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adunanza plenaria; decisione 28 gennaio 1985, n. 1; Pres. Pescatore, Est. Reggio d'Aci; E.n.p.a.s....

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adunanza plenaria; decisione 28 gennaio 1985, n. 1; Pres. Pescatore, Est. Reggio d'Aci; E.n.p.a.s. c. Dore (Avv. Clarizia). Annulla T.A.R. Lazio, sez. III, 8 novembre 1982, n. 1112 Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 4 (APRILE 1985), pp. 141/142-147/148 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23178469 . Accessed: 25/06/2014 02:37 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.34.79.214 on Wed, 25 Jun 2014 02:37:06 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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adunanza plenaria; decisione 28 gennaio 1985, n. 1; Pres. Pescatore, Est. Reggio d'Aci; E.n.p.a.s.c. Dore (Avv. Clarizia). Annulla T.A.R. Lazio, sez. III, 8 novembre 1982, n. 1112Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 4 (APRILE 1985), pp. 141/142-147/148Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23178469 .

Accessed: 25/06/2014 02:37

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141 GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 142

CONSIGLIO DI STATO; sezione IV; decisione 31 gennaio

1985, n. 13; Pres. Paleologo, Est. Catricalà; Genova (Avv.

Gamberale) c. Min. interno (Avv. dello Stato Palatiello).

Annulla T.A.R. Lombardia, sede di Brescia, 31 gennaio 1984,

n. 24.

CONSIGLIO DI STATO;

Pubblica sicurezza (amministrazione della) — Sottufficiale in

congedo — Richiamo in servizio temporaneo — Proroga —

Revoca — Illegittimità — Fattispecie (L. 3 aprile 1958 n. 460,

stato giuridico e avanzamento dei sottufficiali del corpo delle

guardie di pubblica sicurezza, art. 46; d.p.r. 24 aprile 1982 n.

336, inquadramento nei ruoli della polizia di Stato del persona le che espleta funzioni di polizia, art. 44).

È illegittima la revoca della proroga del servizio temporaneo di

un sottufficiale di pubblica sicurezza richiamato dal congedo, che sia stata disposta dal ministero dell'interno, su parere

negativo del comandante di reparto, basato sulla asserzione

secondo la quale il sottufficiale sarebbe stato affetto da

malattia psichica, se questa sia stata smentita dal referto della

visita medica successivamente effettuata presso l'ufficio sanitario

della polizia di Stato. (1)

Diritto. — Il caso in esame trova disciplina negli art. 46 1. 3

aprile 1958 n. 460 e 44 d.p.r. 24 aprile 1982 n. 336.

Le citate disposizioni prevedono che i sottufficiali di p.s. in

congedo possono essere richiamati in servizio temporaneo, previo accertamento di vacanza negli organici del ruolo, con il consenso

degli interessati, acquisito il parere favorevole del comandante del

reparto e subordinatamente all'accertamento sanitario della sussi

stenza dei requisiti fisici richiesti. Le stesse condizioni devono

verificarsi per rendere operante la facoltà, concessa all'ammini

strazione di prorogare il servizio temporaneo per altri due anni.

Siffatta proroga era stata concessa in favore del ricorrente, ma

era stata subito revocata a causa del parere negativo espresso dal

comandante del reparto al quale il mar.llo Genova era assegnato.

Avverso la revoca, infruttuosamente impugnata in primo grado,

vengono in questa sede riproposte le seguenti censure: 1) illegit

timità per difetto di motivazione, per insussistenza o travisamento

dei fatti (contrariamente a quanto assunto dall'amministrazione i

precedenti di servizio dell'interessato sarebbero ottimi); 2) con

traddittorietà con determinazioni e pareri della stessa amministra

zione precedentemente assunti (che avevano comportato il richia

mo per il primo anno); 3) contraddittorietà con gli accertamenti

degli organi sanitari (che avevano dichiarato la sua attitudine

psicofisica all'impiego); 4) eccesso di potere per invadenza di

attribuzioni riservata agli organi sanitari (il comandante avrebbe

espresso un giudizio negativo sulle qualità psico-fisiche del dipen

dente); 5) contraddittorietà infine con il comportamento dello

stesso comandante (il quale gli aveva affidato il comando del

reparto nel periodo delicato del ferragosto e poi aveva espresso il

parere negativo). Il ricorso è fondato e merita accoglimento. Il rapporto negativo

espresso dal comandante della sezione di Mantova riferisce di

alcuni disturbi caratteriali, e di manifestazioni comportamentali

del sottufficiale, ritenuti incompatibili con un sereno ed efficiente

espletamento del servizio.

Si tratterebbe in particolare di crisi di pianto, scatti di

irritabilità improvvisa nei confronti dei dipendenti e del pubblico,

minacce velate nel contestare le infrazioni, trascuratezza ed omis

sioni nella redazione dei verbali.

Il sottufficiale stesso avrebbe riferito dei gravi disturbi di cui

soffriva e della necessità di essere impiegato in servizi esterni e

con turni serali, non sopportando di lavorare in locali chiusi e

durante le ore calde.

Il rapporto conclude con il ritenere che il sottufficiale « è

certamente sofferente di disturbi di carattere nervoso e psichico»;

(1) Non risultano precedenti. Per riferimenti, nel senso della legittimità del giudizio di inidoneità

fisica di un appartenente al corpo delle guardie di pubblica sicurezza,

per la sua eccessiva emotività e mancanza di controllo sul proprio

sistema nervoso, Cons. Stato, sez. IV, 25 maggio 1982, n. 306, Foro it.,

Rep. 1982, voce Pubblica sicurezza (amministrazione della), n. 21.

E nel senso del carattere vincolato del provvedimento di cessazione

dal servizio del sottufficiale di pubblica sicurezza divenuto permanen

temente inidoneo al servizio, Cons. Stato, sez. I, 26 novembre 1971, n.

1267/71, id., Rep. 1979, voce Agente di p.s., n. 11.

Sul pieno diritto di inserirsi nel mondo del lavoro dei soggetti

particolarmente colpiti nella loro efficienza mentale cfr. Corte cost. 22

febbraio 1985, n. 52, id., 1985, I, 633, con nota di richiami, in tema

di minorati psichici e assunzioni obbligatorie.

che a causa « della sua malattia » non si è potuto adibirlo al

servizio burocratico; che « non si è provveduto a stilare il

rapporto informativo come il precedente anno, perché sarebbe

stato totalmente diverso e probabilmente poco giustificato ».

Appare all'evidenza che l'unica giustificazione che il comandan

tee della sezione riesce a fornire del suo parere negativo,

contrastante con il precedente parere favorevole dallo stesso

redatto e con i precedenti di servizio del sottufficiale, è l'insorge

re di una grave malattia psichica. Siffatta convinzione ha fatto sf che il comandante si sentisse

esonerato dall'accertamento in contraddittorio (con un procedimen

to disciplinare) delle mancanze ed infrazioni addebitate al Geno

va. D'altro canto lo stesso comandante non ha ritenuto che la

situazione fosse realmente grave, posto che, nel periodo in

riferimento, e, segnatamente durante il ferragosto che impegna al

massimo le forze di polizia stradale, ha affidato al Genova la

reggenza della sezione.

Orbene, le convinzioni del comandante circa l'infermità mentale

del sottufficiale hanno trovato secca smentita nel referto del 28

ottobre 1982 dell'ufficio sanitario della polizia di Stato (unico

ufficio competente ad esprimere il giudizio), in virtu del quale il

mar.llo Genova viene riconosciuto idoneo sotto il profilo sanitario,

a tutti i servizi d'istituto, dopo essere stato sottoposto a visita

medica in data posteriore a quella del parere del comandante.

Poiché il provvedimento di revoca del richiamo si basa esclusiva

mente sul parere che risulta dagli atti contraddittori deve

ritenersene l'illegittimità. In accoglimento dell'appello, la sentenza di primo grado deve es

sere dunque riformata, con conseguente annullamento dei prov

vedimenti impugnati. (Omissis)

I

CONSIGLIO DI STATO; adunanza plenaria; decisione 28 gen

naio 1985, n. 1; Pres. Pescatore, Est. Reggio d'Aci; E.n.p.a.s.

c. Dorè (Avv. Clarizia). Annulla T.A.R. Lazio, sez. Ili, 8

novembre 1982, n. 1112.

Impiegato dello Stato e pubblico — Indennità di buonuscita —

Ritardata corresponsione — Rivalutazione — Esclusione (Cod.

civ., art. 1224, 1277; disp. sulla legge in generale, art. 14; cod.

proc. civ., art. 409, 429; r.d. 26 giugno 1924 n. 1054, t.u. sul

Consiglio di Stato, art. 29; 1. 6 dicembre 1971 n. 1034,

istituzione dei tribunali amministrativi regionali, art. 7).

Al dipendente statale cessato dal servizio non spetta la rivaluta

zione dell'indennità di buonuscita che l'E.n.p.a.s. gli abbia

corrisposto in ritardo. (1)

(1) L'ordinanza 6 luglio 1984, n. 423, con la quale la sez. VI del

Consiglio di Stato ha rimesso all'adunanza plenaria la questione che

ora questa ha deciso, è massimata in Cons. Stato, 1984, I, 886.

I. - La prima linea argomentativa della pronuncia dell'adunanza

plenaria si basa sulla affermazione che l'art. 429 c.p.c. è inapplicabile

ai rapporti di pubblico impiego, e al giudizio amministrativo su di

essi. Si tratta di una tesi prevalente nella giurisprudenza amministrativa:

anche in quella che ha ammesso che rientri nella giurisdizione

del giudice amministrativo la domanda del pubblico dipendente di

rivalutazione automatica, in base ai coefficienti 1STAT, del proprio

credito, e che conseguentemente ha sostenuto, nel merito della questio ne che tale rivalutazione spetti a tale dipendente: v. i richiami in nota

a Cass. 25 gennaio 1985, n. 357, che sarà riportata nel prossimo

fascicolo, che ha negato la giurisdizione del pretore come giudice del lavoro su siffatta pretesa.

Al riguardo, si deve osservare che: a) la sentenza 20 gennaio 1977,

n. 43 (Foro it., 1977, I, 257, con nota di richiami), e 26 maggio 1981, n.

71 {id., 1981, I, 1784, con nota di richiami), con le quali la

Corte costituzionale ha escluso che violi il principio di uguaglianza

(nonché altri parametri di costituzionalità) l'art. 409 e soprattutto l'art.

429 c.p.c., in quanto non preveda la risarcibilità del maggior danno da

svalutazione monetaria che il dipendente statale o da ente pubblico non economico abbia subito per il ritardato pagamento di quanto di

sua spettanza (ma in ambedue i casi la corte si è pronunciata su

ordinanze di rimessione pretorili e di giudici ordinari in genere), evidentemente presuppongono sul piano interpretativo che la normativa

in questione non sia applicabile ai rapporti di impiego con lo Stato e

gli enti pubblici non economici; b) la prima pronuncia con la quale il

Consiglio di Stato ha ammesso la rivalutazione automatica dei crediti

di lavoro inerenti a questi rapporti, ad. plen. 30 ottobre 1981, n. 7

(id., 1982, III, 1, con nota di critica di Pardolesi), non si è discostata

Il Foro Italiano — 1985 — Parte III-11.

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PARTE TERZA

II

CONSIGLIO DI STATO; sezione VI; ordinanza 4 dicembre

1984, n. 679; Pres. Caianiello, Rei. Pauciullo; Torresi (Avv.

Serangeli) c. Ente provinciale per il turismo di Ravenna.

Impiegato dello Stato e pubblico — Indennità di fine rapporto —

Rivalutabilità — Rimessione della questione all'adunanza plena ria.

dall'interpretazione che di quella normativa aveva già dato la sentenza

n. 43/77 della Corte costituzionale, malgrado il suo carattere non

vincolante per l'interprete sotto il profilo, appunto, interpretativo: ha

preferito argomentare in base all'art. 1224 c.c., che prevede la risarcibilità del maggior danno che il creditore dimostri di avere subito

per l'inadempimento di una obbligazione pecuniaria, anche se poi ha riconosciuto che il «combinato disposto dei richiamati art. 1218 e 1224 ... non è di molto dissimile da quello previsto dall'art. 429 c.p.c. »; in più recenti decisioni, peraltro, la medesima adunanza plenaria non indugia a dimostrare la base argomentativa di un risultato positivo per il pubblico dipendente comunque ormai acquisito (v., ad es., decisione 16 dicembre 1983, n. 27, id., 1984, III, 23); c) la

Cassazione, nell'avallare l'ampliamento della giurisdizione del giudice amministrativo sulla domanda di rivalutazione del credito del pubblico dipendente, sostenuta dal Consiglio di Stato, anzitutto con la decisione n. 7/81 dell'adunanza plenaria (v. da ultimo la già citata sentenza n.

357/85 e i precedenti richiamati nella nota relativa), non ne condivide

il percorso argomentativo: nel senso che ritiene rilevante, e, quindi, prima ancora applicabile al problema, l'art. 429 c.p.c.: già nella fondamentale sentenza 3 novembre 1982, n. 5750, id., 1982, I, 2755, con nota critica di C. M. Barone e Pardolesi, si legge (col.

2762), iche il Consiglio di Stato, in tale sua decisione, « ha

affermato, bensì, di voler prescindere dall'art. 429, 3° comma, c.p.c., in

quanto la rivalutazione sarebbe senz'altro consentita, a suo dire, per tutti i crediti, e specialmente per quelli di lavoro. Ma in realtà ha

applicato in pieno proprio quella disposizione e la relativa norma di

attuazione », attingendo ai risultati ai quali è pervenuta l'interpre tazione di essa da parte della Cassazione medesima; e la sentenza 5

maggio 1983, n. 3076, id., 1983, I, 1587, con nota di richiami, dopo aver nuovamente richiamato l'art. 429 c.p.c., ha qualificato strano il

riferimento che viceversa il Consiglio di Stato ha fatto all'art. 1224 c.c.

II. - Resta da considerare perché la decisione che si riporta, dopo aver

escluso l'applicabilità al pubblico impiego e al relativo giudizio amministrativo dell'art. 429 c.p.c., non abbia imboccato la strada

dell'applicazione dell'art. 1224 c.c., che pure nelle altre occasioni aveva

portato la stessa adunanza plenaria a risultati sostanzialmente equiva

lenti. E la risposta la si trova nell'ultima parte della motivazione, dove

si nota che l'esame della questione è precluso dalla mancata formula

zione di una rituale e tempestiva domanda al riguardo.

In tal modo, la decisione, sia pure indirettamente, viene ad escludere

che nel giudizio amministrativo la rivalutazione del credito del pubbli co dipendente possa essere disposta d'ufficio: di nuovo, diventa un

problema di (negata) applicabilità al riguardo dell'art. 429 c.p.c. La questione della rivalutabilità o meno d'ufficio di tale credito

(nonché della concessione dei relativi interessi corrispettivi) è stata

deferita ex professo all'adunanza plenaria, sotto il profilo della propo

nibilità solo in appello della relativa domanda, da sez. IV, ord. 28

agosto 1984, n. 665, id., 1985, III, 47, con nota di richiami, e, poi, con ordinanza 26 febbraio 1985, n. 64, Settimana giur., 1985, I, 68. A

tali richiami adde sez. IV 23 ottobre 1984, n. 783, Cons. Stato, 1984, I,

1163, che, proprio argomentando dalla inapplicabilità nel processo ammi

nistrativo dell'art. 429 c.p.c., nega la rivalutabilità d'ufficio del credito

del pubblico dipendente. Mentre la sez. VI segue l'opposta tesi della

rivalutabilità d'ufficio: decisioni li1 dicembre 1984, n. 718, ibid., 1563;

31 ottobre 1984, n. 628, ibid., 1328, che conseguentemente ha ammesso

la domanda proposta per la prima volta in appello; 4 dicembre 1984,

n. 678, ibid., 1523, che conseguentemente ha considerato irrilevante

che la domanda fosse formulata solo in memoria non notificata.

Comunque, date le due ordinanze della sez. IV, l'adunanza plenaria alla quale la questione è stata cosi deferita, dovrà dare ad essa una

più puntuale e meno indiretta risposta. III. - L'affermata inapplicabilità al credito del pubblico dipendente e

al relativo giudizio amministrativo dell'art. 429 c.p.c. avrebbero reso

del tutto superflua l'esposizione della seconda linea argomentativa che

ciò nonostante la decisione dell'adunanza plenaria ha voluto ugualmen te esaminare distesamente: tale norma non si applicherebbe comunque ai crediti di carattere previdenziale e non retributivo.

Al riguardo, è di nuovo assai importante la parte interpretativa della sentenza della Corte costituzionale 29 dicembre 1977, n. 162, Foro it., 1978, I, 7, con nota di richiami, che ha escluso che violi gli art. 3 e 38 Cost., l'art. 429 3° comma, c.p.c., in quanto, appunto, non preveda la rivalutazione anche dei crediti per prestazioni previdenziali.

La decisione che si riporta ha fatto proprio questo principio, che ha

applicato alla buonuscita che l'E.n.p.a.s. deve corrispondere ai dipen denti statali che cessano dal servizio, qualificata come una indennità di natura previdenziale, dalla quale esulerebbe il carattere di retribu zione differita. In questi termini, si è già espresso T.A.R. Campania, sez. I, 18 ottobre 1983, n. 1019, id., 1985, III, 78, con nota di

È opportuno rimettere all'adunanza plenaria la questione della

rivalutabilità dell'indennità di fine rapporto spettante al pubbli co dipendente, e corrispostagli tardivamente. (2)

I

Diritto. — L'appello è fondato sotto oiascuno dei due profili con esso proposti.

L'art. 429 c.p.c. è, infatti, inapplicabile nella specie e ciò sia

perché le norme contenute nel capo I, titolo IV del libro secondo

del codice di procedura civile (controversie individuali di lavoro)

vanno, nel settore pubblico, osservate solo per i rapporti di lavoro

pubblico con enti c.d. economici ovvero per quelli che non sono

devoluti alta giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo

(art. 409, no. 4 e 5, c.p.c.), sia perché, in ogni caso, non sembra

possibile attribuire alla indennità di buonuscita dei dipendenti

statali natura retributiva.

Quanto al primo punto basterà osservare come il principio della

inapplicabilità dell'art. 429 c.p.c. ai dipendenti statali nonché a

tutti i dipendenti pubblici sottoposti alla giurisdizione esclusiva

del giudice amministrativo risulta da una giurisdizione costante di

questo consiglio, che ha sempre ritenuto esplicito in tal senso il

disposto di cui all'art. 409, n. 5, c.p.c. (veggansi, tra le più

recenti, la decisione di questa stessa ad. plen. n. 7 in data 30

ottobre 1981, Foro it., 1982, III, 1, nonché, in termini, le decisioni

della VI sezione 15 novembre 1982, n. 589, id., Rep. 1983, voce

richiami su ambedue gli aspetti della questione (applicabilità o meno

dell'art. 429 c.p.c. ai crediti di natura previdenziale; natura previden

ziale o meno della buonuscita E.n.p.a.s. e di altre indennità di fine

rapporto). A tali richiami adde, sempre nel senso della non rivalutazio

ne, sez. VI 19 dicembre 1984, n. 719, Cons. Stato, 1984, I,

1564, in riferimento sia alla buonuscita E.n.p.a.s. che all'indennità di

fine rapporto dovuta ai dipendenti dell'I.n.p.s., in un caso nel quale la

domanda era stata proposta per la prima volta in appello, e quindi

argomentando dalla impossibilità di una pronuncia d'ufficio, per la

ripetuta inapplicabilità dell'art. 429 c.p.c. a crediti di carattere previ

denziale; e sez. VI 31 ottobre 1984, n. 627, ibid., 1327, in riferimento

alla pensione integrativa dei dipendenti dell'I .n.a.m., e 21 maggio

1984, n. 284, ibid., 597, in riferimento alla buonuscita E.n.p.a.s.,

più in relazione ai limiti della giurisdizione del giudice ammini

strativo sulla domanda di rivalutazione di crediti aventi natura previ

denziale; questa ultima decisione arriva alla conclusione opposta, per

il trattamento di fine rapporto dei dipendenti dell'O.n.m.i., perché

attribuisce ad esso carattere di retribuzione differita.

Dalla decisione riportata, e dalle altre nel medesimo senso sopra

richiamate, emerge una nozione piuttosto rigorosa di credito retributivo

del pubblico dipendente rivalutabile dal giudice amministrativo. Per

altri riferimenti, T.A.R. Campania, sez. I, 5 ottobre 1983, n. 926, Foro

it.„ 1985, III, 79, con nota di richiami, ha escluso che al dipendente

pubblico prima sospeso dal servizio per pendenza di giudizio penale, e

poi riammesso dopo la sentenza dichiarativa dell'estinzione del reato

per amnistia, spettino la rivalutazione della retribuzione non percepita durante la sospensione e i relativi interessi corrispettivi; e Cons. Stato, sez. VI, 19 gennaio 1985, n. 6 che segue, ha negato che spettino al

pubblico dipendente i danni da svalutazione, e gli interessi, sulle

somme che l'ente di appartenenza abbia illegittimamente ripetuto, e

che quindi debba a sua volta restituire.

(2) Tra l'ordinanza di rimessione che ha dato luogo alla decisione

dell'adunanza plenaria che si riporta, e quest'ultima, si è inserita la

nuova ordinanza di rimessione della stessa sezione VI, relativa,

stavolta, non più all'indennità di buonuscita che l'E.n.p.a.s. deve

corrispondere ai dipendenti statali cessati dal servizio, bensì all'inden

nità dovuta al dipendente di un ente provinciale per il turismo. Ad essa, l'adunanza plenaria ha già largamente risposto in anticipo,

specie per quel che riguarda l'inapplicabilità dell'art. 429 c.p.c. ai

crediti del pubblico dipendente e al relativo giudizio amministrativo. Però la nuova ordinanza si riferisce ad un diverso trattamento di fine

rapporto; e richiama con chiarezza il filone giurisprudenziale che ammette la rivalutazione dei fondi individuali di previdenza e dell'in

dennità di anzianità dei dipendenti delle camere di commercio: dopo la decisione dell'adunanza plenaria 30 marzo 1982, n. 5, Foro it., Rep. 1982, voce Camera di commercio, n. 7, v., sempre nel senso della rivalu

tabilità, sez. VI 26 ottobre 1982, n. 511, id., Rep. 1982, voce cit., n. 9; 3 dicembre 1983, n. 874, Cons. Stato, 1983, I, 1347; 9 febbraio, 19 marzo e 26 novembre 1984, nn. 61, 135 e 670, id., 1984, I, 185, 299 e

1447; 19 gennaio 1985, n. 20, id., 1985, I, 64. Rimane sempre aperto il problema, poi, della rivalutabilità da parte

del giudice amministrativo dei crediti a carattere previdenziale del

pubblico dipendente, secondo il diverso schema argomentativo che il

Consiglio di Stato, malgrado lo scetticismo della Cassazione, ha utilizzato per raggiungere il medesimo risultato per i crediti di carattere retributivo: l'art. 1224, 2° comma, c.c. S'intende, visto l'orientamento almeno implicitamente assunto dall'adunanza plenaria, solo su domanda esplicita, rituale e tempestiva del ricorrente.

Il Foro Italiano — 1985.

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

Impiegato dello Stato, n. 718; 21 giugno 1983, n. 514, ibid., n,

717; e 29 luglio 1983, n. 616, ibid., n. 719).

In sostanza il citato art. 409 prescrive la osservanza delle disposi zioni dettate in materia di controversie individuali di lavoro (tra le

quali va ricompresa quella sulla rivalutazione dell'art. 429), oltre

che al campo privato, anche nell'ambito dei soli rapporti di

pubblico impiego «che non siano devoluti dalla legge ad altro

giudioe ». Nella specie l'art. 29, r.d. 26 giugno 1924 n. 1054

(contenente il t.u. delle leggi sul Consiglio di Stato) nonché l'art. 7

1. 6 dicembre 1971 n. 1034 (istitutiva dei tribunali amministrativi

regionali) riservano in via esclusiva al giudice amministrativo la

cognizione dei ricorsi relativi al rapporto di pubblico impiego

prodotti dagli impiegati dello Stato o di enti pubblici sottoposti a

vigilanza dell'amministrazione statale, il che esclude per tabulas

che nel corso del procedimento giurisdizionale cosi instaurato

avanti agli organi della giustizia amministrativa possa invocarsi

l'applicazione delle norme contenute nel capo I, titolo IV del

libro secondo del codice di procedura civile (e, quindi, anche

quella di cui all'art. 429, 3° comma).

Né alla applicabilità della disposizione contenuta nell'art. 429, 3° comma, al rapporto di impiego statale può pervenirsi, cosi

come suggerisce il resistente, sulla base dell'analogia perché, a

tacer d'altro, l'articolo in parola (nel testo, di cui all'art. 1 1. 11

agosto 1973 n. 533) costituisce sicuramente una eccezione al

principio nominalistico stabilito per le obbligazioni pecuniarie nonché a quello sulla responsabilità per mora (art. 1224 e 1277

ex.), in relazione al quale è vietata, quindi, l'interpretazione

analogica (art. 14 disp. sulla legge in generale).

In proposito è comunque utile ricordare che la Corte costitu

zionale, con sentenza 20 gennaio 1977, n. 43 (id., 1977, I, 257), ha

ritenuto la legittimità costituzionale degli art. 409, n. 5 e 429, 3"

comma, c.p.c. nella parte io cui non prevedono l'applicabilità delle normative stesse ai rapporti di pubblico impiego in genere.

Quanto al secondo profilo dell'appello — proposto evidentemen

te con riferimento al principio enucleato dall'art. 429, 3° comma, e confermato dalla costante giurisprudenza della Corte di cassa

zione, secondo cui gli interessi e la rivalutazione automatica ivi

previsti sono dovuti soltanto « per i crediti di lavoro » e non

anche per quelli previdenziali — va messo in rilievo come la

natura previdenziale dell'indennità di buonuscita accordata al

personale statale dapprima con il r.d. 26 febbraio 1928 n. 619 e

poi con la 1. 25 novembre 1957 n. 1139 e successive modificazio

ni, è stata già riconosciuta dalla Corte costituzionale con le

sentenze n. 19 del 18 febbraio 1970 (id., 1970, I, 681) e n. 82 del

19 giugno 1973, (id., 1973, I, 2372), nonché da questa stessa

adunanza plenaria con la decisione n. 21 del 12 giugno 1979 (id.,

1979, III, 449).

L'argomento principale che. ha condotto a siffatte determinazioni

è stato quello desumibile dalla circostanza secondo cui la indenni

tà di buonuscita diventa oggetto di un diritto attuale e concreto

solo dopo che la prestazione del servizio da parte del dipendente si sia protratta per un certo periodo di tempo. Per tale sua

caratteristica, è stato ritenuto che la indennità in parola differisca

da ogni altra indennità (e in particolare da quella di anzianità

prevista per il rapporto di lavoro privato) la quale sia collegata alla semplice prestazione del lavoro; ciò stante, essa non si presta a essere intesa come parte differita della retribuzione (o retribuzio

ne differita), ma assolve, piuttosto, a una funzione previdenziale e

assistenziale nei confronti degli iscritti al fondo di previdenza

dell'E.n.p.ajs. Ulteriore dimostrazione di tale natura è stata rinve

nuta sia nel principio della sua eventuale trasmissibilità (in caso

di morte del titolare) secondo criteri speciali diversi da quelli della successione ereditaria, sia nella particolarità che, a fronte

dell'erogazione al singolo avente diritto non sta la massa dei

contributi versati dallo stesso a suo favore ed integranti un suo

conto personale, sibbene un fondo formato dai contributi di tutti

gli iscritti, ma anche e soprattutto da quelli del datore di lavoro,

nonché da altri proventi. Nella specie l'adunanza non ritiene di discostarsi da tale

orientamento, atteso che la configurazione legislativa dell'indennità

di buonuscita dei dipendenti statali non è sostanzialmente mutata,

né sussistono, quindi, ragioni per andare in diverso avviso.

