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adunanza plenaria; decisione 8 gennaio 1986, n. 1; Pres. Pescatore, Est. Lignani; Lupi (Avv....

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adunanza plenaria; decisione 8 gennaio 1986, n. 1; Pres. Pescatore, Est. Lignani; Lupi (Avv. Morbidelli, Lombardi, Gonnelli) c. Comune di S. Croce sull'Arno (Avv. Colzi). Conferma T.A.R. Toscana 18 ottobre 1982, n. 340 Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 3 (MARZO 1986), pp. 97/98-109/110 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23180267 . Accessed: 28/06/2014 08:50 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 141.101.201.189 on Sat, 28 Jun 2014 08:50:31 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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adunanza plenaria; decisione 8 gennaio 1986, n. 1; Pres. Pescatore, Est. Lignani; Lupi (Avv.Morbidelli, Lombardi, Gonnelli) c. Comune di S. Croce sull'Arno (Avv. Colzi). Conferma T.A.R.Toscana 18 ottobre 1982, n. 340Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 3 (MARZO 1986), pp. 97/98-109/110Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23180267 .

Accessed: 28/06/2014 08:50

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

I

CONSIGLIO DI STATO; 1QQA « 1. Dvqo 1

CONSIGLIO DI STATO; adunanza plenaria; decisione 8 gen naio 1986, n. 1; Pres. Pescatore, Est. Lignani; Lupi (Aw.

Morbidelli, Lombardi, Gonnelli) c. Comune di S. Croce

sull'Arno (Aw. Colzi). Conferma T.A.R. Toscana 18 ottobre

1982, n. 340.

Giustizia amministrativa — Concessione di costruzione — Dinie

go — Annullamento — Rinnovazione del diniego in base a

nuovo strumento urbanistico — Legittimità.

Dopo l'annullamento in sede giurisdizionale del diniego di

concessione di costruzione, è legittimo il nuovo diniego che

l'amministrazione abbia opposto all'istanza del ricorrente vinci

tore, in base al nuovo piano regolatore, se questo sia stato

adottato e approvato prima della notificazione della decisione

di annullamento. (1)

II

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA BA

SILICATA; sentenza 24 maggio 1985, n. 100; Pres. Delfino,

Est. Patroni Griffi; Natale (Avv. Filomeno) c. Comune di

Lavello.

Giustizia amministrativa — Giudicato — Esecuzione — Atto del

commissario « ad acta » — Impugnazione — Ricorso ordinario — Inammissibilità — Convertibilità.

Giustizia amministrativa — Concessione di costruzione — Diniego — Annullamento — Rinnovazione del diniego in base a nuovo

strumento urbanistico — Legittimità — Fattispecie.

È inammissibile il ricorso contro l'atto emesso dal commissario

nominato per l'esecuzione di un giudicato, che sia stato propo sto nelle forme del giudizio ordinario, anziché in quelle del

giudizio di ottemperanza. (2) Il ricorso contro l'atto del commissario nominato per l'esecuzione

di un giudicato, che sia stato inammissibilmente proposto nelle

forme del giudizio ordinario, può essere convertito in ricorso

per l'ottemperanza. (3)

Dopo l'annullamento in sede giurisdizionale del diniego di

concessione di costruzione, è legittimo il nuovo diniego formu lato dal commissario nominato per l'esecuzione del giudicato, in base ad una variante del piano regolatore entrata in vigore

prima della notificazione all'amministrazione della decisione da

eseguire, anche se successivamente pure tale variante sia stata

annullata dal giudice amministrativo. (4)

(1, 4) La prima decisione del 1986 dell'adunanza plenaria del Con

siglio di Stato, risolvendo la questione che le era stata deferita da sez.

V, ord. .11 febbraio 1985, n. 94, Cons. Stato, 1985, I, 182, circa la normativa applicabile dall'amministrazione nel riesame della domanda di concessione di costruzione dopo l'annullamento giurisdizionale di un precedente diniego di rilascio della concessione stessa, se quella vigente al momento della presentazione di tale domanda, oppure se quella successivamente intervenuta fino alla notificazione della pronuncia di

annullamento, preferisce questa seconda alternativa, come sostenuto dalla giurisprudenza di gran lunga prevalente: sez. V 23 febbraio

1985, n. Ill, ibid., 191; sez. IV 21 febbraio 1984, n. 94, Foro it., Rep. 1984, voce Giustizia amministrativa, n. 694; sez. IV 6 giugno 1983, n. 399, id., Rep. 1983, voce cit., n. 771; sez. V 11 dicembre 1981, n. 685, id., Rep. 1982, voce cit., n. 793 (che ha anche affermato, ibid., n. 804, la manifesta infondatezza della questione di costituziona lità del principio, per pretesa violazione delle garanzie costituzionali di azionabilità delle pretese e di imparzialità dell'amministrazione, in riferimento agli art. 24, 97, 103 e 113 Cost., e pure di uguaglianza, in relazione alla diversa durata dei processi); sez. V 6 novembre 1981, n. 537, ibid., n. 807; Cons, giust. amm. sic. 3 giugno 1981, n. 29, id., Rep. 1981, voce cit., n. 841; Cons. Stato, sez. V, 13 ottobre 1980, n. 900, ibid., n. 843; 16 maggio 1980, n. 507, id., Rep. 1980, voce cit., n. 950; T.A.R. Piemonte 23 gennaio 1980, n. 31, ibid., nn. 949, 951; Cons. Stato, sez. V, 26 maggio e 2 giugno 1978, nn. 618 e 645, id., Rep. 1978, voce cit., nn. 1098, 1097; Cons, giust. amm. sic. 30 novembre 1977, n. 157, ibid., n. 1092; v., ulteriormente, la giurispru denza maggioritaria nello stesso senso, richiamata in nota a T.A.R. Sardegna 17 maggio 1977, n. 223, id., 1978, III, 438, che, peraltro, è una delle rare pronunce in senso opposto. Inoltre, cfr. anche le pronunce che, più genericamente, affermano che l'amministrazione deve eseguire il giudicato in relazione alla situazione normativa esistente alla data di notificazione della decisione alla quale deve ottemperare: Cons, giust. amm. sic. 29 marzo 1985, n. 47, Cons. Stato, 1985, I, 359; T.A.R. Toscana 9 luglio 1983, n. 638, Foro it., Rep. 1984, voce cit., n. 693; Cons. Stato, sez. V, 23 aprile 1982, n. 304, id., Rep. 1982, voce cit., n. 794; sez. IV 23 novembre 1979, n. 1065, id., Rep. 1980, voce cit., n. 936; si è accostato al medesimo orientamento anche T.A.R. Veneto 14 dicembre 1978, n. 1072, id., Rep. 1979, voce cit., n.

Il Foro Italiano — 1986 — Parte III- 7.

I

Diritto. — 1. - Come risulta dalla esposizione dei fatti, il sig. Lupi intende realizzare un fabbricato di civile abitazione nel comune di S. Croce sull'Arno, ed ha chiesto la relativa autorizza zione nel 1974; un primo diniego della licenza è stato annullato dal tribunale amministrativo regionale, con sentenza pronunciata e passata in giudicato nel 1978, ma la domanda è stata nuova mente respinta dal sindaco con riferimento al nuovo piano regolatore generale, adottato nel 1976 e approvato nel 1977, e,

938, che ha affermato che il principio cosi accolto non impedisce l'esecuzione della sentenza con la quale era stato annullato un diniego di licenza edilizia, in base ad una normativa nel frattempo sopravve nuta, perché in realtà la licenza stessa doveva ritenersi già rilasciata dal sindaco, mediante la sua precedente comunicazione all'istante del parere favorevole che in merito aveva formulato la commissione edilizia.

