adunanza plenaria; decisione 19 gennaio 1999, n. 1; Pres. Laschena, Est. Maruotti; Consorzio perl'area di sviluppo industriale di Napoli (Avv. Tozzi, Mazzarelli) c. De Rosa e altri. Annulla TarCampania, sez. I, 11 marzo 1988, n. 162Source: Il Foro Italiano, Vol. 123, No. 6 (GIUGNO 2000), pp. 311/312-315/316Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23194403 .
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PARTE TERZA
intestata alla presidenza del consiglio per indirizzare lettere a
sostegno della propria posizione politica sulla questione della
costruzione della caserma dei carabinieri, il giudice ha ritenuto
sufficiente che sia stata sbarrata l'intestazione, e in uno dei due
casi dichiarata la qualifica di consigliere comunale, per non ri
conoscere la gravità di tale comportamento, di cui è invece evi
dente la consapevole ambiguità allo scopo di avvalersi della ca
rica per fini di parte. Ugualmente per l'episodio della convoca
zione della conferenza dei presidenti dei consigli comunali nella
sede del comune, nel quale la sentenza non rinviene un abuso
trattandosi di una riunione fra i presidenti dei consigli comunali
su temi istituzionali, e riconducendolo ad una semplice questio ne di organizzazione logistica e di cortesia istituzionale verso
il sindaco; tale convocazione invece è stata espressamente fatta
nel quadro dell'azione di difesa politica del geom. Brufani in
vista del dibattito sulla sua revoca, ciò che la sentenza giustifi
ca, infine, alla luce della novità della questione istituzionale da
affrontare.
Da tutto ciò si deduce, conclude l'appello, la contraddittorie
tà della sentenza impugnata, che afferma la neutralità della fun
zione del presidente del consiglio comunale ma non ne censura
l'esercizio, palesemente distorto nel caso in esame e alla base
della legittimità della sua revoca, comunque sussistente, si sog
giunge, anche nella diversa ipotesi di un rapporto politico fidu
ciario. 4. - Il motivo è infondato.
Nella sentenza di primo grado si afferma che la funzione del
presidente del consiglio comunale è istituzionale e non politica, si afferma di conseguenza che il potere di revoca può essere
esercitato soltanto per motivi istituzionali, in quanto il presi dente usi i propri poteri a fini di parte, e si procede, su questa
base, ad esaminare le motivazioni dell'atto di revoca per verifi
care se con esse si individui un siffatto esercizio. Al riguardo si conclude negativamente e si giudica perciò illegittima la deli
bera impugnata per sviamento di potere «perché il potere di
revocare il presidente del consiglio è stato esercitato con moti
vazioni (politiche) diverse da quelle (istituzionali) che ne costi
tuiscono la funzione tipica secondo la logica del sistema». Il
giudice ha proceduto dunque alla verifica della sussistenza di
un vizio quale l'eccesso di potere, in questo caso individuato
nella figura dello sviamento, che presuppone l'esercizio di una
potestà discrezionale e la cui manifestazione «proprio in quanto non coincide con la violazione estrinseca di un dettato normati
vo evidenziabile tramite sillogismo giuridico, avviene non ex se
bensì attraverso una manifestazione tipica, dalla quale possa
desumersi, in via di deduzione logica, la sussistenza sia pure
potenziale del vizio» (Cons. Stato, sez. VI, 13 aprile 1992, n.
256, Foro it., Rep. 1992, voce Atto amministrativo, nn. 396,
399, 407, e voce Autoservizi, n. 23). La deduzione non poteva che muovere, in questo caso, dall'esame della motivazione del
provvedimento, e svolgersi attraverso la verifica se gli atti e com
portamenti lesivi della dignità e dell'immagine del consiglio, con
essa evocati, concretassero cattivo esercizio della funzione pre sidenziale in violazione del suo contenuto istituzionale. Non si
configura quindi superamento dei limiti del giudizio di legitti mità ma il suo proprio svolgimento. Né, d'altro lato, risultano
erronee le valutazioni conseguentemente date nella sentenza sui
singoli fatti, non evincendosi da ciascuno di essi, né dal loro
insieme, quella provata e chiara distorsione del neutrale eserci
zio dei poteri presidenziali nel loro reiterato svolgimento, che
sola può motivare la revoca.
