A10805
Luca PanieriLe vocali della lingua daneseManuale di fonologia descrittiva e storica
Copyright © MMXIIARACNE editrice S.r.l.
via Raffaele Garofalo, 133/A–B00173 Roma(06) 93781065
ISBN 978–88–548–4576–3
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con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: febbraio 2012
Alla carissima memoria di
mio padre Glauco e alla mia
carissima madre Licia con
infinita gratitudine
Muđrinn ok tungan er leikvǫllr
orđanna.
Anonimo islandese del XIII se-
colo, Secondo trattato gramma-
ticale
9
Indice
11 Presentazione dell’autore
13 Capitolo I
Parte Introduttiva
1.1. Primi mutamenti nel sistema vocalico originario, 13 – 1.2. Formazione
di una lingua nazionale, 19 – 1.3. Scelta di un tipo adeguato di simbologia
fonetica, 22 – 1.4. Lo “stød”, 26
31 Capitolo II
Le vocali del “rigsmål” odierno
2.1. Criteri descrittivi, 31 – 2.2. La vocale /i;/, 33 – 2.3. La vocale /i/, 35 –
2.4. La vocale /e;/, 38 – 2.5. La vocale /e/, 40 – 2.6. La vocale /æ;/, 41 –
2.7. La vocale /æ/, 43 – 2.8. La vocale /ȧ;/, 45– 2.9. La vocale /ȧ/, 49 –
2.10. La vocale /α;/, 51 – 2.11. La vocale /a/, 52 – 2.12. La vocale /α/, 55 –
2.13. La vocale /y;/, 57 – 2.14. La vocale /y/, 59 – 2.15. La vocale /ø;/, 61 –
2.16. La vocale /ø/, 62 – 2.17. La vocale /ö;/, 64 – 2.18. La vocale /ö/, 65 –
2.19. La vocale / ;/, 66 – 2.20. La vocale / /, 67 – 2.21. La vocale /u;/, 68 –
2.22. La vocale /u/, 70 – 2.23. La vocale /o;/, 71 – 2.24. La vocale /o/, 73 –
2.25. La vocale /å;/, 75 – 2.26. La vocale /å/, 78 – 2.27. La vocale /å;/, 79 –
2.28. La vocale /O/, (/å/), 79
Indice 10
83 Capitolo III
I Dittonghi
3.1. La scomparsa dei dittonghi antico-nordici, 83 – 3.2. I dittonghi danesi
in [¡], 84 – 3.3. I dittonghi danesi in [w], 85
87 Capitolo IV
L'assimilazione di /ǝ/
89 Abbreviazioni
93 Bibliografia
11
Presentazione dell’autore
Questa sintetica descrizione del sistema vocalico della lingua dane-
se è la riproposizione, leggermente modificata nello stile e aggiornata
nella bibliografia, della mia tesi di laurea dal titolo “Le vocali della
lingua danese”, discussa a Pisa nel 1984. Da allora ad oggi, purtroppo,
non sono stati pubblicati testi significativi in lingua italiana per
l’approfondimento scientifico della fonologia della lingua danese e,
più in generale, continuano a mancare validi strumenti didattici di li-
vello accademico per lo studio di questa lingua scandinava1. Questa
costatazione mi ha spinto alla decisione di dare finalmente alla stampa
un’opera, che seppur breve e frutto di un impegno giovanile, rimane
nel suo genere ancora del tutto valida e unica nel panorama degli studi
italiani di linguistica scandinava.
Essa si rivolge in primo luogo agli studenti e agli studiosi di lingue
nordiche che abbiano una certa familiarità con i concetti fondamentali
della fonologia e della linguistica diacronica. Intende soddisfare
l’esigenza, da parte di tale genere di fruitore, di riferimenti descrittivi
certi e sistematici sull’assetto fonologico della lingua danese moderna
e fornirgli con ciò un valido strumento scientifico per l’apprendimento
e l’assimilazione della complessa varietà fonetica della lingua stessa,
che costituisce solitamente lo scoglio maggiore per chi si accinge al
suo studio. Inoltre la presente opera intende fornire al lettore un orien-
1 L’unica grammatica danese in lingua italiana di una certa consistenza, affidabilità e orga-
nicità, rimane: S. JANSEN, Lingua danese, Bulzoni / Akademisk Forlag, Roma / Copena-
ghen 1978; sebbene sia ormai datata e piuttosto succinta.