Nell'opposto senso più garantistico, secondo il quale la presentazione della domanda di concessione congela la situazione normativa alla stregua della quale l'amministrazione la deve riesaminare, dopo l'annul lamento giurisdizionale del diniego inizialmente da essa formulato, v. la già citata sentenza del T.A.R. Sardegna n. 223/77, e le rare altre pronunce analoghe richiamate nella relativa nota; successivamente, nel medesimo senso, T.A.R. Sicilia, sede Catania, 5 aprile 1982, n. 339, id., Rep. 1982, voce cit., n. 806.

La giurisprudenza prevalente, peraltro, se ammette che l'amministra zione possa applicare la normativa sopravvenuta fino alla notificazione della decisione di annullamento del diniego di concessione di costru zione, attribuisce a tale data anche un valore per altro verso garantistico per l'istante: nel senso che afferma la irrilevanza delle ulteriori sopravvenienze normative, con un temperamento che la deci sione dell'adunanza plenaria ora riportata conferma: Cons. Stato, sez. V, 12 ottobre 1984, n. 735, id., Rep. 1984, voce cit., n. 698; Cons, giust. amm. sic. 10 marzo 1983, n. 39, id., Rep. 1983, voce cit., n. 753; Cons. Stato, sez. V, 22 dicembre 1982, n. 902, ibid., n. 773 (che ha anche affermato la illegittimità, per violazione del giudicato, delle determinazioni con le quali, dopo la notificazione della decisione di annullamento del diniego di concessione, il comune introduce una variante contenente una destinazione meno favorevole per il richieden te dell'area interessata: la pronuncia deve essere messa a confronto col passo della decisione dell'adunanza plenaria ora riportata, nel quale si ammette come realistica l'eventualità che l'amministrazione muti lo strumento urbanistico al solo scopo di «... coonestare, a posteriori, un diniego originariamente illegittimo », ma rileva che l'unica difesa che l'interessato può esprimere in tale caso è il ricorso per eccesso di potere); sez. V 10 giugno 1982, n. 515, id., Rep. 1982, voce cit., n. 809; T.A.R. Piemonte 11 ottobre 1977, n. 485, id., Rep. 1978, voce cit., n. 1095, ecc. (però il richiedente la concessione di costruzio ne può beneficiare dei mutamenti normativi successivi alla notificazione della decisione di annullamento dell'iniziale diniego, se essi sono per lui più favorevoli: sez. V 14 ottobre 1982, n. 733, id., Rep. 1983, voce cit., n. 776, e 20 aprile 1979, n. 200, id., Rep. 1979, voce cit., n. 940). Il principio è di particolare rilievo nel caso, tutt'altro che raro, che l'amministrazione si ostini a replicare i dinieghi, dopo le decisioni di annullamento che il giudice amministrativo via via pronunci, in una serie teoricamente infinita: in questa ipotesi, la giurisprudenza tiene ferma la normativa vigente al momento della notifica della prima decisione di annullamento: sez. V 21 dicembre 1983, n. 780, id., Rep. 1984, voce cit., n. 683; T.A.R. Lazio, sez. II, 22 novembre 1982, n. 932, id., Rep. 1983, voce cit., n. 775 e 21 ottobre 1981, n. 986, id., Rep. 1982, voce cit., n. 810; Cons. Stato, sez. V, 23 maggio 1980, n. 545, id., Rep. 1980, voce cit., n. 938; T.A.R. Toscana 20 dicembre 1978, n. 727, id., Rep. 1979, voce cit., n. 931 (peraltro in relazione al caso di reiterati dinieghi di una autorizzazione al commercio); Cons. Stato, sez. V, 4 novembre 1977, n. 968, id., Rep. 1978, voce cit., n. 1096; T.A.R. Umbria 13 marzo 1979, n. 74, id., 1981, III, 257, con nota di richiami, ha deciso un caso di reiterati dinieghi di licenza edilizia in sanatoria, basati volta a volta su motivi diversi, facendo leva sul vincolo assoluto che era disceso per l'amministrazione dalla onnicomprensiva formulazione di uno dei giudicati (in una ipotesi del genere, di reiterate decisioni favorevoli al ricorrente, seguite da reiterati provvedimenti a questo sfavorevoli, ma nella diversa materia del pubblico impiego, Cons. Stato, sez. IV, 1° dicembre 1981, n. 945, id., Rep. 1982, voce cit., n. 811, nell'eventualità che tale comportamen to dell'amministrazione possa comportare un danno, ha disposto la trasmissione degli atti alla procura generale della Corte dei conti per i provvedimenti di sua competenza).

Anche la sentenza del T.A.R. Basilicata, che viene qui parimenti riportata, accoglie il principio affermato dalla decisione dell'adunanza plenaria, della legittimità di un nuovo diniego di concessione di costruzione sulla base di una variante o comunque di una modificazio ne dello strumento urbanistico intervenuta prima della notificazione della pronuncia di annullamento del diniego originario. Ma è relativa ad un caso reso più complicato almeno da due fattori. Anzitutto, il secondo diniego della concessione è stato formulato non dall'ammini strazione, in ipotesi inottemperante al giudicato, ma proprio dal commissario nominato per la sua esecuzione. Inoltre, e soprattutto, la

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PARTE TERZA

dunque, entrato in vigore in pendenza del giudizio sul primo

diniego. Il presente giudizio ha per oggetto la legittimità del secondo

diniego. Il ricorrente non sembra contestare la corrispondenza dell'atto impugnato al nuovo piano regolatore generale; né sem bra contestare la legittimità del piano stesso (che, comunque, non

risulta aver impugnato nei termini). Egli sostiene invece, che nell'esame della domanda, il sindaco avrebbe dovuto prescindere

variante nel frattempo intervenuta che aveva giustificato tale reiterato

diniego, era stata poi annullata a sua volta dal giudice amministrativo: la sentenza ha affermato la irrilevanza di questo annullamento, oltre

che per la separatezza dei due procedimenti, per una serie di motivi

legati alla tematica affrontata dai filoni giurisprudenziali da ultimo

richiamati: essa ha aderito all'orientamento secondo il quale la

notificazione della decisione di annullamento del diniego rende la

disciplina che l'amministrazione deve applicare nel riesame della

domanda insensibile alle ulteriori sue modificazioni; non si oppone, sia

pure dubitativamente, all'eccezione prima riferita a questa tesi, per le

sopravvenienze che siano favorevoli all'istante; ma precisa il limite

temporale entro il quale queste devono intervenire: l'emanazione del

provvedimento in esecuzione del giudicato. In dottrina, v. gli atti del convegno su L'ottemperanza al giudicato

amministrativo in materia urbanistica di fronte al sopravvenire di una

nuova disciplina, Palermo, 1982.

Sul problema della (ir)rilevanza dell'entrata in vigore di norme

legislative di interpretazione autentica, sul giudicato precedentemente

formatosi, che aveva diversamente interpretato la disciplina vigente, Cons, giust. amm. sic. 25 febbraio 1981, n. 1, Foro it., 1982, III, 296,

con nota di richiami, e 11 ottobre 1978, n. 202, id., 1979, III, 334, con nota di richiami, ambedue relative ad una controversia di impiego con ente della regione Sicilia. Cfr. anche T.A.R. Lazio, sez. Ili, 18

settembre 1978, n. 693, ibid., 685, con nota di richiami, in

materia di agevolazioni creditizie per l'industrializzazione nel mezzo

giorno. Sulle interferenze tra legislazione sopravvenuta e potere giudizia

rio, v. la nota di A. Lener a Trib. Roma 7 ottobre 1981, id., 1981,1, 3002.

