Adunanza plenaria; decisione 15 gennaio 1960, n. 1; Pres. Petrilli P., Est. Lugo; Novaro (Avv.Raggi, Guidi) c. Prefetto d'Imperia (Avv. dello Stato Agrò) e Comune di S. Bartolomeo delCervo (Avv. Martinengo, De Majo)Source: Il Foro Italiano, Vol. 83, No. 2 (1960), pp. 25/26-29/30Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23150999 .
Accessed: 28/06/2014 17:05
Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp
.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].
.
Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.
http://www.jstor.org
This content downloaded from 193.142.30.61 on Sat, 28 Jun 2014 17:05:33 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
25 GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 26
CONSIGLIO DI STATO.
Adunanza plenaria ; decisione 15 gennaio 1960, 11. 1 ; Pres. Petrilli P., Est. Lugo ; Novaro (Avv. Raggi, Guidi) c. Prefetto d'Imperia (Avv. dello [Stato Agrò) e Comune di S. Bartolomeo del Cervo (Avv. Marti
nengo, De Majo).
Giustizia amministrativa — Ricorso al Consiglio «li Stato — Intimazione personale all'autorità che ha emesso il provvedimento impugnato — Scu sabilità dell'errore —- Limiti (R. d. 26 giugno 1924 n. 1054, t. u. delle leggi sul Consiglio di Stato, art. 36 ; r. d. 30 settembre 1933 n. 1611, t. u. sulla rappresentanza e difesa dello Stato in giudizio, art. 11 ; 1. 25 marzo 1958 n. 260, modificazioni alle norme sulla rappresentanza in giudizio dello Stato).
Pur dopo l'entrata in vigore della legge 25 marzo 1958 n. 260, il ricorso al Consiglio di Stato deve essere notificato perso nalmente all'autorità che ha emanato l'atto impugnato. (I)
Mentre il ricorso notificato presso l'Avvocatura dello Stato
all'autorità, che ha emanato l'atto impugnato, produce i suoi
effetti senza uopo di rinnovazione, scusabile deve consi derarsi l'errore di chi intima il ricorso al Ministro rite nuto competente, ma perchè il ricorso produca i suoi
effetti ne è necessaria la rinnovazione. (2)
L'Adunanza plenaria, ecc. —- Si pone all'esame dell'Adu nanza plenaria la questione pregiudiziale sollevata dalla difesa dello Stato e deferita in questa sede dalla IV Sezione : se le norme della legge 25 marzo 1958 n. 260, sulla rappre sentanza in giudizio dello Stato, abbiano abrogato e sosti tuito la norma dell'art. 36, 2° comma, t. u. 26 giugno 1924 n. 1056 sul Consiglio di Stato. L'Avvocatura sostiene che la nuova legge ha abrogato almeno in parte la disposizione del t. u. e che pertanto il ricorso in esame, notificato diret tamente al Prefetto e non presso l'Avvocatura, come pre scrive l'art. 1 della nuova legge, sarebbe invalido e colpito da nullità assoluta ; e la sanzione della nullità viene desunta dall'art. 11, ultimo comma, r. decreto 30 novembre 1933 n. 1611, norma che anche dopo la riforma avrebbe mantenuto il vigore. La IV Sezione per contro ha ritenuto plausibile, in base a diversi argomenti di natura sistematica, la tesi che la nuova legge non sia applicabile al giudizio dinanzi al Consiglio di Stato.
La legge 25 marzo 1958 n. 260 è stata concepita come una parziale riforma delle norme del t. u. 30 ottobre 1933 n. 1611, sulla rappresentanza in giudizio dello Stato. Risulta chiaro tuttavia dall'art. 1 che il legislatore ha voluto esten dere la sfera di applicazione delle norme del t. u., rendendole
applicabili anche ai giudizi dinanzi alle magistrature ammi nistrative o speciali. Di fronte alla ampia formula di quel testo, il dubbio sollevato dalla IV Sezione può porsi corret tamente proprio in considerazione del carattere generale della nuova norma, e della mancanza di qualsiasi riferi mento, nella legge e nei lavori preparatori, alle norme sul
Consiglio di Stato, nelle quali il t. u. 30 ottobre 1933 n. 1611 non aveva mai interferito.
