, imperniati fondamentalmente sul rapporto tra sapere scientifico e diritto penale.

Nelle elaborazioni dottrinali viene sottolineato con ragione a tale riguardo l'avviarsi della stagione del rischio pervasivo, generalizzato, che caratterizza la cosiddetta modernità e l’accentuarsi, quindi, della difficoltà e complessità dei temi della causalità.

L’accrescersi delle difficoltà s’accompagna ad una maggiore complessità delle elaborazioni teoriche: alcuni fondamentali contributi dottrinali inquadrano per la prima, con rigore metodologico, gli aspetti normativi, epistemologici e scientifici del giudizio causale. Tali opere, in un modo o nell'altro, hanno fortemente influenzato ed arricchito la dottrina. Le elaborazioni teoriche sono penetrate nel lessico e negli schemi concettuali della giurisprudenza, contribuendo ad infondervi rigore metodologico nell'affrontare i problemi connessi all'applicazione di conoscenze scientifiche.

L'altro dato di rilievo è costituito dall'affacciarsi nella prassi di casi concernenti eventi di rilevante portata con implicazioni di carattere scientifico: macchie blu, Seveso, Stava, Atr 42, petrolchimico, amianto. Le problematiche di carattere scientifico hanno assunto evidenza insistita particolarmente nella responsabilità connessa alla professione medica. Qui, a partire dagli anni ottanta, a causa dell'accresciuto controllo sociale e giuridico su tale delicatissima attività e dell'abbandono della giurisprudenza "indulgente" in tema di colpa, si è assistito ad un lavorio che è alla base delle dispute presenti. In sintesi la Corte, avvedutasi che in quel contesto caratterizzato da conoscenze incerte e soprattutto dalla fine, imponderabile interazione tra fattori causali, non era possibile addivenire a giudizi di certezza circa l'effetto risolutivo, salvifico, delle cure omesse ha affermato il principio che fosse sufficiente ad attribuire l'evento una mera probabilità. Il peso di tale probabilità è stato in vario modo definito con aggettivazioni piuttosto vaghe ed approssimate. Tale modello d'imputazione, consolidatosi in quasi vent'anni di giurisprudenza, ha costituito, sebbene in modo inespresso ed addirittura inconsapevole, una completa deviazione rispetto a quello di tipo condizionalistico. Infatti, la teoria delle condicio esprime una correlazione necessaria tra una condizione ed un evento, che trova per così dire il suo banco di prova nel giudizio controfattuale: con un atto immaginativo si riproduce la sequenza delle condizioni escludendo quella ritenuta causale; se l'evento viene meno, tale condizione è causale, mentre se non l'evento si produce ugualmente essa non è causale. Nelle situazioni omissive il meccanismo controfattuale viene posto in opera immaginando la condotta mancata e verificando se la sua adozione avrebbe impedito la produzione dell'evento.

Nei giudizi causali della indicata giurisprudenza tale caratterizzante relazione necessitata non si rinviene poiché, come si è accennato, l'evitamento dell'evento lesivo costituisce solo una probabilità più o meno qualificata. Si è dunque in presenza di un criterio d'imputazione oggettiva fondato non su una relazione causale di tipo condizionalistico, ma sull'aumento del rischio, o meglio, sulla sua mancata diminuzione. Si tratta di un indirizzo contro cui sono state espresse critiche fondate principalmente sul fatto che tale imputazione oggettiva finisce con l'obliterare un tratto della tipicità costituito dal nesso causale di tipo condizionalistico. La Corte suprema - evidentemente- ha infine avvertito il peso di tali critiche e, alla fine del secolo scorso, con diverse pronunzie di analogo tenore, ha sovvertito la precedente giurisprudenza, affermando che nell'ambito della causalità medica e di quella omissiva in generale, non può farsi luogo a valutazioni di tipo probabilistico, ma occorre riscontrare un necessario nesso di condizionamento, essendosi in presenza di un requisito della fattispecie legale. Soluzione discutibile, ma lineare e largamente condivisa in dottrina. Intrapresa tale nuova direzione, la giurisprudenza di legittimità ha pure ritenuto di dover esplicitare il contenuto concreto di tale nesso, con alcune enunciazioni che riguardano il distinto problema del suo accertamento. La risposta a tale cruciale problema ha preso le mosse dalla tradizionale concezione nomologico-deduttiva della causalità e dalla dottrina che l'ha espressa nel modo più organico. Si è affermato, quindi, che l'indagine va compiuta facendo ricorso al modello generalizzante della sussunzione sotto leggi scientifiche di copertura. Esse possono essere tanto universali quanto statistiche. In tale ultimo

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caso, essendosi in presenza di generalizzazioni probabilistiche, il nesso causale potrà essere ritenuto quando la probabilità sia assai elevata, cioè assai prossima a cento. Con tali riflessioni il dibattito epistemologico entra di prepotenza nella discussione giurisprudenziale che, pure, è incline ad evitare eccessive complicazioni teoriche. Non che i temi del sapere scientifico ed esperienziale non fossero stati già evocati in precedenti importanti pronunzie. Tuttavia in quelle occasioni si era in presenza di enunciazioni di principio colte ma prive di decisive implicazioni applicative. Invece nella discussione più recente il giudizio d’imputazione si fonda proprio sulla preliminare risoluzione di un problema di principio che riguarda, in sintesi estrema, la possibilità di far ricorso a criteri probabilistici e più in generale le modalità di utilizzazione del sapere incerto. L’approccio espresso dalla indicata più recente giurisprudenza presenta alcuni aspetti fortemente problematici. Il più rilevante riguarda l’impossibilità d’includere nel giudizio di responsabilità il calcolo statistico delle probabilità; non è cioè possibile affermare che l’imputato è giuridicamente responsabile poiché è statisticamente assai probabile che egli lo sia effettivamente. Tale soluzione è viziata dal fatto di imperniare completamente la risoluzione del problema causale sulla forza esplicativa delle generalizzazioni utilizzate, che sono spesso non sufficientemente affidabili. § 2. La pronunzia delle Sezioni unite. - La censurabilità dell’approccio giurisprudenziale in questione si è però rivelata risolutiva, giacché ha indirizzato le Sezioni unite2 a percorrere itinerari alternativi e più fecondi in tema di accertamento del nesso di condizionamento. La Corte ha sciolto in primo luogo un nodo tanto cruciale quanto discusso, che riguarda la causalità omissiva. La pronunzia pone in luce la forte componente normativa di tale forma d’imputazione del fatto, ma perviene alla conclusione che tale peculiarità, che evidenzia una rilevante diversità dell’imputazione rispetto a quella naturalistica propria della causalità commissiva, non giustifica l’erosione del paradigma causale condizionalistico verificatasi nella giurisprudenza di legittimità attraverso l’introduzione di criteri di tipo probabilistico espressi in termini di aumento o mancata diminuzione del rischio di lesione del bene protetto o di diminuzione di chanches di salvezza del medesimo bene. Il paradigma condizionalistico è valido anche per i reati omissivi impropri, poiché resta valido l’unitario paradigma condizionalistico: lo statuto logico del rapporto di causalità rimane sempre quello del condizionale controfattuale. Occorrerà quindi verificare se, qualora si fosse tenuta la condotta doverosa e diligente, il singolo evento di danno non si sarebbe verificato o si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva. La sentenza ha quindi affrontato un altro tema centrale, quello del metodo dell’accertamento del nesso di condizionamento. In passato, in alcune importanti sentenze, la Corte aveva espresso ampiamente adesione al modello di spiegazione nomologico-deduttivo, tutto fondato sulla forza esplicativa indiscussa delle generalizzazioni utilizzate. Tuttavia si era trattato di enunciazioni di principio, prive di decisive implicazioni in ambito applicativo. La tenuta di tale dottrina, insomma, non era stata chiamata alla prova dei fatti. Invece, la delicata materia della responsabilità professionale in ambito medico ha posto tutti, ed infine la stessa Corte suprema, di fronte ad una situazione assai complessa, giacché qui non si è quasi mai in presenza di generalizzazioni esplicative talmente forti da poter essere applicate nel giudizio causale secondo lo schema deduttivo e quindi idonee ad infondere nelle conclusioni un connotato di certezza già implicato nella premessa maggiore. I tentativi compiuti in giurisprudenza di conferire dignità di generalizzazioni causali ad enunciazioni statistiche spesso vaghe e comunque non rigorosamente approssimate ad uno hanno subito mostrato la loro insufficienza, per la rischiosa ed inaccettabile utilizzazione di informazioni meramente statistiche, solitamente alquanto vaghe. Tale soluzione implica la conseguenza, difficilmente accettabile, di esprimere pure il giudizio di responsabilità, sotto il profilo dell'imputazione oggettiva, in termini probabilistici, con approssimazioni in chiave numerica per nulla rigorose.

2 Sez. un. 10 luglio 2002, Franzese, in Cass. pen. 2002, p. con note di MASSA, Le Sezioni unite davanti a “nuvole e orologi” e di BLAIOTTA, Con una storica sentenza le Sezioni unite abbandonano il modello nomologico deduttivo di spiegazione causale di eventi singoli. Un nuovo inizio per la giurisprudenza, 2003, p. 1176; in Foro it. 2002, II, p. 601, con nota di DI GIOVINE, La causalità omissiva in campo medico-chirurgico al vaglio delle Sezioni unite; in Riv. it. dir. proc. pen. 2002, p. 1131, con note di STELLA, Etica e razionalità del processo penale nella recente sentenza sulla causalità delle sezioni unite, della Suprema corte di cassazione, ivi, 2002, p. 767; ID Verità, scienza e giustizia,: le frequenze medio-basse nella successione di eventi, ivi, 2002, p. 1215; in Dir. pen. proc. 2003, p. 50, con nota di DI MARTINO, Il nesso causale attivato da condotte omissive tra probabilità, certezza e accertamento

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Questa la situazione nella quale si trovavano le Sezioni unite, aperta a due possibili soluzioni: ribadire la validità dell'approccio statistico conducendo la teoria giudiziale dell'accertamento del fatto in un vicolo cieco, attesa l'impossibilità di utilizzare generalizzazioni non rigosamente approssimate alla certezza e soprattutto le massime d'esperienza, che costituiscono il sostrato purtroppo ineliminabile di quasi tutti i giudizi penali; oppure mostrare un diverso metodo di intendere ed utilizzare le generalizzazioni approssimate ed incerte della scienza e dell'esperienza. La Corte ha finalmente inteso il cuore del problema, è uscita da astratte enunciazioni di maniera che avevano caratterizzato molte pronunzie del passato, ed ha espresso lucidamente una decisa scelta verso la seconda opzione, abbandonando quindi l'irrealistico modello nomologico-deduttivo; ed aprendo invece la strada verso una diversa teoria dell'accertamento del nesso causale e più in generale del fatto, nella quale, in sintesi estrema, le generalizzazioni approssimate non vengono poste in chiave deduttiva, ma si confrontano, nella irripetibilità di ciascun caso concreto, con le evidenze disponibili al fine di verificare, altrettanto concretamente, se in quello specifico caso esse possano costituire una attendibile chiave di spiegazione dell'evento o se , invece, nell'evidenza vi sia un segno che ponga in crisi la spiegazione probabile. Un mutamento di prospettiva senza dubbio storico, che conclude una stagione soprattutto nell'ambito della riflessione teorica. Infatti, nella prassi accadeva ed accade qualcosa di notevolmente diverso da quanto enunciato nelle teorizzazioni di maniera: il diritto penale è scienza causale per eccellenza; risolve continuamente problemi di spiegazione di fatti; risponde a domande di tipo causale utilizzando conoscenze e generalizzazioni le più diverse, quasi mai avvalendosi della pura forza esplicativa delle generalizzazioni certe, ed assai più spesso attingendo in chiave critica e problematica a generalizzazioni (come le massime d'esperienza) che sono non completamente affidabili. Come si è detto, la decisione delle Sezioni unite apre, sul piano teorico, in una nuova direzione e propone, soprattutto nei contesti caratterizzati dal sapere scientifico, itinerari in larga misura inesplorati, che pongono nuovi problemi realmente assai seri: evitare il ritorno verso soluzioni naive, nelle quali le conoscenze scientifiche vengono ingenuamente manipolate, evitare altresì soluzioni di tipo argomentativo, retorico, nelle quali la attendibilità della spiegazione del fatto riposi più sulle suggestioni verbali che su un rigoroso accertamento dei segni e su una loro lettura in modo integrato; sfuggire, infine, al timore di un uso autoritario del principio del libero convincimento. Con questi temi la giurisprudenza è chiamata a confrontarsi. § 2.1. I passaggi fondamentali della sentenza. – Occorre quindi evidenziare i passaggi fondamentali della sentenza. La Corte parte dalla constatazione che può dirsi assolutamente dominante la teoria condizionalistica o dell’equivalenza causale: per essa, è causa penalmente rilevante la condotta umana, attiva od omissiva, che si pone come condizione necessaria nella catena degli antecedenti che hanno concorso a produrre il risultato, senza la quale l’evento da cui dipende l’esistenza del reato non si sarebbe verificato. La verifica della causalità postula il ricorso al giudizio controfattuale “articolato sul condizionale congiuntivo “se…. allora….” (nella forma di un periodo ipotetico dell’irrealtà in cui il fatto enunciato nella protasi è contrario ad un fatto conosciuto come vero) e costruito secondo la tradizionale doppia formula, nel senso che a) la condotta umana è condizione necessaria dell’evento se, eliminata mentalmente dal novero dei fatti realmente accaduti, l’evento non si sarebbe verificato; b) la condotta umana non è condizione necessaria dell’evento se, eliminata mentalmente mediante il medesimo procedimento, l’evento si sarebbe egualmente verificato”. Peraltro, prosegue la Corte, vi è pure accordo sul fatto che in tanto può affermarsi che, operata l’eliminazione mentale dell’antecedente costituito dalla condotta umana il risultato non si sarebbe verificato o si sarebbe comunque prodotto, in quanto si sappia già da prima che da una determinata condotta discende, o non, un determinato evento. E la spiegazione causale dell’evento verificatosi hic et nunc può essere dettata dall’esperienza tratta da attendibili risultati di generalizzazioni del senso comune, ovvero facendo ricorso al modello generalizzante della sussunzione del singolo evento, opportunamente ri-descritto nelle sue modalità tipiche e ripetibili, sotto leggi scientifiche esplicative dei fenomeni che possono essere sia (rare) leggi universali che asseriscono nella successione di determinati eventi invariabili regolarità senza eccezioni, sia da leggi statistiche che si limitano ad affermare che il verificarsi di un evento dal verificarsi di un altro evento in una certa percentuale di casi e con una frequenza relativa con la conseguenza che esse ( ampiamente diffuse nei settori delle scienze naturali, quali la biologia la medicina e la chimica) sono tanto più dotate di alto grado di credibilità razionale o probabilità logica quanto più trovano applicazione in un numero sufficientemente elevato di casi. Il ricorso al sapere scientifico consente di ancorare il giudizio controfattuale, altrimenti insidiato da ampi margini di discrezionalità ed indeterminatezza, a parametri oggettivi.

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Dopo tale preliminare ricognizione, la Corte rammenta che la definizione di causa penalmente rilevante ha trovato coerenti conferme anche nella giurisprudenza più recente che, nell’enunciare la struttura logica della spiegazione causale, ne ha evidenziato la natura di elemento costitutivo della fattispecie di reato e la funzione di criterio di imputazione dell’evento lesivo. Dello schema condizionalistico integrato dal criterio di sussunzione sotto leggi scientifiche sono state sottolineate, da un lato la portata tipizzante, in ossequio alle garanzie costituzionali di legalità e tassatività delle fonti di responsabilità penale e di personalità della stessa (artt. 25 comma 2 e 27 comma 1 Cost.) e dall’altro, nell’ambito delle fattispecie causalmente orientate, la funzione selettiva delle condotte rilevanti e perciò delimitativa dell’area dell’illecito penale. In conclusione il classico paradigma condizionalistico non solo appare coerente con l’assetto normativo dell’ordinamento positivo, ma rappresenta altresì un momento irrinunciabile di garanzia.

Tale inquadramento serve ad affrontare il tema della causalità nel reato omissivo impropio, di cui viene posta in luce l’autonomia rispetto alla causalità commissiva, dovuta all’innesto della clausola generale di equivalenza causale stabilita dall’art. 40 secondo comma sulle disposizioni di parte speciale che prevedono le ipotesi base di reato commissivo orientate verso la produzione di un evento lesivo, suscettive così di essere convertite in corrispondenti ipotesi omissive.

La causalità omissiva ha una spiccata componente normativa: da un lato l’equivalente normativo della causalità; dall’altro il forte nucleo normativo relativo alla posizione di garanzia; infine, nei reati colposi, gli specifici doveri di diligenza. Tuttavia ciò non giustifica l’erosione del paradigma causale nell’omissione verificatasi nella giurisprudenza di legittimità che, prevalentemente nell’ambito della responsabilità medica, ha ritenuto di poter fondare l’imputazione oggettiva del fatto sulla base della mera possibilità o anche dalla probabilità salvifica del comportamento doveroso omesso. Tale indirizzo viene esattamente colto come una importante deviazione rispetto al modello condizionalistico, indirizzata verso l’alternativo modello d’imputazione fondato sull’aumento o mancata diminuzione del rischio di lesione del bene protetto o di diminuzione di chanche di salvezza del medesimo bene. La Corte afferma che anche per i reati omissivi impropri va configurato l’unitario paradigma condizionalistico, giacchè lo statuto logico del rapporto di causalità è identico ed è espresso dal condizionale controfattuale: si tratta di verificare se, qualora si fosse tenuta la condotta doverosa e diligente, il singolo evento di danno non si sarebbe verificato o si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva.

Posto tale generale inquadramento della causalità omissiva, la Corte osserva che le più recenti incertezze giurisprudenziali hanno riguardato i criteri di determinazione e di apprezzamento del valore probabilistico della spiegazione causale. Per via di tale centrale problema "Non è messo in crisi lo statuto condizionalistico e nomologico della causalità, bensì la sua concreta verifica processuale giacché i confini della elevata o alta credibilità razionale del condizionamento necessario non sono definiti dalla legge di copertura". La prassi evidenzia che nell'ambito della responsabilità professionale del sanitario il giudice applica largamente generalizzazioni del senso comune, massime d'esperienza, enunciati di leggi biologiche, chimiche o neurologiche di natura statistica ed anche la più accreditata letteratura scientifica del momento storico. Tale constatazione non legittima l'abbandono della concezione condizionalistica in favore di quella dell'aumento del rischio; ma pone in luce il rilievo decisivo che assume il momento del concreto accertamento del nesso causale nello specifico di ciascuna vicenda processuale e rispetto alla stessa definizione del concetto di causa penalmente rilevante. : "la definizione del concetto di causa penalmente rilevante si rivela significativamente debitrice nei confronti del momento di accertamento processuale, il quale resta decisivo per la decodificazione , nei termini effettuali, dei decorsi causali rispetto al singolo evento, soprattutto in presenza dei complessi fenomeni di causazione multipla legati al moderno sviluppo delle attività". Il processo penale, passaggio obbligato della conoscenza giudiziale del fatto di reato, appare invero sorretto da ragionamenti probatori di tipo prevalentemente inferenziale-induttivo che partono dal fatto storico copiosamente caratterizzato nel suo concreto verificarsi e dalla formulazione della più probabile ipotesi ricostruttiva di esso secondo lo schema argomentativo dell'abduzione, rispetto ai quali i dati informativi e giustificativi della conclusione non sono contenuti per intero nelle premesse dipendendo, a differenza dell'argomento deduttivo, da ulteriori elementi conoscitivi estranei alle premesse stesse. E' chiaro che tale momento produttivo dell'indagine non può essere svolto che in chiave induttiva cioè focalizzando sui fatti del caso specifico; e la Corte coerentemente accede a tale soluzione, cioè al ruolo preminente dell'inferenza induttiva giacchè la opposta pretesa "utopistica" di risolvere la spiegazione causale con strumenti di tipo deterministico e nomologico-deduttivo finirebbe col frustrare gli scopi preventivo-repressivi del diritto e del processo penale in settori nevralgici per la tutela di beni primari. La conseguenza è che l'accertamento del nesso causale va compiuto sulla base dell'evidenza disponibile e delle generalizzazioni; ed esso è dimostrato solo quando la condotta dell'agente è condizione necessaria dello specifico evento

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lesivo sulla base di tradizionali canoni di certezza processuale conducenti, all'esito del ragionamento probatorio di tipo largamente induttivo, ad un giudizio di responsabilità caratterizzato da "alto grado di credibilità razionale o conferma dell'ipotesi formulata sullo specifico fatto da provare". Un giudizio che, prosegue la Corte, può essere anche espresso in termini di elevata probabilità logica o probabilità confinante con la certezza. La pronunzia prosegue chiarendo ulteriormente e concretizzando il proprio pensiero in alcuni ulteriori, importanti passaggi: il modello nomologico può svolgere il suo ruolo esplicativo tanto meglio quanto più alto è il grado di probabilità di cui l'explanans è portatore, ma non è sostenibile che si elevino a schemi di spiegazione del condizionamento necessario solo leggi scientifiche universali e statistiche che esprimano un coefficiente probabilistico prossimo ad uno. Soprattutto in contesti come quello della medicina, è necessario ricorrere anche a leggi statistiche dotate di coefficienti medio-bassi di probabilità frequentista nonché, in qualche modo, anche a generalizzazioni empiriche del senso comune nonchè a rilevazioni epidemiologiche. Occorre in tali ambiti una verifica particolarmente attenta e puntuale della fondatezza delle generalizzazioni sia della loro applicabilità nella fattispecie concreta. Ma nulla esclude che pure tali situazioni , sulla base di un positivo riscontro probatorio, condotto secondo le cadenze tipiche della più aggiornata criteriologia medico-legale, circa la sicura non incidenza nel caso specifico di altri fattori interagenti in via alternativa, possa giungersi alla dimostrazione del necessario nesso di condizionamento. Viceversa, livelli elevati di probabilità statistica o schemi interpretativi dedotti da (rare) leggi di carattere universale pur configurando un rapporto di successione tra eventi rilevato con regolarità o in un numero percentualmente alto di casi, pretendono sempre che il giudice ne accerti il valore eziologico effettivo, insieme con l'irrilevanza nel caso concreto di spiegazioni diverse, controllandone quindi l'attendibilità in riferimento al singolo evento e all'evidenza disponibile. La pronunzia reca infine un ultimo importante passaggio, che deve essere fortemente sottolineato, esplicativo del criterio di credibilità razionale o probabilità logica in precedenza indicato quale cardine del giudizio d'imputazione causale, che segna la definitiva presa di distanza dal modello nomologico-deduttivo: la probabilità logica non riguarda la legge esplicativa utilizzata, bensì i profili inferenziali della verifica probatoria di quel nesso rispetto all'evidenza disponibile ed alle circostanze del caso concreto; non potendosi dedurre automaticamente e proporzionalmente dal coefficiente di probabilità statistica espresso dalla legge la conferma dell'ipotesi sul nesso di causalità. La probabilità logica, seguendo l'incedere induttivo del ragionamento inferenziale probatorio per stabilire il grado di conferma dell'ipotesi formulata in ordine allo specifico fatto da provare, contiene la verifica aggiuntiva, sull'intera evidenza disponibile, dell'attendibilità dell'impiego della legge statistica per il singolo evento e della persuasività dell'accertamento giudiziale. Tale giudizio di probabilità logica che esprime il grado di corroborazione dell'explanandum, essendo in questione un comportamento umano e non un evento delle scienze naturali, va espresso non già mediante cristallizzati coefficienti numerici bensì in un giudizio qualitativo. Tale valutazione si esprime in un giudizio di razionale credibilità, di certezza processuale. Si tratta di un procedimento logico non dissimile dalla sequenza del ragionamento dettato in tema di prova indiziaria dall'art. 192.2 c.p.p. , dall'art. 191.1 c.p.p. per quanto attiene alla valutazione della prova in generale e dall'art. 546.1.e per quanto attiene alla ponderazione delle ipotesi antagoniste. L'oggetto del giudizio di certezza processuale riguarda, conclusivamente, la condotta umana quale condizione necessaria dell'evento. Per contro, il plausibile, ragionevole dubbio, implicando la neutralizzazione dell'ipotesi accusatoria, implica l'esito assolutorio.