La decisione dell'adunanza plenaria, in conclusione, sul delicato

problema della rilevanza delle modificazioni della normativa urbanisti

ca sopravvenute al diniego di concessione di costruzione poi annullato

giurisdizionalmente, al fine del susseguente riesame della domanda

originaria, conferma quell'orientamento che in giurisprudenza aveva già

larghissimamente prevalso. Ma sarebbe riduttivo limitare la sua impor

tanza a tale conferma: perché fonda la soluzione adottata con una

ricchezza di persuasive argomentazioni che non trovano riscontro in

quella giurisprudenza; la armonizza con le soluzioni che all'analogo

problema sono date in diverse materie; e la sviluppa coerentemente

fino ad ulteriori conseguenze.

Cosi, ricostruisce il significato che deve essere dato alla disciplina

della domanda di autorizzazione o di concessione di costruzione in

sanatoria delineata dall'art. 13 1. 28 febbraio 1985 n. 47 (norme in

materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero

e sanatoria delle opere edilizie) per escluderne l'incidenza sul problema

affrontato, anticipando, in questo modo, la giurisprudenza di applica

zione di essa da parte degli stessi tribunali amministrativi regionali, e

con ampie considerazioni che da tale giurisprudenza dovranno essere

tenute presenti. Richiama altri tipi di normative diverse da quella

urbanistica in senso stretto, la cui sopravvenienza successiva alla

domanda di concessione deve essere valutata nel provvedere su questa. Sottolinea che il sindaco, provvedendo su questa domanda stessa,

applica normative poste in essere da autorità diverse, normalmente non

legittimate ad intervenire nel giudizio sul diniego di concessione, e le

cui determinazioni, anche se sopravvenute, non potrebbero, perciò, essere da esso disapplicate. Distingue, dall'ipotesi specificamente consi

derata dell'annullamento di un diniego di concessione, altri casi di

annullamento, nei quali a questo si riconosce un effetto retroattivo, anche ai fini di rendere non applicabile una normativa sopravvenuta, in sede di adozione da parte dell'amministrazione dei conseguenti

provvedimenti positivi; in particolare, in caso dell'annullamento del

diniego di una autorizzazione al commercio, in relazione al quale,

peraltro, la giurisprudenza è orientata nello stesso analogo senso della

rilevanza dei sopravvenuti piani per il commercio: T.A.R. Campania 12 aprile 1978, n. 378, id., 1978, III, 480, con nota di richiami di

precedenti conformi, ai quali adde, successivamente, in senso analogo, Cons. Stato, sez. V, 22 giugno 1979, n. 336, id., Rep. 1979, voce cit., n. 929; comunque, la decisione ora riportata rileva con convincenti notazioni la minore sistematicità, dettagli ed efficacia confermativa del

piano per il commercio rispetto al piano regolatore, e i minori effetti

devastanti che può avere una licenza di commercio in soprannumero rispetto al primo, nei confronti di quelle di una concessione di

costruzione in contrasto rispetto al secondo.

Significative anche le considerazioni contenute nell'ultima parte della

motivazione, in ordine ai due temperamenti che l'adunanza plenaria prospetta, nei confronti del rigore della soluzione della applicabilità in sede di riesame della originaria domanda di concessione di costruzione, della normativa sopravvenuta fino alla notificazione della pronuncia di annullamento dell'iniziale diniego. Il primo è quello che, come si è

visto, è già consolidato in giurisprudenza: tale notifica costituisce anche il momento oltre il quale rimane irrilevante la normativa che

Il Foro Italiano — 1986.

dal nuovo piano regolatore per riferirsi unicamente alla disciplina urbanistica vigente al momento in cui era stato presentato il

progetto, o, comunque, al momento in cui era stato pronunciato il primo, illegittimo diniego. Il ricorrente solleva, in tal modo, una questione di massima: quella dell'individuazione della disci

plina urbanistica da applicare in occasione dell'esame di un

progetto edilizio, conseguente ad una sentenza di annullamento del diniego della concessione (od autorizzazione) ovvero di decla ratoria dell'illegittimità del silenzio-rifiuto.

eventualmente ulteriormente sopravvenisse; la decisione conferma quel la giurisprudenza; ma essa, che poche pagine prima aveva convincen temente esposto le ragioni per le quali la concessione di costruzione non può essere comunque in contrasto con la normativa vigente al momento del suo rilascio, in qualunque momento fosse stata emanata, doveva darsi carico di spiegare tale irrilevanza: e tenta di farlo, distinguendo il ruolo del sindaco come capo e legale rappresentante dell'amministrazione comunale titolare del potere di iniziativa in materia di pianificazione urbanistica, dal ruolo del sindaco come

organo competente a provvedere sulle domande di concessione; in tal modo, però, si viene ad ammettere che l'esigenza garantistica del privato, la quale non può prevalere sull'esigenza del rispetto delle nuove scelte urbanistiche quanto meno adottate dal comune, possa sacrificare l'esigenza del soddisfacimento degli interessi pubblici la cui emersione, o la cui percezione, avrebbe spinto il comune a intrapren dere almeno una variante. Il secondo è delineato, viceversa, in modo del tutto originale: l'amministrazione competente per la pianificazione del territorio, che ha disposto quella modificazione ostativa all'accogli mento della originaria sentenza, dovrebbe valutare se davvero siano inderogabili quelle esigenze pubbliche per le quali ha operato tali modificazioni: l'adunanza plenaria utilizza qui quella figura dell'interesse c.d. pretensivo, che già aveva accolto nei confronti del potere di pianificazione territoriale, con decisione 2 aprile 1984, n. 7, id., 1984, III, 229, con nota di richiami, nell'ipotesi in cui il comune rimanga inerte nella determinazione della destinazione di un'area divenuta « non pianificata », in seguito alla scadenza della eflìcacia quinquennale di un vincolo di inedificabilità; di fronte alla pretesa dell'istante la concessione di costruzione, ricorrente vittorioso contro un primo diniego di essa, l'amministrazione, parrebbe, potrebbe mantenere ferma la nuova normativa che osterebbe all'accoglimento della domanda, solo indicando le ragioni che si oppongono alla sua modificazio ne; in questa logica della prevalenza dell'interesse pubblico all'aggiorna mento della pianificazione del territorio, sull'interesse privato al manteni mento di precedenti- scelte urbanistiche non sfruttate per l'illegittimo diniego opposto dal comune ad una legittima domanda, può darsi che l'obbligo di motivazione possa servire a sciogliere anche il nodo intravisto in precedenza, a proposito del primo temperamento.

(2) La duplicità del ruolo del commissario ad acta nominato dal

giudice amministrativo per l'esecuzione di un giudicato era stata rilevata da Cons, giust. amm. sic. 25 febbraio 1981, n. 1, Foro it., 1982, III, 296, con nota di richiami, dove si legge (col. 304), che esso «... è un ausiliare del giudice stesso, pur non essendo suo organo in senso tecnico ... ed è altresì organo straordinario dell'amministrazione in quanto inserito coattivamente nella struttura organizzativa di que sta... ». Ed è stata poi ulteriormente sottolineata dal medesimo

consiglio, con la successiva decisione 31 maggio 1984, n. 61, id., 1985, III, 100, con osservazioni di A. Romano, che vi ha ricollegato la duplicità di vizi dai quali può essere inficiato il provvedimento emesso dall'amministrazione, per violazione del giudicato, oppure per illegitti mità con questo non connesse, e, quindi, la duplicità di rimedi esperibili contro questo provvedimento: il ricorso per l'ottempe ranza nel primo caso, è il ricorso ordinario nel secondo (v., ibid., richiami di precedenti della ormai lunga vicenda giurisprudenziale, a cominciare dalla fondamentale decisione dell'adunanza plenaria 14 luglio 1978, n. 23, id., 1978, III, 449, con nota di richiami).