In difetto di un coordinamento, fra le due leggi, è lecito
all'interprete ricercare se il legislatore, nel dettare la nuova
norma, abbia realmente voluto abrogare e sostituire le norme
speciali proprie di alcune magistrature, tradizionalmente rette da una disciplina autonoma, quali il Consiglio di Stato e la Corte dei conti, o abbia voluto porre una regola gene rale valevole fuori di quei casi particolari. Il dubbio trae motivo da ciò, che le norme della nuova legge, per quanto abbiano portata generale e introducano alcuni precetti con valore di principio, sono tuttavia stabilite per disci
plinare talune situazioni ben determinate e non possono
(1-2) La ordinanza 12 giugno 1959, con la quale la IV Sezione ha rinviato la cognizione della questione riassunta nelle due massime all'Adunanza plenaria, leggesi in Foro it., 1959, III, 129, con nota di richiami, cui adde Albini, Una legge che non vale ?, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1959, 1158.
ritenersi applicabili «piando manchi il presupposto di quelle situazioni.
Così la notificazione presso l'Avvocatura dello Statò non può essere adottata dove la Amministrazione statale non è rappresentata dalla Avvocatura, come dinanzi alla
Corte dei conti.
Qui la nuova regola importerebbe un inutile disguido dei ricorsi, una complicazione superflua, che è stata certa mente estranea alla previsione e all'intendimento del
legislatore ; ond'è che con pacifica interpretazione si esclude che le norme della nuova legge possano trovare applica zione dinanzi alla Corte dei conti.
Nei giudizi dinanzi al Consiglio di Stato la difesa del
l'Avvocatura è soltanto facoltativa, perchè l'art. 41 t. u.
prevede che l'Amministrazione possa scegliere un diverso
patrocinio. Da questa disposizione sintomatica, anche se di rara applicazione, deriva una prima ragione di dubbio sul
l'applicabilità della nuova norma.
Peraltro l'ostacolo grave e, a giudizio dell'Adunanza,
insuperabile all'applicazione dell'art. 1 legge 25 marzo 1958 n. 260, è costituito dalla impossibilità di adattare al giudizio dinanzi al Consiglio di Stato il principio che il ricorso debba
essere rivolto all'Amministrazione nella persona del Ministro. Le norme del t. u. 26 giugno 1924 n. 1056 e del regola
mento, approvato con r. decreto 17 agosto 1907 n. 642, nell'indicare l'organo dell'Amministrazione nei confronti
del quale si deve istaurare e svolgere il giudizio, si riferi
scono all'autorità che ha emanato il provvedimento impu
gnato. Questo costante riferimento della legge riflette un
principio connaturale alla funzione stessa della giurisdi zione di legittimità. Il giudizio dinanzi al Consiglio di Stato
ha lo scopo di garantire la legittimità dell'atto ammini
strativo ed è perciò essenziale che la responsabilità della
lite sia data all'organo competente a provvedere, il quale
può sempre, nel modo più semplice e conveniente, revocare
0 modificare l'atto, in modo da renderlo immune dalle
censure che gli sono rivolte.
La presenza dell'autorità che ha emesso il provvedimento
impugnato è presupposta in tutte le fasi del procedimento :
dalla fase preliminare, che ha luogo fra la proposizione del
ricorso e la domanda di fissazione d'udienza ed è destinata
a favorire la conciliazione nel contatto diretto fra l'autorità
competente e il ricorrente (e l'alto numero di ricorsi non
seguiti da atti d'impulso dimostra come quel contatto sia
fecondo) fino alla decisione finale. La decisione poi spiega 1 suoi effetti nei confronti dell'autorità che ha emanato il
provvedimento impugnato e stabilisce spesso una direttiva, che è rivolta a quella autorità, e dev'essere seguita nella ema
nazione dei provvedimenti ulteriori. L'azione riparatrice
dell'Amministrazione, che il giudizio di legittimità tende a
provocare, incontrerebbe grave ostacolo, se la responsa bilità e la trattazione della controversia non fosse assunta
direttamente dall'autorità che ha emesso il provvedimento, ma dal Ministro.
