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ACNotizie 3/4-2010

Date post: 23-Mar-2016
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ACNotizie 3/4-2010
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BIMESTRALE DELL'AZIONE CATTOLICA DI BRESCIA ANNO XXIV 3.4 | 10 REG. TRIB. DI BRESCIA N. 40/1984 DEL 22.12.1984 SPED. IN A.P. - D.L. 353/2003 (CONV. L. 27/02/2004 N. 46) ART. 1, COMMA 2 DCB BRESCIA CONTIENE I.R. Ex voto La partecipazione crolla, nella vita civile come in quella ecclesiale. La gente si chiude nel privato e sembra cercare contatti più che relazioni. Non c’è più spazio per l’impe- gno per il bene di tutti? Alcune esperienze dicono di no.
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Bimestrale dell'azioneCattoliCa di BresCia

anno XXiV

3.4|10

Reg. TRib. di bRescian. 40/1984 del 22.12.1984

sped. in a.p. - d.l. 353/2003(conv. l. 27/02/2004 n. 46)

aRT. 1, comma 2 dcb bRescia

conTiene i.R.

Ex votoLa partecipazione crolla, nella vita civile come in quella ecclesiale. La gente si chiude nel privato e sembra cercare contatti più che relazioni. Non c’è più spazio per l’impe-gno per il bene di tutti? Alcune esperienze dicono di no.

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Bimestrale dell'azioneCattoliCa di BresCia

anno XXivn° 3/4 maggio-agosTo 2010

diReTToRe Responsabile:graziano biondi

Redazione:sarah albertini, michele busi,

giovanni Falsina, mariangela Ferrari,paolo Ferrari, beppe mattei,

massimo orizio, annachiara valle,luciano zanardini

diRezione e Redazione:via Tosio 1 - 25121 brescia

tel. 030.40102 - fax [email protected]

FoTo:alessandro chiarini, luisa colosiogiorgio baioni, pierangelo Traversi

ediTRice:azione cattolica italiana

consiglio diocesano di brescia

pRogeTTo gRaFico:maurizio castrezzati

Realizzazione:cidiemme - brescia

sTampa:Tipografia camuna s.p.a.

il presente fascicolo di "aCi notizie"è stato stampato grazie ancheal contributo della Fondazione

Banca san Paolo di Brescia

www.acbrescia.it

gli indirizzi dell’associazione

[email protected]

[email protected]

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[email protected]

editoriale

Con la giornata formativa per presidenti e responsabili - fissata per il prossimo 18 settembre a Villa Pace - e con l’Assemblea di inizio d’anno - che avrà luogo domenica 19 a Palazzo San Paolo - inizia per l’AC il percorso assembleare.Questo sarà scandito da tappe a vari livelli:da quello parrocchiale, a quello diocesano (l’Assemblea diocesana si svolgerà il 26-27 febbraio),a quello regionale (26 marzo)a quello nazionale (dal 6 all’8 maggio).

Assemblee parrocchialiLe scadenze più vicine riguardano le assemblee parrocchiali che avranno luogo da ottobre a dicembre.Come sappiamo, il percorso delle assemblee non è un passaggio burocratico da vivere come un momento ‘dovuto’ e ‘formale’. Si tratta piuttosto di un sano esercizio di corresponsabilità, un momento importante per rafforzare i legami associativi, individuare i nuovi responsabili, ma soprattutto ridirci le motivazioni della nostra scelta associativa. Inoltre è anche l’occasione per mostrare la bellezza dell’AC a coloro che nelle nostre comunità non la conoscono.Perché sia fruttuosa, è opportuno che l’assemblea parrocchiale giunga al compimento di un percorso costituito da più incontri, un percorso che coinvolga tutti, dai più piccoli ai più grandi.Il Consiglio diocesano, che già quest’annosi è impegnato nell’affiancamento delle associazioni parrocchiali, sarà presente con alcuni membria queste tappe che si svolgeranno a livello parrocchiale.Verrà inoltre predisposto in queste settimaneun documento di lavoro sul quale riflettere insieme.

Cammino assembleareIl cammino assembleare, che ci porterà ad individuare le scelte fondamentali per il triennio 2011-2014,non può che prendere il via da una verifica del percorso svolto nel triennio che si va a concludere.È opportuno perciò riprendere in mano il documento assembleare e riflettere, attraverso uno sforzo comunedi discernimento, sulle scelte compiute,su cosa è rimasto a metà o inattuato e su come affrontarele nuove sfide che attendono l’AC.Sappiamo che la vita associativa non è avulsadal contesto ecclesiale e da quello sociale.Per questo il nostro cammino di preparazione non dovrà prescindere anche da una riflessione sulla situazione della chiesa e della società bresciana.La domanda che ci deve accompagnare è in fondo quella che anche tre anni fa ci siamo posti all’inizio del percorso assembleare, e che sempre dovrebbe essere tenuta presente nei momenti delle scelte importanti:quale Azione Cattolicasiamo chiamati dal Signore ad essere oggi?

michele Busi

Camminare insieme

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I numeri soprattutto quando sono complessi, risultano facilmente manipolabili. Si può far dire loro anche quello che non dicono. Si possono sopravvalutare

quando le cose vanno bene (“Abbiamo i numeri!”), sal-vo ripiegare in difesa quando vanno male (“pochi ma buoni”, “conta la qualità, non la quantità”). Oppure si può fare di necessità virtù, come ha fatto la Chiesa italiana negli ultimi anni: molto meglio una minoran-za molto influente sulla politica che una maggioranza inerte e silenziosa.Eppure ci dovrà essere un momento in cui ascoltare le cifre e guardare ai dati reali più che a quelli gonfiati. Ce l’ha dimostrato il brusco risveglio del premier italiano, che improvvisamente, numeri alla mano, non ha più potuto negare che ci fosse la crisi o che fosse ancora rischiosa. Ma, anche più vicino a noi, ricordare alcuni numeri è un modo efficace per non lasciarsi confondere dalla cortina fumogena dell’attivismo o sommergere dalla panna mon-tata di una comunicazione costruita a base di superlativi che prima o poi si sgonfia.Abbiamo provato ad accostare alcuni numeri che sembra-no confermare una tendenza al riflusso nel privato e alla fuga dalla partecipazione, nella chiesa e nella società. Non sono stati diffusi dati ufficiali ma, come spiega Luciano Zanardini nell’intervista a don Pierantonio Lanzoni, la partecipazione al rinnovo dei Consigli pastorali parroc-chiali è stata deludente: in alcune parrocchie, le più gran-di, adesioni intorno al 3% di praticanti; in quasi tutte, la difficoltà a trovare candidati. Ma se dall’ambito ecclesiale ci spostiamo a quello politico, come dimenticare il record di astensionismo delle ultime elezioni regionali, con solo il 63,6% di votanti?La scarsa partecipazione alla vita di scuola e universi-tà è ormai cronica: negli atenei la media di votanti per eleggere il Consiglio nazionale degli studenti universitari a maggio si è aggirata al 10%. Nelle scuole dell’obbligo la presenza attiva di genitori e studenti è sempre di una pic-colissima minoranza, mentre paradossalmente gli istituti chiedono sempre più contribuiti economici alle famiglie

tanti ma buoni

il te

ma

per “mandare avanti” la gestione ordinaria, dalla cancel-leria alla carta igienica. Se poi pensiamo alla crisi di rap-presentanza dei sindacati, che tra i tesserati hanno una quota sempre più alta di pensionati rispetto ai lavoratori attivi, si capisce come anche nel mondo del lavoro la par-tecipazione non sia più una virtù: molto meglio portare a casa risultati individuali che sopportare i costi di un’azio-ne collettiva. Potremmo citare ancora la crisi degli strumenti di rap-presentanza (per fare un esempio, alle elezioni dell’Or-dine dei giornalisti della Lombardia, pochi mesi fa, hanno partecipato 1.800 persone su oltre 21.000 iscritti, ma è un fatto normale); i colpi mortali inferti dagli scandali della Protezione civile a un impegno volontario che in tempi di calamità ha rappresentato un grande momento di co-scienza civile e di scuola di solidarietà; i “risparmi” intro-dotti dalla Finanziaria per il Servizio civile, che rischiano di tagliare 7.000 volontari a una delle poche esperienze nazionali con indubbio valore educativo. E, per concludere questo elenco a tinte fosche senza indugiare solo sui mali altrui, potremmo guardarci in casa e considerare il calo progressivo di tesserati che l’Azione Cattolica a Brescia continua a subire. Le risposte e le diagnosi possono oscillare tra le respon-sabilità dei singoli e la burocratizzazione delle istituzioni o la nausea della politica. Ennio Pasinetti ce ne offre più avanti una lettura convincente. Non ci interessa, tuttavia, fare le Cassandre e cedere al pessimismo, ma di aprire gli occhi e vedere se c’è ci sono segnali in controtendenza. Noi, grazie a un piccolo sondaggio informale, ne abbiamo trovati alcuni e ci piace pensare che siano, come dice una pubblicità della televisione, “tanti ma buoni”. Li propo-niamo come segnale di speranza, come strade da provare a percorrere. Se mai il dubbio è che, senza una cultura che le sostenga e le guidi, siano velleitarie o non riescano a creare quella mentalità della partecipazione, della re-sponsabilità, dell’impegno per il bene comune che alcuni grandi soggetti nel passato hanno saputo creare. Ma da qui occorre partire. __

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di Luciano Zanardini

I l 18 aprile la Chiesa bresciana ha rinnovato i consigli pastorali parrocchiali. I dati della parte-

cipazione non sono incoraggianti e inducono a una riflessione più ge-nerale, soprattutto se si considera il consiglio pastorale come specchio della comunità. In questa intervista don Pierantonio Lanzoni descrive il quadro delle realtà parrocchiali.

Si va da un 3% a un 30%. Questa la percentuale degli elettori per il rin-novo dei consigli pastorali parroc-chiali. Stanchezza e disaffezione so-no queste le cause di quella che si può considerare una patologia. Bi-sogna, però, sottolineare che alcuni hanno espresso un giudizio positivo sul rinnovo con un buon entusiasmo generale grazie anche alla presenza dei giovani. Luci e ombre, insom-ma. I dati sono stati raccolti dai vi-cari zonali delle 32 zone pastorali e sono stati presentati il 2 giugno. Fra le spiegazioni c’è chi ha giustificato il calo dei partecipanti al voto con il calo dei frequentanti. Abbiamo chie-sto a don Pierantonio Lanzoni, dal 1999 direttore diocesano dell’Ufficio organismi ecclesiali di partecipazio-ne, di aiutarci a fare una fotografia della situazione.Don Pierantonio, da una prima analisi sul territorio si possono trarre segnali positivi in merito alla

piccole sono maggiormente portate a un’idea di comunità, in situazioni dove la parrocchia è l’unica realtà di riferimento rimasta sul territorio. Nonostante le difficoltà, rappresen-tano comunque delle oasi di parteci-pazione: non hanno il gettone di pre-senza, non garantiscono carriere, ma semplicemente sono volontariato allo stato puro. La gente non è insensi-bile a questi discorsi: semplicemen-te le stanchezze dei consigli sono le stanchezze dei sacerdoti. Il consiglio pastorale è un po’ lo specchio delle comunità.Secondo lei cosa sta succeden-do?Non si sa quanto effettivamente si vo-glia la partecipazione, quale investi-mento si stia facendo o se, invece, si stia favorendo l’allontanamento. Va, però, precisato che a Brescia abbia-mo una tradizione di tutto rispetto sui consigli pastorali, perché siamo una delle diocesi messe meglio in Italia. Abbiamo una storia che par-te subito dopo il Concilio: siamo sta-ti, infatti, una delle prime ad avere i consigli pastorali. Abbiamo un pa-trimonio notevole di persone che si sono sempre impegnate su questo versante. Le lacune che emergono sono delle spie che descrivono un fenomeno più vasto: la crisi dei fre-quentanti o, per prenderla più alla larga, una crisi della partecipazione

la grandestanchezzaDal rinnovo dei Consigli pastorali emerge un climadi disaffezione sia da parte dei laici che dei preti.Cosa succede? Parla don Pierantonio Lanzoni

il tema

partecipazione alle elezioni per il rinnovo dei consigli pastorali par-rocchiali?I dati sono problematici: possiamo dire che non c’è stato un grande en-tusiasmo. Con una tendenza che si ripete: una partecipazione notevole nelle piccole parrocchie, una non ec-cessiva in quelle grandi. Emerge un clima di stanchezza e di disaffezione sia da parte dei preti che dei laici.Che motivazioni si possono dare?I preti li sentono un po’ come orga-nismi pletorici, che devono essere trascinati.Non perché non vogliano (non sia-mo più nella stagione in cui questi organismi venivano visti in contrap-posizione al prete), ma abbiamo fe-nomeni di parrocchie che non sono riuscite a formare la lista di candida-ti (non c’erano persone disponibili). Emerge di fondo una stanchezza e una disaffezione generale.Ci sono anche realtà che hanno lavorato bene?Alcune parrocchie hanno espres-so un giudizio positivo sul rinnovo con un buon entusiasmo generale e una partecipazione generale. Ab-biamo situazioni di scollamento e di disaffezione alla vita diocesana. I consigli pastorali hanno fatto fatica ad attecchire, ma fondamentalmen-te sono partiti. Da questo quadro si evince che le parrocchie un po’ più

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con la gente che abdica e delega ad altri i propri compiti.Se andiamo nello specifico dei con-sigli pastorali non possiamo dire che non si sapeva…Non c’è interesse, non c’è entusia-smo, perché, forse, questi organismi non hanno ancora capito bene quale sia la loro identità e funzione. In que-sti anni in base alla mia esperienza ho sempre affermato che fatti i con-sigli, bisognava fare i consiglieri. Se i consiglieri non hanno un determina-to identikit, è chiaro che l’organismo in sé non funziona.Si ha quasi l’impressione che mol-ti non abbiano ancora compreso fino in fondo quale sia la funzio-ne degli organismi di partecipa-zione?Quando incontro i consigli pastorali suggerisco di fare pochi incontri, ma di farli bene. Fatene quattro in un anno: uno all’inizio, due in mezzo e uno alla fine dell’anno pastorale. Il Consiglio pastorale deve seguire le linee di fondo, non deve perdersi a discutere sul colore delle bandierine della festa dell’oratorio. La pastorale non può essere ridotta all’orario delle messe o al percorso della processio-ne. La vera identità, la vera natura non è ancora stata definita.Adesso quali possono essere le con-tromosse?La Chiesa ci presenta degli strumen-