A questo orientamento, favorevole a percepire le distinzioni accenna

te, possono essere ascritte anche: Cons. Stato, sez. V, 11 luglio 1985, n. 259, Cons. Stato, 1985, I, 720, che ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto per l'ottemperanza al giudicato, invece che nelle forme ordinarie, dall'amministrazione comunale inottemperante, contro il provvedimento di esecuzione emesso dal commissario ad acta, perché i motivi dedotti contro tale provvedimento non consistevano nella indicazione di contrasti col giudicato, ma riguardavano altre illegittimi tà; e T.A.R. Campania, sez. I, 5 febbraio 1985, n. 60, Trib. amm.

reg., 1985, I, 1381, che in un caso analogo si è pronunciato nel medesimo senso, ma con una ben più accentuata insistenza sulla

duplicità di ruolo del commissario ad acta, delineata dal Consiglio di

giustizia amministrativa per la regione siciliana come organo del

giudice amministrativo oppure come organo dell'amministrazione inot

temperante, qui ricollegata ai limiti del vincolo scaturente dal giudica to: il commissario, se si presenta nella sua prima veste finché

esegue quanto disposto dalla sentenza (nel caso, provvede sulla domanda di licenza edilizia, in ordine alla quale il comune aveva opposto un silenzio-rifiuto dichiarato giurisdizionalmente illegittimo), assume il secondo ruolo quando adotta quelle scelte dal giudicato non vincolate (nel caso, determina il contenuto del provvedimento su quella domanda).

Ma da questo orientamento prende motivatamente le distanze la

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

È per la risoluzione di tale questione che il ricorso è stato deferito a quest'adunanza plenaria; e, com'è osservato e dimostra to nell'ordinanza di rinvio, si tratta di una questione presa in esame ripetutamente dalla giurisprudenza e dalla dottrina, con esiti non univoci.

2. - L'ampiezza e la profondità del dibattito dottrinale e

giurisprudenziale, sviluppatosi intorno alla suddetta questione, te stimoniano dell'importanza degli interessi in gioco, ma soprattutto rispecchiano la circostanza che ad affrontarsi sono, in realtà, non tanto interessi, quanto principi di ordine etico-sociale oltre che

giuridico. Dover decidere sulla questione proposta equivale a dover individuare il punto di giusto equilibrio tra due principi di

ugual valore che si presentano, almeno in apparenza, contrapposti. Da un lato, si invoca il principio della effettività della tutela

giurisdizionale, del quale si ritiene essere una componente essen ziale la regola socondo cui gli effetti della sentenza di accogli mento prendono data dalla proposizione della domanda, affinché la durata del processo non si risolva in sacrificio della posizione sostanziale del ricorrente.

D'altro lato, si sottolinea piuttosto il principio della preminenza dell'interesse pubblico (legalmente accertato) sugli interessi privati pur meritevoli di tutela; e lo si pone in relazione al permanere della potestà normativa e di quella pianificatoria, il cui esercizio non può essere ostacolato, sia pure con riferimento a singoli immoibili, dalla pendenza di un giudizio.

3. - Come osservato anche nell'ordinanza di rimessione a

quest'adunanza plenaria, la giurisprudenza del consiglio è di gran lunga prevalente nel senso che le modificazioni dei piani urbani

stici, sopravvenute in corso di giudizio, non possono essere

ignorate nel momento in cui, concluso il giudizio stesso, l'autorità competente deve riprendere in esame la domanda di

concessione (o deve prenderla in esame per la prima volta, se si

tratta di ricorso contro il silenzio-rifiuto). Se vi è diversità di soluzioni nella giurisprudenza, essa riguarda semmai un problema diverso, che è quello della rilevanza della notifica della decisione

di accoglimento del ricorso; mentre l'unica pronuncia recente, riconducibile all'indirizzo contrario (sez. V 23 maggio 1984, n.

393, Foro it., Rep. 1984, voce Edilizia e urbanistica, n. 446), concerne una fattispecie del tutto particolare: in quell'occasione, infatti, lo ius superveniens ritenuto inapplicabile in sede di riesame della domanda non consisteva in un nuovo atto di

pianificazione territoriale, bensì' in una norma legislativa che, senza incidere sull'edificabilità o meno di aree determinate, intro duce criteri limitativi alle possibilità di rilasciare nuove licenze a chi sia già proprietario di altri fabbricati (1. prov. Bolzano 24

novembre 1980 n. 34). L'orientamento prevalente, inoltre, appare non solo maggiorita

rio in termini di frequenza delle decisioni, ma anche degno di considerazione per l'ampiezza e la profondità della motivazione di talune delle pronunce che ad esso si riconducono.

4. - Ci si deve chiedere, a questo punto, se il richiamo alla

giurisprudenza anteriore non debba considerarsi superato, per sopravvenute modificazioni del quadro normativo. L'attuale appel lante invoca, a questo proposito, l'art. 13 1. 28 febbraio 1985 n.

47, il quale tratta delle concessioni ed autorizzazioni edilizie « in sanatoria », vale a dire quelle relative ad opere eseguite irrego larmente siccome mancanti dell'apposito provvedimento concesso

sentenza ora riportata, che, in particolare, polemizza con la decisione n. 61/84 del Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana. Successivamente, v. la decisione 29 aprile 1985, n. 654, Cons. Stato, 1985, I, 466, con la quale questo consiglio sembra aver ripudiato le sue precedenti distinzioni; e la decisione 24 gennaio 1985, n. 25, ibid., 16, con la quale la sezione IV del Consiglio di Stato ha affermato che il commissario ad acta è organo del giudice amministra tivo dell'ottemperanza, e non dell'amministrazione inottemperante, in un caso nel quale questa non aveva corrisposto al pubblico dipendente la rivalutazione del suo credito, e i relativi interessi, al cui pagamento l'amministrazione era stata viceversa condannata, dalla sentenza da

eseguire. (3) Nello stesso senso, Cons, giust. amm. sic. 21 dicembre 1982, n.

92, Foro it., Rep. 1983, voce Giustizia amministrativa, n. 804. La decisione, che ha subordinato la conversione del ricorso ordinario

in ricorso per l'ottemperanza al giudicato alla sussistenza nel primo del contenuto concreto e dei requisiti procedimentali necessari per il secondo, non contraddice la precedente pronuncia della sez. IV del Consiglio di Stato, 8 aprile 1975, n. 404, id., 1975, III, 304, con nota di richiami (ma il punto non è massimato), che ha escluso tale conversione nel caso, perché il ricorso ordinario non aveva i requisiti di ammissibilità necessari per E ricorso per l'ottemperanza, e non era stato preceduto dalla messa in mora prevista dall'art. 90 del regola mento per la procedura dinanzi al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, approvato con r.d. 17 agosto 1907 n. 642.

Il Foro Italiano — 1986.

rio ed autorizzativo, e difformi da esso, ma nondimeno compatibi li con gli strumenti urbanistici. La norma, in particolare, consente (o se si vuole impone) il rilascio del provvedimento « in sanato ria », « quando l'opera... è conforme agli strumenti urbanistici generali e di attuazione approvati, e non in contrasto con quelli adottati, sia al momento della realizzazione dell'opera, sia al momento della presentazione della domanda ».