Applicata nel giudizio dinanzi a questo Consiglio, la
norma della legge 25 marzo 1958 n. 260 implicherebbe l'affermazione di un principio di accentramento della rap
presentanza processuale dell'Amministrazione, in contrasto
col principio del decentramento amministrativo affermato
dall'art. 5 Cost. E, poiché il legislatore ha recentemente
attuato e va attuando il decentramento, attribuendo a organi
periferici dell'Amministrazione competenze prima riser
vate ai Ministri, l'introduzione del nuovo principio darebbe
luogo ad una vasta e progressiva separazione fra la rappre sentanza sostanziale e la rappresentanza processuale della
Amministrazione.
Un tale turbamento dell'ordine delle competenze ammi
nistrative era molto lontano dalla ragione ispiratrice della
recente riforma.
Il legislatore ha voluto agevolare il compito di chi agisce nei confronti dello Stato, eliminando le difficoltà e le insidie,
che derivavano dall'applicazione del t. u. 30 ottobre 1933
n. 1611.
Secondo l'art. 11 di quel t. u. gli atti introduttivi dei
giudizi dovevano essere rivolti alla persona, che rappresen tava l'Amministrazione secondo le leggi organiche. La rap
iij Fono Italiano — Volume LXXXI1I — Parle 11 IS,
This content downloaded from 193.142.30.61 on Sat, 28 Jun 2014 17:05:33 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
PARTE TERZA 28
presentanza organica dell'Amministrazione, com'è noto, ora originariamente stabilita dalla tabella allegata al r.
decreto 25 giugno 1865 n. 2861 ; ma è stata poi modificata
da numerose riforme parziali, che attribuivano a organi diversi, nei vari rami dell'Amministrazione, la competenza a stare in giudizio.
Così il compito di individuare il soggetto legittimato a
rappresentare lo Stato in giudizio era divenuto assai arduo ; e l'eventuale errore commesso dall'attore nell'indicare quel
soggetto aveva conseguenze fatali, perchè dava luogo a
nullità da pronunciarsi anche d'ufficio (art. 11, ultimo
comma) e, secondo l'interpretazione rigorosa della giuris
prudenza, insanabile e rilevabile in ogni stato e grado del
processo. Il legislatore ha ora voluto troncare il nodo gor diano di quella difficoltà, fissando il principio che gli atti
introduttivi vanno rivolti al soggetto che sta al sommo della
gerarchia e rappresenta una determinata branca dell'Am
ministrazione ; e in tal modo ha eliminato l'ostacolo delle
troppo frequenti eccezioni di nullità che si opponevano, per
ragioni puramente formali, a colui che agiva nei confronti
dello Stato.
Senonchè, nel giudizio dinanzi al Consiglio di Stato non
si è mai posto il problema della identificazione del soggetto
passivamente legittimato a rappresentare l'Amministra
zione, perchè è del tutto agevole desumere dal provvedimento l'autorità che lo ha emanato ; e la nullità sancita dal
l'ultimo comma dell'art. 11 t. u. 30 ottobre 1933 n. 1611
non ha mai trovato qui applicazione. Il ricorrente dinanzi
al Consiglio di Stato si trova se mai a dover affrontare una
difficoltà d'altra natura, concernente l'accertamento della definitività del provvedimento impugnato ; ma per risol
vere quella difficoltà (le cui conseguenze sono molto miti
gate dall'istituto dell'errore scusabile) non gioverebbe l'ap
plicazione della nuova legge, perchè è chiaro che un ricorso
diretto contro un provvedimento non definitivo sarebbe
inammissibile, anche se indirizzato alla persona del Ministro.
Per contro, l'introduzione del principio, stabilito dall'art. 1
legge 25 marzo 1958 n. 260, produrrebbe nel giudizio dinanzi
al Consiglio di Stato proprio l'effetto opposto a quello che
ha avuto nel giudizio civile, perchè farebbe sorgere un pro blema e una difficoltà là dove oggi non esistono.
