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Acido Politico

Date post: 22-Mar-2016
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Aprile 2008
32
Mensile universitario gratuito di politica, cultura e società ANNO III, NUMERO 22 - APRILE 2008
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Page 1: Acido Politico

Mensile universitario gratuito di politica, cultura e società

ANNO III, NUMERO 22 - APRILE 2008

Page 2: Acido Politico

Mondo

MENSILE UNIVERSITARIO GRATUITO

DI POLITICA, CULTURA E SOCIETÀ

DIRETTO DA FLAVIO BINI

LEONARD BERBERI

IN REDAZIONE

ANA VICTORIA ARRUABARRENA DANIELA BALIN

LUCA SILVIO BATTELLO ANTONIO BISIGNANO MICHELE CAPACCIOLI ALESSANDRO CASOLI

LUCA CERIANI BENEDETTA DE MARTE

ARMANDO DITO LUCA FONTANA MARCO FONTANA JACOPO GANDIN

STEFANO GASPARRI GABRIELE GIOVANNINI

DANIELE KESHK MARZIA LAZZARI

DARIO LUCIANO MERLO GIULIA OLDANI

FRANCESCO RUSSO

COLLABORATORI ILARIA ALESSIO MARCO ANDRIOLA

DANILO APRIGLIANO YASSIN BARADAI PIETRO BESOZZI MARCO BRUNA

FRANCESCO CACCHIOLI ALESSANDRO CAPELLI STEFANIA CARUSI

ROSA ANNA CASALINO GIULIANA CATALANO ALESSANDRO CHIATTO

SIMONE GIOVANNI COLOMBO ALBERTO CORGHI

GIULIA LAURA FERRARI MATTEO FORCINITI ANDREA FUMAGALLI

CHIARA JACINI VALENTINA LOPEZ HAYDEE LONGO MATTEO MANARA

CLAUDIA ROBUSTELLI LAURA TAVECCHIO

ALESSANDRO ZANARDI

IMPAGINAZIONE & GRAFICA LEONARD BERBERI

VIGNETTE

FLAMINIA SPARACINO

CONTATTI [email protected]

SITO WEB

www.acidopolitico.com

WEBMASTER ALESSANDRO LEOZAPPA

STAMPA

“Zetagraf Snc” Via Pomezia, 12 - Milano

Stampato con il contributo

derivante dai fondi previsti dalla Legge n. 429 del 3 Agosto 1985

Registrato al Tribunale di Milano, n. 713 del 21 novembre 2006

DIRETTORE RESPONSABILE

PIETRO ICHINO

Numero chiuso il 30 marzo 2008

Un comitato costituito da docenti della Facoltà di Scienze Politiche si è assunto - su richiesta della Direzione e della Redazione di “Acido Politico” - il compito di garantire la libertà e la correttezza sul piano legale del contenuto del periodico, senza peraltro interferire sui suoi orientamenti e contenuti e senza pertanto garantirne in alcun modo la bontà. Il comitato è composto dai prof. Antonella Besussi, Francesco Camilletti, Ada Gigli Marchetti, Marco Leonardi, Lucia Musselli, Michele Salvati e Pietro Ichino, il quale assume, ai fini della legge sulla stampa, la funzione di direttore responsabile.

Comitato di Garanzia

15151515 Kenya, più di una guerra etnica di Giulia Oldani

Viaggi 18181818 L’arte sotto il cielo di Stefano Gasparri

Speciale 24242424 Orizzonti coreani di Alberto Corghi

Copertina 4444 Women at work di Valeria Chiesa e Armando Dito

Intervista 8888 “L’Italia? Intelligente ma immobile” di Leonard Berberi

Italia 10101010 La criminalità? Ha messo radici al Nord di Filippo Basile

Università 13131313 Mobilità internazio-nale? Non pervenuta di Laura Tavecchio

Mondo 14141414 Diamanti da conflitto (e sviluppo) di Marzia Lazzari

LE RUBRICHE 1 Editoriale 2 Cinque domande 3 Altrainformazione 11 Frammenti 16 International 21 Pensieri & Parole 26 Musica 28 Cinema Cartoline dall’Inferno Controcopertina

Come suonare una “335” a dovere di Alessandro Zanardi

Musica 26262626

Page 3: Acido Politico

di Flavio Bini

W il precario, al contrario

EDITORIALE

E siste un orizzonte possibile contro l’invincibilità del precariato, insediatosi ormai come elemento strutturale della nostra società. Non la sua scom-parsa, ma anzi il suo permearsi nella società in

tutti i suoi strati: un giorno, tutto sarà precario. Le lezioni universitarie saranno precarie: oggi sì, domani no, dopodomani forse. Gli esami? A nostra discrezione, quando lo vorremo; le rette universitarie? Sicuramente da pagare il primo anno, da lì in avanti incertezza totale. Non vorrete mica pretendere di pagare ogni anno? Anche per le famiglie ogni cosa sarà pre-caria; l’affitto si pagherà solo a gennaio, febbraio e giugno. Qualche possibilità, insistendo, per maggio e novembre. Le bollette saranno rigorosamente precarie: luce e gas arriveranno quando capita, poche speranze di vedere quella del tele-fono per più di due mesi di fila. Pagare il mutuo della macchina ogni mese? Roba vecchia. Non più di tre o quattro volte all’anno, prendere o lasciare. Al super-mercato non sarà nemmeno concepibile pagare sempre, con un po’ di fortuna riuscirete a pagare tre o quattro volte consecutivamente, poi la cassiera si rifiuterà per almeno due mesi di ricevere denaro. Code chilometriche si forme-ranno di fronte alle poste: la folla urlante griderà di fronte alla serranda abbassata: “Fatecela pagare, vi prego!”. Nien-te da fare: precaria anche l’ICI. Nella tarda serata le famiglie accenderanno timidamente la televisione su Raiuno, il pa-dre guarderà sconsolato la moglie e le dirà: “ Niente, nean-che stasera”, il precariato non avrà risparmiato nemmeno Bruno Vespa. L’ingiustizia sarà rigorosamente precaria, giudici e pubblici ministeri saranno impiegati part-time, li troverete probabil-

mente alle bocce il martedì mattina. Si domanderanno con-tinuamente a vicenda: “Ti ha chiamato nessuno?” “No, e tu?”. Precaria sarà l’intolleranza verso gli stranieri. Qualcu-no, pensando di dire cosa del comune sentire, affermerà: “Io non ho nulla contro gli stranieri, ma gli zingari proprio non li posso vedere” e si prenderà un cazzotto in fronte da un passante indignato. Persino la disillusione sarà precaria, di tanto si incontrerà qualcuno dire rassegnato: “Non c’è niente da fare”. Costui passerà però quasi inosservato tra la

folla, immense schiere di giovani con progetti ed idee per il progresso della società affolleranno le strade. Precarie saranno le guerre. Non macine-ranno più vittime giorno dopo giorno, settimana dopo settimana. Per mesi non pioveranno missili dal cielo, riprenderan-no soltanto qualche mese e poi torneran-no a non farsi sentire. La povertà sarà precaria. Di tanto in tanto tre miliardi di persone continueranno a vivere con me-no di due dollari al giorno, poi all’im-provviso torneranno a vivere tutti nel benessere. Qualcun altro a questo punto starà peggio, ma questa è un’altra storia. Le dittature saranno co.co.pro, tre mesi e

poi tutti a casa a riporre nell’armadio la divisa militare, a-spettando in trepida attesa che squilli il telefono in attesa di un nuovo incarico. A nulla varranno recriminazioni del tipo: “come si può pianificare un genocidio in tre mesi?”, il precariato sa essere davvero inflessibile. Un giorno anche la politica si interesserà a tutto questo pre-cariato diffuso, e a ridosso delle elezioni destra e sinistra si scanneranno a colpi di proposte per eliminare questa piaga sociale devastante. Poi un giorno anche questo improvviso interesse non disattenderà l’andamento generale delle cose e scemerà progressivamente. Precario, come tutto il resto.

«L’ingiustizia sarà rigorosamente precaria,

giudici e pubblici ministeri saranno

impiegati part-time, li troverete probabilmente

alle bocce il martedì mattina»

Page 4: Acido Politico

INTERVISTA

Intervista esclusiva al presidente della “Laogai Research Foundation”, l’associazione che

si occupa di denunciare i campi di detenzione cinesi

per i criminali che hanno ricevuto una condanna formale e sentenziati in una corte cinese; b) Prigioni (Jianyu): hanno la stessa funzione delle precedenti, sono delle installazioni chiamate "prigioni" per criminali formalmente condannati. Nonostante la denominazione diversa, le condizioni sono le stesse in ambedue i tipi di installazioni; c) Rieducazione attraverso Installazioni di Lavoro (laojiao or laodong jiaoyang suo): dà ospitalità a prigionieri che ricevono "disciplina amministrativa" e che sono condannati per più di tre anni dalla polizia cinese o dagli altri ufficiali di sicurezza. Questi individui non hanno ricevuto nessuna accusa o udienza for-male da una corte; d) Centri di Deten-zione (Kanshou suo): include carcerati che hanno affrontato un processo e che sono condannati formalmente alle con-dizioni più corte, individui che sono sotto processo e quelli formalmente condannati a morte in attesa di esecu-zione; e) Installazioni per delinquenti minorenni/delinquenza minorile (Shaoguan suo): incarcera adolescenti condannati o rieduca attraverso la de-tenzione lavorativa; f) Personale Forza-to alla Disposizione del Lavoro (liuchang jiuye renyuan): per individui che originariamente hanno scontato fuori le loro sentenze ma che sono de-terminati a "non essere completamente riformati". Perciò a questi è richiesto di rimanere nella stessa installazione, af-frontando le stesse condizioni e com-piendo lo stesso lavoro che hanno fatto da criminali. Contando i detenuti in cinque delle sei categorie elencate sopra (il LRF non conta i detenuti nei centri di detenzione, perché quel numero é più variabile e difficile da accertare), la Laogai Rese-rach Foundation stima che la popola-zione dei Laogai sia tra i 4 e i 6 milioni di prigionieri. Il numero può essere stimato solamente perché tutte le stati-stiche sui Laogai ed i suoi prigionieri sono protette accuratamente dal gover-

In quali regioni della Cina sono si-tuati i Laogai? I Laogai sono localizzati in tutta la Cina come fabbriche nell'est, come fatto-rie nell'ovest, o come miniere nel nord. Possono essere trovati in ogni provincia cinese e municipalità. Le statistiche sui Laogai per il governo cinese sono consi-derate un segreto statale, ma la Laogai Research Foundation nel nostro Manua-le dei Laogai del 2005-2006 (scaricabile da www.laogai.org) ha identificato 1,045 campi in operazione e molti altri che sono stati smantellati, uniti o trasfe-riti. Ci sono probabilmente più campi che non sono stati ancora scoperti. Per i trattamenti nei campi, i Laogai potrebbero essere chiamati campi di concentramento, gulag eccetera? Ci sono molti paragoni tra i Laogai e queste altre istituzioni. Fondamental-mente, sono tutti meccanismi che conta-no sulla paura e sul controllo affinché una dittatura possa mantenere il potere assoluto sulle persone e reprimere il dissenso politico. Il lavoro forzato giocò un'importante parte nei campi di con-centramento dei Nazisti e nel gulag so-vietico, come ancora oggi avviene nei Laogai cinesi. Come nei gulag, l'indot-trinamento politico spesso è usato anche assieme alla tortura nel tentativo di "riformare" i prigionieri. Ancora, ognu-no è unico al suo proprio regime ed i nomi non dovrebbero essere confusi. Io ho scritto un resoconto dettagliato dello sviluppo, funzione, e delle condizioni all'interno dei Laogai nel mio primo libro, “Laogai - The Chinese Gu-lag” (1992). Quante persone sono imprigionate nei Laogai (numeri e categorie) e per quale ragione? Secondo la definizione ufficiale del sistema di Laogai, sono sei i componenti principali: a) Riforma attraverso i Di-stacchi di Lavoro (Laogai o laodong gaizao dui). Queste installazioni sono

no come "segreti statali". Lei è l'unico superstite dei Laogai? Ci sono altri detenuti che hanno trovato asilo negli U.S.A. o in altri paesi? Mentre molte persone sono morte nei Laogai, ci sono anche altri che sono so-pravvissute a questa esperienza e che hanno riguadagnato la loro libertà. Io e molti altri che erano stati etichettati "controrivoluzionari" siamo stati rila-sciati dopo che Deng Xiaoping salì al potere negli ultimi anni del 1970, intro-ducendo un sistema piuttosto liberale in Cina. La Laogai Reserach Foundation ha pubblicato i racconti di molti di que-sti individui, alcuni dei quali che risie-dono negli Stati Uniti e in altri paesi fuori della Cina. Michael Mattis scrive su Pacific Rim Issue del novembre del 1995 che "Harry Wu è un falso, ingerente, in-gannevole, non altro che un buon op-portunista che è fuori per imbarazzare il governo cinese e le persone come parte di uno schema vistoso e per arric-chirsi. L'uomo d’affari cinese-americano George Koo e altri non la pensano come lui". Koo afferma che Lei è un ".. artista dell'imbroglio" e che ha ".. trovato un modo di sfruttare la situazione per un suo proprio guada-gno materiale. Non mi interessa quello che io affermo o quello che dice George Koo. Ciò che è importante è la verità - quello che dico-no i fatti. Lasci che le persone conoscano i fatti e determini la verità per loro. Ci sono delle persone che vogliono aiutare il governo cinese a tacere, a celare la verità. Io non posso essere sicuro sulle ragio-ni per la critica di George Koo, ma sono sicuro che lui ha le sue ragioni. Io so che lui sta lavorando per il governo cinese, organizzando visite per ufficiali statali a Silicon Valley.