Il collegio ritiene che la disposizione non sia significativa nel senso invocato dal ricorrente. Ciò che il legislatore ha voluto dire è che per la sanatoria dell'opera abusiva non è sufficiente la compatibilità con gli strumenti urbanistici approvati o adottati al tempo della realizzazione, ma occorre la compatibilità anche con la pianificazione esistente nel momento in cui la sanatoria viene richiesta. In altre parole, chi ha costruito senza concessione, ma in conformità allo strumento urbanistico vigente, non ha un'aspet tativa alla sanatoria incondizionata e illimitata nel tempo, perché detta aspettativa può venire in ogni momento travolta e posta nel nulla da una sopravvenuta diversa pianificazione, nei confronti della quale il titolare dell'opera abusiva non è protetto. In altre parole ancora, chi costruisce in quelle condizioni e persevera nell'irregolarità trascurando di chiedere la sanatoria lo fa a proprio rischio.

Questo è il senso proprio della disposizione in esame, con il suo riferimento all'evento della presentazione della domanda e al tempo in cui esso si verifica. Resta discutibile se l'art. 13 debba essere letto nel senso che, una volta presentata la domanda di sanatoria, tutte le ulteriori modificazioni degli strumenti urbanisti ci sono irrilevanti e debbono essere ignorate e disapplicate dall'autorità che su quella domanda si deve pronunciare. Tale questione non può essere risolta in questa sede, non essendo pertinente alle fattispecie; ma ai fini del presente giudizio sembra sufficiente potersi affermare che la tesi sostenuta dal ricorrente (completa irrilevanza di tutte le modificazioni sopravvenute alla domanda di sanatoria) non trova un puntuale ed esplicito suppor to nel testo dell'art. 13, il quale può essere plausibilmente interpretato anche in senso contrario.

Per altro verso, si deve dire che se anche fosse condivisibile la tesi sostenuta dal ricorrente circa l'interpretazione dell'art. 13, non vi sarebbero ragioni sufficienti per estrarre dal regime giuri dico della domanda di sanatoria una regola necessariamente applicabile anche al diverso caso di una domanda tempestivamen te presentata ma ancora in corso di esame (sia pure a motivo di indebito ritardo o illegittimo diniego) da parte della p.a. Ed invero, se tra le due situazioni vi dovesse essere necessario parallelismo di regime giuridico, le conseguenze dell'introduzione dell'art. 13 sarebbero ben più radicali e penetranti di quanto non venga prospettato, perché si dovrebbe ritenere irrilevante ogni modificazione di strumento urbanistico sopravvenuta non solo durante il giudizio di legittimità, ma anche, e semplicemente, in pendenza della domanda (tempestiva) di concessione, a prescinde re dalla proposizione di un ricorso contro il silenzio-rifiuto o contro il diniego. Non si discuterebbe, allora, intorno agli effetti del giudicato amministrativo ed all'effettività della tutela giurisdi zionale, bensì intorno agli effetti della domanda rivolta alla p.a.; problema, questo, neppure accennato dall'ordinanza di rimessione, né dalla difesa del ricorrente, che palesemente si muovono entrambe nella prospettiva del giudicato, e mostrano di dare tuttora per scontato il principio (sinora, invero, non controverso) che la semplice presentazione della domanda di concessione non è sufficiente a rendere inopponibili al richiedente le variazioni di piano sopravvenute nelle more del rilascio del provvedimento. L'abbandono di tale inveterato principio potrebbe avvenire solo mediante una apposita e chiara disposizione di legge.

Dato dunque e non concesso che l'art. 13 debba essere inter pretato nel senso di attribuire alla domanda di sanatoria l'effetto descritto, si deve dire che comunque si tratta di regola non estensibile al di fuori dell'ipotesi della sanatoria. Questa è caratterizzata, invero, dalla materiale esistenza dell'opera ammessa a sanatoria; opera bensì abusiva da un punto di vista formale ma corrispondente nella sostanza agli strumenti urbanistici succedutisi sino alla presentazione della domanda ed alla quale pertanto non senza giustificazione il legislatore del 1985 può essere stato indotto ad applicare il detto factum infectum fieri nequit, a condizione che la sanatoria sia stata richiesta.

Si può dunque concludere, sul punto, che l'art. 13 1. 28 febbraio 1985 n. 47, non rileva ai fini della questione sottoposta all'adunanza plenaria.

5. - Riprendendo, ora, in esame, la questione, secondo la sollecitazione dell'ordinanza di rinvio, il collegio ritiene opportu no ricordare che riguardo a tutti i riferimenti normativi diversi

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PARTE TERZA

dalla disciplina urbanistica in senso stretto appare pacificamente accolto il principio che le disposizioni sopravvenute dopo la

richiesta di concessione non possono essere ignorate né eluse nel

momento in cui l'autorità si accinge a provvedere in concreto.

Ciò si dice, ad esempio, delle prescrizioni sanitarie, di quelle antisismiche, dei vincoli a tutela delle bellezze naturali o dei beni

d'interesse storico o artistico, e via dicendo. In tutti questi casi

non pare dubbio che si debba tener conto della disciplina

sopravvenuta, ancorché il ritardo nell'esame del progetto possa essere stato illegittimo, e tale anzi sia stato dichiarato dal giudice amministrativo. Analogamente non sembra che si possa dubitare

dell'efficacia dei vincoli che conseguono ex lege alla sopravvenuta realizzazione di determinate opere (fasce di rispetto stradale,

autostradale, ferroviario, aeroportuale, cimiteriale, ecc.) o di quelli che derivano dall'ampliamento delle zone di rispetto relative ad

opere preesistenti.

È da notare che in molte delle situazioni appena esemplificate, le restrizioni e i vincoli sopravvenuti (e comunemente ritenuti

applicabili) conseguono frequentemente, in modo diretto o indi

retto, a scelte amministrative discrezionali; tuttavia, poiché tali

determinazioni discrezionali sono espresse da autorità diverse

(almeno ordinariamente) da quella competente a controllare l'atti

vità edilizia, si ritiene giustamente che per quest'ultima autorità

le determinazioni delle prime costituiscano un dato di fatto da

cui non si può prescindere, quale che sia l'ordine cronologico in

cui si sono succedute la domanda di concessione, l'eventuale

proposizione di un ricorso giurisdizionale e le nuove disposizioni.

Da questo punto di vista, la posizione del sindaco rispetto al

piano regolatore vigente, pur non essendo interamente assimilabile

alle ipotesi ora fatte, non appare dissimile in modo rilevante. Il

sindaco ha la funzione di applicare un piano, di cui non è

l'autore; e non ha il potere di disporre degli interessi pubblici che con esso si son voluti perseguire. Il piano, infatti, non solo è

adottato dal consiglio comunale (organo diverso dal sindaco e ad

esso sovraordinato) ma è approvato, tranne che in alcune ipotesi

secondarie, da un'autorità di più ampia competenza territoriale, e

nella sua formazione s'inseriscono (con efficacia talvolta vincolan

te, e sempre in qualche misura condizionante) gli interventi di

altri organi, autorità, soggetti pubblici e privati. Questi organi,

autorità e soggetti, inoltre, non partecipano, almeno d'ordinario,

al giudizio concernente la legittimità del diniego di concessione, e

quand'anche vi partecipino, non sono ammessi (trattandosi di

giudizio sull'atto e non sul rapporto) a far valere in quella sede

gli interessi pubblici contrastanti con quello del privato e sotto

stanti alle nuove determinazioni di piano. Anche per questa via,

dunque, sembra impossibile ammettere che la sentenza di acco

glimento possa incidere su quegli interessi pubblici sino a rendere

disapplicabili le determinazioni legittimanti assunte per il loro

soddisfacimento.