Infatti, mentre è del tutto agevole identificare l'autorità
che ha emesso il provvedimento, sarebbe ben arduo sta
bilire il Ministro, al quale dovrebbe essere rivolto il ricorso,
quando l'organo che ha emesso l'atto abbia competenza
complessa (come ad es. il prefetto), e abbia provveduto in
materia di pertinenza di più Amministrazioni.
Il problema sarebbe poi insolubile nel caso di provvedi menti emanati da organi collegiali, che agiscono fuori dal vincolo della gerarchia e in taluni casi sono anche composti da rappresentanti di più Ministeri.
Queste considerazioni inducono l'Adunanza plenaria a ritenere che il legislatore non abbia inteso abrogare con la recente riforma l'art. 36, 2° comma, t. u. 26 giugno 1924.
L'Avvocatura dello Stato contrasta solo in parte questa conclusione, e propone anch'essa un'interpretazione restrit tiva della legge 25 marzo 1958 n. 260.
Secondo questa interpretazione, si riconosce che non è
applicabile in questa sede l'art. 1 della nuova legge là dove stabilisce che i ricorsi debbono essere rivolti alle Ammini strazioni nella persona del Ministro in carica ; ma non si
potrebbe negare invece l'applicazione della norma concer nente la notificazione presso l'Avvocatura. Questa forma di
notificazione, si osserva, è divenuta regola generale e propria di tutti gli atti introduttivi dei giudizi proposti nei confronti
dell'Amministrazione, quando l'Amministrazione è rappre sentata dall'Avvocatura ; e a quella regola si deve unifor mare anche la notificazione dei ricorsi giurisdizionali dinanzi al Consiglio di Stato, dato che in questa sede la costituzione a mezzo dell'Avvocatura è normale, anche se non necessaria.
La tesi proposta in questi termini non può essere accolta. Senza dubbio l'art. 1 legge 20 marzo 1958 n. 260 contiene
due precetti, concernenti l'uno l'indicazione del soggetto legittimato passivamente a rappresentare l'Amministra zione in giudizio, e l'altro il luogo e il modo della notifica
zione. Ma questi due precetti, sebbene diversi (e anzi rela
tivi ad atti distinti, che potrebbero avere ed hanno nel
codice di rito separata disciplina), sono contenuti, nella
legge 25 marzo 1958 n. 260, in un unico contesto, così che
non è possibile dissociarne l'applicazione. Il legislatore ha previsto e regolato insieme il modo, con
cui l'atto introduttivo dev'essere portato a destinazione, e l'indicazione del destinatario ; e ha seguito questo cri
terio sia nella nuova legge, sia nella formulazione dell'art. 36, 2° comma, t. u. 26 giugno 1924 n. 1054. Pertanto, quando si riconosce che questa norma non è stata abrogata nel suo
contenuto principale, si deve logicamente ammettere che è
vigente nella sua integrità, e ad essa si deve ancora fare
riferimento anche per quanto concerne le notificazioni.
La distinzione sopra indicata assume invece rilievo sotto
altro profilo, al fine di determinare le diverse conseguenze dell'inosservanza dei due precetti contenuti nella norma
dell'art. 36, 1° comma, t. u. 26 giugno 1924 n. 1054 ; e
anzitutto al fine di definire la sorte dei ricorsi che siano stati
proposti seguendo la norma generale della nuova legge, anziché la norma speciale del testo unico.
Le incertezze provocate dal difetto di coordinamento fra
la nuova legge e il t. u. 26 giugno 1924 n. 1054 costitui
ranno in ogni caso fondato motivo per ritenere scusabile
l'errore del ricorrente. Ma, quando non sia stato osservato
il precetto relativo alla rappresentanza dell'Amministra
zione in giudizio, il ricorso è viziato nel suo contenuto intrin
seco e non può costituire valido mezzo per costituire il
giudizio. Così il ricorso diretto al Ministro ritenuto compe
tente, e non all'autorità che ha emesso il provvedimento
impugnato, può avere il solo effetto di conservare l'azione, ma mediante un atto di rinnovazione. Per contro, i ricorsi
proposti rettamente nei confronti dell'autorità che ha ema
nato il provvedimento impugnato, ma notificati presso l'Av
vocatura, possono ottenere la sanatoria senza necessità di
rinnovazione.
