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Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina -...

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MONICA TORTORELLI Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina SOMMARIO: 1. Contenuto dell’incriminazione. Cenni critici. - 2. I presupposti della fat- tispecie. La relazione qualificata tra autore e persona offesa. - 2.1. I rapporti familia- ri. - 2.2. I rapporti parafamiliari. Il potere disciplinare dell’insegnante nei confronti del- l’alunno. - 3. La condotta tipica. - 3.1. Tecnica descrittiva e principali criteri ermeneu- tici. - 3.2. I limiti della nozione di «mezzi di correzione o di disciplina». Caratteristi- che strutturali della condotta di abuso. - 3.3. Struttura dell’offesa. - 4. La controver- sa natura giuridica del «pericolo di malattia nel corpo o nella mente». Risvolti in or- dine all’elemento soggettivo del reato. - 5. La fattispecie di cui al 2° comma. Questio- ni interpretative. - 6. Considerazioni de iure condito sull’incerta collocazione sistema- tica del reato e brevi riflessioni de iure condendo. 1. Contenuto dell’incriminazione. Cenni critici La persistente presenza nell’ordinamento penale della figura di rea- to prevista dall’art. 571 c.p. è emblematica di come, spesso, il legislato- re manchi o ritardi nel conformare il contenuto delle singole incrimina- zioni al mutamento degli orientamenti culturali e delle conseguenti istan- ze sociali. Questa ipotesi delittuosa attribuisce rilevanza penale ad un uso di- storto del potere disciplinare posto in essere da soggetti che rivestono una posizione giuridica soggettiva di autorità nei confronti del soggetto pas- sivo del reato o che sono legati alla vittima da un rapporto di affidamen- to per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, ov- vero per l’esercizio di una professione o di un’arte. È opinione diffusa, infatti, in letteratura, come meglio si specificherà in seguito, che la no- zione di abuso «individua il superamento di una soglia ritenuta lecita dal- l’ordinamento», ossia «un uso smodato di un mezzo lecito» posto in es- sere per finalità lato sensu correttive 1 . 773 1 Così, rispettivamente, M. MENEGHELLO, Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, in Diritto penale della famiglia, Vol. IV, a cura di S. RIONDATO, in Trattato di diritto di famiglia diretto da P. ZATTI, Giuffrè Editore, 2011, p. 616 e M.C. PARMIGGIANI, Abuso dei mezzi di cor- rezione o di disciplina, in I delitti contro la moralità pubblica, di prostituzione, contro il sentimen- to per gli animali e contro la famiglia, Parte Speciale – Vol. VI, in Trattato di diritto penale di- retto da A. CADOPPI, S. CANESTRARI. A. MANNA, M. PAPA, Utet Giuridica, 2009, p. 589. Nel
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MONICA TORTORELLI

Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina

SOMMARIO: 1. Contenuto dell’incriminazione. Cenni critici. - 2. I presupposti della fat-tispecie. La relazione qualificata tra autore e persona offesa. - 2.1. I rapporti familia-ri. - 2.2. I rapporti parafamiliari. Il potere disciplinare dell’insegnante nei confronti del-l’alunno. - 3. La condotta tipica. - 3.1. Tecnica descrittiva e principali criteri ermeneu-tici. - 3.2. I limiti della nozione di «mezzi di correzione o di disciplina». Caratteristi-che strutturali della condotta di abuso. - 3.3. Struttura dell’offesa. - 4. La controver-sa natura giuridica del «pericolo di malattia nel corpo o nella mente». Risvolti in or-dine all’elemento soggettivo del reato. - 5. La fattispecie di cui al 2° comma. Questio-ni interpretative. - 6. Considerazioni de iure condito sull’incerta collocazione sistema-tica del reato e brevi riflessioni de iure condendo.

1. Contenuto dell’incriminazione. Cenni critici

La persistente presenza nell’ordinamento penale della figura di rea-to prevista dall’art. 571 c.p. è emblematica di come, spesso, il legislato-re manchi o ritardi nel conformare il contenuto delle singole incrimina-zioni al mutamento degli orientamenti culturali e delle conseguenti istan-ze sociali.

Questa ipotesi delittuosa attribuisce rilevanza penale ad un uso di-storto del potere disciplinare posto in essere da soggetti che rivestono unaposizione giuridica soggettiva di autorità nei confronti del soggetto pas-sivo del reato o che sono legati alla vittima da un rapporto di affidamen-to per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, ov-vero per l’esercizio di una professione o di un’arte. È opinione diffusa,infatti, in letteratura, come meglio si specificherà in seguito, che la no-zione di abuso «individua il superamento di una soglia ritenuta lecita dal-l’ordinamento», ossia «un uso smodato di un mezzo lecito» posto in es-sere per finalità lato sensu correttive1.

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1 Così, rispettivamente, M. MENEGHELLO, Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina,in Diritto penale della famiglia, Vol. IV, a cura di S. RIONDATO, in Trattato di diritto di famigliadiretto da P. ZATTI, Giuffrè Editore, 2011, p. 616 e M.C. PARMIGGIANI, Abuso dei mezzi di cor-rezione o di disciplina, in I delitti contro la moralità pubblica, di prostituzione, contro il sentimen-to per gli animali e contro la famiglia, Parte Speciale – Vol. VI, in Trattato di diritto penale di-retto da A. CADOPPI, S. CANESTRARI. A. MANNA, M. PAPA, Utet Giuridica, 2009, p. 589. Nel

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Le critiche avanzate nei confronti di tale fattispecie sono numero-se: si contesta, da più parti in dottrina, l’opportunità di aver mantenu-to nel codice una norma che, punendo più lievemente condotte che in as-senza dello specifico fine assistenziale costituirebbero delitti contro la per-sona (nella forma di percosse, lesioni e addirittura di omicidio)2, appa-re anacronistica, in quanto espressione di momenti storici nei quali il di-ritto legittimava nell’ambito familiare e parafamiliare l’adozione di siste-mi disciplinari imperniati sull’uso della violenza e della forza fisica, cer-tamente in assoluto contrasto con il moderno assetto culturale3.

In particolare, si è messo in evidenza che la disposizione in esameriflette una concezione normativa della famiglia fortemente gerarchiz-zata, ormai del tutto superata, alla quale si è sostituito un modello di isti-tuzione familiare che, a seguito del mutato quadro costituzionale di ri-ferimento, suffragato dalle disposizioni delle Convenzioni internaziona-li (prima tra tutte quella delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo del20.11.89, ratificata e resa esecutiva nel nostro ordinamento con la L.27.5.1991, n. 176) e della riforma del diritto di famiglia, perde il caratte-re di ordinamento giuridico autoritario e si pone su basi essenzialmen-te paritarie: il dovere che incombe sui genitori è quello di «mantenere, istrui-re ed educare la prole tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale edelle aspirazioni dei figli» (così, il novellato art. 147 c.c.)4. In questa nuova

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medesimo senso, tra gli altri, DELOGU, Art. 571. Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina,in Commentario al diritto italiano della famiglia, Vol. Settimo, diretto da G. CIAN, G. OPPO, A.TRABUCCHI, Diritto penale, Padova, Cedam, 1995, p. 598.

2 A conferma di una tale voluntas legis, v. Relazione al progetto definitivo di un nuovocodice penale, in Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale, V, parte II,Roma, 1929, p. 357 ss., in cui si precisa che il reato in parola si caratterizza per la sussisten-za del fine correttivo che l’agente si propone, il quale sminuisce il disvalore oggettivo del-l’offesa all’integrità personale o alla vita del soggetto passivo, sì da escludere un’autono-ma punibilità di tale offesa.

3 Cfr. G.D. PISAPIA, Abuso dei mezzi di correzione, in Noviss. Digesto It., I, Torino, 1957,p. 99; F. UCCELLA, La tutela penale della famiglia, Padova, 1984, p. 9; G. PISAPIA, Abuso dei mez-zi di correzione e di disciplina, in Digesto pen., I, Torino, 1987, p. 36; M. MAZZA, Maltrattamen-ti e abuso dei mezzi di correzione, in Enc. Giur., XIX, Roma, 1990, p. 2; F. FIERRO CENDERELLI,Famiglia (rapporti di famiglia nel diritto penale), in Digesto pen., V, Torino, 1991, p. 128.

4 V., tra gli altri, S. LARIZZA, La difficile sopravvivenza del reato di abuso dei mezzi di cor-rezione, nota a Cassazione penale, 18/03/1996, n. 4904, Sez. VI, in Cass. pen., 1997, I, p. 29; A.C.MORO, Manuale di diritto minorile, Quarta Edizione, a cura di L. FADIGA, Bologna, Zanichel-li, 2008, p. 431 ss. Contra, F. FIERRO CENDERELLI, Profili penali del nuovo regime dei rapporti fa-miliari, Giuffrè, 1984, p. 33, la quale ritiene che «le pur significative innovazioni del legi-slatore civile esplichino un’efficacia marginale sulla disciplina penale del rapporto geni-tori-figlio minore dal momento che, pur restringendosi la sfera della potestà dei genitori,tale rapporto rimane fondato su basi gerarchiche».

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prospettiva, in cui la famiglia viene considerata «una società intermediaoperante a favore dei suoi membri»5, il minore, da oggetto di protezio-ne e tutela (e in alcuni casi di disposizione) da parte degli adulti, qualeera anteriormente considerato, diviene un soggetto di diritto che va gui-dato nella propria crescita e formazione in maniera tale da renderlo ca-pace di integrale e libera espressione delle sue attitudini e tendenze.

Inoltre, si rileva come i progressi della scienza pedagogica abbia-no dimostrato che l’esercizio della funzione correttiva con modalità af-flittive ed umilianti, offensive della dignità umana, sarebbe priva di qual-siasi utilità ai fini di una educazione mirante allo sviluppo armonico diuna personalità sensibile ai valori sociali dominanti6.

Tali considerazioni sono fatte proprie anche dalla giurisprudenzache a partire dalla importante sentenza Cambria7, di cui si tratterà piùapprofonditamente nel prosieguo, ha mutato radicalmente orienta-mento rispetto al passato, statuendo che l’uso della violenza a scopi edu-cativi è sempre illecito.

Ciononostante, una parte della dottrina osserva che «non si potreb-be arrivare al paradosso di una interpretatio abrogans della norma, affer-mando che sempre tutte le misure disciplinari incidono oramai su dirit-ti costituzionalmente riconosciuti della persona offesa. Secondo unprincipio generale, infatti, una norma deve considerarsi valida anche inun mutato quadro costituzionale, sempreché, attraverso un’interpreta-zione teleologica, sia possibile riconoscerle ancora un contenuto precet-tivo utile anche in quel clima; e […] questa utilità di un adeguato uso del-le norme appare ancora evidente»8.

Nello specifico, il nucleo di riferimento sul quale fondare oggi la pre-senza, nel nostro sistema penale, della disposizione in analisi, viene in-dividuato negli artt. 2 e 30 della Carta Costituzionale: proprio alla lucedel dovere di solidarietà e di educazione si giustificherebbe la previsio-ne di poteri disciplinari o correttivi in capo alla istituzione familiare o allealtre autorità ad essa vicarie.

Tuttavia, nella prospettiva costituzionale il reato di abuso dei mez-zi di correzione, il cui ambito di operatività rimane esteso a soggetti chevanno oltre la cerchia familiare, viene, da alcuni Autori, ricondotto ad unafunzione diversa da quella di tutela dell’ordine interno delle famiglie che

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5 Così, DELOGU, op. cit., p. 583.6 Cfr., in questo senso, M.C. PARMIGGIANI op. cit., p. 592; DELOGU, op. cit., p. 583; S. LA-

RIZZA, op. cit., p. 37. 7 Cass. pen., Sez. VI, 18/3/1996, n. 4904. 8 Così, DELOGU, op. cit., p. 583 s.

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originariamente lo caratterizzava: diviene limite esclusivo di ogni pote-re disciplinare, come tale riconosciuto soltanto se esercitato attraverso mez-zi rispettosi dei diritti fondamentali della persona9. In questo senso si af-ferma che la disciplina della fattispecie de qua, volutamente delineata dallegislatore attraverso l’utilizzo di espressione elastiche (come ad esem-pio la locuzione «mezzi di correzione»), risulta ancora compatibile conla mutata realtà sociale e giuridica10.

2. I presupposti della fattispecie. La relazione qualificata tra autore e per-sona offesa

Non si esauriscono, comunque, in quelle volte a sindacare l’oppor-tunità politico-criminale della figura di reato ex art. 571 c.p. le critiche del-la dottrina che si è soffermata sulla disamina di questo delitto. Moltepli-ci risultano essere gli ulteriori aspetti problematici.

Volendo tentare un’analisi, orientata ad una prospettiva de jure conden-do, dei principali tratti controversi della disciplina della figura criminosa,è utile, innanzitutto, individuare l’ambito e i limiti entro cui può instaurar-si il rapporto sorretto dallo jus corrigendi, la cui sussistenza è necessaria perla configurabilità del reato. Particolare attenzione si presterà, da questo pun-to di vista, ad un tema discusso e di attuale interesse, cioè quello riguardan-te le relazioni c.d. di fatto e, segnatamente, la famiglia di fatto.

Prima ancora vanno tuttavia indicati gli altri elementi della fattispe-cie, su cui si registra una totale concordia di opinioni. È pacifico che sitratta di un reato proprio11, in quanto soggetti attivi dello stesso, come

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9 V. P.PITTARO, Il delitto di abuso dei mezzi di correzione e disciplina, in Quid Juris, 1998,II, p. 1329; G. BONILINI, M. CONFORTINI, Codice penale commentato, a cura di M. RONCO – S.ARDIZZONE, B. ROMANO, Terza Edizione, Utet, 2009, p. 2427 s.

10 Per tutti, cfr. S. LARIZZA, op. cit., p. 36; F. GATTI, I delitti contro l’assistenza familiare,in Rivista penale 9/2011, p. 865.

11 Alcuni Autori (cfr. A.M. RUFFO, La tutela penale della famiglia. Prospettive dommatiche edi politica criminale, Napoli, 1998, p. 57 s.), tuttavia, ritengono di dover inserire la fattispeciede qua nella categoria dei reati comuni però atipici o a soggettività esclusiva. In tale genus sifanno rientrare quelle ipotesi di reato definite anche «di mano propria». Per tale definizione v.C. FIORE – S. FIORE, Diritto penale, Parte generale, III edizione, Utet Giuridica, 2008, p.157 s.: «An-che talune fattispecie, in relazione alle quali la legge adopera, per definire l’autore, l’espressione «chiun-que», si atteggiano, però, in modo analogo ai reati propri, nella misura in cui, pur potendo essere com-messi, in astratto, da «chiunque», richiedono, tuttavia, per realizzarsi in concreto, che al momento delfatto il soggetto si trovi appunto in una particolare relazione con il bene protetto […]. In relazione aquesta categoria di ipotesi, si parla anche di reati «di mano propria», intendendo con ciò riferirsi al fat-to che essi possono configurarsi solo se il fatto tipico è commesso, per così dire, «in prima persona» dacolui che riveste la specifica qualità richiesta dalla legge […]».

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già accennato, possono essere solamente coloro che rivestono una posi-zione di autorità nei confronti della persona offesa o che sono legati allavittima da un rapporto particolare, perché a loro affidata per ragione dieducazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, ovvero per l’eserciziodi una professione o di un’arte, e che i soggetti passivi possono indivi-duarsi nelle persone sottoposte all’autorità dell’agente o a lui assegna-te per le predette ragioni. Sono tre, inoltre, i presupposti a cui è subor-dinata la tipicità dell’ipotesi delittuosa: investitura dell’autore di un rap-porto qualificato da un potere disciplinare; sottoposizione della vittimadell’eccesso correttivo a detto potere; esigenza che quest’ultima abbia te-nuto un comportamento meritevole di correzione.

Tornando, ora, alle questioni inerenti l’ambito di operatività dellarelazione disciplinare che, come detto, deve necessariamente intercorre-re tra soggetto attivo e passivo del reato, è opportuno sottolineare comela lettera della norma imponga una preliminare distinzione tra due ca-tegorie di rapporti: quelli di tipo strettamente familiare e quelli c.d. pa-rafamiliari, cioè riconducibili all’esercizio di tutte le funzioni assistenzia-li, per così dire, vicarie o supplenti o d’ausilio rispetto all’operato dellafamiglia in senso proprio.

Presupposto comune è l’individuazione, secondo l’opinione delladottrina ormai prevalente, della legge come unico fondamento che legit-tima l’esistenza di tali rapporti12.

Appare, infatti, superato, almeno con riferimento all’originaria im-postazione, quell’orientamento che riteneva possibile estendere l’appli-cazione del reato de quo anche ai soggetti titolari di un mero rapportodi fatto in nome di un «eccezionale interesse generale alla educazione deigiovani»13. Si ritiene, oggi, che l’esercizio di fatto di un potere autorita-

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12 V., per tutti, G. PISAPIA., op. cit., p. 31. In ordine alla natura giuridica del rappor-to potere-dipendenza che deve legare l’autore e la persona offesa, si discute, in dottrina,se tale rapporto possa trovare la sua fonte esclusivamente in norme di diritto privato o puredi diritto pubblico. Anche i sostenitori dell’interpretazione restrittiva, tuttavia, in una solaipotesi attribuiscono rilevanza ex 571 c.p., e non ai sensi delle disposizioni che disciplina-no i delitti contro la pubblica amministrazione, ad abusi di potere disciplinare commessinell’ambito di rapporti di diritto pubblico: si tratta di quei casi di abuso che si verificanoall’interno di istituzioni aventi natura pubblicistica preposte ad una funzione di assisten-za complementare o sostitutiva di quella spettante alla famiglia. Ci si riferisce alle fattispe-cie di eccessi disciplinari che avvengono, ad esempio, all’interno delle scuole o di altri isti-tuti di istruzione pubblici, degli ospedali, dei centri pubblici di recupero di tossicomani,dei centri deputati al servizio sociale minorile, etc. Per una più approfondita disamina del-la questione, v. DELOGU, op. cit., p. 586 s.

13 Così, G.M. BETTIOL, Aspetti dello jus corrigendi nel diritto penale, in Scritti giuridici,II, Padova, Cedam, 1966, p. 33.

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rio su un minore sia legittimo soltanto se chi lo esercita si sia assunto l’ob-bligo di assisterlo in maniera continuativa; costituirebbero, invece, casidi usurpazione del potere disciplinare le ipotesi di intervento correttivoavente carattere meramente occasionale, come, ad esempio, quelle giu-stificabili in base ai principi dell’agere pro alium o della negotiorum gestio14.

Tale premessa opera senza dubbio in chiave restrittiva della valen-za applicativa della norma in analisi, posto che, in attuazione dei prin-cipi della Costituzione, negli ambiti di possibile operatività della stessasono intervenuti mutamenti legislativi che, da una parte, hanno ridimen-sionato la rosa dei rapporti in cui lo jus corrigendi può essere riconosciu-to e, dall’altra, hanno bandito o espressamente vietato l’uso di qualsia-si tipo di violenza nelle relazioni da questo sorrette.

2.1. I rapporti familiari

Riguardo, in particolare, ai rapporti familiari, alla luce dell’abolizio-ne dell’istituto della patria potestas, attuata con l’entrata in vigore, nel 1975,del nuovo diritto di famiglia, è fuori discussione che alcuna potestà di-sciplinare spetti al marito nei confronti della moglie: i coniugi vengonoormai considerati alla stregua del principio costituzionale di eguaglian-za morale e giuridica; così, pure, è pacificamente negata la sussistenzadi un potere disciplinare dei genitori nei riguardi dei figli maggiorenni,anche se conviventi, e dei fratelli nei confronti di altri fratelli15.