Presentazione
12
tamento sugli sviluppi diacronici, succedutisi nei secoli, che hanno
portato gradualmente la lingua alla situazione attuale. Perciò la descri-
zione fonologica e fonetica di ogni elemento del sistema vocalico da-
nese moderno viene corredata da continui riferimenti comparativi alle
fasi linguistiche cronologicamente anteriori della lingua stessa e alle
forme corrispondenti delle lingue moderne e antiche più strettamente
imparentate con il danese. In tal modo, attraverso il frequente uso di
esempi, si riesce a tratteggiare in modo sintetico il percorso evolutivo
di ogni singolo fonema del sistema vocalico danese. Al lettore viene
quindi data la possibilità di orientarsi precisamente sia sull’identità
fonetica attuale del vocalismo danese sia sulla posizione specifica as-
sunta dalla lingua nel variegato panorama delle lingue nordiche e più
in generale nella costellazione delle lingue germaniche.
Particolare importanza è stata data agli sviluppi fonetici e fonologi-
ci intervenuti durante gli ultimi due secoli di storia della lingua dane-
se, poiché, in molti casi, essi non si sono ancora conclusi e perciò
hanno determinato notevoli variazioni nella pronuncia attualmente in
uso, in funzione dell’età, della provenienza geografica e della colloca-
zione sociale del parlante.
13
Capitolo I
Parte introduttiva
1.1. Primi mutamenti nel sistema vocalico originario
L'obbiettivo principale di questo breve lavoro è quello di fornire
una descrizione sintetica del vocalismo della lingua danese moderna2,
cercando il più possibile di dare alla trattazione uno sfondo di dimen-
sione storico-linguistica, sì da poter continuamente mettere in rapporto
gli aspetti fonetici più attuali con l'eredità fonologica del passato; ov-
vero cercando di fornire una visione il più possibile dinamica della
particolare posizione che la lingua danese assume sul piano fonologi-
co, rispetto alla sua matrice antico-nordica. Il che naturalmente per-
mette anche di collocare il danese in un posto adeguato all'interno
dell'area linguistica scandinava. Il riferimento storico-linguistico deve
quindi essere inteso come risposta ad un'esigenza di orientamento en-
tro lo sterminato universo parlante, nel quale ogni singola lingua costi-
tuisce soltanto un piccolo astro in continuo divenire.
A questo proposito si potrebbe anche affermare che le lingue ab-
biano, come gli stessi corpi celesti, una vera e propria nascita, anche
se non la si deve intendere come qualcosa d'improvviso, precisamente
databile. Nel caso della lingua danese ci troviamo piuttosto di fronte,
osservando in prospettiva storica, alla progressiva trasformazione di
una nebulosa in tanti pianeti autonomi, ma ancora in interazione reci-
2 Il cosiddetto rigsmål: la lingua nazionale danese (v. par. 1.2.).
Capitolo I
14
proca, dei quali uno sarà la lingua danese moderna e gli altri le lingue
sorelle scandinave, nello stesso sistema planetario. La nebulosa meta-
forica è costituita da quell'insieme omogeneo di parlate che si suol
chiamare “nordico comune”3, ovvero l'antica lingua comune parlata
dagli scandinavi ancora fino a buona parte dell'epoca vichinga4. I dia-
letti scandinavi mantennero infatti per molti secoli una notevole unita-
rietà linguistica, che li caratterizzava, nell'ambito più ampio dei dialet-
ti germanici, come gruppo ben definibile e molto omogeneo, all'inter-
no del quale ogni innovazione significativa veniva condivisa da tutte
le parlate. Tale situazione, caratterizzata da sviluppo uniforme, perdu-
rò appunto fino alla prima parte del periodo vichingo. Fu infatti in
quella stessa epoca che avvenne la prima grossa frattura destinata ad
incrinare il quadro unitario su delineato, come ci testimoniano chiara-
mente le iscrizioni runiche5 risalenti a quel tempo. Esse ci mostrano
come si vanno formando, nell'area linguistica scandinava, due precise
zone dialettali contrapposte: una orientale ed una occidentale; le quali
si differenziano fra loro per alcuni sviluppi divergenti in seno al voca-
lismo6, in particolar modo dei dittonghi corrispondenti a germ. */au/ e
germ. */ai/.