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la ParteCiPazionenella Chiesa

da organismi collegiali a organismi ecclesiali di partecipazione. non è una me-ra questione terminologica, ma indica una sostanza. il 18 aprile la chiesa bre-sciana ha rinnovato gli organismi di partecipazione, partendo dai consigli pa-storali parrocchiali. il rinnovo richiede una consultazione della base attraverso un meccanismo di partecipazione; una parte del consiglio pastorale è, invece, di nomina del parroco. da aprile a fine giugno era previsto, inoltre, il rinnovo di un altro organismo di partecipazione: quello degli affari economici. Fonda-mentalmente i membri sono indicati dal parroco, che può scegliere in base alle competenze economico-amministrative; da qualche anno poi due membri del consiglio pastorale entrano nel consiglio affari economici per agganciare nel loro percorso i due organismi. in settembre verrà, chiesto a ogni parrocchia di mandare un suo rappresentante per la zona; dalle zone poi, entro novembre, dovranno essere indicati i 32 membri del consiglio pastorale diocesano. Tutti questi organismi hanno una durata di cinque anni. va da sé, quindi, compren-dere che in un momento storico importante (si pensi solo alla definizione delle unità pastorali), questi organismi assumo un’importanza strategica. vengono, però, spesso visti solo come un ulteriore sacrificio, di cui si farebbe volentie-ri a meno.

ti per la partecipazione alla vita della comunità. Di per sé a livello di codice di diritto canonico i consigli pastorali parrocchiali sono facoltativi, mentre sono obbligatori quelli degli affari eco-nomici. Spetta al Vescovo indicare se li vuole, poi il resto è una questione di disciplina ecclesiale. Ci sarà un moni-toraggio per osservare quelle parroc-chie che non hanno rinnovato i con-sigli pastorali e quelle che non stanno seguendo la linea diocesana.Quanto si rischia di perdere di vi-sta le novità introdotte dal Conci-

lio? Perché un laico dovrebbe “par-tecipare”?Un laico partecipa in funzione della sua coscienza battesimale. La Chiesa ha accolto l’input che veniva dalla so-cietà civile. Si apre, ad esempio, an-che una difficoltà legata a una forma di partecipazione al discorso econo-mico nella Chiesa: l’otto per mille è rinviato ai fedeli, anche questo è una forma di partecipazione.L’otto per mille e il Sovvenire parto-no dall’idea del sentire la parrocchia come casa propria. __

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segnalidi fumoSi auspicano nuove forme di democrazia, ma non si dà ancora dignità a forme autonome di azione civica che sono già una realtà. Serve una cultura che le leghi

di Ennio Pasinetti

I l livello e la qualità della parteci-pazione sono in ogni società i pa-rametri della “salute democrati-

ca” di una comunità civica. Non ci sono dubbi su ciò; semmai, come sempre, la domanda è: la crisi o la mancanza di democrazia è questione che ci interpella come credenti ov-vero (se mai la distinzione fosse pos-sibile) solo nella nostra dimensione pubblica di cittadini?

Il discrimine è la qualità

Partiamo dal dire subito che non c’è democrazia senza politica. Non ba-sta, però, una politica qualsiasi. Oc-corre una politica veramente dedita al bene comune. E ciò è possibile solo se ci si preoccupa anche della “qua-lità” dell’agire politico e, dunque, si mette davvero in atto una politica di qualità.Democrazia e politica sono “neces-sarie”. Lo sono tanto più in un mon-do dove la democrazia tradizionale è messa in crisi dai “nuovi poteri” e dove “nuovi scenari” rendono più difficili l’azione politica e il persegui-mento della democrazia.Così leggiamo nell’enciclica Cente-simus annus del 1991: «La Chiesa apprezza il sistema della democra-zia, in quanto assicura la partecipa-zione dei cittadini alle scelte politi-che e garantisce ai governati la pos-sibilità sia di eleggere e controllare i

l’egoismo del dominio e degli interes-si prevalga sulle esigenze essenziali della morale politica e sociale, e che le vane apparenze di una democrazia di pura forma servano spesso come di maschera a quanto vi è in realtà di meno democratico». In questo sce-nario, emerge una volta di più l’irri-nunciabile necessità di affermare, salvaguardare e realizzare il “primato della politica”, di una politica – ovvia-mente – degna di questo nome.È principalmente compito della po-litica – un compito oggi faticoso e complesso – ricostituire e mantenere una democrazia reale e sostanziale, una democrazia cioè che, oltre a es-sere un “metodo”, si presenta ed è riconosciuta come un valore decisivo per esprimere la stima, l’apprezza-mento, il giudizio di verità e di bene sull’uomo. Reale e sostanziale non può essere una democrazia che ha sostituito alla piazza l’agorà virtuale dei media-utenti, perché se la piaz-za della manifestazione o del comizio denota il rischio della massificazione, dell’umore collettivo che si sostitui-sce al giudizio critico personale, la platea mass-mediatica porta questo rischio all’estremo, annullando l’in-dividuo che viene interpellato solo per esprimere un istinto, che ver-rà classificato, etichettato e plagiato dentro un sondaggio, surrogato im-proprio della partecipazione.

Eppure... Eppure si muovono segna-li minuti, che sarebbe colpevole non cogliere.

Un paradosso?

Si discute molto, in Italia, in Europa e nel mondo, della necessità di una nuova democrazia partecipativa, ca-pace di rimettere i cittadini al centro della gestione della cosa pubblica e di superare il “circolo vizioso della sfiducia”, per cui il mondo della po-litica subisce la crisi di fiducia della cittadinanza e a sua volta esprime verso di essa disprezzo e superiorità, generando nuova e più forte sfiducia nei cittadini. Ipotesi e tentativi, promossi o soste-nuti (paradossalmente) per lo più dalle istituzioni, godono in questo

propri governanti, sia di sostituirli in modo pacifico, ove ciò risulti oppor-tuno» (n. 46). Ma qual è, oggi in particolare, la si-tuazione reale? Quella che oggi noi viviamo è democrazia autentica? Do-vremmo chiederci se è reale tale pos-sibilità di «partecipazione dei cittadi-ni» e se il potere da «controllare» sta tutto nelle mani di chi governa o non sta sempre più spesso altrove. Eppu-re la partecipazione dei singoli e dei popoli alle decisioni che li riguardano risulta fondamentale e irrinunciabile perché ci possano essere progresso, sviluppo e pace.Il prevalere o, peggio ancora, l’asso-lutizzazione del potere finanziario, tecnocratico e mediatico – che spesso esprimono e concorrono a consolida-re una concezione culturale distorta, se non errata, dell’uomo e della so-cietà –, come pure il prevalere del po-tere di alcune indebite oligarchie mi-nacciano la democrazia, rinnegano la verità dell’uomo, creano ingiustizia, spengono la solidarietà, riducono la libertà, limitano le possibilità di tutti, feriscono il bene comune.

Il primato della politica

Era questo il rischio che già preve-deva e denunciava Pio XII nel suo Radiomessaggio natalizio del 1944. «Sorgerà – così scrive – il pericolo che

il tema

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momento di grande considerazione. Tra questi si possono citare la tema-tizzazione della democrazia parteci-pativa essenzialmente come consul-tazione (ad esempio da parte della Unione europea); il crescente affi-damento che politici e intellettuali fanno sulla “democrazia deliberati-va”, ossia su processi di deliberazio-ne operati da rappresentanze del-la cittadinanza selezionate di solito con un campionamento statistico; gli esperimenti di nuovi strumenti di partecipazione promossi in Italia soprattutto dai Comuni – dai bilanci partecipativi ai bilanci di mandato, dalle iniziative di e-democracy alla progettazione partecipata di misure di governo del territorio o relative ai servizi di interesse generale.Senza nulla voler togliere a queste proposte ed esperienze, va segnala-to che il dibattito sulla necessità di nuove forme di democrazia parteci-pativa si fonda su un paradosso. Es-so è legato al presupposto implicito o esplicito di tale dibattito, che ci sia un declino della partecipazione ta-le da richiedere, appunto, un nuo-vo impulso.Il punto è che nella realtà le cose so-no molto differenti. Quello che sta accadendo, infatti, è che, mentre le forme tradizionali o considerate ca-noniche della partecipazione demo-cratica vivono un effettivo declino e

forse una insuperabile difficoltà (si pensi alla appartenenza ai partiti o all’attività delle loro sedi o sezioni nel territorio), esistono da anni for-me nuove e largamente diffuse di impegno civico che tuttavia non era-no previste e che forse non hanno i caratteri che ci si sarebbe aspettati che avessero.

Tra potenzialità e tentazioni

Ecco il paradosso, quindi: mentre si auspicano nuove forme di democra-zia partecipativa che prendano il po-sto di quelle tramontate o inefficaci, non si riconosce dignità e valore poli-tico a quelle che esistono: forme au-tonome di azione civica come quelle di cui sono protagonisti associazioni, comitati, comunità, movimenti, reti di cittadini organizzati.Aggregazioni nuove e spontanee di genitori che si fanno carico di azioni extrascolastiche, dal Pedibus al do-poscuola, gruppi di acquisto solida-le, banche del tempo, forme di patro-nato attivate da pensionati, gruppi di sensibilizzazione ecologica, volonta-riato su più versanti; una realtà che presenta, tra l’altro, una imponente dimensione quantitativa: 90.000 è la più recente stima della consisten-za numerica di tali organizzazioni in Italia.La loro crescita è concomitante –

chissà se correlata – con la crisi delle forme tradizionali della partecipazio-ne politica. Che esista un tale para-dosso è sicuramente comprensibile, perché le nuove forme di partecipa-zione democratica hanno caratteri-stiche che difficilmente rientrano nei paradigmi tradizionali.Per esempio esse, a differenza dei tradizionali fenomeni aggregativi ri-conducibili alla libertà di associazio-ne politica, e ad onta delle stesse in-terpretazioni che ne sottolineano la vocazione di “privato sociale”, svol-gono un ruolo di attori delle politi-che pubbliche attraverso strategie di advocacy o di costruzione di servizi volte a tutelare diritti o difendere be-ni comuni.Inoltre, nello svolgere questo ruolo in numerosi campi e in generale con un’alta capacità di influire sul corso del policy making, queste espressioni di azione civica tendono a non ave-re alcun rapporto con il potere poli-tico e a essere pressoché irrilevanti nell’arena della politica ufficiale. Più precisamente, la loro rilevanza nella politica ufficiale è inversamente pro-porzionale alla loro rilevanza nelle politiche pubbliche.Il problema di dare luogo a un nuovo corso della democrazia partecipativa è meno quello di creare nuove forme partecipative e più quello di mette-re in relazione e far reagire l'energia civica esistente e la dimensione po-litica, o, se si preferisce, dinamiche della politics e dinamiche delle po-licies. Si tratta di un compito niente affatto ovvio.Esso infatti deve essere in grado di superare il già menzionato “circo-lo vizioso della sfiducia”. Ma si deve anche misurare con le tipiche ten-tazioni degli attori in gioco: quella del potere politico di ridurre la par-tecipazione a fatto di comunicazione pubblica e quella del mondo dell’atti-vismo civico a pensare la propria rela-zione con il potere politico in termini di insuperabile alternativa tra colla-teralismo e antipolitica. Non riuscirci significherebbe lasciare che in Italia continuino a confrontarsi una classe politica senza fiducia e una cittadi-nanza senza rilevanza. __

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il tema | esperienze

Un pozzo al soleun pannello sul tettoL’associazione Borgo Solare di Borgosatollo ha messo insieme le famiglie per installare pannelli fotovoltaici con un occhio all’ambiente e uno alla solidarietà. Una esperienza che ha anche una forte ricaduta educativa

L’associazione Borgo Solare nasce nel 2009 da un gruppo di per-sone di Borgosatollo accomunate dalla convinzione che la tutela per l’ambiente è un bene da salvaguardare. Questa convinzione si è concretizzata in un progetto: incontrare, informare e coordi-nare famiglie interessate all’installazione di un impianto fotovol-taico. Dove trovare famiglie disposte ad investire qualche migliaia di euro nelle energie alternative? E, ammesso di trovarle, come coordinarle? Come scegliere l’impresa giusta? Dove trovare i sol-di? Sono queste alcune delle domande che poi hanno trovato una risposta in un impegno concreto.

Sei passi sul tettoEsistono varie esperienze di Gruppi d’acquisto fotovoltaico, ma forse la particolarità di Borgo Solare, oltre al fatto di destinare lo sconto derivato dalle economie di scala a un’iniziativa di solida-rietà, sta nel fatto di aver fatto tutto da soli senza il coinvolgimento diretto di un’amministrazione e senza un partner tecnico esterno. Da segnalare, inoltre, la crescita umana che questo percorso ha prodotto tra persone che non si conoscevano e che hanno saputo unire le proprie competenze permettendo di raggiungere l’obiet-tivo. Il primo passo è stato di informarsi in merito agli impianti fo-tovoltaici per cui sono state organizzate delle assemblee pubbliche con alcuni esperti. Successivamente, come secondo step è stata fatta la scelta di costituire, autotassandosi per le spese burocrati-che, l’associazione con un direttivo composto da un presidente, vice-presidente, segretario e tesoriere. Il terzo passaggio è stata la raccolta delle adesioni: hanno aderito 15 famiglie. È poi iniziata la quarta fase, quella più operativa: il direttivo ha incontrato sei imprese installatrici e quattro istituti bancari per dare agli associati, oltre a un impianto e prodotti di qua-lità, la possibilità di avere un finanziamento a tasso agevolato per affrontare un investimento economico, paragonabile all’acquisto di un auto di media cilindrata. Si è quindi indetta l’assemblea dei soci (quinta fase) durante la quale sono stati discussi i preventivi e gli aderenti a Borgo Solare hanno scelto la ING di Bergamo con la quale hanno siglato un accordo che prevede un prodotto di prima qualità unito all’esperienza maturata dall’azienda durante la rea-lizzazione di oltre 300 impianti fotovoltaici e l’ottima conoscenza della parte burocratica per accedere al finanziamento in “Conto Energia” erogato dal Gestore dei servizi elettrici (Gse).Da ultimo, nella sesta fase, si è considerato l’aspetto solidale del progetto, condiviso dai soci: la ING srl e l’associazione Borgo So-lare hanno calcolato il valore dello sconto maturato in funzione del numero effettivo di impianti realizzati e dei kWp installati. Tale sconto non verrà rimborsato alle famiglie, ma, al netto del-le spese sostenute, sarà utilizzato per l’acquisto d’impianti per la distribuzione di acqua potabile o per l’illuminazione delle scuole alimentati da pannelli fotovoltaici da destinare a missioni presenti in Africa o America Latina. Per questa abbiamo deciso di chiama-re il nostro progetto “Un Pozzo al Sole”.