Possibili soggetti passivi del reato sono i figli minori, fermi restan-do i limiti, in precedenza indicati, imposti all’attività educativa esercita-bile da ambedue i genitori dall’art. 147 c.c., ed indipendentemente dal-lo status dei figli stessi: siano essi, cioè, legittimi, naturali riconosciuti, na-turali non riconosciuti o non riconoscibili, adottivi.

Possibili soggetti attivi sono considerati anche coloro che diven-tino titolari, mediante un atto giuridico, di poteri-doveri riconducibi-li alla potestà genitoriale, come, ad esempio, tutori, affidatari e geni-tori adottivi16.

Si ritiene, inoltre, che alla formale investitura del potere disciplina-re possa equipararsi l’esercizio di fatto di poteri-doveri identici a quellicontenuti nella potestà genitoriale.

Secondo questa logica vengono, quindi, in rilievo, ad avviso della

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14 Per un approfondimento di questa tematica, v. DELOGU, op. cit., p. 588 s.15 V., tra gli altri, DELOGU, op. cit., p. 573 ss.; riguardo specificamente ai figli maggio-

renni, anche se conviventi, Cass., Sez. VI, 8 maggio 1984, Cipriani, in Cass. pen., 1985, p. 2006. 16 M.C. PARMIGGIANI, op. cit., p. 578 s.

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dottrina maggioritaria17, i rapporti c.d. di fatto, come quello intercorren-te tra il minore ed il genitore decaduto dalla potestà genitoriale o il tu-tore esonerato, rimosso o sospeso dal suo ufficio qualora questi ultimi con-tinuino (ecco il riferimento al sopra accennato carattere della continui-tà che necessariamente deve caratterizzare l’obbligo di assistenza) ad oc-cuparsi della cura del fanciullo. Oltre a queste ipotesi, si considerano rap-porti sorretti dallo jus corrigendi quelli che si instaurano nei contesti fa-miliari riconducibili alla tipologia della famiglia di fatto, come nel casodel convivente more uxorio che si prende carico dell’assistenza dei figlidell’altro convivente; tuttavia, il potere disciplinare gli è attribuibile, se-condo il citato orientamento, per la già richiamata volontaria e continua-ta assunzione di una funzione educativa nei loro confronti, e non per ilfatto in sé della convivenza more uxorio che, peraltro, in questa ipotesi vie-ne in rilievo ponendosi nell’area di significato più circoscritta, non an-cora oggetto di un serio esame a livello penalistico, riconducibile al con-cetto ormai dilagante di famiglia di tipo fattuale c.d. amalgamata, qua-le unione di due persone delle quali una o entrambe portino con sé i fi-gli avuti da un precedente connubio sciolto per vedovanza, divorzio oaltra causa.

Nell’ambito della letteratura più tradizionalista18, infatti, si ritiene cheil problema della rilevanza giuridica della famiglia di fatto sia stato po-sto in evidenza, soprattutto di recente, per ragioni di natura ideologica,nel tentativo di legittimare una equiparazione de jure condendo di tale ti-pologia di famiglia a quella fondata sul matrimonio. De jure condito, tut-tavia, il concetto non avrebbe molto senso visto che sino ad oggi una sif-fatta equiparazione non sarebbe avvenuta in linea generale, ma solo fram-mentariamente in alcune leggi speciali prive di attinenza penalistica, comead esempio in materia di assistenza e previdenza nel lavoro, di locazio-ni di immobili urbani o in materia tributaria19. Nel codice civile, inoltre,si individua solamente un parziale riconoscimento della c.d. coppia di fat-to: ci si riferisce all’art. 317 bis il quale, al secondo comma, dispone che se

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17 Cfr. DELOGU, op. cit., p. 592; G. BONILINI, M. CONFORTINI, op. cit., p. 571; M. MENE-GHELLO, op. cit., p. 623.

18 V., in tal senso, DELOGU, Dei delitti contro la famiglia, in Commentario al diritto italia-no della famiglia, Vol. Settimo, diretto da G. CIAN, G. OPPO, A. TRABUCCHI, Diritto penale, Pa-dova, Cedam, 1995, p. 36 ss.

19 Art. 3 l. 20 febbraio 1950, n. 64, in materia di infortuni sul lavoro; l. 23 maggio 1950,n. 253, in materia di locazioni di immobili urbani; art. 28 l. 2 luglio 1952, n. 703, in mate-ria di imposta di famiglia. Cfr., per una rassegna di leggi e di giurisprudenza, G. PIEPOLI,Realtà sociale e modello normativo nella tutela della famiglia di fatto, in Riv. trim. di dir. e proc.civ., 1972, p. 1433 ss.

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tutti e due i genitori hanno riconosciuto il loro figlio naturale, l’eserciziodella potestà genitoriale spetta ad entrambi congiuntamente qualora sia-no conviventi, proprio come avviene nel caso della famiglia legittima.

Al contrario, alcuni Autori20 pongono in evidenza come il diritto pe-nale, contrariamente a ciò che accade in altri ambiti dell’ordinamento giu-ridico, sia aperto al recepimento ed alla valorizzazione di concezioni del-la famiglia diverse da quella propriamente giuridica, quale, appunto, il casodelle realtà familiari fattuali o addirittura di modelli familiari un tempo im-prevedibili oppure appartenenti all’area del giuridicamente irrilevante.

Questo assunto evoca l’idea, oggi comunemente seguita, che anchequando la norma penale richiama concetti e categorie propri di altri set-tori dell’ordinamento (è innegabile, infatti, che la nozione di famiglia tro-vi la propria fonte e regolamentazione originaria nel diritto privato) nericostruisce il significato in via autonoma, nel caso le specifiche esigenzedella tutela penalistica lo richiedano. È ormai del tutto superata l’impo-stazione secondo cui il diritto penale avrebbe una funzione meramentesanzionatoria, e cioè andrebbe semplicemente a sanzionare comandi o di-vieti già previsti altrove, in particolare nell’ordinamento privatistico21. In-fatti, viene unanimemente recepita la concezione autonomistica o costituti-va che riconosce allo stesso un carattere primario ed autonomo, dal pun-

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20 Per una approfondita disamina della tematica, v. S. RIONDATO, Introduzione a «fa-miglia» nel diritto penale italiano, in Trattato penale della famiglia, Vol. IV, a cura di S. RIONDA-TO, in Trattato di diritto di famiglia diretto da P. ZATTI., Giuffrè Editore, 2011, p. 43 ss.

21 La c.d. concezione sanzionatoria, le cui premesse storico-culturali rimandano al pen-siero di Hobbes, Pufendorf, Bentham, Rousseau e si riallacciano al principio di non inge-renza dello Stato nella sfera privata, attribuiva al diritto penale una funzione secondaria oaccessoria e sanzionatoria. In particolare, secondo l’orientamento teorico risalente a Karl Bin-ding (Teoria delle norme. K. BINDING, Die Normen und ihre Ubertretung, I, 1916, p. 73), il pre-cetto (norma primaria) atterrebbe ad un ramo particolare del diritto pubblico, mentre il di-ritto penale si comporrebbe solo di precetti secondari - le sanzioni - e si occuperebbe, quin-di, delle sole conseguenze giuridiche dei comportamenti vietati o comandati dalle norme.Questa teoria è stata recepita in Italia soprattutto nella riformulata versione del carattereulteriormente sanzionatorio del diritto penale (Grispigni), per cui ogni condotta costituentereato sarebbe in ogni caso vietata anche da un’altra norma di diritto pubblico o privato.In altri termini, il precetto penale presupporrebbe necessariamente un altro precetto nonpenale e la sanzione penale andrebbe, così, a rafforzare o completare un’altra sanzione giu-ridica stabilita dalla norma che, anteriormente al diritto penale, ha vietato la medesima con-dotta (F. GRISPIGNI, Diritto penale italiano, I, Milano, 1952, p. 232).

Sull’argomento, tra gli altri, cfr. C. FIORE – S. FIORE, op. cit., p. 7; F. MANTOVANI, Di-ritto penale, Parte generale, VII edizione, Cedam, 2011, p. 48 s.; G. FIANDACA – E. MUSCO, Di-ritto penale, Parte generale, V edizione, Zanichelli Editore, 2007, p. 34 ss.; T. PADOVANI., Di-ritto penale, II edizione, Milano, Giuffrè Editore, 1993, p. 3 ss.; I. LEONCINI, Reato e contrat-to, Milano 2006, p. 121 ss.

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to di vista nozionale e funzionale, in quanto, «[...] d’ordinario, il precetto pe-nale si presenta coma regola originaria»22, seppure concorra con altri strumen-ti giuridici alla realizzazione degli scopi di tutela dei beni giuridici.

Non è infrequente, tuttavia, specie nella legislazione complementa-re, un uso di tipo sanzionatorio dello strumento penalistico rispetto alladisciplina di una singola materia contenuta in fonti normative extrapena-li. La tendenziale autonomia dell’illecito penale, osserva la citata dottrina,non è comunque messa in discussione dal fatto che a volte l’applicazionedella fattispecie incriminatrice richiede rinvii a presupposti ricavabili daaltri settori dell’ordinamento. In ogni caso, la ratio dell’incriminazione pe-nale sottende valutazioni proprie, prima tra tutte quella ricollegabile al prin-cipio di frammentarietà della protezione penalistica che, rivolgendosi allasfera di interessi maggiormente rilevanti per la collettività, rimane circo-scritta a specifiche forme di aggressione o modalità di lesione23. Inoltre, lepeculiari esigenze dell’imputazione penalistica conferiscono ai beni ogget-to della propria tutela un’impronta nuova ed originale.

Si individua24, così, all’interno della parte speciale del codice pena-le, e già propriamente nel Titolo dedicato ai reati contro la famiglia, cuila norma in analisi appartiene, l’alternanza di varie concezioni della fa-miglia che in altri ambiti del diritto rimangono prive di rilevanza.

Vi sarebbe, innanzitutto, quella di famiglia come istituto etico-giu-ridico, intesa nel significato di convivenza o comunione familiare in cuii genitori con il dialogo e, soprattutto, con l’esempio formano la perso-nalità del giovane che poi sarà il cittadino; ecco che tale consorzio o so-cietà coniugale e/o parentale deve essere tutelato contro l’attività crimi-nosa (una tale ratio di incriminazione sarebbe sottesa, ad esempio, ai rea-ti ex artt. 570 e 572 c.p.). Originariamente il dato fondante della famigliaconcepita nella predetta maniera si riteneva essere il matrimonio, così daattribuire rilevanza alla famiglia coniugale legittima. Era questa la logi-ca cui ricondurre quelle ipotesi delittuose contro il matrimonio, poi og-

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22 Così, v. ancora C. FIORE – S. FIORE, op. cit., p. 7.23 Riguardo all’ulteriore carattere di sussidiarietà del diritto penale, secondo cui la san-

zione penale deve costituire l’ultima ratio cui ricorrere solo quando le misure apprestate daaltri settori dell’ordinamento risultano impraticabili o inadeguate, una parte della dottri-na ritiene che esso nulla abbia a che vedere con la questione, ormai risolta in senso nega-tivo, della funzione meramente sanzionatoria del diritto penale. V., per tutti, C. FIORE – S.FIORE, op. cit., p. 7. Altri Autori, invece, ravvisano un possibile collegamento tra il caratte-re secondario del diritto penale e la necessaria sussidiarietà dello strumento penalistico ri-spetto agli altri sistemi di tutela. Cfr., ad esempio, G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., p. 35.

24 S. RIONDATO, op. cit., p. 43 ss.

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getto di pronunzia di incostituzionalità della Corte Costituzionale, qua-li le fattispecie di adulterio (art. 559 c.p.) e di concubinato (art. 560 c.p.).

Si fa, tuttavia, notare che nella legislazione del 1930 comparirebbeun’apertura rispetto alla filiazione un tempo chiamata illegittima e oggianche detta naturale (vedi, ad esempio, l’abrogata figura criminosa dell’in-cesto ex art. 546 c.p.); ciò, nel corso del tempo, avrebbe favorito la valoriz-zazione ed il recepimento di una morale familiare che prescinde dall’isti-tuto del matrimonio. Da qui l’idea, prospettata inizialmente, che la fami-glia in senso penalistico (legittima o naturale) rimane solo tendenzialmen-te ancorata alla concezione giuridica o istituzionale, dal momento che essanon è più considerata esclusivamente alla stregua di rapporti già ricono-sciuti dal punto di vista giuridico, ma tende ad ammettere e tutelare an-che realtà che appaiono come familiari nella vita individuale e sociale: sipensi alla c.d. famiglia di fatto, che si àncora non solamente a rapporti si-milari a quelli coniugali, ma a qualsiasi tipo di relazione familiare.

A tal proposito, si rammenta la rilevanza penale attribuita dalla giu-risprudenza e, di recente, dallo stesso legislatore alla convivenza more uxorioai fini della configurabilità di una fattispecie delittuosa contigua, non soloper posizione “topografica”, al reato di Abuso dei mezzi di correzione o didisciplina, e cioè quella dei Maltrattamenti contro familiari o conviventi dicui al novellato articolo 572 c.p., la quale ha costituito il vero banco di pro-va rispetto all’ampliamento della istituzionale concezione della famiglia25.

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25 In giurisprudenza, inter alia, v. Cass. pen., Sez. V, 3/3/2010, n. 24668; Cass. pen., Sez.III, 19/1/2010, n. 9242: in tema di maltrattamenti in famiglia è idea ormai consolidata chela concezione di famiglia possa identificarsi in ogni consorzio di persone tra le quali, per stret-te relazioni e consuetudini di vita, siano sorti rapporti di assistenza e solidarietà, senza la ne-cessità di un fondamento legittimo del rapporto; ne consegue che il delitto si consuma an-che tra persone legate soltanto da un puro rapporto di fatto, che, per le intime relazioni e con-suetudini di vita correnti tra le stesse, presenti somiglianza ed analogia con quello propriodelle relazioni coniugali. Tale orientamento giurisprudenziale è stato recentemente recepi-to anche dal legislatore, il quale, con l’art. 4, 1°co., lettera d), l. 172/2012 (di ratifica ed ese-cuzione della Convenzione di Lanzarote del 25 ottobre 2007), ha sostituito il vecchio testo del-l’art. 572 c.p. («Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli»), novellando la rubrica, ora intito-lata «Maltrattamenti contro familiari o conviventi», ed aggiungendo nel novero dei soggetti pas-sivi del reato, per l’appunto, i conviventi. Inoltre, altre modifiche hanno riguardato l’aumen-to dei livelli edittali di pena (adesso compresi tra un minimo di due e un massimo di sei annidi reclusione) e la trasformazione del fatto commesso nei confronti dell’infraquattordicen-ne da ipotesi base a circostanza aggravante ad effetto ordinario.

In certa parte della giurisprudenza, poi, si è giunti finanche a negare la necessità di unaconvivenza tra i soggetti coinvolti nel reato ai fini della sua configurabilità, allorchè la con-dotta del soggetto realizzi comunque gli estremi strutturali tipici della ipotesi criminosa ex art572 c.p. attraverso ripetute manifestazioni di offensività e aggressività attuate in danno delconiuge separato. Cfr., Cass. pen., Sez VI, 21 gennaio 2009., n. 16658, in Cass. pen., 2010, 606.

Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina

Inoltre, viene messo in evidenza26 come nella realtà odierna l’inter-prete sia chiamato a porre la sua attenzione su modelli familiari prove-nienti da culture diverse dalla nostra, i quali sottendono la questione delmulticulturalismo27 e della consequenziale esigenza di contemperare latutela della singola persona con il rispetto di statuti familiari profonda-mente differenti da quelli riconosciuti dalla tradizione culturale cui si rifàil legislatore storico.

Il concetto di «società multiculturale»28 - sul quale si faranno brevicenni in considerazione del suo problematico rapporto con il diritto pe-nale e delle conseguenti, seppure indirette, implicazioni con il reato dequo - è emerso già da lungo tempo negli Stati Uniti d’America. Lo stes-so è divenuto, poi, oggetto anche della riflessione della dottrina italiana:il fenomeno dell’immigrazione, diffusosi in maniera crescente negli ul-timi decenni, ha portato in Italia, così come è avvenuto in altri Stati eu-ropei, individui e famiglie provenienti da luoghi e culture diversi. Acca-de, allora, che nel Paese d’arrivo i migranti si imbattono in un differen-te modo di regolamentazione della comune convivenza, ossia in un di-ritto penale difforme da quello di origine.

All’interprete, quindi, è posto il compito di individuare la risposta

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26 Cfr. S. RIONDATO, op. cit., p. 54 ss.27 Sul tema, tra gli altri, v. F. BASILE, Immigrazione e reati culturalmente motivati, Mila-

no, Giuffrè editore, 2010; P. PITTARO, Impiego di minore nell’accattonaggio part-time: maltrat-tamento in famiglia o riduzione in schiavitù?, in Fam. dir., 2009, p. 238; F. BASILE., Premesse peruno studio sui rapporti tra diritto penale e sicietà multiculturale. Uno sguardo alla giurispruden-za europea sui c.d. reati culturalmente motivati, in Riv. it. dir. proc. pen., 2008 p. 149; C. DE MA-GLIE, Culture e diritto penale. Premesse metodologiche, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2008, p. 1088ss.; S. RIONDATO, Diritto penale e reato culturale, tra globalizzazione e multiculturalismo. Recen-ti novità legislative in tema di opinione, religione, discriminazione razziale, mutilazione genitalefemminile, personalità dello Stato, in S. RIONDATO (a cura di), Discriminazione razziale, xenofo-bia, odio religioso. Diritti fondamentali e tutela penale, Cedam, 2006.

28 Un’importante distinzione messa in evidenza in dottrina è quella esistente tra so-cietà (o Stato) multiculturale di tipo multinazionale e società (o Stato) multiculturale di tipopolietnico. Nel primo caso il pluralismo culturale deriva dall’assorbimento (a seguito di pro-cessi di colonizzazione, conquista o confederazione) in uno Stato più grande di gruppi cul-turali territorialmente concentrati che, in precedenza, si governavano da soli e che costi-tuiscono le c.d. minoranze nazionali autoctone. Nel secondo caso il pluralismo culturalediscende dall’immigrazione, anche da Paesi molto distanti da quelli d’arrivo, di individuie famiglie che spesso si raccolgono in associazioni flessibili, le quali di regola desiderano,almeno in parte, integrarsi nella società dominante, pur rivendicando un maggiore rico-noscimento della loro identità culturale. In Italia le minoranze autoctone, tranne l’eccezio-ne costituita dai Rom, sono totalmente assenti; di conseguenza, la coesistenza di culturediverse trae origine dal fenomeno dell’immigrazione. Sull’argomento v. F. BASILE., Immi-grazione e reati culturalmente motivati, cit., p. 43 ss.