3 Con l'espressione “nordico comune” (dan. fællesnordisk) ci si riferisce qui alla condizione
generale di forte unitarietà linguistica protrattasi nel tempo nell'area scandinava, mentre
espressioni come “protonordico” e “antico nordico” designano due fasi cronologicamente
distinte della stessa lingua scandinava.
Per il lettore italiano che si avvicina allo studio della lingua norrena e dell’antico nordico
in genere rimane ancora valida la seguente grammatica storica: M. SCOVAZZI, Grammati-
ca dell'antico nordico, Mursia, Milano 1966. 4 Il periodo vichingo (dan. vikingetiden) si colloca indicativamente tra la fine del VIII sec. e
la metà del XI sec. della nostra era. 5 Ci si riferisce alla tradizione epigrafica attestata a partire dal II sec. d.C. circa, soprattutto
in Danimarca e Scandinavia, scritta nel cosiddetto alfabeto runico, dal nome di ogni sin-
golo segno (runa). Tale fenomeno caratterizzava in generale la cultura germanica, come
testimoniano iscrizioni trovate in Germania, in Inghilterra e altrove, ma fu particolarmente
tenace proprio nel mondo scandinavo, ove l'uso della scrittura runica sopravvisse oltre il
periodo vichingo. 6 Le iscrizioni runiche ci mostrano con una certa chiarezza questa diversità per quanto ri-
guarda il vocalismo, ma è d'altronde probabile che la differenziazione dialettale abbia in-
teressato anche altri aspetti linguistici, come confermato dallo sviluppo successivo delle
lingue scandinave.
Parte introduttiva 15
Per l'area occidentale probabilmente, più che di sviluppo fonetico
divergente, si deve parlare di conservazione più o meno totale di una
fase di sviluppo fonetico una volta comune a tutta l'area scandinava,
dal momento che in quest'area gli antichi dittonghi si mantengono an-
cora come tali7. Nell'area orientale, che comprende linguisticamente
anche l'intera odierna Danimarca, le iscrizioni runiche seriori ci mo-
strano sempre più frequentemente realizzazioni non dittongate laddo-
ve stavano un tempo gli antichi dittonghi germanici */ai/ e */au/8. Per
la storia della lingua danese questo periodo è molto significativo, dato
che questa primaria scissione in due aree dialettali scandinave con-
trapposte costituisce il momento iniziale di quel lungo processo di mu-
tamenti linguistici che porteranno ad una sempre più marcata indivi-
dualizzazione della lingua danese nell'ambito dei dialetti scandinavi.
Al momento della nascita di una vera e propria letteratura in lingua
madre nel mondo scandinavo, che per la Danimarca si colloca all'ini-
zio del XIII secolo9, il quadro che abbiamo della situazione linguistica
è più complesso e, per quanto riguarda il trattamento degli antichi dit-
tonghi, abbiamo indicazioni ben più precise che confermano in pieno
le tendenze manifestatesi già in periodo vichingo. I dialetti scandinavi
occidentali (norvegese occidentale ed islandese) mostrano realizzazio-
ni dittongate del tipo: /ei/ (< germ. */ai/) e /ǫu/, /øy/ (< germ. */au/);
ed inoltre hanno due tipi di dittongo ascendente: /jō/ e /jū/. I dialetti
7 Nell'area orientale fa eccezione, a questo riguardo, il dialetto dell'isola di Gotland, in cui i
detti dittonghi si mantengono intatti. D'altronde non è cosa facile definire con esattezza
quali fossero le realizzazioni fonetiche di questi dittonghi nelle parlate scandinave durante
il periodo vichingo, poiché, com'è noto, l'alfabeto runico di quell'epoca è particolarmente
povero di segni, cosicché comunemente una sola runa poteva essere usata per parecchi fo-
nemi. Si trattava cioè di un tipo di scrittura che solo molto approssimativamente rendeva
la reale pronuncia. Si noti a questo proposito la notevole differenza che intercorre tra le
parole trascritte secondo il valore elementare delle lettere runiche con le quali furono inci-
se e la veste fonetica reale che probabilmente avevano (trascritta secondo l'usuale ortogra-
fia norvegese/islandese antica, ovvero norrena): tanmaurk = Danmǫrk 'Danimarca';
kunukR = kunungR, konungR 're'; bruþr = r r fratelli'; nuruiak = Norveg 'Norvegia'. 8 A partire dal X secolo. La prima testimonianza danese di realizzazioni non dittongate
sembra essere l'iscrizione runica di Gørlev, risalente addirittura al 900 d.C. circa. 9 Se si escludono nomi propri e glosse reperiti per lo più in testi redatti in latino prima del
XIII sec., la nascita di una vera e propria letteratura scritta in lingua danese si deve essen-
zialmente alla stesura dei primi codici legali (Skånske Lov, de sjællandske Love, Jydske
Lov, ecc.), di trattati di medicina, testi religiosi, ecc., avvenuta appunto in quel secolo.