In particolare non sembra condivisibile l'opinione, manifestata

nella sentenza qui impugnata, secondo cui all'indennità di buonu

scita dovrebbe riconoscersi, oltre che un profilo indubbiamente

previdenziale, anche un aspetto di sostanziale remunerazione del

dipendente e ciò con riferimento, in particolare, all'entrata in

vigore del d.p.r. 29 dicembre 1973 n. 1032 nonché della 1. 7

febbraio 1979 n. 29.

A parte, infatti, che appare intimamente contraddittorio ed

equivoco riconoscere a un medesimo emolumento, contempora neamente e in relazione alla sua interezza, due caratteristiche tra

di loro alternative quali sono quelle della natura previdenziale (e cioè di assistenza dei lavoratori pubblici in relazione a particolari eventi previdenziali — nella specie la cessazione dal servizio —

che li possano colpire) nonché retributiva (vale a dire di corre

sponsione differita di parte della retribuzione), è assorbente la

considerazione che gli argomenti addotti per dimostrare l'accen tuazione normativa del c.d. carattere retributivo della indennità stessa appaiano estremamente fragili.

Il t.u., infatti, approvato con d.p.r. 29 dicembre 1973 n. 1032, ha continuato a configurare la indennità di buonuscita dei

dipendenti statali, anche dal punto di vista formale, come una

prestazione di carattere previdenziale (si veda il titolo del mede simo testo unico nonché il testo del decreto presidenziale di

approvazione), sottoposta alla condizione che il dipendente abbia

conseguito il diritto al trattamento di pensione e abbia maturato almeno un biennio d'iscrizione al fondo di previdenza per il

personale statale (art. 3 d.p.r. cit.); in prosieguo la 1. 7 febbraio 1979 n. 29 ha si ammesso il ricongiungimento presso l'E.n.p.a.s. dei periodi di servizio utili a pensione maturati anche

presso altre gestioni, ma ha lasciato immutata la disciplina del trattamento di previdenza spettante agli impiegati statali. Sicché in

definitiva, anche dopo gli interventi normativi cui la decisione qui impugnata si rifà, la natura previdenziale della indennità di

buonuscita, in quanto non correlata in maniera automatica alla

prestazione di un'attività lavorativa, rimane immutata; né la circostanza su cui si dilungano i primi giudici, in relazione a una c.d. « cesura » tra le diverse forme di prestazione dell'apposito fondo di previdenza e credito costituito presso l'E.n.p.a.s. — con

preminenza assoluta tra di esse alla corresponsione della indennità di buonuscita — può valere a infirmare tale considerazione che ha carattere assorbente e preclusivo.

Va osservato per completezza che le ragioni che precedono rimangono determinanti anche in ordine alle modifiche introdotte all'istituto della indennità di buonuscita con l'art. 7 1. 29 aprile 1976 n. 177 che (sebbene non preso affatto in considerazione dalla sentenza appellata) ha inciso notevolmente sulla disciplina della materia, facendo cadere il principio della necessità, ai fini del conseguimento della indennità, della previa acquisizione del diritto a pensione, e riducendo il periodo di iscrizione al fondo

all'uopo necessario a un solo anno. Il fatto è che una volta che l'indennità non dipenda, comunque, in maniera automatica dalla

prestazione lavorativa fornita dall'impiegato statale né sia esatta mente correlata ad essa, ma sia, invece, condizionata da altri eventi esterni (quale nella specite la iscrizione al fondo di

previdenza per un certo periodo) non può riconoscersi alla stessa carattere retributivo, poiché, per definizione, la retribuzione ha lo

scopo di compensare l'impiegato della sua opera ed è dovuta, conseguentemente, solo che detta opera sia prestata e in pro porzione ad essa; la necessità che ai fini della corresponsione dell'indennità intervenga un'altra condizione estranea alla atti vità lavorativa spezza, in sostanza, il nesso causale tra la se conda e la prima. Il che del resto è pur ora indiretta mente confermato dalla circostanza che il diritto all'indennità di buonuscita maturata non si devolve, in caso di morte del suo titolare, secondo i principi del diritto successorio — cosi come dovrebbe essere se l'indennità avesse mero carattere retribu tivo — ma, invece, sulla base dei criteri particolarissimi stabiliti dall'art. 5 d.p.r. n. 1032/73.

Analoghe considerazioni ovviamente possono effettuarsi in ordi ne alle modifiche introdotte con la 1. 20 marzo 1980 n. 75 che

riguardano principalmente la base contributiva e M procedimento di liquidazione dell'indennità.

In conclusione deve respingersi la tesi che all'indennità di buonuscita possa, allo stato attuale della nostra legislazione, essere riconosciuta natura retributiva, il che impedisce, a tacer d'altro,

l'applicabilità alla stessa delle disposizioni di cui all'art. 429, 3°

comma, c.p.c. La sentenza di primo grado qui impugnata va quindi annullata

con reiezione del ricorso a suo tempo proposto dal dott. Dorè.

Per completezza deve osservarsi come nel presente giudizio non

può scendersi all'esame di eventuali questioni connesse con l'ap plicazione dell'art. 1224 c.c. poiché — come ha eccepito la difesa

erariale — manca una univoca domanda in tal senso proposta dall'originario ricorrente in primo grado (veggansi l'atto stragiudi ziale di diffida notificato dal dott. Dorè all'E.n.p.a.s. in data 18 febbraio 1981, le conclusioni del ricorso avanti al T.A.R. nonché,

soprattutto, la memoria datata 4 giugno 1982, contenente ampia

Il Foro Italiano — 1985.

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PARTE TERZA

esplicazione delle ragioni del ricorrente) ed essendosi il procedi mento davanti ai primi giudici svolto essenzialmente sul punto —

sul quale si è sviluppata la contestazione delle parti — della

applicabilità o meno nella specie dell'art. 2, 3° comma, c.p.c. Una istanza del genere, del resto, a parte ogni questione che si

sarebbe potuta porre sulla sua eventuale proponibilità in questa

sede, non risulta comunque concretamente avanzata neppure in

questo grado d'appello, né con ricorso incidentale (mai presentato) e neppure come autonomo capo di domdanda in ipotesi spiegato nella difesa del resistente. (Omissis)

II

Diritto. — Il diritto, da parte dell'appellante, alla corresponsio ne degli interessi corrispettivi sulle somme dovute, per pronuncia del T.A.R., è stato riconosciuto con separata sentenza in pari

data, mentre per la domanda relativa alla rivalutazione delle

somme stesse ed al computo degli interessi sulle somme rivalutate,

questo collegio, attesa l'incertezza della giurisprudenza in materia, ritiene necessario rimetterne l'esame all'adunanza plenaria di

questo Consiglio di Stato.

Per giurisprudenza costante della Corte suprema di cassazione, la rivalutazione automatica — ex art. 429, 3° comma, c.p.c. —

spetta soltanto per i crediti di lavoro, non anche per le prestazio ni previdenziali ed assistenziali (v. da ultimo Cass. 28 gennaio

1984, n. 703, Foro it., Mass., 148; 25 ottobre 1983, n. 6309, id.,

Rep. 1983, voce Danni civili, n. 183), nonostante il richiamo

contenuto nell'art. 442 c.p.c. La norma, cosi interpretata, è stata, peraltro, giudicata confor

me al dettato costituzionale (Corte cost. 29 dicembre 1977, n. 162,

id., 1978, I, 7). Da questo orientamento non si è discostata questa sezione, in

materia di trattamenti pensionistici integrativi di dipendenti del

l'I.n.a.m. (decisione n. 36 del 31 gennaio 1984).

Tuttavia, va considerato che il diritto alla rivalutazione è stato

riconosciuto dall'adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato in

materia di liquidazione di fondi di previdenza della camera di

commercio (ad. pieni. 30 marzo 1982, n. 5, id., Rep. 1982, voce

Camera di commercio, n. 7), sia pur senza specifico riferimento

all'art. 429.

Deve, inoltre, rilevarsi che taluni degli argomenti, addotti a

sostegno dell'orientamento dominante (carattere eccezionale della

norma sulla rivalutazione automatica dei orediti di lavoro, incon

figurabilkà di una volontà di non adempiere, riferita agli istituti

pubblici debitori) non sono diversi da quelli opposti all'applica

zione della su citata disposizione (art. 429 c.p.c.) ai crediti dei

pubblici dipendenti. Se, poi, la prima suindicata questione trovasse soluzione nel

senso di escludere la rivalutazione automatica, per i crediti

previdenziali (ritenendo il conseguente difetto di giurisdizione del

giudice amministrativo, in ordine alla istanza di rivalutazione,

fondata su di un autonomo titolo risarcitorio), si delineerebbe,

allora, il problema della natura di quelle indennità di fine

rapporto, che, pur assolvendo una funzione analoga a quella della

indennità di anzianità, prevista dall'art. 2120 c.c., sono soggette ad

un regime giuridico, che non consente la loro qualificazione come

retribuzione differita.

In particolare, riguardo all'indennità di buonuscita, spettante ai

dipendenti statali, la legge subordina il pagamento a particolari

requisiti di anzianità di servizio, ponendo a carico del dipenden te un obbligo contributivo. Analoga situazione si verifica, in

ordine all'indennità di buonuscita, che spetta ai dipendenti di enti

pubblici. Invero, alcune decisioni di merito, pronunciate dai tribunali

amministrativi regionali (v. T.A.R. Lazio, sez. Ili, n. 160 del 28

febbraio 1983) affermano che l'indennità di buonuscita, nonostante

la diversa qualificazione legislativa (d.p.r. 29 dicembre 1973 n.

1032), ha natura retributiva; non cosi, si pronuncia la Corte di

cassazione, che perviene a diversa conclusione, in ordine all'in

dennità premio di servizio, per i dipendenti degli enti locali (Cass. 27 aprile 1983, n. 2876, Rep. 1983, voce Impiegato agli enti

locali, n. 111).

Stante, quindi, non univoca decisione giurisprudenziale, per le

ragioni esposte, si appalesa opportuno rimettere l'esame della

controversia — siccome è avvenuto per questioni analoghe —

all'adunanza plenaria, ai sensi dell'art. 45, 2° comma, t.u. 26

giugno 1924 ti. 1054.

I

CONSIGLIO DI STATO; sezione VI; decisione 19 gennaio

1985, n. 6; Pres. Buscema, Est. Barberio Corsetti; I.n.p.s.

(Avv. Chiabrera, Sacerdoti) e. Ieraci e altri (Avv. Ventura,

Villani). Annulla T.A.R. Piemonte 2 dicembre 1981, nn. 1002

e 1003, 16 dicembre 1981, n. 1302.

Giustizia amministrativa — Appello — Tardività — Errore

scusabile — Fattispecie (R.d. 26 giugno 1924 n. 1054, t.u. sul

Consiglio di Stato, art. 36; 1. 6 dicembre 1971 n. 1034,

istituzione dei tribunali amministrativi regionali, art. 29).

Impiegato dello Stato e pubblico — Stipendi e assegni —

Corresponsione indebita — Ripetizione — Illegittimità — Fat

tispecie.

Impiegato dello Stato e pubblico — Stipendi e assegni —

Illegittima ripetizione — Restituzione — Interessi e rivalutazio

ne — Esclusione (Cod. proc. civ., art. 429).

£ scusabile l'errore commesso da ente pubblico, che aveva

notificato l'appello oltre il termine di sessanta giorni dalla

notificazione della sentenza del tribunale amministrativo regio

nale, nel domicilio che aveva eletto presso il difensore costitui

to nel giudizio di primo grado, prima che l'adunanza plenaria

si pronunciasse per la ritualità della notificazione. (1)

È illegittima la ripetizione da parte di ente pubblico delle

maggiori somme che aveva corrisposto a suoi dipendenti in

forza di un loro inquadramento poi risultato erroneo, in difetto

della prova che esso aveva loro comunicato che tali somme

venivano pagate in via provvisoria e salvo conguaglio. (2)

Non spettano al pubblico dipendente i danni da svalutazione, e

gli interessi, sulle somme che l'ente di appartenenza abbia

illegittimamente ripetuto, e che quindi debba restituire. (3)

(1) La decisione ha considerato scusabile l'errore dell'ente pubblico

appellante, che non aveva rispettato il termine per l'appello con

decorrenza dalla notificazione della sentenza del tribunale amministra

tivo regionale presso il suo difensore costituito nel giudizio di primo

grado, perché aveva fidato sulla soluzione affermata da ad. plen. 23

marzo 1979, n. 12, Foro it., 1979, III, 307, con nota di richiami,

secondo la quale, ai fini della decorrenza del termine di appello c.d.

breve, la notificazione della sentenza appellanda doveva avvenire

presso la sede dell'ente stesso; tale decisione, che dirimeva contrasti

tra la giurisprudenza delle sezioni singole, aveva a sua volta concesso

il beneficio dell'errore scusabile all'appellante di allora, che aveva

seguito la soluzione ora prevalsa con la decisione della medesima ad.

plen. 5 aprile 1984, n. 8, id., 1984, III, 294, con nota di richiami:

agli enti pubblici la sentenza di primo grado va notificata presso il

difensore. Nello stesso senso, sempre in relazione alla notificazione

della sentenza appellanda ad ente pubblico, v., successivamente,

sez. V 18 ottobre 1984, n. 761, Cons. Stato, 1984, I, 1224; e ancora

ad. plen. 28 novembre 1984, n. 20, Foro it., 1985, III, 92, con nota di

richiami.

Anzi, tale principio è diventato di generale applicazione, quale che

sia la parte alla quale la sentenza del tribunale amministrativo

regionale deve essere notificata: per la parte privata, cosf, infatti, ad.

plen. 19 giugno 1984, n. 13, id., 1984, III, 371, con nota di richiami;

e, nel senso che la notificazione di tale sentenza va fatta all'ammini

strazione dello Stato, o comunque difesa dall'avvocatura dello Stato,

presso quest'ultima, ad. plen. 7 dicembre 1979, n. 31, id., 1980, III,

166, con nota di richiami.

(2,4,6) La ricca giurisprudenza amministrativa sui presupposti di

legittimità della ripetizione da parte dell'amministrazione di somme che

abbia indebitamente corrisposto a suoi dipendenti, in linea di

principio esclude la ripetibilità di quanto percetto in buona fede: v. il

quadro dei vari filoni giurisprudenziali nella nota di Frumento a T.A.R. Veneto 23 maggio 1980, n. 452, Foro it., 1981, III, 545, che

però aveva ammesso la recuperabilità da parte dell'amministrazione di

quanto avrebbe dovuto trattenere a titolo di ritenuta d'acconto, a suo

tempo non operata, malgrado la percezione in buona fede dell'intera retribuzione.

Anche nella giurisprudenza successiva, è assolutamente prevalente l'orientamento secondo il quale la percezione in buona fede da parte del pubblico dipendente di quanto indebitamente corrisposto dall'am ministrazione, ne esclude la ripetibilità da parte di questa (varie pronunce, poi, sottolineano che il principio vale specie quando sia stata l'amministrazione stessa, col suo comportamento e col ritardo col

quale ha corretto il suo errore e abbia intrapreso la ripetizione: Cons.

Stato, sez. VI, 25 agosto 1984, n. 497, Cons. Stato, 1984, I, 1049, parla a questo proposito di « autoresponsabilità » dell'amministrazione, in un caso di somme corrisposte in base ad un inquadramento poi annullato, e cioè analogo a quello ora deciso dalla medesima sez. VI con la decisione n. 6/85): in questo senso, T.A.R. Lombardia 18 febbraio e 4 marzo 1981, nn. 187 e 271, Foro it., Rep. 1981, voce Impiegato dello Stato, nn. 690, 684; Cons. Stato, sez. IV, 9, 16 e 23 giugno 1981, nn. 467, 472 e 506, ibid., nn. 687-689; 1° dicembre 1981, n. 938 e 18 giugno 1982, n. 346, id., Rep. 1982, voce cit., nn.

Il Foro Italiano — 1985.

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