Michele Capaccioli

Page 5: Acido Politico

EUROPA

Lettera aperta

www.acidopolitico.com / [email protected] a cura di Leonard Berberi

ALTRAINFORMAZIONE

Promemoria MILANO - Nella lettera di riflessione ed approfondimento sulla metodologia usata per valutare le performances dei docenti da parte degli studenti pubblicata sulla nostra rivista in risposta ad un editoriale, il prof. Giampietro Gobo promet-teva di rendere pubblici sul suo sito - non appena disponibili - le valutazioni che gli studenti avevano dato dei suoi due cor-si. Promessa mantenuta. Sul sito www.sociol.unimi.it/corsi/met_ric_soc/ potete trova-re i documenti relativi ai due corsi con la valutazione per o-gni singola voce. Staremo a vedere quanti altri colleghi docenti seguiranno l'esempio. Da parte nostra, il ringrazia-mento va al professore per aver dato il suo personale contribu-to. (ap news)

Natangelo

In Germania esiste un sito dove i ragazzi possono dare i voti ai propri professori. All’indirizzo www.spickmich.de è possibile giudicare i docenti sulla base di diverse categorie (preparazione, attendibilità nell’attribuzione dei voti, com-portamento nei confronti degli studenti) ed assegnare un voto che parte da 1 (il nostro dieci) a 6 (gravemente insuf-ficiente).

L’iniziativa è finita anche in tribunale, in seguito alla denuncia per diffamazione di un’insegnante che aveva ricevuto una media voti insufficiente. Il giudice di Colonia ha però respinto la richiesta dando ragione ai ragazzi, che continuano a giudicare i loro professori. Cosa succederebbe se fossimo in Italia? La risposta sarebbe alquanto ovvia.

Cari lettori, il prof. Pietro Ichino, a causa del mandato parla-mentare che è stato chia-mato a svolgere, ha deciso di rinunciare alla carica di direttore responsabile di “Acido Politico”. Siamo in attesa del suo sostituto, visto l’obbligo di legge che impone la figura del direttore responsabile a tutti quei periodici e stam-pati distribuiti in più di trecento copie. Al professore vanno i nostri più affettuosi rin-graziamenti per il contri-buto dato e per aver - più di una volta - dovuto cor-reggere, dal punto di vista strettamente legale, il “tiro” di alcuni pezzi. Mai in questi sedici me-si si è presentata occasio-ne in cui sia venuta meno la possibilità di esprimer-ci liberamente, secondo le nostre convinzioni e i no-stri principi, quand’anche divergessero dalle opinio-ni del direttore responsa-bile. Questo per risponde-re una volta per tutte a tutti coloro che hanno sempre etichettato questa pubblicazione come qual-cosa che non è mai stato: organo di qualcuno o per conto di qualcuno. Dobbiamo inoltre rin-graziarlo per la sua sor-prendente disponibilità (talvolta anche nel bel mezzo delle festività di fine anno o a notte inol-trata). Pensiamo così di aver dimostrato a tutti i nostri coetanei (e non so-lo) che una collaborazione proficua tra studenti e docenti è possibile ed auspicabile. Al professore, infine, auguriamo di vivere un’e-sperienza parlamentare di pari successo a quella di collaboratore di uno dei giornali più letti e apprez-zati d’Italia: “Acido Politi-co”, naturalmente.

(f.b. / l.b.)

© Natan

gelo, http://satiricon

.blogosfere.it/

Page 6: Acido Politico

COPERTINA

Si laureano più in fretta, con voti più alti e in tempi più brevi. Eppure lavorano e guadagnano meno del sesso opposto. Analisi e soluzioni di un primato tutto italiano: l’occupazione femminile

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COPERTINA

permane. Perché la disoccupazione colpisce maggiormente la forza-lavoro femminile rispetto a quella maschile? Perché quando occupate, le donne han-no in misura minore un lavoro conti-nuativo e quando lo hanno guadagnato percepiscono una retribuzione inferio-re? Una volta laureati i giovani hanno due possibili carte da giocare: la prima è una precedente esperienza lavorativa, la seconda è la presentazione di un bril-lante percorso di studi. Tralasciamo la prima delle credenziali, visto che non può definirsi determinante e passiamo in rassegna la seconda: sempre analiz-zando i corsi di laurea politico-sociale, che oltre ad essere molto rappresentati-vi sono anche quelli all’interno dei qua-li il gap retributivo è più consistente, possiamo affermare, dati alla mano, che

le donne si laureano con voti più alti, in tempi più brevi e, a rigor di logica, in età più giovane. Le donne si iscrivono all’U-niversità con un curricu-lum scolastico migliore e proseguono altrettanto bene: la percentuale di laureate con lode è del 26,9% contro il 17,7% dei maschi. Qualitativamen-te le donne potrebbero essere più produttive perché più motivate, ma allora, considerate tutte queste variabili, come si spiega questa predilezio-

ne delle organizzazioni per il “sesso forte”?

Perché le donne guadagnano di meno?

Innanzitutto, grazie alla ricerca di Paolo Santi, guardando al gruppo di lauree politiche-sociali, gli uomini scelgono in misura maggiore la carriera imprendi-toriale o il lavoro autonomo, il 27,5% degli uomini contro il 23% delle donne, forse anche perché le famiglie preferi-scono investire nel figlio maschio piut-tosto che nella femmina su cui ancor oggi si punta a un buon “accasamento”. Inoltre le donne lavorano di più nelle posizioni amministrative (meno retri-buite) 17,6% contro il 6,9% dei maschi. Si può inoltre presupporre una discri-minazione produttivistica, al momento di scegliere un individuo da formare, le

M ILANO - Dando una sbirciatina ai dati ISTAT (2000) raccolti in un in-dagine sull’inserimento

professionale dei laureati del 1995 a tre anni distanza dalla laurea, anche un occhio non troppo esperto riuscirebbe a notare differenze rilevanti in materia di occupazione e retribuzioni tra i laureati dei due sessi. Differenze che sono ri-scontrabili nella quotidianità, ma che riusciremo a evidenziare meglio con le percentuali: nel 1995 si erano laureati 103.986 giovani, di cui il 52,8 % donne e 47,2% maschi; tre anni dopo 74.465 era-no occupati, pari al 71,6%. Questi sono dati generali, per correttezza dobbiamo specificare che ogni corso di laurea ha un tasso di occupazione differente, con un massimo per i laureati in ingegneria e un minimo per quelli del settore giu-ridico; la costante che accomuna tutti i percorsi di laurea è la schiacciante percentuale di maschi occupati a confronto del-le femmine: il 78% dei laureati maschi era infatti occupato, contro il 66% delle laureate. Le differenze non si fer-mano ai dati di occupa-zione: il gap tra laureati e laureate si riflette anche sui dati di retribuzione. Dai numeri emersi dall’ indagine si possono de-durre percentuali signifi-cative: la retribuzione netta media mensile delle laureate nel 1995 e occupate nel 1998 con un lavoro continuativo e a tempo pieno era di 930 euro, rispetto ai 1100 euro percepiti dai loro colleghi maschi, vale a dire il 13% in meno. Il gap retributivo aumenta ulteriormen-te, superando questa soglia, se conside-riamo anche lo spazio grigio dei con-tratti a tempo determinato, dove le lau-reate hanno il primato negativo. Parten-do dal presupposto che la maggior par-te delle donne predilige intraprendere un percorso di studio umanistico, dove la retribuzione è inferiore rispetto a quelli a contenuto scientifico, preferite invece dagli uomini, sarebbe semplice giustificare il divario retributivo; osser-vando uno stesso gruppo di corso di laurea, eliminiamo l’effetto di “composizione” ma il risultato non cambia: lo svantaggio per le laureate

di Valeria Chiesa e Armando Dito

«La retribuzione netta media mensile delle laureate nel 1995 e

occupate nel 1998 con un lavoro

continuativo e a tempo pieno era di 930 euro, rispetto ai 1100

euro percepiti dai loro colleghi maschi, vale a dire il 13% in meno»

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COPERTINA

% del campione di donne dello studio lavora full time (40 ore). Un’altra causa del differenziale retributivo è determi-nata dal 41,7% di donne che lavorano nel settore pubblico (meno remunera-to), a fronte del 27,2% degli uomini. Si può concludere che siamo di fronte a una discriminazione “sociale”, preesi-stente all’ingresso nel mercato del lavo-ro, di cui i datori di lavoro, pubblici e privati, prendono atto. Il circolo “virtuoso” dell’occupazione

femminile: la Womenomics Le abbiamo provate quasi tutte; per sbloccare la staticità dell’economia Ita-liana pool di economisti e illustri ricer-catori hanno proposto un ventaglio di interventi che va dalle politiche di libe-ralizzazione a quelle di protezionismo, dalle modifiche di statuti del lavoro a proposte di manovre fiscali. Nonostan-te questo la nostra Italia rimane sempre

l’ultima ruota del carro; non c’è modo di convincere il PIL a raggiungere i va-lori dei vicini, per non parlare del tasso di natalità che prosegue nel suo trend di decrescita. Kathy Matsui, una bril-lante ricercatrice e chief strategy di Gol-dman Sachs, ha sviluppato una tesi che fornisce uno spunto su una possibile strategia alternativa di ripresa economi-ca e sociale che indica la donna come motore di rilancio produttivo. Da sempre sottovalutata, anche nei Pae-si socialmente più all’avanguardia, la donna potrebbe avere il ruolo di carta vincente all’interno del grande gioco economico; la teoria della Womenomics (dalla fusione di women e economics), potrebbe rappresentare una ricetta effi-cace ed efficiente per la ripresa della produttività e il conseguimento di un alto livello di prosperità; questa tesi non si basa sull’inflazionato concetto di equità di genere ma su concreti obietti-

imprese prediligono un uomo, anche se in partenza meno preparato, rispetto a una donna, in quanto presuppongono che quest’ ultima metterà al mondo uno o due figli e su di lei graverà il la-voro di “cura”, ne consegue che nel lungo periodo il rendimento dell’inve-stimento sulla formazione maschile sarà più produttivo di quello femmini-le. Vi è, inoltre, una maggiore disponi-bilità di mobilità “a lungo raggio” per gli uomini (con un incremento della retribuzione tra l’ 11 e il 18%); se infatti si chiede la disponibilità a cambiare città il 35,8% delle donne si dichiara non disponibile, mentre per gli uomini si scende al 13,7%. Vi sono infine delle motivazioni di tipo culturale, infatti nel nostro paese il la-voro femminile (domestico, di cura, etc..) è considerato una risorsa, da ciò si giustifica il maggiore ricorso delle don-ne a orari di lavoro ridotti, solo il 14,2

Page 9: Acido Politico

COPERTINA

ogni 100 donne occupate si possono creare 15 posti nell’attività di servizio alle famiglie; se inoltre si aggiungono misure politiche volte a favorire l’e-spansione di questo settore i risultati, per l’occupazione maschile e femmini-le, possono essere sorprendenti. In Francia, ad esempio, nel 2005 è stato lanciato un Piano per lo sviluppo di servizi alla persona: innanzitutto attra-verso una riforma del codice del lavoro si sono create nuove tipologie di servi-zi: alla famiglia (baby-sitting, ripetizio-ni, assistenza anziani); alla promozione del benessere e del la salute (ospedalizzazione domestica, consulen-za psicologica, prestazioni estetiche); alla qualità della vita (assistenza infor-matica, pasti a domicilio, traslochi); all’abitazione (sorveglianza, bricolage, giardinaggio); di intermediazione (assistenza amministrativa, legale, viag-gi). In secondo luogo è stata creata u-n’unica Agenzia nazionale che coordina e gestisce questi servizi. Infine, la svolta è arrivata con gli incentivi fiscali: le somme pagate per questi servizi posso-no essere detratte dall’imposta sul red-

dito al 50% del costo. Questo piano ha creato in due anni più di 260 mila nuovi posti lavoro e l’obiet-tivo è di arrivare a 500 mila entro il 200-8, il volume d’affari del settore è cre-sciuto del 12% (circa 13 miliardi di eu-ro). Ma qual è la miccia che permette di accendere il motore di questi circoli virtuosi? Se i paesi scandinavi l’hanno identificata nell’incremento di investi-menti e consumi pubblici da parte del welfare; nei paesi anglosassoni si è a-dottata la de-regulation per creare un mercato di lavoro “a basso costo” più appetibile alle aziende. In entrambi i casi le donne sono uscite dalla trappola dell’ inattività, ma risolto questo pro-blema si sono subito verificati i primi ostacoli costituiti nel primo caso dalla segregazione della donna a livelli orga-nizzativi bassi; nel secondo dalla pover-tà causata da una retribuzione non suf-ficiente. Oltre ai servizi il secondo aspetto fon-damentale per favorire l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro sono le politiche di conciliazione: in Olanda, in un ventennio, la crescita dell’occupa-zione femminile è stata a dir poco mira-colosa aumentando del 30% circa fino all’attuale 66%. Tutto ciò è stato possibile grazie a una fase particolarmente intensa di riforme tra gli anni 80 e 90, prima tra tutte l’in-cremento dell’impiego part-time per favorire l’inserimento. La seconda strategia per cercare di fa-vorire il passaggio al tempo pieno per le donne è stata una fornitura di servizi pubblici di buona qualità per la cura dei figli. Questa è considerata una re-sponsabilità collettiva per lo stato, le famiglie e le imprese, infatti le spese per la cura sono considerate materia per sovvenzioni e agevolazioni fiscali per i datori affinché si accollino una parte dei costi. Una legge del 2005 pre-vede che ciascuno debba pagare un terzo, se entrambi i genitori lavorano i datori di entrambi pagheranno un sesto pro capite. Per approfondire ulterior-mente questi temi, il professor Mauri-zio Ferrera, docente facoltà di Scienze Politiche, ha recentemente pubblicato un libro dal titolo “Fattore D” edito da Mondadori. Per quanto ci riguarda, non possiamo che concludere con un W le Donne e i Paesi che incentivano e tute-lano il loro inserimento nel mercato del lavoro.