Dal sole all’acquaIl 22 marzo, Giornata Mondiale dell’Acqua, la ING ha consegna-to a Cuore Amico il primo “Pozzo al sole”: una pompa alimentata da pannelli fotovoltaici che distribuirà l’acqua a un ospedale, una scuola e a una comunità nel Mali in Africa. Il 14 maggio il direttivo di Borgo Solare ha incontrato l’azienda bergamasca per decretare

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la chiusura del primo lotto e tirare le somme. L’associazione ha coordinato la realizzazione di 14 impianti famigliari per un totale di 52,8 kWp e un impianto industriale da oltre 60 kWp realizzato sul complesso industriale di un associato.Stimolati da una mattinata con le classi V del paese sull’uso dell’energia e sulle fonti rinnovabili, l’Associazione ha incontra-to il direttore didattico del comprensorio di Borgosatollo, presen-tandogli la campagna “Piove sull’asciutto - scuole” volta a sotto-lineare il principio fondamentale dell’acqua come un “diritto” e non una “necessità”. Il direttore ha coinvolto il gruppo docente che volentieri ha aderito al progetto. Sabato 29 maggio durante la festa della scuola è stato presentato a tutti i genitori presenti il progetto “Piove sull’asciutto” che verrà realizzato nel seguen-te modo: la scuola s’impegna a svolgere il prossimo anno un per-corso didattico di promozione e sensibilizzazione all’uso respon-sabile dell’acqua, mentre l’associazione Borgo Solare si impegna ha finanziare la realizzazione del pozzo che porterà il nome della scuola “Don Lorenzo Milani”. L’opera verrà realizzata nel perio-do estivo in Etiopia dall’associazione “Amare” che si è impegna a fornire alla scuola tutta la documentazione che verrà raccolta durante la realizzazione dell’opera. Il 5 giugno tutti i ragazzi delle quinte hanno ricevuto una calcolatrice solare con il logo dell’as-sociazione Borgo Solare e la scritta “Se vuoi andare veloce vai da solo. Se vuoi andare lontano, vai insieme agli altri”.

Le nuove prospettiveOra l’associazione sta valutando la possibilità di realizzare un im-pianto ad azionariato distribuito sul tetto di un edificio pubblico. Il progetto è presto detto: un gruppo di persone realizza una so-cietà che finanzia e realizza un impianto fotovoltaico. L’ammini-strazione mette a disposizione la struttura che per il fatto di essere pubblica gode degli incentivi migliori e cede alla società il credito derivante dal Conto Energia utilizzato dalla società per ripagar-si dell’investimento fatto. L’energia prodotta dall’impianto verrà utilizzata da tutte le strutture pubbliche e verrà pagata alla socie-tà che ha realizzato l’impianto la metà del prezzo di mercato. In questo modo l’amministrazione risparmia sulla bolletta elettrica, la società ottiene una rendita sull’investimento fatto e l’ambiente una riduzione dei gas inquinanti immessi in atmosfera. La prima esperienza di questo tipo è quella che si sta realizzando a Castel-leone in provincia di Cremona con la società Dosso Energia. Per info [email protected]. Gianmario Facchi

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Gas Mazzano, il volano della partecipazioneLa concretezza e la tangibilità dei risultati e la dimensione locale sembra essere la chiave di lettura dell’attivazione di persone che non hanno alle spalle esperienze di impegno collettivo. Come evitare la sola difesa di interessi egoistici o localistici?

Pur essendo una realtà diffusa da molti anni anche nella nostra provincia, i Gruppi di acquisto Solidale (Gas) sono in costante crescita. E questo nonostante la crisi che soffrono moltissime as-sociazioni e altre forme di partecipazione diretta. Spiegare questo fenomeno non è senz’altro facile, ma può venirci in aiuto riflettere sulle conseguenze dirette che possono essere percepite o meno come risultato del proprio impegno. All’inizio del decennio passato si registrò un aumento molto signi-ficativo della partecipazione in movimenti, iniziative e attività lega-te al tema della pace; si pensi alle migliaia di bandiere della pace appese alle nostre case o alla grandissima partecipazione a marce o manifestazioni a tutti i livelli. Purtroppo tutto questo movimento non è riuscito a modificare le scelte relative alle guerre in Afgha-nistan o in Iraq. Forse anche questo sta alla base di un indubbio calo dell’interesse per alcune questioni dove si fatica a percepire il risultato concreto e tangibile del proprio impegno.E forse è invece proprio questo uno dei motivi per cui il Gruppo di acquisto solidale continua a riscuotere successo. Grazie a un contatto e a un rapporto diretto con i produttori fin da subito è percepibile come le scelte di consumatori vadano a favorire un certo tipo di economia: rispettosa dell’ambiente, dei diritti dei la-voratori, della legalità e della qualità. Ecco allora un ingredien-te importante per capire cosa sta alla base della partecipazione attiva delle persone oggi: toccare con mano i risultati delle proprie azioni. Certo su molte tematiche diventa particolar-mente difficile innescare questo meccanismo, ma può essere un primo passo da fare per arrivare a una maggior volontà di impe-gnarsi su questioni di portata più generale. Tento di spiegarmi con alcuni esempi.Al Gas al quale appartengo, quello di Mazzano, fondato da pochi mesi e ancora allo stato embrionale, partecipano alcune perso-ne che non si sono mai impegnate direttamente in nessun tipo di associazioni, movimenti o partiti. Non hanno mai organizzato iniziative, eventi, campagne di sensibilizzazione. Eppure il perce-pire attraverso l’attività quotidiana del gruppo di acquisto solidale che le proprie azioni possono avere un beneficio diretto per la col-lettività (diventando quindi azioni “politiche” in senso lato), li ha invogliati a impegnarsi in prima persona su questioni più sociali o politiche, come la campagna di sensibilizzazione e di raccolta firme per il referendum sull’acqua come bene comune. Ma pen-so anche ai tanti comitati ambientali che sono nati nei paesi per questioni prettamente locali (la discarica, la cava, l’Italcementi, l’inceneritore, il ripetitore del cellulare ecc.), che sono stati una “scuola di partecipazione” per molte persone che fino ad allora non si erano mai impegnate direttamente nel sociale o nel politi-co, ma che attraverso questa attività hanno scoperto la passione per la partecipazione. Naturalmente l’attenzione alla dimensione locale non deve essere fine a se stessa, ma può essere utilizzata come strumento per ar-rivare a una maggior partecipazione e consapevolezza su questio-ni che riguardano l’intera società. Parafrasando questo concetto, l’obiettivo del comitato ambientale che si batte contro la discari-ca, non può essere quello di farla aprire nel paese vicino e non nel proprio, ma di prendere consapevolezza e di mettere in cam-po una serie di azioni più globali sul problema dello smaltimento dei rifiuti e dell’inquinamento che questo produce.

Roberto Toninelli

Il capitale delle relazioniCinquanta storie esemplari di una retedi economia solidale

In Italia sono ormai un migliaio i “gruppi d’acquisto solida-li”: persone che fanno la spesa insieme, scegliendo prodotti “etici” e creando relazioni di fiducia con chi li produce. Ma i Gas sono solo la “rete” più nota: il volume di Altreconomia “Il capitale delle relazioni” è una straordinaria raccolta di espe-rienze di “reti di economia solidale”, un movimento che si batte per una nuova economia, che abbia per base, appunto, il “capitale delle relazioni”. Ma i Gas sono solo la “rete” più nota: il libro spiega, attraverso 50 storie e schede, come si fa a organizzare una rete di economia solidale. Come avviare ad esempio un Gas nel proprio condominio o ufficio, come progettare una “filiera corta” insieme al contadino del campo accanto, “saltando” gli intermediari. Quali sono gli strumenti essenziali per passare dai grandi centri commerciali a una “Piccola Distribuzione Organizzata”, e quali passi muovere per organizzare nella propria città una fiera del consumo cri-tico e sostenibile. Come formarsi e informarsi e soprattutto come “mettere in rete” queste iniziative, con l’obiettivo di costituire sul proprio territorio un vero e proprio “Distretto di economia solidale”. Uno sguardo concreto sull’economia delle relazioni in Italia. Il Tavolo per la Rete italiana di eco-nomia solidale promuove lo sviluppo dei Des, Distretti di eco-nomia solidale, per favorire nascita e sviluppo di esperienze d’economia solidale. Il libro raccoglie i contributi di 35 autori, rappresentativi del movimento italiano e globale.

“Il capitale delle relazioni. Come creare e organizzare un gruppo d’acquisto e altre reti di economia solidale, in 50 storie esem-plari”, a cura del “Tavolo per la Rete italiana di economia soli-dale”, 200 pag. 14 euro. Da giugno 2010 in libreria, il testo può essere acquistato anche nelle botteghe del commercio equo e solidale e sul sito di Altreconomia: www.altreconomia.it/libri. Il libro è disponibile con il 30 per cento di sconto per i membri dei gruppi d’acquisto che lo acquistano collettivamente.

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Per fare un fiore,ci vuole un un tappoL’esperienza dell’Age del Villaggio Serenoha coinvolto genitori e bambini per raccogliere la plastica più preziosa di quella delle bottiglie. Il ricavato è andato per la gestione e la curadel verde della scuola del quartiere,affidato a famiglie e alunni.Un’esperienza di mobilitazione e di partecipazione che ha lasciato il segno

Poteva semplicemente essere una iniziativa di autofinanziamen-to: si è rivelata essere qualcosa di più, e vediamo il perché. Vedia-mo, soprattutto, come un’associazione di genitori può essere, nel territorio, occasione per l’animazione della comunità, per solle-citare una visione progettuale e sistemica. Inizialmente, dunque, una raccolta di tappi di plastica: l’associazione chiede ai genito-ri di conservare tappi di plastica, perché saranno rivenduti. Lo scopo iniziale è raccogliere fondi per le attività dell’associazione. Gradualmente ci si mobilita e molti si interrogano circa l’utilizzo di questi tappi; è occasione per un’informazione sulla possibilità di riciclo di una plastica considerata più pregiata di quella delle bottiglie, da recuperare a parte. Con questa plastica, opportuna-mente trattata si fanno oggetti, oltre che altri tappi.Dunque, ecco alcuni primi traguardi raggiunti, quasi inconsape-volmente: l’associazione “mette in movimento” i propri soci, che

coinvolgono altri genitori. L’associazione si fa meglio conoscere, perché molti chiedono notizie sulle sue attività. Si diffondono pri-me informazioni sulla possibilità e utilità di riciclare oggetti che altrimenti finirebbero in discarica, in inceneritore, spesso ai bordi delle strade, anche del Nord. L’Associazione Genitori comunica in seguito (producendo un sem-plice volantino) che la somma raccolta verrà utilizzata per azioni all’interno della scuola: si incentiva, dunque, la motivazione alla raccolta, anche negli insegnanti. E si rafforza il circuito virtuo-so dell’educazione ambientale, anche informale (perciò più ef-ficace?). Proseguendo nella conservazione domestica dei tappi (l’obiettivo è la consegna in una certa data, all’esterno della scuo-la), si ingenera l’abitudine, elemento necessario perché un gesto divenga forma, pratica quotidiana: recuperare e riciclare (insieme alle altre “erre” di rispettare e riutilizzare sono verbi essenziali per l’ambiente) devono essere uno stile consueto, che si appren-de fin da bambini.Intanto l’associazione definisce meglio i passi successivi: il denaro raccolto verrà utilizzato per acquistare sementi e fiori, al fine di abbellire il giardino della scuola. Per abbellire il giardino si orga-nizzerà una giornata, nel mese di maggio, nella quale i bambini, gli insegnanti, i genitori, si dedicheranno al giardinaggio. L’evento verrà preparato nei giorni precedenti, con la preziosa collabora-zione degli insegnanti: ogni classe adotterà qualche metro qua-drato di giardino (ricordiamo tutti il rapporto fra il Piccolo princi-pe e i fiori?). Nel territorio c’è una cooperativa sociale che opera con disabili adulti e gestisce una piccola serra: perché non coin-volgere anche loro? L’idea è assai apprezzata dagli educatori del-la cooperativa. Ecco dunque pronto uno slogan: con i tuoi tappi, nascono i fiori.Rimettendo a fuoco altri traguardi, è raggiunto l’obiettivo del coin-volgimento attivo della scuola, in particolare dei bambini e degli insegnanti. È raggiunto anche l’obiettivo del coinvolgimento nel “patto territoriale” di una realtà sociale viva nel territorio, che

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consentirà una concreta esperienza di conoscenza e incontro con la “differenza”. Si giunge dunque alla mattina della consegna dei tappi: uno a uno giungono bambini e genitori, fuori dalla scuola, con il loro sacchetto. Chi ha dieci tappettini, chi un sacco. Un ge-nitore arriva con un furgoncino e ne scarica una quantità signifi-cativa. Molto bello e simpatico il crocchio dei genitori all’esterno della scuola: una parola tira l’altra, notizie, un poco di curiosità nei confronti di questi genitori Age che oltre alle faccende quoti-diane si occupano anche della scuola. Poi il grande successo del-la mattinata dedicata alla sistemazione del giardino, con la par-tecipazione di moltissimi genitori. Qualche maestra avanza pure richieste aggiuntive: «Voi genitori, attraverso l’associazione, voi che potete…perché non trovate anche alcune panchine? Ci sareb-be una tapparella rotta, e il Comune non viene a sistemare…or-mai siete qui…».Potrei proseguire ancora, ma a tutti i lettori sono evidenti i risulta-ti del processo di graduale coinvolgimento: è soprattutto evidente la differenza tra una iniziativa isolata e una visione progettuale, che risponde ad uno sfondo ideale (la partecipazione, la socialità, la dimensione comunitaria della scuola). La storia non è finita. L’impresario che raccoglie tappi, saputo del processo innescato, si è detto disponibile, l’anno successivo, a sostenere direttamente la spesa per l’acquisto dei fiori (anche lui contagiato dallo slogan).E, terminato l’anno scolastico, chi curerà il giardino? Ai genitori, superate alcune diffidenze (un grande ringraziamento alla Diri-gente, che ha creduto subito all’associazione e all’iniziativa), è sta-ta consegnata la chiave della scuola! Gruppi di volenterosi, nelle serate estive, proseguiranno l’opera di cura, insieme ai bambini. Perché la scuola è di tutti, anche in estate. Perché il bello predi-spone al vero e al buono. Se penso che molte associazioni, in Italia, stanno raccogliendo tappi di plastica (in Veneto, in Lombardia, in Puglia…) mi chiedo: erano davvero solo tappi? Adesso il prezzo a cui sono pagati i tappi è molto calato e forse il gioco non vale più la candela. Ma quei tappi sono ormai diventati fiori. E il più bello si chiama partecipazione.