Capitolo I
16
del gruppo orientale (antico danese ed antico svedese) hanno invece
ormai: / / (< germ. */ai/) e /ø / (< germ. */au/); cio delle vocali lunghe
al posto degli antichi dittonghi; e poi un unico dittongo ascendente
/jū/10
.
Ma oltre a questa antica divergenza fonetica tra due aree linguisti-
che scandinave, al tempo delle prime fonti letterarie se ne sono ormai
affacciate delle nuove, secondo direttrici diverse, ed è in primo luogo
l'area danese che ci mostra i più significativi mutamenti, i quali anco-
ra una volta riguardano in particolar modo il vocalismo. Il più appari-
scente di tutti è il noto indebolimento del timbro delle vocali finali,
che impresse una fisionomia del tutto peculiare alla lingua danese, che
ancora oggi la contrappone fortemente a quella svedese. Questo mu-
tamento colpisce tutte le vocali desinenziali, che in antico nordico
erano: -a, -u (-o), -i, (-e); sulle quali si basavano gran parte delle op-
posizioni con valore morfologico distintivo. Alla fine del processo
d'indebolimento vocalico non è più possibile distinguere i tre antichi
timbri, poiché essi sono confluiti in un'unica realizzazione comune: la
vocale indistinta /ǝ/11
. Le conseguenze di ciò sul piano grammaticale
sono ovviamente notevoli, cominciando dall'annullamento di moltis-
sime opposizioni basate su desinenze vocaliche diverse, come spesso
10 Il dittongo /øy/ dei dialetti occidentali rappresenta storicamente lo sviluppo di germ. */au/
sottoposto al processo di metafonia palatale, subentrato prima dell'epoca vichinga; come
vediamo ad esempio nella forma occidentale høyra 'udire' < germ. *hauzian-, cfr. got.
hausjan.
Il dittongo ascendente /jū/ invece il riflesso storico di germ. */eu/, che nelle parlate oc-
cidentali scandinave ha avuto un duplice esito: /jō/ e /jū/, a seconda dell'ambiente fonetico
in cui si trovava. A favore della possibilità che già nella fase linguistica protonordica si
potessero avere due varianti del dittongo originario */eu/ sembrano parlare forme proto-
nordiche quali: leubaR 'caro' (pietra di Skärkind, V sec.) e liubu 'cara' (pietra di Opedal, V
sec.). 11 Tra i dialetti danesi quello che presenta un maggior grado d'indebolimento delle vocali fi-
nali è lo jutlandese (dialetto della penisola dello Jutland), per il quale sono noti casi di ca-
duta totale della vocale desinenziale fin dal primo periodo letterario. Viceversa i dialetti
che meglio conservano le antiche vocali finali sono quelli di Scania (oggi territorio svede-
se) e Bornholm, nei quali solitamente la -a originaria si è mantenuta fino ai nostri giorni.
Sulla questione dell’indebolimento articolatorio delle vocali desinenziali atone in danese e
nelle lingue sorelle v. L. PANIERI, Il germanico settentrionale e la riduzione della varietà
flessionale, «Lingua e Letteratura», vol. XIV-XV, 1990.