La sintesi dei passaggi fondamentali della pronunzia evidenzia chiaramente le innovazioni che si affacciano all'orizzonte della giurisprudenza e propongono ad essa un inquadramento teorico nuovo ed al contempo un compito applicativo non privo di difficoltà. Si tratta di novità che non potranno essere ponderate a fondo in breve momento e che, anzi, indicano un vasto programma; un nuovo inizio. Segnare queste novità in breve non è facile. In termine assolutamente generici, si possono accennare alcuni aspetti cruciali. Da un lato una chiara presa di posizione sul tema della causalità omissiva; dall’altro la complessa elaborazione in tema di accertamento del nesso causale. Qui la Corte segna l’abbandono del modello nomologico deduttivo che viene ritenuto utopistico ed inidoneo a governare il processo di accertamento del fatto nel composito scenario che caratterizza il processo penale; ed accenna un nuovo modello di tipo ipotetico, congetturale, che integra abduzione ed induzione, cioè un'ipotesi ricostruttiva (l'abduzione) e la copiosa caratterizzazione del fatto storico nel suo concreto verificarsi (l'induzione) nella prospettiva di pervenire ad una ricostruzione corroborata del fatto. Si tratta di un tema complesso che richiede la messa a fuoco su alcune parole chiave non tutte vicine all’elaborazione teorica del giurista: il sapere scientifico ed esperienziale, lo schema ipotetico, l’abduzione e l’induzione, la probabilità logica.

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§ 3. Causalità, scienza, esperienza: il giudice onnivoro. – Il primo dato di rilievo

nell’orientamento delle Sezioni unite è quello della possibilità di prudente utilizzazione di conoscenze che si muovono sul terreno esperienziale 3.

Già in passato la Suprema corte aveva affermato la possibilità di applicare regole d'esperienza nell'ambito del rapporto di causalità, osservando che in diritto penale, attese le finalità di repressione che l'ordinamento persegue, la prova non può essere identificata con quella scientifica e non può essere quindi fondata esclusivamente su regolarità senza eccezioni: in molti casi, soprattutto nell'ambito della medicina e della biologia, in assenza di leggi scientifiche, devono considerarsi validi e sufficienti ai fini dell'indagine causale anche i risultati di generalizzazioni del senso comune4. E’ tuttavia mancata una precisa indicazione circa i modi dell'utilizzazione di tali informazioni esperienziali nell'ambito del giudizio causale.

Il problema delle massime d’esperienza è stato affrontato in un’importante sentenza5 nella quale, dopo aver prestato adesione al modello nomologico deduttivo di spiegazione dell’evento ed aver affermato che l’accertamento del nesso di condizionamento deve avvenire secondo criteri obiettivi estraibili dall'osservazione empirica e connotabili dei requisiti della generalità e delle ripetitività con alto grado di conferma (leggi universali o leggi statistiche, cioè ricorrenti secondo l'id quod plerumque accidit), si ammette altresì la possibilità di ricorrere a massime d'esperienza, con la precisazione che le generalizzazioni esplicative devono essere conformi all'id quod plerumque accidit, tratte dall'esperienza già formata e non da quella che il caso in esame potrebbe suggerire; esse, inoltre, devono avere elevata capacità generalizzante e devono essere, quindi, comunemente accettate. Dunque, sembra d'intendere che l'utilizzazione di tali massime deve avvenire secondo un modello di tipo deduttivo, nel quale, cioè l'inferenza è tutta basata sull'affidabilità della generalizzazione. Si tratta di una soluzione criticabile per quanto attiene alle modalità di utilizzazione di tale "sapere", come tutte quelle che focalizzano interamente la soluzione dei problemi causali su generalizzazioni comunque incerte. Ma è comunque da rimarcare positivamente la realistica consapevolezza dell’impossibilità di rinunziare al sapere esperienziale.

Ciò che quasi sempre non viene percepito o comunque evidenziato dalle vaghe enunciazioni giurisprudenziali è un dato che invece presenta grandissimo interesse: la massime d’esperienza, anche quando sono affidabili sono comunque incerte, “vaghe" perché esprimono generalizzazioni di senso comune e non leggi scientifiche. E' difficile immaginare una delimitazione quantitativa attendibile di nozioni che tendono a riflettere genericamente quello che il senso comune considera normale o si aspetta che accada nella maggior parte dei casi. Accade talvolta che quantificazioni percentuali di queste nozioni vengano adoperate, ma si tratta di modi di dire solitamente inattendibili e fuorvianti, sicuramente non idonei ad una effettiva riduzione della vaghezza di tali nozioni6.

In conseguenza, utilizzando le regole esperienziali in chiave deduttiva secondo il tradizionale stile sillogistico, non si può fare a meno di trasferire nelle conclusioni del ragionamento ineferenziale la vaghezza e l’incertezza da cui esse sono caratterizzate7.

3 Per una ampio affresco sul sapere esperienziale, JEDLOWSKI, Il sapere dell’esperienza, Il Saggiatore, 1995. 4 Cass. 27 aprile 1987, Mancinelli, in C.E.D. Cass. n. 176926; nello stesso senso Sez. IV, 24 giugno 1986, in C.E.D. Cass. n. 174512; 5 Cass. 27 maggio 1993, Rech, in Cass. pen. 1995, p. 2898, n. 1714, con nota di BLAIOTTA, Il caso ATR 42: causalità, scienza, esperienza nel diritto penale. 6 TARUFFO, La prova dei fatti giuridici cit. p. 210.

7 E' sufficiente leggere l'opera di G. CALOGERO La logica del giudice e il suo controllo in Cassazione, Cedam, 1937 per rendersi conto di quanto irrealistico sia il modello sillogistico di utilizzazione di generalizzazioni incerte. L’Autore osserva, per ciò chè riguarda il cosiddetto sillogismo probatorio che utilizza come premessa maggiore le massime d’esperienza, che la stessa chiarezza analitica con cui lo schema viene proposto aiuta a comprendere che la sua necessità non è altro che quell’ineluttabilità automatica, che permetterebbe di affidare a una macchina l’incarico delle decisioni giudiziali. In realtà quel che realmente importa non è simile procedimento conclusivo, che per la sua logicità lapalissiana può essere compiuto da chiunque, ma quello per cui si perviene ai suoi punti di partenza. Quel che importa sono, come sempre, solo le premesse (quando si voglia continuare a chiamarle così) nella determinazione delle quali il giudice è libero sempre, se per libertà s’intende l’esclusione di quella necessità aproblematica che è propria del tautologismo sillogizzante, e non è libero mai, se per libertà s’intende la mera possibilità arbitraria di decidersi in un senso piuttosto che in un altro. La costruzione sillogistica è un portato della logica scolastica ; mentre l’effettivo procedimento del giudice verso la decisione è un concreto processo di ricerca in cui , momento per momento, egli avverte la maggiore o minore pressione di certi motivi mentali, e la sua situazione indecisa rispetto a certi altri, fino al raggiungimento della convinzione. E tale inadeguatezza del sillogismo giudiziario costituisce solo il riflesso della tautologica inutilità di ogni schematizzazione logica e sillogistica dell’umano pensare. Per qualche ragguaglio in più

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In dottrina proprio la considerazione dell’incertezza di cui si parla, induce generalmente ad escludere la possibilità di fare applicazione nell'ambito causale di regole tratte dall'esperienza, giacchè la salvaguardia della certezza del diritto è garantita solo a patto che le regolarità utilizzate nel giudizio di imputazione dell'evento siano regolarità stabilite dalla scienza e non generalizzazioni del senso comune che difettano del requisito del "controllo critico" a differenza delle teorie scientifiche, che sono sottoposte al vaglio di numerosi ed eterogenei controlli. Pare, invece, che la proscrizione del sapere esperienziale costituisca un’enunciazione eccessivamente rigorosa e non praticabile realisticamente, che contrasta con la stessa natura della giurisprudenza, che è scienza del multiforme atteggiarsi del reale ispirata al senso comune, sia pure con atteggiamento rigorosamente critico. Discorso quasi perfettamente sovrapponibile può esser fatto per ciò che riguarda il sapere scientifico per qualche verso “incerto”, costituito da generalizzazioni non universali e quindi con un margine più o meno ampio d’approssimazione. Anche qui si è in presenza di un sapere di cui non è certo possibile fare a meno; e che tuttavia non può essere gestito assimilandolo fittiziamente a quello fondato su leggi universali in nome di una inaccettabile assimilazione della probabilità alla certezza. Si è pure visto che quando la Suprema corte ha tentato di utilizzare in chiave deduttiva incerte e lacunose informazioni di tipo statistico è incorsa in grave errore. La conclusione è che con il sapere incerto, scientifico o esperienziale che sia, è purtroppo inevitabile fare i conti, con una difficoltà che costituisce in punto di massima ed inesplorata complessità della scienza giuridica. Il riconoscimento indiscusso di tale necessità nella prassi costituisce uno dei motivi di più radicale contrasto tra dottrina e giurisprudenza. Lo stato delle cose è stato efficacemente sintetizzato: "Quanto alla congruenza del giudizio di fatto, vengono in evidenza soprattutto i criteri in funzione dei quali il giudice valuta le prove e costruisce le inferenze che lo conducono all’accertamento finale della "verità" dei fatti del caso. Talvolta può trattarsi di parametri di carettere scientifico, ed allora occorre che il giudice -servendosi di esperti quando è necessario- faccia ricorso a nozioni scientificamente attendibili e non alla junk science il cui uso è pure così diffuso nelle aule giudiziarie. Più spesso accade che il giudice non disponga di criteri conoscitivi scientificamente convalidati, e che quindi non possa che far uso della background knowlwdges che costituiscono la sua cultura di uomo medio, ovvero alla sua cultura di uomo medio, alle massime d'esperienza. In questo caso che è di gran lunga il più frequente, sorgono molti e complicati problemi, che non è possibile discutere qui. In sintesi si può dire che il giudice deve fare riferimento alle nozioni presenti nella cultura media del suo tempo e del luogo in cui si trova, poiché e con questa cultura che le premesse e i criteri della sua decisione debbono essere congruenti. D'altro lato, però, queste nozioni non sono scientificamente controllate e sono spesso inattendibili o frutto di errori e pregiudizi consolidati nel senso comune, sicché possono rappresentare una guida all'errore piuttosto che un aiuto nella ricerca della verità. Il giudice deve quindi non di rado risolvere un complesso e delicato problema culturale, trovandosi a dover individuare i criteri della decisione in fatto entro un repertorio di topoi, che spesso è incerto, lacunoso, e contraddittorio, ma che tuttavia rappresenta il contesto al quale il giudizio di fatto va ricondotto. Non esistono soluzioni generali ready made per questo genere di problemi: spetta al giudice fondare le proprie inferenze fattuali sulle migliori basi conoscitive disponibili nella cultura del suo tempo8".

Insomma, il giudice è una creatura onnivora: si nutre di quello che c'è o almeno ci prova. Pure le Sezioni unite, come si è visto, accedono realisticamente a tale conclusione.

Peraltro, constatato che dell'incerto e fallace sapere esperienziale e di generalizzazioni scientifiche dotate di un incerto (perché non assai prossimo ad uno) significato esplicativo non è possibile fare a meno, si apre il tema arduo che riguarda i modi dell'utilizzazione di tale repertorio di conoscenze.

§ 4. Un modello per l'utilizzazione del sapere incerto nella giurisprudenza delle Sezioni unite: induzione ed abduzione. - Le Sezioni unite, contrastando le affermazioni di segno contrario contenute nella precedente giurisprudenza, escludono che generalizzazioni incerte possano essere utilizzate in chiave deduttiva, cioè facendo discendere sul caso concreto la (incerta) forza esplicativa che le caratterizza.

sulla produzione tanto preziosa quanto trascurata dell'Autore, BLAIOTTA, Il realismo critico di K. POPPER: un ideale di conoscenza oggettiva per il giudizio penale, in Cass. pen., 1997, p. 3699 e ss. 8 TARUFFO, Legalità e giustificazione della creazione giudiziaria del diritto, in Riv. trim. dir. proc. pen. 2000, p. 25.

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Integrando accenni sparsi contenuti nella pronunzia, si riesce pure a cogliere un'indicazione circa l'alternativo modello di utilizzazione di tali generalizzazioni che viene delineato: un paradigma che integra abduzione ed induzione, cioè l’ipotesi circa la spiegazione degli accadimenti (l'abduzione) e la concreta caratterizzazione del fatto storico (l'induzione): la prospettiva è quella di giungere ad una ricostruzione del fatto dotata di elevata probabilità logica, ovvero di elevata credibilità razionale. Ciascuno di tali termini merita una breve precisazione teorica. L'idea centrale della teoria dell'induzione è che la conoscenza scientifica nasce e cresce da proposizioni semplici e imparziali costruite sulla base delle prove dei sensi. Essa si fonda, quindi, soprattutto sull'osservazione dei fatti e sul ragionamento "logico". La base osservativa può essere costituita dall'annotazione della ripetizione di eventi nella prospettiva della individuazione di regolarità statistiche o universali: l'induzione per enumerazione cui si prima fatto un cenno, pertinenti. Ma al ragionamento induttivo può pure farsi riferimento pure nella prospettiva dell'analisi causale retrospettiva di un accadimento verificatosi. In tale distinto contesto, che afferisce alla spiegazione di eventi singoli, l'evocazione dell'induzione attiene a ciò che la Corte suprema definisce icasticamente come la copiosa caratterizzazione del fatto storico nel suo concreto verificarsi: un diverso dispiegamento dell'analisi fattuale, di cui è bene cogliere la diversità, e che accompagna una diversa inflessione di significato del termine "induzione". Per meglio comprendere di cosa si parla appare utile un esempio: "Supponiamo di aver effettuato alcune culture di tessuti di cellule viventi, usando diversi mezzi che poi siano stati buttati via; e supponiamo che alcune delle culture, non tutte, siano state attaccate da un'infezione batterica e che, naturalmente si debba scoprire perché. In questo caso la risposta la potremmo ottenere solo usando le cinque regole di Mill. I mezzi che abbiamo usato con tutte le culture non possono essere causa dell'infezione. Se soltanto le culture infette sono state preparate su mezzi di una certa specie particolare, v'è quasi la certezza che proprio tali mezzi sono i responsabili del male; e tale interpretazione delle cose troverà conferma se si scoprirà che le culture più attaccate dall'infezione sono quelle per le quali il mezzo sospettato è stato usato è stato usato in maggiore quantità. Rimaniamo tuttavia sorpresi se, da uno studio più completo dei dati, scopriamo che certe culture sono sfuggite all'infezione benché il mezzo preparato sia stato quello sospetto; tutto si risolve però quando viene a risultare che tali culture anomale differiscono da quelle che sono state effettivamente contaminate perché nel prepararle si è usato un ingrediente battericida che ha impedito all'infezione di svilupparsi. E si potrebbe continuare a lungo rendendo la situazione sempre più complessa. Il ragionamento usato per risolverla sarebbe però sempre semplice: un ragionamento "logico" nel senso che può essere realizzato mediante una formula o uno schema meccanico; un ragionamento che è o può essere conclusivo soltanto se i fatti empirici così come sono stabiliti, rappresentano tutta la verità e nient'altro che la verità. Al contrario, se le conclusioni sono sbagliate, la causa deve risiedere in un errore dei fatti da cui l'induzione è partita"9 . L'epistemologia contemporanea ha espresso contro l'induttivismo critiche che hanno ridimensionato il peso di tale modello d'indagine ed alle quali si farà in prosieguo un cenno più ampio. Qui interessa soprattutto sottolineare sinteticamente che la critica più rilevante riguarda la mancata spiegazione dell'errore, determinato di solito non da un'errata interpretazione dei fatti, da un uno sbaglio nelle informazioni, quanto piuttosto dalla prova contraddittoria prodotta da una nuova osservazione; e più in generale dalla mancata comprensione della funzione critica dell'osservazione e della sperimentazione rispetto ad una teoria, un'ipotesi. L’induzione, nella spiegazione di eventi singoli, non è certo irrilevante, ma essa -da sola- costituisce uno strumento concludente solo di fronte a fatti plurimi, certi, altamente significativi. Le Sezioni unite hanno evidentemente colto questo aspetto del dibattito epistemologico e, in un passaggio tanto rapido quanto importante della pronunzia, hanno legato induzione ed abduzione.

Occorre allora chiedersi cosa sia esattamente l'abduzione. Il termine venne coniato dal filosofo Peirce, personalità estremamente complessa del pragmatismo americano cui si deve, tra l'altro, uno dei più fondamentali contributi allo sviluppo del pensiero ipotetico. PEIRCE, essendo interessato alla logica dell'indagine, prestava grande attenzione ai ragionamenti induttivi e ipotetici, in quanto forma di inferenza sintetica produttiva di informazioni. Per l'autore la spiegazione è un'ipotesi: "Il primo avvio dell'ipotesi e l'intrattenimento di essa, sia come semplice interrogazione sia con qualche grado di fiducia, è un passo inferenziale che propongo di chiamare abduzione". Essa dunque costituisce una proposizione o spiegazione la cui verosimiglianza non può essere misurata, non è quantificabile: da sola non è in grado di attribuire alla spiegazione alcuna forza o certezza .

9 MEDAWAR, Induzione e intuizione nel pensiero scientifico , Armando, 1974. p 66 s.

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L'unica caratteristica che l'ipotesi deve avere è di spiegare i fatti. Indi, "la prima cosa da fare , una volta adottata un'ipotesi, sarà quella di trarne le probabili conseguenze sperimentali. Questo passo è la deduzione.". Dunque, se vogliamo sapere quale delle nostre ipotesi è vera, o per meglio dire verificata, dobbiamo testarne le conseguenze sui fatti.

"Avendo tratto per deduzione da un'ipotesi le previsioni dei risultati di un esperimento, procediamo a saggiare l'ipotesi eseguendo l'esperimento e confrontando quelle previsioni con i risultati effettivi di esso. … e se l'ipotesi resiste alla sperimentazione cominciamo ad accordarle dignità tra i risultati scientifici". Questa è l'induzione : "L'operazione di verificare un'ipotesi sperimentalmente, che consiste nel notare che , se è vera, delle osservazioni fatte in certe condizioni dovrebbero avere certi risultati, far sì che tali condizioni siano soddisfate, notare o risultati e, se sono favorevoli, attribuire una certa fiducia all'ipotesi, ciò lo chiamiamo induzione" . Dunque, come è stato efficacemente sintetizzato, all'inferenza come atto logico viene aggiunta una parte sperimentale, comprendente l'attuazione delle condizioni sperimentali stabilite e la notazione dei risultati. La logica si mescola così con la pratica osservativa e sperimentale. Alla parte sperimentale segue poi la parte generalizzante che conclude con l'invalidazione o l'estensione dell'ipotesi. Lo scopo dichiarato dell'induzione è , dunque, quello di "attribuire fiducia all'ipotesi". Né la deduzione né l'induzione producono leggi, ma semplicemente ne traggono le conseguenze e le generalizzano. L'unico argomento che produce informazione è l'abduzione10. E' interessante cogliere che in tale elaborazione l'abduzione (cioè l'ipotesi) e l'induzione s'intreccino dialetticamente; e l'induzione costituisce, in sostanza, il banco di prova critica rispetto all'ipotesi. Si tratta di una tesi sull'indagine assai vicina a quella accolta dalla Suprema corte quando ravvisa la necessità di raffrontare le generalizzazioni probabili con i segni fattuali presenti nel processo, al fine di verificare se esse siano in grado di spiegare e raccogliere in un costrutto coerente quegli stessi segni.