La scuoladi partecipazionedei genitoriFin dalle elementari il dialogo tra scuola e famiglia può produrre risultati interessanti.Il caso del plesso Torricella,con il progetto nonni e i progetti merendae controllo qualità mensa

A volte si ha la sensazione che l’unica forma di partecipazione dei genitori nella scuola dell’obbligo, sia quella del contributo economico straordinario che sembra diventato necessario per tenere in piedi i servizi essenziali, dalla cancelleria alla carta igienica. Per fortuna, c’è anche dell’altro.C’è chi si impegna in forma associata, come l’Age di cui par-liamo qui a lato, ma anche chi lo fa senza nessuna etichetta, a partire da una responsabilità maturata in varie esperienze di associazionismo che, al momento di vivere da genitori il rapporto con la scuola, fanno scattare il senso di responsabi-lità e l’impegno.È stato così per Cinzia Belotti, giovane mamma del Villaggio Violino, che nell’accompagnare al primo anno di scuola pri-maria il figlio Federico, si è ritrovata subito in prima linea nel rappresentare i genitori e dialogare con maestre e dirigente. Raccontiamo almeno tre delle iniziative, gratuite o finanziate dalle famiglie, che il comitato genitori della scuola del plesso Torricella ha sostenuto, segno tutte e tre delle potenzialità che la partecipazione può liberare.La prima è il coinvolgimento dei nonni all’interno dell’in-segnamento di lingua, per raccontare le esperienze della lo-ro vita in riferimento ai percorsi individuati dalle insegnanti e per poter permettere ai bambini di leggere il loro vissuto con memoria storica, cogliendo le differenze nel modi di vivere dei diversi periodi. Un modo esperienziale di affrontare la di-mensione storica e di educare alla memoria in un tempo in cui il passato continua a essere rimosso o riscritto a seconda di interessi di parte.La seconda iniziativa è duplice e riguarda l’ambito dell’ali-mentazione. Il progetto merenda nasce dalla scelta di non far portare le merendine ai bambini, ma di utilizzare la frutta avanzata in mensa, come spuntino per tutti il giorno successi-vo: è un modo per educare a evitare gli sprechi, per allontanare le discriminazioni tra chi ha di più e chi non può permettersi la briochina, e per abituare a una migliore alimentazione. Il lunedì mattina, quando non c’è frutta avanzata, alcuni volon-tari a turno provvedono a procurare, grazie a un contributo, pane e yogurt per tutti.L’altro progetto è il controllo qualità mensa: due genitori per classe alternativamente mangiano con i bambini, senza preavvisare il Comune. Un modo partecipativo diretto per con-trollare la qualità dei cibi che ha già portato ad alcuni cambia-menti della dieta prevista.La terza iniziativa riguarda l’ambito civile e culturale: da un lato le esercitazioni con i vigili urbani e la Protezione civile, per formare i ragazzi alla responsabilità civica e a gestire le emergenze.Dall’altro il progetto “Opera domani” per avvicinare i bambi-ni alla lirica e al teatro. Tutte le classi si sono tassate per fare in modo che i ragazzi partecipino all’elaborazione di un’ope-ra lirica contemporanea, in cui sono chiamati a imparare al-cune arie che canteranno con l’orchestra al Teatro Grande, insieme agli allievi delle altre scuole, durante una delle pro-ve generali. E poi, ragazzi e famiglie insieme ad assistere allo spettacolo ufficiale.

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il tema | esperienze

Age, anche i genitori crescono insiemeÈ vincente il mix tra aggregazione fra famiglie, azioni concrete a favore dei figli,della scuola e della comunità, informazione e formazione su temi educativi, sensibilizzazione "politica”

A Brescia l’Associazione Genitori (Age) è in crescita e supe-ra nel 2010 i 1.500 soci. Molti, per i nostri tempi; pochi, a fronte del numero di genitori potenzialmente da raggiungere. L’Age ha caratterizzazione locale, perciò i genitori si avvicina-no quando qualcuno, più coraggioso di altri, inizia, formando il primo nucleo. Negli ultimi due anni abbiamo visto sorgere Age a Paderno Franciacorta, a Palazzolo, a Nuvolera, a Tor-bole Casaglia. Nel contempo sono “morte” Adro (un caso...?) e Ghedi. Su mortalità e natalità bisognerebbe indagare. Tutto dipende dalla buona volontà? Dai soliti che “tirano” e poi crol-lano? Certo, vi sono livelli diversificati di appartenenza: chi si associa per il bisogno immediato (mio figlio ha un problema), chi ha un bisogno collettivo (la scuola non funziona; in paese gira droga...), chi ha maturato una scelta di volontariato socia-le ed educativo, chi sostiene ma non si impegna, chi si impe-gna... ma non si associa! L’esempio Age a Brescia è che nelle associazioni che funzionano (segnalo, nel Bresciano, esempi concreti soprattutto come Pontoglio, Ome, Travagliato, Breno, Nuvolera, Villaggio Sereno, Gardone Valtrompia) è vincente il mix: fra aggregazione tra famiglie (c’è bisogno di ri-creare le-gami. Per questo si organizzano uscite, cene, gite, feste, etc); azioni concrete a favore dei figli, della scuola e della comu-nità (brescianamente, ci si aggrega intorno al fare; e un po’ si è stanchi delle parole); informazione e formazione su temi educativi (scuola; adolescenti; dipendenze; tv e internet, etc.); sensibilizzazione “politica” (riforma scuola; politiche familiari; patti territoriali per l’educazione...).Mi preme segnalare come interessante l’interazione fra asso-ciazioni. Capita che qualcuno “nasca” di Azione Cattolica o di Agesci, divenga Age, poi si dedichi alla gestione della scuola materna Fism, poi ritorni a un’associazione... È il ventunesi-mo secolo: oltre le appartenenze specifiche, c’è un “apparte-nere comune”, contrapposto a coloro che “non appartengono a nulla”. Tra associazioni dovremo convincerci che davvero, come titolava qualche numero fa ACI Notizie, l’importante è partecipare! Purché nessuno si perda, anche se uno esce dalla mia associazione ma entra in un’altra, devo essere contento. Andrebbe fatta qualche ricerca sui flussi associativi in entrata e uscita dalle associazioni.Il tema andrebbe approfondito, ma sono convinto che il nuovo fronte per l’associazionismo e per il pre-politico sia l’educare alla riflessività, all’approfondimento. Mettiamo da parte bana-lità, superficialità, slogan e luoghi comuni.

Davide Guarneri

Mompiano, dal Pgt alla piadina solidaleÈ una delle zone residenziali più belle della città e vanta un senso di appartenenza invidiabile, che alimenta da sempre un alto tasso di propensione alla cittadinanza attiva e all’impegno sociale. Ne-gli ultimi tempi due iniziative di tipo molto diverso, stanno mobi-litando gli abitanti del posto: la discussione del Piano di gestione territoriale (il Pgt, quello che una volta si chiamava Prg) e una ini-ziativa di solidarietà chiamata “Piadina solidale”. Due esperienze molto diverse accomunate da un’idea: non possiamo vivere senza guardare fuori della nostra porta di casa, senza pensarci parte di un vivere comune che si chiama città.

Tremila firme per salvare l’ambienteIn poco tempo sono state raccolte più di tremila firme per chiede-re all’Amministrazione comunale di non costruire nelle fasce pe-decollinari, di tornare al progetto iniziale per piazzale Vivanti, che prevedeva di erigere un solo condominio con servizi per il quartie-re anziché due, di mantenere la destinazione d’uso sportivo per lo stadio anche qualora si decidesse di dislocarlo in altra zona.Una posizione netta scaturita da una serie di incontri pubblici ai quali hanno partecipato tutte le associazioni locali. Presenti i giovani, poiché loro è il futuro del quartiere, ma anche anziani preoccupati per la loro Mompiano, troppo spesso assediata dalle macchine di studenti universitari o di tifosi, priva di strade sicure neppure per andare al cimitero a trovare i propri cari. Non è sta-ta una mobilitazione sollecitata da un singolo partito, ma un’azio-ne trasversale frutto di una preoccupazione che tocca sul vivo la sostenibilità di vita del quartiere. È stato questo il motore che ha mobilitato i cittadini alla raccolta di firme, al di là della loro appar-tenenza politica (c’era anche chi ha votato la maggioranza seduta in Loggia), e a chiedere un confronto pubblico con l’assessore ai Lavori pubblici della città. A muovere le persone è piuttosto l’interesse concreto, tangibile, sia esso individuale o collettivo. Come ad esempio lo sono le aree verdi, soprattutto quella dell’ex polveriera, che ha trovato d’accor-do tutti i partecipanti all’assemblea, per la quale si è chiesto una riqualificazione con destinazione didattica e ricettiva dell’area co-me indicato dalle associazioni culturali, sportive e ricreative pre-senti nella zona. Oppure il tema della mobilità del quartiere, sia essa stradale, ciclabile o pedonale, presente nella terza sezione dell’istanza dove si auspica la creazione di parcheggi in prossimi-tà delle stazioni di testata della metropolitana.

Piadine solidaliL’altra esperienza si è occupata, se si vuole, di qualcosa su scala ridotta, ma indica tuttavia come si può passare da un gesto di so-lidarietà personale a un’azione strutturata di promozione sociale. Il caso è quello di Miriam, una mamma egiziana con tre figli che, per far quadrare i conti di casa dopo che il marito è rimasto in cassa integrazione, è diventata fornitrice del Gaspiano, il grande Gruppo di acquisto solidale del quartiere. Le sue piadine non so-no bio, come neppure il pane arabo e le pizzette, ma sono entrate nel paniere del Gas. Un piccolo gesto nato dalla segnalazione di un vicino di casa che, anziché ricorrere a un atto di carità indivi-duale, non sempre ben accetto da chi cerca di mantenere una po’ di dignità anche nei momenti di difficoltà, ha proposto ai compo-nenti del Gaspiano di accogliere Miriam fra i fornitori del gruppo pur non avendo i requisiti del prodotto biologico. E da allora gli ordini lanciati via mail ogni settimana non sono mancati grazie alla rete del Gas. E dire che la figlia Foebe frequenta da due an-ni la classe di mio figlio Lorenzo, ma non ho potuto immaginare che la sua famiglia fosse in difficoltà. Tutto questo per sottolineare che anche oggi non è venuto meno lo spirito di solidarietà: sono piuttosto cambiati i canali con cui veniamo a conoscenza di certe situazioni. E la rete tra le persone, come nel caso di un Gas, ha fatto il resto. Antonella Olivari

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Le mammeanti-smog in piazza con i bimbiOgni inverno la stessa storia: polveri sottili a mille e problemi respiratori per grandi e piccini. Un gruppo di mamme ha detto basta e si è organizzata per chiedere alla politica di prendersi le proprie responsabilità

Avviene puntualmente ogni estate, senza che la situazione dell’aria sia realmente cambiata: stiamo parlando della diffu-sa amnesia sulle condizioni dell’aria che respiriamo che, nella stagione invernale, dopo tutti gli sforamenti possibili, rispetto ai limiti di legge, della concentrazione delle Pm10, genera ansia e preoccupazione tra i cittadini, genitori in testa. Sarà il caldo torrido estivo che dà altro da pensare, ma la situazione nella stagione calda migliora leggermente solo grazie alla mancan-za di emissioni da riscaldamento. La conclusione è insomma sempre la stessa: lo smog non si ferma. Per questo, nell’inverno scorso alcune mamme della scuola materna Carboni di Brescia si sono messe insieme e hanno dato vita al al movimento «Bre-sciarespira», con tanto di riferimento su Facebook. «Chiediamo che la tutela della salute divenga prioritaria nell’agenda poli-tica, così come sancito nell’art. 32 della Costituzione - hanno spiegato le mamme preoccupate per la salute dei propri figli -. Sollecitiamo il sindaco a contrastare con soluzioni efficaci e immediate l’emergenza smog e ad attuare misure per miglio-rare la qualità dell’aria». E così dalle parole il movimento del-le “mamme anti-smog” è passato ai fatti: insieme ai bambini hanno organizzato un presidio in piazza Loggia, a cui ha fatto capolino anche Bernardo Iovene di «Report», il programma di Rai 3 che ha fatto tappa a Brescia. Un modo intelligente per unire mobilitazione dal basso e strategie di comunicazione, in un tempo in cui la rappresentazione mediatica, se ben utiliz-zata, può esercitare forti pressioni sull’azione politica.

Uno sguardoa chi ci sta accantoLa crisi economica miete vittime ma a Collebeato ha stimolato anche un’azione solidale epartecipata tra parrocchia e comune: l’attenzione e l’aiuto a chi fa fatica a tirare avanti

I tempi di crisi generano di solito due risposte tra le persone: la lotta di tutti contro tutti per sopravvivere oppure la solidarietà per cercare di salvarsi insieme. Collebeato ha scelto questo seconda strada, grazie a un’iniziativa che è partita da parrocchia, Azione Cattolica e Caritas parrocchiale. Un’azione partecipata che ha portato alla collaborazione tra realtà ecclesiale e servizi socia-li dell’amministrazione comunale. È nato così il progetto “Uno sguardo… a chi ci sta accanto”: l’attenzione cioè alle perso-ne e alle famiglie che, anche in una comunità piccola e general-mente benestante come Collebeato, si trovano a dover affrontare diverse difficoltà economiche a causa dello scenario di crisi che ha portato molti a perdere il posto di lavoro o a lunghi periodi di cassa integrazione. Spesso si pensa a una solidarietà nei confron-ti di persone lontane. Questa è un’operazione di solidarietà verso persone vicine, vicinissime.La comunità ha dimostrato di saper cogliere il momento diffici-le e ha reagito con grande sensibilità, sia attraverso il contributo delle singole persone sia attraverso la partecipazione e il sostegno concreto di alcune associazioni locali. Grazie alla collaborazione dei Servizi Sociali del Comune, che ci ha indicato e fatto incon-trare personalmente le famiglie, abbiamo potuto fornire alcuni contributi per spese di affitto, bollette e per acquisti di generi ali-mentari di prima necessità. Le forme di partecipazione proposte sono sostanzialmente due: un versamento unico (un una tantum della solidarietà!), oppure una sottoscrizione, con un versamento mensile per un periodo di tempo. Lo scenario è in evoluzione: per alcuni si aprono spiragli, per altri invece continuano o iniziano difficoltà. E allora l’iniziativa conti-nua: continuiamo a raccogliere offerte per procedere, sempre in accordo con i Servizi Sociali, a farci vicini a nuove situazioni di emergenza dove, sappiamo benissimo, non risolveremo le cose ma almeno testimonieremo il desiderio delle comunità di condividere la fatica. Le famiglie che abbiamo incontrato, oltre che aver rice-vuto un aiuto economico, hanno sentito la vicinanza e il sostegno della comunità e questo rappresenta uno stimolo, un incoraggia-mento importante per chi, in certe situazioni, può essere tentato anche dalla disperazione. Angelo Mazzolini

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Giovani e politica: Chiari c’è,Castrezzato ancheChi l’ha detto che la politica ai giovani non interessa? A sfa-tare il luogo comune ci pensano due esperienze della bassa occidentale della provincia bresciana che dimostrano che la partecipazione non è morta, ma cova sotto la cenere. La pri-ma vicenda è quella di Castrezzato. Partiamo da qui perché i protagonisti sono dei giovanissimi e, di questi tempi, fa sicu-ramente notizia. Il gruppo si chiama Arena Ski Roller - As-sociazione Gruppo Giovani e presto capirete perché. Due anni fa ha preso le mosse come gruppo di discussione politica per rispondere all’esigenza di una decina di ragazzi, che sen-tivano il bisogno di condividere opinioni rispetto al panorama politico sociale sia locale che nazionale. Inizialmente i ragazzi hanno trovato ospitalità nella sala civica comunale, poi hanno vinto il bando “PensoGiovane” e hanno ottenuto in gestione un parco comunale “Arena Ski Roller”, appunto, che è dive-nuta la loro sede e ha dato il nome al gruppo. Il parco viene tuttora mantenuto dai ragazzi che l’hanno arricchito con un campo da beach volley e beach soccer e con delle rampe per lo skateboard, oltre ad aver promosso un servizio di doposcuola per i ragazzi delle scuole medie di Castrezzato. Dall’animazio-ne giovanile del tempo libero alle iniziative politico-culturali il passo è stato breve. Lo scorso 25 aprile, festa della Libera-zione, hanno organizzato l’incontro con Elsa Salvadori, parti-giana della seconda guerra mondiale. Non mancano, inoltre, eventi e feste musicali e d’intrattenimento. I fondatori e refe-renti del gruppo, con una media d’età di 20 anni, sono: Vale-rio Bocchi, Chiara Bonfadini, Michele Cerutti, Giorgia Festa, Sergio Lembo, Valentina Di Bernardo, Andrea Bianchi. Chiara, che è stata presidente fino a poco tempo fa, è stata impegnata in Azione Cattolica. In Ac hanno militato e militano anche alcuni componenti del gruppo ChiariC’è, che opera nell’omonima cittadina claren-se. Un anno e mezzo fa, insieme ad altri giovani, hanno de-ciso di dedicare il proprio impegno alla politica, soprattutto a partire dal proprio Comune. Alcuni di loro l’anno precedente avevano seguito il corso “Cittadini responsabili” organizzato da Azione Cattolica, A.Ge. e Acli, e quasi tutti hanno alle spalle esperienze di associazionismo e volontariato. L’esperienza è cominciata con la stesura di un manifesto di valori e intenti, poi è proseguita con un attento lavoro di studio della situazio-ne attuale della propria città e di incontro con persone che potessero raccontarla: dal sindaco in carica, all’ex sindaco, al curato, ai carabinieri, ai dirigenti scolastici, ai vigili, alle as-sociazioni, ai partiti politici. In totale si è arrivati a circa una trentina di persone collegate al gruppo, che ha deciso di istitu-zionalizzare la propria presenza costituendosi in associazione politica e culturale con due presidenti: Massimo Pagani e Antonia Di Donato.Da qui è partita l’organizzazione di eventi sia aperti al pubbli-co che “a uso interno”. Da un lato sono stati promossi incontri sul passato (prendendo come spunto un affresco) e sul futuro (con giovani clarensi già attivi “sul campo” immigrazione, nuo-ve tecnologie ecc.). Per la formazione dei membri del gruppo è stato già realizzato un percorso sui meccanismi e la struttura comunale, e sono in previsione alcuni incontri sull’urbanisti-ca. Per ora l’impegno politico di ChiariC’è si è fermato sulla soglia dell’amministrazione, non avendo ancora provato la sfi-da di esprimere consiglieri comunali o persone direttamente coinvolte nell’amministrazione. Ma questo non impedisce di mantenere sveglia la voglia di formarsi e di osservare la realtà per proporre risposte prive di pregiudizi e fondate sul deside-rio di bene comune per la città di Chiari.

Daniela Mena

Bazzano, la faticadi fare comunitàA molti abitanti dell’Aquila la Protezione civile ha dato la casa a Bazzano, creando peròun assembramento di sradicati.L’iniziativa di solidarietà dell’AC per l’Abruzzo e un gruppo nutrito di volontari lavora con loro per costruire, con l’abitazione, anche la convivenza sociale

Non è solo un percorso di animazione in un contesto difficile, ma è la condivisione di un percorso di costruzione della vita sociale dove fare comunità è oggettivamente difficile. È l’esperienza di un ampio gruppo di giovani dell’Azione Cattolica che, nell’ambi-to dell’Iniziativa di solidarietà 2010 finalizzata alla costruzione di una casa della comunità a Bazzano, alle porte dell’Aquila, operano per creare anche un edificio invisibile ma necessario per la con-vivenza, quello fatto di legami tra le persone.Bazzano prima del terremoto contava circa 500 abitanti; dopo il terremoto, la Protezione civile ha costruito i complessi di case all’interno del progetto “Case”, che attualmente ospitano 2500 persone circa. Nel piccolo comune sono arrivate moltissime per-sone quasi tutte non bazzanesi: la maggior parte degli abitanti del-la Bazzano vecchia sono o nelle loro vecchie case (quelle ancora agibili) o si sono spostati; gli altri vengono da L’Aquila est o centro o da altri paesini confinanti. Non possono lamentarsi, si direbbe: la casa l’hanno avuta e anche presto. Quello che manca è appunto la comunità. Dopo il terremoto del Friuli, nel 1976, la popolazio-ne, coordinata da responsabili locali dell’emergenza e da comita-ti popolari per la ricostruzione, forse attese di più per lasciare le baracche provvisorie, ma poi tornò nelle propria casa ricostruita, nei propri paesi. La gente che ora abita Bazzano è sradicata: ha i

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muri ma non ha le relazioni. Le persone non si conoscono, a volte neanche tra vicini di casa. Ognuno sta chiuso in casa propria, con la propria famiglia. Non è stato costruito un luogo anche piccolo dove le persone possano ritrovarsi: solo negli ultimi mesi è stata allestita una tensostruttura come punto di ritrovo.Ecco allora il senso del progetto: creare delle situazioni, dei mo-menti dove le persone si potessero incontrare, riunire, conosce-re. All’inizio sono state pensate delle feste-incontro per ragazzi e bambini che avevano come scopo quello di formare dei gruppet-ti di giovani e genitori del posto che sarebbero diventati un po’ il punto di riferimento della popolazione. Le nostre attività nei week-end erano principalmente di animazione: il sabato sera delle feste o delle serate per i giovani (film, tornei, karaoke...); la domenica mattina un aiuto nell’animazione della Santa messa e la domenica pomeriggio animazione e giochi per bambini. Inoltre nell’occasio-ne della festa regionale dell’Acr a Crema, abbiamo organizzato un gemellaggio dove una trentina di abitanti del Progetto Case sono venuti a Brescia e hanno passato un week-end con noi: il sabato all’oratorio del Violino con un incontro, la visita alla città, dei gio-chi e una cena e serata insieme e la domenica partecipando alla festa regionale di Crema.Per alimentare questa azione solidale sono state coinvolte nove parrocchie della Diocesi di Brescia, con otto volontari ciascuna, che a turno, ogni 15 giorni, sono scesi a Bazzano con un responsa-bile diocesano. Per l’anno prossimo l’intervento vorrebbe occuparsi non più solo di animazione ma anche di formazione. Vorremmo trovare un gruppo di persone di Bazzano interessate a costruire legami comunitari con cui stendere un progetto formativo che poi potremo portare avanti insieme. Le persone risentono ancora molto di ciò che è accaduto, ed è difficile a volte tirar su le ma-niche e riprendere da capo o smuovere un paese a ricominciare. A volte sembra che i nuovi abitanti di Bazzano non abbiano bene la concezione che, per un po’ di tempo, la loro comunità, il loro paese sarà quello e che bisogna darsi da fare adesso se si vuole conoscerlo, incontrarlo, unirlo e animarlo. E farlo vivere. Si sente che hanno voglia di fare, che vorrebbero cambiare qualcosa, ma gli manca una spinta forte e decisa, a darsi veramente da fare, a impegnarsi concretamente. Noi vogliamo continuare a stare con loro, perché costruire le case non basta. Bisogna ricostruire anche la speranza e la voglia di pensare al bene di tutti. Sara Bonardi

Calvagese,se l’impegnoè civicoL’etichetta “lista civica” è un po’ abusata,ma dove il metodo è chiaroè ancora un modo concreto per direla propria sulla comunità di appartenenza.Con il metodo della democrazia partecipativa

Le liste civiche che fioriscono in vista delle elezioni spesso so-no l’escamotage per dissimulare le sigle che stanno realmente dietro l’etichetta che si sceglie, o nascondono gli accordi tra i “soliti noti” di un comune. La differenza la fa il percorso che la porta a formarsi, che può anche mancare l’obiettivo del-la vittoria elettorale, ma vince la sfida di attivare le persone e farle interrogare sul presente e sul futuro di una porzione di territorio.Sentiamo la storia di “Impegno Comune”, che si è presentata alle ultime elezioni amministrative a Calvagese della riviera. Il gruppo è nato da alcune persone che hanno intrapreso da tempo a riflettere sui problemi e soprattutto sulle potenzialità del Comune e a condividere tra loro queste riflessioni. Dallo spunto di questo nucleo iniziale di persone è scaturita la ne-cessità di condividere in modo più allargato la riflessione: co-sì, attraverso il coinvolgimento e il confronto aperto a tutti gli interessati si è giunti a uno spettro di persone più ampio, con diverse sensibilità.Proprio quest’ultimo aspetto, ovvero il metodo che ha con-dotto alla costituzione del gruppo, è un elemento essenziale per definire l’identità della lista: un metodo di lavoro basato sul confronto e sulla progettazione partecipata, che signifi-ca tenere conto delle idee di tutti per poter compiere scelte condivise.Non si tratta quindi solo di una modalità preliminare al con-fronto elettorale: l’apertura e il confronto con la cittadinanza, in particolare sulle scelte fondamentali per la comunità, in-tendeva essere elemento caratterizzante del lavoro della lista anche dopo le elezioni. Qual è il “collante” che tiene assieme sensibilità differenti? Il primo elemento è certamente la concezione di Calvagese come una comunità in cui tutelare e far crescere la qualità della vita: un territorio pregiato, invidiato da molti, ma proprio per questo delicato e da proteggere. Un territorio da “maneg-giare con cura”, come i pacchi fragili. Per garantire però che questo territorio continui ad offrire una buona qualità della vita non è sufficiente rimanere seduti e guardare il cielo, ma bisogna agire con scelte concrete perché diventi un patrimo-nio che dà frutto.Ecco allora il secondo dei fondamenti: la convinzione che uno stile di vita sostenibile non solo è necessario e possibile, ma passa attraverso le scelte concrete delle singole comunità; pur-troppo molti nel mondo in questi mesi fanno esperienza delle conseguenze di una crescita non sostenibile in ambito econo-mico, dovuta al fatto che non ci si è preoccupati di consolida-re bene le fondamenta.In modo più circoscritto ma che certamente non chiede meno responsabilità il compito di chi amministra è oggi forse più che in passato quello di garantire questa sostenibilità della vita. In-fine in terzo punto di fondazione: l’importanza di un impegno serio nel gestire “le cose di tutti”. Può sembrare scontato, ma il gruppo ha ritenuto importante rendere esplicita anche que-sta scelta da parte di tutti, con un impegno chiaro a gestire la realtà affidata con responsabilità e chiarezza.

Andrea Re

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di don Massimo Orizio

A bbiamo riflettuto, durante l’an-no associativo, sul tema delle relazioni, guidati dall’icona

evangelica di Zaccheo. Abbiamo pre-gato perché l’incontro con il Cristo faccia sempre nuova la nostra esi-stenza. Abbiamo considerato come il rapporto personale con il Signore della nostra vita incide nelle scelte quotidiane, aprendoci alla dimensio-ne ecclesiale e dialogica. In questo cammino abbiamo riconosciuto co-me, spesso, la corresponsabilità dei laici nella vita della Chiesa e nella sua missione evangelizzatrice richieda pazienza, costanza e intuizioni pro-fetiche. Abbiamo appena concluso l’anno sacerdotale; lasciamoci ispira-re da alcune figure di presbiteri che, in modo esemplare, hanno fatto del-la relazione, della comunione e della missione il loro stile di vita.