6. - Non sembra pertinente, ai fini della proposta questione, il

richiamo ad altre situazioni delle quali è ammessa la c.d. retroat

tività del giudicato, meglio denominabile come retroattività del

provvedimento conseguente al giudicato.

Un esempio tipico di provvedimento retroattivo è quello della

promozione « ora per allora » dei pubblici impiegati, a seguito di

annullamento del provvedimento sfavorevole. Ma si tratta di

esempio estraneo alla problematica del conflitto tra l'interesse

privato (legittimo) e l'interesse pubblico sottostante alla normativa

sopravvenuta, in quanto la vicenda della promozione « ora per allora », quando si svolge nel quadro di una normativa sopravve

nuta, difficilmente impedisce il provvedimento ripristinatorio, al

meno fino a quando non risultino modificati gli elementi qua lificanti della disciplina. Inoltre, normalmente il fatto della pro

mozione « ora per allora » non coinvolge interessi pubblici con

fliggenti, perché essa, se si applica il c.d. « ruolo chiuso », è

compensata dall'annullamento della promozione del controinte

ressato (che, come tale, è stato contradditore in giudizio), altri

menti è disposta a « ruolo aperto » oppure « in soprannumero »,

pregiudicandosi, in entrambi i casi, soltanto gli interessi di mero

fatto degli aspiranti a successivi turni di promozione.

Altro esempio che viene portato dall'appellante è quello della

licenza di commercio rilasciata a seguito di annullamento del

diniego e del silenzio-rifiuto; in questo caso non si può parlare di •

provvedimento retroattivo (perché non si vede come possano

retroagire gli effetti di una licenza) ma, semmai, di provvedimen to emesso sulla base non della situazione di fatto e di diritto

attuale, ma di quella esistente in un momento storico dato. Non

spetta ora a questo collegio pronunciarsi circa i limiti di operati vità del riferimento alla situazione pregressa in materia di licenza

di commercio; basta soltanto osservare che la differenza tra il

Il Foro Italiano — 1986.

piano del commercio ed i piani urbanistici è tale da rendere

impossibile ogni analogia ai fini del problema qui considerato.

Il piano del commercio costituisce una programmazione mera mente quantitativa; esso stabilisce, in via generale, il numero massimo delle licenze rilasciabili, in termini di superficie globale degli esercizi distinti per settori merceologici, e, eventualmente,

per zone, ma non prescrive direttamente se un singolo, determi

nato esercizio possa o meno essere autorizzato, e tanto meno ne

prescrive la superficie e l'ubicazione. Al contrario, un piano regolatore, anche se « generale », contie

ne un insieme organico e coordinato di prescrizioni aventi per oggetto l'attività edilizia nel suo concreto espletarsi ed è proprio in ragione di questo contenuto prescrittivo (in sé o nei suoi riflessi pratici) che si afferma l'attitudine del piano regolatore a ledere posizioni soggettive immediatamente con l'inerente diritta

impugnabilità (cfr. dec. n. 1 del 1983 di quest'adunanza, id.,

1983, III, 161). Sicché l'eventuale disapplicazione del piano sopravvenuto, in parte qua, rappresenterebbe l'elusione di una volontà amministrativa, legittimamente formatasi, avente per og getto la disciplina di un'attività, valutata essenzialmente nella sua attidudine a governare interessi pubblici in un ambito assai più vasto dell'area cui si riferisce il singolo progetto edilizio: è

possibile, infatti, che la disapplicazione del nuovo piano, limitata

apparentemente ad un solo lotto, travolga un intero tracciato

viario, e renda impossibile, nella concreta situazione, il raggiungi mento degli standards; come è possibile che l'opera progettata abbia un c.d. impatto ambientale devastante e che la nuova

previsione di piano (quella che si vorrebbe disapplicare nell'ottica

dell'effettività del giudicato) sia stata meditatamente e motivata mente introdotta proprio al fine di evitare l'anzidetta conseguen za. Tutti questi possibili danni per l'interesse pubblico non sembrano minimamente paragonabili con quelli derivanti dal rilascio di una licenza di commercio in soprannumero, i cui effetti moderatamente squilibranti possono essere agevolmente compensati in sede di revisione periodica del piano del commer

cio, mentre la compromissione del territorio è tendenzialmente irreversibile.

7. - Un altro argomento, di natura prevalentemente empirica,

prospettato dall'appellante, consiste nell'osservazione che ammet

tendo l'efficacia della pianificazione urbanistica sopravvenuta in

corso di giudizio si offre all'amministrazione il destro per coone

stare, a posteriori, un diniego originariamente illegittimo, ovvero

per anticipare gli effetti prodromici di un piano in itinere oltre

quanto disposto dalla legge in tema di misure di salvaguardia. Tale argomento ha il pregio di essere realistico, ma non sembra

risolutivo, perché il pericolo di un uso distorto è immanente alla

discrezionalità amministrativa, ed il rimedio è quello del ricorso

per eccesso di potere. 8. - Nel respingere, per le suesposte ragioni, la tesi dell'appel

lante, il collegio deve farsi carico di due problemi secondari, non

strettamente attinenti alla fattispecie qui controversa, ma tuttavia

rilevanti per la completezza della trattazione.

Il primo è quello del temperamento spesso apportato dalla

giurisprudenza al principio recepito da questo collegio. Si tratta

del temperamento grazie al quale si dice che restano inopponibili all'interessato le variazioni dello strumento urbanistico sopravve nute dopo la notificazione della sentenza di accoglimento del

ricorso contro il diniego o contro il silenzio-rifiuto. Questo

temperamento può essere confermato, con la seguente precisazio ne: che la notificazione della sentenza deve intendersi fatta, non

solo e non tanto al sindaco quale titolare del potere di rilasciare

le concessioni edilizie in attuazione degli strumenti urbanistici,

quanto al sindaco anche quale capo e legale rappresentante dell'amministrazione comunale, titolare, quest'ultima, dell'iniziati

va in materia di pianificazione urbanistica. Alla notifica della

sentenza si può riconoscere, in tale ipotesi, il valore ed il

significato implicito di diffida a non operare, ove ne abbia ancora

la competenza, variazioni allo strumento urbanistico, che si riflet

tano sulla situazione cosi come definita al momento della senten

za.

9. - Il secondo problema, in ordine al quale non constano

precedenti, è quello della eventuale introduzione di un secondo

temperamento al principio restrittivo, in relazione alla possibilità di valutare discrezionalmente se il piano sopravvenuto, pur for malmente applicabile anche con effetti ostativi rispetto alla con

cessione il cui primo diniego è stato annullato, possa essere

derogato in modo da recuperare l'intervento edilizio di cui si discute.

La circostanza che a danno dell'interessato sia stata compiuta una illegittimità giudizialmente accertata e dichiarata non permet te di accettare che la di lui posizione possa essere totalmente e

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

definitivamente sacrificata anche da variazioni di piano che, pur non potendosi giudicare in sé immotivate o illegittime, non siano tuttavia sorrette da rigorose ed inderogabili necessità pubbliche.