Parte introduttiva 17
accadeva sia nella flessione nominale che verbale12
. Ne risulta una
sempre maggior semplificazione dell'antico sistema flessionale, che
spesso non riesce da solo ad esprimere le relazioni grammaticali tra le
diverse parole, al punto che si ricorre sempre più ad un rigido schema
sintattico della frase per garantire il funzionamento delle distinzioni
grammaticali: un ordine fisso di parole tende a fare le veci dell'antica
varietà del sistema flessionale13
.
L'indebolimento delle vocali finali fu l'elemento più caratterizzante
dell'antico danese rispetto alle altre lingue scandinave coeve e come
abbiamo ora accennato, ebbe forti ripercussioni sullo sviluppo succes-
sivo della lingua.
All'epoca dei primi documenti scritti in antico danese questo mu-
tamento fonetico è ormai quasi del tutto compiuto e quindi le tendenze
all'indebolimento del timbro delle vocali finali si devono esser già
manifestate nel periodo che intercorre tra l'epoca vichinga e la stesura
delle prime codificazioni danesi, come fra l'altro le poche fonti scritte
sembrano indicare14
.
Nell'ambito del vocalismo avvenne in seguito un altro cambiamen-
to in danese antico, che stavolta interessò le vocali toniche: si tratta
dell'allungamento vocalico in sillaba aperta15
, che portò alla forma-
zione di nuove vocali lunghe. Non sempre però queste andavano a
confluire nelle realizzazioni fonetiche delle vocali lunghe preesistenti
nel sistema; come è evidente nel caso della antica /a/, che in sillaba
aperta divenne dunque /ā/, la quale non confluì però nell'esito della /ā/
del precedente sistema vocalico di tipo antico-nordico, dal momento
che quest'ultima s'era andata labializzando in /ā /16
.
12 Si prenda ad esempio il caso del Nom. sing. hani 'gallo', a cui faceva opposizione nel si-
stema flessivo antico-nordico la forma obliqua singolare hana; entrambi i quali divengono
già in danese antico hanæ. 13 E' interessante notare che questo tipo di tendenza si è verificata in modo più o meno spin-
to in tutte le lingue germaniche, in maniera particolare nell'inglese. 14 Nelle iscrizioni runiche jutlandesi, per esempio, sono noti casi d'indebolimento delle vo-
cali finali e addirittura di caduta totale a partire dal 1100 d.C. 15 Per sillaba aperta s'intende una sillaba che termina in vocale, come ad esempio la prima
sillaba della parola danese moderna taler (ta-ler) 'parla'. 16 La vocale an. /ā/ rappresenta il riflesso diretto di germ. */ /. Il simbolo /ā / per indicare lo
sviluppo labializzato successivo di tale vocale vuole soltanto indicare che essa era arro-
tondata, senza riguardo al valore fonetico esatto.
Capitolo I
18
In altri casi si ebbero, al contrario, degli abbreviamenti di antiche
vocali lunghe, specialmente qualora esse si fossero trovate davanti a
gruppi consonantici17
.
Alla fine di questo processo, che inizia a farsi notare ortografica-
mente dal 1300 circa18
, l'aspetto del vocalismo danese risulta forte-
mente cambiato rispetto a quello dell'antico nordico, pur mantenendo-
si il principio di opposizione tra vocali brevi e lunghe, che adesso però
si realizza partendo da presupposti molto diversi.
Se consideriamo che, parallelamente a questo grosso rivolgimento
nel vocalismo, sopravvenne anche un processo progressivo di lenizio-
ne nel consonantismo, altrettanto drastico19
, sarà sicuramente lecito af-
fermare che il danese, a questo punto della sua storia, ha ormai rag-
giunto un grado di caratterizzazione inconfondibile in seno all'area
linguistica scandinava, il resto della quale generalmente procede più
lentamente nella progressiva differenziazione dall'archetipo antico-
nordico20
.
1.2. Formazione di una lingua nazionale
Nel corso della trattazione si spesso parlato di “lingua danese”.