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penale più adeguata riguardo a quei fatti commessi dagli immigrati nelPaese ospitante, previsti come reati nell’ordinamento giuridico di que-st’ultimo ma considerati leciti nel sistema del loro Stato di provenienza.Si presenta, cioè, il problema concernente la disciplina dei reati che la dot-trina chiama culturali o culturalmente orientati o culturalmente motivati29,la cui incidenza è particolarmente frequente proprio nell’ambito che for-ma oggetto della presente trattazione. Dall’analisi della casistica giudi-ziaria emerge che tali reati sono riconducibili a diverse categorie delit-tuose, tra cui gli illeciti contro l’onore, di riduzione in schiavitù a dan-no di minori, contro la libertà sessuale, in materia di sostanze stupefa-centi; tuttavia, il maggior numero di casi finora giunto all’attenzione del-la giurisprudenza italiana riguarda il contesto familiare. Si pensi a quel-le condotte fondate su un’idea dello jus corrigendi e della potestà mari-tale ormai superata, come si è visto, nel nostro sistema sociale e giuridi-co: sempre più spesso la cronaca racconta di vicende in cui gli autori deireati di Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina e di Maltrattamen-ti contro familiari o conviventi giustificano le loro azioni attraverso il ri-ferimento alle usanze e ai costumi dei propri luoghi di provenienza. Inparticolare, si tratta di episodi in cui con la violenza si punisce chi ten-ta di ribellarsi alle regole sociali ed al codice etico imposto dal capofa-miglia o dal leader del gruppo d’origine, oppure di casi di mutilazioni ge-nitali femminili30, di sequestri di giovani donne finalizzati ad imporre ma-trimoni combinati o con spose bambine, di violenze sessuali su ragazzeminorenni o intraconiugali, oppure di fatti consistenti nel rifiuto dei ge-nitori di mandare i figli a scuola a causa di riserve di tipo religioso-cul-turale rispetto all’istituto scolastico cui i ragazzi sono stati assegnati31.

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29 Una più dettagliata definizione proposta in letteratura è quella che fa riferimen-to ad «un comportamento realizzato da un soggetto appartenente ad un gruppo culturale di mi-noranza, che è considerato reato dall’ordinamento giuridico del gruppo culturale di maggioranza.Questo stesso comportamento, tuttavia, all’interno del gruppo culturale del soggetto agente è con-donato, o accettato come comportamento normale, o approvato, o addirittura incoraggiato o impo-sto». Così F. BASILE, Immigrazione e reati culturalmente motivati, cit., p. 41 ss. Formulazionesimilare era stata elaborata già da C. DE MAGLIE, op. cit., p. 1115.

30 Questa pratica è oggi gravemente punita in Italia: il legislatore, con la legge n. 7del 2006, ha introdotto nell’ordinamento specifiche norme volte a disciplinare quello chesi configura come il nuovo reato di mutilazione degli organi genitali femminili.

31 Tra le altre, cfr. Tribunale di Torino 21 ottobre 2002, in Quest. Giust., 2003, p. 666,con nota di F. MAZZA GALANTI, I bambini degli zingari e il reato di maltrattamenti in famiglia;Cassazione 16 dicembre 2008, n. 46300, in Guida dir., 14 marzo 2009, p. 63; Cassazione 29maggio 2009, n. 22, in Quotidiano Diritto e Giustizi@ del 19.10.2009; Cassazione 17 dicem-bre 2009, n. 48272, udienza 7 ottobre 2009. Allargando l’analisi della casistica giurispruden-ziale a quella inglese, in essa si rinviene un’ipotesi specifica di inosservanza dell’obbligo

Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina

Altro esempio di reato culturalmente motivato è quello di bigamia(art. 556 c.p.), la cui configurabilità si è diffusa nel nostro Paese a segui-to della immigrazione di soggetti legati a modelli culturali legittimantila poligamia, distanti anni luce dalla concezione della famiglia fondatasul matrimonio quale relazione esclusiva tra due individui32.

La possibile soluzione a questi casi, e quindi l’individuazione del-la più corretta reazione del diritto penale di fronte a tale tipologia di rea-ti, postula la necessità di stabilire, preliminarmente, se attribuire o menorilevanza alla motivazione culturale spesso invocata dagli imputati comeelemento condizionante della propria condotta. Inoltre, una impostazio-ne volta a risolvere in senso positivo la questione implica l’ulteriore in-dagine circa i criteri attraverso cui valutare i fattori implicanti il richia-mo a culture “altre”.

Il dibattito dottrinale sviluppatosi in Italia è certamente influenza-to dalle riflessioni avviate in America a partire dalla seconda metà de-gli anni Ottanta. Tuttavia, come osserva un Autore particolarmente sen-

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scolastico da parte dei genitori, dovuta a motivi religiosi. Questo è ritenuto l’unico caso notodi inadempimento degli obblighi scolastici che rileva come reato a sé stante, e non si in-serisce in una fattispecie più ampia, quale, di regola, quella di Maltrattamenti contro fa-miliari o conviventi. V., per una ricostruzione di questa vicenda giudiziaria, F. BASILE, Im-migrazione e reati culturalmente motivati, cit., p. 237.

32 A riguardo, parte della dottrina fa riferimento ad un’ordinanza del Tribunale diBologna (ordinanza del 12 marzo 2003) che avrebbe indirettamente riconosciuto quello chesi ritiene possa atteggiarsi come un vero e proprio «diritto alla poligamia» anche in Italia,sostenendo che «il reato di bigamia può essere commesso solo dal cittadino italiano sul ter-ritorio nazionale, essendo irrilevante il comportamento tenuto all’estero dallo straniero lacui legge nazionale riconosce la possibilità di contrarre più matrimoni» e che «nessun prin-cipio di ordine pubblico appare leso laddove i matrimoni contratti all’estero dal padre sia-no privi di effetti civili per l’ordinamento italiano». Cfr. S. RIONDATO, Introduzione a «fami-glia» nel diritto penale italiano, cit., p. 57. In realtà, si tratterebbe di una pronuncia isolata, inquanto altra parte della dottrina ravvisa interpretazioni sostanzialmente restrittive nell’am-bito delle elaborazioni di quei pochi Autori che si sono occupati delle questioni ruotantiintorno al delitto di poligamia: in esse si tenderebbe a negare, infatti, la possibilità di in-vocare in funzione scriminante un diritto riconosciuto da un ordinamento giuridico stra-niero, quale appunto quello alla poligamia. V. F. BASILE., Immigrazione e reati culturalmentemotivati, cit., p. 371 s., il quale richiama S. FERRARI – I.C. IBAN, Diritto e religione in Europaoccidentale, Bologna, 1997, p. 101 ss. Si consideri, inoltre, che la pratica della poligamia hatrovato una ferma censura nella Carta dei diritti e doveri degli immigrati (Decreto Mini-stro dell’Interno 23 aprile 2007) ove all’art. 17 si afferma espressamente: «Il matrimonio èfondato sulla eguaglianza di diritti e di responsabilità tra marito e moglie, ed è per que-sto a struttura monogamica. La monogamia unisce due vite e le rende corresponsabili diciò che realizzano insieme, a cominciare dalla crescita dei figli. L’Italia proibisce la poliga-mia come contraria ai diritti della donna, in accordo con i principi affermati dalle istitu-zioni europee».

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sibile alle problematiche giuridico-penali legate al fenomeno del multi-culturalismo33, dall’analisi dell’esperienza statunitense è possibile rica-vare indicazioni importanti, ma certamente non risolutive, in quanto emer-gono in letteratura posizioni divergenti e anche lo stesso legislatore nonha preso esplicita posizione. Il concetto di cultural defense, elaborato dal-la dottrina penalistica ed inteso quale strategia difensiva utilizzata nelprocesso penale dall’imputato, basata sulla sua appartenenza ad una cul-tura di minoranza, non è stato formalizzato dalle fonti del diritto ame-ricano. Lo stesso, comunque, continua ad essere invocato dinanzi alle Cor-ti, però non risulta agevole stabilire neppure quale sia il prevalente orien-tamento della giurisprudenza d’oltre Oceano riguardo al peso da attri-buire alla diversa cultura dell’imputato in sede di accertamento e valu-tazione del reato contestatogli.

Le medesime questioni si pongono anche nell’ordinamento italia-no. La citata dottrina evidenzia che la difficoltà di giungere a soluzioniunivoche discende essenzialmente dalla necessità di contemperare va-rie esigenze contrapposte nel momento in cui si riflette su quale tratta-mento giuridico riservare alle condotte che sottendono consuetudini le-gate ad una determinata cultura. Si tratta di considerazioni contrastan-ti: si pensi, da un lato, a quelle che attengono alla individuazione dell’ef-fettivo grado di colpevolezza dell’autore, alla opportunità di favorire ilprocesso di integrazione degli immigrati, alla valorizzazione del princi-pio di uguaglianza e, dall’altro lato, a quelle che si riferiscono alle esigen-ze di tutela della vittima, alla attuazione concreta delle finalità della pena,soprattutto in un’ottica general-preventiva, alle difficoltose implicazio-ni pratiche legate al concetto di cultura, principalmente in ragione del-la sua notevole polisemia.

Le difficoltà investono anche l’aspetto probatorio, in sede proces-suale, e cioè le modalità attraverso cui fornire la prova del fattore cultu-rale condizionante la commissione del reato.

L’obiettivo ultimo si ritiene essere, comunque, quello di «concilia-re il rispetto della diversità culturale con il rispetto della uniformità e del-la credibilità del sistema penale»34.

In realtà, nessuno degli ordinamenti giuridici dei Paesi occidenta-li destinatari dei flussi immigratori, tantomeno l’Italia, ha introdotto di-sposizioni ad hoc per disciplinare le ipotesi dei reati culturalmente mo-

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33 F. BASILE, Immigrazione e reati culturalmente motivati, cit., p. 348 ss.34 Così ancora ivi, p. 11.

Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina

tivati35. Le possibili soluzioni provengono, come spesso avviene, dalle ela-borazioni frutto del dibattito dottrinale: allo stato attuale pare prevalen-te l’idea di applicare le norme e gli istituti già esistenti nel diritto pena-le vigente, tenendo sempre in considerazione i differenti fattori caratte-rizzanti il caso specifico, quali, ad esempio, il livello di offensività del fat-to o il grado di integrazione del soggetto agente. Quindi, a seconda del-le circostanze concrete, la motivazione culturale potrebbe avere rilievoin sede di esclusione del fatto tipico, in ragione della sua reale efficaciacondizionante (ritenendo assente il dolo, ad esempio), o di valutazionedell’antigiuridicità attribuendo ad essa valore scriminante (v., a titolo esem-plificativo, l’invocato esercizio del diritto alla poligamia), oppure nel mo-mento di accertamento e graduazione della effettiva colpevolezza del-l’autore venendo in considerazione, ad esempio, come ipotesi eccezio-nale di ignoranza legis scusabile. Inoltre, il fattore culturale potrebbe es-sere considerato in sede di valutazione della risposta sanzionatoria, even-tualmente attraverso l’applicazione di circostanze attenuanti (si pensi aquella integrata dall’aver agito per motivi di particolare valore moraleo sociale), o addirittura negando l’inflizione della pena stessa. Non si esclu-de, comunque, che possa essere del tutto irrilevante, ai fini dell’accerta-mento della responsabilità del soggetto, una motivazione di tipo cultu-rale nel caso essa appaia pretestuosa o ininfluente36.

Pertanto, ancora una volta - lo esplicita con fermezza la richiama-ta dottrina - ci si affida alla sensibilità dei giudici: sono questi che, in ul-

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35 L’assenza, a livello legislativo, di riferimenti a questa tipologia di reati accomunagli Stati, come la Francia, che adottano una politica della immigrazione improntata al mo-dello c.d. assimilazionista-integrazionista, caratterizzato da una logica di neutralità rispettoalle differenze culturali, ai Paesi, come l’Inghilterra, che hanno ufficialmente aderito al mo-dello c.d. multiculturalista propenso a riconoscere, accettare e valorizzare le culture “altre”.L’Italia non ha accolto in maniera netta nessuno dei due modelli e, di volta in volta, sem-bra ispirarsi a logiche di segno opposto: si pensi, da una parte, alle specifiche disposizio-ni di legge che prevedono regimi giuridici speciali nei confronti di coloro che appartengo-no ad un gruppo culturale di immigrati (v., ad esempio, l’art. 5 del d. lgs. n. 333 del 1998,che ha consentito la macellazione secondo il rito islamico); e, dall’altra parte, al già indi-cato reato di mutilazione degli organi genitali femminili introdotto dalla legge n. 7 del 2006e punito molto gravemente, alla circostanza aggravante c.d. della clandestinità, inserita dal-la l. n 92 del 2008 nel nuovo art. 61 n. 11 bis c.p., nonchè al reato di clandestinità introdot-to dalla l. n. 94 del 2009 ed, inoltre, alla proposta di legge n. 2769, presentata alla Camerail 2 ottobre 2009, per la modifica dell’art. 5 della l. n. 152 del 1975 e volta a vietare l’uso, inluogo pubblico o aperto al pubblico, degli «indumenti indossati in ragione della propriaaffiliazione religiosa».

36 Per una dettagliata ricostruzione dei vari elementi del reato all’interno dei qualipuò assumere rilevanza la motivazione culturale, v. F. BASILE, Immigrazione e reati cultural-mente motivati, cit., p. 359 ss.

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tima analisi, sono chiamati ad “interrogare” il diritto vigente e valutarecome risolvere l’eventuale conflitto normo-culturale posto dalla commis-sione di un reato culturalmente orientato. Il limite a qualsiasi forma diriconoscimento della diversità culturale ed alla sua possibile rilevanzain sede penale è costituito, senza dubbio, dal rispetto dei valori fondan-ti un dato sistema giuridico, primi tra tutti quelli che impongono la tu-tela dei diritti fondamentali dell’individuo.

A conferma di questa conclusione si pone anche la già citata pro-nuncia della Corte di Cassazione37, risolutiva di una vicenda giudizia-ria avente ad oggetto proprio un’ipotesi di maltrattamenti nei confron-ti del figlio minore da parte di un padre marocchino che, condannato pertale reato, aveva, con ricorso al Giudice di legittimità, invocato la deru-bricazione del fatto in Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, inquanto la sua condotta sarebbe stata finalizzata ad attuare esigenze edu-cative rispecchianti anche le consuetudini del Paese di origine. La Supre-ma Corte ha respinto il ricorso adducendo la contraddittorietà di qual-siasi mezzo violento rispetto alle finalità disciplinari. Inoltre, la stessa haposto in evidenza che «[...] Né diverso criterio interpretativo può eviden-temente essere adottato in relazione alla particolare concezione socio-cul-turale di cui sia eventualmente portatore l’imputato, posto che in mate-ria vengono in gioco valori fondamentali dell’ordinamento (consacratinei principi di cui agli artt. 2, 3, 30 e 32 Cost.), che fanno parte del visi-bile e consolidato patrimonio etico-culturale della nazione e del conte-sto sovranazionale in cui la stessa è inserita e, come tali, non sono suscet-tibili di deroghe di carattere soggettivo e non possono essere oggetto, daparte di chi vive e opera nel nostro territorio ed è quindi soggetto alla leg-ge penale italiana, di valida eccezione di ignoranza scusabile».

2.2. I rapporti parafamiliari. Il potere disciplinare dell’insegnante nei con-fronti dell’alunno

Tornando alla descrizione del più esteso concetto di famiglia rece-pito dal diritto penale, un ulteriore spazio sarebbe occupato, seguendola ricostruzione della richiamata dottrina38, dalla famiglia in un senso ro-manistico. Si fa riferimento, tra le varie ipotesi, proprio a quelle esten-sioni nominalistico-normative cui ricorre l’art. 571 c.p. quando ascrive alnovero familiare la serie di rapporti disciplinari caratterizzati dalla lorofunzione di ausilio o supplenza rispetto ai compiti di educazione e for-

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37 Cass. pen., Sez. VI, 17 dicembre 2009, n. 48272.38 S. RIONDATO, Introduzione a «famiglia» nel diritto penale italiano, cit., p. 52 ss.

Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina

mazione appartenenti stricto sensu alla famiglia. Si tratta dei rapporti c.d. parafamiliari, costituiti dagli affidamenti

«per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, ovve-ro per l’esercizio di una professione o di un’arte», rispetto ai quali l’am-bito di operatività della norma si è sensibilmente ristretto, se non di fat-to completamente azzerato in molte ipotesi, come ritiene la dottrina pre-valente, a seguito dei vari interventi legislativi che – lo si è già in prece-denza accennato - hanno vietato l’uso della violenza e, contestualmen-te, hanno individuato le ammissibili sanzioni disciplinari comminabili,le quali possono assumere natura coercitiva solo in casi eccezionali e sem-pre nei confronti di soggetti che, ad esempio, potrebbero nuocere a se stes-si o ad altri39. Si pensi alla materia dei rapporti di lavoro, la cui discipli-na è contenuta nella legge n. 300 del 1970 (Statuto dei lavoratori): l’art. 7della stessa dispone che le misure disciplinari applicabili sono esclusi-vamente il rimprovero verbale, la multa (per un importo non superiorea quattro ore della retribuzione base), la sospensione dal servizio e dal-la retribuzione (per non più di dieci giorni), il licenziamento (per giustacausa o giustificato motivo soggettivo: l. 15 luglio 1996, n. 604, e art. 18St. Lavoratori). Ai sensi dell’art. 2106 c.c., inoltre, l’applicazione di san-zioni disciplinari deve avvenire «secondo la gravità dell’infrazione»40.

Quanto, poi, ai rapporti tra agenti di custodia e detenuti o interna-ti nelle strutture penitenziarie, la normativa di riferimento è data dallalegge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulle mi-sure privative e limitative della libertà) e dal d.p.r. 30 giugno 2000, n. 230 (Re-golamento recante norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione del-le misure privative e limitative della libertà): le sanzioni che possono irrogar-si a fronte di certe e ben definite infrazioni (elencate nell’art. 77 del cita-to d.p.r.) sono tassativamente individuate dalla legge. Si tratta delle se-guenti misure: «1) richiamo del direttore; 2) ammonizione, rivolta dal di-rettore, alla presenza di appartenenti al personale e di un gruppo di de-tenuti o internati; 3) esclusione da attività ricreative e sportive per nonpiù di dieci giorni; 4) isolamento durante la permanenza all’area apertaper non più di dieci giorni; 5) esclusione dalle attività in comune per nonpiù di quindici giorni» (art. 39, l. 354/1975). È espressamente previsto che«nell’applicazione delle sanzioni» si debba «tener conto, oltre che dellanatura e della gravità del fatto, del comportamento e delle condizioni per-

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39 Cfr., tra i molti, M.C. PARMIGGIANI, op. cit., p. 580 ss.; M. MENEGHELLO, op. cit., p.619 ss.; P. PITTARO, Il delitto, cit., p. 1332.

40 Cfr., tra le altre, Cass., VI, 22 gennaio 2001, n. 10090.

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sonali del soggetto»; che le «sanzioni» debbano essere «eseguite nel ri-spetto della personalità» di chi le subisce (art. 38); che non si possa farericorso a mezzi di coercizione fisica a fini disciplinari (art. 41).

Si fa notare, dunque - in dottrina - che in entrambe le tipologie di rap-porti parafamiliari appena richiamati residui uno spazio applicativo delreato di Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina nei casi di irroga-zione di qualcuna di quelle sanzioni, specificamente indicate, in forma omisura sproporzionata (per eccesso) rispetto alla gravità dell’infrazioneo del fatto41. Nelle ipotesi, invece, di impiego eccessivo di misure diver-se da quelle previste saranno ravvisabili altri reati, quali ingiurie, percos-se, lesioni, maltrattamenti42, e mai quello disciplinato dall’art. 571 c.p.

Relativamente, inoltre, alle relazioni tra pazienti ed operatori sa-nitari, rispetto alle quali la riforma del settore sanitario (l. n. 833 del 1978)ha sancito che «la tutela della salute fisica e psichica deve avvenire nelrispetto della dignità e della libertà della persona umana», si ritiene chenon si configuri il presupposto del reato in esame, e cioè la titolarità diun potere correttivo e disciplinare e, quindi, di una posizione di supre-mazia in capo al personale medico nei confronti del paziente, essendo que-st’ultimo posto su un piano di sostanziale parità rispetto al primo43.