In altre parole, nel caso di legittimità giudizialmente accertata e dichiarata si deve ritenere che emerga un limite alla discrezio nalità dell'amministrazione nella particolare forma del potere-do vere di riesame della pianificazione urbanistica. Tale potere-dove re, peraltro, non può riconoscersi al sindaco, che in sede di

applicazione del piano ha una funzione meramente esecutiva e non può sovrapporre le proprie determinazioni a quelle espresse dal piano stesso. Si deve così riconoscere, in capo al soggetto che abbia ottenuto il giudicato favorevole, un interesse pretensivo (da far valere con apposita istanza) a che l'autorità titolare del potere di pianificazione urbanistica riveda in parte qua il piano vigente al fine di valutare se ad esso possa essere apportata una deroga (in pratica, una variante) che recuperi, in tutto o in parte e

compatibilmente con l'interesse pubblico, la previsione del piano abrogato, sulla quale si fondava originariamente la domanda di concessione. Tale interesse legittimo potrà essere tutelato median te ricorso contro il silenzio-rifiuto o contro il provvedimento contrario (ad es., per difetto di motivazione: ed in questa prospettiva si deve dire che il diniego dovrà essere congruamente motivato).

L'esistenza di interessi legittimi pretensivi e non meramente

oppositivi, in materia di pianificazione urbanistica, è stata già affermata, in altra ipotesi, da quest'adunanza plenaria, con deci sione 2 aprile 1964, n. 7 (id., 1985, III, 229), riferita al reintegro del piano a seguito di decadenza di previsioni vincolistiche; e si tratta di orientamento suscettibile di ulteriori sviluppi, attesa la crescente importanza ed incisività degli atti di programmazione frutto di un'ampia discrezionalità amministrativa che non può non essere bilanciata da una correlativa estensione dell'area degli interessi legittimi.

10. - In conclusione, il ricorso del sig. Lupi deve essere

respinto. (Omissis)

II

Diritto. — 1. - Il ricorso, concernendo l'impugnativa di un prov vedimento del commissario ad acta, erroneamente è stato proposto nella forma ordinaria, anzi che in quella del giudizio di ottempe ranza.

È stato infatti adeguatamente chiarito in giurisprudenza (ad.

plen. n. 23 del 1978, Foro it., 1978, III, 449), sulla scorta di

Corte cost. n. 75 del 1977 (id., 1977, I, 1623), che il commissario

ad acta non può in alcun modo essere qualificato come organo, sia pure straordinario, dell'amministrazione, dovendo esso con

figurarsi piuttosto come un ausiliario, un collaboratore del giudi ce, con la conseguenza che l'attività da lui posta in essere è

direttamente riferibile al giudice dell'ottemperanza.

Trattasi cioè di attività che — per quanto, sotto il profilo contenutistico e sostanziale, risulti mutuata dalla funzione ammi

nistrativa di controllo sostitutorio, al pari di quella direttamente

posta in essere dal giudice dell'ottemperanza — va nondimeno

rigorosamente ricondotta all'esercizio del potere, di natura giuri sdizionale, per l'appunto del giudice dell'ottemperanza.

D all'evidenziata natura formale del soggetto che li pone in

essere discende che i provvedimenti del commissario ad acta

debbano necessariamente essere impugnati dinanzi al giudice dell'ottemperanza nelle forme proprie di questo giudizio (conf. Cons. Stato, sez. V, 27 marzo 1981, n. 97, id., Rep. 1981, voce Giustizia amministrativa, n. 876; sez. V 20 dicembre 1982, n.

860, id., Rep. 1982, voce cit., n. 208; Cons, giust. amm. sic. 21 dicembre 1982, n. 92, ibid., n. 207), dovendo essi

ritenersi sottratti al regime giuridico e, quindi, al sistema di

impugnazione proprio degli atti amministrativi.

Un recente orientamento giurisprudenziale (Cons, giust. amm.

sic. 21 maggio 1984, n. 61, id., 1985, III, 100; cfr. pure Cons.

Stato, sez. VI, 21 ottobre 1980, n. 892, id., Rep. 1981, voce cit., n.

887), dichiarando di procedere nel solco della citata giurispruden za e in funzione integratrice della stessa, ha peraltro introdotto, all'interno dell'attività commissariale, una distinzione tra atti posti in funzione strumentale di adeguamento della realtà delle statui

zioni contenute nel giudicato e atti che « non abbiano funzione

integratrice di comportamenti omissivi dell'amministrazione, ma si

pongano come espressione del potere-dovere esercitato per l'attua

zione ripristinatoria di pregresse situazioni »; con la conseguenza che tale ultima specie di atti sarebbe impugnabile con i rimedi

ordinari del giudizio di legittimità. La tesi non può essere condivisa. Essa sembra farsi carico di

Il Foro Italiano — 1986.

tematiche che senza dubbio si presentano di particolare comples sità nell'ambito del dibattito sulla natura e i presupposti del

giudizio di ottemperanza, in quanto si ricollegano al più generale problema del contenuto e della delimitazione oggettiva del giudi cato amministrativo rispetto all'ulteriore attività cui l'amministra zione è tenuta in sede di attuazione dello stesso. E il tema assume particolare complessità allorché — come nel caso di

specie — il giudizio cognitorio sia stato originato da un compor tamento dell'amministrazione di contenuto negativo, omissivo o

soprassessorio. Ma tali considerazioni, se ben possono venire in rilievo a

determinati ma diversi fini — per esempio per valutare se gli atti posti in essere dall'amministrazione, in esecuzione del giudi cato, siano impugnabili in sede ordinaria o di ottemperanza (sul che cfr., in vario senso, le adunanze plenarie nn. 27 del 1969, id., Rep. 1969, voce cit., n. 434; 2 del 1980, id., 1980, MI, 161; e, da ultimo, n. 6 del 1984, id., 1984, III, 331; Cons. Stato, sez.

IV, 6 marzo 1979 n. 170, id., Rep. 1979, voce cit., n. 953; Cons,

giust. amm. sic. 25 febbraio 1981, n. 1, id., 1982, III, 296; Cons,

stato, sez. V, 6 febbraio 1984 n. 106, id., 1984, HI, 332, e 18

giugno 1984, n. 465, id., Rep. 1984, voce cit., n. 696), ovvero per definire i limiti di appellabilità delle sentenze rese in sede di

ottemperanza (adunanze plenarie nn. 23 del 1978 e 2 del 1980

cit.) — devono invece essere ritenute non pertinenti con riferi mento all'ipotesi come quella di specie, in cui venga in contesta zione un provvedimento del commissario ad acta.

In tale caso, infatti, prevale — quanto al regime dell'impugna tiva — di dato formale della natura dell'organo, mentre non può

acquistare rilievo alcuno il contenuto e la natura dell'attività da questi posta in essere.

L'introduzione concettuale di una siffatta considerazione, infatti, si risolverebbe necessariamente nella negazione della configura zione del commissario come organo del giudice. Se l'attività del commissario è la stessa che il giudice dell'ottemperanza avrebbe

potuto porre in essere direttamente, è ovvio che essa dovrà per ciò solo — e quindi indipendentemente dal contenuto degli atti — essere controllata nella sede propria di prosecuzione di quello stesso giudizio di ottemperanza instauratosi con la nomina del commissario (direttamente o indirettamente) da parte del giudice, il quale — come acutamente rilevato in dottrina — « è custode dell'attuazione dell'ottemperanza ma non giudice della stessa »,

proprio perché il commissario è da considerarsi una sua emana zione.

In altri termini, l'attività del commissario rientra nel procedi mento giurisdizionale) per l'ottemperanza non già perché (e solo

in quanto) essa sia qualificabile di (mera) attuazione del giudica to, bensì per il fatto in sé, e di per sé sufficiente, che è posta in

essere dal commissario e non dall'amministrazione. Un diverso modo di ragionare, oltre tutto, creerebbe situazioni

particolarmente complesse, per non dire anomale, con riferimento,

per esempio, alle ipotesi in cui sia l'amministrazione a voler

impugnare l'operato del commissario (su tale possibilità esplicita mente Cons, giust. amm. sic. 21 dicembre 1982, n. 92, cit.).