Questa espressione però non deve qui essere intesa nel senso che so-
17 Si tratta di sviluppi dall'andamento spesso non omogeneo e di diffusione variabile
nell'ambito dei dialetti; v. J. BRØNDUM-NIELSEN, Gammeldansk Grammatik, Schultz, Kø-
benhavn 1950-1965, vol. I, pp. 389-398. 18 Alcuni fenomeni di allungamento vocalico davanti a certi gruppi consonantici possono es-
sere tuttavia anteriori al 1300, come ad esempio quello che si verificò per la vocale an. /a/
davanti al nesso originario an. /rđ/ in parole come: an. gar (r), cfr. got. gards, dove l'anti-
chità dello sviluppo è provata dal fatto che l'esito moderno gård 'fattoria, cortile' presenta,
per ciò che riguarda il vocalismo, il riflesso tipico di an. /ā/ (v. par. 2.25.) e non quello
consueto di an. /a/ allungatasi secondariamente (v. par. 2.8.). 19 In seguito al quale le consonanti originarie an. /p/, /t/, /k/ in posizione intervocalica o fina-
le postvocalica tendono a divenire fricative (approssimanti) sonore; v. BRØNDUM-
NIELSEN, Gammeldansk, cit., vol. II, pp. 132-184. 20 Questo non significa naturalmente che la lingua danese in tutti i casi presenti sempre il
maggior numero di tratti innovativi. Sui conservatorismi della lingua danese v. L. PANIE-
RI, C’è del «vecchio» nel danese moderno? Orientamento storico-comparativo sulla posi-
zione del danese nel panorama linguistico scandinavo, a cura di A. Pasinato, Oltreconfi-
ne. Lingue e culture tra Europa e mondo, Donzelli editore, Roma 2000, pp. 55-71.
Parte introduttiva 19
vente le diamo implicitamente, cioè di lingua nazionale riconosciuta
da tutti i cittadini dello stato danese come lingua ufficiale. Infatti un
tale tipo di lingua unitaria per tutto il regno di Danimarca non si era
ancora formato nel medioevo, bensì si usava scrivere in varietà locali
di danese che erano per lo più basate sul dialetto del posto, ma al con-
tempo più o meno influenzate da forme forestiere di un qualche pre-
stigio letterario. Queste erano soprattutto di origine selandese21
, come
già possiamo osservare fin dai primi testi redatti in danese, costituiti
appunto da codificazioni giuridiche22
.
Questa posizione di egemonia letteraria assunta dal dialetto selan-
dese è durata per parecchi secoli, senza però influenzare molto la real-
tà del parlato, che rimaneva ancora legata al dialetto locale. Ciò, ad
esempio, ci appare palesemente nella trascrizione fonetica di alcune
parole danesi ad opera del dotto teologo JACOB MADSEN AARHUS (na-
to ad Aarhus nel 1538)23
, la quale ci presenta forme jutlandesi dell'an-
tico dialetto di Aarhus; tanto che lo stesso autore, conscio del partico-
larismo di cui soffriva la lingua dell'epoca, aggiunge all'espressione
“lingua nostra danica” la precisazione “praesertim cimbrica”, ovve-
rosia jutlandese.
Perfino l'autore della più antica grammatica pervenutaci, il vescovo
ERIK PONTOPPIDAN (nato nel 1616 a Broby Sogn sull'isola di Fionia),
nella sua Grammatica Danica stampata nel 166824
ci presenta una lin-
gua ancora fortemente legata al dialetto locale, pur egli stesso stiman-
do come raccomandabile il selandese colto (ivi incluso il copenaghe-
se).
Progressivamente però la lingua danese delle cittadine di provincia
si arricchisce sempre più di tratti comuni non riferibili alla realtà par-
ticolare del dialetto locale. Questo processo non ha un andamento uni-
forme, bensì si manifesta in modo vario a seconda della zona geogra-
21 Dell'isola di Selandia (dan. Sjælland). 22 Che il dialetto selandese avesse un notevole prestigio dipendeva dal fatto che la stessa
corte risiedeva nell'isola di Selandia e che pertanto la lingua della cancelleria reale era for-
temente influenzata dai dialetti locali. 23 Si tratta del De litteris libri duo, Basilea 1586 (a cura di P. Skautrup, Ch. Møller e F.
Blatt, «Acta Jutlandica», 1930 e 1931). 24 ed. H. BERTELSEN, Danske Grammatikere, vol. II, Gyldendalske Boghandel, København
1917.
