Abitare nell'Egitto dei Faraoni
Le testimonianze e i documenti relativi alle dimore dei periodi dinastici purtroppo
sono scarsissime, dall'antichità e fino al XX secolo, le rovine dei villaggi sono state
sistematicamente dissotterrate e razziate alla ricerca di terra fertile, quel limo lasciato
dal Nilo dopo ogni piena che veniva usato per fabbricare le prime rudimentali
abitazioni. Tuttavia gli storici e gli archeologi grazie alle fonti amministrative e agli
scavi, hanno ricostruito le linee fondamentali per una breve storia della casa egiziana.i
Lo sviluppo urbanistico e architettonico della casa è strettamente connesso
all'organizzazione sociale egiziana che, come è noto, si basava quasi esclusivamente
sul culto dei morti. La vita in terra era sostanzialmente consacrata alla preparazione
della vita nell'aldilà; ciò era valido tanto per i faraoni quanto per le classi sociali
minute.
Durante l'Antico Regno, furono costruite le “Città delle Piramidi”, inizialmente
estensioni dei centri ufficiali deputati alla costruzione delle tombe faraoniche,
successivamente trasformate in istituzioni che assolvevano al compito di preservare
nel tempo il culto dei sovrani defunti.
Si sa per certo che nella piana di Giza, ad Oriente del monumento funerario di
Khentkaus, sorgevano almeno undici abitazioni sacerdotali risalenti alla IV dinastia.
L'uniformità della pianta le riconduce ad un preciso progetto urbanistico: le dimore
erano ordinatamente affiancate secondo un andamento rettilineo che seguiva
l'orografia del terreno.
La casa si organizza tutta al suo interno lasciando all’esterno, solo gli spessi muri
perimetrali (1,8 m circa) e la porta d’ingresso, dall’esterno si leggono le quinte in
muratura che uniformano l’aspetto delle abitazioni. Di pianta rettangolare e con il
tetto piano di paglia che copriva una superficie pari a 140 mq, constava di un
ambiente centrale da giorno, una o più stanze da letto posteriori ed un ambiente
cucina sistemato a Sud. Parliamo di una tipologia piuttosto lussuosa, in buona
sostanza in una casa signorile come quella dei sacerdoti, le stanze erano raggruppate
intorno ad un salone centrale quadrato che riceveva luce da un lucernario e che, come
le altre stanze principali, aveva colonne che sorreggevano il tetto piano; la dimora era
sovente circondata da robuste ed alte mura, perimetro di lussureggianti giardini con
alberi da frutta e vasche con pesci.
La differenza tra a casa borghese e i palazzi nobiliari (esclusi da questo scritto) è
data dalle dimensioni delle superfici e dalla ricchezza degli arredi.
Del resto la casa canonicamente definita era riservata ad una parte esigua della
popolazione, gli operai delle piramidi disponevano di un alloggio, più che altro un
dormitorio mentre la popolazione comune viveva in case di 40-70 mq con annesso un
ampio magazzino per le granaglie pressapoco300 metri cubi. Da questo dato si evince
che l'intera popolazione del villaggio o “città” veniva rifornita dal complesso
abitativo sicché, le case, unitamente alla funzione abitativa, ospitavano anche i
singoli dipartimenti dell'amministrazione locale.
Un esempio di insediamento operaio e sacerdotale è l'area archeologica di el Lahum
nei pressi della tomba di Sesostri II risalente alla XII Dinastia. Si ritrova lo sviluppo
rettilineo delle case affiancate ma, la disposizione del quartiere grande 2.400 mq
segue assi mutuamente ortogonali. La dimora propriamente detta che qui ci
interessa, è situata a Sud del vasto cortile (che occupa invece il lato Nord del
complesso). Incassata tra due file di locali accessori privi di servizio, presenta sulla
sua facciata Nord un bel colonnato che immette in un primo vestibolo; da qui si passa
ad una sala centrale quadrata caratterizzata dalla presenza di altre quattro colonne,
queste oltre a sorreggere il tetto, definivano tipologicamente gli ambienti di
rappresentanza. A sinistra di questo e in posizione appartata, una camera da letto
riconoscibile per la nicchia scavata lungo la parete meridionale.