Le norme sulla notificazione hanno carattere strumen
tale, perchè sono poste a garanzia del conseguimento di un
determinato effetto, che si presume raggiunto quando siano
seguite le forme stabilite dal legislatore, ma in qualche caso può essere ottenuto anche al di fuori del preciso schema
fissato dalla legge. L'istituto della sanatoria, stabilito in termini generali
dall'art. 56, ultimo comma, cod. proc. civ. e accolto anche
dal regolamento di procedura presso il Consiglio di Stato
approvato con r. decreto 17 agosto 1907 n. 642 (art. 17, ultimo comma), trova applicazione principalmente in
materia di notificazioni.
È vero che una notificazione può essere idonea a pro durre l'effetto, al quale è destinata, sol quando la disfor
mità del procedimento seguito dalla regola propria stabilita
dalla legge possa ritenersi di tal natura da non implicare nullità, ma proprio nella valutazione della irregolarità insita nella notificazione dei ricorsi, eseguita presso l'Avvo
catura, influiscono ora le innovazioni introdotte nel nostro
sistema giuridico dalla legge 25 marzo 1958 n. 260.
Questo Consiglio ha affermato in passato che la notifi
cazione dei ricorsi presso l'Avvocatura era insanabilmente
nulla (Ad. plen. 26 febbraio 1954, n. 10, Foro it., 1954,
III, 206), perchè, secondo il testo originario del r. decreto
30 ottobre 1933 n. 1611, quella forma di notificazione,
propria degli atti introduttivi dinanzi ai tribunali e alle
corti civili, era del tutto estranea alla materia ammini
strativa. Ora la nuova legge ha impresso carattere di gene ralità alle norme del t. u. 30 ottobre 1933 n. 1611, stabi
lendo che esse si applicano (in difetto, bene inteso, di una
diversa norma specifica) anche nei giudizi innanzi alle giuris dizioni amministrative. Per effetto di quelle norme, l'Avvo
catura, avendo assunto il ruolo di domiciliataria generale dell'Amministrazione (come ha bene avvertito il difensore
dello Stato), ha il dovere funzionale di far pervenire gli atti all'Amministrazione interessata. Con ciò sono venute
meno le ragioni che avevano indotto l'Adunanza plenaria ad affermare la nullità dei ricorsi notificati presso l'Avvo
catura. Nò la nullità può essere desunta dall'art. 11, ultimo
This content downloaded from 193.142.30.61 on Sat, 28 Jun 2014 17:05:33 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
comma, del r. decreto 30 ottobre 1933 n. 1611, perchè quella norma, anche se può ritenersi ancora ili vigore, non si può estendere oltre la fattispecie in essa prevista.
Li nuova legge ha accolto un diverso principio nell'art. 4
prevedendo la sanatoria e la non rilevabilità d'ufficio della
irregolarità di notificazioni avvenute presso l'Avvocatura e
male indirizzate. Da quel principio si dovrà trarre il criterio,
per definire l'efficacia dei ricorsi notificati presso l'Avvo
catura a norma dell'art. 1 della legge 25 marzo 1958 n. 260, sebbene quella norma non fosse direttamente applicabile alla specie, come si è chiarito.
I ricorsi invece che, come quello in esame, sono stati
notificati direttamente all'autorità che ha emesso il provve dimento a norma dell'art. 36, 2° comma del t. u. 26 giugno 1924 n. 1056, debbono ritenersi validi e regolari. (Omissis)
Per questi motivi, ecc.
CONSIGLIO DI STATO.
Sezione V ; decisione 9 gennaio 1960, n. 8 ; Pres. Gallo
P., Est. Cesareo ; Pontificia opera di S. Pietro apostolo
pro Clero indigeno in Roma (Avv. Dedin, Gtorgianni) c. Sezione urbanistica compartimentale presso il Prov
veditorato delle opere pubbl. per il Lazio e Comune di
Roma (Avv. Colamartino, Focacci).