5. - Per le ragioni esposte, l'appello è infondato e deve essere
respinto.
Il Foro Italiano — 2000.
CONSIGLIO DI STATO; adunanza plenaria; decisione 19 gen naio 1999, n. 1; Pres. Laschena, Est. Maruotti; Consorzio
per l'area di sviluppo industriale di Napoli (Avv. Tozzi, Maz
zarelli) c. De Rosa e altri. Annulla Tar Campania, sez. I,
11 marzo 1988, n. 162.
Giustizia amministrativa — Appello — Censure non riproposte — Conoscibilità — Esclusione (Cod. proc. civ., art. 346).
Il Consiglio di Stato non può esaminare motivi di censura con
tro il provvedimento impugnato, dichiarati assorbiti dal tri
bunale amministrativo regionale, che il ricorrente vittorioso
ed appellato non abbia riproposto nel giudizio di secondo gra
do, vi si sia costituito oppure no (nella specie, il provvedi mento era stato annullato per l'assorbente vizio di incom
petenza). (1)
(1) I. - La questione era stata rimessa all'adunanza plenaria dalla sez. IV, con l'ordinanza 12 giugno 1998, n. 921, Foro it., Rep. 1998, voce Giustizia amministrativa, n. 918, ed è relativa all'appello proposto contro la remota sentenza del Tar Campania, sez. I, 11 marzo 1988, n. 162, id., Rep. 1988, voce Espropriazione per p.i., n. 208.
La giurisprudenza del Consiglio di Stato appare consolidata nel senso che il giudice di appello non può prendere in considerazione censure del provvedimento impugnato in primo grado, ed ivi dichiarate assorbi
te, se il ricorrente vittorioso e appellato non le abbia riproposte in se condo grado: sez. V 2 marzo 2000, n. 1075, Settimana giur., 2000, I, 173; sez. IV 10 febbraio 2000, n. 716, ibid., 103; sez. V 2 novembre
1998, n. 1562, Cons. Stato, 1998, I, 1758; sez. IV 5 giugno 1998, n.
911, Foro it., Rep. 1998, voce Giustizia amministrativa, n. 923.
L'opportunità di rimessione della questione all'adunanza plenaria, quin di, è derivata dalle particolarità del caso: in primo grado il provvedi mento era stato annullato per il radicale vizio di incompetenza, e, quin di, erano stati dichiarati assorbiti tutti i motivi relativi agli ulteriori vizi da cui esso sarebbe stato affetto; e, soprattutto, il ricorrente vitto rioso e appellato non si era neppure costituito nel giudizio di gravame.
Ma anche su questo secondo aspetto, puntualmente in termini, e nel lo stesso senso della decisione ora riportata, v. sez. V 7 maggio 1996, n. 510, id., Rep. 1996, voce cit., n. 749; Cons, giust. amm. sic. 2 marzo
1991, n. 62, id., Rep. 1991, voce cit., n. 619; 20 dicembre 1988, n.
206, e 29 luglio 1989, n. 305, id., Rep. 1989, voce cit., nn. 650 e 809. II. - Tuttavia, è sufficiente una memoria non notificata (e non occor
re l'appello incidentale), per la riproposizione in appello dei motivi di censura dichiarati assorbiti (e non infondati), dal Tar: sez. VI 21 set tembre 1999, n. 1243, Cons. Stato, 1999, I, 1457; sez. IV 27 novembre
1998, n. 1635, id., 1998, I, 1751; sez. V 1562/98, cit.; sez. IV 16 otto bre 1998, n. 1306, Foro it., Rep. 1998, voce cit., n. 920; 18 gennaio 1997, n. 31, id., Rep. 1997, voce cit., n. 718; 23 settembre 1996, n.