Forse un esempio sarà chiarificatore più di un lungo discorso: immaginiamo che un archeologo, nel corso di uno scavo, si trovi davanti i frammenti di un antico manufatto. Se vorrà ricostruirlo secondo il metodo induttivo dovrà pazientemente porsi davanti ad esso, tentare di far combaciare tutti i frammenti fino a quando non riuscirà a comporli in un insieme. A quel punto l’opera sarà compiuta senza incertezze con un metodo semplice e sicuro. Supponiamo, però, che i frammenti disponibili siano pochi. In tal caso il metodo induttivo non risulterà soddisfacente. Risulterà invece più producente il metodo ipotetico, fondato sull’intreccio tra l’abduzione (l’ipotesi) e l’induzione. Immaginiamo che l’archeologo, per precedenti esperienze o solo per intuito, giunga ad ipotizzare che si sia in presenza di un vaso corrispondente ad una tipologia che gli è nota. Egli allora, con ogni probabilità, si munirà di un modello che riproduca tale genere di manufatto e verificherà se i frammenti disponibili possano essere collocati attorno a quel modello. Se l’operazione darà esito positivo e consentirà di individuare frammenti sovrapponibili alle parti più caratterizzanti di quella tipologia di vaso, sarà possibile giungere alla conclusione che si è effettivamente in presenza di un oggetto di quella determinata classe, anche nel caso in cui i frammenti siano pochi ma significativi. Questo tipo d’indagine funziona proprio sulla base del raffronto dialettico tra un’ipotesi (il modello di vaso) ed i fatti (i frammenti ritrovati nel corso dell’indagine archeologica). Volendo rapportare, dunque, tali linee ipotetiche alla prassi giudiziaria nelle situazioni nelle quali si dispone di generalizzazioni scientifiche o esperienziali, potrebbe affermarsi che scopo dell'indagine causale è la verifica in ordine all'ipotesi circa la riferibilità di un evento concreto ad una spiegazione racchiusa nella stessa generalizzazione (Amplius § 8 e 9). Sembra allora chiaro quanto distante sia l'approccio descritto rispetto a quello nomologico deduttivo tutto centrato sulla forza esplicativa dell'explanans; e rispetto a quello (meramente) induttivo centrato sui fatti e sulla loro lettura in chiave logica. Tale diversità non costituisce solo una elaborazione teorica, ma ha implicazioni pratiche che la pronunzia non trascura di indicare. Infatti, si afferma che non è esclusa pregiudizialmente la possibilità di giungere alla dimostrazione del nesso causale quando si dispone di generalizzazioni scientifiche statisticamente incerte o di generalizzazioni del senso comune (massime d'esperienza). Anzi, si ammette la possibilità di trarre conclusioni anche in situazioni nelle quali si dispone soltanto di informazioni epidemiologiche: si tratta di uno dei contesti nei quali maggiore è la distanza tra le informazioni disponibili e la spiegazione dell'evento singolo, giacchè le stesse informazioni riguardano la causalità generale, classi di eventi e non una contingenza determinata.

10 La sintesi riguarda il pensiero più maturo di Peirce ed è tratta da PRONI, Introduzione a Peirce, p. 66 e s. ; 303 ss. Sul tema v. pure BONFANTINI, La semiosi e l'abduzione, Bompiani, 1987.

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A tale riguardo la Corte sottolinea la necessità di verifiche attente e puntuali sia della fondatezza scientifica che della applicabilità alla fattispecie concreta. In particolare, nell'ambito della medicina biologica e clinica sarà possibile attingere, ai fini della valutazione dell'interazione tra le emergenze fattuali, al metodo criteriologico elaborato in medicina legale che, nelle sue espressioni più moderne, valorizza proprio l’analisi critica delle emergenze proprie di ciascun caso alla luce del sapere scientifico disponibile: mentre la scienza sperimentale dispone di metodi di ripetibili e standardizzabili, la medicina clinica e quella legale non consentono verifiche di questo tipo; e l’indagine causale si sviluppa attraverso il confronto, caso per caso, delle conoscenze scientifiche con i dati dell’osservazione clinica, anatomo-patologica e di laboratorio. Sotto questo aspetto la pronunzia segna la riconciliazione tra giurisprudenza e medicina legale, nel segno, si potrebbe dire, dell'aderenza ai fatti, della strenua ricerca dei segni del caso concreto e di un'altrettanto rigorosa analisi del loro significato sulla base del sapere scientifico. Su quest'ultimo aspetto occorre una precisazione, per evitare fraintendimenti: tutto il dibattito epistemologico sulla spiegazione di eventi singoli della storia o della natura parte dell'implicito presupposto che non possa farsi a meno di leggi esplicative, condizioni iniziali, fatti : ".. l'attività diagnostica e quella investigativa consistono in un ri-conoscimento della situazione che ha portato allo stato morboso o all'atto criminale; è il riconoscimento del modo spesso complessissimo in cui i più svariati elementi possono essere intrecciati ed aver agito gli uni sugli altri sino a condurre a quell'esito che è la malattia o il delitto. Diagnosticare e investigare significano ri-conoscere. E ri-conoscimento non è possibile se già non si conoscono le leggi (psicologiche, economiche, chimiche, biologiche o fisiologiche) che presiedono al mutevole configurarsi ed intrecciarsi di condizioni singole che conducono a stati patologici o a situazioni criminose”11

L'aspetto problematico riguarda piuttosto il peso di ciascuno di tali fattori e soprattutto le modalità della loro interazione. La questione, in apparenza teorica, ha in realtà anche un preciso significato pratico che riguarda (per restare al tema della discussione) le basi, il contenuto e le finalità dell'indagine scientifica nel processo. A tale cruciale problema la Corte ha dato la risposta di cui s’è detto, fondata sull’intreccio tra l’ipotesi ed i fatti. .

§ 5. Probabilità logica e credibilità razionale. - Così chiarito il senso della connessione tra abduzione ed induzione evocata dalla Corte, resta ancora da chiedersi a quali condizioni possa ritenersi raggiunta la dimostrazione, in termini di razionale certezza, dell'assunto causale: un problema che riguarda propriamente l'accertamento processuale del nesso tra condizione ed evento. La Corte fornisce un'indicazione pure a tale riguardo: si tratta di un giudizio di conferma dell'ipotesi su basi induttive, caratterizzato da una elevata probabilità logica o credibilità razionale. Occorre allora chiarire cosa sia realmente la probabilità logica che viene evocata quale chiave di volta dell'intera intricata questione.

Un primo dato: il termine "probabilità logica" viene frequentemente utilizzato senza che a tale enunciazione faccia seguito un qualche approfondimento che ne chiarisca il significato e l'utilità. La pronunzia, a tale riguardo, chiarisce un punto di grandissimo rilievo teorico e pratico che può essere espresso nei seguenti termini: la probabilità logica alla quale è interessato il giudice non è quella del sapere nomologico utilizzato per la spiegazione del caso, bensì attiene ai profili inferenziali della verifica probatoria condotta in chiave induttiva, cioè alla luce delle emergenze del caso concreto. Insomma, essa riguarda il significato probatorio delle prove valutate nel loro complesso.

Si tratta di una puntualizzazione solo apparentemente banale, giacché essa colloca correttamente il problema in discussione nel peculiare contesto della spiegazione di eventi singolari. Ma ciò, da solo, ovviamente non basta.

Allora, non è possibile fare a meno di un qualche sommario approfondimento sul concetto di probabilità logica o induttiva. Tale espressione chiave nasce sul terreno dell'epistemologia della scienza neopositivista (amplius § 7), ove viene valutata la fondatezza di generalizzazioni esplicative di classi di eventi. Essa costituisce un portato teorico della epistemologia che si fonda eminentemente sull'induzione per enumerazione. In sintesi, la constatazione del regolare ripetersi di un fenomeno non ha significato solo sul terreno statistico e delle applicazioni statistiche; ma contribuisce ad alimentare l'affidamento sulla plausibilità della generalizzazione desunta dalla osservazione dei casi passati quale chiave di volta per la previsione di eventi futuri e per la spiegazione di eventi passati dei quali si investiga la sequenza causale. In tale ambito di filosofia della scienza, il dato di maggior interesse è il tentativo di quantificare formalmente il

11 BALDINI, Karl Popper e Sherlock Holmes, Armando, 1998.

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grado di conferma sulla base della frequenza riscontrata e dell’entità della base informativa costituita dai rapporti osservativi. Si tratta di una elaborazione che non è andata esente da censure che, in ultima analisi traggono alimento da una critica radicale nei confronti della stessa induzione per enumerazione.

Tale dibattito, tuttavia, non ha un reale, diretto interesse per il giurista, giacchè -come si è accennato- esso si pone sul piano dell'indagine scientifica, nella quale vengono studiate le generalizzazioni, le leggi scientifiche appunto, che riguardano classi di eventi. Rispetto a tale contesto il giudice si pone con un atteggiamento piuttosto recettivo: di fronte ad una generalizzazione diffusamente accolta in ambito scientifico, è chiaro che non ha interesse pratico discutere, sul filo di disquisizioni altamente sofisticate, se tale risultato sia stato conseguito partendo dalla scintilla di un'ipotesi creativa corroborata e non falsificata o , invece, partendo dall'osservazione di regolarità o altrimenti. Al contrario, una generalizzazione ritenuta affidabile dalla comunità scientifica è per il giudice un importante punto di partenza, anche se non è poi di certo privo d'interesse comprendere quale sia il grado attendibilità dell’enunciazione generalizzante. Il discorso muta completamente quando ci si colloca sul terreno di un caso concreto da risolvere. Qui si è propriamente in un ambito in cui la giurisprudenza esplica la propria azione di giudizio istituzionale: occorre allora interrogarsi su cosa significhi effettivamente la probabilità logica riferita non a classi di eventi ma all'ipotesi ricostruttiva di un evento singolo. Si tratta di un punto di estremo interesse sul quale si vuole particolarmente coinvolgere l'attenzione del lettore.

Sebbene l'elaborazione complessa e formale della probabilità logica concepita da CARNAP abbia subito molte critiche tanto che non l'intera teoria ma solo l'idea base può considerarsi valida12, alcuni studiosi, primo tra tutti L. J. COHEN,13 ritengono che essa, nel suo nucleo concettuale, possa essere utile nei giudizi della giurisprudenza14. Anche qui si è in presenza di una base fattuale o, se si vuole, induttiva costituita dalle prove disponibili. Ma qui il termine induzione ha un significato diverso rispetto alle regolarità osservative riscontrate nell'ambito dell'indagine scientifica e riguarda propriamente emergenze eterogenee, irripetibilmente caratteristiche di ciascuna vicenda. E' allora chiaro che la probabilità logica dell'ipotesi esplicativa di un caso concreto non potrà assumere quel connotato di quantificazione formalizzata concepito nell'ambito dell'induzione per enumerazione. Come è stato condivisibilmente sottolineato, la versione formalizzata della probabilità logica non è applicabile nel contesto del processo, poiché il ragionamento del giudice non è formalizzato e con ogni probabilità non è neppure formalizzabile in quanto impiega largamente nozioni e regole di senso comune ed è fondato in gran parte su concetti vaghi15. Tuttavia si ritiene che l'idea base di tale teoria possa considerarsi valida ed in qualche modo utile nell' ambito giudiziario: lo schema di base è quello dell'ipotesi caratterizzata da un certo grado di conferma: il problema che la decisone deve risolvere è se questa ipotesi possa considerarsi vera, il che equivale a stabilire se essa ha un grado di probabilità logica sufficiente a farla assumere come descrizione attendibile del fatto. Si tratta in altri termini di una valutazione relativa al grado di conferma che l'ipotesi ha ricevuto sulla base delle prove: se tale grado è ritenuto sufficiente l'ipotesi è attendibile e quindi può essere assunta come base della decisione, se tale grado è ritenuto insufficiente l'ipotesi è inattendibile. Si tratta di una valutazione, ossia di un apprezzamento essenzialmente discrezionale che il giudice compie in sede di decisione, in base al grado di conferma che le prove acquisite conferiscono all'ipotesi sul fatto. Essa sfugge ad ogni rigida determinazione quantitativa: si tratta del momento principale in cui trova manifestazione il prudente apprezzamento o il libero convincimento del giudice. "Poiché però non vale l'alternativa rigida tra calcolo quantitativo e soggettivismo irrazionale, è opportuno considerare che la valutazione in esame può essere condotta a criteri razionali anche se inevitabilmente caratterizzati da una certa vaghezza e quindi irriducibilmente elastici.". 16. A questo punto pare traspaia a sufficienza che l'evocazione, non priva di suggestioni, della probabilità logica dell'ipotesi sul fatto, quale chiave di volta del problema dell'accertamento del nesso causale, ha un significato limitato, poco decisivo ai fini della risoluzione dei gravosi problemi che la materia pone al giudice.

12 TARUFFO, La prova dei fatti giuridici, Giuffrè, 1992, p. 213. 13 L. J. COHEN, The Probable and the provable, Oxford press, 1977. 14 Ampiamente in proposito BESSO MARCHEIS, Probabilità e prova: considerazioni sulla struttura del giudizio di fatto, in Riv. trim. dir. proc. pen. 1991. P. 1119 e ss. ; TARUFFO, La prova dei fatti cit. p. 15 TARUFFO, La prova dei fatti giuridici, Giuffrè, 1992, p. 214 16 TARUFFO, La prova cit. p. 270 s.

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In ogni caso, l'idea di probabilità qui evocata è di tipo valutativo; non ha un contenuto numerico e neppure, di solito, una solida base statistica riferita alle generalizzazioni esplicative utilizzate. Si potrebbe addirittura temere che il termine probabilità in questa chiave risulti fuorviante, inducendo all'idea di approssimazione imponderabile quale premessa per un inaccettabile, surrettizio ritorno verso criteri naives, intuitivi o autoritari di accertamento del nesso di condizionamento. Proprio la difficile manovrabilità del termine è alla base della tendenza a non insistere più del necessario sull'uso di questa o quella nozione generale di probabilità e a concentrare invece l'attenzione sui vari tipi di situazioni inferenziali e sulle inferenze che si realizzano nell'ambito dello schema generale costituito dal rapporto tra ipotesi ed elementi di conferma. Si parla sempre meno di probabilità, anche se ci si muove pur sempre entro l'idea generale della probabilità come relazione logica, e si parla sempre più di evidence ad inference per designare specificamente ogni tipo di problema consistente nel determinare l' attendibilità di ipotesi sulla base di relativi elementi di conferma 17

Più univoco appare il senso dell'evocazione compiuta dalle Sezioni unite con l’espressione "credibilità razionale": riconduzione della valutazione a criteri di razionalità che non è "né calcolo né arbitrio"18. In tale chiave va inteso pure il riferimento al libero convincimento del giudice: rispetto della logica, del sapere scientifico, corrispondenza con l'esperienza comune, in un quadro di inercomunicabilità intersoggettiva delle argomentazioni contenuta nella motivazione19. Ma occorre ammettere che in ciò non vi è nulla di realmente nuovo. L'aspetto più significativo dell'elaborazione di cui si discute sembra essere proprio quello del suo stesso porsi sul terreno del giudizio sull' ipotesi ricostruttiva del fatto concreto, piuttosto che su quello astratto, irrealistico, di un sapere scientifico sempre pronto all'uso e pronto per essere applicato in modo quasi automatico, senza incertezze. E' questo il passaggio che segna la novità e l'importanza della decisone delle Sezioni unite. La Corte, infatti, con acuta sensibilità per il ruolo della giurisprudenza, abbandona alcune irrealistiche enunciazioni contenute in precedenti sentenze tutte focalizzate sulla forza nomologica del sapere scientifico; segna fortemente il passaggio dalla probabilità della generalizzazione esplicativa a quella dell'ipotesi sul fatto.

In conclusione: apprendiamo dalle Sezioni unite che l’indagine si muoverà attorno al raffronto tra l’ipotesi sulla spiegazione causale ed i segni, le circostanze concrete che la confermano o la confutano; sappiamo pure che tale analisi sarà concludente se consentirà di pervenire ad un giudizio di certezza processuale espressa non in termini quantitativi, numerici, ma in termini valutativi; se cioè tale giudizio si porrà in termini di probabilità logica o credibilità razionale. Infine, siamo consapevoli pure che tale giudizio di probabilità induttiva non è scevro da incertezze. Allora, si sente quasi intuitivamente, che occorre tentare di compiere un ulteriore passo per conseguire quella corroborazione dell’ipotesi che costituisce l’ideale di una certezza “umana”. Si tratta di un passo da compiere ponendosi sul terreno dei fatti, con il caparbio proposito di sfuggire alla tentazione di risolvere sul piano argomentativo, retorico, questioni che attengono al cuore della decisone giudiziaria. In questa istanza non vi è nulla di profondamente originale: il giudice si trova in compagnia di altre figure come storici, medici detective. Ebbene se ci si rivolge alla letteratura semiologica generata dalla dottrina abduttiva di PEIRCE ci accorgiamo che le indagini di questi professionisti sono state oggetto di innumerevoli studi, che hanno evidenziato nella semeiotica medica, nell’indagine poliziesca un paradigma indiziario, fondato secondo lo stile di PEIRCE, sul raffronto tra l’ipotesi ed i segni del caso concreto. Si tratta di un universo di riflessioni che si muovono sul terreno del pensiero ipotetico, estremamente stimolanti di cui qui non ho proprio la possibilità di darvi conto. Chi vorrà troverà contributi seducenti di studiosi come ECO, PRONI, BONFANTINI, SEBEOCK e tanti altri. Tuttavia, in tali analisi sarà difficile trovare accenni a ciò che alla fine darà la cosiddetta certezza o la verità oggettiva, o come altro si voglia chiamare quel qualcosa, quell’esito che si cerca nel processo, che tranquillizza la coscienza del giudice e si offre serenamente al giudizio critico. Per dirla in modo teoretico, si tratta di uno stile di d’indagine che si muove sul terreno del pensiero filosofico pragmatista, ove domina una concezione debole di verità di tipo fenomenista ed antirealista: la verità è ciò che funziona20. Occorre allora chiedersi se è possibile procedere oltre, anche se di poco, sul terreno che sembra ormai sia stato sufficientemente definito, quello della relazione tra fatto e generalizzazioni esplicative.

17 TARUFFO, La prova cit. p. 214. 18 TARUFFO, La prova cit. p. 269. 19 MAIWALD, Causalità e diritto penale, Giuffrè, 1999, p.101 ss. 20 BRANDOM, Pragmatismo, fenomenismo e discorso sulla verità, in Il neopragmatismo , La nuova Italia, p.

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Sembra che qualcosa d’altro possa esser detto, partendo dalla constatazione che il dibattito in atto nella giurisprudenza non è completamente nuovo, ma anzi ripropone questioni già discusse in altri ambiti anche in un passato non recente. Pertanto il modo migliore per progredire nella riflessione è quello di riandare a tale discussione.

§ 6. La spiegazioni storica di eventi singoli e l’indagine giudiziaria. - Di solito l’affacciarsi del

giurista sui temi del sapere scientifico si prevalentemente all'epistemologia della scienza. E' senza dubbio qui che il moderno dibattito epistemologico è sorto e si è sviluppato. Tuttavia, tale incursione nella filosofia della scienza può risultare fuorviante se non si tiene conto di un aspetto molto importante: mentre l'indagine scientifica pura si occupa della spiegazione di classi di eventi, il diritto penale è interessato alla spiegazione di eventi singoli, nei quali svolge solitamente un ruolo preponderante la irripetibile interazione tra condizioni le più eterogenee. In tale ambito si pone pure, per eccellenza, l'indagine medico-legale in tema di responsabilità professionale. Il problema della spiegazione causale è allora un problema di spiegazione storica, dove il riferimento alla "storia" deve essere inteso nel senso più lato, giacchè "ogni spiegazione di un evento singolare è sempre storica, in quanto la causa è sempre descritta da condizioni iniziali singolari" 21. Compare così la distinzione, cui si è prima fatto cenno, tra induzione riferita alle classi di eventi ed indagine riferita ai segni presenti sulla scena degli eventi singoli. Tale distinzione è tutt'altro che accademica, poiché riporta a contesti diversi, a diversi oggetti dell'indagine, ad un diverso atteggiarsi della relazione tra le generalizzazioni esplicative ed i fatti. Si può allora enunciare che il dibattito giurisprudenziale presente, imperniato -appunto- sull’interazione tra sapere scientifico ed esperienziale ed i fatti da spiegare, può essere ricondotto al dibattito epistemologico in ordine alla spiegazione storica. Occorre a questo punto chiarire un po’ meglio qual è l'ambito della spiegazione storica e come vi si collocano l'indagine giudiziaria e quella medico-legale in particolare. Occorre in particolare comprendere se e come la diversità dell'oggetto (fatti concreti e non categorie di fatti) incida sul metodo. Il problema è stato di recente toccato con accenti suggestivi: "Medici, detective e scienziati sono sulla stessa barca metodologica. Tuttavia, mentre l'interesse degli scienziati è volto a scoprire e provare sperimentalmente leggi universali, detective e medici, ma anche storici accettano senza discussione le leggi universali e si servono di queste per spiegare eventi specifici o particolari. Solo molto raramente essi (medici, storici e detective) si trovano nelle condizioni di doversi preoccupare delle leggi universali implicate nelle loro spiegazioni."22 La distinzione corrisponde grosso modo a quella tra scienze pure e scienze applicate, ed implica peraltro una demarcazione non rigida. Infatti medici, storici e detective si muovono sul terreno dell'indagine concreta, applicata; non perseguono nuove scoperte, ma non di rado, ad esempio, la diagnostica clinica implica un talento scientifico che dà luogo ad una forma impoverita di scoperta. E d'altra parte una parte della storia della scienza è ricostruibile come una serie di avventure poliziesche, come una serie di trame per gialli avvincenti. Allora tra detective e scienziato vi è "una certa aria di famiglia". Non a caso la ricerca del "metodo" dell'indagine si è focalizzata , in ambito epistemologico, sullo stile dell'investigatore ed in particolare del più famoso, Sherloch Holmes, considerato di volta in volta come un mago dell'induzione baconiana fondata sulla raccolta sistematica e sulla classificazione dei dati; o come un inconsapevole assertore del pensiero ipotetico abduttivo ( l'abduzione di cui parlano le Sezioni unite) ; come un popperiano falsificazionista (che si vergogna di esserlo) ; o infine come un precursore dell'anarchismo metodologico. Per tornare all'ambito "storico", tra medico e detective vi è una stretta somiglianza: il clinico è uno storico quando stabilisce la diagnosi, quando cioè individua la cause di un processo morboso; al pari del detective non fa ricerca pura ma applica a casi particolari leggi prese a prestito dalle scienze più varie, cioè spiega eventi specifici in connessione a teorie rilevanti e accreditate. Medico e detective risolvono un esercizio a più soluzioni, tra le quali devono scegliere quella che di volta in volta è la più probabile. Si tratta di quel ri-conoscimento della situazione che ha portato allo stato morboso o all'atto criminale. L'unica differenza riguarda il fine ultimo di tali indagini23.