Valeria Chiesa Armando Dito

vi di redditività, in parole povere viene affermato che la donna conviene. Par-tendo dal presupposto che senza la fun-zione di riproduzione sociale non ci sarebbe né economia né tanto meno società, caliamoci all’interno di questa tesi. Sappiamo che il PIL cresce per ef-fetto di tre leve: l’incremento di lavora-tori occupati, di capitale occupato e di crescita di produttività per occupato; di conseguenza se una donna entra nel mercato occupazionale ufficiale, il suo lavoro va ad incrementare il valore del PIL stesso. Di questo si sono subito resi conto i Paesi scandinavi che, già negli anni ’80, hanno allineato il tasso di oc-cupazione femminile a quello maschile, facendo lievitare gli investimenti di capitale e la redditività; seguiti a ruota dagli Stati Uniti che hanno riconosciuto nella donna il nuovo vettore di ripresa economica. Nei Paesi dell’ Europa me-ridionale la percentuale delle donne realmente occupate è del 50% contro il 75% degli uomini; in questo modo le organizzazioni si precludono la possibi-lità di reclutare nuovi talenti continuan-do ad operare in maniera subottimale. Grazie anche all’aumento di scolarizza-zione femminile, le donne vedono il lavoro retribuito come una condizione di autonomia e di realizzazione perso-nale, oltre che come risorsa di reddito e sicurezza materiale. E’ a partire da que-sto punto che si innesca un circolo vir-tuoso che fornisce i presupposti per creare nuclei familiari a doppio reddito all’interno dei quali, grazie all’aumento delle entrate e al doppio aggancio al mercato del lavoro, viene assicurata una diminuzione del rischio di povertà e vulnerabilità. La maggiore disponibilità finanziaria di queste famiglie (oltre a garantire una più alto livello di qualità di vita al mi-nore), insieme alla scarsità di tempo incrementa la domanda di servizi fami-liari, creando nuovi profili lavorativi e possibilità di sviluppo di nuove attività economiche. E’ inoltre dimostrato che i paesi del mondo occidentale, in cui le donne lavorano di più, sono anche quelli con i tassi di fertilità più alti, a riprova che il doppio-reddito è una garanzia economica sufficiente per am-pliare la famiglia.

Il moltiplicatore delle donne per i servizi e la conciliazione

lavoro-famiglia. Tirando le somme, l’economia al fem-minile è un vero e proprio moltiplicato-re di occupazione, basti pensare che

«Da sempre sottovalutata, anche nei Paesi socialmente più

all’avanguardia, la donna potrebbe avere il ruolo di carta vincente all’interno del grande

gioco economico»

NUMERI

Tasso d’occupazione femminile ita-liano: 45,3% (Italia al 24 posto in Eu, dietro noi solo Malta)

Tasso d’occupazione medio femmini-le EU 15: 57,4%

Tasso d’occupazione medio femmini-le EU 25: 56,3%

Obiettivo di Lisbona 2010: 60,0% (Italia fanalino di coda della crescita)

Confronto: Circa 3 ml in meno di lavo-ratrici rispetto UK (paese con popolazio-ne simile)

Tasso di fertilità italiano: 1,27 figli per donna (terz’ultimi al mondo dietro Hong Kong e Cina)

Page 10: Acido Politico

INTERVISTA

MILANO - Per avere un’idea del per-sonaggio, basti riportare la sua prima mail di risposta alla nostra richiesta: “A Ichino m’inchino / a Berberi farò piace-ri”. Perché Giuseppe Severgnini (Bsev, per tutti) è così: rapido, disponibile, efficace, ironico. Più affilato della lama di un taglierino. E interista, ovviamente (sua la trilogia sulla squadra nerazzur-ra). Cinquantuno anni, di Crema, una delle penne più prestigiose del “Corriere della Sera”, vanta un curricu-lum che da solo occuperebbe due pagi-ne di questa rivista (ergo: consultate Wikipedia). E se la regina d’Inghilterra gli ha conferito il titolo “Officer (of the Order) of British Empire”, qualcosa di importante Bsev deve averla realizzata anche fuori Italia. Questa l’intervista, col terrore, sempre presente, di aver sbagliato qualcosa visto che il personaggio è pignolo più di chiunque altro sull’utilizzo della lin-gua italiana (le sue video-lezioni sono presenti su Youtube).

*** Dott. Severgnini, lei cura da quasi dieci anni la rubrica “Italians” sul sito del “Corriere della Sera”. Molti lettori le scrivono, si lamentano, criticano, discutono. Lei che idea s’è fatto di questo Paese? «Intelligente (troppo), intuitivo (al punto da trascurare programmi e pro-getti), inciuciesco (galleggia sui conflitti d’interesse), immobile, ideologico, indi-vidualistico. Però generoso, geniale, gentile, gustoso, grintoso». E cosa pensano gli stranieri dell’Ita-lia? «Stessa roba». Come giudica il fenomeno del “grillismo”? «Quello delle scalate bancarie o il ca-po-popolo ligure? Scherzi a parte: Bep-pe Grillo esprime un disagio, ma non può offrire soluzioni». Se la sente di dare un voto a questi due anni del governo Prodi? «Direi 5/6. Il 6 è per aver fatto pagare le tasse a chi non l’aveva mai fatto. Il 5 per essersi intestarditi a chiamare “alleanza” quell’armata brancaleone». Si sbilanci: tra Berlusconi e Veltroni chi preferisce al governo? Per quale

Intervista a Beppe Severgnini sullo stato del Paese: un luogo «inciuciesco» dove la nuova generazione, «coraggiosa», preme per riscattare le proprie sorti. E quelle dello stivale.

di Leonard Berberi

«L’Italia? Intelligente, ma immobile»

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INTERVISTA

motivo? «Niente “endorsement”: l’Italia è una nazione partigiana e non li capisce». Poche settimane fa, lei ha scritto: “Il dramma della politica italiana è que-sto: si concentra sul processo, non sui risultati”. Può spiegarne il senso? «Mi sembra ovvio: il processo politico (partiti, colazioni, cariche, discussioni, scissioni, litigi, annunci, etc) assorbe tutte le energie. Aggiunga due Camere a specchio, ovvero: impotenza alla se-conda potenza». Lei andrà a votare o si asterrà? «Voterò, ovvio. Mi turerò il naso, gli occhi (non per vedere certe facce), le orecchie (per non ascoltare promesse vane e bugie), la bocca (per non impre-care). Ma voterò il meno peggio. L’a-stensione è uno sfogo: ma non serve a niente (lo prova la storia democratica, non solo italiana)». La carta stampata sta svolgendo in modo sufficiente il suo ruolo in questa campagna elettorale? «Mi sembra di sì, cos’altro dobbiamo fare? Certo, sarebbe bello se i candidati prendessero i giornali e ne facessero cappellini da muratore, ma non hanno abbastanza fantasia». La Chiesa interviene troppo negli affari politici dell’Italia? «La Chiesa - dal Papa ai parroci - dica quel che vuole, quando vuole, come vuole e dove vuole. Ne ha il diritto e, probabilmente, il dovere. Libera Chie-sa in libero Stato, no? I cattolici prende-ranno atto, poi decideranno liberamen-te (lo faceva anche De Gasperi, non possiamo farlo noi?). Tutto questo, de-vo dire, non mi preoccupa. Mi preoccu-pano di più i "guelfurbi" (guelfi+furbi) sempre pronti ad appiattirsi come zer-bini, per convenienze e interessi propri (non sempre confessabili). Applaudono la guerra, e difendono la vita. Hanno donne e donnine, e fanno i paladini della famiglia. Rubano, e sventolano i comandamenti. Questi personaggi sono in aumento, e la cosa si sta facendo irri-tante». Esiste un problema immigrazione in Italia? Quali soluzioni propone? «Certo che esiste. Ma l’immigrazione, se gestita bene, resta una risorsa, non un problema. Certo: bisogna spiegare a chi arriva che ai diritti corrispondono i

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doveri; ed essere severi, quando occor-re (becco uno spacciatore fuori da una scuola, e lo caccio immediatamente dal Paese). Ma gli xenofobi fanno ridere: hanno la badante filippina, mangiano cibo cinese, camminano su strade puli-te da africani e magari hanno anche la ragazza ucraina. Siamo seri, per favo-re». Darebbe il diritto di voto agli immi-grati per le amministrative? «Certo, dopo qualche tempo di resi-denza e buona condotta. Tremonti non è d’accordo; ma lo fa solo per tenersi buoni gli alleati della Lega». Barack, Hillary o McCain: quale sceglierebbe come prossimo presi-dente degli Stati Uniti? «Obama. Hillary è troppo tenera e McCain troppo inesperto (di economia e modernità in genere). Solo un Paese spaventato potrebbe affidargli la presi-denza». Lei si è speso molto, dalle pagine del quotidiano di via Solferino, per risolvere le stragi dei week-end nelle strade italiane. Ritiene sia cambiato qualcosa? «Più controlli, ma non ancora abba-stanza. Comunque non è merito mio». Molti parlano della “lobby dell’Al-cool” che finisce per incidere nelle politiche governative del nostro pae-se. Lei crede a questa denuncia? «Diciamo che i gestori dei locali non sono filantropi. E i produttori di alcoli-

ci sono miopi: non capiscono che, così facendo, si tireranno addosso misure di tipo nord-europeo (sta già accaden-do)». Come descriverebbe la generazione che andrà a prendere le redini nel futuro prossimo? «Coraggiosa. Non sarà una corsa al trotto, ma un rodeo». Se dovesse profilare un futuro per questo paese, in lei c’è ottimismo o pessimismo? «Ottimismo moderato e immotiva-to». Cosa devono fare le giovani genera-zioni per guardare positivamente al futuro? «Smettere di lamentarsi, anche se ne hanno motivo». Per chiudere: l’Inter viene accusata di avere avuto molti vantaggi arbitrali in questo campionato. Lei – da tifoso interista – concorda con quest’affer-mazione? «L’Inter nel 2008 è stata addirittura danneggiata (un paio di espulsioni frettolose, il gol della Juve a San Siro in netto fuorigioco). Ma nel 2007 – è vero - è stata un po’ favorita. Di certo, non ha fatto nulla perché ciò accadesse. A differenza di un paio d’altre squadre, per diversi anni».

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ITALIA

di Filippo Basile

delle alte autorità di polizia e dei vari ministri competenti come quelli di Difesa e Interno, o altrimenti la dimo-strazione della metodica politica di rallentamento e impedimento messa in atto da quella parte dello Stato infi-ciata e collusa con gli interessi Mafio-si. Non a caso, infatti, la commissione parlamentare di inchiesta sul fenome-no della criminalità organizzata ma-fiosa o similare non manca di sottoli-neare e dedicare un intero paragrafo ai legami tra politica, massoneria e ‘ndrangheta che hanno permesso a questa di diventare una vera e propria lobby economica e politica che attra-verso metodi legali e illegali cerca di influire sulle decisioni dell’apparato istituzionale. Ma la relazione non evi-ta neppure di entrare nello specifico di nomi, territori in mano alle varie cosche e della struttura di queste. Tra tutti viene raccontata la vicenda che fa riferimento all’indagine “Soprano”

MILANO - La commissione parla-mentare di inchiesta antimafia era al lavoro quando la notizia che il gover-no Prodi non ha più la maggioranza mise tutti in agitazione, a questo pun-to gli stati generali dell’antimafia si attivano nell’unico obbiettivo di con-cludere la relazione prima che qual-che imprevisto alle camere fermi e rinvii alla legislatura successiva que-sta importante relazione. è con staca-novismo e impegno che il 19 Febbraio la Commissione Antimafia approva la relazione e in poco tempo la trasferi-sce alle due camere. Prende così luce la prima relazione sull’organizzazione criminale di stampo mafioso ora più pericolosa e transnazionale che mai, la ‘ndrangheta, più pericolosa anche della stessa Cosa Nostra ormai ridi-mensionata dalle recenti operazioni che hanno decapitato le teste di co-mando dell’associazione, questa è una guerra alla mafia (siciliana) che vede lo stato più vigoroso che mai anche grazie alla disponibilità di una quanti-tà di collaboratori di giustizia che at-traverso i loro preziosi racconti fanno emergere i nessi più oscuri e le realtà truci. Ma questo non vale per la ‘ndrangheta che con struttura oriz-zontale e divisione organizzativa per ‘ndrine, ovvero per famiglie, non per-mette alle forze dell’ordine di usufrui-re di informazioni di pentiti, però il lavoro di molti magistrati e PM per-mette di fare un quadro ben definito della situazione in cui si trova l’Italia in questo 2008 che poco assomiglia al futuro. A fronte della presenza in Lombardia di tutte e quattro le organizzazioni criminali, e non solo, dal momento che questo territorio è condiviso an-che con mafia cinese, albanese e nige-riana, varrebbe la pena domandarsi quanti saranno mai le forze messe in campo dallo Stato per contrastare tut-to questo proliferare di illegalità?! la risposta è misera, poco più di 200 per-sone e con mezzi limitati e scarsi. Niente benzina nei serbatoi, fotoco-piatrici insufficienti e tecnologie inve-stigative arretrate che altro non fanno che rallentare le indagini e allungare i tempi dei profitti illegali delle varie famiglie che qui a Milano fanno i loro più proficui affari. Questo potrebbe essere visto come una svista ingenua

Preoccupano i risultati della Commissione Antimafia sull’illegalità: da tempo gli affari delle associazioni a delinquere si sono estese alla regione Lombardia

La criminalità? Ha messo radici al Nord

che vede il clan Coco-Trovato, attra-verso la figura di Vincenzo Falzetta, assumere tramite varie società e teste di legno, la gestione di numerosi loca-li pubblici a Milano, come il Madison, il ristorante Bio Solare e la discoteca estiva Cafè Solare, non a caso sita all’i-droscalo, posto strategico anche per la vicinanza con il vero aeroporto mila-nese, Linate. Attraverso queste attivi-tà, apparentemente legali, in realtà si perseguiva l’obiettivo di riciclare le liquidità in eccesso, spacciare all’inter-no e nelle zone limitrofe e utilizzare la struttura per incontri fuori dagli occhi indiscreti. 242 pagine di relazione che non trala-sciano nulla di questa Italia che anco-ra non vuole scrollarsi di dosso questo peso, pagando con la moneta della crescita economica e della mancata efficienza. Che ancora lascia le orga-nizzazioni criminali di stampo mafio-so produrre ricchezza illegale pari a 7 punti percentuale pil.