1035, id., Rep. 1996, voce cit., n. 551; Cons, giust. amm. sic. 25 otto bre 1996, n. 402, ibid., n. 745; Cons. Stato, sez. IV, 15 maggio 1995, n. 334, id., Rep. 1995, voce cit., n. 601; sez. VI 1° marzo 1995, n.
210, ibid., nn. 604, 786; Cons, giust. amm. sic. 5 dicembre 1994, n.
422, ibid., n. 605; Cons. Stato, sez. IV, 15 ottobre 1994, n. 805, id.,
Rep. 1994, voce cit., n. 550; 20 ottobre 1992, n. 904, id., Rep. 1992, voce cit., n. 747; 16 ottobre 1990, n. 783, id., Rep. 1991, voce cit., n. 620; sez. V 23 gennaio e 8 aprile 1991, nn. 61 e 458, ibid., nn. 797 e 806; sez. VI 14 novembre 1988, n. 1215, id., Rep. 1989, voce
cit., n. 645 (nello stesso senso, per le eccezioni procedurali sollevate in primo grado dal resistente, sez. IV 30 dicembre 1989, n. 1085, id., Rep. 1990, voce cit., n. 641).
D'altra parte, la mera riproposizione dei motivi dedotti in primo gra do non è sufficiente, se la sentenza appellata aveva dichiarato l'inam missibilità in toto o pro parte del ricorso, o, comunque, la sussistenza di una ragione processuale preclusiva di passaggio al merito, e il ricor rente soccombente e appellante non ha formulato specifici motivi di
gravame al riguardo: sez. V 17 febbraio 2000, n. 911, Settimana giur., 2000, I, 138; sez. IV 13 dicembre 1999, n. 1869, Cons. Stato, 1999, I, 2060; 14 ottobre 1997, n. 1196, Foro it., Rep. 1997, voce cit., n. 739; 3 febbraio 1996, n. 96, id., Rep. 1996, voce cit., n. 552; 16 ottobre
1995, n. 821, id., Rep. 1995, voce cit., n. 775; 30 novembre 1992, n.
990, id., Rep. 1993, voce cit., n. 876; 7 luglio 1988, n. 579, id., Rep. 1989, voce cit., n. 643.
III. - Infine, l'appellato, resistente vittorioso nel merito in primo gra do, può riproporre solo con un appello incidentale eccezioni processuali che aveva dedotto davanti al Tar, e che questo aveva disatteso: sez. VI 2 novembre 1998, n. 1485, Cons. Stato, 1998, I, 1783; sez. IV 25 settembre 1998, n. 1208, e 11 dicembre 1997, n. 1378, Foro it., Rep. 1998, voce cit., nn. 921 e 926; sez. V 7 aprile 1995, n. 521, id., Rep. 1995, voce cit., n. 603; 24 novembre 1992, n. 1387, id., Rep. 1993, voce cit., n. 877; sez. VI 22 e 26 ottobre 1992, nn. 784 e 815, id., Rep. 1992, voce cit., nn. 742 e 741; sez. V 20 aprile e 3 maggio 1991, nn. 619 e 712, id., Rep. 1991, voce cit., nn. 805 e 618; 20 febbraio e 6 marzo 1990, nn. 181 e 261, id., Rep. 1990, voce cit., nn. 646 e 807; sez. VI 17 febbraio 1988, n. 188, id., 1989, III, 287, con nota di richiami.
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
Diritto. — 1. - Con i ricorsi di primo grado, proposti al Tar
Campania, gli appellati hanno impugnato il decreto n. 17126
del 4 dicembre 1985, con cui il presidente della giunta regionale della Campania ha disposto l'occupazione d'urgenza di alcuni
immobili di loro proprietà, in favore del consorzio per l'area
di sviluppo industriale di Napoli. Il Tar, con la sentenza n. 162 del 1988 (Foro it., Rep. 1988,
voce Espropriazione per p.i., n. 208) ha annullato per incompe tenza l'atto del presidente della giunta regionale ed ha assorbito
le altre censure di violazione di legge ed eccesso di potere. Il consorzio ha appellato la sentenza del Tar, deducendo che
l'atto impugnato in primo grado non è affetto da incompetenza. Pronunciando sull'appello, con l'ordinanza n. 921 del 1998
(id., Rep. 1998, voce Giustizia amministrativa, n. 918) la quar
ta sezione:
a) ha accolto il gravame, rilevando la competenza del presi dente della giunta regionale nell'adozione del decreto di occu
pazione d'urgenza;
b) si è posta la questione se, in assenza della costituzione
degli appellati, il Consiglio di Stato possa pronunciarsi sui mo
tivi dei ricorsi che sono stati assorbiti dal Tar ed ha rimesso
il suo esame all'adunanza plenaria, ai sensi dell'art. 45 t.u. 26
giugno 1924 n. 1054, al fine di evitare che vi siano sul punto
oscillazioni giurisprudenziali. In particolare, la quarta sezione ha rilevato che, per la co
stante giurisprudenza, il giudice d'appello può esaminare i mo
tivi assorbiti dal Tar solo quando l'appellato vittorioso in pri
mo grado li abbia richiamati in un suo qualsiasi atto difensivo
(sez. V 7 ottobre 1987, n. 794; sez. IV 16 settembre 1986, nn.
595, 596 e 597) ed ha osservato che tale principio (basato sulla
presunzione di rinuncia sancita dall'art. 346 c.p.c.) potrebbe non
trovare applicazione quando il Tar abbia annullato l'atto impu
gnato per incompetenza, assorbendo le altre censure per evitare
l'enunciazione di principi che altrimenti vincolerebbero l'azione
di una amministrazione che non sia risultata soccombente.
2. - Ritiene l'adunanza plenaria che la questione sollevata dalla
quarta sezione debba essere risolta sulla base del principio gene
rale enunciato dall'art. 346 c.p.c. (applicabile anche per il pro
cesso amministrativo), per il quale «le domande e le eccezioni
non accolte nella sentenza di primo grado, che non sono espres
samente riproposte in appello, si intendono rinunciate».
In base a tale principio, l'appello comporta un effetto par zialmente devolutivo della controversia, poiché la mancata ri
proposizione delle «domande ed eccezioni non accolte dalla sen
tenza di primo grado» preclude che l'ambito della cognizione
del giudice d'appello coincida con quella devoluta al giudice
di primo grado: si verifica una decadenza di ordine processuale,
conseguente ad una presunzione di rinuncia basata sulla valuta
zione legale di un comportamento concludente.
2.1. - La concreta portata del principio espresso dall'art. 346
c.p.c. può essere compiutamente affermata tenendo conto delle
ragioni che hanno condotto alla sua elaborazione.
Nel vigore del codice di procedura civile del 1865, in mancan
za di una norma corrispondente e in sede di interpretazione del
l'ultimo comma dell'art. 486 (per il quale i capi della sentenza
sfavorevoli all'appellato e non contestati con l'appello inciden
tale si intendevano da lui accettati) furono raggiunte opposte
conclusioni in giurisprudenza, per il caso in cui l'appellato vit
torioso in primo grado si fosse limitato semplicemente a conte
stare l'appello e a chiedere la conferma della sentenza impugna
ta, senza richiamare le ulteriori domande proposte originaria
mente in via alternativa o subordinata.