21 POPPER, Miseria dello storicismo, Feltrinelli, 1975, p. 128 . 22 BALDINI, Karl Popper cit. p. 8. Su Holmes v. pure Il segno dei tre. Holmes, Dupin, Peirce, a cura di ECO e T. SEBEOK, Bompiani 1983. 23 BALDINI, Karl Popper cit. p. 30 ss.

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Che dire, a questo punto dell'indagine giudiziaria? Senza dubbio essa è per alcuni versi vicina a quella del detective ed ancor più a quella dello storico. Come lo storico il giudice si occupa di fatti non osservabili, persegue asserzioni retrospettive24 che non possono esser confermate con l’esperienza, e assai raramente si offrono a verifiche sperimentali; tenta di comporre in un insieme coerente frammenti, tracce dei fatti passati che in modo sovente casuale gli si pongono innanzi, e di conseguire una ricostruzione dei fatti chiara ed oggettivamente documentata. Tuttavia, vista la posta in gioco, più dello storico il giudice penale ha l’assillo di perseguire l’obiettivo o forse meglio l’ideale della verità oggettiva, rigorosamente ancorata ai fatti e sorretta da una compiuta argomentazione dimostrativa. Ciò vale a spiegare perché, quando si pongono problemi conoscitivi, il giurista si rivolge verso l’epistemologia delle scienze fisiche con la sua incalzante ricerca delle condizioni di scientificità dell’indagine e di “verità” degli enunciati. L’epistemologia che si occupa della spiegazione di eventi singoli ha prodotto un'ampia gamma di elaborazioni, tuttavia il giurista è istintivamente attratto da quelle sviluppatesi partendo da teorie conoscitive della filosofia della scienza. I modelli di riferimento sono sostanzialmente due, quello nomologico deduttivo e quello ipotetico deduttivo, prodotti da scuole di pensiero fortemente intrise di rigore dimostrativo, oggettivismo e razionalismo e quindi vicine alle esigenze del giudice ed ai problemi afferenti all'utilizzazione del sapere scientifico. Il tema ha assunto interesse intorno alla metà dello scorso secolo, soprattutto a partire dal dibattito tra C.G. HEMPEL e W. DRAY. A tale dibattito è allora utile riandare, partendo proprio dal modello nomologico deduttivo.

§ 7. Il modello nomologico deduttivo. - Come si è già accennato, il modello epistemologico nomologico deduttivo di stile neopositivista è senza dubbio quello che più si avvicina all’esigenza di oggettivazione della conoscenza che, come si è detto, in qualche modo crea un parallelismo tra scienza e giurisprudenza ed ha per questo attratto l'attenzione dei giuristi.

Tale teoria aspira a definire un criterio di validità scientifica di tutte le enunciazioni di una disciplina, nei termini di un rigoroso rapporto con l’esperienza e di un’altrettanto oggettiva controllabilità. Il pensiero scientifico è tale in quanto composto da predicati osservabili e quindi suscettibili di verifica. Lo strumento di tale approccio ai problemi della conoscenza è costituito dall’induzione. Il suo linguaggio ideale è quello universale della fisica, con la sua rigorosa definizione di variabili e relazioni. Le movenze di tale modello si trovano tutte sul piano della logica deduttiva o induttiva e del calcolo matematico. Si tratta di un punto di vista che storicamente matura in opposizione al dogmatismo ed al formalismo, ed appare ispirato dalla ricerca di un'autorità superiore, certa , oggettiva sottratta agli umori ed alle intuizioni dell'uomo.

L’ambizione dell’epistemologia neopositivista è di imporre il proprio modello di teoria della conoscenza nell’ambito delle altre scienze ed in particolare di quelle storiche. Nasce così l'idea riduzionista di scienza, fondata sulle metodologie di misurazione ed osservazione induttiva, nonché sulla logica matematico-deduttiva. Tale concezione della scienza giustifica le discipline umane solo alla condizione che siano utilizzati gli strumenti delle scienze fisiche.

Si è quindi determinata una eccessiva enfatizzazione di strumenti quantitativi anche fuori dalle scienze fisiche, nell’ambito di discipline come psicologia, economia, storiografia, che difficilmente si prestano ad essere studiate sulla base di criteri matematici.

Nell'ambito del dibattito epistemologico cui si è fatto cenno HEMPEL, il massimo fautore della trasposizione del modello delle scienze fisiche nell’ambito della storiografia, ha analizzato i tratti essenziali del modello di spiegazione scientifica, anche alla luce delle critiche rivolte alla sua applicazione alle scienze storiche. Un dato fenomeno empirico è spiegato con la deduzione dell’explanandum, cioè dell’asserto che descrive l’evento in questione , da un insieme di proposizioni chiamate explanans. Questo insieme consiste di alcune leggi generali e di proposizioni descriventi certi fatti o condizioni particolari, che normalmente sono antecedenti e/o simultanei all’evento da spiegare. Ad esempio, in una spiegazione causale un evento individuale è presentato come l’effetto di certi altri particolari eventi e condizioni da cui risulta, in accordo con determinate leggi generali. Nelle spiegazioni di tipo deduttivo o “nomologico-deduttivo” le leggi di copertura sono tutte di forma strettamente universale ; e ciò significa che si tratta di proposizioni che si applicano in tutti i casi possibili25 .

Ma vi è un altro tipo di spiegazione del tutto differente dal punto di vista logico che può essere denominata probabilistica o induttiva . Pure essa è sorretta da leggi di copertura, che -però- hanno forma

24 SCHROEDINGER, L’immagine del mondo, Boringhieri, 1987. 25 HEMPEL, Come lavora uno storico , Armando, 1977, p. 76.

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probabilistico-statistica. Si tratta , cioè, non di leggi universali ma di asserzioni caratterizzate da un’alta probabilità induttiva. Tuttavia, in tali casi la probabilità che l’explanans conferisce all’explanandum non è di tipo statistico. Si tratta piuttosto di una relazione logica tra due asserti. Questa relazione di supporto o probabilità logico-induttiva costituisce il concetto centrale delle teorie logiche della probabilità. Il tratto saliente di tale tipo di spiegazione è che la sussunzione dell’explanandum sotto le leggi di copertura si fonda non su un’implicazione deduttiva, ma su una relazione di supporto induttivo tra l’explanans e l’explanandum. Naturalmente, l’explanans di una spiegazione statistica conferisce all’explanandum tecnicamente una probabilità induttiva più o meno alta, ma non lo implica con necessità deduttiva come nel caso delle spiegazioni nomologico-deduttive 26 .

Tale schema di pensiero presenta un notevole parallelismo con le tradizionali linee giurisprudenziali a proposito dell’utilizzazione delle massime d’esperienza nell’ambito dell' inferenza indiziaria. Infatti, nella giurisprudenza di legittimità la definizione della struttura dell’inferenza indiziaria avviene tradizionalmente proprio in chiave deduttiva e sillogistica e quindi, in sostanza, secondo lo schema nomologico: attraverso generalizzazioni affidabili espresse dalle massime d’esperienza costituenti la premessa maggiore del sillogismo, ed un fatto noto costituente la premessa minore, si perviene alla conclusione costituita dal fatto ignoto da provare.

Nel recente passato, soprattutto a partire dagli anni 50 dello scorso secolo, il metodo nomologico deduttivo di stampo positivista ha costituito il modello di scientificità per le teorie che cercavano di assicurare una adeguata fondazione empirica al metodo giuridico; sebbene tale concezione attreversi una crisi profonda e quasi irreversibile 27.

Nell’ambito della dottrina penale (STELLA) è stata compiuta un’opera di completa trasposizione del neopositivista modello nomologico-deduttivo nell’ambito della spiegazione causale: la causalità è un requisito del fatto e deve essere conseguenemente accertata sulla base di criteri oggettivi alla luce del principio costituzionale di tassatività della fattispecie 28. Poichè al diritto penale serve una nozione di causa che funzioni da criterio d’imputazione , la nozione più adeguata è quella di condizione necessaria intesa in senso generalizzante. Le generalizzioni utilizzabili sono quelle stabilite dalla scienza. Lo strumento logico dell’analisi causale è costituito dal giudizio controfattuale compiuto sulla base di leggi scientifiche universali o statistiche29. La natura statistica di alcune leggi soprattutto biologiche e fisiologiche conferisce ai giudizi controfattuali del giudice struttura probabilistica nel senso che l’enunciato formulato è caratterizzato da probabilità logica o credibilità razionale e non da certezza deduttiva 30. Nelle situazioni nelle quali manchi la possibilità di dare una spiegazione causale sulla base di leggi scientifiche, l’imputazione causale sarà possibile solo “quando la condotta dell’agente risulti condizione necessaria in tutti gli ipotizzabili (o nei probabili) processi esplicativi”. In tale quadro, ed in perfetta adesione all’impostazione positivista, come si è già visto, non è quasi mai possibile fare ricorso alle generalizzazioni del senso comune che sono inaffidabili in quanto difettano del controllo critico, a differenza delle teorie scientifiche che sono sottoposte a numerose verifiche 31.

§ 7.1 – I limiti del modello nomologico deduttivo di spiegazione causale. – Il modello esplicativo di

cui si parla presenta due aspetti che ne denotano l'insufficienza nell’ambito della spiegazione giudiziaria di eventi singoli. Da un lato (come si è evidenziato) l’astrattezza deduttiva ed il ripudio del sapere meramente esperienziale da cui è caratterizzato appare insufficiente a coprire tutti gli aspetti della realtà cui s'interessa il giudice penale, tanto più man mano che ci si allontana da situazioni nelle quali si dispone di leggi “universali” e si entra in ambiti sorretti da generalizzazioni probabilistiche in senso statistico o comunque incerte. Tale modello di spiegazione mostra la propria insufficienza proprio nell'ambito della spiegazione storica e di quella giudiziaria, ove non sempre si dispone di generalizzazioni tanto affidabili da poter essere utilizzate in chiave deduttiva. Dall'altro lato, poi, il ricorso allo schema nomologico-induttivo ed alla probabilità logica quale strumento di trasposizione di evidenze statistiche entro l’intima struttura di una spiegazione non vale, alla fine, a superare un problema: la misura di incertezza insita in una proposizione 26 HEMPEL, Come lavora uno storico cit. , p. 77 e s. , p. 89 . 27 VILLA, Teorie delle scienze giuridiche cit. p. 28 STELLA, Leggi scientifiche e spiegazione causale nel diritto penale, Giuffrè, 1990, p. 90 . 29 STELLA, La nozione penalmente rilevante di causa : la condizione necessaria, in Riv. it. dir. e proc. pen. 1988, p. 1237. 30 STELLA, La nozione cit. , p. 1242. 31 STELLA, Leggi scientifiche cit, p. 145.

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esplicativa di natura probabilistica non può non trasferirsi nelle conclusioni del procedimento inferenziale. Tale diffusa critica è stata efficacemente sintetizzata osservando che il probabilismo altro non è che la “logica deduttiva del calcolo delle probabilità ” .32

Si spiega così la perdita d’interesse del paradigma neopositivista33. Esso, ha subito critiche che hanno colpito le basi stesse della teoria. Particolarmente penetranti quelle espresse dalla feconda scuola di pensiero neopragmatista. Nitide le osservazioni del suo maggiore esponente, H. PUTNAM: nel lavoro carnapiano fondato sulla logica induttiva non c'è in pratica alcun riferimento all'esperimento: " Le teorie scientifiche vengono confermate dai dati probatori nei sistemi carnapiani di logica induttiva ma è irrilevante ( non esiste cioè alcun modo per rappresentare la differenza nell'ambito del formalismo) se questi dati probatori , questi enunciati osservativi, vengono ottenuti come risultato di una sperimentazione intelligentemente diretta o siano disponibili soltanto per caso. L'osservazione passiva e l'intervento attivo non vengono distinti e il problema riguardante se si è effettivamente cercato di falsificare le ipotesi che sono state altamente confermate non è un problema che possa venir posto e risolto nei linguaggi costruiti da CARNAP. Perché proprio non fa alcuna differenza dal punto di vista della logica induttiva carnapiana se le nostre osservazioni sono attive o passive, se noi guardiamo soltanto o interveniamo, parimenti non fa nessuna differenza se l'osservazione è cooperativa o no. Il punto di vista è fondamentalmente quello di un singolo spettatore isolato che fa delle osservazioni attraverso uno specchio a senso unico e scrive degli enunciati osservativi. Valutare le teorie per le loro virtù cognitive non è allora che una questione relativa all'uso di un algoritmo per determinare se un enunciato possiede una relazione matematica con un altro enunciato…il metodo scientifico è costruito come un metodo di calcolo 34

Subito dopo PUTNAM ricorda che l'immagine pragmatista della scienza è totalmente differente: è un'interazione umana e cooperativa con un ambiente; e l'intervento attivo, l'attiva manipolazione dell'ambiente e la cooperazione con altri esseri umani sono vitali..."Ancor prima della nascita di Popper, Peirce sottolineava che molto spesso le idee non saranno falsificate a meno che non ci alziamo e non cerchiamo attivamente di falsificare le esperienze. Le idee devono essere messe sotto tensione se devono dimostrare il loro valore"35.

Il modello neopositivista è quello dell'induzione per enumerazione. Il modello è sempre quello di un singolo scienziato che determina i colori delle palle estratte per successione da un'urna tentando di stimare le frequenze con cui si succedono quei colori delle palle estratte in successione da un'urna. Per i pragmatisti il modello è un gruppo di ricercatori che cercano di escogitare delle buone idee mettendole poi alla prova per vedere quali sono quelle buone. Radicale, inoltre, la critica del modello algoritmico. Secondo i pragmatisti sia che si tratti di scienza o di etica quel che abbiamo sono massime e non algoritmi; e le massime stesse hanno bisogno di un'interpretazione contestuale 36.

In conclusione, il giudizio è senza riserve e costituisce un utile promemoria anche per il giurista: " Un metodo nel senso di un algoritmo che risolva tutti i nostri problemi epistemologici è una fantasia filosofica37".

Non meno radicale l’opposizione al modello di cui si discute espressa dall’epistemologia popperiana, che confuta lo stesso principio d’induzione (Amplius § 8 e ss.) Altre critiche non meno diffuse e severe riguardano la trasposizione del modello di questione fuori dalle scienze fisiche. L’idea riduzionista di scienza propria dell’epistemologia neopositivista, fondata sulle metodologie di misurazione ed osservazione induttiva, nonché sulla logica matematico-deduttiva, è poco verosimile e difficilmente praticabile particolarmente nell’ambito delle scienze umane. Come si è accennato, si è giunti ad una sorta di mitizzazione delle quantità e della misura e si sono così prodotte inutili forzature della realtà.

Nell’epistemologia contemporanea vi è diffusa consapevolezza che i metodi delle scienze sono toccati dalle diversità che le caratterizzano; che diversi livelli di realtà sono propri di differenti contesti scientifici; che in particolare il monismo metodologico non s’attaglia a scienze come la psicologia e la sociologia che presentano caratteristiche ontologiche profondamente diverse da quelle di altre scienze, si occupano di fenomeni psichici o sociali che lasciano presupporre l’esistenza di entità certamente diverse da 32 MUSGRAVE, Senso comune, scienza e scetticismo , Cortina, 1995, p. 204 . 33 Per una diffusa analisi in proposito VILLA, Teorie delle scienze giuridiche cit. p 9 ss; 34PUTNAM, Il pragmatismo ed il dibattito contemporaneo in ID Il pragmatismo, una questione aperta, Laterza, 1992, p. 79 e s. 35 PUTNAM, Il pragmatismo cit. , p. 81 36 PUTNAM, Il pragmatismo cit., p. 82 37 PUTNAM, Il pragmatismo cit. , p.78

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quelle postulate dalle scienze naturali; e che in tali ambiti è particolarmente difficile proporre un modello di spiegazione causale di tipo nomologico deduttivo38.

§ 7.2 . I limiti del modello nomologico deduttivo nell’esperienza giuridica. – L’insufficienza del paradigma nomologico deduttivo si è manifestata in modo concreto e vistoso proprio nell’esperienza giurisprudenziale. Quando la giurisprudenza ha tentato di adeguarvisi ha compiute una serie di forzature della realtà che si sono rivelate ed hanno denunziato l’insufficienza del modello di spiegazione proposto. Si può dire che una delle più significative chiavi di lettura della recente giurisprudenza è proprio in questo tentativo fallito. E’ allora tentare di capire le ragioni di tale insuccesso. La pratica del diritto si nutre di approssimazioni, sicchè l'idea di una certezza attenuata, espressa da una fortissima probabilità, non è per nulla intrinsecamente inaccettabile, purchè essa venga intesa in tutto e per tutto per quella che è e per quella che è stata la sua origine storica, che va ricercata nella discussione sul metodo delle scienze fisiche, ove si riscontrano approssimazioni assolutamente stringenti. In un sistema di sapere fondato sull'induzione, cioè sulla ripetizione delle osservazioni, la probabilità logica costituisce in effetti una enunciazione discussa ma coerente, connessa al carattere infinito delle osservazioni possibili: la incalzante ripetizione delle osservazioni sorregge la teoria fondata sulle osservazioni ed accresce la sua “probabilità”. Allora, la probabilità logica è comunque un'approssimazione alla certezza sorretta da una serie altissima di osservazioni confermative severamente controllate, che consentono l'enunciazione di una "legge". Quando non si dispone di un'approssimazione siffatta non si dispone di una "legge" da utilizzare in chiave deduttiva e non è quindi possibile fare applicazione del modello nomologico-deduttivo, proprio perché non si dispone di un’informazione certa o "quasi" certa e comunque rigorosamente controllata, da utilizzare nel procedimento inferenziale. Una legge statistica, proprio perché ammette eccezioni, già indica di per sé l'assenza di necessità e il minimo che si possa esigere è che essa sia vicinissima all'universalità, ossia che la frequenza relativa che essa esprime sia vicinissima a uno39. Naturalmente, tale probabilità accuratamente approssimata alla certezza e come tale ad essa assimilabile è cosa diversa dal criterio di probabilità usato sovente in diritto per diverse ragioni. In primo luogo la probabilità statistica dell'enunciazione esplicativa, in moltissimi casi, non è per nulla vicina ad uno ed esprime valori indicativi di una approssimazione assai lontana dalla certezza. Inoltre il valore numerico della probabilità statistica è frequentemente ignoto. Si parla allora di probabilità in senso soggettivo, quasi intuitivo. L'idea di probabilità assume allora, nel migliore dei casi, il valore di una sofferta, controllata approssimazione alimentata per un verso dall' incertezza delle generalizzazioni e per l'altro dal carattere empirico e non sperimentale dell'indagine, nella quale operano molteplici fattori che interagiscono tra loro finemente, in un modo talmente complesso e spesso ignoto da non poter essere riprodotto nell'ambito della simulazione controfattuale. Quando si è in presenza di un siffatto genere di probabilità, che sovente si accompagna ad aggettivi quanto mai vaghi e non misurabili, il ricorso al modello di spiegazione nomologico è obiettivamente insufficiente.

Tale premessa ha importanti ricadute: i riferimenti spesso contenuti nelle trattazioni dottrinali e nella giurisprudenza alla probabilità logica costituiscono, quasi sempre, nulla più che una suggestione verbale. Infatti, mai o quasi mai, scendendo al concreto, si è in presenza di una "vera" legge statistica, bensì d’incerte, lacunose informazioni statistiche. Né mai nelle trattazioni viene spiegato cosa s'intenda in concreto per probabilità logica, al di là dell'introduzione di un'espressione sostitutiva, la "credibilità razionale". Purtroppo non si spiega neppure cosa sia la credibilità razionale: se essa sia riferita alla forza della "legge" statistica applicata o ad altro. Se si fa riferimento alla "legge", valgono le osservazioni poste prima: una legge logicamente probabile è solo quella asseverata in modo stringente dall'osservazione induttiva. Se si fa riferimento ad altro, estraneo al rigore intrinseco della legge, è chiaro che si è fuori da un modello di spiegazione di tipo nomologico cui si dichiara adesione, e cadono così le stesse premesse del discorso.

In conclusione, restando sul terreno dell’esperienza giuridica, il paradigma nomologico deduttivo, indipendentemente dalle ( fondate) critiche cui si è stato storicamente sottoposto, può trovare applicazione solo in contesti nei quali sono disponibili generalizzazioni che assumono propriamente la veste di leggi nei termini prima indicati. Esso diviene tanto più inutilizzabile quanto più ci si allontana da settori nei quali dominano teorie scientifiche convincenti ed ampiamente confermate, e ci si muove in ambiti nei quali le ipotesi esplicative sono diverse o si giunge addirittura ad aspetti della vita umana nei quali elaborazioni

38 VILLA, Teorie delle scienze giuridiche cit. p. 27 ss. 39 AGAZZI, La spiegazione causale di eventi individuali ( o singoli ), in Riv. it. dir. e proc. pen. , 1999, 400 ss. ̧

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scientifiche difettano del tutto. Certamente non possono essere utilizzate secondo lo schema nomologico le massime d'esperienza. Le affermazioni di segno contrario che talvolta si rinvengono in giurisprudenza non sono condivisibili: l'errore è sempre quello di utilizzare in chiave deduttiva generalizzazioni che non sono per nulla affidabili ed approssimate a certezza., scambiando per "leggi" enunciazioni che possono valere solo come ipotesi più o meno forti da sottoporre, comunque, a verifica nel contesto del caso concreto.

In particolare, il modello nomologico non è quasi mai applicabile all'ambito dei giudizi inerenti alle attività professionali, solitamente caratterizzati da complesse interazioni eziologiche, e particolarmente nell’ambito della professione medica. Sul punto la dottrina medico-legale ha prodotto osservazioni veramente illuminati: essa ha una visione dell’indagine causale di tipo induttivo, cioè fondata sui fatti caratteristici di ciascuna evenienza, conformemente alla complessità ed irripetibilità di ciascuna vicenda, fortemente caratterizzata, di solito, dall'interazione di numerosi fattori causali. Da questo punto di vista l’approccio è simile a quello dell’indagine clinica: non si tratta di dedurre da premesse certe conclusioni logicamente rigorose, ma di basarsi su osservazioni fondate statisticamente e probabilistiche, di raccogliere tutti i dati inerenti l'ambito biologico, e di risalire ad ogni antecedente causale di un evento sottolineandone i caratteri e le modalità d'azione ed interazione nel complesso processo che conduce all'evento. Su tali basi, non potendo avvalersi del metodo matematico, viene espresso un giudizio esclusivamente sulla base di considerazioni logiche e di sintesi valutative. Un metodo lontano dall'astratta assiomaticità del ragionamento nomologico deduttivo, come è del resto naturale se si considera che nell'ambito della scienza medica si dispone di una vasta congerie di informazioni scientifiche, ma non si riscontra quasi per nulla un apparato nomologico capace di porsi quale premessa maggiore di un ragionamento deduttivo. Tale metodo empirico è assai affine a quello delineato dalle Sezioni unite; ed è particolarmente interessante rilevare che esso muove proprio dalla lucida critica del modello d'indagine proposto dalla dottrina penale dominante e dalla constatazione del carattere astratto, assiomatico del ragionamento nomologico deduttivo. Come si vede, tale analisi compiuta dall'interno della scienza medica evidenzia con argomenti tratti dalla prassi scientifica il carattere irrealistico del modello di spiegazione causale di tipo rigidamente nomologico. Il fatto, tanto semplice quanto negletto, è che l'apparato nomologico ipotizzato non esiste quasi del tutto.