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Nella foto, abitanti russi pescano attraverso i buchi nel ghiaccio sul fiume Ural. Ma il pesce è così contaminato che viene venduto solo nei mercati lontano dalla zona

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FRAMMENTI | milano 2007

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ITALIA

velocità nella diffusione di dati e im-magini, per consentire la navigazione su internet anche dai cellulari. Una possibilità finora poco sfruttata, al punto che per molti la tecnologia UMTS è sinonimo solamente di video-chiamate. La velocità di trasferimento, infatti è pari a 384 Kbit/s, poco meno di un'adsl di prima generazione, ma è già dispo-nibile la prossima evoluzione denomi-nata HDSPA, che porterà la velocità fino a 7,2 Mbit/s e realmente paragona-bile a quella dei moderni collegamenti internet a banda larga. La sfida tra queste due tecnologie diventerà duris-sima nei prossimi mesi, soprattutto dopo che, a differenza di alcune previ-sioni, le licenze WiMax sono state ac-quistate da operatori diversi da quelli che nel 2000 si sono aggiudicati le li-cenze UMTS e per la maggior parte piccole società che puntano proprio sull'offerta internet wireless come l'umbra AriADSL. L'offerta di servizi erogabili tramite il telefonino si andrà così via via espan-dendo. La tecnologia DVB-H, che il 19 Marzo è stata scelta dalla Commissio-ne Europea come standard per la diffu-sione di segnali televisivi su dispositivi cellulari, permetterà la nascita di offer-te da parte di sempre più operatori per la visione di canali televisivi sul pro-prio telefonino. In questo mercato, l'Italia parte da una posizione particolarmente all'avan-guardia, dal momento che l'operatore H3G, meglio noto come “Tre”, offre da tempo una vasta offerta di canali sulla propria rete, sfruttando proprio la tec-nologia DVB-H, lanciata in occasione dei mondiali di Germania 2006. La scelta della commissione europea di imporre il DVB-H è stata dettata dalla necessità di fare chiarezza e porre le basi per un percorso virtuoso di inno-vazione, diffusione e discesa dei prezzi come fu a suo tempo per il GSM. Molti operatori e produttori, tuttavia, si sono opposti, spiegando che dovrebbe esse-re il mercato a decidere la tecnologia più economica ed efficiente per il mer-cato europeo. L'esempio di Giappone e Corea del Sud, che senza alcuna impo-sizione sono arrivati ad avere più di 20 milioni di abbonati alla televisione mobile spiega come questo è possibile senza l'intervento pubblico, ma avver-rà autonomamente solo quando il mer-cato sarà abbastanza maturo da impor-re gli operatori a scegliere su quale tecnologia investire.

menti fatti. Il rischio è che le prime aree ad essere coperte saranno ancora una volta le aree metropolitane, dove i pro-fitti sono più alti, e solo verso lo scade-re dei trenta mesi saranno coperte an-che altre zone, senza contare che la richiesta del 60% non garantisce che molte aree che al momento soffrono del digital divide saranno in seguito coper-te, ma una richiesta di copertura supe-riore rischiava di rendere poco appeti-bili le licenze e di diminuire eccessiva-mente le entrate derivanti dalla loro vendita. In generale, tuttavia, l'installa-zione di antenne e ripetitori sarà di gran lunga meno costoso del cablaggio di nuove aree, spesso isolate e imper-vie, quindi sarà più facile raggiungere quelle abitazioni finora divise da un insormontabile muro che le legava alle velocità quasi dimenticate dei modem analogici. La sfida del WiMax sarà un incentivo anche per gli operatori mobili a offrire finalmente ad un prezzo com-petitivo il traffico dati su rete UMTS, la tecnologia dei cellulari di nuova gene-razione, infatti, era nata proprio per consentire di raggiungere più elevate

MILANO - Innovazione è una parola magica, spesso utilizzata dai politici per proiettare le proprie parole verso il futuro, spesso senza la competenza necessaria e senza avere un'idea con-creta di quali siano le tecnologie su cui puntare per il futuro. Alcune di queste potrebbe già cambiare le nostre vite nei prossimi anni, diffondendosi a mac-chia d'olio sul territorio nazionale sen-za quasi rendercene conto. Il WiMax è ormai divenuto il nuovo cavallo di battaglia di molte proposte per la co-pertura di quelle zone dove ancora non arriva la banda larga. La recente asse-gnazione delle frequenze, che ha frut-tato allo Stato italiano ben 136 milioni di euro, ha avviato un processo che porterà nei prossimi due anni il segna-le nella maggior parte delle provincie italiane. Il bando di gara, ben disegna-to dall'uscente ministro per le teleco-municazioni Paolo Gentiloni, obbliga infatti gli assegnatari a coprire almeno il 60% del territorio per il quale hanno acquistato la licenza entro trenta mesi, pena il ritiro della licenza stessa e, di conseguenza, la perdita degli investi-

Nella giungla della nuova tecnologia

di Dario Luciano Merlo

Si discute di WiMax, si tentano di sfruttare l’UMTS ed il DVB-H. Ma il Paese non ha un piano valido di sviluppo e utilizzo di queste opportunità

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UNIVERSITA’

La mobilità internazionale? Non pervenuta

MILANO - La mobilità internazionale, vale a dire la possibilità di offrire borse di studio, tirocini, periodi di scambi internazionali, è uno degli elementi più rilevanti nel calcolo dell’efficienza e della qualità di un polo universitario. Un primo riferimento al quale tutti noi pensiamo, quando parliamo di mobili-tà internazionale è il programma Sco-rate Erasmus il quale rappresenta di sicuro il progetto europeo per la mobi-lità maggiormente conosciuto. Ma non esiste solo il progetto Erasmus all’in-terno del sistema di mobilità interna-zionale, sono considerati tali anche i progetti di stage lavorativi, sempre finanziati dalla Comunità Europea, quale il progetto Leonardo, o gli accor-di bilaterali tra università straniere, o ancora la disponibilità di borse di stu-dio per periodi medio – lunghi in ate-nei esterni al Paese. Ma veniamo ora alla tanto attesa do-manda: quanto investe la facoltà di Scienze Politiche nello sviluppo della mobilità internazionale degli studenti e del corpo docente? Incominciamo con il dire che in Via Conservatorio c’è una struttura sui generis, e cioè lo sportello Erasmus, il quale ha il compito di organizzare e promuovere tutte le attività di mobilità internazionale oltre che coordinare il plurinominato progetto europeo. Solo la nostra facoltà ha questa particolare disposizione, infatti, il resto dell’uni-versità ha come unico riferimento l’uf-ficio di Via S. Antonio. Questa nostra peculiarità deve essere valutata positi-vamente dato che il ridotto bacino d’u-tenza rende l’efficacia e la qualità del servizio migliore. Per ciò che riguarda le attività vere e proprie c’è pero da fare un distinguo qualitativo. Se, infatti, il programma Erasmus è ormai consolidato e ben organizzato, solo quest’anno, infatti, sono state atti-vate 205 borse di studio, avvicinandosi sempre più alla posizione della Com-missione Europea, la quale auspica l’erogazione di tali borse per ogni sin-golo studente universitario, rendendo-lo quindi un passaggio obbligato, non si può dire la stessa cosa per i pro-grammi internazionali incentrati sulla formazione post-laurea ovvero lavora-tiva. Infatti, la facoltà di Scienze Politiche, non ha mai “candidato” nessun pro-getto all’interno del programma Leo-

nardo, il cui scopo è quello di permet-tere agli studenti di coltivare un’espe-rienza lavorativa e formativa all’inter-no di un altro Paese Membro. Tale mancanza deve essere in parte ricondotta all’insufficiente partecipa-zione dei docenti. Infatti, secondo lo schema di tale programma comunita-rio, dovrebbero essere loro i promotori dei progetti, i quali una volta ottenuto il finanziamento della Commissione Europea darebbero vita ad un’espe-rienza formativa imprescindibile per molti corsi di laurea come il nostro, il cui accento internazionale è a volte messo in disparte. Se per un verso i docenti sono parzial-mente responsabili delle non attivazio-ne di alcuni modelli di programmi internazionali, dall’altro invece, alcuni di loro, sono i portavoce della creazio-ne di partnariati internazionali. La facoltà di scienze politiche ha aper-to da anni rapporti bilaterali con alcu-ne università americane, tali partena-riati offrono agli studenti la possibilità di sviluppare parte del proprio percor-so formativo all’interno dei più presti-giosi atenei statunitensi.

di Laura Tavecchio

Viaggio tra i progetti che offrono borse di studio, tirocini, periodi di scambio didattico nella Facoltà di Scienze Politiche. Risultato? Opportunità non sfruttate e poca informazione

E ancora, da quest’anno è stato attiva-to, per gli studenti di Comunicazione e Società, un progetto di scambio inter-nazionale con un ateneo australiano, il cui promotore è il professor Mazzoleni. Il problema d’attivazione di questi ultimi progetti di scambio internazio-nale e da imputare alla mancanza di finanziamenti che rende la partecipa-zione molto onerosa per gli studenti. È deducibile quindi che la facoltà di scienze politiche di Milano si collochi nella media in quanto investimenti nei progetti di mobilità internazionale, la quale deve però considerarsi netta-mente inferiore rispetto agli altri atenei europei. Tale posizione può essere, però miglio-rata superando quelli che sono i tre principali problemi strutturali, vale a dire una maggior partecipazione del corpo docenti nella progettazione dei programmi comunitari, l’aumento dei finanziamenti per i progetti, problema riscontrabile nell’intero sistema univer-sitario italiano, e una più chiara e ap-profondita informazione sui progetti attivati e fruibili.

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MONDO

di Marzia Lazzari

MILANO - I diamanti sono da sem-pre il simbolo di potere, ricchezza e amore; ornano gli scettri dei re e le dita della donna amata. Per qualcun altro, invece, un diamante rappre-senta solo guerra, violenza, amputa-zioni e sofferenze. Facili da trasportare, custodire e ven-dere, queste pietre preziose sono sempre state molto affascinanti per chiunque ne potesse trarre vantag-gio, dai colonizzatori ai ribelli dell’-Angola, Sierra Leone e Repubblica Democratica del Congo. In questi Paesi, i gruppi ribelli sono riusciti a prendere il controllo di di-verse aree di produzione di diamanti e, attraverso i proventi derivanti dal-la vendita di queste pietre preziose, hanno equipaggiato e armato i loro uomini. Il dilagare di conflitti nei quali si è manifestato questo fenomeno, ha portato sotto i riflettori internaziona-li il problema del commercio illecito di questi diamanti, chiamati anche diamanti da conflitto o di sangue. Il Sistema di Certificazione del Pro-cesso Kimberley (KPCS) è un sistema

di certificazione internazionale, il cui negoziato ha avuto inizio nel maggio del 2000 a seguito di una Conferenza tenutasi a Kimberley tra i maggiori Paesi esportatori, importatori e pro-duttori di diamanti, l’industria dia-mantifera e le organizzazioni non governative. Questo sistema mira ad impedire che i diamanti di sangue entrino nel circuito legittimo del commercio diamantifero e che essi finanzino i conflitti e alimentino la violazione dei diritti umani in diver-si Paesi Africani. I diamanti da conflitto sono, infatti, definiti dalle Nazioni Unite come “…diamanti che provengono da zone controllate da forze o da fazioni op-poste ai Governi legittimi riconosciu-ti a livello internazionale e usati per finanziare azioni militari in opposi-zione a tali Governi”. Per impedire che entrino nel lecito circuito di approvvigionamento dei diamanti, queste pietre preziose ven-gono monitorate lungo tutto il per-corso che va dall’estrazione alla ven-dita al dettaglio. In vigore dal 2003, il Processo Kimberley è riuscito a ri-

Esiste un sistema di certificazione - detto del Processo Kimberley - che tenta di impedire che i “diamanti del sangue” entrino nel circuito legittimo delle pietre

durre considerevolmente il fenome-no del commercio illecito dei dia-manti grezzi: le stime indicano che essi, oggi, rappresentano meno dell’-1% del commercio internazionale dei diamanti, contro il 4% degli anni ’90. In questo sistema di garanzia sono presenti 48 Partecipanti, rappresen-tanti 74 Stati (la Comunità Europea è considerata come Partecipante unico pur essendo costituita da 27 Membri) ed è proprio questo un altro segnale del suo successo. Inoltre, il sistema di monitoraggio, incentivando l’integrazione delle pietre preziose all’interno del com-mercio legale, ha generato un incre-mento delle rendite derivanti dall’e-sportazione di risorse naturali per numerosi Paesi Africani, pur non essendo uno strumento di sviluppo. Il Processo Kimberley non è, però, un impegno di natura legale, vinco-lante, ma solo un documento che opera come “un sistema di standard internazionali minimi e comuni per la creazione di un regime di certifica-zione nazionale”. Non prevedendo un sistema di con-trollo superiore e indipendente, il Processo Kimberley potrebbe portare talvolta o ad un abuso del sistema stesso o all’inefficienza delle misure nazionali in quanto adottate singo-larmente dai Paesi Partecipanti. L’e-lemento straordinario e innovativo, però, risiede nel fatto che il Processo ha creato un sistema di cooperazione tra soggetti diversi del sistema inter-nazionale e l’ha fatto proprio parten-do dai diamanti, un settore sottratto a qualsiasi forma di collaborazione internazionale. Tutte le parti in gioco devono allora attivarsi e rimanere vigili, affinché questo delicato mer-cato venga gestito nel modo più re-sponsabile possibile e che le crude immagini dei conflitti africani, dei bambini soldato e delle amputazioni rimangano solo un brutto ricordo della storia, pur reale ma passata, e una lezione per il futuro.