I cortili interni parzialmente coperti dal tetto sostenuto dalle colonne, sono il tratto
distintivo di questa fabbrica rispetto al sistema tipologico di base. Un'altra eccezione
è la casa di Meketra a Tebe, la vasca centrale è l'antesignana dell'atrium romano. Gli
egiziani amavano l'acqua e la vegetazione tanto da farne elementi architettonici di
valore.
L'insediamento operaio di Deir el- Medina (Tebe) risale all'epoca del Nuovo Regno
(1525-1070 a.C.), conta ben 70 case a schiera a pianta quadrangolare tripartita:
dall'ingresso – corridoio, caratterizzato dalla presenza dell'altare domestico
incorporato1, ci si immetteva nella stanza principale. Questa presenta le basi
d'appoggio per le colonne atte a sostenere il tetto ed un ripiano basso incassato nel
muro a mò di letto. Anche questa fabbrica doveva essere destinata ad una famiglia di
rango,infatti, le classi minute non disponevano di letti ma dormivano sul pavimento.
Il locale posteriore è destinato alla cucina, qui è stata rinvenuta una dispensa con
scala interna che conduceva al tetto dove si stipava la legna.
Gli operai delle piramidi spesse volte alloggiavano in complessi ad uso foresteria,
atteso che rientravano nelle proprie case una volta ogni dieci giorni.. L'unico esempio
del genere è emerso dagli scavi della Valle dei Re, si tratta di un complesso formato
da 78 alloggi piccoli e di forma variabile in ragione dell'orografia del terreno (una
sella montana). Tuttavia la promiscuità dei corpi di fabbrica, garantiva riparo dal
vento e dal freddo della notte
1 Manufatto di pietre e mattoni destinato al culto privato degli dei; talvolta decorato con pitture, stele e tavole d'offerta
Le dimore signorili
L'insediamento di Tell el-Amarna si distingue da quelli finora illustrati per l'assenza
di un'organizzazione urbanistico-tipologica che rispecchi le gerarchie sociali.
Lussuose ville di campagna ampie oltre i 400 mq si affiancano a costruzioni di media
grandezza, a piccole case e a singoli alloggi di circa 25 mq.
Esempio significativo della casa di campagna è la villa di un funzionario del tempio
di Aton risalente al 1340 a.C. Archetipo dell'architettura privata dell'epoca dei
faraoni. La proprietà si attesta su un lotto isolato di 75 x 59 m, il lato Nord è definito
da un giardino con cappella privata e un laghetto circondato da piante. La villa
propriamente detta ha una superficie di 340 mq; la fabbrica costituiva il centro
intorno al quale si sono riunite stalle e officine, cortili e orti, silos e magazzini, forni e
alloggi per il personale di servizio; una sorta di piccola comunità autosufficiente alle
dipendenze dell'alto funzionario.
La casa è leggermente sopraelevata rispetto al piano di campagna, poggia appunto su
una sorta di zoccolatura in muratura. Formata da numerosi ambienti distinti per
funzione, presenta una prima fascia formata da anticamera alla stanza da ricevimento
(anche in questo caso preannunciata dal colonnato) e due stanze accessorie. Alle
spalle di questa fascia di rappresentanza e protezione della privacy, si trovano quegli
ambienti della casa comprese le camere da letto, di uso squisitamente privato. Non a
caso le camere da letto ed i servizi igienici (lavabi incassati al muro) chiudono
posteriormente la dimora.
La villa presenta anche un loggiato sulla parte anteriore del tetto ed in corrispondenza
della sala da ricevimento. Detta costruzione che affacciava sul giardino a Nord,
serviva da camera da letto estiva.
La descrizione di siffatte dimore di lusso, sovente si ritrova nelle iscrizioni e nei
rilievi delle tombe private.
La progettazione delle ville teneva conto di molti fattori, primo fra tutti quello
climatico. Per proteggersi dal caldo estivo e dall'umidità, le aperture erano strette,
posizionate nella parte alta della muratura e fatte a graticcio. Lo stesso sistema di
aperture che consente la rapida fuoriuscita dell'aria calda che come è noto si raccoglie
in alto, è ancora oggi in uso nella cultura architettonica araba e medio orientale.