Monsignor Oscar Romero, vie-ne nominato vescovo di Santiago de María, il 15 ottobre 1974 nello stesso Stato di El Salvador, uno dei territori più poveri della nazione. Il contatto con la vita reale della popo-lazione, stremata dalla povertà e op-pressa dalla feroce repressione mili-tare che voleva mantenere la classe più povera soggetta allo sfruttamen-to dei latifondisti locali, provocano in lui una profonda conversione, nelle convinzioni teologiche e nelle scelte pastorali. L’episodio della morte di p.

spiritualità

Rutilio Grande, gesuita e suo collabo-ratore, assassinato appena un mese dopo il suo ingresso in diocesi, di-venta l’evento che apre pienamente la sua azione di denuncia profetica, che porterà la chiesa salvadoregna a pagare un pesante tributo di san-gue. Il 24 marzo 1980, mentre sta celebrando la Messa nella cappella dell’ospedale della Divina Provviden-za, viene ucciso da un sicario. Ci ha lasciato alcune indicazioni: «Essendo nel mondo e perciò per il mondo (una cosa sola con la sto-ria del mondo), la Chiesa svela il la-to oscuro del mondo, il suo abisso di male, ciò che fa fallire gli esseri umani, li degrada, ciò che li disu-manizza». «In questo Calice il vino diventa sangue che è stato il prezzo della salvezza. Possa questo sacrifi-cio di Cristo darci il coraggio di offri-re il nostro corpo ed il nostro sangue per la giustizia e la pace del nostro popolo».

Padre Pino Puglisi muore per ma-no della mafia il 15 settembre del 1993. Trentatré anni di vita sacer-dotale, tre anni, gli ultimi, da par-roco della chiesa di San Gaetano a Brancaccio. Fine educatore, capace di incidere nella formazione delle coscienze, in questo campo la sua attenzione fu rivolta in particolare verso i giovani e i bambini. Nel dif-ficile quartiere di Brancaccio porta avanti la sua opera, come sempre nella sua vita, con coerenza e stile

francescano. Il suo impegno era ri-volto a promuovere il rispetto della dignità umana e per questo da pre-te missionario ha scelto di non fer-marsi sotto l’ombra del campanile ma andare incontro alla gente del luogo per capirne i problemi e con loro battersi per l’affermazione dei propri diritti. In quella zona invivi-bile del quartiere Brancaccio incon-trò un gruppo di abitanti, il Comitato Intercondominiale, con i quali con-divise un impegno sociale rivolto ad ottenere i servizi primari mancanti nel territorio. Il 25 ottobre 1992 nell’ultima messa di Prima Comunione celebrata nella

Uominidell'incontroColtivare le relazioni dentro la comunità cristiana,radicata in un territorio, apre un cammino versola santità. Nell’anno sacerdotale appena conclusolasciamoci guidare da alcune figure esemplari

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Parrocchia di San Gaetano a Bran-caccio si rivolge ai bambini, che si apprestano a ricevere per la prima volta il SS. Sacramento, in questo modo: «Abbiamo detto, vogliamo cre-are un mondo diverso. Ci impegnia-mo a creare un clima di onestà, di rettitudine, di giustizia che significa compimento di ciò che a Dio piace. “Entrato nella città di Gerico, Gesù la stava attraversando” (Lc 19, 1). Gesù percorreva quelle strade, attento non soltanto a incontrare la folla che gli era attorno, ma anche chi, a causa della ressa, non riusciva a vederlo: Zaccheo». Un Gesù che attraversa le strade del suo tempo è, probabil-

mente, il più bel ricordo di don Giu-seppe: lo hanno ucciso in “strada”. Dove viveva, dove incontrava i “pic-coli”, gli adulti, gli anziani, quanti avevano bisogno di aiuto e quanti, con la propria condotta, si rendeva-no responsabili di illegalità, soprusi e violenze. Probabilmente per questo lo hanno ucciso: per il suo modo così radicale di abitare la “strada”, per il suo modo di intendere e di vivere la parrocchia, di essere parroco. Non ha pensato, infatti, la parrocchia unica-mente come la “sua” comunità di fe-deli, come comunità di credenti sle-gata dal contesto storico e geografico in cui è inserita. L’ha vissuta, prima di tutto, come territorio, cioè come persone chiamate a condividere uno spazio, dei tempi e dei luoghi di vi-ta. Per partecipare alla vita di chi gli era vicino ha accettato di percorre-re e ripercorrere le strade del rio-ne Brancaccio. Ha vissuto la strada, quella strada che Gesù ha fatto sua, come luogo di povertà, di bisogni, di linguaggi, di relazioni e di domande in continua trasformazione. L’ha abi-tata così e ha tentato, a ogni costo, di restarvi fedele.

Don Andrea Santoro voleva riabi-tare il Medio Oriente «come Gesù lo abitò, con il dono umile della vita». L’hanno ucciso facendo del nome di Dio uno strumento di violenza. Ap-pena avuta la notizia, il cardinale Camillo Ruini ha diffuso questa no-ta: «Don Andrea aveva intensamente desiderato e insistentemente chiesto di poter lasciare Roma per l’Anatolia, per essere in quella terra testimone silenzioso e orante di Gesù Cristo, nel rispetto delle leggi locali». Be-nedetto XVI ha inviato al cardinale Ruini e al vicario apostolico dell’Ana-tolia, Luigi Padovese (anche lui mar-tire del Vangelo poco tempo fa), due telegrammi commossi, di suo pugno. Il papa ha definito don Andrea «co-raggioso testimone del Vangelo della carità» e ha invocato che «il suo san-gue versato diventi seme di speranza per costruire un’autentica fraterni-tà tra i popoli». Chi era don Andrea? Di lui dice la giornalista Zamboni: «Lo conobbi a Istanbul, alla fine del 2001 mentre insieme ci cimentava-mo nello studio del turco. Vent’anni

più grande di me, lo studio per lui fu veramente faticoso, ma non mollava: era troppo importante per lui l’uso della lingua locale per poter comu-nicare direttamente con la gente ed entrare in sintonia con loro. Diceva: “Il turco è una lingua molto difficile e io sono l’ultimo della classe. Non so come andrà a finire, ma essere l’ultimo è comunque utile: aiuta a sentirsi davvero ultimi, con un’umil-tà reale e quotidiana”. E poi prose-guiva: “Nel preparare le mie ome-lie ho scoperto che la povertà della lingua mi spinge all’essenzialità, la sua novità mi fa cogliere meglio la novità del Vangelo. La diversità de-gli uditori, quasi tutti ex musulma-ni, mi costringe ad andare al cuore dell’annuncio e me ne mostra le in-sospettabili ricchezze”».Volle dapprima stabilirsi a Urfa, nel sud est della Turchia, ai confini con la Siria, dove rimase tre anni come presenza orante e silenziosa. E così motivava il senso della sua presenza lì: «Urfa (Harran, il villaggio di Abra-mo a circa 45 chilometri dalla città) è per me sempre l’eco delle parole dette da Dio ad Abramo: “Lascia la tua terra, la tua patria, la casa di tuo padre verso una terra che ti indiche-rò. Io ti benedirò e tu sarai una be-nedizione per tutti i popoli della ter-ra”. Urfa è la partenza di ogni giorno. Urfa è Dio che con un’intelligenza, un potere e un amore più grande del nostro ha i suoi disegni su di noi e ci chiede disponibilità. Urfa è la poten-za di una benedizione, di una gioia e di una fecondità senza fine, di cui Dio si rende garante». Questo era il suo obiettivo da sem-pre: aprire una finestra che permet-ta uno scambio di doni tra la Chiesa cristiana occidentale e quella orien-tale, riscoprire il flusso di linfa che unisce la radice ebraica e il tronco cristiano, incoraggiare un dialogo sincero e rispettoso tra il patrimonio cristiano e il patrimonio musulmano, una testimonianza del proprio vive-re e sentire. Attraverso, anzitutto, la preghiera, l’approfondimento delle Sacre Scritture, l’eucaristia, la fra-ternità, l’amicizia fatta di ascolto, di accoglienza, di dialogo, di semplicità, la testimonianza sincera del proprio credere e del proprio vivere. __

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laura Bianchini, irriducibile cristianaBrescia avevano i loro circoli princi-pali presso l’Oratorio della Pace e qui Laura Bianchini ebbe come diretto-re spirituale padre Paolo Caresana, ma entrò in contatto anche con pa-dre Giulio Bevilacqua, oltre che con altri sacerdoti che frequentavano la Pace, come don Peppino Tedeschi e don Giacomo Vender.Mentre Laura Bianchini è respon-sabile diocesana della Fuci, a livello nazionale nel 1925 divennero presi-dente della Fuci e assistente ecclesia-stico rispettivamente Igino Righetti e Giovanni Battista Montini. Per loro la Fuci doveva essere un campo di formazione delle coscienze, un luo-go in cui si è chiamati a coniugare la tradizione con la modernità e a far incontrare fede e cultura. La Fuci di Montini e di Righetti voleva prepara-re dei giovani che sapessero guardare al mondo esterno come a una realtà che attendeva di essere illuminata dall’annuncio cristiano. Laura Bian-chini condivise profondamente l’im-postazione di Montini e di Righetti e

ben presto anche a Brescia, come a livello nazionale, iniziarono a esserci problemi con il fascismo, che culmi-narono nel novembre 1925 e 1926 nella devastazione delle sedi di Azio-ne Cattolica a Palazzo San Paolo, do-ve era situata anche la tipografia che stampava “Il Cittadino di Brescia”, “La Madre Cattolica” e “La Voce del Popolo”, che saranno costretti a in-terrompere le pubblicazioni.Terminata l’università, Laura Bian-chini scelse la strada dell’insegna-mento, prima come maestra elemen-tare e in seguito come docente di storia e di filosofia al liceo Arnaldo e come preside dell’istituto magistrale di Brescia. Ben presto iniziò anche la sua collaborazione con l’editrice La Scuola, dove lavorò anche come se-gretaria di redazione. Già nel 1941 Laura Bianchini pubblicò con La Scuola un testo di letture dal titolo Il focolare: antologia per le alunne della scuola media. Nel 1943 curò i volu-mi per le ultime due classi del ciclo elementare del corso Bontà. Sempre

Dalla Fuci ai Laureati,dalla scuola alla politicafu una delle 21 donnealla Costituente

di anselmo Palini

T ra i protagonisti del movimento cattolico bresciano, e italiano, nella prima metà del Novecen-

to, vi è certamente Laura Bianchi-ni. Nata a Castenedolo il 23 agosto del 1903, dopo la maturità magistrale frequentò l’Università Cattolica del Sacro Cuore a Milano dove si laureò in filosofia. Laura sviluppò la sua for-mazione culturale e religiosa a Bre-scia, particolarmente all’interno dei due movimenti intellettuali di Azione Cattolica: la Fuci, di cui per sette an-ni fu presidente del circolo femmini-le bresciano, e il Movimento laureati, che, sempre a livello diocesano, gui-dò per diversi anni. Queste realtà a

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camaldoli 1937:da destra giovanni battista montini,mario bendiscioli, carolina ziliani,laura bianchini, bianca morandie guido lami.

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laura Bianchini, irriducibile cristiananel 1943, per Studium, pubblicò il saggio L’educazione al senso sociale. Nel 1947-48, in due volumi, curerà una nuova raccolta antologica, dal titolo La meridiana. Da sempre antifascista per forma-zione culturale e spirituale, dopo l’8 settembre 1943 partecipò alla Resi-stenza, coordinando in particolare a Brescia e a Milano la stampa clande-stina. Nel 1944 è costretta a lasciare Brescia e a rifugiarsi presso l’Istitu-to Palazzolo delle Suore Poverelle di Milano, dove si dedicò ad aiutare gli ebrei e i ricercati dai nazifascisti; fece anche da staffetta partigiana alle di-rette dipendenze di Enrico Mattei. A Milano continuò il lavoro redazionale de “Il ribelle”, il foglio della Resisten-za voluto da Teresio Olivelli. Prima su “Brescia libera” e poi su “Il ribelle” Laura Bianchini scrisse diversi arti-coli, con gli pseudonimi di Don Chi-sciotte, Penelope e Battista. All’indomani della Liberazione e prima dell’Assemblea Costituente, Laura Bianchini venne designata dal

Comitato di Liberazione Nazionale lombardo a far parte della “Consulta Nazionale”, che aveva il compito di affiancare il governo provvisorio nel preparare le prime elezioni e il refe-rendum fra monarchia e repubblica. A Roma in quegli anni vi è padre Pa-olo Caresana, che era stato costretto agli inizi degli anni Trenta a lasciare l’Oratorio della Pace di Brescia per evitare contrasti con le autorità fa-sciste. Grazie a p. Caresana, che è parroco a Roma a Santa Maria in Vallicella, nota come la Chiesa Nuo-va, Laura Bianchini venne ospitata nella casa situata a Roma in via del-la Chiesa Nuova n. 14, di proprietà della famiglia Portoghesi.

Alla Costituente

Il 2 giugno 1946 Laura Bianchini è una delle 21 donne elette alla Costi-tuente: ottenne oltre 30 mila voti di preferenza nel collegio di Brescia e di Bergamo. Alla Costituente si oc-cupò in particolare di politica scola-

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testimoni stica. Una donna bresciana, dunque, fra i padri della Repubblica. Poi nel 1948 venne rieletta in Parlamento con oltre 45 mila preferenze. Negli anni della Costituente e in quelli im-mediatamente successivi, vennero a risiedere al secondo piano dello stes-so palazzo in cui abitava la Bianchi-ni anche Fanfani, Dossetti, Lazzati e in seguito La Pira: i pasti erano re-golarmente tutti in casa Portoghesi, dove il clima era molto informale e talvolta anche goliardico: è il famoso “circolo del porcellino”. Si creò così una vera e propria comunità di vita, alla quale restò sempre legato anche padre Paolo Caresana.Le giornate si susseguivano secondo un preciso schema: Messa mattuti-na, lavoro in Parlamento o al Mini-stero (Fanfani diviene infatti ministro e La Pira sottosegretario), pranzo, ri-poso pomeridiano, ritorno a Monte-citorio e nelle altre sedi istituzionali. Con tali presenze, quella casa di via della Chiesa Nuova 14 ha periodica-mente altri ospiti importanti: Alcide De Gasperi, Mario Scelba, Jacques Maritain, Aldo Moro, Benigno Zac-cagnini, Leopoldo Elia, Raniero La Valle, padre David Maria Turoldo, Gianni Baget Bozzo, Achille Ardigò. Laura Bianchini continuò ad abita-re dalle sorelle Portoghesi in via del-la Chiesa Nuova 14 anche dopo la conclusione della propria attività po-litica (1953), quando tornò all’inse-gnamento di storia e filosofia al liceo classico “Virgilio” di Roma, dove uno dei suoi studenti è stato Paolo Giun-tella. Nel 1978 si trasferì in una casa di Montemario, dopo aver fatto veni-re da Brescia il fratello Pietro con la famiglia. Morì a Roma il 28 settem-bre 1983. Così l’ha ricordata Paolo Giuntella: «Laura Bianchini è stata una grande donna cristiana, che ap-partenne a quella pattuglia di irridu-cibili militanti, di irriducibili cristiani, alla ricerca della terra promessa, di nuove terre e nuovi cieli, nel silenzio come nelle stagioni di grande e pub-blico impegno».

Per saperne di più

G. Moretti, Laura Bianchini, a cura di E. Selmi e C. Celiker, Fondazione Civiltà Bresciana, Brescia 2009. __

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di Giuseppe Mattei

L a lettera pastorale per il 2010-2011 del nostro Vescovo Lucia-no porta come titolo: “Tutti siano

una cosa sola”. Si tratta di un docu-mento articolato che viene presentato all’interno di un insieme di iniziative che sono riassunte nella parola Agorà, che in greco significa piazza, luogo in cui ci si incontra per discutere i pro-blemi comuni e cercare le soluzioni. Già questa metodologia evidenzia l’im-portanza che nella lettera viene data alla partecipazione di tutto il “Popolo di Dio”. A essa anche noi rimandiamo avvertendo che questa è solo una bre-ve, incompleta presentazione che ha il solo valore di un primo accostamento all’importante documento.Il tema è quello della comunità, intesa secondo la visione di chiesa trasmessa dal Concilio Ecumenico Vaticano II. Tre i capitoli. Il dono dell’amore; Noi siamo il corpo di Cristo; Diventare una cosa sola. Visione chiaramente conciliare della Chiesa. Il Concilio pri-vilegia due immagini: la Chiesa come Popolo di Dio che cammina nella sto-ria annunciando la salvezza; la Chiesa come Corpo di Cristo, di cui tutti i cri-stiani sono chiamati ad essere mem-bra vive ciascuno con i suoi doni e la sua ministerialità.Avendo come tema quello della comu-nione e guardando alle tante difficoltà che questa incontra nelle nostre co-munità il Vescovo privilegia la seconda immagine. L’immagine evangelica che viene assunta come icona di tutta la lettera è quella della lavanda dei pie-di, esperienza somma di servizio e im-magine di una Chiesa al servizio. Ora non c’è Chiesa se non c’è la dinamica della comunione che ha il suo centro sacramentale nell’Eucarestia e che si concretizza nella ricerca di uno stile

di vita innervato dalla fraternità, dalla partecipazione, dalla ricerca del bene comune, dall’attenzione “speciale” agli ultimi, ai deboli, ai piccoli. La co-munione è fondamentalmente dono di Dio e quindi per la comunità che ne è consapevole diventa rendimen-to di grazie, Eucaristia. Frutto della comunione è l’amore fraterno, che concretamente significa conoscersi, stimarsi e quindi volersi bene.Abbiamo già detto che il Vescovo pren-de le mosse da quella monumentale icona del servizio che è la lavanda dei piedi da cui consegue il “comanda-mento nuovo” quello che distingue i seguaci di Cristo, l’amore. «Come io ho amato voi così amatevi anche voi gli uni gli altri». L’amore fraterno è ciò che distingue il cristiano. Un amore che è dono da ricevere, conservare e trasmettere.

Il dinamismo dell’amore

Il Vescovo a questo punto descrive il dinamismo dell’amore con una serie di verbi di grande efficacia. Le evi-denziazioni sono nostre: «L’amore di Gesù raggiunge i discepoli e tra-smette loro l’amore infinito, invisi-bile, misterioso del Padre. I discepoli accolgono questo amore nella fede, credono all’amore e, in questo mo-do, permettono all’amore di Dio di entrare nella loro coscienza e di pro-durre dentro di loro pensieri e senti-

menti buoni, come accade a chiunque sperimenta di essere amato: l’amore che riceve lo rende più buono e desi-deroso di essere buono» (n. 5).Il modello è poi la primitiva comunità cristiana che viene definita “alterna-tiva” perché in essa l’amore fraterno crea novità di vita non solo per i singoli ma per l’intera comunità. Stimolante anche la distinzione che il Vescovo fa tra il cristiano e il non cristiano. L’amo-re di Dio è rivolto a tutti solo che il cri-stiano – a differenza di chi non lo è – sa di essere amato da Dio e, pertanto, ringrazia. Il sapere determina sempre anche una responsabilità e, secondo il principio della incarnazione l’amo-re deve essere vissuto e trasmesso nei tanti modi che scaturiscono dalle tante vocazioni presenti nella comunità.Centrale nella dinamica dell’amore è la figura e il mistero di Cristo. All’ini-zio c’è lui, è lui il modello a cui sempre conformarsi, è lui il fine a cui tende-re. La Chiesa sta proprio tra Cristo e il mondo, è intessuta di mondo (e per-tanto fragile) e ha nella incarnazione nel mondo la sua missione. E la sua missione sta appunto nel trasmettere l’amore di Dio.

La comunione tra i presbiteri

La seconda parte del documento

tutti sianouna cosa sola

Dalla Lettera pastoraledel vescovo Lucianoemergono un richiamoal valore fondantedella comunione e indicazioni per viverla

chiesa

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prende le mosse dalla necessaria pre-senza del ministero ordinato nella Chiesa. Qui il Vescovo fa un pressante richiamo all’unità del presbiterio e alla necessaria comunione tra tutti i pre-sbiteri. Indica nella santità il requisito essenziale del sacerdote, santità che nasce dall’empatia con le persone che gli sono affidate. Con esse il sacerdote è chiamato a condividere “gioie e do-lori, fatiche e speranze”. Forte è pure il richiamo all’obbedienza e all’umiltà perché altrimenti si rischia di “ciur-lare nel manico”, cioè di sfuggire ai doveri della propria missione.Insieme ai sacerdoti e ai consacrati ci sono i laici a cui compete un vasto compito di attività missionaria. An-che qui emerge con forza la concezio-ne della Chiesa emersa dal Concilio che, dalla comunione intra-ecclesiale vissuta intensamente porta alla mis-sione che per i laici riguarda i tanti compiti e le tante responsabilità a cui sono chiamati. Vocazione, quella del laico, che deve coniugarsi con le al-tre vocazioni operanti nella Chiesa. E il laico (come del resto il presbite-ro e il consacrato) deve agire secon-do la legge della complementarietà: io completo te e tu completi me. Qui il Vescovo ricorda che nell’esistenza cristiana operano due dimensioni: la comunione e la missione. La prima,

la comunione, va anzitutto vissuta all’interno della comunità in cui la Parola, la liturgia, e tutto ciò che at-tiene alla formazione cristiana, è re-altà irrinunciabile per “ricaricare” la persona. In questa dimensione c’è un ruolo particolare del sacerdote. La seconda dimensione è la trasfor-mazione della società, vale a dire la testimonianza nell’ambito della fa-miglia, della cultura, del lavoro, del-la politica; questa dimensione è tipi-ca del laico.La comunione nella comunità diven-ta missione nel mondo. Il Vescovo ri-corda che l’edificazione della comu-nità cristiana non è compito solo dei sacerdoti ma di tutti i battezzati pur-chè in comunione con il sacerdote. Fondamentale è poi la famiglia che deve diventare sempre più protago-nista nella pastorale. È lei infatti la prima responsabile dell’educazione di figli e questo vale anche nel cam-po della fede. Qui il Vescovo non so-lo difende ma definisce esemplare la scelta dell’Iniziazione cristiana dei fanciulli e dei ragazzi (Icfr), sul-la quale – afferma – sarà necessario scommettere anche in futuro.

Le indicazioni operative

La terza parte, quella che potremmo definire più immediatamente opera-tiva, presenta numerose proposte per la comunità molte delle quali nuove e coraggiose. Le elenchiamo soltan-to, rimandando poi a successivi ap-profondimenti.- La parrocchia tradizionale dovrà essere sempre più vissuta in siner-gia con altre due dimensioni: l’Unità pastorale e la piccola Comunità ter-ritoriale. Quindi la visione di chiesa a cui dovremo lavorare avrà uno sche-ma così descrivibile: famiglia (cellula di ogni comunità), piccola Comunità territoriale (sostanzialmente una ar-ticolazione della parrocchia), Unità pastorale (collegamento organico tra più parrocchie), Diocesi. Questa nuo-va prospettiva dovrà essere varata da un Sinodo diocesano.Il Sinodo diocesano, che nella let-tera pastorale viene evocato per un prossimo futuro, è la seconda propo-sta concreta. L’ultimo sinodo è stato celebrato dal 7 al 9 dicembre 1979

quando era Vescovo della nostra dio-cesi mons. Luigi Morstabilini. Vale forse la pena ricordare che il Sino-do è l’Assemblea consultiva (termi-ne che indica la partecipazione nel-la Chiesa) di consacrati e fedeli laici di una diocesi, convocato e diretto dal Vescovo, per “ridisegnare” il volto della chiesa diocesana e la sua azio-ne pastorale.- Una riscoperta da parte della co-munità cristiana della vita consacrata (ordini religiosi) insieme a un suo più concreto inserimento nella diocesi.- Gruppi, Movimenti, Associazioni sono ricchezza della chiesa nella mi-sura in cui ricercano e vivono la co-munione.- Capovolgimento della piramide del potere al cui vertice stanno i primi. Nella comunità il primo posto va agli ultimi.- Rinnovata attenzione al compito educativo valorizzando la grande ric-chezza degli Oratori.- Un diacono per ogni parrocchia de-dicato agli ammalati e agli anziani.- Più concreta valorizzazione degli or-ganismi di partecipazione che come tutti gli organismi sono oggi in crisi. Per la parrocchia il riferimento è al Consiglio Pastorale e al Consiglio per gli Affari Economici.Un metodo di lavoro che sia auten-ticamente ecclesiale. La Chiesa non può diventare una democrazia per-ché, dice il Vescovo, il “potere” nella Chiesa non viene dal basso (dal po-polo) ma dal Signore. Pertanto anche nel discernimento comunitario biso-gna distinguere tra il momento della formazione della decisione (che av-viene negli organismi di partecipazio-ne) e la decisione stessa che compete al presbitero.- La lettera pastorale deve diventare lo strumento di lavoro dei nuovi Con-sigli pastorali appena rinnovati.La lettera pastorale vuole rinnova-re e implementare la partecipazione all’interno della comunità parroc-chiale e dell’intera diocesi. È una oc-casione straordinaria per riprendere quella riflessione sul nostro esser co-munità cristiana di cui oggi abbiamo assoluto bisogno. Questo cammino dobbiamo farlo insieme, sacerdoti, religiosi e laici. Perdere questa occa-sione sarebbe grave per tutti. __

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Fuci, un anno alla scuola della parola e della vita

Luello che è appena trascorso è stato un anno denso di iniziative per la Fuci bresciana. Nuove amicizie si sono formate, tante belle

serate sono trascorse in allegria, molte nuove scoperte sono state fatte.Siamo cresciuti tutti, dal punto di vista culturalee di conoscenza della fede,ma sopratutto dal punto di vista umano. Il percorso affrontato negli incontri a Palazzo san Paolo si snodava tra argomenti ardui, che a volte ci hanno messo in difficoltà, come quando abbiamo parlato delle tematiche riguardanti la fine della vita o il caso pedofilia nella Chiesa.Non sempre è stato facile, e non sempre le opinioni alla fine coincidevano.Ma è emersala straordinaria ricchezza di ogni componentedel gruppo. Così, se abbiamo aggiunto un pezzodi consapevolezza alla nostra ragione, se davvero ci siamo migliorati l’un l’altro, anche nello scontro, il tempo che è passato non è stato tempo sprecato. La figura di Davide, che durante quest’anno abbiamo analizzato, rappresenta in modo preciso e sintetico tutto questo. Davide è il presceltoda Dio, tuttavia è ben lungi dall’essere perfetto: è interamente uomo con tutte le sue miserie e i suoi errori. È un uomo in cammino. È un uomo alla ricerca di Dio. Abbiamo accettato con umiltà questa sfida e abbiamo provato a portarla avanti.E abbiamo capito che ne vale sempre la pena,che ogni sforzo alla fine viene ricompensato. All’inizio di questa avventura mi ero posto la domanda: ha ancora senso per un gruppo di universitari togliere del tempo al loro studio per impegnarsi nella lettura della parola e nell’analisi del mondo che ci circonda? Non ero sicuro della risposta, ora so che non solo è sensato, ma che è doveroso. Per questo ringrazio tutto il gruppo,e tutti coloro che l’hanno supportato materialmente o con consigli e incoraggiamenti.Quello che è nato quest’anno nella Fuci è un germoglio importante che, sono sicuro,continuerà a crescere.Mauro Verzelletti

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di Pierangelo Milesi*

Q uale città vogliamo e per qua-le società? Questo l’interro-gativo che ha portato giovani

impegnati nella scuola di formazione socio-politica, responsabili di asso-ciazioni cattoliche con lunga pratica interassociativa, vecchi militanti con esperienze sindacali o amministrati-ve, persone impegnate nelle profes-sioni a dar vita alla sezione bresciana dell’associazione “Città dell’uomo”, fondata da Giuseppe Lazzati. L’As-semblea costitutiva si è tenuta il 24 settembre 2009 a Palazzo San Paolo a Brescia e ha portato alla nomina di undici membri del Consiglio direttivo presieduto da Pierangelo Milesi, affiancato dalla vicepresidente Da-niela Mena e dal segretario Paolo Zaninetta.

Il programma di lavoro

Due sono le modalità di lavoro previ-ste dal programma annuale dell’as-sociazione. Da una parte si intende valorizzare le competenze degli as-sociati e di coltivare la conoscenza e l’amicizia tra noi attraverso un dialo-go critico serrato e cordiale, ci siamo proposti di organizzare quattro incon-tri, nei quali affrontare - prendendo le mosse da una relazione tenuta da uno o più associati - altrettanti tra i numerosi temi emergenti nel tempo presente. Dall’altra l’associazione si propone di approfondire, nella città

e con la città, temi di particolare im-portanza dal punto di vista culturale, politico e amministrativo.

Le prime due iniziative

Il primo incontro - di tipo interno - si è tenuto nella serata del 4 giugno, in via Tosio 1, a Brescia. Il tema del lavoro è stato introdotto dai soci Da-vide Bellini e Franco Gheza, sot-tolineando lo sviluppo delle profes-sioni e la crisi della rappresentanza. Negli ultimi 20 anni la realtà produt-tiva italiana è stata scossa da cam-biamenti epocali: l’industria, per 50 anni motore della nostra economia, cede il passo al terziario, mentre na-scono nuove professioni favorite dal-la globalizzazione e dall’evoluzione tecnologica.Il mercato del lavoro è interessato da una profonda riforma impron-tata al principio della “flessibili-tà” e culminata nella “legge Biagi” (d.lgs.276/2003) che introduce nu-merose nuove tipologie contrattuali tra lavoro dipendente ed autonomo. Si tratta di una riforma importante, pagata soprattutto dai giovani lavora-tori, costretti a vivere in condizioni di precariato. Questa condizione è resa ancora più pesante dalla solitu-dine e dalla difficoltà di organizzare una risposta collettiva. Gli stessi sin-dacati infatti (tradizionali strumenti di difesa e di promozione del lavoro) faticano a rappresentare i nuovi bi-sogni e le nuove esigenze. Una realtà

il carceree la cittàLa sezione bresciana di Città dell’uomo muovei primi passi con due iniziative: una sul lavoroe sulla situazione economica bresciana, l’altrasulla condizione critica dei carcerati in Italia

questa sulla quale anche noi amici di “Città dell’uomo” siamo chiamati a riflettere perché, come dice il socio-logo Sennet, «il lavoro flessibile ge-nera persone flessibili».Il secondo incontro – rivolto alla città – si è svolto nella mattinata di saba-to 26 giugno, sul tema delle carceri. La questione penitenziaria è balzata prepotente all’attenzione della pub-blica opinione a seguito di alcuni fatti drammatici come il moltiplicarsi dei suicidi delle persone ristrette, le vi-cende incresciose di morti violente di detenuti e l’aggravarsi quotidiano dell’incivile condizione di sovraffol-lamento nelle carceri. L’incontro è stato caratterizzato dagli interventi di Mino Martinazzoli, già mini-stro di Grazia e Giustizia, di Franco Corleone, Garante di diritti dei de-tenuti di Firenze, di Carlo Alberto Romano, docente di criminologia all’università di Brescia.

spazio ac

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n el 1964 Paolo VI pubbli-cava, come è noto, la sua prima enciclica, intitola-

ta Ecclesiam Suam, nella quale egli dichiarava l’apertura della Chiesa al mondo moderno nella verità, nella carità e nella pace da attuarsi attraverso il metodo del dialogo, inteso come l’atteg-giamento che essa «deve assu-mere in quest’ora della storia del mondo». Negli stessi anni Ses-santa del secolo scorso l’esisten-zialista cristiano Luigi Pareyson (1918-1991) – maestro di mons. Piero Coda, che il 26 marzo scorso ha tenuto a Palazzo san Paolo una conferenza organizza-ta dal Meic, congiuntamente ad Azione Cattolica e Fuci, proprio sull’enciclica citata – scriveva pagine importanti sul tema del dialogo che anche oggi merita-no di essere ricordate e meditate (mi sto riferendo in particolare ad alcuni passaggi contenuti nel volume Verità e interpretazione, Mursia 1971).

Identità in relazione

Per Pareyson il dialogo presup-pone due cose: “verità e alteri-tà”. Se non c’è verità il dialogo è ridotto a chiacchiera e non im-pegna perché non riguarda ciò che veramente conta. Se non c’è alterità (e cioè riconoscimento dell’altro), il dialogo diventa mo-nologo e non è possibile alcun (vero) confronto. Ma Pareyson sostiene anche che «il ricono-scimento delle altre prospetti-ve [sulla verità] deve avvenire in base all’affermazione della pro-pria»: ecco il problema dell’iden-tità in relazione, presupposto di ogni dialogo autentico.La mia identità (e cioè la mia prospettiva sulla verità) mi apre al riconoscimento delle altrui

prospettive proprio perché la ve-rità è inesauribile e trascendente (se non fosse tale infatti non sa-rebbe verità, ma cosa del mondo, facilmente strumentalizzabile). Ma se la verità è inesauribile nel-la mia interpretazione di essa, la colgo come ciò che io devo sem-pre cercare ancora e come ciò da cui non solo io ma anche gli altri possono essere alimentati. Il dialogo ha senso cioè se si sono fatte le proprie libere scelte, se la nostra identità è definita, anche se bisogna chiarire che si tratta di una identità che non è chiusa ma che è aperta, di una identità che è relazione, proprio perché altrimenti non potrebbe essere apertura alla verità e agli altri.Il dialogo sembra così avere per Pareyson una duplice funzio-ne. Da una parte, aiuta a com-prendere meglio se stessi, pro-prio perché, in presenza di altre prospettive sulla verità, aumen-ta in ognuno la consapevolez-za dell’infinità di essa e quindi l’esigenza di approfondire sem-pre più la propria prospettiva ar-rivando alla sua radice ultima. Dall’altra parte, il dialogo può essere anche inteso come un esercizio concreto di tensione umana alla testimonianza del-la verità, proprio perché l’unità (tra diversi) che si cerca di vive-re nel dialogo tende a configu-rare storicamente l’unità (nella relazione) della verità.Questa elaborazione pareysonia-na del dialogo si ispira dichiara-tamente al cristianesimo e forse anche in questo risiede la verità di esso, una verità che però – è bene continuamente ricordarlo – il cristiano non possiede mai proprio perché ne è sempre pos-seduto. __

Luca Ghisleri, presidente meic

meic, dialogoverità e alterità

La risposta morotea, nelle lezioni di diritto penale, ispirata a un principio di personalismo etico suggerisce che è «dovere da parte dello Stato di ga-rantire una modalità di esecuzione della pena che non aggiunga soffe-renza a quella, già così acerba, della perdita della libertà». Il bene della li-bertà – ha chiosato Mino Martinazzo-li – è così prezioso che la sua confisca deve essere accuratamente misura-ta sulla proporzione del male inferto da questa stessa libertà sanzionata. Il rifiuto della legittimità della pena di morte, è stata la lezione di Moro, ma anche della pena dell’ergastolo, perché «contraddice da un lato al cri-terio di proporzione e dall’altro a quel compito di rieducazione e di emenda che la pena deve considerare come il suo fine più alto, umanamente e socialmente». __

*Presidente di “Città dell’uomo”, sezione di Brescia

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F ondare biblioteche è come costru-ire ancora granai pubblici, am-massare riserve contro l’inverno

dello spirito che da molti indizi, mio malgrado, vedo venire», scriveva Mar-guerite Yourcenar. Non vorrei traspor-re in modo forzoso questa espressio-ne riferita alla custodia del patrimo-nio librario, però l’avvio dei lavori di sistemazione del nostro archivio sto-rico diocesano a Palazzo San Paolo mi pare proprio costituisca una noti-zia da non passare in secondo piano. Anzitutto per il rispetto che dobbia-mo a chi ci ha preceduto nell’impe-gno associativo (qui sono conservati documenti di quasi 100 anni di sto-ria associativa…). Nessun’altra asso-ciazione a Brescia può vantare una ricchezza simile.Secondo motivo, per la ricchezza ef-fettiva di materiale documentario che il nostro archivio possiede e che, una volta terminati i lavori di sistemazione e inventariazione, potremo apprezza-re. Per molti di noi, posso anticiparlo, sarà un’autentica sorpresa. I lavori sa-ranno complessi (ci vorranno almeno un paio d’anni), ma già questo autun-no avremo la possibilità di dare un’oc-chiata a come sta prendendo forma

il nostro archivio. Siamo consapevoli che l’AC è chiamata a vivere il proprio tempo senza sterili nostalgie.Tuttavia, sapere che possediamo un tesoro che ci precede, costituito da testimonianze di vita, di passione vera per il vangelo e per l’umanità e che spesso anche i documenti (dal-le lettere private ai documenti uffi-ciali, dal resoconto delle migliaia di iniziative formative, di spiritualità, di apostolato, alle fotografie più o me-no ingiallite, a molto altro ancora) ci testimoniano, deve per noi essere motivo insieme di gioia e di sostegno per il cammino di oggi.Di seguito riportiamo una sintetica Nota tecnica redatta dalla Coopera-tiva che sta provvedendo al riordino e all’inventariazione dell’archivio. __

Michele Busi

memoriaper il futuro

L’Archivio storico dell’Azione Cattolica è in fase di riordino.Conserva documenti di quasi cent’annidi vita associativa

chiesa

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Dopo un sopralluogo nei mesi scor-si, a metà maggio è iniziato l’inter-vento di riordino con la distinzione del materiale “non archivistico” (es. opuscoli a stampa, libri, dépliant, oggetti vari come gagliardetti, aste per bandiere etc.) dai documenti ar-chivistici veri e propri.La documentazione archivistica è stata poi suddivisa secondo la sezione di appartenenza: sezione di deposito (dal 1971 al 2005) e sezione storica (dalle origini al 1970). Gli estremi considerati sono convenzionali e so-

lo a seguito di un’analisi approfon-dita del fondo archivistico di potrà valutare se mantenere tale cesura cronologica. Obiettivo dell’intervento per la sezione storica: pulizia, riordi-namento e inventariazione analitica con creazione di inventario cartaceo e informatico (bancadati); obiettivo dell’intervento per la sezione di de-posito: primo ordinamento, inventa-riazione sommaria con creazione di inventario cartaceo e informatico.La documentazione storica è sta-ta momentaneamente collocata nei

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nuovi locali. Tale documentazione sarà sottoposta a breve a intervento di pulizia, riordino ed inventariazio-ne. Successivamente alle fasi di revi-sione generale del materiale conser-vato nei locali d’archivio, è stato ef-fettuato un intervento di messa in si-curezza dei documenti della sezione di deposito; ove necessario le buste/faldoni deteriorati sono stati sostituiti con buste/faldoni nuovi e buste/fal-doni e registri sporchi e impolverati sono stati puliti prima di essere tra-sferiti nei nuovi locali attrezzati. La documentazione appartenente alla sezione di deposito è stata verifica-ta e analizzata per individuare serie archivistiche omogenee (es. elezio-ne degli organi associativi, tessera-menti etc).Per quanto riguarda l’organizzazio-ne gestionale dei singoli documenti è da rilevare la presenza di sporadi-che segnature di classificazione su cartelle con l’indicazione di fascicoli e rubriche relative ad argomenti par-ticolari, che in prevalenza riguarda-no la documentazione storica. Dalle informazioni disponibili la sezione storica, e parte di quella di deposi-to, sono state riorganizzate nei pri-mi anni ‘80, con la produzione di un inventario cartaceo sommario, che riporta in forma semplificata la complessa struttura dell’archivio

pur senza restituirne una “immagi-ne” completa.Stanno già emergendo varie pecu-liarità del complesso archivistico dell’AC bresciana, tra le quali sono meritevoli di segnalazione:- il forte dinamismo degli iscritti e dei responsabili (es. elevato numero dei tesserati, articolazione dell’Associa-zione, produzioni editoriali, questio-nari e statistiche, rapporti con vari enti ecclesiastici e non);- la singolarità e la complessità del patrimonio immobiliare (Palazzo San Paolo, Centro Viganò di Obra, Monte-castello, La Montanina di Zone, Villa Pace, ecc.), che negli anni ha reso pos-sibile l’ideazione e la realizzazione di notevoli attività (es. campi scuola dai ragazzi agli adulti, ritiri ed esercizi spirituali, istituzione e gestione di una casa-ritrovo per i militari di leva).Tali caratteristiche risulteranno più evidenti con la prosecuzione dei lavo-ri sulla sezione di deposito e, soprat-tutto, sulla sezione storica.Degno di nota è poi l’ingente patri-monio fotografico presente nella se-zione storica, inerente, per la maggior parte, i pellegrinaggi in vari luoghi di culto (es. Lourdes, Roma, Loreto etc.) effettuati tra gli anni Trenta e gli anni Sessanta del Novecento. __

Cooperativa ARCA, settore archivistico

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Se qualche associato avesse del materiale che ritiene interessante per la storia dell’AC bresciana, sappia che nell’Archivio storico vi è la possibilità di conservare questi materiali in locali idonei e con le modalità più rispettose dei documenti.

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informazioni e iscrizioni: segreteria ac, via Tosio 1, telefono 030.40102, [email protected]

Cartoline AC dell'estate (prima parte)

Bloc Notes

sabato 18 settembreGussago, Villa Pace

Giornata formativaper presidentie responsabili

associativi

domenica 19 settembre, Brescia,Palazzo san Paolo

Assembleadi inizio anno

Percorsi Villa Pace

Scuola della parola:inizio 18 ottobre

Bibliodramma:13 novembre

Corso sui salmi:inizio 26 novembre

(la proposta completa nel Calendario associativo

all’interno di acinotizie)

Camposcuola aCr 6-13

Camposcuolagiovanissimi

sentiero Frassati

Camposcuola Giovanissimi

}MALONNO}17-24}LUGLIO}

}MALONNO}24-31}LUGLIO}

}MALONNO}24-31}LUGLIO}

}APRICA}22}AGOSTO}


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