Giustizia amministrativa — Intervento adesivo per la
conservazione del provvedimento impugnato —
Ammissibilità — Estremi.
Piano regolatore, di ricostruzione e disciplina delle
costruzioni — Licenza edilizia — Annullamento — Legittimità — Estremi Fattispecie.
Piano regolatore, di ricostruzione e disciplina delle
costruzioni — Licenze edilizie — Annullamento — Presentazione di varianti al progetto — Irrile
vanza — Fattispecie. Piano regolatore, di ricostruzione e disciplina delle
costruzioni — Ordine di demolizione — Parere
delle sezione urbanistica — Legittimità — Fat
tispecie (L. 17 agosto 1942n. 1150, legge urbanistica, art. 32).
È ammissibile l'intervento ad adiuvandum nei confronti della pubblica Amministrazione resistente, quando l'in
terveniente abbia un interesse diretto, personale ed attuale
al rigetto del ricorso, coincidente, sia pure parzialmente, con quello dell'Amministrazione alla conservazione del
provvedimento impugnato. (1) È legittimo l'annullamento di una licenza edilizia, quando
l'esercizio del relativo potere sia immune da vizi e ispirato alla tutela del pubblico interesse (nella specie, è stato ri
tenuto sussistente in re ipsa l'interesse pubblico alla ema
il) Sull'ammissibilità dell'intervento ad resistendum e ad
opponendum, Cons. Stato, Sez. IV, 11 luglio 1958, n. 589, Foro it., Rep. 1958, voce Giustizia amministrativa, n. 338 ; Cons,
giust. amulin. sic. 19 giugno 1958, n. 137, ibid., n. 339 ; Cons.
Stato, Sez. IV, 8 marzo 1957, n. 256, id., Rep. 1957, voce cit., n. 313 ; Sez. VI 27 marzo 1957, n. 125, ibid., n. 314 ; Sez. VI 9 gennaio 1957, n. 4, id., 1957, III, 68, e Sez. V 6 aprile 1957, n. 185, ibid., 155, con nota di richiami ; Guicciardi, Sulla no
zione di controinteressato, in Giur. it., 1948, III, 101. Invece è giurisprudenza consolidata che sia inammissi
bile l'intervento ad adiuvandum (il ricorrente) proposto da chi, essendo titolare di un interesse direttamente leso dall'atto im
pugnato, avrebbe dovuto farlo valere con autonomo ricorso giu risdizionale : Cons. Stato, Sez. VI, 22 ottobre 1958, n. 730, Foro it., Rep. 1958, voce cit., n. 335 ; 10 dicembre 1958, n. 913,
ibid., n. 336 ; 5 novembre 1958, n. 836, ibid., n. 337 ; Cons, giust. amm. sic. 13 ottobre 1958, n. 203, ibid, n. 334 ; Cons. Stato, Sez.
VI, 20 febbraio 1957, n. 74, id., Rep. 1957, voce cit., n. 310 ; 6 novembre 1957, n. 810, ibid., n. 311 ; a meno che l'interven tore non faccia valere un interesse non già diretto e attuale, ma solo indiretto e parallelo a quello del ricorrente principale
(Cons. Stato, Sez. V, 28 novembre 1958, n. 924, id., Rep. 1958, voce cit., n. 333).