Ulteriori aperture venivano praticate nel tetto piano che abbiamo visto essere fatto di
travi lignee e fango. La scelta di avere pareti continue, imposta dal clima desertico,
giocava anche a favore del gusto estetico egiziano, la bellezza delle pitture parietali
era esaltata dall'incidenza della luce modulata, dalla proporzione tra le parti e dagli
accostamenti cromatici. Particolare riguardo era dato alla simmetria di porte, colonne
e nicchie nel segno del perfetto equilibrio ottico ed estetico.
L'assenza di arredi connotanti i singoli ambienti, consentiva agli abitanti di spostarsi
agevolmente da un ambiente all'altro e di soggiornarvi anche per periodi lunghi in
ragione delle condizioni climatiche già esposte.
SEDIA DI KHA – Nuovo Regno 1550-1292 a.C. La sedia datata al 1440 a.C. È in
legno dipinto decorata con intarsi in avorio , ebano e pasta vitrea; sullo schienale è
incisa una formula votiva
Sgabello a quattro gambe in legno dipinto e seduta in tela stuccata decorata in forme
geometriche e motivi ornamentali floreali
Letto del 1300 a.C. Le gambe sono a zampa di leone o di bue tenute insieme dal
telaio ligneo sul quale si appoggiava un primo supporto in fibre di alfa fittamente
intrecciate che accoglieva una sorta di materasso. All'estremità superiore,
appoggiato sul pavimento c'è il poggiatesta con l'immagine dipinta del dio naniforme
Bes, protettore del sonno, distruttore degli esseri ostili e dei serpenti.
Cassapanca per abiti risalente al 1390 a.C. Epoca della XVIII dinastia. Nel bel
mobile in legno dipinto si conservavano abiti e parrucche sebbene la ripartizione
interna non rispondesse ad un uso specifico.
Drappo da rivestimento parietale
Tipologia a torre
Predominante nell'Età Tarda, questa tipologia è stata ricostruita grazie ai modelli in
pietra calcarea ritrovati oggi esposti al British Museum. Gli scavi archeologici degli
anni Venti, ne hanno riportato alla luce i resti. Erodoto riportava che gli egizi
solevano trascorrere le calde notti estive sui tetti della case a torre, per difendersi
dalle zanzare. Come è ben visibile nei modelli, la struttura era monolitica, lievemente
trapezoidale, si restringeva verso l'alto per garantirne il buon assetto statico in ragione
dell'altezza in quanto erette con pietre e fango. Se le ville erano scarsamente
arredate, le case delle classi minute non lo erano affatto. Drappi di stoffa variopinta
ornavano le pareti, tappeti e stuoie (che riproducevano motivi ornamentali
geometrici) ricoprivano il pavimento e fungevano da giaciglio.
La cucina
Anche nella più umile dimora, la cucina rappresentava il cuore della casa. La
produzione e la preparazione dei cibi, erano le attività quotidiane prevalenti. Sebbene
la dieta fosse sostanzialmente povera, grande era la cura posta nella preparazione. Gli
alimenti dell'epoca erano a base di cereali, pane e birra il più delle volte costituivano
il salario di un operaio; gli egiziani coltivavano l'orzo (chiamato it) e farro ( bedet);
con l'aggiunta di frutti alla farina bianca preparavano dei dolci .
Il ceto minuto si nutriva essenzialmente di lenticchie, fave, piselli, ceci e astragali; le
classi abbienti invece avevano a disposizione numerose varietà di verdure e di frutti.
La cucina trovava spazio sul retro della casa, nelle ville spesso era allocata in un
piccolo edificio annesso. Atteso che la maggior parte degli alimenti veniva cotta su
fuoco aperto, questa, laddove non beneficiasse di un cortile annesso, era coperta da
un etto semovente. La macina per produrre farina, il forno per la cottura del pane ed il
focolare in muratura erano i soli arredi. Per le provviste si fabbricavano dei recipienti
di argilla atti a contenere bevande, farinacei, cereali ed anche grassi e carni
preventivamente lessate nel paiolo.
L'arredamento
Nella grande cultura egiziana, la casa era lo spazio vitale dove ci si preparava con
grande cura alla vita nell'aldilà affinchè la tomba non mancasse di alcuna comodità.