Le ragioni sin qui esposte per evidenziare le ragioni dell’insufficienza del modello nomologico trovano una preciso riscontro nella prassi giudiziaria. Quando, nell’ambito dell’indagine causale in tema di responsabilità medica, la Suprema corte ha tentato d’impostare la risoluzione del problema causale in chiave nomologica non avendo in realtà la disponibilità dell’apparato nomologico vagheggiato, si è trovata a dover utilizzare in chiave deduttiva informazioni statistiche, spesso assolutamente vaghe, in parte anche contraddittorie, basate sull'analisi di pochissimi casi, che -contrariamente a quanto assunto dal lessico giudiziario- non sono né una legge né una regolarità utilizzabile in chiave deduttiva. Ha allora pensato di poter enunciare la possibilità di utilizzare in chiave deduttiva generalizzazioni affidabili ma prive di un margine di approssimazione ad uno assolutamente stringente.

In realtà, come si è accennato, non è possibile esprimere il giudizio di responsabilità valendosi del calcolo statistico delle probabilità quando le generalizzazioni utilizzate non hanno margini d’incertezza assolutamente tenui, giacchè ciò implica l’accettazione formale della possibilità dell’errore. L’approccio nomologico deduttivo espresso recentemente dalla Corte suprema e poi censurato dalle Sezioni unite appare insoddisfacente proprio a causa dell’erroneità della sua premessa metodologica: quella di postulare la risoluzione del problema causale solo sulla base della forza esplicativa delle generalizzazioni utilizzate, anche quando esse non sono rigorosissime; e di trascurare la lettura critica di tutte le specifiche contingenze del caso concreto.

La constata insufficienza del modello nomologico deduttivo incoraggia a saggiare l’alternativo modello ipotetico-deduttivo che, senza ovviamente abbandonare l'approccio nomologico, lo colloca più incisivamente nello specifico contesto del caso esaminato e valorizza la ricerca e l'analisi critica di tutti i fattori presenti ed interagenti. Si tratta di un modello simile non solo all'empiria della vita quotidiana ma anche, per quel che qui interessa, all'indagine medico-legale che di fatto basa la sua metodologia fondamentalmente su una serie di controlli critici sull'ipotesi iniziale, appunto secondo il popperiano modello ipotetico-deduttivo. Del resto, la consapevolezza dell'utilità di un approccio di tipo congetturale secondo il modello popperiano sembra ora farsi strada nella dottrina medico-legale, che tende a privilegiare

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la verifica empirica delle proposizioni scientifiche rispetto alla deduzione logico-matematica. Lo stile dogmatico non appartiene alla conoscenza scientifica che procede attraverso gli errori e le verifiche40.

La parola d’ordine che sembra possa contrassegnare tale stile di pensiero è: le generalizzazioni disponibili vanno confrontate con le emergenze del caso concreto nella prospettiva di pervenire ad una teoria esplicativa di quello stesso caso. Occorre vedere un po’ più da vicino di cosa si tratta.

§ 8. Il pensiero ipotetico deduttivo falsificazionista. - Commentando il dibattito HEMPEL-DRAY, ANTISERI osserva che la teoria hempeliana pone in luce un aspetto dell'indagine che certamente non può essere trascurato. Infatti non vi può essere spiegazione senza leggi di copertura: se si cerca di comprendere come è avvenuto un determinato incidente automobilistico non è possibile fare a meno delle leggi dell'ottica che spiegano l'abbagliamento, di meccanica che spiegano il fracassarsi della macchina e di biologia che spiegano la morte del guidatore. Tuttavia tali leggi sono date per scontate e non presentano solitamente aspetti problematici. Nella spiegazione dell'incidente si presentano invece diverse questioni problematiche che vengono affrontate e risolte in chiave congetturale: è accaduto un incidente stradale …"si guardano le condizioni che hanno provocato il disastro e il loro intrecciarsi, cioè il come si sono presentate queste condizioni. Si ipotizza che il guidatore fosse un po’ brillo, (e si cerca di controllare questa ipotesi singolare) si guardano le gomme nell'eventualità che fossero troppo lisce; si controlla lo stato die freni; si cerca di vedere se sulla strada ci fossero già delle macchie d'olio, ma occorre ancora accertarsi se quest'olio è quello perduto nell'incidente dalla macchina o se c'era già prima, e allora si fanno delle analisi chimiche; e poi, chi c'era accanto al guidatore? Il guidatore aveva il sistema nervoso scosso? Sulla strada venivano altre macchine in senso contrario? Tenevano accesi i fari abbaglianti? O semplicemente un cane attraversava la strada?" e così via. Emerge così che l'indagine " è consistita nella ricostruzione della situazione, in una serie di problemi che scoppiavano uno dopo l'altro, di congetture formulate per tentare di rispondere a tali domande e di prove di queste congetture per arrivare infine alla congettura risolutrice che, alla luce dell'evidenza disponibile, appare al momento la meglio corroborata41.

Lo stesso ANTISERI in un recente saggio ha tratteggiato nei medesimi termini lo stile dell’indagine clinica finalizzata alla diagnosi, che appare per molti versi simile all’indagine che si compie nell’ambito medico-legale. Anche l’atto diagnostico è un procedimento esplorativo che avanza per congetture e confutazioni. E’ un dialogo spesso rapido tra le ipotesi proposte dalla mente del medico e le osservazioni. La diagnosi come qualsiasi altra ipotesi si prova sulle sue conseguenze42.

C'è allora da chiedersi cosa sia esattamente questa diversa ricostruzione dell'accadimento che fa leva sulla risoluzione in chiave congetturale delle situazioni problematiche che si dipanano inevitabilmente in un'indagine fattuale ed aspira ad una teoria fattuale corroborata.

Si tratta di un'elaborazione che ha trovato espressione compiuta nell'opera di POPPER, ma trova radici assai profonde nel pensiero ipotetico43, a lungo sommerso, ha avuto in PEIRCE un interprete tanto importante quanto trascurato ed è stato alimentato dalla filosofia pragmatista. Tale scuola di pensiero ha assunto la sua forma più matura attraverso la teoria falsificazionista, che connette vigorosamente, in chiave critica, le teorie con i fatti e che risponde quindi alle attese di chi (come il giudice) persegue quelle istanze di oggettività e razionalità cui si è ripetutamente fatto cenno. Essa costituisce uno strumento convincente, assai

40FIORI, Medicina legale della responsabilità medica, Giuffrè, 1999, p. 59 e s. Nello stesso senso quanto all configurazione della metodologia medico-legale come controllo critico sull'ipotesi iniziale sia pure in modo solo accennato, G. GIUSTI, Le incomprensioni tra scienza giuridica e scienza medico-legale, in Riv. it. med. leg. , 1980, p. 750; 41 ANTISERI, in introduzione a HEMPEL, Come lavora uno storico, Armando, 1977, p. 64 s. 42 ANTISERI, Epistemologia contemporanea e logica della diagnosi clinica , in ANTISERI, FEDERSPIEL, SCANDELLARI, Epistemologia, clinica medica e la questione delle medicine eretiche, Rubettino, 2003, p. 36 ss. “ Il clinico procede nelle argomentazioni di prova della sua diagnosi in questo modo: se la mia diagnosi è giusta, allora dovrebbe per esempio darsi che: l’anamnesi deve portare in evidenza i fatti T1, …. Tn, le analisi di laboratorio dovrebbero dare i risultati p1…pn, la radiografia dovrebbe mettere in luce i dati R1, ....R2, la terapia dovrebbe portare agli esiti E1, …. E2. Se i controlli risultano negativi, se cioè gli effetti previsti non si verificano, allora il clinico cadrà ancora sotto le morse del dubbio….Sotto la pressione del dubbio egli proporrà una nuova diagnosi anch’essa controllabile sulle proprie conseguenze. 43 Per una sintesi antologica del pensiero ipotetico ANTISERI, La logica dell'ipotesi in Ernest Naville e l'ipotetismo tra ottocento e novecento, in introduzione a NAVILLE, La logica dell'ipotesi, Rusconi, 1989.

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utilizzato in molti campi di ricerca, sorretto com’è dalla convergenza tra il punto di vista psicologico e quello logico.

Partiamo dal pensiero di sorprendente chiarezza di MEDAWAR, personalità che coniuga i talenti del ricercatore e dell'epistemologo. Muovendo dalla propria esperienza nel campo della ricerca biologica, l’autore coglie le movenze del pensiero ideativo e le strategie attraverso le quali esso rafforza la “fiducia” nelle mete via via conseguite, e le definisce con una tale finezza che -forse- ogni lettore potrà riconoscervi i tratti del proprio agire ideativo.

Anche MEDAWAR parte dal principio d’induzione: al centro dell’induzione sta l’opinione, apparentemente innocente, secondo la quale il pensiero che conduce alla scoperta scientifica, o alla proposta di una nuova teoria scientif ica, è logicamente spiegabile e descrivibile. Anche se non appaiono nell’atto, i processi di ragionamento e le azioni logicamente motivate che conducono lo scienziato verso quella che egli ritiene la verità possono essere rivelati da un’analis i retrospettiva. Nella considerazione induttiva è lo stesso procedimento di raggiungimento di un’idea, o di formulazione di una proposizione generale, che può essere logicamente analizzato. Ne consegue che , nello schema induttivo, scoperta e giustificazione costituiscono un unico atto di pensiero: ciò che ci conduce a formarci un’opinione è anche ciò che giustifica il fatto che noi manteniamo tale opinione; i procedimenti intellettuali che ci portano verso una generalizzazione costituiscono il terreno stesso su cui si basa la supposizione che tale generalizzazione sia vera44. In realtà l’induttivismo nella letteratura scientifica è solo un atteggiamento che gli scienziati scelgono quando va su il sipario e il pubblico li vede. “Nella vita reale scoperta e giustificazione sono quasi sempre due diversi procedimenti. Una metodologia che voglia essere sana deve tener conto di tale diversità e chiarirla” 45 .

L’induttivismo non solo non offre un’idea del reale andamento dell’ideazione, ma presenta alcuni vizi che possono essere così sintetizzati: - Tale teoria non fornisce un incentivo formale ad effettuare un’osservazione piuttosto che un’altra. Non produce una teoria dell’incentivazione o della motivazione .46 -- Più spesso che del tutto rifiutate, le teorie vengono emendate; e una metodologia della rettifica (variante logica del feedback negativo) è qualcosa che dobbiamo aspettarci di trovare in ogni soddisfacente spiegazione formale del ragionamento scientifico 47. - L’induttivismo non offre una spiegazione adeguata della possibilità dell’errore scientifico. L’errore non dipende di solito da un’errata interpretazione dei fatti. Quello che dimostra l’inadeguatezza o l’erroneità di una teoria non è, di regola, la scoperta di uno sbaglio nelle informazioni sulla base delle quali la teoria stessa è stata proposta; molto più spesso è la prova contraddittoria prodotta da una nuova osservazione .48 - La teoria classica dell’induzione non rivela alcuna chiara comprensione della funzione critica della sperimentazione. - Soprattutto, noi di rado ragioniamo induttivamente. Il ragionamento induttivo costituisce un processo semplice, chiaro e quasi banale: un ragionamento “logico”nel senso che può essere realizzato mediante una formula o uno schema meccanico : un ragionamento che è o può essere conclusivo soltanto se i fatti empirici , così come sono stabiliti rappresentano solo e tutta la verità .

Al contrario di quanto accade nell’ambito dell’epistemologia induttivista, secondo la metodologia ipotetico-deduttiva la scienza non è spinta in avanti per via logica. Il ragionamento scientifico è un dialogo esplorativo che può sempre risolversi fra due episodi di pensiero, l’uno immaginativo e l’altro critico, che s’alternano e agiscono uno sull’altro. Nell’episodio immaginativo lo scienziato si forma un’opinione, concepisce una certa veduta, avanza una congettura sulla base delle informazioni in suo possesso, da cui può essere spiegato il fenomeno sul quale si indaga. Esplicitamente ispirandosi a PEIRCE, MEDAWAR ricorda che l’atto creativo è la formazione di un’ipotesi, perché il ragionamento ipotetico è l’unica base da cui può partire una nuova idea. Il processo attraverso il quale si giunge a formulare un’ipotesi non è illogico ma alogico, ossia estraneo alla logica. Una volta però che ci si sia formata un’opinione la si può sottoporre a critica, generalmente mediante sperimentazione ; e questo episodio di pensiero appartiene alla logica , e della logica fa uso , perché consiste in una prova empirica delle conseguenze logiche delle nostre opinioni. Formata l’ipotesi diciamo: se la nostra ipotesi è giusta ne consegue che... Se le nostre predizioni si confermano logiche e non caduche trova giustificazione un aumento della nostra fiducia nell’ipotesi affacciata 49 .

44 MEDAWAR, Induzione e intuizione nel pensiero scientifico , Armando, 1974, p. 50 . 45 MEDAWAR, Induzione cit. , p. 52 . 46 MEDAWAR, Induzione cit. , p. 55 . 47 MEDAWAR, Induzione cit. , p. 56. 48 MEDAWAR, Induzione cit. , p. 60 . 49 MEDAWAR, Induzione cit. , p. 76 .

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Il ragionamento scientifico è perciò un dialogo tra due voci, una immaginativa, l’altra critica; un dialogo tra il possibile e l’attuale , tra la proposta e la realtà, l’ipotesi e la critica , tra ciò che può esser vero e ciò che di fatto lo è. “In questa concezione del pensiero scientifico immaginazione e critica si integrano a vicenda. L’immaginazione senza critica può scoppiare in una comica profusione di nozioni grandiose e stupide. Il ragionamento critico da solo è sterile”50.

Se accettiamo l’idea che il ragionamento scientifico è una specie di dialogo fra il possibile e il reale, riduciamo il dominio delle scienze a una sola categoria delle opinioni possibili , ossia a quelle sole opinioni che per principio sono passibili di modifica attraverso un esame critico. Il criterio della verificabilità va così sostituito col criterio della falsificabilità. Condotta nel modo giusto la deduzione ci garantisce che, se le nostre ipotesi sono vere, debbono necessariamente esser vere anche le inferenze che da esse si traggono. Se, perciò, un’ipotesi conduce ad aspettative che non vengono confermate, deve necessariamente esservi qualcosa di sbagliato. Tuttavia, se le nostre aspettative vengono confermate, ciò non vuole assolutamente dire che le ipotesi che ad esse ci hanno condotto siano vere, in quanto anche ipotesi false possono condurre a conclusioni vere. 51

Il criterio della falsificabilità definisce la distinzione fra le proposizioni che appartengono alla scienza e al mondo del buon senso e le proposizioni che, nonostante appartengano a qualche altro discorso, non vengono respinte come assurde 52. Sotto tale riguardo la sensatezza e la coerenza sono condizioni necessarie ma non sufficienti per un processo intellettivo che vuol chiamarsi del buon senso o anche scientifico. Tutte le teorie devono avere senso, ma inoltre ci si attende che si conformino alla realtà, che siano empiricamente vere, che si confrontino coi fatti 53 .

L'Autore, nella sua seducente esposizione, lascia infine il contesto scientifico per dir igersi sul terreno, caro al giurista, della vita ordinaria: il metodo ipotetico-deduttivo non è un procedimento caratteristicamente scientifico e neppure caratteristicamente intellettuale. “ E’ puramente un contesto scientifico per un molto più generale stratagemma , che sta sotto quasi tutti i procedimenti regolativi, o i procedimenti di controllo continuo: precisamente la retroazione (feedback), o controllo dell’esecuzione attraverso le conseguenze dell’atto eseguito. Nello schema ipotetico-deduttivo, le inferenze che traiamo da un’ipotesi sono, in un certo senso, il suo logico prodotto (output). Se esse sono vere, l’ipotesi non ha bisogno di essere modificata, ma una correzione è d’obbligo se esse sono false. La continua retroazione dall’inferenza all’ ipotesi è implicata nella spiegazione del metodo scientifico ” 54. Ogni scienziato scorgerà la struttura intellettuale della ricerca che compie nella rapida alternanza di episodi intellettuali immaginativi e critici: ipotesi e deduzione, feedback e modificazione dell’ipotesi. Tuttavia tale incedere è proprio di quasi tutti i processi esplorativi o investigativi nella vita normale 55 e nella comprensione storica 56

Lo schema generale di pensiero ipotetico-deduttivo così delineato è per MEDAWAR una sintesi di immaginazione e temperamento critico. Esso offre un quadro ragionevolmente vivo dell’indagine scientifica considerata come una forma di comportamento umano; e fa della scienza un fatto veramente umano : “ un potenziamento del buon senso esercitato con la fermissima determinazione di non persistere nell’errore , se un esercizio della mano o della mente può liberare dall’errore stesso.” 57

Pare che l’analisi di MEDAWAR, compiuta dall’interno della ricerca scientifica, fornisca notevoli spunti di riflessione: l’indagine scientifica ed in genere il pensiero problematico razionale costituiscono espressioni di un “generale stratagemma” dialettico mosso dal pensiero immaginativo; uno sviluppo del senso comune sorretto da un’inflessibile vocazione critica. Come si vede, proprio la valorizzazione, sia pure in chiave critica, del senso comune distingue tale elaborazione rispetto a quella nomologico-deduttiva che, come si è ripetutamente sottolineato, ripudia il senso comune.

In particolare, in tale quadro estremamente persuasivo e realistico, appare che nel pensiero ricostruttivo del giudice, nelle situazioni fattuali problematiche, le generalizzazioni tratte dall’esperienza vanno inserite con una variabile misura di ipoteticità o problematicità nel processo di feedback che incessantemente trascorre dalla teoria ai fatti, dall’ipotetico al reale.

50 MEDAWAR, Difesa della scienza, Armando, 1978, p. 27 . 51 MEDAWAR, Induzione cit. , p. 79 . 52 MEDAWAR, Induzione cit. , p. 79 . 53 MEDAWAR, Difesa cit. , p. 37 e s. 54 MEDAWAR, Induzione cit. , p. 85 . 55 MEDAWAR, Difesa cit. , p. 112 . 56 MEDAWAR, Difesa cit. , p. 36 . 57 MEDAWAR, Induzione cit. , p. 88 e s.

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La sintesi che si è proposta del pensiero di MEDAWAR trae dichiaratamente ispirazione dall'epistemologia popperiana. Ad essa pare utile attingere per cogliere meglio un aspetto che interessa particolarmente al giurista, quello della giustificazione dell'ipotesi che, come si è visto, viene ricondotto al confronto critico tra la teoria ed i fatti, nel tentativo di porla in crisi, di falsificarla.

§ 8.1 - Il modello ipotetico-deduttivo nel pensiero di K. POPPER. - L’epistemologia ipotetico-

deduttiva trova la sua più piena espressione nel pensiero di K. POPPER. Essa, sebbene sorta sul medesimo terreno storico e culturale di epistemologia delle scienze empiriche nel quale maturò il pensiero neopositivista, e pur essendo caratterizzata da quella forte istanza di oggettiv ità cui si è ormai più volte fatto cenno, presenta soluzioni assai differenti ed addirittura antitetiche in più punti essenziali. Si tratta di un’elaborazione che ha avuto un’enorme influenza in moltissimi ambiti e costituisce un utile strumento pure per il giurista nell’approccio all’inferenza fattuale. Pare perciò utile dedicarvi un cenno un po’ ampio, non prima di aver chiarito che si tratta di una dottrina che trova una diretta ascendenza nella scuola di pensiero ipotetico e segnatamente nell’opera di PEIRCE evocata pure dalle Sezioni unite.

Il punto di partenza è costituito dal rifiuto del principio d’induzione. La critica humiana ha posto in luce nel modo più definitivo che , essendo infiniti i fatti osservabili, nessun numero di proposizioni di controllo vere può giustificare, da solo, la pretesa che una teoria universale esplicativa sia vera 58. POPPER audacemente ne trae le conseguenze estreme: l’induzione non esiste, è un “mito” 59. Noi non facciamo quasi mai inferenze induttive, nè facciamo uso di procedure induttive. L’impossibilità di fare inferenze verificanti dall’osservazione alla teoria lascia però aperta la possibilità di fare inferenze falsif icanti; un’inferenza dalla verità di un enunciato osservativo (questo è un cigno nero) alla falsità di una teoria ( tutti i cigni sono bianchi ) può essere perfettamente valida dal punto di vista deduttivo 60 . Ciò può essere enunciato dal punto di vista logico affermando che la conoscenza avviene in chiave deduttiva. La derivabilità o deduzione implica essenzialmente la trasmissione della verità e la ritrasmissione della falsità : in un’inferenza valida la verità è trasmessa dalle premesse alla conclusione . Ma la falsità è anche ritrasmessa dalla conclusione ad (almeno) una delle premesse , e questo accade soprattutto nelle controprove o confutazioni e nelle discussioni critiche 61 . La logica deduttiva è dunque l’organo della critica: la ripercussione della falsità dalla conclusione alle premesse è un corollario della trasmissione della verità dalle premesse alla conclusione 62 .

Nella vita quotidiana, considerando le cose da un punto di vista psicologico, accade qualcosa di molto simile allo schema deduttivo e falsif icazionista delineato in chiave logica: in ogni gesto dell’esperienza si procede per tentativi ed eliminazione degli errori . I vari tentativi corrispondono alla formazione di teorie in competizione ; e l’eliminazione degli errori corrisponde all’eliminazione di teorie mediante controlli che pongono in luce fatti che le confutano 63 .

Il parallelismo tra ciò che avviene nell’esperienza quotidiana e nella ricerca scientifica porta POPPER a definire il principio euristico di “transizione” : in linea del tutto generale ciò che vale in logica vale anche -purchè sia opportunamente tradotto- in psicologia

Il passaggio dal quadro della vita comune al metodo della scienza avviene con la creazione del linguaggio descrittivo ed argomentativo. La formulazione linguistica delle teorie ci permette di criticarle. Appare così accanto alla conoscenza soggettiva , intesa come processo intellettivo di comprensione, la conoscenza “oggetiva” costituita dal contenuto logico delle teorie , congetture , supposizioni . Esempi di conoscenza oggettiva sono teorie pubblicate in giornali e libri e immagazzinate in biblioteche; discussioni di queste teorie; difficoltà e problemi messi in luce in connessione con queste teorie 64. Solo la conoscenza oggettiva è criticabile e la conoscenza soggettiva diviene criticabile solo quando diviene oggettiva, quando cioè noi esponiamo ciò che pensiamo e ancor più quando lo scriviamo e lo stampiamo 65 .

L’ultimo ingrediente (per così dire) del metodo scientifico è un atteggiamento consapevole e sistematico di critica verso le nostre teorie. Si tratta di un aspetto sul quale POPPER insiste frequentemente. Esso è 58 POPPER, Conoscenza oggettiva, Armando, 1983, p. 26 e s. 59 POPPER, Poscritto alla logica della scoperta scientifica. Il realismo e lo scopo della scienza. Il Saggiatore, 1984 , p. 63 . 60 POPPER, Poscritto cit. , p. 78 . 61 POPPER, Conoscenza cit. , p. 400 . 62 POPPER, Conoscenza cit. , p. 54 . 63 POPPER, Conoscenza cit. , p 46. 64 POPPER, Conoscenza cit. , p. 103. 65 POPPER, Conoscenza cit. , p. 46.

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espresso nel modo più efficace con una similitudine che costituisce uno degli spunti più noti del suo pensiero: “ la differenza fondamentale tra Einstein e un’ameba è che Einstein cerca coscientemente l’eliminazione degli errori. Egli cerca di uccidere le sue teorie : è coscientemente critico delle sue teorie che, per questa ragione egli cerca di formulare esattamente piuttosto che vagamente. Ma l’ameba non può essere critica riguardo alle sue aspettative o ipotesi: esse sono parte di sé” 66. Dunque la differenza fondamentale è che “sebbene ambedue usino il metodo del tentativo e dell’eliminazione dell’errore , all’ameba dispiace sbagliare mentre Einstein ne è stuzzicato: egli cerca consciamente i suoi errori nella speranza di imparare dalla loro scoperta ed eliminazione . Il metodo della scienza è il metodo critico.” 67

L’approccio critico così sinteticamente descritto può introdurre all’esposizione della preferenza teoretica tra tesi in competizione. Il teorico sarà interessato a trovare la più controllabile fra le teorie al fine di sottometterla a nuovi controlli: si tratta quindi di quella dotata del più grande contenuto d’informazione e del più elevato potere esplicativo. Sarà in breve la “migliore” delle teorie in concorrenza in un tempo determinato. Se essa sopravviverà ai controlli sarà anche la meglio collaudata di tutte le teorie considerate. POPPER tiene a precisare ( si tratta di un punto di grande interesse ai nostri fini ) che tale teoria della preferenza non ha nulla a che fare per la preferenza per un’ipotesi più probabile in senso statistico o del calcolo delle probabilità : per grado di corroborazione di una teoria s’intende un conciso resoconto dello stato (ad un certo tempo) della discussione critica di una teoria, riguardo al modo in cui risolve i suoi problemi; il suo grado di controllabilità ; la severità dei controlli cui è stata sottoposta, il modo in cui li ha superati.

Tale approccio critico nella scienza non è al fondo dissimile dalla preferenza pragmatica: un uomo d’azione pratica deve sempre scegliere fra alternative più o meno definite , dal momento che anche l’inazione è una specie d’azione .

Tutta la conoscenza acquisita procede col metodo di prova ed eliminazione dell’errore o per congettura, confutazione ed autocorrezione. Il senso comune è sempre parte di quest’apparato 68 . Esso esprime qualcosa di vago e mutevole , gli spesso adeguati o veri e spesso inadeguati o falsi istinti o opinioni di molti uomini e dunque non costituisce un punto di partenza sicuro. Tuttavia di tale punto di partenza non è possibile fare a meno. Scienza, filosofia, pensiero razionale , tutto deve cominciare dal senso comune. Ognuna delle nostre assunzioni di senso comune da cui partiamo può essere messa in discussione e criticata con successo e respinta. In tal modo il senso comune è modificato dalla correzione. Tutta la scienza e tutta la filosofia sono senso comune illuminato 69.

L’interesse per il senso comune ed il riconoscimento del ruolo della conoscenza di sfondo nell’elaborazione dialettica del pensiero critico costituiscono alcuni dei tratti di maggior interesse del pensiero popperiano. D’altro canto proprio l’apertura -sia pure con approccio critico- alle credenze della comune esperienza vale a differenziare vigorosamente l’epistemologia del pensiero critico rispetto a quella neopositivista che -come si è accennato- si caratterizza per un reciso, radicale rifiuto del senso comune ritenuto inaffidabile e volgare. Si tratta di questione di particolare interesse nell’ambito di un’indagine sulle categorie teoriche della giurisprudenza, visto il ruolo indiscusso che vi svolgono le generalizzazioni del senso comune o massime d’esperienza. Conviene -dunque- tentare di cogliere , sia pure disorganicamente qualche altro spunto sulla conoscenza comune e sui suoi rapporti con le categorie della “verità” e della “certezza”, in vista dell’approccio metodologico alla conoscenza storica cui in definitiva l’esposizione è precipuamente diretta: il senso comune è essenzialmente realista nel senso che distingue tra apparenza e realtà. Al senso comune inoltre risale la teoria (difesa e perfezionata da A. TARSKI) della verità come corrispondenza con i fatti e la realtà: anche per la comune esperienza una teoria è vera se e solo se corrisponde ai fatti 70 . Vi è inoltre una nozione di certezza propria del senso comune che significa in breve “abbastanza certo per scopi pratici”. POPPER propone a tale riguardo alcuni esempi illuminanti che si vuole proporre in sintesi estrema: quando guardo il mio orologio che è molto fidato ed esso ticchetta e mostra che sono le otto, allora sono ragionevolmente certo, o certo per scopi pratici, che siamo abbastanza vicini alle otto. Quando compro un libro e ricevo un pence di resto sono completamente certo che la moneta non è contraffatta, giacchè l’inflazione ha fatto sì che non valesse la pena di falsificare tale moneta. Ma se molto dipende dalla verità del mio giudizio penso che dovrei andare alla banca più vicina e chiedere all’impiegato

66 POPPER, Conoscenza cit. , p. 46 . 67 POPPER, Conoscenza cit. , p. 100 . 68 POPPER, Conoscenza cit. , p. 108 . 69 POPPER, Conoscenza cit. , p. 59 . 70 POPPER, Conoscenza cit. , p. 70 .

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di guardare accuratamente il pezzo; e se la vita di un uomo dipendesse da ciò, tenterei di andare anche dal Cassiere Capo della Banca d’Inghilterra e gli chiederei di certificare la genuinità del pezzo 71. Il risultato di tutto ciò è che l’oggettiva certezza assoluta è un’idea limite . La certezza sperimentata o soggettiva dipende non solo dal grado di credenza e dall’evidenza, ma anche dalla situazione, dall’importanza di ciò che è in gioco, dalla serietà della condizione problematica in cui agiamo 72 .

Tale punto di vista può essere applicato interamente all’interpretazione storica che costituisce la forma di comprensione più solidamente ancorata al senso comune. L’attività di comprensione ha natura essenzialmente psicologica. Essa deve essere tenuta distinta dal suo esito, dallo stato finale della comprensione che è costituito dall’interpretazione. L’interpretazione costituisce un dato di conoscenza oggettiva ( un oggetto del terzo mondo nel linguaggio popperiano) , una sintesi di catene argomentative e di evidenze espressa in una teoria. La spiegazione storica costituisce una tipica teoria del caso concreto che, in quanto oggettivata, può essere sottoposta alla discussione e valutazione critica. Essa si fonda a sua volta su altre teorie e su evidenze fattuali. L’attività di comprensione che conduce alla formulazione della teoria interpretativa può essere rappresentata secondo lo schema generale di soluzione di problemi con il metodo delle congetture immaginative e della critica , o delle congetture e confutazioni. Si parte da un problema; si scorge una soluzione immaginativa, congetturale; essa viene sottoposta ad un severo esame critico consistente, per esempio, nell’uso critico di evidenze documentali, e se abbiamo a questo stato iniziale più di una congettura a nostra disposizione , consisterà anche di una discussione critica e valutazione comparativa delle congetture in competizione. Una comprensione soddisfacente sarà raggiunta se l’interpretazione , la teoria congetturale, trova conferma nel fatto che può gettare nuova luce su vari problemi, o se trova conferma nel fatto che spiega molti sottoproblemi. Tale indagine si muove sulla base di molte assunzioni teoriche, non poste in discussione almeno per il momento. Tale ordine concettuale è stato ripetutamente sintetizzato da POPPER con l’affermazione che la comprensione storica ha carattere situazionale. Essa consiste nella composizione coerente di determinate emergenze fattuali. Rispetto all’esigenza di composizione del quadro fattuale l’analisi delle generalizzazioni esplicative utilizzate nell’ambito della discussione critica ha un limitato rilievo.

Tutto ciò comporta un decisivo mutamento di quadro rispetto all’impostazione nomologico-deduttiva della storiografia neopositivista. La prospettiva si sposta dalle leggi universali e dalle generalizzazioni probabilistiche ai fatti particolari e concreti. Non si dubita affatto che anche l’analisi storica faccia ampio uso di sfondi teorici e di generalizzazioni esplicative, tuttavia esse costituiscono la parte meno problematica dell’indagine. Si tratta per lo più di leggi così ovvie e banali , così profondamente incorporate nel sapere diffuso che non vi è solitamente bisogno di specificarle e di assumerle in evidenza 73. Proprio la banalità del quadro teorico che fa da sfondo induce a concentrare l’indagine sugli elementi concreti della situazione data , sulla base della logica della situazione che trova il suo primo sostegno nell’ovvia, implicita legge generale che le persone sane agiscono di norma più o meno razionalmente . Si tratta di proporre un modello razionale che riassuma coerentemente modelli teorici dell’agire, fini ed interessi personali e gli indefiniti altri fattori di una situazione specifica. Naturalmente ( ed è ciò che qui maggiormente interessa) l’analisi della situazione problematica implicata in ogni indagine fattuale si sviluppa secondo lo schema delle congetture e confutazioni : l’analisi situazionale costituisce un tipo di spiegazione tentativa e congetturale di qualche azione umana che si riferisce alla situazione in cui l’agente si trova. Questo metodo di analisi situazionale può essere descritto come un’applicazione del principio di razionalità74.

§ 8 . 2 Il modello ipotetico deduttivo e l’esperienza giuridica. - Il realismo critico popperiano non

promette certo di risolvere magicamente i problemi che il giudice affronta nell’accertamento del fatto. Tuttavia, esso presenta per il giurista spunti che sembrano interessanti:

- nelle situazioni fattuali problematiche, le generalizzazioni tratte dall’esperienza vanno inserite con una variabile misura di ipoteticità o immaginatività nel processo di feedback che incessantemente trascorre dalla teoria ai fatti, dall’ipotetico al reale.

71 POPPER, Conoscenza cit. , p. 109. 72 POPPER, Conoscenza cit. , p. 110. 73 POPPER, Miseria dello storicismo, 1975 , p. 128 e s. 74 POPPER, Conoscenza cit. , p. 235 .

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-L’integrità morale, un maturo e rigoroso atteggiamento critico assumono finalmente non solo una dimensione eticheggiante ma anche un definito ruolo pratico: non c’è conoscenza senza un sincero, disinteressato desiderio di vedere drasticamente criticate le proprie congetture.

- Il modello situazionale è oggettivato: tenta una ricostruzione idealizzata del dato fattuale che presenta una certa misura di astrattezza rispetto a un tentativo di comprensione empatica, che tuttavia è compensata dalla sua ostensibilità, dalla sua trasposizione in una definita teoria ricostruttiva. L’idealizzazione è determinata precipuamente -pare- da una qualche tipizzazione di alcune componenti della situazione, che presenta notevole affinità con la tipizzazione insita nei modellli teorici della giurisprudenza . - La comprensione implica sempre un approccio critico, dialettico. Tuttavia la dialettica non è semplicemente una brillante contesa verbale tra opinioni a confronto sul filo della retorica. Non si tratta cioè della dialettica tradizionale ( triade di tesi, antitesi, sintesi), nella quale la sintesi va al di là sia della tesi che dell’antitesi riconoscendo il peculiare valore di entrambe e cercando di conservarne i vantaggi, pur evitandone i limiti. Per contro la dialettica popperiana tende a porre in rilievo qualche specie di contraddizione sia all’interno della teoria , sia soprattutto tra essa e alcuni fatti. Il principio di esclusione delle contraddizioni serve non a ricercare punti di vista che ci consentano di evitarle, ma ad eliminare un’ipotesi insoddisfacente 75. La dialettica come confronto tra l’ipotesi e i fatti costituisce, forse, l’aspetto più originale e fecondo del pensiero congetturale, ed è di rilevantissimo interesse anche per il giurista.

-Il punto di vista critico riguarda anche la valutazione comparativa di ipotesi ricostruttive in competizione. La discussione critica di cui POPPER parla quale strumento di approssimazione alla verità riguarda non l’aspetto per così dire verbale delle teorie, ma la loro attitudine a spiegare i fatti senza esserne smentite. La motivazione della sentenza costituisce l’oggetto di conoscenza oggettiva nel quale le ragioni critiche sono obiettivate e possono essere a loro volta sottoposte a revisione.

- La marcia di avvicinamento alla verità, cioè all’ipotesi migliore nel senso che si è detto prima, trova inevitabilmente il suo punto di partenza nel senso comune. Esso è carico di errori, ma non può farsene a meno : si tratta di teorie o ipotesi diffuse ed accolte tra gli uomini che devono costituire la base ipotetica di quel severo giudizio critico che può condurre, nella scienza come nel pensiero razionale e nel giudizio penale , al senso comune illuminato.

Tutto ciò in certo modo sdogmatizza la procedura di comprensione ed interpretazione dei fatti. La congruenza di un’ipotesi non discende dalla sua coerenza formale, o dalla corretta applicazione di schemi inferenziali di tipo deduttivo, bensì dalla aderenza ai fatti espressi da una situazione data. In particolare, la verità di un’enunciazione fattuale non può essere legata interamente a generalizzazioni induttive espresse in chiave probabilistica (nel senso frequenziale o statistico). ll problema della conoscenza nelle situazioni problematiche non può essere risolto tutto intero nella logica deduttiva della probabilità non solo perchè (per dirla con Popper) l’induzione quale criterio di verità non esiste; ma anche e soprattutto perché -su un piano più immediato- all’imputato non si può dire che è ritenuto colpevole perché è probabile (in senso statistico), che lo sia.

In particolare quando (come nel processo penale) è in gioco un’alta posta, anche se si dispone di una regola d’esperienza affidabile occorre invece rivolgersi ai fatti e quando, come nelle inferenze indiziarie, si trascorre dall’ignoto al noto sulla base di generalizzazioni tratte dall’esperienza non basta attenersi all’affidabilità delle regole, ma esse vanno confrontate con la concreta situazione problematica nella quale vengono utilizzate.

In sintesi, le generalizzazioni o massime d’esperienza, sebbene affidabili, non possono essere utilizzate acriticamente in chiave deduttiva, bensì in un’ottica problematica o ipotetica volta alla composizione del quadro fattuale con un confronto serrato tra il possibile ed il reale. Solo in tal senso -infine- potrà ritenersi “preferibile” un’ipotesi ricostruttiva. Essa sarà vera non tanto per via della coerenza verbale, della semplicità o della persuasività che sovente si sentono evocare nelle trattazioni sulle inferenze giudiziarie; bensì per la capacità di comporre e spiegare un articolato quadro fattuale senza essere confutata (falsificata) da alcuna emergenza contraria, e senza lasciar spazio ad ipotesi alternative dotate di qualche ragionevole grado di verosimiglianza. O meglio, tali attributi potranno essere utilizzati solo per significare il felice esito del tentativo di composizione del quadro fattuale, e non un’idea formale di verità, alternativa alla concezione del senso comune (e di A. TARSKI) della verità come corrispondenza ai fatti. Solo così potrà parlarsi di conoscenza oggettivata, sorretta da una stringente argomentazione dimostrativa esposta in un documento (la motivazione) frutto di discussione critica ed esso stesso suscettibile di discussione critica.

75 POPPER, Congetture e confutazioni, Il Mulino, 1994, p. 533 e s.

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Tale ideale (in senso regolativo) non è del tutto fuori della portata del giudizio penale. Non a caso proprio con riferimento alla pratica della giustizia POPPER pone l’esigenza di fondare un’epistemologia capace di proporre una concezione oggettiva della conoscenza: “ La credenza propria di un liberale -la credenza cioè nella possibilità che si diano una regolamentazione legale, una giustizia uguale per tutti, dei diritti fondamentali e una società libera- può sopravvivere alla constatazione che i giudici non sono onniscienti, che possono fare errori riguardo ai fatti e che, in pratica la giustizia assoluta non è mai realizzata appieno nei particolari casi legali. Ma ben difficilmente la credenza nella possibilità di una regolamentazione legale della giustizia e della libertà può sopravvivere all’accettazione di un’epistemologia che insegna che non ci sono fatti oggettivi; non soltanto in questo caso particolare ma in ogni altro caso; e che il giudice non può avere commesso un errore riguardo ai fatti perché , relativamente ad essi, non può avere torto più di quanto non possa avere ragione ” 76 .

E’ chiaro che la tensione verso l’ideale di conoscenza oggettiva costituisce un’antitesi rispetto alle tesi che, in modo sconfortante, risolvono la verità fattuale del giudizio nella “persuasione di argomenti probabili o verosimili” e definiscono l’argomentazione come strumento “non per stabilire una verità oggettiva o una realtà oggettiva, ma per convincere il giudice ” 77.

§ 8.3 – Il modello ipotetico deduttivo e l’inferenza fattuale. - Su tale sfondo pare necessario tentare

qualche ulteriore riflessione sul sapere esperienziale. Le generalizzazioni di senso comune esprimono l’intero universo del sapere pratico; talvolta fallaci ed ingenue, tal’altra realistiche e sensate. Esse, ineliminabile punto di partenza, vanno considerate analiticamente. Il giudice non le crea, ma neppure le accetta acriticamente. Qui il discorso è grandemente differenziato. Vi sono regole che indirizzano con successo le scelte quotidiane e che, talvolta, costituiscono la volgarizzazione di leggi scientifiche. Il successo in un contesto pratico costituisce, da un punto di vista concettuale, condizione sufficiente perchè una teoria sia scientifica, anche se l’applicazione di tale approccio implica delicati problemi atteso il carattere “confuso” in cui avvengono le applicazioni pratiche78. Tale punto di vista può essere riproposto, sia pure con ancor maggiore prudenza, nell’ambito delle generalizzazioni della vita pratica. Sotto tale riguardo ,dunque, non è certo priva di significato la sedimentazione dell’esperienza passata. MUSGRAVE , partendo dal punto di vista ipotetico-deduttivo, ne ha colto i collegamenti col senso comune osservando 79 che confutare un’ipotesi alla luce dell’esperienza passata è un modo importante di sottoporla a critica, anche se non l’unico. Ed è d’altro canto ragionevole credere in ipotesi che non sono state confutate piuttosto che in ipotesi confutate. Infine, è altrettanto ragionevole credere nell’attitudine di tale ipotesi nelle predizioni su casi futuri o su casi non osservati.

Come si è visto, il riferimento all’esperienza passata e collettiva costituisce un tratto classico delle definizioni giurisprudenziali di massima d’esperienza, che vale a distinguerla dalle mere congetture. Tuttavia , a ben vedere, occorre ammettere che l’affidabilità della regola nella maggior parte dei casi non è legata tanto all’analisi della sua conferma “induttiva” quanto -invece- al suo carattere razionale. Così, ciò che nel linguaggio legale è norma tratta da esperienze consimili ( delle quali il giudice non ha , ad esser franchi, per nulla cognizione) è sovente solo specificazione del carattere razionale dell’agente normale. Anche guardando le cose da questo punto di vista appare il carattere in qualche modo congetturale della generalizzazione; e l’analisi che si compie sulla sua “affidabilità” può esser vista non tanto come una verifica sulla sua forza deduttiva ma come una presa di misura sul suo coefficiente di problematicità e, conseguentemente, sulla problematicità dell’ipotesi sul caso concreto.

A voler tentare di schematizzare in qualche modo ciò che accade nel corso del naturale , tumultuoso progredire dell’analisi fattuale sul filo di quel processo di retroazione così ben descritto da MEDAWAR, può dirsi che la valutazione dell'inferenza ottenuta da un segno attuale significativo alla luce di una generalizzazione esperienziale, costituisce un sottoproblema nell’ambito del più generale problema relativo 76 POPPER, Congetture e confutazioni cit, p. 14. 77 ROSONI , Quae singula non prosunt collecta iuvant, Giuffrè, 1995, p. 309 e s. Si tratta della scuola di pensiero generata dalla dottrina di C. Perelman sul carattere retorico ed argomentativo della logica giuridica: C. PERELMAN, Logica giuridica, nuova retorica, Giuffrè, 1979, p. 157 e s. Come si è accennato, tale indirizzo di pensiero ha influenzato un approccio sociologico e retorico alla comprensione dell’impresa scientifica. Per una sintesi su tale complesso scenario v. M. SPRANZI, La sociologia e la retorica della scienza, in Introduzione alla filosofia della scienza, Bompiani, 1994. 78 GILLIES in GILLIES e GIORELLO, La filosofia della scienza nel XX secolo, Laterza, 1995, p. 275 . 79 MUSGRAVE, Senso comune, scienza e scetticismo , Cortina, 1995, p. 206 e s.

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all’ipotesi ricostruttiva oggetto dell’esame. Tale situazione problematica (sottoproblema) costituisce uno scenario nel quale non è improbabile che nascano altri problemi; ma qui è sufficiente mettere in evidenza che si tratta di una contingenza che reca una dimensione di incertezza da misurare. D'altra parte l’incertezza dell’inferenza non costituisce un dato isolato ma è connessa anche alla misura della problematicità del quadro probatorio, e quindi discende dall’analisi dello stato di ciascuna sua componente in sè ed in rapporto alle altre e di tutte nel loro insieme, e quindi dalla tenuta -allo stato- dell’ipotesi nel complesso. Tale andamento a spirale, se procede fruttuosamente, tende a rafforzare progressivamente la fiducia nei risultati via via conseguiti e quindi a consolidare il giudizio di attendibilità dell’ipotesi sul fatto. Ma ciò che qui conta maggiormente è che la problematicità dell’inferenza è eminentemente situazionale ; ed è quindi collegata in primo luogo ai fatti specificamente significativi nell’ambito del sottoproblema. Tali fatti potranno manifestarsi coerenti con la massima, con lo stato ordinario delle cose che essa rappresenta; o -invece- segnalare un dubbio, una diversa direttrice, un’ipotesi diversa. La definizione e soluzione dello stato problematico potrà suggerire un approfondimento che -tuttavia- non si muoverà probabilmente verso la significatività della massima, bensì verso la individuazione di altri fatti rilevanti che valgano come conferma o smentita della teoria posta in chiave problematica. Si tratta di una contingenza vividamente presente nell’esperienza del giudice. Non vi è nulla di più frustrante di uno scenario vuoto, teorico ( la pura forza esplicativa della massima), nel quale mancano segni capaci di confermare il quadro ipotetico o di suggerire realisticamente un’ipotesi alternativa incompatibile. In tale situazione anche nel giudizio compete al giudice di esperire un proprio itinerario di ricerca e valorizzazione di elementi capaci di sdogmatizzare l’inferenza: rivisitazione e ricomposizione del materiale probatorio, acquisizione di nuovi elementi di prova. Sotto tale riguardo l’art. 507 c.p.p. sembra proprio costituisca il riconoscimento più vistoso dell’insopprimibile ruolo critico del giudice. Infatti, in un processo che si sia sviluppato in modo fisiologico, nel quale cioè le parti abbiano efficacemente sorretto le rispettive ipotesi, è difficile immaginare che il giudice possa concepire e giungere a dimostrare una propria, distinta ipotesi sui fatti; ed è ben più probabile che intervenga criticamente per verificare le tesi sul tappeto, o al più in vista del possibile aggiustamento di qualche specifico aspetto di alcuna di esse.

Il procedimento di collocazione della regola nei segni concreti del processo ha struttura essenzialmente falsificazionista: si tratta -come si è detto- di valutare sul piano logico e su quello fattuale se vi siano fatti incompatibili con l’ipotesi, o se -comunque- sia prospettabile realisticamente un’ipotesi alternativa.

I segni, gli indizi si compongono in qualcosa che è diverso dalla loro somma, acquistano una definitiva forza dimostrativa in quanto sono raccolti in una teoria del caso concreto capace di mettere in ordine il quadro fattuale senza essere confutata da emergenze contrarie . Tale ipotesi , pur non essendo necessariamente ed intrinsecamente “vera” (la “verità” è un’idea regolativa) è razionalmente, ragionevomente “preferibile” sulla base di quei criteri che, con diversa intensità, guidano le scelte teoretiche e quelle pragmatiche, ed ai quali si è fatto un cenno nell’esposizione del pensiero di POPPER.

Occorre tuttavia ribadire che in tale idea di preferenza razionale per l’ipotesi più corroborata vi è un pericolo di fraintendimento: l’idea di scegliere tra due ipotesi tranciando il dubbio non può costituire una scorciatoia. La ragionevole razionalità dell’ipotesi preferibile ha un aspetto comparativo riferito alle ipotesi alternative concrete o teoriche che devono costituire, rispetto ad essa, un’eventualità inverosimile; ma essenzialmente discende dalla coerenza e soprattutto dalla ricchezza e vastità del quadro fattuale su cui si fonda. Se l’approccio ipotetico è un atteggiamento antidogmatico, esso può esistere solo sulla base di un serrato confronto con i fatti che, conseguentemente, dovranno essere strenuamente e disinteressatamente ricercati. Senza un quadro fattuale ricercato ed interrogato ai limiti del possibile non vi è razionalità dell’ipotesi. Solo così la coerenza logico-argomentativa diviene oggettiva dimostrazione.

Dunque a partire dalla ricerca dei fatti viene in luce l’atteggiamento critico e dialettico. Come si vede, la discussione sulle generalizzazioni esperienziali conduce verso la teoria dell'indizio.

Una direzione del resto colta delle Sezioni unite che, come si è visto, pure a tale ambito si è ispirata nel proporre la sua articolata soluzione in chiave ipotetica del problema dell'inferenza causale e contro la concezione sillogistica delle generalizzazioni esperienziali e scientifiche. Dunque, la pronunzia conduce ad un esito inatteso quanto sperato che va oltre il pur importante ambito causale e coinvolge la teoria dell'indizio: una soluzione antidogmatica del problema dell'inferenza indiziaria, ispirata al pensiero ipotetico80. Un risultato che conferma ulteriormente l'importanza della pronunzia, le cui complesse implicazioni, in questa direzione, non possono essere qui analizzate.

80 In dottrina per una lettura in chiave ipotetica dell'indizio IACOVIELLO, La motivazione della sentenza e il suo controllo in Cassazione, Giuffrè, 1997; FASSONE, Dalla certezza all'ipotesi preferibile: un metodo per la

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§ 9. Verso la conclusione. - Resta da chiedersi se la proposta lettura situazionale in chiave critica di

eventi singoli possa essere utilizzata negli ambiti (come quello della medicina) coperti da generalizzazioni scientifiche incerte. La risposta è cautamente positiva. Il principio ispiratore dell’indagine è sempre lo stesso: la congruenza di un’ipotesi non discende dalla sua coerenza formale o dalla corretta applicazione di schemi inferenziali di tipo deduttivo, bensì dalla aderenza ai fatti caratteristici di una determinata situazione. Particolarmente quando (come nel processo penale) è in gioco un’alta posta, anche se si dispone di una regola scientifica o esperienziale affidabile, occorre invece rivolgersi anche ai fatti: non basta attenersi all’affidabilità delle regole, ma esse vanno confrontate con la concreta situazione problematica nella quale vengono utilizzate. Si tratta di uno stile di tipo indiziario, affine a quello adombrato dalle Sezioni unite.

Tuttavia, non può nascondersi che in questo approccio si annida un pericolo insidioso: espressioni come “probabilità logica” o “credibilità razionale”, riferite ad un’indagine inerente ad un concreto fatto storico possono risultare fuorvianti, perché implicano il pericolo di accreditare nel lettore non sufficientemente avvertito l’idea che vi possano essere spiegazioni causali fondate su malferme informazioni probabilistiche di tipo statistico, che astraggano dalle contingenze del caso concreto e proiettino sulla decisione tutte le incertezze contenute nelle informazioni probabilistiche.

Le stesse espressioni, con il loro dichiarato significato valutativo, implicano il pericolo ancora maggiore di incoraggiare a cavalcarne, per così dire, la vaghezza per giungere ad una decisione risolta in chiave retorica, persuasiva: un modo diverso ma non meno inquietante di aggirare i gravosi problemi posti dall’esigenza di una rigorosa, oggettiva dimostrazione del nesso di condizionamento. Proprio alla luce della recente sentenza delle Sezioni unite, tali timori sono stati efficacemente condensati, paventando che la probabilità logica possa costituire un “ectoplasma” evocato dalla “scienza privata” di qualcuno per colmare il divario fra le statistiche e le probabilità controfattuali81.

Si è visto che il paradigma ipotetico deduttivo suggerisce un approccio piuttosto affine all’istintivo stile della giurisprudenza, fondato su una rigorosa adesione ai fatti e su una serrata analisi critica di essi, ispirato da una forte istanza di oggettività, di verità, sia pure intese solo come un ideale, un principio regolativo. Qui si è scorto un punto interessante: in sintesi estrema, quello della convergenza tra un dato psicologico (l'andamento a feedback di congettura e confutazione) ed un enunciato logico (la ripercussione deduttiva della falsità dalla conclusione alle premesse). Si tratta di un dato nuovo, aggiuntivo rispetto alla tradizionale teoria dell'ipotesi, se non altro per l'evidenza che vi assume l'aspetto critico: la teoria (nel nostro caso la teoria del caso concreto) deve confrontarsi con i fatti, non solo per rinvenirvi segni che vi si conformino, ma anche e forse soprattutto per cercare elementi di critica, di crisi.

Insomma, pur non potendosi certamente sottovalutare (tanto più nell'ottica pragmatica cara al giudice) la rilevanza degli elementi di conferma, assume rilievo pure la parola chiave "falsificazione": falsificazione con i fatti, cioè critica con i fatti.

Si discute su quale sia la prima traccia dell'uso della falsificazione ed in particolare se essa sia presente già nel pensiero di Peirce o se sia attribuibile a Popper. E' stato dimostrato che Peirce usò, nella sua vastissima produzione, il termine in questione (la proposizione ipotetica "may be falsified by a single state of things")82.

D'altra parte tale metodo forse era già presente nel pensiero medioevale 83. E un approccio problematico e critico è pure rinvenibile nell'antica storiografia greca84.

Tutto ciò è comprensibile, se si considera che il metodo per congetture e confutazioni è un naturale metodo di risoluzione di situazioni problematiche che trova applicazione con successo nella vita ordinaria dell'uomo (il dato psicologico cui si è fatto cenno).

Tuttavia non può essere neppure posto in dubbio che il falsificazionismo ha assunto tutto il suo rilievo nell'opera di POPPER e nella scuola di pensiero che vi si ispira, nell'ambito di una teoria della conoscenza realista, critica, oggettivista imperniata attorno alla teoria della conoscenza nell'ambito della

valutazione, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1995, p. 1104; Sia pure consentito di rinviare a tale riguardo a BLAIOTTA, Il realismo critico di K. Popper: un ideale di conoscenza oggettiva per il giudizio penale, in Cass. pen, 1997 p. 3689. 81 GARBOLINO, Dall’effetto probabile alla causa probabile, in Cass. pen. 2004, 82 ANTISERI, in Introduzione a NAVILLE, La logica dell'ipotesi cit. 83 ECO, SEBEOCK, in Introduzione a Il segno dei tre cit. 84 BUTTI DE LIMA, L'inchiesta e la prova, Einaudi, 1996, p. 127 ss.

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scienza: un terreno comune, per intendersi, a quello della teoria nomologico-deduttiva di stampo neopositivista.

Comunque sia, però, per il giudice non è poi decisivo inseguire indagini sulla di primogenitura e, comunque, è poco appropriato risolvere i pressanti problemi conoscitivi da cui è gravato mediante l'adesione al pensiero di un autore o di un altro. Ciò che conta realmente è che il criticismo falsificazionista è vicino al metodo naturale della risoluzione dei problemi ed offre quindi uno strumento utile ed efficace nella prassi; anche quella del giudice, che si discosta radicalmente dagli arcaici ed irrealistici modelli impostile dalle tradizionali concettualizzazioni della giurisprudenza ispirate a schemi sillogistici.

Dunque, uno strumento metodologico e logico utile. Ma utile a cosa? Non certo al conseguimento garantito dell'agognata ed inafferrabile certezza; ma certamente a tentare di conseguire la corroborazione dell'ipotesi.

La conclusione: non c'è corroborazione senza una serrata ricerca dei fatti, dei segni, che accompagnano ogni vicenda analizzata sotto il profilo eziologico; e senza un'altrettanto rigorosa analisi di tali fatti, nel tentativo di confutare l'ipotesi. Come si è già ripetutamente evidenziato, l'atteggiamento critico non è di tipo argomentativo, dialettico, ma logico; e trova la sua sintassi nei fatti. Esso, comunque, non garantisce alcunché: per quanto eroicamente si voglia investigare ed analizzare un accadimento, non è per nulla certo che si trovi un elemento di confutazione dell'ipotesi. E se pure non si trova un elemento di confutazione dell'ipotesi non è per nulla certo che essa sia fondata. Il criticismo, insomma, non ci consente di raggiungere la verità, e se pure ce lo consentisse noi non potremmo saperlo. Tuttavia, noi non abbiamo di meglio: esso costituisce, come si è visto, la base del giudizio di corroborazione dell'ipotesi cui il giudice, come lo scienziato, tende. Di certo, allora, lo scenario "vuoto" ingombrato magari solo di fallaci arzigogoli statistici, è la negazione della corroborazione. Occorre -dunque- animare la scena con i fatti: un itinerario faticoso, tutto da percorrere, per i difficili mestieri di giudice e di perito.

§ 9.1 - La spiegazione dell’evento. - Per uscire dall'astratto, si può tentare di indicare i due momenti

che segnano l’accertamento del nesso causale nel classico contesto della professione medica, al quale la giurisprudenza si è diffusamente dedicata: da un lato la spiegazione degli accadimenti, dall’altro la verifica del rilievo condizionante della condotta sanitaria mancata.

Il primo aspetto, quello della spiegazione dell’evento, propone solitamente una situazione d'incertezza determinata dal dubbio circa la possibilità di riferire un evento a differenti fattori causali: è il problema della pluralità delle cause. La questione problematica da risolvere riguarda l'attendibilità dell'ipotesi circa la riconducibilità dell'evento ad una (piuttosto che ad un'altra) classe di eventi ed alle diverse generalizzazioni esplicative disponibili; e la difficoltà dell’indagine è connessa anche alla varietà ed al peso delle diverse possibili ipotesi scientificamente accreditate di un determinato evento. Sarà quindi importante definire il contesto problematico entro il quale ci si muove. Il riferimento alla situazione problematica, al contesto, consente pure di richiamare il discorso già accennato sul carattere appunto contestuale dell’indagine causale, che si spera assuma ora un significato più definito. Si è già visto che il significato della frequenza di determinati accadimenti è influenzato dal contesto. Ed è proprio analizzando a fondo il contesto che si potrà tentare di risolvere i dubbi quasi immancabilmente presenti nell’indagine causale.

Si tratterà, in breve, di raffrontare le diverse teorie con i fatti al fine di selezionare l’ipotesi causale preferibile e di stornare il pericolo che fattori di disturbo presenti nel contesto offuschino l’indagine e mostrino una relazione causale solo apparente. Qui, la forza probabilistica delle generalizzazioni esplicative disponibili non è per nulla risolutiva. L’enunciazione in tal senso della sentenza delle Sezioni unite è pienamente condivisibile. Ad esempio, potrà accadere che anche una generalizzazione che esprime una correlazione tra una condizione ed un evento in una percentuale modesta di casi abbia un forte significato causale, quando non è configurabile (in linea di principio o solo in concreto) un’ipotesi causale alternativa. In casi del genere una non accorta utilizzazione di argomenti statistici potrebbe condurre a pensare che lo scarso rilievo probabilistico dell’informazione causale, debba condurre ad escludere il nesso causale. In realtà non è così. E’ stato già proposto (Cap. I, § 5.3) un esempio assai eloquente, tipico dell’eziologia monofattoriale, quello del veleno che produce una lesione assolutamente tipica, specifica, che tuttavia si rivela letale solo in alcuni casi, a causa delle variabili che segnano la specificità della risposta di ciascun organismo all’agente patogeno. Si tratta di una contingenza presente nelle lesioni o malformazioni conseguenti all'assunzione di un farmaco85. Anche la recente esperienza giurisprudenziale mostra frequenti

85 MAIWALD, Causalità cit. p. 98 e s.

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applicazioni di tale genere di relazione causale. Si fa riferimento in particolare alla relazione tra l’esposizione alle polveri di amianto e talune patologie, quali l’asbestosi ed il mesotelioma pleurico: tali affezioni sono tipicamente connesse in modo pressochè esclusivo, anche se non in modo immancabile, con l’inalazione dell’amianto, sicchè nei casi nei quali è stata riscontrato il protratto contatto tra il lavoratore e la sostanza, la giurisprudenza riconosce senza esitazioni il nesso di condizionamento a cagione della natura sostanzialmente monofattoriale delle malattie in questione.

Un discorso più articolato, ma non dissimile, potrà essere condotto nel caso in cui siano possibili differenti processi eziologici e tuttavia il materiale probatorio mostri segni univocamente coerente solo con uno di essi.

Pare, dunque, che non possa esservi dubbio che la tesi della necessità di un raffronto serrato tra teorie e fatti costituisca la chiave di volta dell’indagine causale.

Ne emerge la necessità di sottrarre tale indagine all’astrattezza che spesso la caratterizza e che si risolve solo nell’evocazione astratta di numeri, percentuali e simili. Un importante contributo in tale direzione potrà venire, non solo, come è ovvio, dall’accuratezza delle acquisizioni probatorie, ma anche dagli apporti del perito. Questi dovrà fornire al giudice due categorie d'informazioni: da un lato quelle di carattere generale inerenti alle modalità d'azione dei diversi fattori, allo loro incidenza statistica, agli altri fattori che interagiscono con essi e ne influenzano l'azione; dall'altro quelle relative alla presenza nel processo di segni, fatti cioè, che si presentano in accordo con l'esplicazione dal fattore considerato. Ma vi è anche un altro momento non meno importante alla luce del modello falsificazionista di cui si è parlato: si tratta di ricercare prima e di analizzare poi tutte le informazioni pertinenti possibili e di valutare infine se vi siano segni che si rivelino incompatibili con l'ipotesi accusatoria e quindi la smentiscano; e ancora di accertare se vi siano elementi che accreditino (e in che misura) l’ ipotesi che coinvolge nella spiegazione dell'evento l'alternativa ipotesi fattoriale. Tale ultimo aspetto può anche essere visto come un confronto tra ipotesi. Tuttavia occorre ripetere qui quanto già in precedenza evidenziato in linea generale: la valutazione comparativa tra teorie non può essere un modo sbrigativo per accedere comunque a quella più probabile. Si ricadrebbe così nella mai abbastanza criticata prassi di risolvere i problemi di dimostrazione del nesso causale su basi statistiche. Occorre, invece, che la teoria preferita sia in sé robusta e che inoltre non sia smentita da fatti e argomenti che abbiano un minimo di ragionevole plausibilità. Così il metodo critico falsificazionista costituisce un importante banco di prova aggiuntivo per saggiare la corroborazione dell'ipotesi. Tutto questo, se si vuole, può essere posto sotto le insegne della "probabilità logica" evocata anche dalle Sezioni unite, giacchè in fondo, un contrassegno vale l'altro, purchè sia chiaro che la valutazione complessiva in ordine alla corroborazione non è di tipo statistico ma valutativo, situazionale e critico-falsificazionista.

§ 9.2 – La dimostrazione del rilievo condizionante della condotta omessa. – Una volta conseguita

la corroborata spiegazione degli accadimenti nel loro complesso, non è ancora dimostrato il nesso condizionalistico tra la condotta umana e l’evento. In particolare nell’ambito della responsabilità medica, nella stragrande maggioranza dei casi occorrerà dimostrare che le terapie adeguate che avrebbero potuto essere attuate e che sono invece mancate avrebbero certamente scongiurato l’esito pregiudizievole per la vita e per la salute. E’ il tema del giudizio controfattuale che, come si è visto, connota la causalità condizionalistica specialmente nell’ambito dei reati omissivi impropri.

Il tema, senza dubbio assai problematico, è stato esaminato ampiamente nel capitolo terzo e qui è solo possibile evocarne nel modo più schematico i punti cruciali: l’individuazione delle situazioni nelle quali si è effettivamente in presenza di una condotta radicalmente omissiva o in cui il disvalore del fatto è espresso, comunque, da componenti omissive della condotta; i dubbi sui connotati della causalità omissiva e sulla sua autonomia rispetto a quella attiva; le discussioni sulla possibilità di ritenere in tale ambito criteri di accertamento meno rigorosi rispetto a quelli propri della causalità attiva; la possibilità di configurare in determinati contesti un’imputazione non condizionalistica.

In particolare, si è visto che la relazione tra la patologia e la reazione di ciascun paziente all’affezione ed alle cure, che è quasi sempre alla base dell’indagine medico-legale in tema di responsabilità professionale, introduce ad un aspetto altamente complesso dell’indagine causale: quello della sfumata e spesso imponderabile interazione di fattori di segno contrario nel processo che presiede all'evoluzione di una malattia. Tale interazione rende spesso assai arduo rispondere in termini di certezza alla cruciale domanda sulla attitudine dell'intervento medico omesso ad evitare l'evento lesivo.

Come si è ripetutamente avuto occasione di evidenziare, l'indagine medico-legale appare spesso insoddisfacente proprio perché, nel tentativo di adeguarsi al deprecato metodo dogmatico e sillogizzante evocato da certa parte della dottrina e della giurisprudenza, si è tentato di dare risposte a partire da

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generalizzazioni esplicative di carattere scientifico che nella maggior parte dei casi in realtà semplicemente non esistono. Si è così assistito all'altrettanto deplorevole trasformazione di incerte e lacunose informazioni statistiche in altrettante "leggi" scientifiche. In realtà, nella maggior parte dei casi si era in presenza di informazioni nelle quali il dato numerico circa l'efficacia di un trattamento non era quasi mai spiegato, cioè rapportato ai fattori interagenti nel complesso incedere della patologia. Di qui un che di astratto e quindi di insoddisfacente nella giurisprudenza. La pronunzia delle Sezioni unite (e, si spera, le riflessioni qui proposte) additano un itinerario parzialmente diverso, maggiormente centrato sul caso concreto e sui suoi segni nella prospettiva di un giudizio di corroborazione dell'ipotesi sul fatto. Anche qui, in una parola, le conoscenze scientifiche vanno raffrontate con le emergenze del caso concreto.

Occorre tuttavia dar conto che recentemente, proprio alla luce della pronunzia delle Sezioni unite, è stato posto con acutezza il dubbio che la focalizzazione dell’indagine sulle emergenze del caso concreto possa essere realmente utile nell’ambito del giudizio controfattuale, aggiungendo qualcosa alla generalizzazioni scientifiche di carattere statistico al fine di tentare di superarne le incertezze. In sintesi estrema, si è ricordato che la probabilità statistica si riferisce ad osservazioni immaginarie: anche quando sono disponibili informazioni statistiche sulla frequenza delle persone sopravvissute ad un determinato trattamento, esse non sono applicabili automaticamente alle situazioni nelle quali la persona cui si riferisce l’indagine causale non è stata trattata. Il carattere immaginativo del procedimento inferenziale esclude che la misura d’incertezza insita nella informazione statistica possa essere superata attingendo alle particolarità del caso concreto. Tali particolarità potrebbero indurre alla ricerca di leggi statistiche differenti, riguardanti, ad esempio, la sottopopolazione nella fascia di età alla quale appartiene il soggetto considerato. Le indagini sul caso concreto potrebbero pure fornire informazioni per un’appropiata collocazione del soggetto considerato entro una determinata categoria di rischio, o per escludere la presenza di fattori di disturbo che mostrano una relazione causale solo apparente. Tali investigazioni, tuttavia, non consentirebbero di pervenire, sulla base di una probabilità statistica, al controfattuale “se la condotta del medico fosse stata X allora l’evento lesivo Y non si sarebbe verificato”86.

Non c’è dubbio che l’obiezione coglie l’aspetto irresolubilmente problematico della causalità omissiva che è stata diffusamente analizzata. Proprio tale connotazione del problema del controfattuale costituisce, del resto, il motivo principale che ha indotto a concepire la possibilità di pervenire – in determinati contesti- ad un’imputazione non condizionalistica ma probabilistica.

Tuttavia, pare che l’obiezione sia fondata su una visione rigidamente statistica del problema causale e trascuri un po’ lo stile dell’indagine in giurisprudenza. Si vuol dire che non vi è dubbio che il controfattuale nella causalità omissiva è immaginativo o “doppiamente ipotetico”. Tuttavia (ed è questo il punto che si vuol rimarcare) è concreto il contesto nel quale il processo immaginativo si colloca, se si è avuta la sagacia di indagarlo. Si ritiene che proprio il contesto, caratterizzato da peculiarità significative, interagisca spesso, in qualche misura, con le informazioni generalizzanti disponibili, consentendo di conferire maggiore concretezza e concludenza all’indagine causale. Un esempio renderà più chiaro il discorso: supponiamo che si discuta della efficacia salvifica di una terapia intensiva mancata, nei confronti di un paziente affetto da una patologia cardiaca in fase critica. Non c’è dubbio che le moderne pratiche di terapia intensiva hanno una sicura efficacia nel ridurre significativamente la mortalità dei pazienti nelle situazioni critiche, quantomeno differendo l’evento. Ed è pure vero che il felice esito di tale intervento terapeutico è legato all’interazione di numerose variabili che ben difficilmente possono essere ponderate in modo accurato. E le informazioni statistiche disponibili sulle percentuali di persone che sopravvivono nell’indicata situazione critica a seguito di trattamenti adeguati non gettano una luce risolutiva sul caso concreto: per quanti sforzi si facciano, non sarà quasi possibile essere “certi” che l’intervento terapeutico mancato sarebbe stato risolutivo. Tuttavia, non sarà certo indifferente per il giudice e per il perito che il paziente sia giovane o anziano, che soffra di una patologia più o meno grave, che abbia subito già altri eventi critici, che sia affetto da altre gravi patologie che complicano il quadro clinico. Tutti questi fattori, senza dubbio significativi, non possono essere realisticamente inscritti entro le coordinate di leggi statistiche, tanto è alta la loro varietà e tanto è difficile la ponderazione della loro interazione. In queste situazioni, ciò che il modello d’indagine di tipo ipotetico 86 “Supponete di essere sicuri al 100% della verità della proposizione “l’aumento del rischio relativo nella popolazione è pari al 68,5 %, non ci sono fattori di disturbo, l’individuo fa parte della popolazione e la legge è biologicamente plausibile”: concludereste che è vera la proposizione “se la condotta del medico fosse stata X allora l’evento lesivo Y non sarebbe accaduto?. La regola ad hoc obbligherebbe ad una risposta affermativa, ma ciò di cui siamo certi è che almeno in 3 decessi su 10 la responsabilità non è da attribuirsi all’omesso intervento: perché dovremmo essere certi che l’individuo di cui stiamo trattando non è uno di questi tre?”. GARBOLINO, Dall’effetto probabile alla causa probabile cit. p.

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propone è un approccio in chiave indiziaria. Per ripetere le discusse enunciazioni delle Sezioni unite, si tratta di confrontare in chiave problematica le generalizzazioni con i fatti al fine di pervenire ad un giudizio di probabilità logica, credibilità razionale o corroborazione: un giudizio di tipo valutativo che si sottrae ad un'impossibile quantificazione numerica. Tale approccio, in qualche caso, potrà dire qualcosa di più di quanto enunciato nelle informazioni statistiche, conducendo alla dimostrazione (in termini di credibilità razionale) del nesso di condizionamento. Nel caso prospettato, ad esempio, potrà accadere che si sia in presenza di un paziente che presenti profili assolutamente tranquillanti in ordine a tutti i profili di rischio (età, condizioni generali, gravità dell’affezione, tempestività del possibile intervento intensivo, adeguatezza delle risorse tecniche ed umane disponibili ecc.) sì da condurre il giudice a ritenere con ragionevole certezza che un intervento appropriato avrebbe evitato l’ exitus in quel determinato contesto temporale.

Naturalmente, tale giudizio sarà tanto più legittimo quanto più si riterrà che le peculiarità della causalità omissiva ammettano una qualche attenuazione del parametro di razionale certezza proprio della causalità condizionalistica. Si è visto, a tale riguardo, che l’affermazione delle Sezioni unite a proposito della piena equivalenza tra causalità attiva e quella omissiva non sembrano aver chiuso definitivamente il dibattito giurisprudenziale. D’altra parte, come pure si è visto, l’evocazione contenuta nella detta pronunzia a proposito del giudizio di probabilità logica o credibilità razionale quale chiave di volta per un giudizio d’imputazione causale di tipo valutativo e non aritmetico sembra voler proprio offrire, in ambito applicativo, uno strumento rigoroso ma non “impossibile”, per risolvere i problemi causali con quel margine di approssimazione che è proprio della giurisprudenza.

Nel capitolo dedicato alla causalità omissiva si è tentato di mostrare che non di rado si riscontrano contesti nei quali la condotta attiva prescritta non è in grado di assicurare con ragionevole certezza la salvezza del bene protetto. In tali casi, come si è accennato, l’indagine causale sarà concentrata, con il consueto rigore investigativo e speculativo, sulle particolarità del caso concreto, per verificare se le “chances” teoriche di successo della terapia mancata potessero concretizzarsi nella specie.

L’indicazione verso un’indagine causale maggiormente focalizzata sul caso concreto fornisce anche qualche riflessione squisitamente applicativa. Accade spesso che l'indagine medico-legale sia fondata sulle informazioni disponibili nella cartella clinica. Si tratta di un'indagine che viene compiuta al primo avvio della ricostruzione del fatto e dalla quale si attendono risultati spesso irrealistici. Infatti, su tali basi, si dispone spesso di informazioni lacunose ed incerte, che conferiscono astrattezza alle risposte del consulente medico che, spesso, è conseguentemente orientato a dare risposte tutte centrate su informazioni statistiche sull'andamento di certe affezioni o sulle probabilità di successo di determinate terapie, senza focalizzare adeguatamente sul caso specifico.

Ancora, tenendo presente il carattere valutativo del giudizio affidato al giudice alla stregua della pronunzia delle Sezioni unite, non sarà utile porre al consulente quesiti volti ad una impossibile risposta assiomatica, certa, ma andrà piuttosto chiesto di descrivere accuratamente, leggere, analizzare i segni fattuali, di esporre tutte le conoscenze scientifiche che ne consentono una valutazione sotto il profilo dell'interazione causale, nella prospettiva dell'elaborazione della teoria del caso concreto, della spiegazione -cioè- del fatto oggetto del giudizio. Gli si chiederà, insomma, un complesso di informazioni e di valutazioni scientifiche, piuttosto che una risposta che costituisca essa la risoluzione del problema causale e del processo. Ciò comporterà certamente per il giudice un intervento più critico e penetrante nella ricostruzione degli accadimenti, non scevro da difficoltà.

§ 9.3 . La risoluzione di problemi causali nuovi. - Non meno rilevanti, infine, le conseguenze per ciò

che attiene al problema della risoluzione di un problema causale nuovo, nel quale cioè non vi sia disponibilità di preesistenti conoscenze che consentano di inquadrarlo in modo sicuro. E' proprio in tali situazioni che è nato e si è sviluppato il dibattito sull'accertamento del nesso causale che, come è ormai chiaro, costituisce il cuore del problema causale: i casi del talidomide87 e delle macchie blu88 costituiscono gli esempi più noti e dibattuti di tale contingenza. E' chiaro che se si parte dalla (criticata) giurisprudenza che immagina la spiegazione come deduzione da generalizzazioni già generatesi in precedenza e fondate sull'osservazione di casi analoghi, non è possibile ed è anzi escluso in radice, per una ragione di principio che

87 SJOSTROM-NILSSON, Il talidomide ed il potere dell'industria farmaceutica, Milano 1973. 88 Trib. Rovereto, 17 gennaio 1969, in Riv. it. dir. proc. pen. 1971, con nota di Nobili, Diniego di perizia e utilizzazione di indagini tecniche svolte in sede amministrativa. Ambedue i casi indicati sono diffusamente analizzati in STELLA, Leggi scientifiche cit.

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il giudice, con l'aiuto dei periti e del sapere scientifico possa in linea di principio, e ferme le intuitive difficoltà di una tale impresa, tentare di giungere ad una coerente, affidabile spiegazione del caso. Tale prospettiva non è invece preclusa se ci si pone sul piano dell'ipotesi e del processo quale verifica di un'ipotesi, quale è additato dalla Sezioni unite.

Si vuole brevemente ricondurre il problema alla radice, che si è evocata all’inizio di questo lavoro: l’idea di causa è parte essenziale dell’immagine che l’uomo ha del mondo ed è anche uno strumento insostituibile per la soluzione di problemi esistenziali di ogni genere che incessantemente insorgono. Così, l’idea che la risoluzione di un problema causale debba sempre sottendere una base scientifica certa precostituita e certa appare non realistica e determinata dal modo scientista d’intendere la realtà. Uno sguardo profondo sui mitici albori dell’umanita mostra già uomini intelligenti alle prese con problemi complessi, testimoniati dalle realizzazioni visibili delle civiltà antiche: l’edificazione di edifici di sorprendente complessità, la metallurgia, il calcolo di cicli astronomici complicatissimi89.

Un esempio varrà più di un lungo discorso: "Un uomo di media intelligenza si accorge di avere lo stomaco in disordine. Pur non avendo mai neppure sentito il nome di Bacone, egli col suo ragionamento procede in stretta conformità alle regole esposte nel secondo libro del Novum Organum, e si convince che la causa del suo malessere è il pasticcio di frutta secca e carne tritata. Vediamo come procede: ho mangiato il pasticcio lunedì e mercoledì e sono stato sveglio tutta la notte per l'indigestione ( comparentia ad intellectum instantiarun convenientum). Non ne ho mangiato martedì e venerdì e sono stato bene ( comparentia instantiarum in proximo quae natura data privantur) . Ne ho mangiato molto poco domenica e la sera ho avuto una leggera indisposizione; ma il giorno di Natale ne ho mangiato in grande quantità e sono stato tanto male che mi pareva di morire (comparentia instantiarum secundum magis et minus). Non può essere stato il brandy che ho bevuto col pasticcio, perché di brandy ne ho bevuto per anni senza sentirmi male (reiectio naturarrum). Il nostro malato arriva perciò a quella che Bacone chiama la vindemiatio e asserisce che il pasticcio di frutta secca e carne non fa per lui". Vi è anche qui un'analisi causale retrospettiva dei dati, ossia delle informazioni date, che procede pur senza avere conoscenze scientifiche su affezioni gastrointestinali, allergie, intolleranze90.

L’insegnamento che si può trarre da tale caso appare piuttosto chiaro: sebbene non accada frequentemente, un’indagine di tipo induttivo, alimentata dalle peculiarità particolarmente caratteristiche e chiare dei dati empirici di una determinata vicenda, può in alcuni casi condurre alla razionale spiegazione dell’evento; anche se non dispone di informazioni scientifiche ad hoc.

Peraltro, l’esempio proposto risale al diciottesimo secolo. Oggi non è più realistica l’idea di un processo causale alla cui analisi la scienza non possa apportare alcun contributo, e che debba essere risolto solo analizzando fatti fortunatamente chiari nelle loro connessioni. In realtà, anche quando non si dispone di una preesistente generalizzazione ad hoc, quasi sempre la conoscenza scientifica di sfondo aiuta ad inquadrare, ad analizzare qualche aspetto del problema nuovo. In questo senso può affermarsi che anche la risoluzione di un problema causale nuovo potrà nella maggior parte dei casi avvenire su basi scientifiche.

Certamente nelle situazioni che sono state descritte l’indagine causale dovrà essere condotta con grande rigore, secondo lo stile che si è già indicato del confronto tra l’ipotesi ed i fatti, e potrà condurre a risultati sicuri solo quando i fatti siano numerosi, rigorosamente ricostruiti e conducano tutti insieme, con coerenza, ad una spiegazione dell’accadimento che non presenta punti critici. In casi di tale genere pare non sia essenziale la presenza di un’informazione scientifiche capace spiegare analiticamente le modalità dello sviluppo dell’accertata relazione causale tra la condizione e l’evento.

Per evitare puerili trionfalismi, occorre solo soggiungere che non sempre l'itinerario indicato potrà essere percorso senza difficoltà e per intero. Gli ostacoli sono costituiti dall'incertezza del sapere scientifico e forse ancor più dall'inevitabile incompletezza delle informazioni disponibili. Tuttavia, sembra che una nuova traccia sia stata segnata per l'indagine sul fatto e per il giudizio d'imputazione causale: la strenua ricerca dei fatti e la rigorosa adesione ad essi.

§ 9.4 Le buone intenzioni e le vie dell’inferno. - Come si è accennato ripetutamente, lo stile d’indagine

di cui si è da ultimo parlato è di tipo indiziario. Non a caso, sia nella pronunzia delle Sezioni unite che nei commenti dottrinali che vi si sono ispirati, vengono evocate le classiche categorie della giurisprudenza: le massime d’esperienza, il principio del libero convincimento del giudice, l’obbligo della motivazione, le

89 DE SANTILLANA, VON DECHEND, Il mulino di Amleto, Adephi, 1983, p. 84 e ss. 90 L’esempio è tratto da MACAULAY, ed è riportato in MEDAWAR, Induzione e intuizione nel pensiero scientifico, Armando, 1974, p. 67, nota 31.

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regole di giudizio, il controllo di legittimità da parte della Corte di cassazione del complesso ragionamento probatorio che fonda la decisione sul fatto. A tale ultimo riguardo si è affermato che la garanzia del controllo di legittimità sulla motivazione “rinvia ad uno schema epistemologico che pretende la trasparenza e al comunicabilità intersoggettiva della trama giustificativa delle ragioni e della logica della decisione in fatto”; ed inoltre che il controllo sul ragionamento probatorio “debba investire non soltanto la coerenza logica ab intrinseco della argomentazioni giustificative, la congruenza interna della motivazione, ma anche la base giustificativa della premessa maggiore del sillogismo giudiziario, la cosiddetta giustificazione esterna”. Infine, si è affermato che il controllo sulla razionalità delle argomentazioni giustificative -la cosiddetta giustificazione esterna- inerisce “ai dati empirici assunti dal giudice di merito come elementi di prova, alle inferenze formulate in base in base ad essi ed ai criteri che sostengono i risultati probatori. L’analisi retrospettiva, muovendo dalle conclusioni e ripercorrendo all’indietro le linee giustificative della decisione, al fine di verificare la validità delle inferenze che la compongono ed i nessi che legano quest’ultime l’una all’altra, investe dunque non la decisione, ma il contesto giustificativo di essa, come esplicitato dal giudice di merito nella motivazione in fatto. La Corte di cassazione non può certo sostituire la propria legge di copertura a quella postulata dal giudice di merito, ma deve verificare, sotto il profilo della manifesta illogicità della motivazione, la razionale plausibilità dell’argomentazione induttiva che indica la fonte e ne radica la garanzia conoscitiva”91.

Tuttavia, ripetendo un dubbio già più volte espresso, c’è da chiedersi se tale elaborazione tenga sufficientemente conto delle difficoltà che segnano il passaggio dalle informazioni statistiche al condizionamento espresso in termini di certezza perentoriamente enunciato quale insopprimibile esigenza dell’ordinamento. Sembra che venga lasciato un po’ in ombra un aspetto dell’indagine che pure le Sezioni unite avevano acutamente adombrato, quello del raffronto dialettico tra abduzione ed induzione, l’ipotesi ed i fatti. Il punto è che non c'è corroborazione senza una serrata ricerca dei fatti, dei segni, che accompagnano ogni vicenda analizzata sotto il profilo eziologico; e senza un'altrettanto rigorosa analisi di tali fatti, nel tentativo di confutare l'ipotesi. Come si è già ripetutamente evidenziato, l'atteggiamento critico non è di tipo argomentativo, dialettico, ma logico; e trova la sua sintassi nei fatti. Esso non garantisce alcunché, tuttavia non vi è nulla di meglio. Di certo, allora, un quadro probatorio approssimato, non investigato in modo penetrante e non raffrontato con lo scenario del sapere di sfondo, rischia di essere la negazione della corroborazione. Pare, in sintesi estrema, che la logicità della motivazione debba essere soppesata anche sotto il profilo dell’analisi critica alimentata dalla serrata investigazione e ponderazione dei fatti tipici di una specifica contingenza.

§ 9.4 La verifica in ordine alla scientificità del sapere utilizzato. Infine, non si può mancare di

chiedersi se un itinerario probatorio così complesso come quello di cui si parla, spesso in bilico tra complicati scenari scientifici e non meno intricate emergenze fattuali, possa essere effettivamente gestito in modo affidabile dal giudice. Gli studi che hanno tentato di analizzare da vicino l’influenza delle informazioni scientifiche sul processo offrono un quadro desolante. Sebbene si tratti di notazioni ispirate prevalentemente dall’esperienza del processo di common law, appare utile un riferimento ai principali problemi: la mancanza di formazione scientifica dei giudici; la sprovvedutezza dei giurati cui pure compete in buona parte la responsabilità di accertare legalmente i fatti; la stessa configurazione dei sistemi di common law, secondo cui ciascuna della parti si avvale dei propri esperti che depongono in qualità di testimoni; la mercificazione degli esperti, il cui valore sul mercato dipende più dalla capacità di persuadere che dalle effettive credenziali scientifiche; il fatto che la stessa autorevolezza delle tesi scientifiche non deriva direttamente dalla loro capacità di rappresentare la realtà fisica, ma indirettamente, dalla certificazione di tali posizioni realizzata mediante numerose negoziazioni informali e spesso occulte tra i membri delle discipline interessate; il carattere “decostruttivo” delle affermazioni scientifiche nel processo accusatorio; la presenza di fattori estranei all’epistemologia nella determinazione della credibilità dell’esperto; la complessità degli incidenti e delle catastrofi di massa e la difficoltà di esaminare i fatti con sguardo neutro dal punto di vista dei valori; la provvisorietà e mutabilità delle opinioni scientifiche; la presenza addirittura di consulenze false, di manipolazioni di dati; la presenza di “scienza spazzatura” priva cioè dei necessari connotati di rigore; gli

91 CANZIO, Prova scientifica, ragionamento probatorio e libero convincimento del giudice nel processo penale, in Dir. pen. proc., 2003, p. 1193 ss. L’analisi è meritevole di particolare attenzione, poiché ne è autore l’estensore della sentenza delle Sezioni unite.

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interessi dei committenti delle ricerche92. Incertezze tutte che hanno indotto la Corte suprema degli Stati Uniti a definire, nel famoso caso Daubert, le condizioni di accettabilità della testimonianza scientifica93. Tali difficoltà appaiono in certa misura esagerate in rapporto all’esperienza del nostro ordinamento. Tuttavia il fondo di verità che vi si può scorgere induce a ritenere che il giudice non può certamente assumere un ruolo passivo di fronte allo scenario del sapere scientifico, ma deve svolgere un penetrante quanto difficile ruolo critico, divenendo custode del metodo scientifico. Da questo punto di vista il sistema processuale italiano presenta forse qualche aspetto positivo: il giudice professionista protagonista unico dell’ammissione della prova e della ricostruzione probatoria del fatto; la progressiva scansione nelle diverse fasi del processo degli elementi probatori di tipo tecnico-scientifico; l’obbligo di razionale giustificazione delle scelte decisorie secondo il modello normativo della motivazione in fatto; il controllo di legittimità della Corte di cassazione, secondo una prospettiva di coerenza e sufficienza, del complessivo ragionamento probatorio che fonda la decisone94. Tale pur confortante constatazione, peraltro, non attenua la particolare ed ineludibile difficoltà dell’indagine affidata al giudice, segnata dalla necessità di analizzare criticamente complessi scenari scientifici e fattuali.

92 CENTONZE, Scienza spazzatura e scienza corrotta nelle attestazioni e valutazioni dei consulenti tecnici del processo penale, in Riv. it. 2001, p. 1244 ss; STELLA, Giustizia e modernità, Giuffrè, 2001, p. 357 ss.; JASANOV, La scienza davanti ai giudici, Giuffrè, 2001. P. 81 e ss.. 93 La Sentenza è riportata in STELLA Leggi scientifiche e spiegazione causale, ed. 2000, p. 424; in proposito STELLA, Giustizia e modernità cit. p. 346 ss; TARUFFO, Le prove scientifiche nella recente esperienza statunitense, in Riv. trim. dir. proc. civ. 1996, 219 ; JASANOV, La scienza cit. p. 11 ss. FIORI, LA MONACA, ALBERTACCI, Le Sezioni unite della Cassazione cit.; TAGLIARO, D’ALOJA, SMITH, L’ammissibilità della prova scientifica in giudizio e il superamento del Frye standard: note sugli orientamenti negli USA successivi al caso DAUBERT V. MERREL DOWN PHARMACEUTICALS, INC. in Riv. it. med. leg. 2000, p. 719. 94 CANZIO, Prova scientifica cit. p. 1194 ss.


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