nazione di quel provvedimento, inteso ad evitare che vengano violate le norme relative alla tutela paesistica di una zona
panoramica ; e insindacabile sotto il profilo dell'opportu nità l'esercizio del potere discrezionale di annullamento). (2)
Il sindaco, che, avendo rilevato difformità tra il progetto e le opere eseguite, abbia invitato il costruttore a rielabo rare il progetto, non è tenuto, prima di adottare i
definitivi provvedimenti, ad attendere la presentazione del nuovo progetto, una volta accertato che la redazione del
progetto stesso era avvenuta in base a tipi non rispon denti alla realtà, ed essendo questa circostanza sufficiente a legittimare l'annullamento della licenza edilizia. (3)
Non è illegittimo, perchè non preceduto dalla diffida prevista dalla legge urbanistica, l'ordine di demolizione che consegue automaticamente all'annullamento della licenza edilizia, ed è valido il parere favorevole espresso circa la sua ema nazione dalla Sezione urbanistica compartimentale, pur se il comune non abbia portato a conoscenza della Sezione stessa l'invito rivolto al costruttore di presentare un pro getto di variante, ove tale invito non potesse influire sulla
irregolarità della licenza rilasciata in base a tipi non ri
spondenti al vero. (4)
La Sezione, ecc. — I ricorsi possono essere riuniti ai fini di una unica decisione, data la loro connessione og gettiva e soggettiva.
Preliminarmente deve essere esaminata l'ammissibilità del ricorso adesivo dell'Orlandi, intervenuto in giudizio per contrastare le ragioni della ricorrente e per far valere un suo interesse parallelo a quello della Amministrazione.
La Sezione non ignora i dubbi cui ha dato luogo l'am
missibilità di un intervento ad adiuvandum nei confronti
della pubblica Amministrazione resistente ; ma, considerato che l'Orlandi ha un interesse diretto, personale ed attuale a che il ricorso sia rigettato, interesse per altro coincidente, sia pure parzialmente, con quello del Comune alla conser
vazione del provvedimento impugnato, ritiene, aderendo
all'opinione giurisdizionale meno rigorosa, confortata del
resto dall'unanime dottrina, che l'intervento possa essere
ammesso.
Si può quindi passare all'esame dei motivi dei ricorsi, tenendo conto delle considerazioni fatte al loro riguardo e dall'Amministrazione resistente e dal controinteressato
Orlandi. La infondatezza del primo motivo del primo e del se
condo ricorso discende dalla considerazione che è fuori di
ogni dubbio che il Sindaco di Roma ha esercitato i poteri di cui all'art. 32, 2° comma, della legge urbanistica 17
agosto 1942 n. 1150, ed ha ritenuto essersi verificata l'ipo tesi prevista dall'art. 12, n. 2, del regolamento generale edilizio del Comune di Roma, quella cioè di licenza rilasciata
in base a dati non rispondenti a realtà.
Tutto ciò risulta dalla espressa citazione nel provvedi mento della predetta norma del regolamento e dalla esplicita considerazione che la licenza era stata rilasciata in base a
tipi non rispondenti al vero, contenuta nella motivazione
del provvedimento medesimo.
La sussistenza dei presupposti di fatto sui quali si basa
il provvedimento sindacale, e che sono previsti dalla norma
regolamentare violata, espressamente citata, è sufficiente
ad escludere la fondatezza della censura di perplessità e
(2-4) La decisione si riferisce alla nota questione della co
struzione dello Studentato al Gianicolo in Roma. Non si rinvengono precedenti sulla questione— peraltro di
specie — dell'annullamento di licenza edilizia. Circa le condizioni per la sospensione dei lavori, vedi Cons.
Stato, Sez. V, 31 maggio 1957, n. 371, Foro it., Rep. 1957, voce
Piano regolatore, n. 141 ; Sjz. VI 9 gennaio 1954, n. 4, cit.
Nel senso che il parere della Sezione urbanistica deve pre cedere non già la diffida a demolire, bensì il provvedimento clie
dispone l'esecuzione d'ufficio, v. Cons. Stato, Sez. V, 7 novembre
1958, n. 844, id., Rep. 1958, voce cit., n. 258 ; 5 dicembre
1958, n. 927, ibid., n. 262 ; 27 giugno 1958, n. 453, ibid., n. 264 ; 20 giugno 1958, n. 438, ibid., n. 265 ; 28 giugno 1957, n. 522, id.,
Rep. 1957, voce cit., n. 143 ; 24 maggio 1957, n. 338, id., 1958,
III, 109, con nota di richiami.
This content downloaded from 193.142.30.61 on Sat, 28 Jun 2014 17:05:33 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions