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Adunanza plenaria; decisione 19 maggio 1983, n. 12; Pres. Pescatore, Est. Varrone; Soc....

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Adunanza plenaria; decisione 19 maggio 1983, n. 12; Pres. Pescatore, Est. Varrone; Soc. Etablissement Oron (Avv. Lavitola) c. Comune di Roma (Avv. Palopoli). Conferma T.A.R. Lazio, sez. II, 22 ottobre 1980, n. 835 Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 11 (NOVEMBRE 1983), pp. 373/374-381/382 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23175471 . Accessed: 25/06/2014 05:01 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.229.229.210 on Wed, 25 Jun 2014 05:01:29 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Adunanza plenaria; decisione 19 maggio 1983, n. 12; Pres. Pescatore, Est. Varrone; Soc.Etablissement Oron (Avv. Lavitola) c. Comune di Roma (Avv. Palopoli). Conferma T.A.R. Lazio,sez. II, 22 ottobre 1980, n. 835Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 11 (NOVEMBRE 1983), pp. 373/374-381/382Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23175471 .

Accessed: 25/06/2014 05:01

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373 GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 374

CONSIGLIO DI STATO; Adunanza plenaria; decisione 1° giu

gno 1983, n. 15; Pres. Pescatore, Est. Rosini; Soc. Alba (Avv.

Capezza) c. Min. industria e commercio.

CONSIGLIO DI STATO;

Giustizia amministrativa

contratto di locazione

missibilità.

— Giudicato civile — Risoluzione di — 'Ricorso per l'ottemperanza — Am

È ammissibile il ricorso per l'ottemperanza ad una sentenza

passata in giudicato dell'autorità giudiziaria ordinaria, che ha

pronunciato la risoluzione di un contratto di locazione di

immobile condotto dall'amministrazione, peraltro senza condan

narla al rilascio (1).

Diritto. — 11 ricorso della s.p.a. « Alba », benché non richiami

l'art. 27, n. 4, t.u. 26 giugno 1924 n. 1054, benché sia rivolto al

Consiglio di Stato anziché al suo presidente come dispone l'art.

90 r.d. 17 agosto 1907 n. 642, e benché concluda per una

decisione di condanna, va interpretato, per l'atto di messa in

mora che lo precede e per il richiamo al rito camerale, come

ricorso c.d. per ottemperanza: è chiaro che la società istante

vuole, in concreto, ottenere la disponibilità dell'immobile, lascian

do al Consiglio di Stato la individuazione degli atti da emanare

al fine che il comportamento dell'amministrazione sia conforme

al giudicato.

L'ammissibilità della domanda è dalla IV sezione revocata in

dubbio perchè: a) nel giudicato di cui si chiede l'esecuzione —

che è una sentenza costitutiva, con cui è stato dichiarato risolto un rapporto contrattuale — non c'è alcuna statuizione suscettibile di esecuzione in senso stretto; b) perchè l'ordinamento offre alla

società istante una diversa, apposita azione, che è quella di

rilascio.

La stessa ordinanza di rimessione, tuttavia, suggerisce di supe rare la prima ragione di dubbio mediante la considerazione che

il giudizio di ottemperanza, non a caso appartenente alla giuris dizione di merito, sopperisce appunto alla esigenza di scegliere l'azione amministrativa più opportuna tra quelle ugualmente ri

spettose di un giudicato vincolante ma non contenente precetti

concreti; tanto è vero che il ricorso ex art. 27, n. 4, è ammesso

per l'ottemperanza alle pronunce dei giudici amministrativi, che

appunto sono decisioni di annullamento, costitutive e non di

condanna, insuscettibili di esecuzione nel senso proprio della

parola; sicché — conclude la IV sezione — vi è l'obbligo dell'amministrazione di conformarsi al giudicato, ed è esperibile da parte dell'interessato l'apposito ricorso, ogni volta che dalla

sentenza civile sia desumibile, anche indirettamente, una norma

di comportamento, ancorché non tradotta in puntuale precetto. Ed è questo il caso, perchè il dovere di rilascio sorge con la

semplice risoluzione del contratto di locazione, a seguito della

quale il conduttore diviene detentore senza titolo.

Quanto alla seconda ragione di dubbio, l'ordinanza di rimes

sione osserva che, come si ammette il ricorso per ottemperanza al fine di ottenere la restituzione di un immobile occupato in

forza di un decreto di occupazione d'urgenza annullato in via

giurisdizionale (sez. IV 24 giugno 1960, n. 688, Foro it., Rep.

1960, voce Espropriazione per p. i., n. 246), così anche la sentenza

civile di risoluzione del contratto deve ritenersi attuabile median

te lo stesso ricorso; che non è esperibile solo quando non siano

date altre azioni (v. ad. plen. 9 marzo 1973, n. 1, id., 1973, III, 265

e Cass., sez. un., 9 marzo 1981, n. 1299, id., 1981, I, 636).

L'adunanza plenaria condivide la soluzione cui inducono le

argomentazioni sin qui riassunte.

Non v'è, infatti, alcuna ragione d'ordine sistematico per inten

dere riduttivamente il presupposto del giudizio di ottemperanza; che non è quello (una pronuncia suscettiva di costituire titolo

esecutivo) del giudizio di esecuzione.

L'esecuzione forzata consiste nell'esercizio di un pubblico pote

re inteso a produrre, essendo mancato l'adempimento volontario

dell'obbligato (ad essa sollecitato dal precetto), lo stesso effetto che

avrebbe dovuto essere prodotto dall'adempimento.

Poiché col ricorso per l'esecuzione del giudicato si chiede al

Consiglio di Stato che la p.a. operi in modo da rendere la

situazione di fatto conforme a quella di diritto sancita da un

giudicato, il suo presupposto è una sentenza passata in giudicato,

non già l'espressa comminatoria di esecuzione forzata che inerisce

specificamente alle sentenze di condanna.

(1) La questione era stata rimessa all'adunanza plenaria dalla sezio

ne IV, con l'ordinanza 27 agosto 1982, n. 579, Foro it., 1983, ITI,

138, con nota di richiami.

Il Foro Italiano — 1983 — Parte III- 27.

L'istanza, pertanto, è ammissibile e fondata; e il collegio non

può che dichiarare, in accoglimento di essa, l'obbligo del mini

stero di rilasciare l'immobile occupato in virtù del contratto di

locazione di cui l'a.g.o. ha dichiarato la risoluzione; e riservarsi

ogni opportuno provvedimento per l'ipotesi che tale obbligo non

sia prontamente adempiuto.(Omissis)

I

CONSIGLIO DI STATO; Adunanza plenaria; decisione 19 mag gio 1983, n. 12; Pres. Pescatore, Est. Varrone; Soc. Etablis sement Oron (Avv. Lavitola) c. Comune di Roma (Avv. Palo

poli). Conferma T.A.R. Lazio, sez. II, 22 ottobre 1980, n. 835.

Edilizia e urbanistica — Lazio — Costruzione non conforme agli strumenti urbanistici — Ordine di demolizione — Legittimità (L. reg. Lazio 2 maggio 1980 n. 28, norme concernenti l'abu

sivismo edilizio e il recupero dei nuclei edilizi sorti sponta

neamente, art. 30). Edilizia e urbanistica — Costruzione non conforme agli stru

menti urbanistici — Ordine di demolizione — Difetto di

motivazione — Legittimità (L. 6 agosto 1967 n. 765, modifiche

e integrazioni alla 1. urbanistica 17 agosto 1942 n. 1150, art. 13).

L'ordine di demolizione della costruzione non conforme agli strumenti urbanistici vigenti non diventa illegittimo per l'en

trata in vigore della I. reg. Lazio 2 maggio 1980 n. 28, con

cernente l'abusivismo edilizio, se non sia stata approvata una

variante a tali strumenti che legittimi la costruzione stessa. (1) L'ordine di demolizione della costruzione non conforme agli

strumenti urbanistici vigenti, dopo l'entrata in vigore della l. 6

agosto 1967 n. 765, non deve essere motivato con l'indicazione

dell'interesse pubblico che ha indotto all'adozione di tale prov vedimento, a meno che questo segua ad una lunga inerzia

dell'amministrazione. (2)

(1) Nello stesso senso, T.A.R. Lazio, sez. II, 7 giugno 1982, n. 632, Trib. amm. reg., 1982, I, 1819, che ha anche dichiarato manifestamen te infondata la questione di costituzionalità della citata normativa

regionale in relazione all'art. 3 Cost. In dottrina, la 1. reg. Lazio 2 maggio 1980 n. 28 è stata

commentata da Albamonte, La sanatoria dell'abusivismo edilizio nel Lazio, Roma, 1981, e da La Torre, Amm. it., 1980, 852.

(2, 5) Per il quadro della giurisprudenza anteriore alla 1. 28

gennaio 1977 n. 10, prevalentemente orientata nel senso che l'ordine di demolizione di una costruzione abusiva non richiede una specifica motivazione sulle ragioni di interesse pubblico che richiedono tale

misura, v. la nota di richiami a T.A.R. Lazio, sez. ili, 8 marzo 1978, n. 89, Foro it., 1979, III, 278, che anche in riferimento alla legge suddetta ha adottato l'opposta e minoritaria tendenza.

Successivamente, nel senso della necessità di una valutazione compa rativa delle ragioni di interesse pubblico a favore della demolizione, con quelle contrarie, TA.R. Umbria 9 marzo 1981, n. 91, id., Rep. 1981, voce Edilizia e urbanistica, n. 791; Cons. Stato, sez. V, 6 luglio 1979, n. 489, id., Rep. 1980, voce cit., n. 829; sez. V 1° dicembre

1978, n. 1223, id., Rep. 1979, voce cit., n. 736, ha affermato la

legittimità di un ordine di demolizione che si era dato carico anche di motivare sulla sussistenza di ragioni di interesse pubblico. Non troppo significativi nel senso della necessità di una simile motivazione per l'ordine di demolizione, sembrano i due precedenti richiamati in

motivazione, sez. V 17 ottobre 1980, n. 827 e 27 marzo 1981, n. 100,

id., Rep. 1981, voce cit., nn. 757, 761, perché essi hanno affermato

tale necessità per i provvedimenti sanzionatori successivi alla diffida a

demolire, decidendo della legittimità di questa, e nel confronto con la

non necessità della sua motivazione sotto il medesimo profilo. Di gran lunga prevalente l'orientamento più rigoroso, sostanzialmen

te unitario, anche se espresso mettendo l'accento volta a volta sulla

sufficienza dell'indicazione nell'ordine di demolizione del carattere

abusivo dell'opera, o sulla sua natura di atto vincolato o dovuto, oltre

che sulla non necessità di motivazione sull'interesse pubblico: Cons.

Stato, sez. V, 5 marzo 1983, n. 70, Cons. Stato, 1983, I, 259; 8

novembre 1982, n. 766, id., 1982, I, 1354; 10 luglio 1982, n. 607, Foro it., Rep. 1982, voce cit., n. 755; 23 ottobre 1981, n. 515, ibid., n.

754; 28 aprile 1981, n. 140, id., Rep. 1981, voce cit., n. 774; 30

settembre 1980, n. 785, ibid., n. 773; T.A.R. Toscana 10 aprile 1981, n. 171, ibid., n. 772; T.A.R. Sardegna 18 luglio 1979, n. 249 e 31

gennaio 1980, n. 37, id., Rep. 1980, voce cit., nn. 818, 826; T.A.R.

Lazio, sez. II, 26 marzo 1980, n. 215, ibid., n. 821; T.A.R. Umbria 30

settembre 1979, n. 232, ibid., n. 824; Cons. Stato, sez. V, 4 maggio e

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PARTE TERZA

II

CONSIGLIO DI STATO; Sezione V; decisione 15 aprile 1983, n. 127; Pres. Crisci, Est. De Lise; Soc. Centocelle (Avv. Piras) c. Comune di Civitavecchia (Avv. Guarino) e altro. Conferma T.A.R. Lazio, sez. II, 18 giugno 1980, n. 452.

Edilizia e urbanistica — Costruzione abusiva — Sanzione pecu niaria — Costruttore dell'immobile successivamente alienato —

Legittimità (L. 6 agosto 1967 n. 765, art. 13).

Edilizia e urbanistica — Costruzione abusiva — Sanzione pecu niaria — Determinazione — Legittimità — Fattispecie (L. 6 ago sto 1967 n. 765, art. 13).

Edilizia e urbanistica — Costruzione abusiva — Sanzione pecu niaria in luogo della demolizione — Legittimità — Fattispecie (L. 6 agosto 1967 n. 765, art. 13).

È legittima la sanzione pecuniaria inflitta al costruttore della co

struzione abusiva, anche se esso nel frattempo l'abbia alienata

ad un terzo. (3)

Nel caso in cui i volumi tecnici assentiti per servizi dell'edi

ficio condominiale siano stati abusivamente utilizzati per la

costruzione di altre distinte unità abitative, è legittima la determinazione della sanzione pecuniaria in relazione al va

lore venale di queste, senza che da esso sia detraibile la dimi

nuzione di valore che gli appartamenti consentiti subirebbero

per la mancanza dei previsti servizi comuni. (4)

Nel caso in cui i volumi tecnici assentiti per servizi dell'edifi cio condominiale siano stati abusivamente utilizzati per la co

struzione di altre distinte unità abitative, è legittima l'inflizio ne della sanzione pecuniaria, anziché l'emanazione dell'ordine

di demolizione delle opere difformi. (5)

19 ottobre 1979, nn. 243 e 593, e 30 settembre 1980, n. 785, ibid., nn. 823, 827, 825.

Pili specificamente, sul problema del confronto tra la sanzione demolitoria e quella pecuniaria, nel senso che non è necessario indicare le ragioni per le quali si adotta la prima invece che la

seconda, mentre deve essere motivata la scelta della sanzione pecunia ria invece che di quella demolitoria, Cons. Stato, sez. V, 27 marzo

1981, n. 113, id., Rep. 1981, voce cit., n. 792; 30 settembre 1980, n.

784, id., Rep. 1980, voce cit., n. 843; 19 gennaio 1979, n. 29, id., Rep. 1979, voce cit., n. 757; e 4 maggio 1979, n. 216, ibid., n. 759, sia

pure con distinzioni dovute alla particolarità della vicenda.

Più possibilista pare Cons. Stato, sez. VI, 31 maggio 1982, n. 275, id., Rep. 1982, voce cit., n. 772, che, per la legittimità della adozione della sola sanzione pecuniaria, ritiene sufficiente l'indicazione della esclusione della necessità dell'adozione della sanzione demolitoria.

Comunque, per quel che riguarda la questione decisa con la quinta massima, sono rilevanti le pronunce che affermano che l'adozione della sola sanzione pecuniaria è legittima anche quando non sia materiale

l'impossibilità della riduzione in pristino: Cons. Stato, sez. V, 27 marzo 1981, n. 113, ibid., n. 768; T.A.R. Umbria 9 marzo 1981, n.

81, id., Rep. 1981, voce cit., n. 791. Nel senso che l'adozione della sanzione pecuniaria è congruamente motivata con l'indicazione delle

ragioni che ostano alla demolizione: Cons. Stato, sez. V, 26 giugno 1981, n. 297, ibid., n. 807; 26 ottobre 1979, n. 625, id., Rep. 1980, voce cit., n. 874, che specificamente si riferisce anche ad opere in difformità della licenza; e sempre la sez. V, con decisione 14 maggio 1983, n. 158, Cons. Stato, 1983, I, 540, in riferimento ad una costruzione solo parzialmente abusiva, ha affermato l'insindacabilità della scelta dell'adozione della sola sanzione pecuniaria, anziché della sanzione demolitoria, se essa è avvenuta sulla base di una ponderazio ne degli interessi pubblici in giuoco, riallacciandosi cosi nel caso particolare a quella giurisprudenza meno rigorosa dapprima richiamata.

Per altri riferimenti, T.A.R. Lombardia 26 marzo 1980, n. 137, Foro it., 1981, III, 602, con nota di richiami che ha affermato la legittimità dell'ordine di demolizione di opere di rifacimento di un edificio molto più ampie di quelle assentite, con l'avvertenza che in caso di inottemperanza sarebbe stata disposta la loro acquisizione al patrimo nio indisponibile del comune.

L'accenno di cui alla seconda massima alla necessità di motivazione sulle ragioni di interesse pubblico dell'adozione della sanzione demoli toria quando questa intervenga dopo una lunga inerzia dell'ammini strazione, va inquadrato nella giurisprudenza praticamente costante, secondo la quale il decorso del tempo non implica l'insorgere di decadenze o di prescrizioni che ostino all'esercizio dei poteri sanziona toli dell'amministrazione: cosi, in relazione all'adozione della sanzione pecuniaria, T.A.R. Emilia-Romagna 27 maggio 1982, n. 272 (che ha ritenuto inapplicabile il termine di prescrizione di cinque anni dal giorno in cui è stata commessa l'infrazione, previsto dall'art. 28 1. 24 novembre 1981 n. 689, modifiche al sistema penale), Trib. amm. reg., 1982, I, 2098, e Cons. Stato, sez. V, 27 giugno 1983, n. 278, Cons. Stato, 1983, I, 746, nonché, in relazione alla legittimità di una diffida a demolire emanata dopo oltre un decennio, Cons. Stato, sez. II, 13

I

Diritto. — (Omissis). Deduce, inoltre, l'appellante che l'ordine

di demolizione è affetto da invalidità sopravvenuta a seguito dell'entrata in vigore della 1. reg. Lazio 2 maggio 1980 n. 28, recante norme sulla sanatoria dei fenomeni di abusivismo edili zio.

La tesi ora illustrata contrasta, tuttavia, con il chiaro disposto dell'art. 30 1. cit., in base al quale restano « integralmente efficaci le disposizioni delle leggi nazionali che disciplinano l'attività

edilizia, la vigilanza sulle costruzioni e le relative sanzioni ». Il

che equivale appunto a riconoscere che la normativa di sanatoria

dell'abusivismo non incide sui provvedimenti repressivi già adot tati sulla base della vigente legislazione statale.

Del resto, che sia questa l'interpretazione più corretta della

normativa in esame, si desume anche dalla lettura sistematica della richiamata legge, che tende non già ad una indiscriminata sanatoria dell'abusivismo edilizio, bensì soltanto ad attuare una

nuova disciplina dell'assetto urbanistico che tenga conto dei

febbraio 1980, n. 704/78, Foro it., Rep. 1982, voce cit., n. 725; v., inoltre, il quadro giurisprudenziale in nota a T .A.R. Abruz zo 31 luglio 1982, nn. 214 e 215, id., 1983, III, 29, che, se ha ritenuto legittima una sanzione pecuniaria inflitta entro dieci anni dalla diffida a demolire la costruzione abusiva, con pronuncia isolata ha viceversa ritenuto illegittima la diffida a demolire la costruzione abusiva che il sindaco abbia intimato al suo acquirente dopo più di dieci anni dalla sua ultimazione. Ora la giurisprudenza che nega che dal decorso del tempo scaturiscano di per sé simili efletti preclusivi, afferma però che esso impone un obbligo di motiva zione sulla sussistenza di ragioni di interesse pubblico che richiedano l'adozione tardiva di sanzioni specie demolitorie di costruzioni abusi ve: ai precedenti richiamati nella nota citata, adde T.A.R. Lazio, sez.

II, 31 marzo 1982, n. 409, id., Rep. 1982, voce cit., n. 767.

In dottrina, sul problema del carattere vincolato della demolizione

dell'opera abusiva, e tendenzialmente nel senso più rigoroso prevalente in giurisprudenza, Predieri, La l. 28 gennaio 1977 n. 10 sulla

edificabilità dei suoli, 1977, 275 e 276 (e, a p. 269, Ja tesi secondo la

quale il decorso del tempo non preclude l'adozione della sanzione demolitoria, ma può comportare la prescrizione della sanzione pe cuniaria, in analogia col regime della concorrente sanzione penale); Assini, Abusi edilizi e sanzioni amministrative, 1979, spec. 37, 354; M. A. Sandulli, La potestà sanzionatoria della pubblica ammi nistrazione, 1981, 200; nel senso meno rigoroso, Bassi, Sanzioni amministrative edilizie e interesse pubblico, in Riv. trim. dir. pubbl., 1982, 480, spec. 492 ss. (anche in relazione agli effetti del decorso del

tempo, sul quale aspetto, v. Assini-Marinari, in Foro amm., 1978, I, 1917); nel quadro di una dettagliata articolazione delle varie ipotesi di costruzione abusiva, De Roberto, Appunti sulle sanzioni urbani

stiche, in Studi per il centocinquantenario del Consiglio di Stato, 1981, II, 965.

(3) Nello stesso senso, Cons. Stato, sez. V, 9 settembre 1982, n. 664, Foro it., Rep. 1982, voce Edilizia e urbanistica, n. 776, che, in relazione alla sanzione pecuniaria, ha affermato che il soggetto prima rio ad essa è il concessionario e non il successivo acquirente.

Però la giurisprudenza è orientata prevalentemente nel senso che la sanzione pecuniaria è comunque legittimamente inflitta agli attuali proprietari: T.A.R. Campania 12 novembre 1980, n. 971, ibid., n. 758; Cons. Stato, sez. V, 10 luglio 1981, n. 351, id., Rep. 1981, voce cit., n. 809, e 16 maggio 1980, n. 512, id., Rep. 1980, voce cit., n. 872.

Un analogo orientamento emerge anche dalla giurisprudenza relativa alla sanzione demolitoria: oltre alla citata sentenza del T.A.R. Cam pania n. 971/80, v., anche, Cons. Stato, sez. V, 4 luglio 1980, n. 659, ibid., n. 810.

Inoltre, vi sono pronunce che identificano nel proprietario attuale l'esclusivo possibile destinatario delle sanzioni per costruzioni abusive: T.A.R. Lazio, sez. Latina, 27 febbraio 1981, n. 61, id.. Rep. 1981, voce cit., n. 696, per le sanzioni edilizie in genere; T.A.R. Lombardia 12 ottobre 1978, n. 519, id., Rep. 1979, voce cit., n. 752, per la demolizione o la confisca; v., anche, T.A.R. Friuli-Venezia Giulia 17 dicembre 1980, n. 346, id., Rep. 1981, voce cit., n. 764, che ha affermato che la diffida a demolire va indirizzata al soggetto che ha la disponibilità del manufatto. Viceversa non è significativa in questo senso la decisione del Cons. Stato, sez. V, 11 luglio 1980, n. 694, id., Rep. 1980, voce cit., n. 803, che ha dichiarato illegittima la diffida alla riduzione in pristino notificata al costruttore e non agli attuali proprietari, perché nel caso erano questi ultimi gli autori delle trasformazioni abusive.

Per altri riferimenti, T.A.R. Piemonte 5 giugno 1979, n. 285, ibid., n. 804, che ha affermato la necessità che la notifica della diffida a demolire deve essere effèttuata a tutti i soggetti ai quali è imputabile la violazione della disciplina urbanistica, secondo l'art. 31 1. 17 agosto 1942 n. 1150 (nel testo risultante dall'art. 10 1. 6 agosto 1967 n. 765).

In dottrina, v. gli scritti citati alla fine della nota precedente, ai quali adde A. e G. De Roberto, Le sanzioni urbanistiche e penali, 1978.

(4) Non risultano precedenti.

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

nuclei edilizi sorti spontaneamente, individuando i limiti entro i

quali è possibile il loro recupero attraverso la previsione di

varianti agli strumenti urbanistici comunali attualmente vigenti.

Fino all'approvazione di tali varianti il potere repressivo del

comune rimane integro, senza alcuna possibilità di consentire

eventuali sanatorie a favore dei trasgressori.

Né, ritenendo in tal senso, si crea una disparità di trattamento

costituzionalmente rilevante tra soggetti che trovansi nella mede

sima situazione di fatto, come si sostiene da parte della stessa

società appellante.

Il meccanismo di c.d. sanatoria dell'abusivismo è identico per tutti i casi di illeciti edilizi, in quanto si fonda su un unico

criterio procedimentale che ha inizio con l'approvazione della

variante allo strumento urbanistico e termina con il rilascio della

concessione, nei casi consentiti, a seguito di presentazione della

relativa istanza da parte dell'interessato ai sensi e nei termini di

cui all'art. 17 della legge.

Eventuali disparità di trattamento che dovessero per avventura

verificarsi in sede di applicazione della normativa possono, quin

di, rilevare esclusivamente sotto il profilo della illegittimità delle

concrete determinazioni di volta in volta adottate dalle singole

amministrazioni comunali, piuttosto che come vizio intrinseco alla

1. reg. 2 maggio 1980 n. 28. (Omissis)

Infine, del pari infondato è il terzo motivo, col quale è stato

rimesso all'esame dell'adunanza plenaria il problema della neces

sità o meno da parte dell'amministrazione di indicare le ragioni

di pubblico interesse che inducono all'adozione dell'ordine di

demolizione in luogo della sanzione pecuniaria, problema che,

come è noto, ha avuto soluzione non univoche da parte della

giurisprudenza di questo consiglio. Ed infatti, accanto all'indiriz

zo più rigoroso che ritiene sufficiente per la legittimità dell'atto

la semplice constatazione dell'abusività dell'opera (Cons. Stato,

sez. V, 30 settembre 1981, n. 515, Foro it., Rep. 1982, voce

Edilizia e urbanistica, n. 754; 26 ottobre 1976, n. 1319, id., Rep.

1976, voce cit., nn. 1542, 1581), si rinviene altro orientamento in

base al quale si assume la necessità di una specifica motivazione

nei sensi indicati (sez. V 27 marzo 1981, n. 100, id., Rep. 1981,

voce cit., n. 761; 17 ottobre 1980, n. 827, ibid., n. 757; 10 aprile

1973, n. 368, id., Rep. 1973, voce cit., n. 631; 26 novembre 1971,

n. 1206, id., Rep. 1971, voce cit., n. 660; 29 ottobre 1971, n. 958,

ibid., n. 642), soprattutto allorché tra la realizzazione dell'opera e

l'adozione dell'ordine di demolizione sia trascorso un considere

vole lasso di tempo i(sez. V 28 luglio 1972, n. 598, id., Rep. 1972,

voce cit., n. 725).

Ai fini del decidere giova preliminarmente precisare che la

portata della pronunzia in esame è esclusivamente limitata alla

interpretazione del richiamato art. 13 1. 6 agosto 1967 n. 765

che, come è noto, innova l'originaria formulazione del potere sanzionatorio disciplinato dall'art. 41 1. 17 agosto 1942 n. 1150.

Mentre, infatti, tale ultima disposizione esplicitamente sanciva

che il sindaco « può » disporre la demolizione di opere realizzate

senza licenza, con il citato art. 13 si è stabilito che « qualora non

sia possibile procedere alla restituzione in pristino ovvero alla

demolizione delle opere eseguite senza licenza di costruzione o in

contrasto con questa, si applica in via amministrativa una san

zione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite, valutato dall'ufficio tecnico erariale».

Il raffronto tra le differenti espressioni verbali adoperate dal

legislatore per disciplinare il medesimo potere sanzionatorio è già di per sé indicativo del diverso modo nel quale esso viene

concepito e strutturato sul piano formale nelle singole disposi zioni prese in esame.

Infatti, mentre originariamente esso era stato configurato come

un potere squisitamente discrezionale, rimesso interamente, come

chiaramente si desume dall'uso del verbo « può », all'apprezza mento che di volta in volta il sindaco ritenesse di dover

esprimere, successivamente esso ha assunto la configurazione di

potere-dovere dello stesso sindaco di reprimere gli abusi edilizi,

ordinandone la demolizione o la rimessione in pristino ogni qual

volta le opere poste in essere fossero risultate sfornite dell'auto

rizzazione o in contrasto con essa.

Nella dinamica del sistema sanzionatorio delineato dall'art. 13

la constatazione dell'abusività dell'opera assurge, quindi, a elemen

to di per sé solo idoneo a condizionarne la concreta operatività, senza necessità di alcuna ulteriore attività di intermediazione

amministrativa volta ad apprezzare altri aspetti della vicenda.

Tale conclusione resta altresì avvalorata dal fatto che le stesse

sanzioni astrattamente applicabili non sono state collocate su un

medesimo piano e ad un medesimo livello, ma secondo una scala

di priorità interamente sottratta al potere discrezionale del sinda

co. Infatti, a seguito dell'accertata esistenza dell'abuso nasce non

una generica possibilità di intervento repressivo, ma una specifica, vincolata potestà sanzionatoria, dal contenuto interamente prede terminato, in quanto diretta anzitutto alla rimessione in pristino della situazione di fatto originaria. Solo se e nei limiti in cui non sia possibile ricostituire la situazione quo ante, l'art. 13 consente il ricorso alla sanzione sostitutiva di natura pecuniaria.

La peculiare considerazione del pubblico interesse, considera

zione che, come è noto, assume una rilevanza particolare nella

materia urbanistico-edilizia, interviene dunque di massima in un momento tutt'affatto diverso da quello che condiziona l'azione

amministrativa in presenza di abusi perpetrati dai privati. Essa, mentre si esplica in ampia dimensione nella fase di programma zione dell'assetto territoriale, nella fase che qui si considera, in

ossequio all'esigenza di conformarsi alle scelte in precedenza operate e di realizzarle, non è di regola tenuta a riproporsi con

particolari valutazioni per la repressione degli illeciti edilizi accertati.

Una attenuazione di tali principi può ravvisarsi solo nell'ipotesi in cui l'attività privata, anche se formalmente in contrasto con l'art. 13, perché priva dell'autorizzazione, risulta comunque con

forme allo strumento di pianificazione territoriale comunale. Al di là della ipotesi, già ripetutamente esaminata in giurisprudenza della illegittimità della sanzione inflitta senza il preventivo esame

della domanda di licenza c.d. in sanatoria, non v'è dubbio che, anche in assenza di siffatta richiesta del privato, l'obbligo di motivare l'ordine di demolizione può desumersi dal sistema san

zionatorio, ove l'amministrazione si induca all'attività repressiva, distruttrice di ricchezza, in presenza di una normativa che, in

ultima analisi, e sia pure mediante l'intermediazione del titolo

abilitativo, consente la realizzazione in un manufatto di propor zioni identiche a quello che ella si accinge a cancellare.

Del pari, i principi generali ispirati a considerazioni di natura diversa da quelli posti a fondamento dell'art. 13 citato sembrano

prevalere allorquando sia durata un lasso di tempo molto rile vante l'inerzia dell'amministrazione in presenza dell'abuso perpe trato dal privato.

È noto che, anche in questi casi, su un piano puramente astratto è sempre ipotizzabile l'applicazione della sanzione ammi

nistrativa, attesa la mancanza, nella previsione legislativa, del limite temporale di esercizio del potere repressivo dell'abuso edilizio. Ma il lunghissimo decorso del tempo, senza che l'ammi nistrazione si sia comunque preoccupata di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto violata, se di per sé non è sufficiente

per poter ritenere definitivamente precluso tale adeguamento, impone che l'eventuale iniziativa demolitoria abbisogni di essere sorretta da motivazioni più adeguate, rispetto a quella che si riferisca alla semplice constatazione dell'abusività dell'opera.

Il lungo decorso del tempo senza che il potere sanzionatorio sia stato fatto valere di per se stesso non vale a sanare una situazione priva all'origine del titolo abilitante o ad esso non

conforme, ma è pur sempre in grado sul piano effettuale di far

acquisire a tale situazione un rilievo tale da fondare la ne cessità del concorso di esigenze di pubblico interesse perché la stessa possa essere successivamente rimossa.

Alla luce delle svolte considerazioni la vicenda in esame non rientra in alcuno dei casi, del tutto particolari, che rendono

necessaria la motivazione sulle ragioni di pubblico interesse che

determinano l'emanazione dell'ordine di demolizione.

L'atto impugnato si colloca cronologicamente in misura piena mente ammissibile rispetto al provvedimento di sospensione e di

diffida a demolire con i quali il comune di Roma ha tempesti vamente ed univocamente dimostrato di voler evitare che l'abuso

perpetuato dalla società appellante fosse portato a compimento.

L'infondatezza dei motivi proposti comporta il rigetto dell'ap

pello.

II

Diritto. — Con il primo motivo d'appello la società ricorrente

si duole della soluzione data dal giudice di primo grado al

settimo motivo di ricorso, con il quale essa aveva dedotto il

proprio difetto di legittimazione passiva all'applicazione della

sanzione pecuniaria ex art. 13 1. n. 765/67, per aver alienato gli

immobili, abusivamente costruiti, anteriormente all'applicazione della sanzione. La censura era stata respinta in base alla conside

razione che le opere erano state realizzate dalla società ricorrente

anteriormente alla vendita.

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PARTE TERZA

Nel riproporre la censura in grado di appello la ricorrente

insiste sulla tesi che la legittimazione passiva alla sanzione

pecuniaria spetta unicamente al proprietario attuale e non al

costruttore-venditore e fonda questa soluzione su un triplice ordine di considerazioni: a) la sanzione, sia demolitoria che pecu

niaria, deve ricadere necessariamente sul proprietario attuale. Ove

si ammettesse che la demolizione debba essere subita dal proprie tario attuale (come è nell'ordine naturale), mentre la sanzione

pecuniaria faccia carico al dante causa, si creerebbe una spere

quazione in fattispecie simili, dato che la sanzione è alternativa

alla demolizione; b) la sanzione pecuniaria deve far carico al

proprietario attuale anche perché è commisurata al valore venale

attuale delle opere. Ove si ammettesse che il valore di un bene

alienato ai prezzi di moneta non svalutata debba essere pagato

dall'alienante, sia pure autore materiale dell'opera, si perverebbe all'assurda conclusione che egli debba pagare un plusvalore

(nominale e/o reale) conseguito da un terzo e per efletto di una

sua autonoma determinazione di volontà; c) mentre il proprieta rio attuale ha azione per danni verso il dante causa, non si può ritenere il reciproco.

La tesi per quanto suggestiva non può essere condivisa.

La questione della legittimazione passiva all'applicazione della

sanzione pecuniaria ex art. 13 1. 6 agosto 1967 n. 765 è stata

oggetto di un notevole travaglio giurisprudenziale. In sede con

sultiva (sez. II 2 febbraio 1971, n. 14, Foro it., 1971, III, 308)

questo consiglio era giunto alla conclusione che la sanzione

pecuniaria in questione può essere applicata soltanto a coloro che

hanno commesso l'infrazione (hanno cioè eseguito la costruzione

abusiva) e non anche ai successivi acquirenti dell'immobile abu

sivamente costruito, partendo dall'« assorbente rilievo che la re

sponsabilità, nel nostro sistema giuridico, è personale e suggestiva e rappresenta la sanzione che l'ordinamento collega ad un'attività

illecita », sicché « fuori dell'ipotesi di compartecipazione nella

condotta illecita o di responsabilità oggettiva testualmente com

minata dalla legge, non vi è spazio per responsabilità né solidali

né sussidiarie da parte di persone che sono del tutto estranee

alla fattispecie illecita ». In sede giurisdizionale, per contro, il

consiglio stesso (sez. V 11 luglio 1975, n. 1016, id., Rep. 1975,

voce Giustizia amministrativa, n. 1150; 16 maggio 1980, n. 512,

id., Rep. 1980, voce Edilizia e urbanistica, n. 872; 10 luglio

1981, n. 351, id., Rep. 1981, voce cit., n. 809; 13 novembre 1981,

n. 548, id., Rep. 1982 voce cit. n. 778) è giunto alla conclusio

ne che la sanzione pecuniaria è legittimamente irrogata anche nei

confronti degli attuali proprietari, partendo dalla considerazione

che « la natura (amministrativa e non in alternativa con le san

zioni penali) e le finalità della sanzione pecuniaria, il suo

carattere alternativo rispetto alla restituzione in pristino od alla

demolizione, la possibilità... di applicarla pure in relazione ad

opere abusive costruite prima dell'entrata in vigore della 1. n. 765

del 1967, la sua stessa minore gravità rispetto alle altre misure

delle quali costituisce l'alternativa, non consentono di dubitare

che sia possibile la sua applicazione nei confronti di quegli stessi

soggetti (proprietari attuali) ai quali non possono essere imposte la restituzione in pristino e la demolizione », ed aggiungendo alle

precedenti anche le seguenti considerazioni: 1) una diversa in

terpretazione potrebbe consentire di eludere l'applicazione delle

misure che il legislatore ha previsto con l'art. 13 1. n. 765/67

proprio al fine di scoraggiare ogni tentativo di evasione delle

prescrizioni urbanistiche ed edilizie, purtroppo frequenti e spesso in acuto contrasto con l'interesse pubblico; 2) per quanto riguar da l'interesse del privato, le posizioni soggettive dei proprietari attuali delle costruzioni abusive non restano prive di tutela, avendo essi la possibilità di agire nei confronti dei responsabili della costruzione abusiva e di chi questa ha loro ceduto in

proprietà, sulla base del rapporto privatistico che, di volta in

volta, sia con essi intercorso.

L'esposizione dell'evoluzione giurisprudenziale ora fatta consen

te al collegio di affermare che indubbiamente il problema della

legittimazione passiva all'applicazione della sanzione pecuniaria ex art. 13 1. n. 765/67 esiste e che nella soluzione di esso

confliggono preoccupazioni di ordine pratico (evitare ogni possibi le tentativo di elusione delle finalità repressive della legge) con

quelle di ordine equitativo (far ricadere sull'autore dell'abuso

edilizio la connessa responsabilità economica). Resta comunque fermo il principio teorico (coincidente con le esigenze di caratte

re equitativo) che la sanzione pecuniaria ex art. 13 1. n. 765/76 va posta innanzitutto a carico di chi ha compiuto l'abuso (nella

specie, a carico del costruttore che ha realizzato vani abitabili là

dove erano assentiti volumi tecnici); a questa regola si può

derogare (nel senso di « estendere » la responsabilità anche all'a

vente causa del costruttore abusivo, cioè al proprietario attuale

dell'immobile) soprattutto in considerazione di esigenze di ordine

pratico, esattamente poste in luce dalla giurisprudenza (evitare che il costruttore, disfacendosi dell'immobile abusivamente co

struito e divenendo cosi insolvente, renda inoperante praticamen te l'applicabilità della sanzione), ma non potrà mai affermarsi il

principio inverso che il costruttore abusivo sia esonerato da ogni

responsabilità (e surrogato in toto in essa) non appena venda l'immobile abusivamente costruito.

A far recedere il collegio da quest'avviso non è idonea nessuna

delle argomentazioni addotte dalla società ricorrente, giacché esse

muovono dal presupposto inaccettabile che la posizione del co

struttore abusivo e del suo avente causa siano identiche sul

piano della responsabilità amministrativa, e che occorre evitare

ogni possibile sperequazione in danno del primo ed a favore del

secondo. In effetti, per ragioni di principio e di equità, la

posizione del costruttore abusivo è quella che emerge sul piano della responsabilità per l'illecito edilizio posto in essere e ad essa

occorre far costantemente riferimento, potendosi ripiegare su una

responsabilità dell'avente causa solo in via sussidiaria.

Irrilevante diventa, pertanto, al fine di penalizzare l'avente causa anziché il costruttore abusivo, la considerazione che la

sanzione sia commisurata al valore attuale delle opere anziché al

valore originario, unita all'altra considerazione che in tal caso toccherebbe al costruttore pagare un plusvalore da lui non

realizzato senza possibilità di rivalsa verso l'acquirente. A parte il rilievo che, sempre che ne ricorrono i presupposti, potrebbe

esperirsi un'azione di riequilibrio patrimoniale (non di risarci

mento danni, ex art. 2043 c.c., ma di ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c., anche se deve notarsi che, se è vero che il

costruttore ricavò un prezzo di vendita nominalmente inferiore, ricevette però una moneta non svalutata e perciò non subì in ultima analisi, all'atto della vendita, nessuna sostanziale perdita economica e per converso il compratore non ricevette nessun

effettivo locupletamento), resta in ogni caso ferma la considera zione che la responsabilità è collegata all'attività edilizia illecita e

perciò è giusto e logico che faccia carico al costruttore abusivo.

In base agli stessi criteri logici e giuridici finora seguiti va risolta anche l'altra questione sollevata dalla società ricorrente con il secondo motivo di gravame in appello, con il quale, modificando sostanzialmente la censura proposta in primo grado

(con la quale si sosteneva che oggetto della valutazione dell'U.t.e. ai fini della quantificazione della sanzione pecuniaria, dovevano essere unicamente gli spazi utilizzati per una destinazione diversa da quella originariamente assentita e non anche quelli che erano

stati conservati all'uso originariamente previsto, censura che il

giudice di primo grado ha ritenuto fondata in diritto ma infonda ta in fatto, in quanto l'amministrazione aveva in effetti limitato la sua valutazione unicamente agli spazi utilizzati in modo difforme dal progetto), la società ricorrente sostiene che oggetto della valutazione non deve essere l'intero valore degli spazi utilizzati in modo difforme ma unicamente il plusvalore realizza

to rispetto al valore originario dei volumi assentiti. Invero detti

volumi (che nella specie erano volumi tecnici assentiti a servizi dell'edificio condominiale, quali lavanderia, stenditoio comune,

ecc., e che sono stati invece utilizzati per la creazione di unità immobiliari abitative indipendenti ed autonome, cioè altri appar tamenti, in aggiunta a quelli assentiti) avrebbero avuto una incidenza di valore diversa, qualora fossero stati prima considera ti come elementi comuni dell'edifìcio, il cui valore è in funzione del grado di fruibilità e del valore aggiuntivo che detti elementi comuni conferiscono ai singoli appartamenti nella previsione originaria. In altri termini, la società ricorrente pretende che nella valutazione degli appartamenti abusivamente realizzati oc

cupando gli spazi destinati a servizi comuni si tenga conto, in via di compensazione, della perdita o diminuzione di valore che subiscono gli appartamenti legittimamente assentiti per la manca ta realizzazione da parte del costruttore dei servizi comuni suddetti.

A parte ogni questione di ammissibilità, la censura non può trovare accoglimento nel merito.

La ratio della norma, ispirata ad evidenti finalità repressive degli abusi edilizi, e la sua letterale formulazione, che prevede una « sanzione pecuniaria pari al valore veniale delle opere o loro parti abusivamente eseguite » (art. 13, 2° comma, 1. n.

765/67), non consentono di adottare, ai fini della commisurazione del valore delle opere o loro parti abusivamente eseguite, altro criterio che quello seguito dall'amministrazione, rivolto alla indi viduazione dell'effettivo ed integrale valore venale delle opere abusivamente eseguite (nella specie, gli appartamenti realizzati

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

negli spazi di sottotetto destinati ad accogliere servizi condomi

niali) senza procedere affatto alle compensazioni di valore volute dalla società ricorrente allo scopo di essere indennizzata della

presunta diminuzione di valore che, a suo dire, avrebbe subito

per la mancata utilizzazione dei volumi tecnici da essa destinati ad appartamenti di proprietà esclusiva.

A parte la considerazione che spesso i costruttori non subisco no alcuna perdita economica per una operazione del genere, richiedendo comunque e sempre ai loro acquirenti il maggior prezzo possibile per le unità immobiliari individuali loro vendute a prescindere dalla circostanza che siano o meno dotate di

servizi comuni, resta comunque la considerazione che la sanzione

pecuniaria ex art. 13 1. n. 765/67 non è un indennizzo, e pertanto, nel processo della sua determinazione quantitativa, non è ammes

so introdurre valutazioni di mercato diverse da quelle prescritte, che sono riferite unicamente al « valore venale delle opere o loro

parti abusivamente eseguite ».

Nella specie, la costruzione degli appartamenti nel sottotetto

non era consentita, gli appartamenti sono abusivi, la sanzione è

pari al valore degli appartamenti. Se poi con la costruzione

abusiva sono stati ridotti gli spazi assentiti, ciò potrà anche

diminuire il valore delle altre parti dell'edificio, ma è come se

non fossero state utilizzate tutte le volumetrie licenziate, senza

che per questo il comune debba indennizzare il costruttore o

comunque ridurre l'importo della sanzione pecuniaria per la

parte abusivamente realizzata.

La tesi della società ricorrente potrebbe trovare accoglimento soltanto nel caso in cui le parti abusivamente eseguite non

abbiano una loro individualità giuridica ed economica (nella

specie, al contrario trattasi, come si è detto, di unità immobiliari

individuali — appartamenti — ben individuate e singolarmente e

specificamente valutabili), ma costituiscono una pura integrazione

(ampliamento o maggiorazione quantitativa o qualitativa) di enti

tà immobiliari legittimamente assentite (ad esempio, l'accresci

mento di un vano non consentito — relativamente ad un appar tamento legittimamente assentito — realizzato al posto di un

grosso terrazzo coperto). In tal caso, non essendo possibile una

valutazione autonoma della parte di un edificio abusivamente

costruita, proprio per la mancanza di una sua autonomia giuridi ca ed economica, potrà procedersi alla valutazione unicamente in

via di differenza di valore (e pertanto, nella specie, il valore

venale della parte abusivamente realizzata sarà dato dalla diffe

renza di valore tra quello dell'appartamento comprensivo del

vano in più ma privo del terrazzo quale è stato in effetti

abusivamente realizzato e quello dell'appartamento quale avrebbe

dovuto essere realizzato alla stregua della concessione edilizia e

cioè senza il vano in più ma con la terrazza al suo posto), ed in

tale ipotesi evidentemente si terrà conto in via di compensazione della mancata utilizzazione di taluni spazi determinata dalla loro

utilizzazione in modo difforme da quello previsto dalla conces

sione.

Con il terzo ed ultimo motivo di gravame la ricorrente propo ne sotto diversa angolazione una censura già proposta in primo

grado (con il secondo motivo di ricorso), deducendo che il

mutamento di destinazione dei locali costruiti non sarebbe

« mai » suscettibile di sanzione pecuniaria ma unicamente di

sanzione demolitoria, in quanto questa ultima sarebbe « sempre »

nel caso di abusivo mutamento di destinazione pienamente « pos sibile » e pertanto non darebbe ingresso all'applicazione della

sanzione pecuniaria, che ha valore sussidiario o surrogatorio ed è

prevista solo per l'ipotesi di « impossibilità » dell'applicazione della sanzione demolitoria.

La censura, cosi come formulata in termini generali ed assolu

ti, non appare fondata, perché, se è vero in linea di massima

che le opere abusive con le quali è stato realizzato un mutamen

to di destinazione possono essere reversibili e suscettibili di

« demolizione », non è da escludere che talora possa trattarsi di

opere tali che non sia tecnicamente possibile o opportuna la

riduzione pristino.

In ogni caso, come è giurisprudenza consolidata, la valutazione

discrezionale compiuta dalla p.a. deve avere ad oggetto la possi bilità della demolizione non solo in senso materiale, ma anche in

senso economico-giuridieo, e non è da escludere che ad esempio

l'esigenza di salvaguardia del patrimonio immobiliare esistente,

anche se abusivamente realizzato, porti a considerare « impossibi le » una demolizione che dal punto di vista strettamente tecnico

e materiale sarebbe attuabile. Pertanto, la circostanza che le

opere abusive abbiano comportato un semplice mutamento di

destinazione nel pieno rispetto delle volumetrie e delle sagome

assentite non rende di per sé solo tali opere suscettibili di riduzione in pristino, ben potendo opporsi a tale riduzione

ragioni di ordine tecnico o anche solo economico. Pertanto la censura in esame non merita accoglimento.

Ciò senza considerare che appare addirittura dubbia la configu rabilità nella società ricorrente nell'interesse alla proposizione della censura stessa.

Invero, come è giurisprudenza costante, non sussiste l'interesse ad invocare la demolizione in alternativa alla sanzione pecunia

ria, essendo al prima generalmente più onerosa per il soggetto sanzionato. Né a radicare un interesse siffatto può valere la considerazione che nella specie la prima sanzione (quella demoli

toria) graverebbe su un soggetto (l'attuale proprietario) diverso dalla società ricorrente, in quanto, restando per le ragioni esposte in precedenza diretto e principale responsabilità della sanzione

(sia demolitoria che pecuniaria) l'autore dell'illecito edilizio e non il suo avente causa, l'eventuale danno economico subito dal terzo

acquirente in conseguenza della demolizione (consistente nella

perdita del valore del bene demolito), per il meccanismo della rivalsa in sede civile, finirebbe per gravare, con l'aggiunta della

spesa di demolizione, sempre e soltanto sul costruttore e costitui rebbe per lui un onere ben più grave della pura e semplice sanzione pecuniaria, pari, come si è detto, al puro e semplice valore del bene abusivamente realizzato.

Per le ragioni sopra esposte il ricorso va respinto.

I

CONSIGLIO DI STATO Sezione IV; decisione 18 aprile 1983, n. 233; Pres. Anelli, Est. Dente; D'Aniello (Avv. Rizza) c.

Min. difesa (Avv. dello Stato La Porta). Conferma T.A.R. Emi

lia-Romagna 17 settembre 1981, n. 356.

Leva militare — obiezione di coscienza — uomanda di ricono

scimento — Parere negativo della commissione — Rifiuto del

l'interessato di presentarsi — Legittimità (L. 15 dicembre 1972

n. 772, norme per il riconoscimento della obiezione di coscien

za, art. 3, 4). Leva militare — Obiezione di coscienza — Domanda di ricono

scimento — Diniego per difetto di prova dei convincimenti dell'interessato — Legittimità.

Leva militare — Obiezione di coscienza — Domanda di ricono scimento — Diniego dopo oltre sei mesi — Legittimità (L. 15

dicembre 1972 n. 772, art. 3).

È legittimo il parere col quale la commissione competente a

valutare la fondatezza e la sincerità dei motivi addotti dall'o biettore di coscienza per chiedere di prestare il servizio civile sostitutivo di quello militare armato, in seguito al rifiuto

opposto dall'interessato alla richiesta di presentarsi per un

colloquio diretto, afferma di non essere in grado, anche per

questo, di giudicare sulla attendibilità dei suoi convincimenti. (1) È legittimo il decreto col quale il ministro della difesa respin

ge la domanda di prestazione del servizio civile in sostitu

zione di quello militare armato per obiezione di coscien

za, in considerazione del parere col quale la competente commissione aveva affermato di non essere in grado di giudi care sulla attendibilità dei convincimenti del richiedente, e con

(1) La decisione conferma T.A.R. Emilia-Romagna 17 settembre 1981, n. 356, Foro it., 1982, III, 341, con nota di richiami.

In particolare, sulla rilevanza del colloquio diretto col richiedente il riconoscimento dell'obiezione di coscienza, della commissione compe tente a valutare la fondatezza e la sincerità dei motivi da esso addotti, v., per un verso, Cons. Stato, sez. IV, 29 luglio 1980, n. 806, id., 1981, III, 230, con nota di richiami, che tende a valorizzare l'interro

gatorio come principale strumento del quale la commissione dispone per compiere gli accertamenti di sua spettanza; ma per l'altro, sez. IV 16 marzo 1982, n. 155, id., 1982, III, 341, con nota di richiami, che conferma T.A.R. Lazio, sez. I, 29 ottobre 1980, n. 1062, id., Rep. 1981, voce Leva militare nn. 10, 12, che ha affermato la legittimità di un

parere negativo che la commissione abbia espresso senza l'audizione diretta dell'istante, se essa abbia già formato il proprio convincimento1 sulla base di altri dati (e specificamente sulle asserzioni contenute nel la domanda dell'interessato), e anche se essa abbia in altri casi sentito direttamente i richiedenti.

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