Diamanti da conflitto (e sviluppo)

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MONDO

Kenya, più di una guerra etnica

Il 27 dicembre 2007, dopo cinque anni, il Kenya è tornato alle urne. I due principa-li sfidanti appartengono a due etnie di-verse, da tempo in conflitto per il con-trollo del potere. Da un lato, il presidente uscente, Mwai Kibaki, esponente del Pnu, Partito di Unità Nazionale, e di et-nia Kikuyu, dall’altro Raila Odinga, uo-mo dell’Orange Democratic Movement, movimento nato nel 2005 in opposizione al governo, di etnia Luo. Il presidente Kibaki si è ripresentato in corsa alla guida del paese sostenuto da chi, nelle precedenti elezioni, lo aveva fortemente combattuto. La confusione è comprensibile solo se ci si focalizza sulla realtà politica keniana: l’accesso al potere garantisce privilegi per sé e per la pro-pria nutrita clientela, l’appartenenza par-titica non è tanto legata ad una specifica visione politica, quanto piuttosto alla convinzione che quel partito possa me-glio tutelare gli interessi, propri e del proprio entourage. Lo stesso Odinga si presenta in opposizione a Kibaki dopo aver fatto parte del suo governo fino al 2005. I sondaggi precedenti la tornata elettora-le danno in vantaggio Odinga. Il 27 di-cembre l’incertezza aumenta e alla fine del conteggio un milione di voti a favore di Odinga scompaiono, rendendo così possibile la vittoria di misura del presi-dente uscente. La commissione elettorale non è più in grado di determinare con sicurezza chi abbia realmente vinto le elezioni e scoppiano i primi disordini a Nairobi. A partire dal 29 gennaio la vio-lenza dilaga in tutto il Paese, in particola-re nella capitale e nella Rift Valley. Gli scontri, com’è noto, si sono immedia-tamente trasformati in una efferata lotta tra Luo e Kikuyu, che ha provocato più di 1500 morti e oltre 600.000 sfollati. Ad un accordo si è arrivati solo verso fine del mese di gennaio con l’intervento del-l’ex segretario generale dell’Onu Kofi Annan. Il 28 febbraio Kibaki e Odinga hanno firmato un accordo di riconcilia-zione che prevede la formazione di un governo di unità nazionale e la divisione dei poteri: a fianco del presidente, che rimarrà Kibaki, è stata istituita la figura di primo ministro, carica che sarà occu-pata da Odinga, con il compito di vigila-re sull’operato del governo di coalizione. Si tratta davvero di una guerra etnica? Molti, tra giornalisti e commentatori, hanno rievocato a proposito delle violen-ze in Kenya, lo spettro del genocidio in Ruanda.

Tuttavia, non è del tutto corrispondente alla situazione keniana parlare di guerra etnica. L’elemento etnico è indubbiamen-te forte e il confronto tra i due candidati appartenenti ai due maggiori gruppi lo ha reso più avvelenato e sanguinoso. Il problema però, è soprattutto economico e riguarda la gestione del potere e la di-stribuzione della ricchezza. I dati del SID, Society for International Development, lo confermano. Le violen-ze hanno non a caso preso il via dalle zone più degradate del Paese: gli slums di Nairobi. Il Kenya ha adottato un capi-talismo senza regole, che ha portato ad una competizione selvaggia per il con-trollo delle risorse e della ricchezza. Nel-la capitale, più del 60% della popolazione vive negli slums. Il Paese è al decimo posto a livello mon-diale nella classifica delle nazioni in cui la differenza tra ricchi e poveri è maggio-re, ed al quinto nella sola Africa: il 10% al vertice della popolazione controlla più del 42% della ricchezza nazionale. La sperequazione e l’ineguaglianza perva-dono ogni aspetto della vita: salute, edu-cazione, lavoro, accesso all’acqua, distri-buzione delle terre, aspettativa di vita. Una delle maggiori cause di conflitto è infatti da ricercarsi nel fatto che le risorse sono sempre più scarse, mentre la popo-lazione continua a crescere.

Come ricondurre tutto questo alla torna-ta elettorale? I due candidati sono percepiti come e-sponenti di gruppi diversi, non necessa-riamente solo etnici. Entrambi, una volta aver vinto le elezioni, favorirebbero il proprio gruppo: etnico, religioso, ma soprattutto clientelare. Le divisioni etniche sono state voluta-mente strumentalizzate da leader locali, politici e uomini d’affari, come rivela un’indagine condotta da Human Rights Watch. Le promesse fatte in campagna elettorale precedenti le elezioni di 6 anni fa non sono state mantenute e, sebbene a livello economico il Kenya sia cresciuto (nel 2007 +5,5% del PIL), i beneficiari della crescita economica sono stati pochi: banchieri, imprenditori del turismo e delle telecomunicazioni, vicini alla fazio-ne politica del presidente. A livello della popolazione, i vantaggi derivanti dalla crescita non sono stati avvertiti per nulla. Le clientele assicura-no la stabilità del potere e non sempre e non necessariamente coincidono con una base etnica. I keniani di qualunque etnia sono esasperati dalla miseria che non accenna a diminuire. La componente etnica è stata abilmente strumentalizzata da entrambi i leader; tuttavia non riesce, essa sola, a spiegare il sangue versato negli ultimi mesi.

di Giulia Oldani Gli scontri tra Luo e Kikuyu che hanno provocato più di 1500 morti, a seguito del contestato voto del 27 dicembre scorso, vanno ricondotti anche alla tremenda disuguaglianza economica che opprime la popolazione

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INTERNATIONAL a cura di Francesco Russo

Elections in Iran vs Elections in the US

Iran and the US both have important elections forth-coming. But important differences exist between the two. Let’s take a look. First, in the US an impor-tant person is elected presi-dent, while in Iran an im-portant person selects the president. Second, in the US people know the background of the person who is elected a year in advance, while in Iran people learn of the person’s background two days a_er he is announced. Third, whoever is elected in the US determines the pol-icy of the country towards the Middle East, while in Iran US policy towards the Middle East determines who is elected in Iran. Fourth, in the US, educated people participate in the elections to have a say in their future, while in Iran educated people do not participate in the elections to have a say in their fu-ture. Fi_h, in the US members of the Supreme Court are de-termined by the Congress and the President, while in Iran it is the Guardians Council for the Constitu-tion which picks the members of Parliament and the President. Sixth, in the US, whoever is elected president, regard-less of how stupid he is, things don’t get worse than

a certain point, while in Iran whoever is elected, regardless of his wisdom, things don’t get be`er be-yond a certain point. Seventh, Special Law: In Iran the person least ex-pected to win wins the elec-tions, while in the US the winner is always one of the predicted candidates who wins. Eight, in the US, the voting behaviour of the public is at worst 5 percent different from the predictions, while in Iran it is 70 percent off. Nine, elections in Iran al-ways take place on a holi-day, i.e. Friday, because elections are one of our past times, while in the US elec-tions always take place dur-ing a work day because it is part of their work. Ten, normally elections in the US have a greater im-pact on changes in politics in Iran, rather than the im-pact of elections in Iran on Iranian politics.

Ebrahim Nabavi / ROOZ

L’autore è il più letto scrittore

satirico iraniano. Rooz è il

primo quotidiano iraniano

pubblicato solo on-line. La

redazione è formata da giorna-

listi in esilio in Europa che

collaborano con i giornali ri-

formatori di Teheran, chiusi

dai conservatori tra il 1997 e il

2001

Oui, il faut défendre le Tibet. Oui, la Chine est la plus vaste prison du monde. Oui, les droits de l'homme sont plus sacrés que la flamme olympique... Tout cela est juste et bon. Mais d'où vient le malaise que l'on éprouve depuis quelques jours ? Serait-il dû aux philippiques enflammées, sur toutes les radios, d'un reporter sans frontières qui donne l'impression désagréable de s'appro-prier ce combat? Ou simplement à notre mau-vaise conscience? Nous découvrons le Tibet, avec la même fraî-cheur que nous avions mise à découvrir la Tchétchénie, la Birmanie... Tiens, à propos, que se passe-t-il en Birmanie? C'était quoi, déjà, le débat? Il y a peu de temps encore nous étions tous sur le pied de guerre, suffo-quant de colère, prêts à mourir pour Ran-goun. Mais d'autres causes nous appelaient irrésistiblement. Nos prises de conscience su-bites n'ont d'égales que nos indignations pro-visoires. Bien sûr, on ne peut pas être au four et au moulin. Il faudrait sans doute fixer un calendrier. Tchétchénie en janvier, Darfour en février, Tibet en mars... Plus que cinq jours pour crier "Tibet, Tibet!", avant de passer à autre chose.

Robert Solé / LE MONDE

Le Monde è un quotidiano francese progressista. Rigoroso e sobrio, è uno dei più autorevoli giornali

europei

Tibet! Tibet!

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SOCIETA’

MILANO - Prima di svelare chi sia mamma Dora è opportuno capire quali sono i farmaci che non aiutano a guarire, dove si trovano e perché esistono. Per spiegare cosa sono si può fare riferimento alla definizione che l’-OMS (l’Organizzazione Mondiale della Sanità) ha in passato formulato: si intende come contraffatto un farma-co che “deliberatamente e con frode reca false indicazioni sulla sua origi-ne e/o identità”. In poche parole si tratta di un farmaco il cui principio attivo è assente o è presente in per-centuali inferiori a quelle che consen-tirebbero una cura efficace, che con-tiene sostanze non dichiarate (magari tossiche) o che riporta una falsa data di scadenza. Per quanto concerne la loro diffusio-ne nel mondo, nonostante non ci sia-

no dati certi, sempre l’OMS ci dice che è “ragionevole” stimare dei valo-ri che vanno da meno dell’1% nei Paesi industrializzati a più del 10% in quelli in via di sviluppo. Bisogna però precisare che se nei primi il mercato dei medicinali con-traffatti riguarda soprattutto quelli che trovano facile distribuzione via internet come il Viagra o i prodotti per la caduta dei capelli e per il di-magrimento, nei secondi Paesi sono proprio gli antibiotici e i vaccini che mettono a rischio la vita di migliaia di persone. A favorire la diffusione di questi me-dicinali è stata l’interazione di più fattori come: la mancanza di leggi che vietano la contraffazione dei far-maci, le blande sanzioni penali esi-stenti,la debolezza delle autorità pre-poste alla regolamentazione del set-

tore farmaceutico,i mancati controlli al momento dell’esportazione e i car-telli mafiosi che ne regolano il com-mercio. Nel triennio 2004-2007 l’OMS ha tracciato delle linee guida rivolte a dare una soluzione in particolar mo-do alle prime quattro cause sopra elencate, cercando di puntare sulla costruzione di una rete internaziona-le maggiormente sensibilizzata verso questo grave problema. Una strada, per certi aspetti diversa e più pericolosa, è stata invece quella percorsa da Dora Akunyili nel 200-1,da quando cioè per volere del pre-sidente della Nigeria, Obasanjo, è diventata: direttrice generale dell’A-genzia sul Controllo del Cibo e dei Farmaci del suo Paese (NAFDAC). Mamma Dora come viene chiamata dal suo fidato staff lavorativo,si è fatta promotrice di una coraggiosa battaglia contro questi mercanti della morte. Grazie al suo forte senso di onestà e di rispetto verso la vita u-mana, un valore che intende proteg-gere sempre, è riuscita dopo una du-ra lotta ad abbassare la percentuale di medicine alterate circolanti in Ni-geria dal 62% del 2001 al 16,7% del 2006. Ma il suo attivismo nel regolamenta-re il mercato interno non è però pas-sato inosservato agli speculatori in-ternazionali di questo smercio. Dopo tentativi di corruzione e minac-ce,infatti, oggi Dora vive nella co-stante paura di essere uccisa o che facciano del male alla sua famiglia. Dall’ultimo attentato avvenuto nel 2003, viaggia regolarmente seguita da otto guardie del corpo e utilizzan-do solo mezzi blindati. Un’esistenza difficile, insomma che molti eviterebbero, ma a chi le chiede dove trova la forza per continuare lei replica:“Se dovessi mollare i delin-quenti penseranno di aver vinto,ciò scoraggerà tutte la gente che lavora con me,ciò scoraggerà ogni persona onesta dal seguire il mio esempio.” Ben vengano allora le linee guida per organizzare barriere interne ed inter-nazionali contro questo crimine del-l’umanità, ma non dimentichiamoci della qualità delle persone preposte alla loro costruzione e guida, forse il vero principio attivo di questa cura.

di Rosa Anna Casalino

I farmaci che uccidono e la cura di mamma Dora La mancanza di leggi che ne vietano la contraffazione e le blande sanzioni penali hanno visto fiorire un grande mercato illegale

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VIAGGI

L’arte sotto il cielo

dal nostro inviato Stefano Gasparri

È il museo Pagani di Castellanza, una rarità poco apprezzata (e conosciuta) e luogo di esposizione di importanti opere dell’arte contemporanea

CASTELLANZA - A trenta minuti da Milano esiste un parco dedicato inte-ramente all’arte contemporanea: il Museo Pagani, una perla rara ancora troppo poco apprezzata. Dopo ripetu-te indagini, ho appurato che il suo valore non è stato colto dalla platea degli studenti universitari, nonostante ne sia giunta l’eco fino alle orecchie d’intenditori provenienti dall’altra parte del pianeta. Cosa spinge questi ultimi a far tappa a Castellanza, quan-do il Belpaese offre mete ben più bla-sonate? Perché ne vale davvero la pe-na? La Fondazione Enzo Pagani rappresenta

per quelle in ferro di Roberto Crippa, oppure altre in legno, in granito, in pietra, in plastica, in acciaio. Infine occorre menzionare la presenza di un teatro e una fontana, entrambi impor-tanti esempi di come coniugare stile e funzionalità. Artefice di un simile progetto è Enzo Pagani, che nel 1957 lo avvia, mosso da un’idea ben precisa: raccogliere il meglio dell’arte contemporanea in un luogo aperto a tutti gli artisti, affratel-lati dall’ideale universale di mettere in comune la propria sensibilità, gli im-peti del cuore, i travagli dell’uomo moderno. Un’enorme ambizione che

una delle più ampie e valide esposi-zioni internazionali d’arte moderna a cielo aperto al mondo. Vanta non solo tanta “quantità”, ossia un parco di 40.000 mq circondato da timidi boschi in lotta con i capannoni dell’hinter-land; ma soprattutto dispone di un’ec-cezionale “qualità”: centinaia di opere di straordinari artisti provenienti da 57 paesi. Per fare dei nomi, si passa dalle sculture in marmo di Jean Arp e di Alezander Arcipenko ai mosaici di Nadia e Fernand Leger, Gaston Chias-sac, Sonia Delaunay, Man Ray e Mau-ro Reggiani. Ma vi è spazio anche per le sculture in bronzo di André Bloc,

Page 21: Acido Politico

VIAGGI

ha segnato la vita del fondatore, forse inimmaginabile allorché il Legnanese classe 1920 studiava all’Accademia di Brera, ma che sicuramente è stato in grado di portare a termine prima della sua scomparsa, avvenuta pochi anni fa. Nei musei convenzionali l’arte è rive-rita e contemplata, esposta in teche fra allarmi e custodi, vi si accede al prez-zo di un biglietto sempre più caro e di code sempre più lunghe. Quando l’ar-te raggiunge un vasto pubblico pare che non esistano soluzioni migliori della sua esibizione in “passerella”. Facendo finta di non vedere la spieta-ta e banale commercializzazione che ne consegue, sopportiamo aspettando tempi e amministratori migliori. Il museo di Enzo Pagani, invece, non è ancora stato intaccato da queste logi-che e ciò lo rende ancora più prezioso. L’oasi artistica che rappresenta si di-stingue tuttora per l’abilità nel tra-smettere il fascino e il mistero dell’e-spressione umana. Non vi è la minima traccia di speculazione o brama di gloria, mentre basta una semplice pas-seggiata lungo gli esagoni in cui si divide il parco per percepirne lo spiri-to sotteso, che per semplicità racchiu-diamo in due principi. Il primo ri-guarda l’armonia dell’opera d’arte con la realtà circostante, di cui fa parte come gli alberi e il prato, presente sia di giorno che di notte, con il sole e con la pioggia. Il secondo richiama la sua accessibilità a chiunque, indipenden-temente dallo strato sociale di appar-tenenza e dal background culturale, dato che non ci sono tariffe né dida-scalie. Il risultato è liberatorio: tutti i muri sono abbattuti, quelli fisici come quelli mentali. Finalmente le opere d’arte dialogano fra loro, ammiccano o si

te grave durante i freddi e terribili inverni lombardi, il museo è aperto tutti i weekend da metà marzo a metà novembre. Inoltre la Fondazione Pa-gani dispone anche di locali nei quali sono allestite esibizioni temporanee. Si segnala, infine, che solitamente d’e-state sono in programma suggestivi eventi serali quali concerti jazz e ras-segne teatrali. Per ulteriori dettagli, non vi è migliore f o n t e c h e i l s i t o i n t e r n e t : www.museopagani.it.

deridono a vicenda, con la stessa par-tecipazione ed entusiasmo dei loro fruitori, i quali possono goderne rap-pacificati con i propri sensi, senza pre-giudizi e ansie di prestazione riguar-do come pontificare sul passaggio dal moderno al post-moderno, o sul con-fronto fra l’accelerazione dell’avan-guardia e il salto della trans-avanguardia. Per concludere, qualche informazione pratica. Data la scarsa affluenza ri-scontrata in generale e particolarmen-

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MAIL BOX

Interventi & Repliche (ovvero, il tempo passa e gli stu-denti turnano). Nel nostro caso, per fortuna, i tec-nici che hanno seguito i rapporti con le due cooperative sono rima-sti gli stessi (almeno, per il perio-do di riferimento) e hanno tenuto scrupolosamente tutta la contabili-ta' relativa agli acquisti. Nell'inter-vista io ho parlato di circa 2000 Euro solo per indicare l'ordine di grandezza. Una ultima mail, rimasta senza risposta, e' stata indirizzata all'al-lora responsabile di CUSL dal sot-toscritto in data 1 febbraio 2007. Non e' chiaro se poi i responsabili della cooperativa abbiano fatto o meno le opportune verifiche inter-ne, ma sono fiducioso che prima o poi anche loro riescano a determi-nare una cifra e che quindi si pos-sa proseguire nel contenzioso. Ad ogni modo il virgolettato ri-porta: "abbiamo scoperto che ci

hanno fatto pagare 2mila euro piu' di quel che dovevamo". Questa affer-mazione va rettificata con la frase "abbiamo un credito residuo di circa 2mila euro, che non siamo ancora riusciti ad esigere". Credo di aver usato sempre queste parole anche nelle riunioni con gli studenti. Quindi, nessuno ha rubato nulla a nessuno, ogni acquisto con entrambe le cooperative e' stato sempre corret-to e puntuale. Anzi, entrambe le coo-perative si sono sempre dimostrate disponibili nel reperimento dei mate-riali. E' solo che a oggi non riusciamo a rientrare del costo delle tessere pre-pagate. Cordialmente

Stefano Iacus Facoltà di Scienze Politiche - Milano

3960 Euro. Numero di risme di carta ricevute dalla CUSL: 390 per un contro valore di 1560 Euro (4 euro a risma). I conti sono presto fatti. Si e' proceduto poi ad ulteriori acquisti di toner, fino a raggiungere la cifra residuale di 1780 Euro circa. A quel punto (giugno 2006) la CUSL non ha piu' ritenuto opportuno eva-dere altri ordini. Il contenzioso e' nel fatto che dalla CUSL ci e' stato contestato che altro materiale sarebbe arrivato dalla CUSL (es. altro materiale di cancelle-ria per il Polo) di cui non si e' tenuto traccia, e quindi non sarebbe possibi-le risalire alla cifra esatta dovuta. In parte, ci e' stato riferito, questo sareb-be dovuto anche all'organizzazione interna della stessa cooperativa

V i ringrazio per il reportage che avete fatto sui "conti in tasca" alla Facolta' di

Scienze Politiche nel numero di febbraio 2008 di Acido Politico. Purtroppo nel testo della vostra inchiesta ci sono alcune impreci-sioni nei virgolettati che mi ven-gono attribuiti, sicuramente non voluti, che pero' in alcuni casi di-storcono il senso di quanto credo di aver detto. In particolare, uno di questi virgo-lettati riguarda terzi, ovvero le cooperative studentesche presenti in Facolta'. Di queste la CUESP si e' giustamente risentita per essere stata chiamata in causa. Ci tengo a precisare che la cooperativa stu-dentesca con cui e' in sospeso un contenzioso e' la CUSL. Non ho voluto citare espressamente i det-tagli, perche' tra noi e i responsa-bili della cooperativa CUSL risul-tano due "realta' fattuali" diverse e il contenzioso e' ancora aperto. Inol-tre, gli accordi verbali cui facevo rife-rimento nell'intervista, sono stati presi da miei predecessori e, in quan-to tali (cioe' verbali e che non mi coinvolgono in prima persona) diffi-cili da impugnare a distanza di tem-po. Il messaggio contenuto nella no-stra discussione e' che preferisco af-frontare direttamente i problemi che sono in grado di gestire (con l'aiuto dei tecnici) con costi personali diretti (ovvero praticando politiche impo-polari), piuttosto che "delocalizzare" i problemi. Venendo ai fatti: l'unico dato oggetti-vo che a noi risultava dalla contabili-ta' tenuta dai nostri tecnici alla data del 28 marzo 2006 era il seguente: numero di tessere precaricate conse-gnate alla CUSL: 990 per un totale di

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Page 23: Acido Politico

Il declino di Milano di Luca Fontana

PENSIERI & PAROLE I fatti d’attualità commentati dai ragazzi

tà dell’aria. La vivibilità si sta progressivamente deteriorando, sempre paragonata all’eccellenza che Milano vorrebbe e dovrebbe seguire, così la città è sfrut-tata nelle sue risorse senza essere concretamente amata e vissuta dai cittadini. Il costo della vita è intolle-rabilmente ai massimi storici, l’acces-so alle case rimane proibitivo anche per chi possiede un buon lavoro, mancano luoghi di aggregazione che vadano oltre ai locali serali dove rin-chiudersi per un banale happy hour, l’insicurezza è diffusa, l’offerta cultu-rale è sporadica, la quantità di im-pianti sportivi è ridicola per una città così popolosa. Perfino l’aspetto turi-stico, ingiustamente sacrificato sull’-altare del lavoro, è relegato al mordi e fuggi e non rende onore ad un rile-vante, ma poco conosciuto e poco valorizzato, patrimonio artistico. Può bastare? No. La ciliegina sulla torta è rappresenta-

C he cosa rimane oggi della capitale morale ed economica dell’Italia, traino del paese

negli anni del boom che, con gli effi-meri anni ottanta, divenne addirittu-ra la “Milano da bere”? Da tangento-poli in poi è rimasto ben poco da sorseggiare. All’ombra della madon-nina possiamo vantare ancora un primato economico e una rete di ser-vizi all’avanguardia nel piccolo re-cinto italico, ma volgendo lo sguardo poco oltre rischiamo di impallidire nel rapporto con le grandi città Euro-pee. Il declino sociale e culturale della città è in corso da molto tempo e ne-gli ultimi anni si è ingigantito. Molti dei mali di Milano sono patologie croniche nelle quali è difficile indivi-duare il rapporto causa ed effetto. Le colpe delle amministrazioni che si sono succedute appaiono evidenti, soprattutto perché hanno lasciato germogliare l’idea di una città da gestire come fosse un’azienda, con un atteggiamento tecnocratico che ha inaridito le speranze di un possibile rilancio rendendo Milano schiava della logica degli affari. I milanesi posseggono un’anima par-ticolare, laboriosa e lavoratrice ma allo stesso tempo accogliente e gene-rosa. L’insieme di questi elementi è stato da sempre la base di una cresci-ta che sembra ora bloccata in una dipendenza dal lavoro, inteso nel suo significato meno virtuoso. Il quadro è disarmante. La parola “bello” è stata cancellata dal vocabo-lario dei milanesi, in luogo di una spasmodica frenesia entrata nel san-gue dei cittadini. Non ci si conosce, non si parla, a volte non c’è il tempo nemmeno per respirare. Questo forse non è un male considerando la quali-

ta dall’ambiente. Le aree verdi sono ridotte ai minimi termini e solita-mente sono mantenute con il pres-sappochismo con cui ci si avvicina ad un qualcosa ritenuto un peso inu-tile. Ci si riempie la bocca della paro-la ecologia ma non un solo provvedi-mento efficace è stato mai adottato. Non lo è l’Ecopass, misura dispersa in mille deroghe e limitazioni, che rappresenta un piccolo tassello insuf-ficiente ed iniquo, colpendo le tasche dei cittadini meno abbienti e, di fatto, rappresentando un incentivo a rin-novare il parco auto. La mobilità è compromessa dall’esiguità di corsie preferenziali per i mezzi pubblici e le piste ciclabili sono invisibili. Adesso può bastare? Nemmeno per sogno. La massima espressione di degrado si evidenzia nel problema della casa. Tra le molte lobbies influenti quella degli immobiliaristi detiene un pote-re enorme. I prezzi delle case sono raddoppiati in pochi anni tagliando fuori un’intera fetta della popolazio-ne, con un impatto sociale devastan-te. Le giovani coppie tendono ad ab-bandonare la città che lentamente muore escludendo la sua anima vita-le e cucendosi un abito rattoppato fatto di quartieri della vecchia Mila-no abitati da anziani, di isole felici del lussuoso centro e zone periferi-che sempre più degradate e voluta-mente abbandonate. La mia provocatoria semplificazione vuole evidenziare il trend inesorabile di una città che sta ammalandosi di quella che un tempo era la sua stessa forza. Una malattia che non potrà essere curata fino a che non si rom-perà quel filo che rende la logica del profitto e del denaro come l'unica, o la preponderante, da seguire. Ora, per fortuna, può bastare.

«Una malattia non potrà essere curata fino a che non si

romperà quel filo che rende la logica del profitto e del

denaro come l'unica, o la preponderante,

da seguire»

Page 24: Acido Politico

CRONOLOGIA

l'istituzione della Commissione bicamera-le presieduta da Aldo Bozzi. Il progetto, però, trovò l'opposizione di quasi tutti i partiti. Ma l'idea di riformare lo Stato riprese violentemente piede negli anni novanta con il figurarsi del mostro istituzionale della corruzione materializzatosi in Tan-gentopoli. Nel 1992 venne istituita una seconda Commissione parlamentare per le riforme istituzionali presieduta da Ci-riaco De Mita. La volontà rinnovatrice, però, fu minata alle fondamenta dalle forti tensioni politiche e nemmeno il su-bentrare alla presidenza dell'onorevole Iotti riuscì a salvare i propositi dal falli-mento. Fu tuttavia in questo frangente che si affacciò l'archetipo di un cambia-mento del potere in senso regionalistico, il quale fu poi ripreso nel 1997 dalla Bica-merale presieduta da Massimo D'Alema, le cui intenzioni riguardavano la modifi-ca della seconda parte della Carta fonda-mentale. Principio fondante dell'intera proposta di riforma: un esecutivo di tipo semipresidenziale elaborato in maniera molto originale. L'elezione diretta del Capo dello Stato, infatti, era disposta in

È da diversi decenni ormai che il problema di riformare le istituzio-ni si pone all'interno del dibattito politico.

Iniziò Craxi alla fine degli anni settanta ritenendo la crisi italiana una crisi di governabilità, si proseguì con le commis-sioni bicamerali - tutte inesorabilmente fallite - e si imboccò infine la strada par-lamentare con il risultato di approvare due riforme: quella del centro-sinistra - entrata in vigore nel 2001 - e quella del centro-destra - bocciata dal referendum. In ogni modo, le grandi crisi politiche degli ultimi quindici anni pongono que-sto argomento sempre in primo pia-no. Era il 1979 quando Bettino Craxi su L'Avanti agitò il tema del rinnovamento istituzionale parlando, per la prima vol-ta, di una Grande riforma dello Stato. L'idea era quella di un imponente rinno-vamento costituzionale in senso presi-denzialista che potesse dare ai poteri pubblici grande efficienza e capacità de-cisionali. Il tema sarà recuperato qualche anno più tardi, quando il leader socialista divente-rà presidente del consiglio, attraverso

Alla ricerca delle riforme

di Danilo Aprigliano

modo da non sottrarre poteri al Primo ministro nella regia del potere esecutivo. La Commissione si rivelò tutto sommato fallimentare pur riuscendo a mandare in parlamento una proposta di riforma dei poteri regionali basata su una concezione diversa dell'assetto istituzionale. Se pri-ma, infatti, venivano elencate le materie di competenza regionale e tutto il resto restava competenza dello Stato, adesso sono le competenze di quest'ultimo a venire elencate lasciando il resto nelle mani delle regioni. La legge entrò in vigo-re nel 2001. A completamento di questo percorso venne il tentativo di riforma radicale del-le istituzioni effettuato nel 2005 dal go-verno di centro-destra sotto pressione della Lega Nord. Approvata a maggio-ranza assoluta, la legge venne poi boccia-ta da un referendum popolare. Qualora fosse andata in vigore avrebbe trasforma-to l'ordinamento istituzionale italiano in una Repubblica federale con un esecutivo nettamente più forte e la trasformazione del Senato in Senato federale, eletto per rappresentare gli interessi locali. Questo quadro ci ricostruisce un'immagi-ne degli orientamenti politici presenti in parlamento dalla fine degli anni settanta, da cui si possono evincere diversi indiriz-zi tendenti per lo più alla costruzione di un sistema basato sul modello francese: più consono, almeno in apparenza, alla tradizione costituzionale italiana. Elezio-ne diretta del Capo dello Stato, elezione parlamentare del Primo ministro, diversi-ficazione delle due camere: queste le linee dominanti che caratterizzano la vita poli-tica di due decenni. Al potere esecutivo vengono insomma chieste ampie capacità decisionali e una maggiore stabilità, come venuto a galla dopo la definitiva caduta dell'ultimo go-verno Prodi, la quale dimostra in maniera lampante quanto le istituzioni italiane vivano una crisi ormai eccessivamente degenerata. I nostri padri costituenti scelsero, negli anni tra il 1946 e il 1948, la strada dei go-verni deboli, in nome di una più larga rappresentatività della volontà popolare. Il risultato fu, però, una successione di governi brevi e dai limitati poteri decisio-nali che fece della storia dell'Italia repub-blicana un museo di occasioni perdute.