Per un orientamento, la richiesta di conferma della sentenza
impugnata da parte dell'appellato vittorioso in primo grado de
volveva al giudice d'appello tutte le conclusioni già formulate
e non esaminate dalla sentenza (Cass. Torino 31 ottobre 1900;
Cass. Roma 19 agosto 1892, id., Rep. 1892, voce Appello in
materia civile, n. 172; Cass. Firenze 14 dicembre 1891, ibid.,
n. 173; Cass. Napoli 23 luglio 1874), mentre per un altro indi
rizzo il mancato richiamo alle domande ed alle conclusioni non
esaminate evidenziava una tacita volontà di rinunciare ad esse
(Cass. Roma 16 dicembre 1904, id., Rep. 1905, voce Sentenza
in materia civile, n. 172; Cass. Firenze 26 luglio 1888). La più accorta dottrina, preferendo evitare difficili indagini
su volontà tacite o presunte e approfondendo la regola dell'ef
fetto devolutivo dell'appello, distinse i casi di erroneità della
motivazione della sentenza impugnata (emendabile dal giudice
Il Foro Italiano — 2000.
d'appello anche nel caso in cui l'appellato avesse solo chiesto
la conferma della sentenza) da quelli in cui essa non si fosse
pronunciata su «eccezioni o questioni» sollevate dell'attore (esa minabili dal giudice d'appello solo nell'ipotesi della loro «ripro duzione in qualsiasi modo» da parte dell'appellato vittorioso, non essendo invece sufficiente la semplice domanda di confer
ma della sentenza impugnata). Poiché non ebbe seguito il progetto di riforme processuali
del maggio 1909 (il cui art. 17 prevedeva la necessità dell'appel lo incidentale per escludere l'acquiescenza ai capi della sentenza
comunque sfavorevoli, anche consistenti nel mancato esame di
una domanda od eccezione), e pur perdurando le oscillazioni
giurisprudenziali, la dottrina maggioritaria si consolidò nel rite
nere che la domanda dell'appellato sulla conferma della senten
za appellata consentisse l'esame delle sue tesi formulate in pri mo grado (al fine di confermare la sentenza con diversa motiva
zione), ma non fosse sufficiente per devolvere al giudice d'appello l'esame delle domande ed eccezioni non esaminate e non ri
prodotte. Durante i lavori che poi hanno condotto all'elaborazione del
vigente art. 346 c.p.c., si tenne conto del richiamato dibattito
giurisprudenziale e dottrinale, che si intendeva sopire, al fine
di giustificare la soluzione poi accolta, per la quale «si intendo
no rinunciate» le domande formulate in primo grado, non esa
minate e non riproposte dall'appellato. 2.2. - I precedenti che hanno condotto all'elaborazione del
l'art. 346 c.p.c. evidenziano che il concetto del «non accogli mento» (ben diverso da quello dell'esame e del rigetto della do
manda e della conseguente espressa soccombenza, che compor
ta l'onere di proporre l'appello incidentale previsto dall'art. 333
ss. c.p.c.) riguarda tutti i casi in cui il giudice di primo grado
non si sia pronunciato su una domanda, perché formulata sulla
base di deduzioni alternative o subordinate, di cui una principa le sia accolta.
In tal caso, la parte vittoriosa in primo grado, costituitasi
nella fase di appello, ha l'onere di richiamare le proprie doman
de non esaminate dalla sentenza gravata di appello: l'equivocità
derivante dal loro mancato richiamo in sede d'appello ha indot
to il legislatore ad evitare ulteriori questioni interpretative ed
a ravvisare un comportamento concludente dell'appellato, per
cui le medesime domande «si intendono rinunciate».