Tuttavia, una valenza alla norma è stata talvolta riconosciuta riguar-do alle ipotesi di affidamento per ragioni di vigilanza connesse a quel-le di cura, custodia ed educazione esclusivamente di minori custoditi dagovernanti stabili o affidati alla pubblica assistenza o di adulti infermidi mente non ricoverati in luoghi di cura, ma bisognosi di essere vigila-ti o custoditi 44.

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41 V. A. SPENA, Reati contro la famiglia, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da C.F.GROSSO, T. PADOVANI, A. PAGLIARO, Giuffrè, 2012, p. 334 s.

42 La Corte di Cassazione ha ritenuto sussistente la fattispecie di cui all’art. 572 c.p.riguardo a comportamenti posti in essere dagli ospiti-datori di lavoro di una persona ex-tracomunitaria alla quale non venne corrisposta retribuzione e fu sistematicamente impo-sto di non uscire, di non comunicare con alcuno, di lavarsi e vestirsi in giardino, di non guar-dare la televisione. In tal caso, in un contesto di rapporti di autorità/dipendenza, l’eser-cizio della funzione disciplinare sarebbe avvenuto con modalità afflittive della personali-tà, in assoluto contrasto con la pratica pedagogica e con una abituale frequenza, nei con-fronti dello stesso soggetto, tale da escludere l’intento comunicativo. Cass. pen., 25/9/1995,n. 2609, in Giust. pen., 1998, II, p. 84.

43 M.C. PARMIGGIANI, op. cit., p. 583. 44 Così, Cass. pen., Sez. VI, 16/1/1996, in Dir. Famiglia, 1997, p. 507 (con nota criti-

ca di D. BONAMORE, Illiceità della violenza fisica e psichica nell’esercizio dei doveri di formazionedella persona umana, p. 516 ss.), che ha confermato la sentenza del Pretore di Isernia-Vena-fro, il quale aveva accolto la richiesta delle parti di derubricazione dei contestati reati dimaltrattamenti e lesioni volontarie in quello di abuso dei mezzi di correzione aggravato

Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina

Non vi sono dubbi, invece, che un potere disciplinare spetti all’in-segnante nei confronti dell’alunno; tra questi soggetti viene ad istaurar-si un rapporto di tipo pedagogico.

Preminente se non esclusivo rilievo assume, quindi, nell’ambito deirapporti parafamiliari, per la frequenza delle vicende concrete che lo han-no riguardato e con cui la giurisprudenza si è trovata costantemente a do-versi confrontare, l’affidamento «per ragioni di educazione, istruzione».

Si è chiarito che «a rigore il concetto di «educazione» di un mino-re abbraccia lo svolgimento di tutte le attività necessarie a formargli unapersonalità socialmente adeguata, mentre il concetto di «istruzione» hauna portata più ristretta, in quanto comprende l’attività necessaria a pro-curare al minore il bagaglio culturale, generale o tecnico, che possa poipermettergli di svolgere un ruolo sociale e lavorativo adeguato alla suaposizione. In pratica le due finalità vanno congiunte»45. Esempi di affi-damenti per detti fini, oltre a quello attuato attraverso l’iscrizione ad unascuola pubblica o privata, si rinvengono nelle ipotesi di inserimento diun fanciullo in un collegio pubblico o privato, di autorizzazione al mi-nore di frequentare un circolo religioso, oppure associazioni laiche confinalità culturali o sportive.

Con specifico riguardo ai rapporti tra insegnanti ed alunni, deverilevarsi, tuttavia, che anche in tale contesto sono intervenute numero-se modifiche di natura restrittiva: gli ordinamenti scolastici, infatti, esclu-dono l’uso di mezzi violenti nell’esercizio del potere disciplinare. A ti-tolo esemplificativo può citarsi il Regolamento generale sui servizi del-l’istruzione elementare, r.d. 1297/192. Esso, all’art. 412, dispone che «i solimezzi disciplinari» che, «secondo la gravità delle mancanze, si possonousare verso gli alunni che manchino i loro doveri» sono: «ammonizio-ne; censura notata sul registro con comunicazione scritta ai genitori, chela debbono restituire vistata; sospensione dalla scuola, da uno a dieci gior-ni di lezione; esclusione dagli scrutini o dagli esami della prima sessio-ne; espulsione dalla scuola con la perdita dell’anno scolastico». È espres-samente «vietata qualsiasi forma di punizione diversa da quelle indica-

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con riguardo alla condotta degli imputati che, nella «Casa Famiglia Fidat», cui i minori di14 anni erano affidati per ragioni di cura, vigilanza, custodia ed educazione, ricorrevanoai battipanni e alla frusta per cavalli e sottoponevano a varie vessazioni i minori stessi, pro-vocando lesioni ad uno di essi. La Corte ha così motivato la propria decisione: «[…] risul-tano sì episodi in cui gli imputati hanno chiaramente abusato dei propri poteri di affidatari nei con-fronti dei minori, ma anche il fatto che essi facevano uso di un metodo educativo dagli stessi rite-nuto innovativo, ed anche pubblicizzato».

45 Così, DELOGU, Abuso, cit., p. 593.

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te in questo articolo». Sulla base di tale considerazione, la dottrina prevalente riconosce

la configurabilità del delitto in esame esclusivamente nell’ipotesi in cuil’insegnante faccia un uso distorto o abnorme di una sanzione consen-tita46, così da ricondurre i casi di utilizzo di punizioni corporali o comun-que gravemente afflittive ed umilianti della persona dell’alunno, deter-minanti pericolo o danno per l’incolumità della stessa, alla disciplina dialtre fattispecie di reato, quali i maltrattamenti, le lesioni, le percosse47.

La giurisprudenza, dal canto suo, non ha invece esitato, peraltroanche in pronunce recenti, a riconoscere operatività al più lieve delittodi abuso di mezzi di correzione in diverse vicende, verificatesi in conte-sti scolastici, caratterizzate dall’uso eccessivo di strumenti correttivi sfo-ciato in pratiche violente ed umilianti: utilizzo di espressioni ingiuriose(«bestia», «asino»), avvilenti dileggi in ragione di un basso rendimentoscolastico, addirittura minacce e percosse48. Da ultimo, la stessa Corte diCassazione49 ha confermato la sentenza di condanna in appello di un in-segnante che aveva costretto un alunno a scrivere per cento volte sul qua-derno la frase «io sono un deficiente». I Giudici hanno ritenuto che in-tegra il reato di Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina il compor-tamento dell’insegnante che umili, svaluti, denigri o violenti psicologi-camente un alunno causandogli pericoli per la salute atteso che, in am-bito scolastico, il potere educativo o disciplinare deve sempre essere eser-citato con mezzi consentiti e proporzionati alla gravità del comportamen-to deviante del minore, senza superare i limiti previsti dall’ordinamen-to o consistere in trattamenti afflittivi dell’altrui personalità.

Diversamente, in altra decisione la medesima Corte ha ravvisato ildelitto di maltrattamenti, e non quello di abuso di mezzi di correzione,nella condotta di una maestra che, con finalità correttiva, costringeva ibambini a stare in piedi per ore, ad imitare gli animali, ad assistere im-potenti alla distruzione dei giochi che avevano portato da casa, e li ag-

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46 Si fa, a questo proposito, l’esempio dell’espulsione dalla classe di un alunno cheporti quest’ultimo a sostare in un luogo eccessivamente freddo per lungo tempo così daprovocargli una malattia. V. M.C. PARMIGGIANI, op. cit., p. 582.

47 Cfr., in tal senso, F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, Parte speciale, I, XIV ed., in-tegrata ed aggiornata a cura di L. CONTI, Milano, 2002, p. 417; M. MENEGHELLO, op. cit., p.619 ss.; D. BONAMORE, Illiceità della violenza fisica e psichica nell’esercizio dei doveri di forma-zione della persona umana in Dir. Famiglia, 1997, p. 523.

48 Così, Trib. Milano, 02 luglio 2010, in Corriere Merito, 2010, 10, p. 953; Cass. pen.,Sez. VI, 16 febbraio 2010, n. 18289; Trib. Palermo, 2 dicembre 2003, in Giur. di Merito, 2004,p. 1810.

49 Cass. pen., Sez. VI, 14/6/2012, n. 34492.

Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina

grediva verbalmente con espressioni ingiuriose, nonché fisicamente50.È evidente, allora, come la scarsa precisione della formulazione del-

la norma in questione non consenta una puntuale ricostruzione del fat-to vietato, comportando, così, il concreto rischio di un’applicazione di-screzionale della stessa51.

In realtà, appare fondato ritenere che l’analisi delle principali que-stioni applicative riguardanti la disposizione de qua possa trasferirsi nelsolo ambito scolastico, rispetto al quale valutare di circoscrivere l’ope-ratività del reato da essa disciplinato. Tale contesto, come dimostra an-che la casistica concreta, è quello che più facilmente si presta a ricompren-dere le vicende dubbie, rispetto alle quali frequentemente - stante appun-to la vaghezza della norma - è il giudice a dover tracciare il confine traciò che costituisce esercizio coattivo della funzione disciplinare, quindidi per sé illecito, e ciò che invece può considerarsi utilizzo consentito diun mezzo correttivo, in linea con la funzione educativa.

In altri termini, i casi palesi di impiego di pratiche violente, o co-munque lesive dell’incolumità psichica e morale del soggetto passivo, cer-tamente sono riconducibili ad altre ben più gravi fattispecie (ad esem-pio contro la persona o a quella contigua dei maltrattamenti in famiglia).Così pure, dovrebbero ricevere una considerazione particolareggiata adopera del legislatore gli abusi posti in essere, per finalità ritenute disci-plinari, nella cerchia familiare, la cui specifica rilevanza trova ragione nel-la peculiarità delle relazioni genitori-figli che, per il forte vincolo che lecaratterizza, non sono assimilabili a quelle intercorrenti tra educatori edallievi. Riguardo a queste forme di eccessi non risulta, dunque, giustifi-cata la permanenza del reato in parola nell’attuale sistema penale.

Il rapporto scolastico-disciplinare, invece, costituisce un utile ban-

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50 Cass. pen., 8/10/2002, in Cass. pen., 2003, 6, p. 1844.51 A conferma di come l’indeterminatezza della fattispecie possa generare un’esten-

sione oltre misura della potenzialità applicativa del delitto de quo, cui ricorrere ogniqual-volta vi sia necessità di attribuire rilevanza ad ipotesi di dubbia collocazione, si conside-ri la condanna in primo e secondo grado, per Abuso dei mezzi di correzione o di discipli-na, di una maestra di asilo nido, la quale aveva posto in essere comportamenti consistitiin baci sulle labbra ed abbracci molto intensi ai bambini. Invero, risulta palese che atteg-giamenti simili, seppure discutibili, non costituiscono certamente una condotta di ecces-si disciplinari. Difatti, nel terzo grado di giudizio, la Corte di Cassazione ha escluso la sus-sistenza del reato ex art. 571 c.p.: questo non risulta integrato – si legge in sentenza – da«[…] condotte le quali, come quelle di specie, per le concrete modalità non violente e tipicamenteaffettuose non possono essere interpretate, appunto per la loro connotazione di piccolo eccesso o man-canza di misura nel relazionarsi educatore-bambino, come abuso in ambito scolare materno infan-tile» (Cass. pen., Sez. VI, 12/2/2013, n. 11795).

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co di prova per verificare la tenuta effettiva del delitto, e cioè la reale su-perabilità delle problematiche interpretative ad esso legate, alla luce delrinnovato contesto socio-culturale e delle conseguenti modifiche norma-tive. Quindi, come meglio si specificherà nel prosieguo, è solo relativa-mente a tale rapporto che la fattispecie potrebbe ragionevolmente con-servare uno spazio applicativo.

3. La condotta tipica

3.1. Tecnica descrittiva e principali criteri ermeneutici

Venendo all’individuazione della condotta tipica del reato in esame,si deve innanzitutto rilevare, esplicitando ciò che è già emerso dalle con-siderazioni sin qui svolte, come essa sia stata descritta dal legislatore at-traverso l’utilizzo di una formula alquanto generica e vaga, la quale sot-tintende il rinvio all’elemento normativo rappresentato dai «mezzi di cor-rezione o di disciplina», il cui abuso va ad integrare l’ipotesi delittuosaqualora ad esso faccia seguito un pericolo di malattia o, nell’ipotesi ag-gravata, un danno alla persona, e la cui determinazione implica il richia-mo a valutazioni, tendenzialmente inadeguate, di tipo etico e sociale.

Questa tecnica di tipizzazione, che nel caso di specie non precisa qua-li siano i mezzi di correzione consentiti o, viceversa, quelli vietati, né for-nisce alcuna definizione del concetto di abuso, da un certo punto di vistaviene valutata con favore in quanto, come in precedenza accennato, con-sente di modellare il contenuto della norma ed i criteri di giudizio cui essasi riferisce al mutare del contesto valoriale proprio del momento storiconel quale la stessa deve applicarsi, assolvendo a quella funzione, in dot-trina, definita di «organo respiratore» del sistema: il ricorso a criteri valu-tativi, implicanti il rinvio ad altre fonti, sarebbe stato giocoforza necessa-rio nella redazione della norma de qua, perché essa richiama situazioni nonsuscettibili di cristallizzazione in termini descrittivi. Pertanto, la conside-razione di questi elementi normativi comporta la opportunità di «indivi-duare il significato da attribuire al caso concreto, già previsto in astrattodal legislatore ed inglobato in un dato di normazione sintetica»52.

Da un altro angolo visuale, anche la medesima dottrina che legit-

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52 Così F. BRICOLA, La discrezionalità nel diritto penale, Giuffrè, 1965, p. 183. Nel me-desimo senso, M.C. BISACCI, Gli sfumati contorni dello jus corrigendi alla prova della indivi-duazione degli strumenti di contrasto al fenomeno del “bullismo” nelle scuole, nota a Ufficio in-dagini preliminari Palermo, 27/06/2007, in Cass. pen., 2007, 12, p. 4726.

Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina

tima in determinate circostanze il ricorso, nella redazione delle norme pe-nali, a formule ed espressioni elastiche, riconosce che tale tecnica norma-tiva difetti certamente di quei fondamentali requisiti di tassatività, pre-cisione e determinatezza imposti alla formulazione di ogni fattispecie in-criminatrice dal principio di legalità. Essa implica, perciò, una difficol-tosa attività interpretativa, volta a ricercare altrove, ad esempio nelle scien-ze pedagogiche nel caso dell’ipotesi delittuosa in esame o addirittura nelcomune sentire, gli elementi attraverso cui costruire la regola giuridicache dovrebbe guidare l’operato del giudice, con il rischio di sconfinarenella discrezionalità assoluta ed incontrollata, e quindi nell’arbitrio53.

Ecco, dunque, che la presenza nell’ordinamento penale di una di-sposizione quale quella contenuta nell’art. 571 c.p., priva di specifici ri-ferimenti riguardo sia al bene giuridico che intende proteggere, sia allepossibili modalità di aggressione a cui è riserva la risposta penale, hafinito per legittimare quegli stessi comportamenti, implicanti un uso di-storto dello jus corrigendi, che il legislatore, nelle sue originarie intenzio-ni, mirava a reprimere. In altri termini, la scarsa precisione della formu-lazione del reato e, di conseguenza, la difficile riconoscibilità del coman-do imposto limitano l’efficacia del messaggio legislativo, la cui maggio-re incisività sarebbe derivata da una selezione ex ante dei mezzi discipli-nari ritenuti illeciti o, comunque, da indicazioni più chiare riguardo alleforme di abuso rilevanti ai sensi e per gli effetti della norma penale. Ri-sulta allentato, pertanto, anche il vincolo della previsione normativa neiconfronti dell’interprete nel momento in cui lo stesso si appresta a com-piere la necessaria ricerca del giusto equilibrio volto a ben definire il rap-porto tra generalità della norma e concretezza del precetto54.

Una prima indicazione per tentare di delimitare la condotta tipicadella fattispecie di Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina si ritie-ne, in certa parte della dottrina55, possa essere offerta da un confronto diordine sistematico ed in particolare dalla considerazione della clausoladi sussidiarietà con cui si apre la disposizione dell’articolo 572 del codi-

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53 V., ad esempio, M.C. BISACCI, op. cit., p. 4726 ss.; S. LARIZZA., op. cit., p. 29 ss. Sul-la tendenziale imprecisione dei concetti normativi etico-sociali: G. MARINUCCI – E. DOLCI-NI, Corso di diritto penale, II ed., Giuffrè, 1999, p. 77 ss. V. anche, sulla fondamentale impor-tanza nella tecnica di redazione delle fattispecie penali dei principi di tipicità, determina-tezza e tassatività, C. FIORE – S. FIORE., op. cit., p. 66 ss.

54 Cfr., per una ricostruzione, in generale, di tale rapporto di equilibrio, C. FIORE –S. FIORE., op. cit., p. 69 ss.

55 V. M.C. BISACCI, op. cit., p. 4726 ss. V. anche, in giurisprudenza, Cass. pen., Sez. V,9 gennaio 1992, Giay, in Riv. Pen., 1992, p. 651.

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ce penale, immediatamente successivo a quello in esame, dedicato ai mal-trattamenti in famiglia: «fuori dei casi indicati dall’articolo precedente».Un tale inciso sarebbe finalizzato a risolvere un eventuale concorso di rea-ti in un concorso apparente di norme, così che, qualora uno dei sogget-ti titolari dello jus corrigendi reiterasse l’abuso di siffatto potere e deter-minasse conseguentemente una abituale condizione di sofferenza nellavittima, andrebbe ad integrare il più grave reato di maltrattamenti, po-sto che a quello ex art. 571 c.p. viene concordemente negato il caratteredi reato necessariamente abituale56.

Secondo un’altra impostazione, questa ricostruzione non convince:nel caso in cui la reiterazione dell’abuso dei mezzi di correzione trasmo-dasse nel delitto di maltrattamenti, risulterebbe palese come la portataoffensiva dell’azione delittuosa posta in essere, scevra da qualsiasi trac-cia dello jus corrigendi, sia qualitativamente differente rispetto a quellariconducibile al primo reato: insomma, l’ipotesi dei maltrattamenti sa-rebbe altra cosa rispetto a quella dell’abuso, che concretizzerebbe, inve-ce, un esorbitare dal fine correttivo. E una spiegazione della citata clau-sola di apertura dell’art. 572 c.p. sarebbe rinvenibile nella coincidenza qua-si totale dei soggetti attivi e passivi dei due reati57.

Tale tesi si ricollega, seppure indirettamente, a quella interpretazio-ne, in passato dominante in dottrina ed in giurisprudenza58, che ricostrui-va il rapporto tra le due ipotesi delittuose non in termini di specialità trale condotte descritte, ma attraverso il riferimento al diverso atteggiamen-to psicologo dell’autore: laddove il comportamento vessatorio del-l’agente fosse stato accompagnato dall’animus corrigendi non si sarebbepotuto neppure ipotizzare la configurabilità del reato di maltrattamen-ti, caratterizzato, invece, da una sorta di animus nocendi.

Questa visione soggettivamente orientata della norma in analisi en-fatizzava il riferimento al fine correttivo in quanto la sua sussistenza si ri-teneva sufficiente a far confluire automaticamente nell’esteso ambito di ope-ratività dell’art. 571 c.p. qualsiasi tipo di condotta a prescindere dalle con-crete modalità oggettive del fatto. Lo jus corrigendi andava, così, a giusti-ficare condotte corrispondenti a fattispecie di reato (percosse, ingiurie, ecc.)

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56 Nel senso della natura non necessariamente abituale del delitto ex art. 571 c.p., v.,da ultimo, Cass. pen., Sez. VI, 16 febbraio 2010, n. 18289.

57 V., tra gli altri, M.C. BISACCI, op. cit., p. 4726 ss. 58 Cfr., in dottrina, V. MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, V ed. (aggiornato da

P. NUVOLONE e G.D. PISAPIA), Torino, 1984, p. 901. In giurisprudenza, v., tra le tante, Cass.pen., Sez. II, 9 giugno 1964, Damiano, in Giust. pen., 1964, II, p. 882; Sez. IV, 8 maggio 1990,Faini, in Cass. pen., 1992, n. 1255, p. 2339.

Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina

che potevano concretarne l’esercizio. Pertanto, la suddetta ricostruzionesi avvicinava, a sua volta, alla linea di pensiero, avallata anche attualmen-te da una parte della dottrina, che riconduce il preteso diritto all’educazio-ne nell’ambito della esimente prevista dall’art. 51 c.p.59.

Nel corso del tempo l’impostazione soggettivistica viene ampiamen-te superata: ad essa, in particolare, si è mossa la critica di poter giunge-re a legittimare l’uso della violenza purchè accompagnato da un inten-to lato sensu educativo; tale abuso, infatti, risulta punibile esclusivamen-te nell’eventualità che da esso derivi un pericolo di malattia nel corpo onella mente per il soggetto passivo.

Si fa strada, quindi, un’altra interpretazione che meglio si focaliz-za sul significato da attribuire al verbo «abusare» e all’altro elemento divalutazione della tipicità dell’ipotesi delittuosa, rappresentato dal mez-zo correttivo definito, da certa parte della dottrina, come «elemento nor-mativo ancipite della fattispecie» o come «il prius logico dell’abuso»60.

Nella vaghezza della norma bisogna, secondo alcuni Autori61, de-finire l’Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, suscettibile di in-criminazione ex art. 571 c.p. qualora da esso derivi un pericolo o un dan-no, come un uso abnorme, smodato, eccessivo di un mezzo educativoastrattamente lecito; l’operatività della norma, dunque, si riflette in unuso del mezzo correttivo, non solo palesemente contrario allo scopo di-sciplinare, ma effettuato fuori dei casi consentiti o con modalità non am-messe dall’ordinamento che ne snaturano l’essenza. Il concetto di abu-so, che vale a definire esattamente la tipicità dell’azione rilevante ai sen-si della norma de qua, è descritto precisamente come la «condotta di unsoggetto che, effettivamente investito di un potere, lo usa impiegando imezzi consentiti, quando ricorre una situazione che ne legittima l’eser-cizio e per il fine per il quale il potere stesso è concesso, ma nell’eserci-tarlo ne travalica i limiti ad esso posti dall’ordinamento»62. Si trattereb-

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59 Per la dottrina più risalente, v. F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale. Parte genera-le, XIV ed., Giuffrè, 1994, p. 280; G.M. BETTIOL, op. cit., p. 585. Per la dottrina attuale, cfr. G.FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., p. 269 s.

60 Così, M.C. BISACCI, op. cit., p. 4726 ss.61 Per tutti, v. F. ANTOLISEI, Osservazioni in tema di jus corrigendi, in Scritti di Diritto

Penale, Milano, 1955, p. 589; F. MANTOVANI, Abuso dei mezzi di correzione e di disciplina, in Riv.dir. matr., 1964, n. 6, p. 514 s. Si afferma che la fondatezza di questa impostazione sarebbeconfermata anche dalla Relazione ministeriale, cit., p. 357, secondo cui il reato di Abuso deimezzi di correzione o di disciplina «tipicamente presuppone un’azione inizialmente lecita, la qua-le nell’eccesso ulteriore si riveste del carattere dell’illecito penale per il prodursi di una situazionedi pericolo che ha carattere preterintenzionale».

62 Così, DELOGU, Abuso, cit., p. 598.

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be, quindi, secondo l’impostazione della dottrina richiamata, di una con-dotta non a forma libera ma, nonostante l’elastico astrattismo della sua de-finizione, a forma vincolata. Qualora dovesse, pertanto, essere utilizzato unmezzo non consentito, il fatto commesso per ragioni disciplinari non po-trebbe, indipendentemente dallo scopo che anima l’azione dell’agente, es-sere incriminato ai sensi del delitto in esame, ma di altre fattispecie.

3.2. I limiti della nozione di «mezzi di correzione o di disciplina». Ca-ratteristiche strutturali della condotta di abuso

I principali problemi interpretativi che emergono dalla lettura daultimo descritta concernono, tuttavia, la paventata necessità di una tipiz-zazione garantistica dei comportamenti da giudicare contrari a regole di-sciplinari; inoltre, nel momento in cui si tratta di precisare quando un mez-zo correttivo si reputi lecito, le posizioni divergono notevolmente.

Riguardo al primo punto, si evidenzia che una tale tipizzazione ri-sulterebbe possibile soltanto nell’ambito di istituzioni organizzate secon-do schemi normativi predeterminati, o di materie regolamentate dalla leg-ge, quale ad esempio – come si è visto - l’ordinamento della scuola; nonlo sarebbe, invece, nell’ambito della famiglia, in cui il legislatore si è aste-nuto dall’intervenire ai fini di delineare una indispensabile autonomiadi governo e ha lasciato largo spazio agli usi sociali63. Ovviamente, si ri-conosce che anche rispetto al contesto familiare non è più concepibile unpotere disciplinare illimitato nella definizione degli illeciti.

In ordine alla seconda questione si rileva che, seppure in determi-nati contesti sarebbe possibile far riferimento a norme giuridiche per l’in-dividuazione dei mezzi correttivi consentiti, si pensi ancora una volta alsettore della scuola in cui – lo si è in precedenza indicato - sono ricono-sciuti dai regolamenti ministeriali come strumenti disciplinari leciti adesempio la nota o l’espulsione, l’individuazione di tali mezzi non sem-brerebbe esaurirsi nelle predette fonti che non conterrebbero maiun’elencazione chiusa, ma consentirebbero solo una delimitazione in ne-gativo dello jus corrigendi. Si fa, in merito, anche l’esempio dei già richia-mati rapporti tra datore di lavoro e lavoratore subordinato, rispetto ai qua-li lo Statuto dei lavoratori esclude che possa farsi ricorso a qualsiasi for-ma di violenza, e tra agenti di custodia e detenuti riguardo ai quali pureè precluso l’utilizzo di mezzi disciplinari coercitivi64.

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63 Ivi, p. 595. 64 M. MIEDICO, Art. 571, in Codice penale commentato, a cura di E. DOLCINI – G. MARI-

NUCCI, II ed., Ipsoa, 2006, p. 3747.

Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina

Altra parte della dottrina ritiene, invece, che in questi ambiti in cuiè intervenuto il legislatore extrapenale il problema non si ponga, o comun-que non rilevi, perché attraverso un procedimento mentale a contrariis sipotrebbe ricavare esattamente il novero dei mezzi vietati, in quanto sa-rebbero stati indicati tassativamente gli strumenti leciti. La vera e propriaquestione problematica si porrebbe nel solo contesto familiare, riguardoal quale non si rinvengono parametri normativi di riferimento, e dove tra-dizionalmente si è riconosciuto legittimo il ricorso a forme di violenza65.

Tuttavia, alcuni Autori fanno notare che l’aspirazione ad unifor-mare il diritto disciplinare al principio di legalità, attraverso una tipiciz-zazione tassativa anche delle sanzioni applicabili, potrebbe avere dellericadute pratiche alquanto pericolose: si correrebbe, cioè, il rischio che,in assenza di una espressa indicazione delle misure non applicabili in undato rapporto, l’impiego di qualunque strumento disciplinare, anche do-tato di un alto grado di offensività, se non espressamente vietato, potreb-be considerarsi consentito per la finalità che esso persegue; e pure se se-guito da pericolo di danno, da lesioni personali o anche dalla morte del-la persona offesa dovrebbe essere sussunto sotto la fattispecie dell’Abu-so dei mezzi di correzione o di disciplina, certamente preferenziale o de-gradata rispetto a quelle dei comuni delitti contro la persona66.

Tra l’altro, si osserva67 che, nella realtà dei casi concreti, non sareb-be quasi mai agevole individuare il criterio discretivo tra il piano dell’usoillecito del mezzo di per sé lecito e quello della illiceità del mezzo stesso,prescindendo dal fine correttivo. Potrebbe, infatti, verificarsi che l’illicei-tà delle modalità di impiego di un mezzo educativo risulti tale da tramu-tarne la natura, così da precludere ogni riferimento alla configurabilità stes-sa di uno strumento di tipo disciplinare. Di conseguenza, il sottile discri-mine che intercorre con la fattispecie dei maltrattamenti verrebbe anco-ra una volta in rilievo, mostrando il suo carattere ambiguo ed incerto.

Nella prassi giudiziale, inoltre, non sarebbe infrequente che, sen-za indugiare troppo nella indagine circa la correttezza dell’esercizio con-sentito dello jus corrigendi, ci si arresti al momento dell’accertamentodella liceità del mezzo, il quale neanche si presta ad una univoca in-terpretazione.

Con specifico riferimento ai rapporti familiari, difatti, parte della dot-

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65 Così, ad esempio, M.C. PARMIGGIANI, op. cit., p. 593.66 Cfr., DELOGU, Abuso, cit., p. 599 s.67 Cfr., G.D. PISAPIA, Delitti contro la famiglia, Torino, 1953, p. 720 ss.; G. PISAPIA, Abu-

so, cit., p. 32 s.; M.C. BISACCI, op. cit., p. 4726 ss.

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trina ritiene lecita la vis modica68. Viene richiamata, a tal proposito, la stes-sa Relazione ministeriale al codice vigente nella parte in cui afferma che«la semplice percossa non può costituire la materialità del reato, perchéla vis modica è un mezzo di correzione lecito»69.

Altri Autori, invece, reputano ammissibile la sola vis modicissima e,peraltro, in via del tutto eccezionale quando le circostanze del caso con-creto lo richiedano70.

In certa parte della letteratura, infine, si considera imprescindibileuna risoluzione del problema caso per caso71.

Sulla base di questi rilievi non manca chi sottolinea che la richiama-ta linea interpretativa volta a richiedere come presupposto del reato dequo l’uso di mezzi leciti, seppure condivisibile de jure condendo, andreb-be a svuotare di significato la norma de jure condito, posto che nella co-struzione della stessa l’intenzione dell’agente si rifletterebbe sulla licei-tà del mezzo. Anzi, lo stesso mezzo sarebbe qualificato proprio dal finecorrettivo o disciplinare che anima l’agente72.

Autorevole dottrina73, pertanto, data l’insufficienza dei predetti pa-rametri ermeneutici, privilegia il ricorso a criteri più effettuali, quale quel-lo dell’adeguatezza sociale del mezzo disciplinare impiegato: è la corrispon-denza agli usi generalmente praticati, in un determinato momento sto-rico, nella collettività a fungere da parametro di liceità dell’esercizio dimoderati mezzi di correzione che si pongono, quindi, al di sotto della so-glia di rilevanza penale tracciata dall’art. 571 c.p., senza che vi sia neces-sità di ricorrere alla problematica applicazione della causa di giustifica-zione ex art. 51 c.p.

«L’idea della adeguatezza sociale – ben sottolinea la citata dottrina74 –

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68 F. MANTOVANI, Abuso, cit., p. 516, specificando, tuttavia, che ad essa possa farsi ri-corso soltanto come extrema ratio; G.M. BETTIOL, op. cit., p. 380; I. FIGIACONI, Metodi ”educa-tivi” violenti tra abuso e maltrattamento, in Digesto pen., Torino, 1996, p. 1137.

69 Relazione ministeriale, cit., p. 358.70 Tra gli altri, F. ANTOLISEI, Osservazioni, cit., p. 392; P. PITTARO, Il delitto, cit., p. 1332;

S. MONARI, Sulla violenza a fini educativi tra abuso di mezzi di correzione e maltrattamenti in fa-miglia, in Giust. pen., 1997, II, p. 549.

71 G.D. PISAPIA, Delitti, cit., p. 720 ss.; G. PISAPIA, Abuso, cit., p. 32 e F. MANTOVANI, Abu-so, cit., p. 515, secondo il quale si tratterebbe di una questione che esula dalla cognizionedel giurista, ma che dovrebbe essere risolta dalla scienza pedagogica.

72 G.D. PISAPIA, ult. op. cit., p. 720 ss.; G. PISAPIA, ult. op. cit., p. 32 ss.73 V. C. FIORE, L’azione socialmente adeguata nel diritto penale, Morano, 1964, p. 25 ss.;

C. FIORE, Esercizio dei mezzi di correzione e adeguatezza sociale, in Foro pen., 1964, p. 35 ss.; C.FIORE – S. FIORE, op. cit., p. 286 ss. e p. 347 s.

74 Ancora, C. FIORE – S. FIORE, op. cit., p. 286.

Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina

non è altro che un punto di vista nella interpretazione della fattispecie, che ser-ve ad escludere dalla previsione normativa le condotte che, in realtà, non vi cor-rispondono, perché in esse manca una reale dimensione aggressiva del bene». Ilreferente normativo, in questi casi, è rappresentato dall’art. 49, 2° co., c.p.,che enuncia la regola della necessaria idoneità offensiva dei fatti penal-mente rilevanti: ne deriva la irrilevanza delle cc.dd. «azioni socialmen-te adeguate»: «quelle azioni, cioè, che – per la loro coerenza con lo stile di vita,storicamente condizionato, della comunità – non possono farsi rientrare, al tem-po stesso, nella fattispecie di un reato» e che, anzi, «si inquadrano in una at-tività di promozione degli stessi beni che, sul piano causale, possono tuttavia sof-frire di un pregiudizio»75.

Anche la giurisprudenza si muove secondo criteri differenti.Un decisivo arresto della Corte di Cassazione si è avuto con la sto-

rica sentenza Cambria (n. 4904 del 18 marzo 1996), in precedenza già ri-chiamata, la quale, con riferimento al comportamento di un padre che,di fronte agli insuccessi scolastici di una bimba di dieci anni e alle fre-quenti bugie della stessa, perseguiva lo scopo educativo «a suon di sber-le e calci» nella convinzione che «le sante cinghiate che suo padre gli in-fliggeva quando da ragazzo non studiava o mal studiava e a scuola ri-portava talora scadenti voti di profitto» potessero ancora costituire un in-superabile metodo disciplinare, ha ritenuto sussistente il più grave de-litto di maltrattamenti in famiglia e non quello di abuso dei mezzi di cor-rezione. Il Supremo Giudice, proponendo una soluzione interpretativaradicalmente opposta a quella di segno tradizionale, peraltro ribadita solodue mesi prima dalla stessa Sezione76, ha, così, ridisegnato i confini trale due fattispecie: è da ritenersi esclusa la configurabilità del delitto ex art.571 c.p. quando il mezzo di correzione sia di natura tale da negare in ra-dice ogni pretesa di sostegno dello sviluppo della persona bisognevole dicorrezione. La qualificazione giuridica della condotta vessatoria viene, per-tanto, fondata esclusivamente sull’analisi dell’elemento oggettivo.

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75 C. FIORE – S. FIORE, op. cit., p. 286 s. In tale prospettiva, altro caso, ad esempio, incui si è parlato dell’adeguatezza sociale come criterio di liceità di una determinata condot-ta è quello dell’esercizio della violenza fisica nello sport. Cfr. S. FIORE, Cause di giustifica-zione e fatti colposi, Padova, 1996, p. 50 ss.

76 Cass. pen., Sez. VI, 16 gennaio 1996, in Cass. pen., 1997, p. 40, secondo cui non èsufficiente la c.d. «illiceità del mezzo» per escludere la sussistenza del reato di cui all’art.571 c.p. Assume rilevanza per stabilire se ricorre la configurabilità del delitto ex art. 571 c.p.,oppure di altro reato (maltrattamenti), l’esame dell’elemento oggettivo della fattispecie con-creta, e cioè la correlazione tra i mezzi e i metodi e la finalità educativa e disciplinare, e del-l’elemento soggettivo, cioè che il motivo determinante per l’agente sia quello disciplina-re e correttivo.

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Sulla stessa scia si sono poste altre successive pronunce della me-desima Corte, la quale - tra i vari casi - ha stabilito che il comportamen-to del padre che sottoponga la figlia minore ad un regime di prevarica-zione e violenza, tale da rendere intollerabili le condizioni di vita, im-pedendole, come nel caso di specie, di frequentare persone di sesso ma-schile e di uscire di casa se non per andare a scuola o a fare la spesa, con-figura il reato di maltrattamenti in famiglia e non quello meno grave diabuso di mezzi di correzione, «[…] che presuppone un uso consentitoe legittimo dei mezzi correttivi, che, senza attingere a forme di violen-za, trasmodi in abuso a cagione dell’eccesso, arbitrarietà o intempesti-vità della misura»77.

Tuttavia, nella giurisprudenza recente, anche di legittimità, nonmancano decisioni completamenti difformi dal predetto indirizzo. Si ram-menta la già citata sentenza (Cass. pen., Sez. VI, n. 18289 del 16 febbra-io 2010) secondo cui il reato di abuso non ha necessariamente naturaabituale, di conseguenza lo ha ravvisato riguardo ad un caso in cui al-cuni bambini affidati ad un’insegnante di scuola materna erano stati,in più occasioni, oggetto di minacce e percosse, ovvero sottoposti a pra-tiche umilianti per il loro basso rendimento scolastico. Ed ancora, la de-cisione (Cass. pen., Sez. VI, 21 ottobre 2010, n. 11251) secondo cui per-feziona il reato ex art. 571 c.p. il comportamento della madre che conviolenza impone il taglio dei capelli alla propria figlia minorenne re-calcitrante, «[…] essendo risultato che alla isterica reazione della bam-bina aveva fatto riscontro altrettanta isterica reazione della madre, che[…] aveva inteso proseguire nelle sue operazioni particolarmente pe-ricolose, proprio per affermare la propria autorità sulla piccola abusan-do dei mezzi di correzione e di disciplina». Ed inoltre, la sentenza (Cass.pen., Sez. VI, 28 giugno 2007, n. 42648) che ha affermato la sussisten-za del delitto di abuso rispetto alla fattispecie in cui un genitore, cheavendo ritenuto la figlia minore responsabile della sottrazione di un mo-nile, l’aveva costretta con minaccia di percosse a scrivere ripetutamen-te sul quaderno le frasi: «io sono una ladra, non devo rubare», provo-candole in tal modo un trauma psichico consistito in un conflitto emo-tivo e psicologico di valutazione della personalità.

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77 Così, Cass. pen., Sez. VI, 20 febbraio 2007, n. 34460; nel medesimo senso, cfr. Cass.pen., 7 novembre 2007, n. 45283, che ha sancito la sussistenza del delitto di maltrattamen-ti, e non di abuso, rispetto all’uso, da parte della madre nei confronti dei tre figli minorid’età, di mezzi e metodi privi di finalità correttive o pedagogiche, quali percosse e puni-zioni umilianti e gratuite.

Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina

Ha, infine, suscitato un certo clamore nell’opinione pubblica una pro-nuncia del Tribunale di Palermo del 27 giugno 200778, la quale ha addi-rittura negato la possibilità di ravvisare il reato di Abuso dei mezzi di cor-rezione o di disciplina, «perché il fatto non sussiste», riguardo al caso –in precedenza indicato - di una professoressa che aveva fatto scrivere adun alunno undicenne sul quaderno, a titolo punitivo, per cento volte lafrase «sono un deficiente» per aver beffeggiato un compagno a causa diuna sua supposta diversità sessuale. Il Giudice non solo ha ritenuto chela condotta dell’imputata non abbia comportato il pericolo di una ma-lattia, ma ha valutato tale iniziativa non sproporzionata al fatto, effica-ce nelle modalità di effettuazione e mossa solamente da incombenti ra-gioni di tipo educativo.

Tornando, ora, ad analizzare da un punto di vista strutturale la con-dotta di abuso, è opportuno rilevare che la medesima dottrina che ne ri-conosce la forma vincolata rispetto alla sussistenza del requisito della na-tura di misura disciplinare del mezzo (lecito) impropriamente impiega-to e dell’efficienza causale pericolosa o dannosa dell’eccesso, ritiene, poi,che essa non sia condizionata nella sua tipicità da nessun altro requisi-to di forma. Il reato in parola non avrebbe, perciò, natura necessariamen-te commissiva ma anche omissiva, posto che una misura disciplinare po-trebbe pure consistere nel non fare qualcosa a vantaggio del soggetto sot-toposto al potere correttivo e il pericolo di una malattia, così come le le-sioni o la morte, potrebbero venire causati anche da una condotta omis-siva, ricalcando la dinamica, pur trattandosi di condizioni di punibilità(vd. infra par. 4), dei reati commissivi mediante omissione79.

Ugualmente, secondo la giurisprudenza di legittimità, «da una sor-passata e limitativa nozione di abuso, inteso come comportamento atti-vo dannoso sul piano fisico del bambino, l’attuale letteratura e clinica psi-cologica e psicopatologica qualificano come abuso anche le omissioni dicure e l’abuso psicologico, correlato allo sviluppo di numerosi e diver-si disturbi psichiatrici»80.

In certa parte della letteratura, tuttavia, si sostiene che la condottarilevante sia solo quella commissiva, in quanto il mancato uso del pote-

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78 V. Corriere Merito, 2007, 12, p. 1455. L’iter giudiziario di tale vicenda si è conclu-so, comunque, con la sentenza n. 34492/2012 della Corte di Cassazione che, conferman-do la pronuncia d’appello, ha completamente ribaltato il giudizio di primo grado: l’inse-gnante è stata condannata alla pena di quindici giorni di reclusione per aver commesso ilreato in parola.

79 Così, DELOGU, Abuso, cit., p. 604. Nello stesso senso, v. V. MANZINI, op. cit., p. 909. 80 Cass. pen., Sez. VI, 3/5/2005, n. 16491, sul sito web www.abusi.it.

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re disciplinare in casi nei quali vi sia ragione di usarlo non potrebbe co-stituire una forma di manifestazione del comportamento illecito ai sen-si dell’art. 571 c.p. Ciò sulla base di due argomentazioni. Innanzitutto,si afferma che sarebbe difficile immaginare un omesso impiego della po-testà disciplinare da cui possa derivare un danno nel corpo o nella men-te, e che comunque non sia tale da rientrare in altre e più pregnanti fat-tispecie incriminatrici (ad es., violazione degli obblighi di assistenza fa-miliare, ex art. 570 c.p.; abbandono di minore, ex art. 591 c.p.). Inoltre, lanorma, per come è formulata, sembrerebbe rivolta a proteggere il sog-getto dai mali eccessivi che potrebbero derivare da un cattivo eserciziodel potere correttivo, così da escludere che il reato possa essere realizza-to mediante l’omesso esercizio di tale potere81.

Vi è concordia di opinioni, invece, nel riconoscere – come si è in pre-cedenza accennato – che la stessa condotta tipica di abuso non sia vinco-lata a particolari modalità di durata nel tempo: non sarebbe richiesta né lareiterazione né l’abitualità. Alcuni Autori ritengono pure che essa possa ave-re, indifferentemente, forma istantanea o permanente, a seconda di qualesia la dinamica applicativa della misura disciplinare utilizzata dall’autoredell’eccesso82; altri, viceversa, escludono che il delitto sia permanente83.

3.3. Struttura dell’offesa

Dal punto di vista dei suoi contenuti offensivi, la tesi prevalente del-la dottrina è che la fattispecie di cui al 1° comma dell’art. 571 c.p. costitui-sca un reato di pericolo concreto: figurando espressamente nella strutturadella norma, il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente del sogget-to passivo deve concretamente verificarsi a seguito dell’eccessivo eserciziodel potere disciplinare ed essere effettivamente accertato dal giudice84.

In giurisprudenza, invece, si tende ad interpretare il requisito in pa-rola come pericolo astratto, il quale «[…] non deve essere accertato ne-

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81 In questo senso, cfr. A. SPENA, op. cit., p. 327. 82 Cfr. DELOGU, Abuso, cit., p. 604. 83 Così, V. MANZINI, op. cit., p. 915.84 V., tra gli altri, F. ANTOLISEI, Osservazioni, cit., p. 534; V. MANZINI, op. cit., p. 914; P.

PITTARO, Il delitto, cit., p. 1329. Riguardo alla nozione di malattia, la mancata definizionedella stessa, da parte del legislatore, permetterebbe una sua interpretazione conforme aitempi: essa andrebbe ad identificarsi in qualsiasi alterazione dell’integrità personale. Lamalattia psichica è equiparata a quella fisica e si ritiene possa manifestarsi in vari distur-bi quali ansia, insonnia, depressione, anomalie caratteriali e comportamentali anche nel-l’età adulta. In questo senso, v. M.C. PARMIGGIANI, op. cit., p. 596. In giurisprudenza, cfr. Cass.pen., Sez. VI, 3/5/2005, n. 16491; Cass. pen., Sez. III, 22/10/2009, n. 49433.

Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina

cessariamente attraverso una perizia medico-legale, ma può essere de-sunto anche dalla natura stessa dell’abuso, secondo le regole della comu-ne esperienza; e può ritenersi, senza bisogno di alcuna indagine esegui-ta sulla base di particolari cognizioni tecniche, allorquando la condottadell’agente presenti connotati tali da risultare suscettibile in astratto diprodurre siffatta conseguenza»85.

Non manca, tuttavia, chi sottolinea che tale pericolo rappresente-rebbe solo un aspetto (non essenziale) dei contenuti offensivi della fat-tispecie, mentre il loro nucleo principale sarebbe composto dagli effettinegativi che gli eccessi disciplinari producono sugli interessi che forma-no oggetto degli obblighi di assistenza violati dall’autore: effetti che giàdi per sé costituiscono un danno. La norma de qua disciplinerebbe, per-ciò, un reato di danno (astratto), condizionato però al verificarsi di un ef-fettivo pericolo per un interesse ulteriore: pericolo che avrebbe solo la fun-zione di limitare la punibilità degli eccessi stessi86.

4. La controversa natura giuridica del «pericolo di malattia nel corpo onella mente». Risvolti in ordine all’elemento soggettivo del reato

Le ultime considerazioni richiamano l’opportunità di affrontare un’al-tra questione dibattuta, che concerne la qualificazione del pericolo di unamalattia nel corpo o nella mente della persona offesa come condizioneobiettiva di punibilità o come elemento costitutivo del reato (ossia even-to dello stesso), la cui soluzione non è priva di rilevanza pratica. Inve-ro, a seconda che si scelga di propendere per l’una o per l’altra imposta-zione, differirà la valutazione circa il disvalore del fatto, il tempus ed illocus commissi delicti e l’elemento soggettivo del reato.

Riguardo a quest’ultimo, è pacifico che esso consista nel dolo dell’agen-te; controversa è invece la sua natura, oltre che, appunto, il suo contenuto.

Secondo un primo indirizzo, sarebbe sufficiente un dolo generico:pur essendo il delitto caratterizzato dal fine correttivo che l’autore si pro-pone, tale particolare finalità non realizzerebbe un dolo specifico, perchéla stessa sarebbe insita nel fatto tipico dell’abuso e non potrebbe quindiconsiderarsi qualificazione dell’elemento soggettivo87.

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85 Così, Cass., Sez. VI, 1 aprile 1998, n. 6001; nello stesso senso, più recentemente, Cass.,Sez. III, 22 ottobre 2009, n. 49433.

86 Cfr. DELOGU, Abuso, cit., p. 604 s.; A. SPENA, op. cit., p. 342 s.87 In questa direzione è orientata la recente giurisprudenza: v., tra le altre, Cass., Sez.

VI, 7 febbraio 2005, n. 16491; Cass., Sez. VI, 16 febbraio 2010, n. 18289. In dottrina, cfr. G.D.PISAPIA, Delitti contro la famiglia, cit., p. 734.

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Altri Autori88, viceversa, ritengono che il fine disciplinare vada ol-tre la realizzazione della fattispecie oggettiva (integrata dall’eccesso cor-rettivo) e che, pertanto, debba essere presente nel dolo dell’agente, po-sto che, nel caso esso mancasse o fosse diverso, il fatto costituirebbe al-tro delitto, ad esempio contro la persona. In questo senso il dolo dovreb-be considerarsi specifico, e non perché esso consisterebbe nella volontàdi esercitare il potere disciplinare: infatti – seguendo detta ricostruzio-ne - il fine che deve indirizzare l’agente sarebbe quello di un uso istitu-zionale del potere connesso al suo obbligo assistenziale, e non quello diuna mera affermazione di autorità. Rispetto a tale qualificazione dell’ele-mento soggettivo della fattispecie de qua emergono dei profili di critici-tà, che comunque, alla stregua della medesima impostazione, si ritengo-no superabili.

Risulta innanzitutto poco significativo il rilievo che di solito il finespecifico richiesto dalla norma trasforma il reato in uno più grave ed in-vece, nel caso in analisi, opera come elemento che attenua il disvalore del-la fattispecie, determinandone il titolo preferenziale. In particolare, la mi-nore gravità dell’ipotesi delittuosa non pare sia sufficiente a negare la na-tura specifica del dolo degli eccessi disciplinari, considerato che carat-teristica peculiare di tale requisito psichico sarebbe quella di modifica-re la portata offensiva della condotta, indirizzandola verso la lesione diun bene giuridico diverso da quello che, in assenza del fine specifico, sa-rebbe colpito, a nulla rilevando il fatto che il diverso titolo delittuoso crea-to sia più o meno grave.

Si registra, poi, un’ulteriore anomalia: di regola, lo scopo cui è di-retto il dolo specifico può indifferentemente essere realizzato o meno dal-l’agente; al contrario, nell’ipotesi dell’abuso lo stesso non può, per defi-nizione, essere raggiunto, in quanto gli effetti offensivi della condotta con-sistono proprio nella frustrazione dell’intento correttivo-assistenziale. Tut-tavia, ciò costituirebbe «un’accidentalità», che pure non sarebbe idoneaad influire sul carattere del dolo così come appena descritto.

Per quanto concerne il profilo dei suoi contenuti, si ritiene concor-demente in dottrina che il momento intellettivo e conoscitivo compren-da la consapevolezza dell’agente di essere investito del potere discipli-nare legato all’attività assistenziale cui è tenuto; che a questo potere siasottoposta la persona destinataria della misura correttiva; che detta per-sona abbia tenuto un comportamento che richiede l’intervento punitivo;che il mezzo usato sia qualitativamente o quantitativamente eccessivo. Ri-

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88 V., per tutti, ancora DELOGU, Abuso, cit., p. 616 ss.

Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina

guardo a quest’ultimo elemento, in realtà, vi è chi - apparentemente nonsenza ragione - opina diversamente. Invero, alla stregua di tale ricostru-zione, il delitto de quo, nel suo aspetto soggettivo, si configura indipen-dentemente dalla consapevolezza dell’agente circa il carattere sproposi-tato dello strumento educativo rispetto ai comuni standard giuridico-so-ciali89. Infatti, l’autore dell’abuso, di solito, ritiene la misura adottata ade-guata allo scopo. Se lo stesso, invece, si rappresentasse la sproporzionedel mezzo utilizzato in rapporto alla finalità correttiva (a prescindere dal-la complessità di accertamento di siffatto profilo psicologico), dovrebbecomunque escludersi la sussistenza del reato per mancanza di uno dei suoielementi essenziali, quale il fine disciplinare, propendendo per l’applica-zione di altre fattispecie incriminatrici. Il che costituisce un’ulteriore con-ferma delle problematiche interpretative e delle incertezze applicative de-rivanti da una tecnica di redazione normativa poco precisa.

Il momento volontaristico racchiude certamente la volontà di ap-plicare la misura disciplinare. Si discute, invece, se sia oggetto del dolola potenzialità pericolosa della condotta di abuso.

La soluzione di quest’ultima questione dipende, come in preceden-za accennato, dalla qualificazione che si dà al requisito del pericolo di ma-lattia nel corpo o nella mente della vittima del reato nell’ambito della strut-tura dello stesso. La dottrina prevalente ritiene che il legislatore, nell’in-tento di circoscrivere l’ambito di azione della norma in parola e di limi-tare, così, le intrusioni dello Stato nell’autogoverno della famiglia, abbiasubordinato la punibilità del reato, già perfettamente integrato in tutti isuoi elementi costitutivi, al verificarsi di quel particolare pericolo, il qua-le si atteggerebbe appunto come condizione obiettiva di punibilità, estra-nea alla volontà del soggetto90.

Secondo l’opinione minoritaria, invece, il pericolo di malattia deveessere considerato elemento essenziale del delitto in analisi, ossia even-to naturalistico della fattispecie e, pertanto, lo stesso rientrerebbe nellasfera del dolo che anima l’agente e concorrerebbe a definire il disvaloredel fatto91.

Riguardo, poi, al tempo di consumazione del reato, in base alla pri-ma teoria esso si perfeziona quando l’agente, con coscienza e volontà, rea-lizza l’abuso del mezzo correttivo. Ai sensi della seconda, invece, il de-

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89 Cfr. A. SPENA, op. cit., p. 340.90 Tra gli altri, v. V. MANZINI, op. cit., p. 919; DELOGU, Abuso, cit., p. 605 s.; P. PITTARO,

Il delitto, cit., p. 1329 ss.91 Per tutti, F. ANTOLISEI, Osservazioni, cit., p. 391; G.P. DEMURO, Profili funzionali ed im-

putazione soggettiva in tema di abuso di mezzi di correzione, in Giur. di Merito, 1993, p. 1348.

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litto è perfetto quando anche il pericolo è soggettivamente voluto e ma-terialmente realizzato92.

Di sicuro, però, l’aspetto più problematico dell’inquadramento ditale pericolo nella categoria delle condizioni obiettive di punibilità è quel-lo che attiene all’imputazione soggettiva dell’evento condizionante. Se-condo la previsione dell’art. 44 c.p., quest’ultimo è imputato a carico del-l’agente a titolo oggettivo, senza che vi sia alcun bisogno di ricollegarloalla volontà del soggetto attivo. Ciò, tuttavia, pone seri dubbi di compa-tibilità con il principio costituzionale di colpevolezza, soprattutto alla lucedelle sentenze 364/1988 e 1085/1988 della Corte Costituzionale.

In particolare, i problemi nascono rispetto alle condizioni di puni-bilità definite intrinseche dallo stesso Giudice delle leggi, le quali deter-minerebbero una forma di progressione e aggravamento dell’offesa giàracchiusa nella commissione del fatto. Infatti, la medesima Corte ha sot-tratto le condizioni cc.dd. estrinseche alla regola della rimproverabilità exart. 27, 1° co., Cost., in quanto «elementi estranei alla materia del divie-to». Si tratta di accadimenti che nulla aggiungerebbero alla lesione delbene protetto e che rifletterebbero valutazioni di opportunità connessead un interesse esterno alla portata offensiva del reato. Da tale assuntodovrebbe derivare, allora, argomentando a contrario, la rilevanza del pro-filo soggettivo dell’imputazione per le condizioni intrinseche che, secon-do le indicazioni della Corte, costituirebbero parte integrante dell’offe-sa e quindi, alla stregua degli «elementi più significativi della fattispe-cie tipica» ossia di «tutti e ciascuno degli elementi che concorrono a con-trassegnare il disvalore della fattispecie», non potrebbero non essere co-perti almeno dalla colpa dell’agente e pure allo stesso «rimproverabili e cioèanche soggettivamente disapprovati».

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92 Stesse considerazioni valgono per la definizione del locus commissi delicti. Anchein merito alla configurabilità del tentativo, occorre distinguere. Nella prospettiva del rea-to condizionato, essa è discussa: l’opinione prevalente è che il tentativo sia ammissibile,sempre che la condizione si sia effettivamente verificata e il suo verificarsi non richieda ne-cessariamente la consumazione del delitto (così C. FIORE – S. FIORE, op. cit., p. 481; F. MAN-TOVANI, Diritto penale, cit., p. 453 s.). Qualora, invece, si faccia rientrare il pericolo tra gli ele-menti costitutivi del reato, il tentativo è ipotizzabile, ma il dubbio rimane se si qualifica lafattispecie come reato di pericolo, posto che la dottrina maggioritaria, onde evitare un’ec-cessiva anticipazione della soglia di tutela penale, nega la sua punibilità a titolo di tenta-tivo. V., per quest’ultima impostazione, F. MANTOVANI, ult. op. cit., p. 452 s.; G. FIANDACA –E. MUSCO, op.cit., p. 434. In senso parzialmente diverso, C. FIORE – S. FIORE, op. cit., p. 480:gli Autori operano una distinzione all’interno della categoria dei delitti di pericolo e riten-gono non configurabile il tentativo soltanto in relazione a quelli di pericolo concreto; lo am-mettono, invece, rispetto ai reati di pericolo astratto o presunto.

Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina

Peraltro, sulla base delle enunciazioni appena descritte, si osserva,in letteratura, che quest’ultima categoria di condizioni perde la propriaautonomia concettuale, andando a confluire nella dimensione del fattotipico. Le vere e proprie condizioni ex art. 44 c.p., imputabili oggettiva-mente, sarebbero, quindi, solo quelle estrinseche93.

Nell’ambito del delitto in esame, la dottrina prevalente ritiene cheil pericolo di malattia sia proprio una condizione di tipo intrinseco; per-tanto, bisognerebbe necessariamente riscontrare un collegamento psico-logico, quantomeno di tipo colposo, tra l’agente e l’evento condizionan-te, ossia la prevedibilità di un pericolo di malattia come conseguenza del-l’abuso disciplinare94.

Tuttavia, secondo una diversa impostazione95, non sarebbe esattoaffermare che un’indipendenza dal principio costituzionale di colpevo-lezza debba riconoscersi solo alle condizioni di punibilità estrinseche, enon anche a quelle intrinseche, solo perché queste concorrono a contras-segnare la portata offensiva dei delitti a cui si riferiscono. Pure esse, di-fatti, al pari delle prime, varrebbero a limitare la punibilità della condot-ta tipica, nel caso di specie costituita dagli eccessi correttivi: in partico-lare, posto che l’abuso è di per sé offensivo dell’interesse del soggetto pas-sivo a beneficiare di un’adeguata attività assistenziale e, ciononostante,diventa punibile solo se si realizza il pericolo di malattia, allora quest’ul-timo limiterebbe la punibilità delle offese al bene giuridico tutelato dal-la fattispecie dell’abuso, e sotto tale profilo opererebbero a favore del reo.Da ciò deriverebbe la legittimità costituzionale della detta condizione aprescindere da qualsiasi suo rapporto con la colpevolezza dell’autore. Sa-rebbe richiesta, quindi, la prevedibilità e prevenibilità dell’evento con-dizionante accertate non sulla base delle personali capacità dell’autoredi una fattispecie concreta di eccessi disciplinari, ma di quelle dell’uo-mo medio, della categoria sociale cui l’autore medesimo appartiene; per-tanto, tale valutazione non sconfinerebbe sul piano della colpevolezza,ma atterebbe al giudizio di accertamento della derivazione causale del-l’evento-condizione dalla condotta dell’agente secondo i parametri del-la causalità adeguata. Si ritiene, infatti, che se si esigesse la prevedibilitàdella condizione intesa come necessario requisito di colpevolezza, la nor-ma preferenziale dell’abuso non sarebbe mai applicabile, perché verreb-

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93 Per tale ricostruzione, v. C. FIORE – S. FIORE, op. cit., p. 379 ss.94 In questo senso, v. P. VENEZIANI, Spunti per una teoria del reato condizionato, Pado-

va, 1992, p. 71 ss.; A. CADOPPI – P. VENEZIANI, Elementi di diritto penale, Parte generale, II ed.,Padova, 2004, p. 462.

95 Così, DELOGU, Abuso, cit., p. 619 ss.

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bero integrati altri delitti, ad esempio contro la persona. A conferma ditale assunto, si fa riferimento al trattamento sanzionatorio molto più lie-ve previsto dall’art. 571 c.p., rispetto ai reati contro la vita o l’integrità per-sonale, non solo per la valenza positiva da attribuire ad un’attività disci-plinare, ma anche per l’assoluta estraneità alla colpevolezza dell’agen-te del verificarsi della condizione.

Altri Autori96 inquadrano diversamente la tematica delle condizio-ni di punibilità, tentando di fondarne la rilevanza oggettiva attraversoil riferimento al principio di necessarietà della pena: mentre gli elementi co-stitutivi del reato renderebbero il fatto «meritevole di pena», perché suf-ficientemente offensivo, le condizioni lo farebbero diventare anche «bi-sognoso di pena», in quanto accadimenti estranei all’offesa ma che ren-dono opportuna la punibilità, oppure accadimenti che arricchiscono lasfera dell’offesa perché ne comportano un ulteriore aggravamento o per-ché sono offensivi di beni estranei all’oggetto giuridico del reato. In que-sto modo si arriva ad affermare che non risulta violato il principio del-la responsabilità personale: le condizioni, quelle cui si riferisce l’art. 44c.p. e che sono riconducibili all’agente a prescindere da un collegamen-to psicologico con lo stesso, non fanno altro che limitare la sfera di ope-ratività della norma incriminatrice rispetto a fatti che, altrimenti, sareb-bero già perseguibili.

E così, nel caso dell’art. 571 c.p., il legislatore avrebbe ritenuto oppor-tuno circoscrivere le interferenze della legge penale nel rapporto educa-tivo alle sole ipotesi in cui l’offesa raggiunga una certa intensità, deciden-do di punire il reato soltanto quando si realizzi, come conseguenza dell’abu-so, un pericolo di malattia nel corpo o nella mente del soggetto passivo.

Una tale scelta normativa, certamente, si pone in linea con il cano-ne di offensività, fondamentale principio di un diritto penale indirizza-to alla repressione dei fatti che abbiano un’effettiva attitudine lesiva de-gli interessi tutelati. La stessa consente, inoltre, di recuperare il riferimen-to al carattere di extrema ratio dell’intervento punitivo, come garanzia im-plicita sottesa alla categoria delle condizioni obiettive di punibilità.

Tuttavia, andando a considerare il detto pericolo una mera condi-zione di punibilità (estrinseca), estranea al disvalore del fatto, e quindicompletamente svincolata dalla sussistenza di un legame psicologico conl’agente, si giunge ad una sostanziale dilatazione della potenzialità ap-plicativa della norma. L’area della penalità, infatti, andrebbe a ricompren-dere ogni condotta integrata dall’utilizzo di un mezzo disciplinare che

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96 Cfr. F. MANTOVANI, Diritto penale, cit., p. 803 ss.

Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina

degeneri in pericolo, a prescindere dall’esistenza di un substrato sogget-tivo dell’azione.

Ed invece, il rischio di una malattia nel corpo o nella mente della per-sona offesa, pur non costituendo evento del reato, concorre a fondare il ca-rattere antigiuridico del comportamento eccessivo dell’educatore e, per po-ter essere allo stesso attribuibile, deve essergli ricondotto anche in terminidi colpevolezza e, quindi, di rimproverabilità. Si condivide, pertanto, la tesidel necessario accertamento della colpa. Ciò equivale a dire che, nella si-tuazione concreta in cui viene a trovarsi l’autore dell’abuso, affinchè egli siapunibile, occorre riscontrare la prevedibilità e/o previsione del pericolo inquestione, come conseguenza della propria condotta, e la sua evitabilità at-traverso l’osservanza di cautele preventive idonee ad escludere o contene-re l’eventualità dell’evento pericoloso, sempre che tale ottemperanza pos-sa dirsi esigibile effettivamente da parte dell’agente medesimo.

Riguardo a quest’ultimo aspetto, tuttavia, il discorso andrebbe arti-colato diversamente a seconda di quale sia il ruolo del soggetto attivo neiconfronti del corrigendo; ancora una volta, dunque, viene in rilievo la dif-ferente considerazione che il legislatore dovrebbe avere in ordine ai rap-porti scolastici, rispetto a quelli strettamente familiari. Nel primo caso, adifferenza che nel secondo, il livello di esigibilità è maggiore, data la po-sizione professionale rivestita dall’insegnante che, sulla base della propriapreparazione ed esperienza, potrebbe essere in grado di antivedere e va-lutare anticipatamente la potenzialità pericolosa di un determinato stru-mento correttivo. Un addebito in termini di colpa, comunque, sarebbe daescludere in presenza di fattori (ad esempio, una particolare condizionepersonale) atti a denotare un decorso anomalo delle circostanze in cui siagisce, tale da condizionare la capacità di previsione dell’educatore.

5. La fattispecie di cui al 2° comma. Questioni interpretative

Il capoverso della disposizione de qua disciplina, invece, le ipotesidi abuso da cui derivino delle lesioni personali o addirittura la morte del-la persona offesa. Anche in questo caso non mancano difficoltà interpre-tative, in particolare in ordine al raccordo tra queste fattispecie e quelladescritta al 1° comma.

L’opinione prevalente è che si tratti di delitti aggravati (o qualifi-cati) dall’evento97. Tali sono quelli che subiscono un aumento di pena per

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97 V., per tutti, C. FIORE – S. FIORE, op. cit., p. 453; G.D. PISAPIA, Delitti contro la fami-glia, cit., p. 737; V. MANZINI, Trattato, cit., p. 921.

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il verificarsi di un evento o di un evento ulteriore, più grave, come con-seguenza della condotta del reo. Controversa è la natura giuridica di que-sta tipologia di illeciti.

Parte della dottrina ritiene che siano reati circostanziati: l’evento ul-teriore concorrerebbe ad aumentare i contenuti offensivi di un fatto giàdi per sé punibile98. Così, le lesioni e la morte costituirebbero due aggra-vanti della prima ipotesi disciplinata; identica, infatti, sarebbe la struttu-ra del delitto, mentre risulterebbe più grave l’evento, che determina la pu-nibilità dell’autore, dato che il pericolo previsto nel reato-base si tramu-ta in danno. Inoltre, a conferma della correttezza di tale qualificazione sifa riferimento anche al dato che il capoverso si applicherebbe solo quan-do il fatto concreti tutti i requisiti della fattispecie descritta al 1° comma99.

Altri negano la natura unitaria dei reati aggravati dall’evento, poi-ché solo certe ipotesi potrebbero qualificarsi come delitti circostanziati,mentre altre rappresenterebbero figure autonome di reato: tra queste sa-rebbero riconducibili al delitto preterintenzionale quelle in cui l’evento ul-teriore deve essere non voluto100. E proprio in quest’ultimo ambito, da al-cuni, viene fatta rientrare la fattispecie di cui al 2° comma dell’art. 571 c.p:si afferma che l’agente non deve aver voluto le lesioni o la morte, perchéaltrimenti non dovrebbe applicarsi la norma preferenziale, ma quelle co-muni disciplinanti le lesioni personali o l’omicidio101. Andando, così, a clas-sificarla come figura autonoma di delitto preterintenzionale, si riuscireb-be anche a superare quello che è considerato il punctum dolens dell’impo-stazione secondo cui gli eventi lesione o morte sarebbero circostanze ag-gravanti del reato-base, costituito dall’abuso previsto dal 1° comma: e cioèil rischio di farli entrare nel giudizio di bilanciamento tra circostanze disegno diverso, ex art. 69 c.p., e di vedere in tal modo neutralizzata la gra-vità di detti eventi dal concorso di circostanze attenuanti, ad esempio ge-

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98 Cfr. C. FIORE – S. FIORE, op. cit., p. 432 ss.: gli Autori, tuttavia, non mancano di sot-tolineare l’analogia di struttura dei delitti aggravati dall’evento con la responsabilità pre-terintenzionale o comunque le possibili interferenze dei primi con altre fattispecie illeci-te; v. anche F. ANTOLISEI, Diritto penale. Parte generale, cit., p. 391 s.; G. FIANDACA – E. MU-SCO, op. cit., p. 587 ss.

99 Cfr., per tale interpretazione, tra gli altri, V. MANZINI, op. cit., p. 920 ss.100 V. F. MANTOVANI, Diritto penale, cit., p. 395 ss. Alla tradizionale bipartizione dei de-

litti aggravati dall’evento a seconda che lo stesso possa o debba essere voluto, l’Autore ri-tiene opportuno sostituire la quadripartizione tra quelli in cui l’evento: a) non può esserevoluto, poiché già il reato-base è colposo; b) non può che essere voluto, essendo l’eventola realizzazione del fine del reato-base; c) non deve essere voluto, pena altrimenti la con-figurabilità di altro reato doloso; d) può, indifferentemente, essere o non essere voluto.

101 Cfr. G.D. PISAPIA, Abuso, cit., p. 103.

Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina

neriche (art. 62 bis c.p), che un giudice ritenesse prevalenti102. In entrambi i casi, invece, sia che si ricorra alla categoria del reato ag-

gravato dall’evento come reato circostanziato, sia che si propenda per quel-la del delitto preterintenzionale, l’interprete dovrà accertare l’atteggiamen-to psicologico dell’agente rispetto all’evento morte e lesioni (non voluto).

Certamente la tesi del reato circostanziato appare più coerente conle esigenze poste dal rispetto del principio di colpevolezza, dato che, allaluce dell’attuale regime di imputazione delle circostanze aggravanti, exart. 59, 2° comma, c.p., viene superata la regola della loro imputazioneoggettiva: la maggiore responsabilità può derivare solo dalla valutazio-ne di una circostanza la cui esistenza sia nota all’agente o rispetto alla qua-le gli si possa muovere almeno un rimprovero in termini di colpa. Tale di-sciplina si applica a tutte le aggravanti e quindi anche ai delitti qualifi-cati dall’evento, con la sola precisazione che riguardo ad essi la formu-la della conoscenza o conoscibilità, valevole per le circostanze ai sensi del-l’art. 59, 2° comma, c.p, va intesa in termini di rappresentazione o rap-presentabilità dell’evento come conseguenza della condotta illecita. Ri-chiedere la colpa rispetto all’evento aggravante, nel caso in parola costi-tuito dalle lesioni personali o dalla morte, significa allora impedire il ri-corso a forme di responsabilità basate sull’applicazione dell’anticoprincipio del versari in re illicita, alla cui stregua può essere imputato al-l’autore del fatto qualsiasi evento che sia oggettivamente riconducibilealla sua azione od omissione, a prescindere dall’esistenza di un atteggia-mento psicologico a copertura della stessa103.

A conclusioni analoghe, seppure con maggiori difficoltà interpre-tative, si giunge seguendo la diversa impostazione che fa ricorso alla ca-tegoria del delitto preterintenzionale. In particolare, il capoverso dell’art.571 c.p. sarebbe composto dagli elementi di un delitto doloso, ossia l’abu-so di cui al 1° comma (punito se oggettivamente pericoloso), e da un even-to ulteriore (le lesioni o la morte) che non deve essere voluto, neppure atitolo di dolo eventuale (altrimenti, come detto, sussisterebbe altra piùgrave ipotesi criminosa), e rispetto al quale sarebbe necessaria la colpadell’agente. Quindi, una lettura conforme a Costituzione della preterin-

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102 Per questa considerazione, v. P. PITTARO, Il delitto, cit., p. 1331 s.; DELOGU, Abuso,cit., p. 608 s. Tuttavia, è stato da altri sottolineato che tale inconveniente, per quanto pos-sibile, non sia insuperabile, dato che il giudice nell’operazione di bilanciamento è chiama-to ad usare molta cautela, in modo da evitare le incongruenze più vistose. Cfr. G. FIANDA-CA – E. MUSCO, op. cit., p. 604.

103 Per tale ricostruzione dell’attuale regime di imputazione delle circostanze in rap-porto ai delitti aggravati dall’evento, v. C. FIORE – S. FIORE, op. cit., p. 432 ss.

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tenzione ravviserebbe in essa un’ipotesi di dolo misto a colpa; quest’ul-tima presupporrebbe un accertamento in concreto che dovrebbe porta-re ad identificarla nella prevedibilità ed evitabilità dell’evento secondol’ordinario parametro dell’agente modello calato nella stessa situazione del-l’autore concreto104.

Altra dottrina105, invece, nega la natura circostanziale degli eventilesione personale e morte, di cui al capoverso della norma in analisi, sul-la base dell’argomentazione secondo la quale gli stessi non potrebberoessere considerati varianti quantitative o specificazioni dell’evento «pe-ricolo di malattia nel corpo o nella mente» disciplinato al 1° comma, poi-ché si porrebbero con esso in un rapporto di esclusione reciproca, datoche il danno effettivo all’integrità fisica e addirittura alla vita rappresen-ta la lesione, e non il mero pericolo, di detti beni giuridici. Pertanto, lacondotta di abuso seguita da tali eventi costituirebbe un autonomo tito-lo delittuoso, riconducibile alla categoria del reato condizionato, al paridi quello previsto dal 1° comma. Ed infatti – si aggiunge – se in una fat-tispecie concreta di abuso si eliminassero mentalmente le lesioni o la mor-te, la stessa sarebbe comunque offensiva dell’interesse ad un adeguatoesercizio del potere disciplinare, ma ciononostante non sarebbe punibi-le, e perché torni ad essere incriminabile sarebbe necessario reinserire inessa uno dei predetti eventi. Una conferma che l’intenzione del legisla-tore fosse quella di creare una struttura condizionale comune a tutte lefattispecie di abuso descritte si troverebbe, inoltre, nel tenore letterale del-la norma. In particolare, il riferimento è alla continuità formale del di-scorso descrittivo: le proposizioni normative di cui al 2° comma acqui-sterebbero un senso solo se collegate con quella contenuta nel 1° comma;a questa conseguenzialità espositiva corrisponderebbe anche una conti-nuità del ruolo attribuito all’evento al cui verificarsi l’applicazione del-la pena è, in ogni fattispecie, subordinata. Ciò vanificherebbe anche i dub-bi in merito ai rapporti degli eventi-condizione con il principio di colpe-volezza, considerato che, come si è già indicato in precedenza riguardoall’abuso seguito dal pericolo di malattia, si ritiene che allo stato attua-le della situazione normativa non potrebbe esigersi che le condizioni dipunibilità, anche intrinseche, rientrino necessariamente nel fuoco dellacolpevolezza106.

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104 Cfr. G.P. DEMURO, op. cit., p. 1350. Altra parte della dottrina fa, tuttavia, notare cheil delitto preterintenzionale, più che configurare un’ipotesi di dolo misto a colpa, mostra ana-logie strutturali con la condotta colposa: v., ancora, C. FIORE – S. FIORE, op. cit., p. 374 ss.

105 Per tutti, DELOGU, Abuso, cit., p. 575 ss. e p. 606 ss.106 La medesima dottrina (DELOGU, ult. op. cit., p. 607 s.) rifiuta la tesi, peraltro net-

Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina

Le stesse invece, secondo la citata dottrina107, non potrebbero es-sere estranee al rapporto causale con l’azione illecita: accertamento im-prescindibile, allora, sarebbe quello riguardante il dinamismo causaleche porta al verificarsi degli eventi-condizione, i quali per essere im-putabili all’agente devono «derivare» dalla condotta che costituisce l’ec-cesso disciplinare.

Il criterio utilizzabile si ritiene essere quello dell’adeguatezza causa-le, considerato il più idoneo a fondare la rilevanza di eventi imputabilioggettivamente e, quindi, a ridurre la portata di un addebito senza col-pevolezza delle condizioni di punibilità intrinseche.

Questa sarebbe una scelta obbligata per accertare il collegamento ezio-logico tra la condotta tipica di abuso e la condizione consistente nel peri-colo di una malattia nel corpo o nella mente della persona offesa, di cui al1° comma: mancando il dato certo di una malattia in atto, l’accertamentodel pericolo come conseguenza della condotta di eccesso disciplinare po-trebbe avvenire solo attraverso un giudizio di prognosi postuma, basato sulricorso a criteri d’esperienza, comune o scientifica, gli stessi su cui si fon-da l’idea di causa adeguata intesa come antecedete che verosimilmente siain grado di produrre l’evento. Ma la medesima teoria varrebbe anche perle condizioni costituite dalla lesione o dalla morte del soggetto passivo. Si-curamente, quando, per causarne l’avverarsi, alla condotta di abuso si siaaggiunta una concausa sopravvenuta: a quest’ultima, infatti, si riconosceun’efficacia interruttiva del decorso causale originato dalla condotta tipi-ca, e quindi un’efficienza causala esclusiva, nel caso essa si identifichi in unaccadimento eccezionale, non prevedibile dall’uomo medio perché diffor-me dall’id quod plaerumque accidit. Esempio emblematico è quello del sui-cidio della persona offesa a seguito degli eccessi disciplinari subiti: seguen-do tale impostazione, ci si troverebbe di fronte ad una causa sopravvenu-ta da sola sufficiente a provocare la morte, non prevedibile, anche perchésproporzionata rispetto alla gravità degli eccessi correttivi108.

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tamente minoritaria, che ricorre in queste ipotesi alla categoria, di matrice tedesca, dellecondizioni oggettive di maggiore punibilità: si tratterebbe di elementi di fattispecie che agisco-no con effetto aggravante, ma oggettivamente, a prescindere cioè da ogni loro rapporto conla colpevolezza. V., per tale interpretazione, O. VANNINI, Manuale di diritto penale, Parte spe-ciale, Milano, 1951, p. 261.

107 DELOGU, ult. op. cit., p. 612 ss. Contra: tra gli altri, G. BETTIOL - L. PETTOELLO MAN-TOVANI, Diritto penale, Padova, 1986, p. 255, secondo cui caratteristica delle condizioni obiet-tive di punibilità sarebbe la loro estraneità non solo alla colpevolezza, ma anche ad un rap-porto causale con la condotta illecita.

108 Non manca, tuttavia, chi ritiene che, in tal caso, la causa della morte sarebbe datadall’eccesso. V. V. MANZINI, op. cit., p. 925.

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Allo stesso modo, però, se si ammette che il principio di adegua-tezza operi come correttivo alla mancanza di un accertamento di colpe-volezza dell’agente in ordine agli eventi-condizione, si dovrebbe giun-gere alla conclusione che l’applicazione dei titoli delittuosi più gravi, dicui al 2° comma, è esclusa anche quando la lesione o la morte siano de-rivate, oltre che dalla condotta delittuosa, dal necessario concorso di unaconcausa preesistente o concomitante ignorata e non prevenibile dall’au-tore del reato, come ad esempio la presenza di un vizio organico dellavittima mai rivelatosi, che abbia fatto sì che alle lesioni seguisse la mor-te; oppure un’improvvisa malattia, indipendente dagli eccessi ma soprag-giunta quando essi erano ancora in corso, la quale aggravi gli effetti de-gli stessi a causa di una diminuzione della resistenza dell’organismo del-la persona offesa.

A prescindere, comunque, dalla classificazione dogmatica dell’ipo-tesi di abuso a cui segua una lesione personale o la morte del soggettopassivo, emerge la “pericolosità” di una simile previsione, dal momen-to che essa consente (attraverso la valorizzazione dell’intento disciplina-re) di ricondurre la punibilità di delitti gravi, contro la vita, alla più blan-da fattispecie degli eccessi correttivi (aggravati), determinando conseguen-ze inique non solo dal punto di vista del trattamento sanzionatorio, maanche in termini di percezione da parte della collettività del disvalore delfatto. Da un’approfondita disamina della casistica concreta emerge, tut-tavia, soltanto una isolata pronuncia in cui la giurisprudenza ha condan-nato a titolo di abuso aggravato (dalla morte) un imputato a cui era sta-to originariamente contestato il reato di omicidio preterintenzionale109.Ciò non toglie che una siffatta disposizione legittimi l’interprete a solu-zioni diverse, comportando il rischio di applicazioni irragionevoli, le qua-li dovrebbero trovare un limite nel disposto del legislatore e non nell’at-tività interpretativa, più o meno coerente, dei giudici.

6. Considerazioni de iure condito sull’incerta collocazione sistematicadel reato e brevi riflessioni de iure condendo

Risultano certamente fondati i dubbi sull’opportunità di mantene-re l’ipotesi delittuosa dell’Abuso dei mezzi di correzione o di disciplinaall’interno del sistema penale. Si sono già evidenziati i profili di maggio-re criticità: in particolare, si è fatto riferimento all’anacronismo morale, so-

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109 Così, Cass. pen., 15 ottobre 1981, in Riv. Pen., 1982, p. 1051.

Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina

ciale e giuridico della disposizione, preso atto delle conquiste della mo-derna pedagogia, e alle perplessità riguardanti la tecnica di redazione del-la fattispecie, poco conforme al principio di tassatività e determinatezza.

Incertezze, inoltre, si manifestano pure riguardo all’oggetto speci-fico della tutela normativa. Il reato de quo è collocato tra i delitti control’assistenza familiare, ma tale posizione “topografica” non è da tutti ri-tenuta corretta: come fa notare una parte della dottrina110, il prevalentebene giuridico tutelato sarebbe l’integrità personale del soggetto passi-vo, posto che il fatto è punibile se da esso derivi un pericolo di malattianel corpo o nella mente oppure, nell’ipotesi aggravata, l’evento lesionio morte. Altri Autori111 ravvisano, invece, l’interesse tutelato nell’indivi-dualità della persona, specie nelle sue espressioni più profonde.

In base ad una diversa prospettiva, l’inesattezza della collocazionedel reato deriverebbe dalla circostanza che l’art. 571 c.p. non contemplasoltanto, in modo esclusivo o prevalente, i rapporti familiari, ma qual-siasi rapporto disciplinare, anche estraneo alla compagine familiare112. Sifa notare, altresì, che l’inadeguatezza della classificazione emergerebbedalla valutazione secondo cui il delitto in parola, anche laddove si con-sumi all’interno delle mura domestiche, non violerebbe, comunque, do-veri di assistenza e il dato che la tutela giuridica sia prestata al sogget-to non solo per la sua essenza di persona, ma anche per il particolare rap-porto di dipendenza in cui si trova, non verrebbe ugualmente meno sesi incriminasse la fattispecie tra i delitti contro la vita e l’incolumità in-dividuale113.

Tali considerazioni legittimano, allora, il dubbio su quale sia il si-gnificato che il reato di abuso possa ancora oggi rivestire. Da più parti,come accennato all’inizio della presente trattazione, de iure condendo, sene suggerisce l’abrogazione114. Anche gli ultimi progetti legislativi di ri-forma della parte speciale del codice penale non ripropongono un arti-colo identico al vigente 571 c.p., ma lo eliminano completamente115 op-

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110 V., tra gli altri, G.D. PISAPIA, Delitti, cit., p. 730.111 M. MAZZA, op. cit., p. 3.112 Così, V. MANZINI, op. cit., p. 730.113 V. MANZINI, op. cit., p. 901; G.D. PISAPIA, Abuso, cit., p. 101. Il previgente codice Za-

nardelli collocava il delitto tra quelli contro la persona.114 G.D. PISAPIA, ult. op. cit., p. 99; G. PISAPIA, Abuso, cit., p. 37; F. UCCELLA, op. cit., p.

9 ss., il quale rileva che «nel campo familiare si dovrebbe ritenere significante e, quindi, ac-centuata la tutela penale solo se realizzata per la sottolineatura di valori personalistici, nonaltrimenti garantiti o garantibili»; S. LARIZZA, op. cit., p. 39; D. BONAMORE, op. cit., p. 520.

115 Il progetto Pagliaro del 1991, di riforma della parte speciale del codice penale, in-troduce nel Titolo III (Dei reati contro la famiglia) del Libro II (Dei reati contro i rapporti civi-

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pure introducono norme sostitutive dello stesso116.Altra parte della dottrina117 reputa, invece, opportuna una rifor-

mulazione della fattispecie, tale da adattarne i contenuti al mutato as-setto sociale e culturale, salvaguardando così l’esigenza, ritenuta anco-ra preminente, di protezione degli interessi dei soggetti deboli del rap-porto di autorità.

Non manca chi ritiene corretta anche l’attuale collocazione sistema-tica del reato: il bene giuridico tutelato dovrebbe ravvisarsi non nell’inte-grità psico-fisica del corrigendo in quanto tale, ma nell’interesse del sogget-to sottoposto ad un potere disciplinare, di natura familiare o parafamilia-re, che tale potere, riconosciuto in capo a chi deve assisterlo, venga eserci-tato in modo utile alla formazione della sua personalità e non degeneri, in-vece, nell’abuso, rivelandosi controproducente o, addirittura, lesivo dellasua incolumità. I rapporti parafamiliari sarebbero del tutto assimilabili a quel-li propriamente familiari, posto che i titolari degli stessi sono chiamati a svol-

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li, sociali ed economici) il Capo II intitolato Dei reati contro la solidarietà familiare, senza tutta-via prevedere alcuna disposizione che riproduca, anche in parte, il contenuto dell’art. 571,mentre ripropone norme quali i maltrattamenti in famiglia, la sottrazione consensuale diminore e la sottrazione di incapace. V. PISANI (a cura di), Per un nuovo codice penale. Sche-ma di legge- delega al Governo, Padova, 1993, p. 52. Richiedono l’abrogazione dell’articoloanche la proposta di legge n. 154/1992 «Modifiche alle norme penali per la tutela dei mi-nori»; la n. 730/1992 «Norme per la individuazione e la prevenzione dei reati di violenzain danno dei minori e modifica dell’art 61 c.p. per l’introduzione di una aggravante comu-ne»; la n. 121/2004 «Norme in materia di reati contro i minorenni e contro l’assistenza fa-miliare»; la n. 145/1994 «Norme per la tutela dei minori»; la n. 1903/1995 «Norme per latutela dei minori»; la n. 2191/1995 «Norme per la tutela e lo sviluppo dei soggetti in etàevolutiva»; il disegno di legge n. 12/1992 «Nuove norme in materia di delitti contro l’as-sistenza familiare»; il n. 487/1992 «Norme regolatrici dei rapporti tra genitori e figli»; il n.65/2004 «Modifica alle norme penali per la tutela dei minori»; il n. 352/1994 «Norme perla tutela dei minori».

116 Il disegno di legge n. 384/1988 (Jervolino-Vassalli: «Norme sulla tutela penale del-la personalità del minore») propone l’introduzione di un nuovo delitto (art. 584) di «Atti le-sivi dello sviluppo della personalità del minore», che così dispone: «Chiunque abusa del-la funzione che esercita su un minore per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilan-za o custodia, ovvero omette di adempiere ai dovei inerenti alla funzione è punito, se dalfatto deriva un pericolo per la salute fisica o psichica del minore, con la reclusione da seimesi a tre anni». Cfr. Relazione al Disegno di l. n. 384, in Atti parlamentari, X Legisl., Senatodella Repubblica, codice e legislazione penale, p. 1. Sulla scia di questo disegno di legge si sonomosse altre due proposte di legge (la n. 671/1996 e la n. 1432/1996) che ne hanno sostan-zialmente riprodotto il testo, abrogando il delitto di abuso dei mezzi di correzione e intro-ducendo quello di atti lesivi dello sviluppo della personalità del minore.

117 F. ANTOLISEI, Osservazioni, cit., p. 393; G. FRACCHIA, Profili dell’abuso dei mezzi di cor-rezione o di disciplina, in Giust. Pen., 1985, II, p. 105; G.P. DEMURO, op. cit., p. 1351e, con dif-ferenziazioni, F. FIERRO CENDERELLI, Profili penali, cit., p. 61 e p. 181, la quale si chiede se larilevanza dell’abuso non sia forse assorbita in quella di cui all’art. 570 c.p.

Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina

gere una funzione di supplenza o di ausilio alla famiglia118.Secondo altra ricostruzione, poi, a seguito dei vari interventi nor-

mativi che hanno vietato espressamente o, quantomeno, regolato tassa-tivamente l’uso di mezzi coercitivi, l’applicazione della fattispecie de quasarebbe, oggi, limitata ai soli rapporti familiari. Ciò si porrebbe in lineacon la collocazione della disposizione nell’ambito dei delitti contro l’as-sistenza familiare, che costituirebbe la vera e propria oggettività giuri-dica del reato. Diverso sarebbe, invece, il bene giuridico tutelato: questosi identificherebbe nell’integrità fisica, nell’incolumità e nella libertà per-sonale del soggetto, che l’art. 571 c.p., a differenza di altre norme, tute-lerebbe in relazione a coloro nei confronti dei quali possono esercitarsimezzi di correzione o di disciplina119 .

La giurisprudenza, come si è visto, nel corso degli anni non ha mo-strato un orientamento costante e consolidato; in quella più recente, tut-tavia, si registra la tendenza ad avallare la tesi abolizionista: attraversouna serie di interpretazioni adeguatrici, la Corte di Cassazione si è mos-sa nel senso dell’eliminazione di quella zona di favor o di trattamento pre-ferenziale previsto nei confronti dei comportamenti pericolosi, e addirit-tura dannosi, caratterizzati da finalità educative120.

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118 Così, DELOGU, Abuso, cit., p. 577 ss. Nella Relazione ministeriale al codice vigente,la classificazione dei fatti in esame fra i reati contro la famiglia era ritenuta «intuitiva, per-ché con essi si violano i doveri di assistenza familiare inerenti al vincolo parentale o lega-le» (Rel. Min., cit., p. 730).

119 Cfr. G. PISAPIA, Abuso, cit., p. 33 ss.: secondo l’Autore, proprio il fatto che i sog-getti passivi di tale reato siano sottoposti all’altrui autorità, li renderebbe meritevoli di unatutela particolare, oltre a quella offerta dalla legge a tutti gli individui. Nello stesso senso,v. M. ROMANO, Legislazione penale e tutela della persona umana (Contributo alla revisione del Ti-tolo XII del Codice Penale), in Riv. it. dir. e proc. pen., 1989, p. 53.

120 V. Cass. pen., Sez. VI, 10/5/2012, n. 36564, avente ad oggetto un caso relativo al ri-petersi di episodi di violenza commessi dall’agente nei confronti del figlio, con lo scopo di-chiarato di insegnargli «come stare al mondo». Al riguardo la Corte dispone che «[…] L’usosistematico della violenza, quale ordinario trattamento del minore, anche lì dove fosse sostenuto da “ani-mus corrigendi”, non può rientrare nell’ambito dell’art. 571 c.p., bensì concretizza sotto il profilo og-gettivo e soggettivo il più grave delitto di maltrattamenti». Cfr. anche Cass. pen., 14/6/2012, n. 34492.I Giudici, ritenuto quanto disposto dalla normativa nazionale, comunitaria ed internaziona-le sulla tutela d’ogni minore, in conformità agli attuali, consolidati ed ormai irreversibili po-stulati delle scienze psicologiche e pedagogiche, statuiscono che non può considerarsi lecito,ex art. 571 c.p., l’uso della violenza fisica o psichica finalizzata, sul piano soggettivo, a scopiritenuti educativi perché correttivi e disciplinari, tanto più quando il mezzo è usato con mo-dalità d’ordine chiaramente vessatorio, o con finalità di punizione “esemplare”, o con umi-liazione della dignità personale e relazionale del minore, oppure per mero esercizio di “au-torità” o di esibizionistico prestigio: invero, «[…] non può perseguirsi, quale meta educativa, unrisultato di armonico sviluppo della personalità, sensibile ai valori di pace, tolleranza, convivenza e so-lidarietà, utilizzando mezzi violenti e costrittivi che tali fini contraddicono».

Monica Tortorelli

Ciò che si sta verificando è, allora, una disapplicazione diffusa deldelitto in parola, benchè negli ultimi tempi dalla cronaca giudiziaria emer-gano, sempre più spesso, notizie di processi in corso o di sentenze di con-danna (non ancora definitive) concernenti il reato di eccessi disciplina-ri, probabilmente come diretta conseguenza della rinnovata attenzionein ordine alla tematica della violenza domestica ed, in generale, alle esi-genze di tutela dei soggetti deboli.

Come di consueto avviene nel nostro ordinamento, di fronte all’in-determinatezza e all’incompletezza delle norme, i giudici si sostituisco-no ad un legislatore inerte, manchevole e, per molti versi, approssima-tivo, generando quelle incertezze applicative che sono la dimostrazionedi ciò che può accadere quando si deraglia dalla ripartizione costituzio-nale dei poteri.

Non si vuole certamente mettere in discussione l’importanza, ai finidell’effettività nel sistema penale dei precetti posti dalla legge, dell’atti-vità interpretativa della giurisprudenza chiamata a garantire, attraver-so il processo razionale di sussunzione, l’adeguamento del diritto all’evo-luzione sociale, che - come detto - ha influito molto anche sull’ambito dioperatività della fattispecie in analisi. Il giudice, non essendo automati-co strumento di riconduzione del fatto alla norma, filtra tra il caso con-creto ed il comando astratto assumendo un ruolo di integrazione e rifi-nitura di un quadro normativo che, però, dovrebbe essere predispostoin linea generale, e in maniera sufficientemente dettagliata, dal legisla-tore. Quel che sembra certo è che l’opera ermeneutica della giurispruden-za non può atteggiarsi a fonte creativa del diritto penale. Diversamen-te, si andrebbe a minare il basilare principio di certezza e la fondamen-tale funzione di garanzia che, nella cornice di uno Stato di diritto, nonpuò che essere assegnata alla legge.

Auspicabile sarebbe dunque, nella materia de qua, un intervento le-gislativo. Una considerazione privilegiata dovrebbe essere data alle ri-correnti proposte di riformulazione della disciplina attraverso l’abroga-zione del vigente art. 571 c.p.: il disvalore dei fatti in esso sussumibili po-trebbe, infatti, essere ricompreso in altre fattispecie incriminatrici, che benesi prestano ad assorbire la rilevanza di quegli eccessi correttivi che sfo-ciano nella causazione di un pericolo o un danno alla persona. Invero,si è già ampiamente dimostrato che l’utilizzo di un mezzo disciplinarecoattivo, o comunque lesivo dell’incolumità fisica o della personalità psi-chica e morale del soggetto passivo, è di per sé contrario allo scopo edu-cativo: viene meno, in tal caso, lo stesso jus corrigendi che renderebbe ilfatto - a seconda della ricostruzione a cui si decidesse di aderire - giusti-ficato, lecito, socialmente adeguato e, pertanto, penalmente irrilevante.

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Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina

L’esercizio della funzione disciplinare con tali modalità afflittive perdein nuce il suo carattere educativo; è, quindi, di per sé illecito. Risulta, per-tanto, ingiustificata l’assoggettabilità di quei fatti ad un trattamento pre-ferenziale: essi costituiscono tout court lesioni o percosse e a queste nor-me possono essere ricondotti, onde evitare di legittimare indirettamen-te quegli stessi comportamenti che formano oggetto dell’incriminazio-ne penale. Del resto, l’eventuale intento correttivo potrebbe trovare rico-noscimento attraverso la previsione di una speciale circostanza attenuan-te dei vari delitti che la condotta andrà ad integrare, oppure potrebbe es-sere valutato ai sensi dell’attenuante comune già disciplinata dall’art. 62n. 1 c.p. («l’aver agito per motivi di particolare valore morale e sociale»)o di quelle generiche ex art. 62 bis c.p.

In questo modo, verrebbero anche superate le attuali incertezze de-rivanti dalla difficile demarcazione tra le ipotesi di eccessi disciplina-ri e quella di maltrattamenti. La storia del reato di abuso è, in realtà, an-che storia del rapporto con quest’ultima fattispecie. Come visto, in let-teratura, si è dibattuto a lungo su quali potessero essere i criteri utiliz-zabili per rintracciare il discrimen tra i due reati: in un primo momen-to l’attenzione si concentra sull’elemento soggettivo e, cioè, su quell’ani-mus corrigendi che, requisito tipico dell’abuso, risulta incompatibile conla condotta di maltrattamenti; successivamente, parametro di riferimen-to diventa l’adeguatezza del mezzo correttivo al conseguimento di fi-nalità educative.

E, allora, la possibilità di sovrapposizione delle due disposizione po-trebbe superarsi attraverso l’eliminazione di quella “norma-cuscinetto”atta a ricomprendere tutti i comportamenti che non raggiungendo la so-glia del penalmente rilevante ai sensi dell’ art. 572 c.p., ad esempio perle difficoltà probatorie in ordine al necessario requisito dell’abitualità, po-trebbero essere sussunti sotto la più blanda fattispecie ex art 571 c.p., pereffetto di un semplice automatismo.

Anche l’efficacia del messaggio legislativo acquisirebbe maggiorevalenza, in termini di chiarezza della regola di condotta a cui uniformar-si e di fondamentale limite al concreto rischio di arbitrio dell’interprete.

Un margine di possibile operatività del delitto de quo - lo si è in pre-cedenza accennato - pare tuttavia residuare in ordine al contesto scola-stico. Occorrerebbe, dunque, accertare la affettiva applicabilità dello stes-so rispetto a tutti quei casi incerti, in cui l’esercizio dell’attività educati-va da parte dell’insegnante si esplichi attraverso l’inflizione di punizio-ni degradanti ed umilianti o, comunque, degeneri in forme di condizio-namento tali da incidere negativamente sulla dignità personale e relazio-nale dell’alunno, in qualche modo diverse dalla violenza fisica.

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Monica Tortorelli

Pur auspicando un’imminente riforma (che possa tener conto di taliconsiderazioni), la norma, così come è formulata, non può che trovare ap-plicazione mediante una lettura conforme ai valori costituzionali e alleacquisizioni dell’attuale contesto sociale e culturale, nel rispetto dei fon-damentali principi di legalità, colpevolezza e sussidiarietà del diritto pe-nale; e alla luce delle Convenzioni internazionali.

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