COMUNICATO

Associazione culturale “Il Baniano”

presenta

QUALE CRESCITA

PER IL NOSTRO FUTURO Dibattito aperto sui modelli alternativi di crescita

23 Aprile 2008

Per maggiori informazioni www.baniano.com

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APPUNTI

a cura di Laura Tavecchio

OFFERTE DI LAVORO Editoria – giornalismo: Brescia e Provin-cia Nuovo editore bresciano, ricerca 10 aspi-ranti giornalisti per collaborazione alla propria rivista specializzata nel mercato della moda, design, arte, beauty. La col-laborazione servirà per l’iscrizione all’-Albo dei Giornalisti Pubblicisti. Periodo: 1 mese di Stage, successiva as-sunzione. INFO: http://www.vitaminabiz.it (società di consulenza marketing) Tromsø Guide Service: Norvegia Al momento l'agenzia cerca guide per l'estate 2008 con buone doti relazionali e con ottima conoscenza di alcune delle seguenti lingue: italiano, inglese, tede-sco, spagnolo, francese e norvegese. Periodo: Stagione estiva Retribuzione: 24 €/h INFO: [email protected]. / www.tromsoguide.com.

BORSE DI STUDIO Borse di studio Fulbright/Carlo Maria Santoro: USA La borsa ha lo scopo di supportare l’espe-rienza di uno studente italiano presso una prestigiosa università americana attraver-so programmi di specializzazione post-laurea in Relazioni internazionali. Periodo: 1 anno accademico (2009/2010) non rinnovabile Entità della borsa: $30.000 + Euro 1.500 per le spese di viaggio A/R. Scadenza per le domande: 5 maggio 2008 Borse di studio Fulbright/Carlo Maria Santoro: USA Mette a disposizioni 15 borse di studio in una delle Università statunitensi indicate dal Institute of International Education. Tali borse sono indirizzate a tutti i laurea-ti e laureandi ad eccezione delle facoltà di Medicina e Chirurgia, Odontoiatria e Me-dicina Veterinaria. Periodo: 1 anno accademico (2009/2010) non rinnovabile. Entità della borsa: $30.000 + Euro 1.500 per le spese di viaggio A/R. Scadenza per le domande: 5 maggio 2008

STAGE Magna Carta - Human Rights Network International: Bruxell - Belgio Offre stage retribuito presso il suo ufficio di Bruxell. Il candidato, preferibilmente laureato in Giurisprudenza o Scienze Politiche, affiancherà il team nell’elabora-zione di ricerche e progetti. Periodo di stage: da concordare con l’uffi-c io personale . INFO: ht tp : / /www.magnacarta inst i tute .org/en/vacancies/internship-offers/index.html Assembly of European Regions Com-mittee 1 “Economy and Regional develo-pment”: Strasburgo - Francia Cerca un tirocinante da inserire nel suo staff, il cui compito sarà quello di assiste-re il Comitato nell’organizzazione di con-ferenze, nella creazione di report politici e nel monitoraggio delle aree Regionali Europee. Periodo di stage: da tre a sei mesi, con inizio da concordare INFO: http://www.a-e-r.org/home-en/vacancies/internships/current-internship

© W

IN MCNAMEE / GETTY IMAGES

Parenti e amici lasciano pietre decorate sulle lapidi degli oltre 4.000 soldati statunitensi morti nella Seconda guerra del Golfo nel cimitero militare di Arlington. (www.time.com)

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SPECIALE

blico occidentale indifferenziato, laddo-ve l’immediatezza nella raffigurazione dei conflitti umani (che si compie attri-buendo priorità allo shock estetico) co-stituisce un raccordo profondo tra il ci-nema coreano e la stessa cultura occi-dentale». Ad arricchire il tutto, gli incontri con la capo programmatrice del Jeonju Interna-tional film festival e col direttore del Pusan International Film Festival (in ambito cine-matografico il maggior festival interna-

offre l’opportunità di cogliere. L’orga-nizzazione, ad opera di Riccardo Gelli (direttore dell’associazione Taegukgi, che lavora per favorire lo scambio tra la cultura italiana e quella coreana) e della vice direttrice Chang Eun-Young, ha deciso infatti da questa edizione di pun-tare maggiormente su un’ampia panora-mica di contenuti contemporanei, abban-donando le produzioni storiche presen-tate nelle passate edizioni, e allargando il numero di sezioni (aggiungendo agli ormai tradizionali focus sulle carriere dei registi ospiti al festival e alla sezione Orizzonti Coreani, anche le nuove Cor-tometraggi, Indipendenti ed Autrici Femminili), a dimostrazione di una pie-na fiducia nella validità della proposta, qualsiasi sia la categoria di appartenen-za. Un contributo appassionato come colla-boratore alla parte critica viene anche da Alessandro Baratti, che vede «nel lin-guaggio emotivo, tratto distintivo dell’e-stetica cinematografica sud coreana, un elemento di interesse anche per il pub-

FIRENZE - Il cinema Coreano torna in Italia da unico protagonista, in occasione del Samsung Korea Film Fest 2008, dive-nuto ormai un appuntamento abituale per la città di Firenze. La sesta edizione si è svolta presso l’auditorium Stensen dal 7 al 15 Marzo ed è stata seguita da un pubblico numeroso, incuriosito dalla rassegna che ha offerto moltissime prime e seconde visioni assolute in Italia. Lontano dai riflettori abbaglianti e dalle polemiche attirate nelle passate edizioni del Festival di Venezia, si presenta un’-occasione propizia per tornare a discute-re soltanto di cinema e di un panorama che apparentemente vive di repentine e illuminanti folgorazioni scaturite da un universo nebuloso e sconosciuto; colpa in primis di impedimenti materiali (la distribuzione cinematografica sui merca-ti extracontinentali) che minano alla base le possibilità di un adeguato approfondi-mento/apprezzamento in ambito inter-nazionale. Diversamente da quanto i media nostra-ni hanno un po’ superficialmente lascia-to trasparire, In Corea del Sud non vi sono soltanto Kim Ki-Duk (suo l’accla-mato Ferro3) o Park Chan-Wook (autore di Old Boy); c’è invece una classe di ci-neasti che si rinnova di generazione in generazione con sovrapposizione delle rispettive esperienze (e che va dai vete-rani dei tempi della dittatura ai giovani esordienti che hanno studiato nelle uni-versità in patria o all’estero), ed un livel-lo medio delle produzioni che in Italia sovente ci sogniamo, a fronte di investi-menti non miliardari ma semplicemente meglio indirizzati, e spinti anche da un mercato meno votato all’importazione massiccia (nelle sale il made in Corea è tutelato con una politica delle quote di schermi). Parlando strettamente di ambito conte-nutistico, il cinema d’autore (quello che ha goduto della maggiore pubblicizza-zione in Occidente per merito dei festi-val, grazie ai quali di anno in anno sono emersi i nomi ormai noti), caratterizzato da una vena fortemente emotiva e ricca di simbologie, non è il solo “piatto offer-to” dal cinema coreano: ed è proprio questo che il Samsung Korea Film Fest

Orizzonti coreani

dal nostro inviato Alberto Corghi

Per il sesto anno consecutivo si è svolto a Firenze il festival sul cinema del paese asiatico. Un modo per avvicinare due mondi lontani. Attraverso la pellicola

I film per avvicinarsi al cinema coreano

alternate, una colonna sonora azzeccata e positivamente invasiva, cui si aggiungono trovate registiche che anticipano le sequenze semi-animate successivamente viste in Kill Bill e le intersezioni alla The Snatch. Il film dispensa un sacco di azione offerta a piene mani in maniera assolutamente innovativa per il pubblico occidentale, in particolare nella prima metà (la sequenza del distributo-re di benzina o dell’inseguimento al porto offrono una riproduzione adrenalinica dell’a-zione sconosciuta al “nostro” cinema). Da segnalare la scelta delle ambientazioni, foto-grafate così bene da partecipare al pari dei protagonisti al compiersi della storia (il com-missariato è un vero e proprio “luogo-personaggio”, così come i vicoli di Seoul). Non mortificatelo con un televisorino da 12 pollici!

The Host (Bong Joon-Ho, 2006) Record assoluto di incassi in patria con 14 milioni di spettatori, The Host è una grande

Per chi volesse avvicinarsi al cinema co-reano… ecco una selezione a prova di scettici, volutamente appetibile anche per chi mangia solo pane e Bruce Willis, o semplicemente non ha mai guardato fuori dal panorama occidentale.

Nowhere to Hide (Lee Myung-Se, 1999) Pur non essendo assiduo frequentatore del genere (poliziesco sulla falsariga dei classici di Hong Kong; quelli con cui si è formato John Woo per fare un nome noto), non si può non rendere merito all’-

autore per la freschezza del risultato ottenuto anche a distanza di anni (il film è del 1999). Un protagonista carismatico come pochi e tratteggiato in maniera quasi fumettistica, un susseguirsi di sequenze che svariano dal frenetico allo slow motion vorticosamente

Page 27: Acido Politico

FIRENZE - È il film che ha aperto la rassegna: la storia della caduta (per colpa dell’alcool e del carattere) di Choi Gon, vincitore degli “MBS Music Award” del 1988 con la canzone “The

R a i n a n d You” (voto: 9), e della sua lenta risalita iniziata facendo il dj pres-so una remota stazione radiofo-nica in una regio-ne sperduta della Corea del Sud. Dalle stelle alle

stalle (e viceversa) grazie anche alla presenza (ed ai sacrifici famigliari) di Park Min-soo, suo agente e amico dai tempi d’oro. Un film leggero, velatamente rétro, che utilizza gli spazi affollati di Seoul e quelli deserti della sperduta Youn-gwool per concentrarsi meglio sull’a-micizia che lega i due uomini, denun-ciando la caducità del successo, della gloria e celebrando la vita come insie-me di affetti. Che è quello che rimane, alla fine di ogni cosa.

(l.b.)

SPECIALE

cui fatica a opporsi, tra l’altro molto più cre-dibile e abominevole dei patinati e proporzio-nati “pupazzoni Hollywoodiani”). Il film si svolge attraversando uno spettro amplissimo di generi e toni, dal tragicomico all’apocalitti-co, passando per l’action movie e chiudendo con il drama, ma senza appesantirsi eccessi-vamente (a ben vedere qui sta la ricchezza di un cinema lontano dalla concezione occiden-tale della rigida coerenza di genere, ormai prigione al rinnovamento stilistico). Aggiun-giamo un finale davvero all’altezza (senza echi trionfali o patetismi, altro marchio no-strano). Da vedere!

Joint Security Area (Park Chan-Wook, 2000) Un incidente avvenuto al limite del 38esimo parallelo (confine mili-tare tra le due Coree) rischia di innescare una serie di gravi ripercus-sioni politico-militari: si rende necessario l’intervento di una forza di pace per attribui-

produzione che strizza l’occhio al cinema occidentale (Usa in particolare, ma non troppo…). Impressio-nano gli effetti speciali e i risultati ottenuti in computer grafica, degni delle più note produzioni Hollywoo-diane, cha danno vita ad un protagonista ingombrante… un brutto mostro che scatena il panico a Seoul, osteggiato da una famiglia sola contro tutti. Se ci aggiungiamo un ac-cenno di anti-americanismo e una critica di fondo allo sviluppo capitalista sregolato (che nascostamente ha dato i natali al mostro), tutto condurrebbe alla più logica delle con-clusioni: ci troviamo davanti il classico blo-ckbuster all’americana… e invece il film per contenuti e messa in atto sbaraglia la “concorrenza” occidentale. Non siamo infatti addentro i territori della fantascienza à la X-Men (o affini), ci troviamo invece molto più vicina al tema Frankensteiniano (la società che dai suoi eccessi vede sorgere un mostro

re le responsabilità e far luce sul misterioso scontro a fuoco in cui due soldati del Nord sono restati uccisi.

Il regista della (successiva) “Trilogia della vendetta”, trova la consacrazione con quest’-opera magistralmente girata, che ci accompa-gna in una storia di amicizia delicata e pro-fonda e in ultimo struggente, sorretta dalle ottime interpretazioni e caratterizzazioni dei protagonisti (i soldati in primis), ed apre alle riflessioni su una questione attualissima e tuttora delicata come i rapporti politici tra la Corea del Nord e quella del Sud.

La riproduzione è lucida, veritiera ed equili-brata, senza che sia lasciato spazio al buoni-smo o agli stereotipi.

In equilibrio tra le parti drammatiche (ma mai banali o patetiche) in flashback e quelle più asciutte che mostrano l’evolversi delle investigazioni, il film ci regala una storia bellissima, in cui la semplice trama è arric-chita dall’uso sapiente dell’intreccio e della fotografia, cui s’aggiunge l’innesto di digres-sioni simboliche assolutamente funzionali e che regalano un finale che non dimenticherete a lungo. (a cura di Alberto Corghi)

ALCUNI DEI FILM DELLA RASSEGNA

FIRENZE - Dalla selezione degli indipendenti, un film composto di tre episodi (e gira-to da tre differenti autori): in comune il tema del suicidio sventato. Ruotan-do attorno al tema centrale si dipana-

no delle trame ai limiti (talvolta oltre gli stessi) dell’assurdo: il primo pare un colorato non-sense manga (con effetti speciali e missili da cartoon), il secon-do, girato in maniera stridentemente rigorosa, è un sismografo che passa dagli abissi del dramma personale agli eccessi di un contorno paradossale (tra sabbiature improbabili e rombanti duelli tra colorati ciccioni in sella a mo-torini altrettanto colorati), infine una vicenda scaturita dal malinteso, che si dipana lungo i territori della commedia prima, del drama poi, e che però si di-mostra alla radice assolutamente tragi-comica, con l’inserto di elementi chiara-mente derivati da un cinema estraneo alle vicenda narrata (il trasporto nella bara, i malviventi non asiatici e vestiti palesemente secondo la moda degli anni 90). Un calderone esplosivo.

(a.c.)

zionale del continente asiatico), inseriti all’interno di conferenze che hanno visto la presenza anche dei due registi ospiti della rassegna (Lee Myung-Se e Lee Jo-on-Ki), e nelle quali si sono discusse le prospettive future di un cinema che pare stia per accogliere la matrice indipen-dente come parte fondante di un rinno-vamento radicale (dopo circa 10 anni dalla passata “rivoluzione”), e che anno-vera la divulgazione della tecnologia digitale quale principale fattore che per-metterà la concretizzazione di tale pro-cesso. Sempre Baratti analizza lucida-mente come «dopo un decennio di cre-scita, la tendenza a riproporre formule di successo pianificato abbia condotto ad un sensibile calo di spettatori; trovo che nella scena indipendente risiedano le forze in grado di ridare linfa all’appara-to esistente: l’apertura di un cinema a Seoul (l’Indie Space), interamente dedi-cato alla programmazione di pellicole indipendenti, è segno che non solo gli esperti ma l’intera istituzione avverta la vitalità e le potenzialità di questo pano-rama in chiave futura». Attendiamo il prossimo KFF per iniziare a vedere in che direzione muoverà il cinema coreano nei prossimi anni, e cu-riosi di conoscere se la forte componente creativa e libera dagli schemi del pano-rama indipendente (un’anticipazione significativa in Fantastic Parasuicides), ad oggi fortemente dispersa, saprà inca-nalarsi in un nuovo panorama fiorente. Noi ovviamente siamo fiduciosi.

(ha collaborato Leonard Berberi)

Radio Star

da uno dei nostri inviati

Fantastic Parasuicides

Page 28: Acido Politico

MUSICA

storiche risentono purtroppo di una pesante coperta di modulazioni sonore (chorus, delay, etc.), costante nel “sound” di quegli anni caratterizzati dall’avvento di elettronica, multieffetti e drum machines, a discapito della naturalezza e freschezza dell’interpre-tazione. Come sempre, le mode passano e per fortuna rimane solo ciò di essenziale che si portano dietro. E’ quindi un grande un piacere da qualche anno sentirlo suonare semplicemente con una bella chitarra attaccata ad un gran-de ampli senza troppi fronzoli (la sua storica Gibson ES-335 e un Dumble Overdrive, più un paio di pedali volu-me e chorus, per gli intenditori). Il concerto inizia con un brano molto soft, si nota subito una nuova band sul

MILANO - Larry Carlton suona a Mi-lano. Un nome sicuramente noto agli amanti del jazz-fusion, o ai chitarristi sfegatati, un po’ meno a chi di solito ascolta musica prevalentemente in di-scoteca o sullo stereo della macchina. Un concerto per raffinati intenditori penseranno alcuni, invece no. Sta proprio qui la magia dei grandi musicisti, ovvero la capacità di comu-nicare e trasmettere emozioni a chiun-que passi davanti, non solo ad una ristretta nicchia di fans. Dunque mi siedo al Blue Note di Mila-no, locale elegante e dal 2003 (anno della sua inaugurazione) mecca del jazz in questa città, curioso di vedere cosa riserverà il maestro al pubblico questa volta. Per chi non conoscesse l’artista o si fosse fermato alle sue registrazioni più celebri degli anni ’80, è necessario dire che nell’opinione di chi scrive Carlton ha fatto un enorme salto di qualità nel-l’ultimo periodo. Questo non tanto da un punto di vista tecnico, dato che il virtuosismo non gli è mai mancato, quanto piuttosto da un punto di vista sonoro. Infatti le sue registrazioni ed esibizioni

Come suonare una “335” a dovere

di Alessandro Zanardi

Una sera al “Blue Note” per il concerto di Larry Carlton, chitarrista famoso e uno dei musicisti più apprezzati in ambito jazz-fusion

DistruptDistruptDistruptDistrupt

FOUNDATION BITFOUNDATION BITFOUNDATION BITFOUNDATION BIT Cuffione sulle orecchie e volume accentuato per gustarvi i bassi; queste son le uniche due regole per prepararsi all’album dub dei Disrupt. Ritmolo-gie lente e calde, woofer in evidenza mescolati con il reggae renderanno di-pendenti gli amanti dei meno conosciuti derivati generi made in Jamaica. L’etichetta (werk-it.com), produttrice del disco, è talmente piccola e poco conosciuta che mi ha fatto chiudere un oc-chio sul mastering: i suoni alti ogni tanto disturbano l’ orecchio e le tracce son chiuse banalmente con progressive diminuzioni di volume. Le tracce globalmente hanno una dinamica scarna che ricorda molto la digitalizzazione da mp3. Ma le mie pi-gnolerie un po’ blasè, mentre mi diletto nell’ascolto di “Tubby rom module” o “Blast you to bits”, si dissolvono velocemente lasciandomi solo il gusto delle positive vibra-tions.

(lu. cer.)

BengaBengaBengaBenga

DIARY OF AN AFRO WARRIORDIARY OF AN AFRO WARRIORDIARY OF AN AFRO WARRIORDIARY OF AN AFRO WARRIOR Prova e riprova final-mente la Tempa re-cords (tempa.co.uk) elabora un album di pregevole dub_step, ben architettato dal sapiente lavoro di Benga. E data la po-chezza del genere, provate a sentirvi Skream o Unburial per capire, il lavoro dell’artista londinese

luccica maggiormente. I giri di bassi vibranti e le buone trame tessute su strings post drum n bass tengono per tutto l’album. La seconda traccia, “Night”, risulta perfetta per circoscri-vere e capire il fenomeno dub_step tanto in voga nel Re-gno Unito. Un disco sotto ogni aspetto underground per un genere che anche in Italia, lentamente, affiora in parti-colari serate di certi circoli e centri sociali ma che difficil-mente troverà ampi consensi.

Luca Ceriani

Page 29: Acido Politico

MUSICA

dello spettacolo successivo (alle 23:30). La scelta è molto felice, infatti il trio scende sul palco con tutta un’altra e-nergia e tira fuori quella vivacità che è in grado di stupire anche chi li ha già sentiti più volte. Gli strumenti si rincorrono in un vulca-no di note, staccati e dinamiche alter-ne, impeccabilmente gestiti con grande gusto. Verrebbe quindi da consigliare di an-dare sempre al secondo spettacolo, visto che inoltre in quella fascia oraria i giovani sotto i 26 anni hanno una ridu-zione del 40% sul prezzo. Una stagione al Blue Note particolar-mente ricca di appuntamenti interes-santi quest’anno, tra cui spiccano Tuck & Patti il 19 Aprile (ottimo chitarrista fingerstyle e brava cantante soul), Scott Henderson il 7 e 8 Maggio (eclettico chitarrista blues-fusion) e Hiromi il 13 e 14 Maggio (bravissima pianista jazz).

Tutte le informazioni sono disponibili

sul sito www.bluenotemilano.com

palco, la formazione passa infatti dai 5 elementi dell’anno scorso a 3 attuali (rimane con lui sul palco il figlio - bas-sista, più un nuovo batterista). L’accompagnamento terzinato della batteria non stravolge per originalità, ma la sensazione è che tutti si stiano semplicemente scaldando un po’ le mani. Infatti il secondo brano ha uno swing più deciso e il terzo regala dei bei momenti durante il duetto con il figlio al basso, in un climax sonoro affascinante, che rimarca la totale inte-sa musicale tra i due. Poi arriva qualche pezzo acustico in cui Carlton fa sentire un po’ del suo manico, anche se la batteria non sem-bra ingranare fino in fondo. Il concerto si chiude con un brano mol-to intimo, solo lui sul palco con la chi-tarra, caratterizzato da un gusto sem-plice che non manca allo stesso tempo di trasmettere tutto l’amore per lo stru-mento e gli anni passati al suo fianco. Fin qui ho avuto modo di ascoltare una performance valida, ma non da rima-nere a bocca aperta, paragonandola anche ad altre esibizioni cui avevo a-vuto occasione di assistere. Decido di fermarmi e vedere l’inizio

© SERVIZIO FOTOGRAFICO: ALESSANDRO ZANARI PE

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CINEMA

BOX OFFICE (dati espressi in euro)

Con questo film Luc Jacquet ci porta per mano in una storia meravigliosa, in cui lo straordinario incontro tra una volpe e una bambina dai capelli rossi sfocerà in un’a-micizia più che speciale. L’ambientazione è quella di un mondo in parte dimentica-to, quello della natura, fatto di colori, suoni ed odori ormai persi, che la forza dello schermo è invece capace di rievocare, come un ricordo lontano nelle nostre men-ti annebbiate dal quotidiano grigiore della città. La favola del regista francese arric-chisce i cuori di chi riesce ad incontrare la natura attraverso questa pellicola. Il ritmo del girato segue l’andamento della vita della foresta e dei suoi abitanti. L’occhio deve quasi abituarsi ad una realtà fuori dal tempo e dallo spazio, deve superara le barriere immaginarie poste dalla frenesia dell’uomo di città che percepisce ovunque, e che solo la purezza di una bambina può far svanire attraversando boschi, torrenti, grotte ed il buio della notte. Il messaggio appare molto forte per il pubblico adulto ed educativo per i più piccoli, ovvero quel-

lo di guardare il mondo della natura con oc-chi nuovi e di stimolarci a fare qualcosa di concreto, perché la vita sulla terra continui in tutta la sua diversità e bel-lezza. La voce narratrice è di

Ambra Angiolini, particolarmente dolce, da vera cantastorie, anche se il dialogo appare a volte ridondante con quanto viene comunicato dalle immagini; gli stes-si bambini seduti nelle loro enormi poltro-ne lo percepiscono, in tutta la loro sponta-neità. Questo film ha molto in comune con il libro del "Piccolo principe", di An-toine de Saint Exupery, soprattutto nel momento in cui la bambina confonde l’a-more per la volpe con il suo possesso. Nel profondo della natura in contrasto con i valori dell’apparire del nostro quotidiano, capiamo quanto sia vero che l’essenziale è invisibile agli occhi.

I padroni della notte visto da Marco Fontana

Il confronto all'interno della fa-miglia è duro ma quando il pa-dre viene ucciso proprio dalla mafia e Bobby è presente sulla scena del delitto la situazione cambia. I fratelli si riavvicinano per vendicarne la morte. Dopo una mezz’ora di premesse in cui vengono ben presentati i personaggi e il loro background, il film scritto e diretto da James Gray (The Yards, Little Odessa) comincia quello che potremmo definire un vero pamphlet del poliziesco. Molti dei capisaldi narrativi del genere vengono infatti affrontati da una storia che continuamente spiazza lo spettatore. Dal conflitto familiare alla prote-zione testimoni, dall’infiltrato al regolamento dei conti, dalla crisi di coscienza al tradimento: gli equilibri interni si rimescolano

senza soluzione di sosta. “I padroni della notte” risulta così un film vecchio stile, da America anni ’70 e ‘80. Non è certo un capolavoro, ma merita una visione e gli appassionati del ge-nere non resteranno delusi.

Voto 7

Due fratelli e un padre. Così si po-trebbe sintetizzare la trama del film. Un padre (Robert Duvall) che è uno dei più rispettati poliziotti di New York e due figli Bobby (Joaquin Phoe-nix) e Joseph (Mark Wahlberg) che più diversi non potrebbero essere. Bobby (che ha anche ripudiato il co-gnome paterno) gestisce un locale equivoco centro di traffici poco leciti della mafia dell'Est. Joseph che ha seguito le orme paterne entrando in polizia.

La volpe e la bambina visto da Luca Silvio Battello

«E’ una storia che spiazza continuamente

lo spettatore»

1° NATALE IN CROCIERA 23.461.775,34 2° SHREK III 20.239.801,30 3° UNA MOGLIE BELLISSIMA 20.029.903,74 4° RATATOUILLE 17.466.696,00 5° I SIMPSON (IL FILM) 16.204.102,15 6° IO SONO LEGGENDA 13.850.688,58 7° SCUSA MA TI CHIAMO AMORE 12.656.561,69 8° AMERICAN GANGSTER 9.953.046,53 9° MATRIMONIO ALLE BAHAMAS 9.814.547,10

FONTE:

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Page 31: Acido Politico

WATERLIFE

Gli abitanti di uno slum a Nuo-va Delhi ricevono l’acqua da un’auto-cisterna che ogni gior-no distribuisce migliaia di litri. La siccità ha colpito gran parte dello stato indiano e si affaccia lentamente nelle periferie

(MICHAEL FREEMAN)

DIRTY WATER

Due ragazzini sudanesi bevono l’ac-qua da uno stagno attraverso spe-

ciali cannucce filtranti (MICHAEL FREEMAN / AURORA)

C’ERA UNA VOLTA

Un’imbarcazione giace su quello che prima era il quarto lago più grande del mondo: l’Aral. Negli ultimi decenni ha perso i due terzi delle sue dimensioni. Uno dei segni tangibili della crisi i-drica che coinvolge il pianeta

(GERD LUDWIG)

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