Comodità che gli egiziani non si concedevano nella vita terrena. Poco si conosce del
mobilio propriamente detto. Dal periodo Protodinastico provengono gambe e
guarnizioni metalliche di sedie e letti le cui forme originarie non sono cambiate fino
alla fine dell'epoca faraonica. Pare che nel periodo del Nuovo Regno le sedie fossero
molto ambite dai funzionari; la sedia, che aveva già raggiunto un livello di design
avanzato, costava dai quattro agli otto deben di rame. Oltre lo sgabello ed il
panchetto, si adoperavano sedie pieghevoli e poltrone rigide con schienale e braccioli.
Tavolini e scaffali completavano l'arredamento. Non si usava desinare intorno ad un
tavolo da pranzo comune, ognuno sedeva al proprio tavolino e quelli meno fortunati,
avevano in dotazione il solo piatto di alabastro calcareo o argilla da appoggiare su
una semplice supporto in legno, esattamente come in un moderno fast – food!
I papiri di Leida e Stoccolma
Le case, le ville e i palazzi dell'antico Egitto sono giunti a noi in forma di ruderi ma,
come si evince dai dipinti ritrovati nelle tombe, gli edifici erano splendidamente
colorati.
Gli egiziani, come si evince da questi papiri, possedevano una tecnologia piuttosto
avanzata per la preparazione del colore. Questi importanti documenti sono emersi
agli inizia del secolo XIX quando il viceconsole svedese di stanza ad Alessandria
d'Egitto, acquistò una collezione di papiri scritti in greco antico. Questi ne donò una
parte all'Accademia Svedese delle Antichità di Stoccolma e la rimanente parte la
vendette al governo dei Paesi Bassi che, a sua volta, li depositò all'Università di
Leida.
I due Istituti, con molta calma, presero a studiarli e solo nel 1885 si scoprì che il
papiro X depositato a Leida, riportava numerose ricette chimiche per produrre
pigmenti. Nel 1913 un testo simile fu tradotto dalla collezione di Stoccolma. Le
Università convennero che i papiri erano opera di un artigiano egizio del III secolo
d.C. che vi aveva riportato informazioni risalenti ad un tempo molto più antico.
L'autore dei papiri, difatti, riporta una tecnologia del colore vicinissima a quella
adoperata durante la Prima Dinastia (3100 a.C.); la civiltà antica era considerata
opera del Grande Creatore, il dio Ptah di Menfi che aveva “portato l'ordine nel caos
elementare di un mondo primordiale di acqua”.
Nel papiro di Stoccolma sono contenute ricette per tingere, mordenzare e produrre
pietre artificiali, mentre quello di Leida è dedicato alla metallurgia. In 101 ricette
sono descritti i metodi per dorare ,argentare e tingere i metalli comprese le istruzioni
per conferire agli oggetti di rame l'aspetto dell'oro. E' proprio il caso di dire che non è
oro tutto ciò che luccica!
L'arte e l'architettura dell'antico Egitto adoperavano pigmenti brillanti ricavati dalla
macinazione delle sostanze presenti in natura quali la malachite per i verdi, l'azzurrite
per il blu conosciuto anche come “fritta blu”, dai solfuri di arsenico orpimento e
realgar si ottenevano rispettivamente il giallo e l'arancio mentre l'ocra era ricavato
dall'ossido di ferro. Dall'unione della fritta blu con l'ocra gialla, si otteneva una
particolare tonalità di verde che si andava ad aggiungere a quella offerta dai minerali
di rame. Quest'ultima era conosciuta dai greci come “colla oro” perchè usata appunto
come collante per le dorature. La gamma dei colori era completata dal cinabro, dal
minio, dall'ocra rossa e dal chermes, (una varietà di rosso vivo), dal nero fuliggine e
dal bianco candido ottenuto dalla macinazione delle ossa animali.
I pigmenti venivano mescolati ad una gomma solubile in acqua e agglutinati con una
colla ottenuta da una mistura di pelli animali e albume d'uovo portata ad ebollizione.
Agli egizi si devono anche la fabbricazione della boiacca e la creazione di lacche
colorate ricavate da tinture organiche.