Capitolo I
20
fica. Si può dire, ad esempio, che l'area jutlandese procede in genere
più lentamente nell'acquisizione dei tratti linguistici comuni a tutta la
Danimarca, rimanendo quindi maggiormente legata ai dialetti locali, i
quali infatti resistono qui più tenacemente che altrove25
. Ciò non do-
vrebbe d'altronde stupirci molto se si pensa che detta area, storicamen-
te poco abitata e originariamente caratterizzata da vaste brughiere, è
situata dalla parte opposta rispetto all'isola di Selandia, dalla quale,
come già accennato, si è irradiata per secoli la maggioranza dei tratti
linguistici di prestigio nazionale.
L'affermarsi di una lingua unitaria in Danimarca non fu quindi un
evento “pacifico”, ma anzi trovò la resistenza più o meno tenace dei
dialetti locali, specialmente nelle aree in qualche modo più isolate dal
centro di diffusione delle nuove forme.
L'isolamento in questione non solo può essere di natura geografica,
come ad esempio nel caso dell'isola di Bornholm, situata lontano dalle
coste danesi, ma anche di tipo sociale. Nelle comunità rurali, infatti, il
dialetto generalmente si mantiene più puro che in città, relativamente
alla medesima area geografica. Anzi spesso proprio i centri urbani co-
stituiscono il tramite attraverso cui anche le campagne circostanti a
poco a poco assorbono forme linguistiche sempre meno localizzabili
nell'angusto ambito dialettale. Naturalmente questo particolare rappor-
to diviene tanto più accentuato quanto più le comunità cittadine assu-
mono un ruolo preponderante nella vita sociale ed economica, come
naturale nello svilupparsi di una società moderna.
Durante gli ultimi secoli, in Danimarca, questo processo di urba-
nizzazione favorì l'insorgere di un centro commerciale sempre più va-
sto: la città portuale di Copenaghen; avvantaggiata rispetto alle altre
dalla sua posizione geografica, che le consentiva il controllo dei traffi-
ci mercantili sul Mar Baltico. Questo sviluppo ebbe anche un riflesso
sul piano linguistico, divenendo Copenaghen anche in questo senso il
punto di riferimento, almeno della sempre più folta borghesia com-
merciale che popolava le città danesi. Se quindi fino ad un certo mo-
25 Per motivi simili, cioè principalmente a causa dell'isolamento geografico, anche nell'isola
di Bornholm la parlata locale cede più lentamente che altrove all'influenza delle forme di
prestigio nazionale.
Parte introduttiva 21
mento il centro di maggior diffusione di forme di prestigio era stata
generalmente l'isola di Selandia, questa funzione venne in seguito
sempre più assunta dalla sola città di Copenaghen, il maggior centro
dell'isola. L'influenza di tali forme sulla lingua parlata si è poi fatta
sempre più forte, essendo continuamente aumentato il numero dei
tratti linguistici originariamente copenaghesi non più legati ad alcuna
realtà dialettale particolare, ovverosia comuni a tutti i parlanti dane-
si26
.
E' appunto l'insieme di questi elementi comuni che costituisce la
realtà di una vera “lingua nazionale danese” cio il rigsmål. Essa è sta-
ta in primo luogo un prodotto della storia moderna della Danimarca,
l'espressione di una nuova cultura cittadina sempre meno elitaria.
Al giorno d'oggi il rapporto di dipendenza del rigsmål verso la par-
lata copenaghese non è né diminuito né tanto meno cessato, ma anzi
appare ancor più rafforzato; principalmente perché i presupposti stori-
ci che conferirono a Copenaghen il ruolo di punto di riferimento lin-
guistico per l'intera Danimarca sono oggi più che mai presenti. Questa
città infatti è di gran lunga la più popolata del paese ed è inoltre il più
importante centro economico e culturale; pertanto esercita una notevo-
le forza d'attrazione a tutti i livelli, che sul piano della lingua si mani-
festa fra l'altro tramite i mass-media, quali espressioni della cultura
dominante. E' dunque in questi aspetti preponderanti propri della capi-
tale che vanno ricercate le cause dell'egemonia linguistica odierna
esercitata dalla parlata copenaghese.
26 Essi naturalmente non riguardano solo l'aspetto fonetico, ma anche quello morfologico,
sintattico, lessicale e semantico.