Per quanto riguarda il processo civile, più volte la Corte di
cassazione ha chiarito che l'appellato vittorioso in primo grado
abbia, a pena di decadenza, l'onere di riproporre in sede d'ap
pello le domande proposte in via alternativa o subordinata e
che siano state assorbite e non esaminate, in conseguenza del
l'accoglimento di uno dei profili della domanda (8 ottobre 1992,
n. 10975, id., Rep. 1992, voce Appello civile, n. 43; 18 dicem
bre 1984, n. 6625, id., Rep. 1984, voce cit., n. 61; 6 maggio
1980, n. 2976, id., Rep. 1980, voce cit., n. 103; 6 febbraio 1958,
n. 348, id., Rep. 1958, voce cit., n. 238; v. anche sent. n. 4728
del 1993, id., Rep. 1993, voce cit., n. 46; n. 9231 del 1991,
id., Rep. 1991, voce cit., n. 41; n. 3658 del 1988, id., Rep.
1988, voce cit., n. 60). Una regola corrispondente si applica nell'ambito del processo
amministrativo di legittimità, rispetto al quale ogni motivo di
impugnazione comporta una specifica domanda su cui si fonda
la richiesta di annullamento dell'atto impugnato. I motivi del ricorso proposto al Tar, se assorbiti e non esami
nati, sono soggetti al principio espresso dall'art. 346 c.p.c., men
tre è irrilevante, sotto tale aspetto, che essi siano formulati cu
mulativamente, alternativamente o in via subordinata l'uno al
l'altro (anche nel caso in cui il ricorrente abbia dedotto in via
preliminare l'incompetenza dell'autorità emanante ed abbia la
mentato, in subordine, ulteriori illegittimità per violazione di
legge od eccesso di potere).
Quanto precede induce l'adunanza plenaria a ritenere che il
Consiglio di Stato, qualora vada accolto l'appello dell'ammini
strazione o del controinteressato soccombente e risulti che l'ap
pellato vittorioso in primo grado, pur costituitosi nella fase del
gravame, non abbia «riproposto» le originarie censure non esa
minate dal Tar, non possa pronunciarsi sulle medesime censure,
poiché esse «si intendono rinunciate», come previsto per il pro
cesso civile dall'art. 346 c.p.c. 2.3. - A maggior ragione, tale preclusione sussiste quando
l'appellato vittorioso (come nella specie) non si è costituito nel
giudizio di appello.
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PARTE TERZA
Anche se per un orientamento la presunzione di rinuncia (di
sposta dall'art. 346 c.p.c.) non opererebbe nei confronti del
l'appellato non costituitosi nella fase del gravame, ritiene l'adu
nanza plenaria che la mancata costituzione dell'appellato evi
denzi un comportamento univoco di rinuncia alle domande ed
alle eccezioni da lui proposte ed assorbite in primo grado. L'art. 346 c.p.c. ha sopito il dibattito sorto nel secolo scorso
per il caso in cui l'appellato vittorioso in primo grado avesse
solo chiesto la conferma della gravata sentenza ed ha disposto che tale equivoco comportamento implichi la rinuncia alle origi narie domande non riproposte.
Tale rinuncia senz'altro si manifesta con univocità quando
l'appellato non si sia costituito in giudizio ed abbia così un com
portamento concludente di accettazione della sentenza per la
parte in cui essa non ha esaminato alcune delle sue domande.
È significativo che le diverse soluzioni accolte dalla dottrina
e dalla giurisprudenza, nel vigore del codice di rito del 1865,
riguardassero unicamente i dubbi sulle conseguenze processuali derivanti dal comportamento equivoco dell'appellato che si fos
se costituito in giudizio ed avesse chiesto la conferma della sen
tenza appellata, senza richiamare le originarie domande (od ec
cezioni) proposte in primo grado non accolte.
Nel diverso caso in cui l'appellato non si fosse costituito nella
fase del gravame, non sorse alcun dibattito giurisprudenziale e in dottrina non vi era alcun dubbio circa la sussistenza di
un comportamento univoco di accettazione della sentenza, che
precludeva al giudice d'appello di pronunciarsi sulle domande
non riproposte. 3. - Per le ragioni che precedono, ritiene l'adunanza plenaria
che il principio costantemente affermato dalla giurisprudenza
(e per il quale i motivi assorbiti dal Tar possono essere esamina
ti in sede d'appello solo quando l'appellato vittorioso in primo
grado li abbia specificamente richiamati) si applichi senza ecce
zioni ogni volta che in accoglimento del gravame risulti insussi
stente la ragione dell'annullamento disposto dal Tar, ed anche
quando la sentenza di primo grado abbia erroneamente annul
lato l'atto impugnato per l'incompetenza dell'autorità emanante.
Pertanto, in questa sede non possono essere esaminati i moti
vi proposti nei ricorsi di primo grado e non riproposti dagli
appellati, che non si sono costituiti in questa fase del giudizio. Poiché già la quarta sezione ha accolto il motivo d'appello
proposto dal consorzio, il gravame nel suo complesso va accol
to, sicché in riforma della sentenza impugnata vanno respinti i ricorsi di primo grado.
CONSIGLIO DI STATO; adunanza plenaria; decisione 4 di
cembre 1998, n. 8; Pres. Laschena, Est. Allegretta; Caia
e altri (Avv. Laudadio, B. e F. Scotto) c. Azienda ospeda liera A. Cardarelli di Napoli. Giudizio di ottemperanza.
Giustizia amministrativa — Annullamento di atto negativo di
controllo — Giudicato — Ricorso per l'esecuzione — Inam missibilità.
È inammissibile il ricorso per l'ottemperanza alla decisione con
la quale il giudice amministrativo abbia annullato l'atto nega tivo di controllo. (1)
(1) I. - L'adunanza plenaria si pronuncia relativamente all'ottempe ranza da parte dell'amministrazione al proprio precedente 21 giugno 1996, n. 9, Foro it., 1996, III, 429 (annotata da Parisio, in Giusi,
civ., 1996, I, 2737), che aveva negato all'amministrazione che si era vista annullare un proprio provvedimento dall'organo di controllo, il ruolo di controinteressato rispetto al ricorso proposto contro questo annullamento dai beneficiari di tale provvedimento.
II. - La giurisprudenza è consolidata nel senso della inammissibilità
li Foro Italiano — 2000.
Diritto. - Il ricorso è inammissibile.
Funzione tipica ed essenziale del giudizio di ottemperanza è
quella di adeguare la realtà giuridica e materiale al giudicato. Per suo mezzo il giudice accerta la violazione da parte dell'am
ministrazione dell'obbligo di conformarsi alla pronuncia giuris dizionale e dispone le misure necessarie a realizzare gli stessi
effetti che deriverebbero dall'adempimento di quell'obbligo.
Quando, peraltro, è la medesima sentenza a realizzare come
effetto suo proprio l'adeguamento della realtà sopra menziona
to, cosicché non v'è necessità di alcuna ulteriore attività ammi
nistrativa per rendere attuale il deciso, non può darsi ingresso ad un giudizio che l'ordinamento appresta a quel fine esclusivo.
Ne manca, invero, il presupposto essenziale costituito dalla dif
formità tra realtà e giudicato. L'unica concreta ed effettiva utilità che il ricorrente può con
seguire attraverso l'impugnazione di un atto negativo di con
trollo è la rimozione dell'atto ad opera della decisione giurisdi
zionale, senza che possa attribuirsi alcuna rilevanza agli ulterio
ri effetti che, in via mediata, possano verificarsi come, ad esem
pio, l'eventuale integrazione dell'efficacia dell'atto controllato.
Anche quando sia dedotta in giudizio l'errata valutazione da
parte dell'organo di controllo della legittimità dell'atto control
lato, invero, l'oggetto del giudizio rimane esclusivamente la de
cisione di controllo, dei cui vizi soltanto è stato chiesto al giudi ce l'accertamento quale presupposto necessario per la pronun cia di annullamento.
Una pronuncia siffatta esaurisce la sua forza precettiva nella
eliminazione dal mondo giuridico del provvedimento impugna
to, donde la sua ascrizione al genus delle sentenze autoesecuti
ve, cosicché rimane del tutto indifferente rispetto al deciso il
comportamento che l'amministrazione terrà riguardo all'atto sot
toposto al controllo.
Nei confronti della sentenza di annullamento di atto negativo di controllo, pertanto, il rimedio del giudizio di ottemperanza non può avere ingresso.
Sotto il profilo sostanziale, infatti, questo giudizio mira a
del giudizio per l'ottemperanza ad un giudicato di annullamento di un atto negativo di controllo; ma le motivazioni non sono sempre coincidenti.
Alcune decisioni fanno leva soprattutto sul rilievo secondo il quale un giudicato del genere non pone a carico dell'amministrazione doveri
ulteriori, in particolare di esecuzione del provvedimento in tal modo
ripristinato con effetto ex tunc: Cons. Stato, sez. V, 17 marzo 1998, n. 307, Foro it., Rep. 1998, voce Giustizia amministrativa, n. 1039; Tar Calabria 6 dicembre 1991, n. 740, id., Rep. 1992, voce cit., n.
1063; Cons. Stato, sez. V, 8 febbraio 1991, n. 118, id., Rep. 1991, voce cit., n. 881 (v., però, in senso opposto, in relazione alla delibera, annullata con atto del Coreco, a sua volta annullato in sede giurisdizio nale, con la quale un comune aveva riconosciuto il servizio prestato da un suo dipendente, Cons. Stato, sez. V, 17 dicembre 1991, n. 1375, id., Rep. 1992, voce cit., n. 1126).
Altre decisioni mettono in risalto l'incongruità della proposizione del ricorso per l'ottemperanza nei confronti dell'organo di controllo che è stato parte nel giudizio concluso col giudicato, per ottenere l'esecuzio ne del provvedimento da questo fatto riemergere: Cons. Stato, sez. V, 12 giugno 1995, n. 910, id., Rep. 1995, voce cit., n. 922, nonché 31 marzo 1994, n. 242, id., Rep. 1994, voce cit., n. 798.
Tar Lazio, sez. I, 3 settembre 1990, n. 711, id., 1991, III, 144, con nota di richiami, dal canto suo, fonda l'inammissibilità in questione sul carattere auto-esecutivo di un simile giudicato.
III. - Da questo punto di vista, il filone giurisprudenziale relativo alla inammissibilità del ricorso per l'ottemperanza al giudicato di an nullamento di un atto negativo di controllo, viene a collegarsi con l'o rientamento che afferma la medesima inammissibilità nei confronti del le sentenze in genere c.d. auto-esecutive: Cons, giust. amm. reg. sic. 16 settembre 1998, n. 468 (relativa all'annullamento di un atto di revo
ca), id., Rep. 1998, voce cit., n. 1038; Cons. Stato, sez. IV, 17 gennaio 1992, n. 53 (relativa all'annullamento di un decreto di esproprio), id., Rep. 1992, voce cit., n. 1072.
Meno pertinente appare Tar Molise 22 maggio 1990, n. 141, id., 1991, III, 144, con nota di richiami: anch'essa nega l'esperibilità di tale ricor so nei confronti di un giudicato di annullamento di un decreto di espro prio, ma per la ragione che l'area disputata era già passata in possesso al terzo beneficiario dell'espropriazione.
IV. - La giurisprudenza si è orientata nel senso della inammissibilità di tale ricorso nei confronti di sentenze di mero accertamento: Cons.
Stato, sez. IV, 27 febbraio 1996, n. 198, id., Rep. 1996, voce cit., n. 872. E nei confronti di quelle che abbiano deciso solo questioni processua
li: Cons. Stato, sez. V, 23 febbraio 2000, n. 947, Settimana giur., 2000, I, 146; sez. VI 19 aprile 1994, n. 562, Foro it., Rep. 1994, voce cit., n. 808.
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