Escluso infatti che il commissario possa essere destinatario di un ricorso quale organo del giudice, per ragioni di elementare

evidenza, dovrebbe nondimeno essere esclusa la configurabilità del commissario come organo straordinario dell'amministrazione

attiva che ha omesso di emanare l'atto in questione, non potendo questa indirizzare il ricorso a sé stessa.

E allora dovrebbe procedersi a una qualificazione del commis sario come organo autonomo, non si sa bene di quale ammini

strazione, ovvero come organo straordinario di controllo; ma a

tanto certo non intende pervenire lo stesso orientamento giuris prudenziale che qui non si condivide e la conclusione comunque urterebbe con la qualificazione che dell'organo in questione forniscono — come si è detto — l'adunanza plenaria e la Corte costituzionale.

Non ci si nasconde che — con riferimento a ipotesi, come

quella di specie, in cui il giudizio ordinario, da cui è stato

originato quello di ottemperanza, abbia avuto ad oggetto la

sospensione di ogni determinazione su una domanda del privato — l'attività del commissario, e quindi la valutazione della stessa in sede di ottemperanza, abbia ad oggetto un'attività di ammini strazione attiva probabilmente estranea all'originario ambito og gettivo del giudicato formatosi in sede cognitoria.

Ma anche qualora si ritenga sussistente siffatta anomalia, essa è

nel sistema ed è originata dal persistente rifiuto dell'amministra zione a porre in essere i provvedimenti che le competerebbero.

D'altra parte, una volta ammessa la possibilità di nominare il commissario perché provveda sull'istanza del privato — e negare siffatta possibilità sarebbe dire vanificare qualsiasi tutela avverso

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PARTE TERZA

gli atti di contenuto negativo — non può poi operarsi una

scissione tra il fatto in se della pronuncia da parte del commissa

rio e il contenuto della stessa, sotto il profilo che il pronunciare in sé rientri nell'esecuzione del giudicato, mentre il contenuto alla

pronuncia sarebbe esercizio di semplici poteri di amministrazione

attiva. Trattasi in ogni caso di attività che il commissario pone in

essere nell'esercizio dello stesso potere sostitutorio dell'ammini

strazione che costituisce il nucleo fondamentale del giudizio di

ottemperanza e che gli deriva dall'investitura effettuata dal giudice. 2. - Il ricorso — in quanto erroneamente proposto nella forma

ordinaria, e altresì perché, pur in tale veste, non notificato

« all'autorità che ha emanato l'atto », bensì all'amministrazione

comunale di Lavello che, nella specie, assume piuttosto la veste

di controinteressata — dovrebbe essere dichiarato inammissibile.

Senonché deve ritenersi che sia possibile la conversione dello

stesso in ricorso per l'esecuzione del giudicato, per il principio di

conservazione degli atti processuali (conf. Cons, giust. amm. sic.

21 dicembre 1982, n. 92, cit.).

Di tale principio — che si ricollega a quello più generale di

economia dei sistemi processuali — può farsi ben applicazione nella fattispecie in esame essendo la domanda comunque volta,

nel suo contenuto, a provocare l'intervento del giudice per valutare l'operato del commissario ad acta, e non ostandovi

ragioni di ordine processuale e di rito.

Se è stato ritenuto (ad. plen. n. 6 del 1982, cit.) che —

ancorché previa integrazione del contraddittorio — un ricorso per l'esecuzione del giudicato poteva esser convertito in ricorso per la

sospensione del provvedimento impostato, che va proposto nelle

forme ordinarie, a maggior ragione deve ritenersi che un ricorso

proposto in via ordinaria — in quanto tale assistito da una

disciplina normativa più completa sotto il profilo del rito e della

garanzia del contraddittorio — ben possa convertirsi in ricorso

per l'esecuzione del giudicato.

Nella fattispecie in esame, infatti, l'amministrazione ha comun

que avuto conoscenza della proposizione del ricorso, mediante la

notifica dello stesso effettuata dai ricorrenti, e la trattazione in

udienza pubblica costituisce evidentemente un quid pluris rispetto a quella in camera di consiglio; mentre i più ampi poteri

cognitori e decisori riconosciuti al giudice dell'ottemperanza non

possono far sorgere problemi circa la corrispondenza tra petitum

e possibile decisione.

3. - Venendo, per ciò, al merito, va innanzi tutto rilevato che il

diniego di concessione edilizia reso dal commissario ad acta, si

fonda sulla situazione normativa in materia urbanistica, costituita

dalla menzionata approvazione della variante al p.r.g., vigente al

momento della notificazione all'amministrazione della sentenza di

questo tribunale amministrativo n. 243 del 1977 (id., Rep. 1977,

voce Atto amministrativo, n. 102; Edilizia e urbanistica, nn. 166,

438, 442) di annullamento della misura di salvaguardia.

In ciò il commissario fa corretta applicazione di un consolidato

indirizzo giurisprudenziale (Cons. Stato, sez. V, 11 dicembre 1981,

n. 685, id., Rep. 1982, voce Giustizia amministrativa, nn. 774,

793, 804; sez. IV 15 dicembre 1981, n. 1089, ibid., voce Atto amministrativo, n. 129; T.A.R. Toscana 27 novembre 1981, n.

717; T.A.R. Liguria 17 dicembre 1981, n. 796; T.A.R. Sicilia, Cata

nia 9 maggio 1982, n. 426), da cui si discosta un'unica decisione del

Consiglio di Stato (sez. V 23 maggio 1984, n. 393, id., Rep. 1984, voce Edilizia e urbanistica, n. 446), senza peraltro dar conto alcuno

dell'operato revirement, indirizzo secondo il quale, in sede di

esecuzione del giudicato, l'amministrazione (e quindi il commissa

rio ad acta) deve attenersi alle norme vigenti al momento

della notificazione della decisione giurisdizionale di annullamento, e non a quelle dell'epoca in cui avrebbe dovuto emanare il

provvedimento. E ciò non solo per un principio generale di ordine processuale

secondo cui gli effetti retroattivi dell'annullamento giurisdizionale

devono arrestarsi di fronte al mutamento di una situazione di

fatto e di diritto determinato da una normativa sopravvenuta che

contenga una diversa valutazione degli interessi pubblici e priva

ti; ma anche — con riferimento alla materia urbanistica — al

concorrente principio generale del settore, secondo cui l'attività

edificatoria dei privati deve essere conforme non già genericamen te allo strumento urbanistico, bensì allo strumento urbanistico

vigente con una tutela limitata a ipotesi, che non ricorrono nella

specie, dell'affidamento del privato (conf. Cons. Stato, sez. V,

11 dicembre 1981, n. 685, cit.).

Avendo dunque il commissario ad acta fatto corretta applica zione degli evidenziati principi giurisprudenziali — cui il collegio aderisce — il relativo provvedimento di diniego della concessione

edilizia è da ritenere immune dalle censure denunziate dai

Il Foro Italiano — 1986.

ricorrenti nei due motivi di ricorso, tanto sotto il profilo sostan ziale quanto sotto il profilo del difetto di motivazione.

4. - Occorre peraltro verificare se, sulle conclusioni cui si è

addivenuti, possa spiegare influenza l'intervenuto annullamento —

da parte di questo tribunale con la menzionata sentenza n. 211 del 3 ottobre 1980, confermata dal Consiglio di Stato, sezione IV, con decisione 11 novembre 1984, n. 866 — della variante al

piano regolatore su cui è fondato il diniego commissariale di licenza.

In punto di fatto va evidenziato che il diniego commissariale, datato 21 giugno 1980 e notificato in pari data ai ricorrenti, è antecedente sia alla sentenza di primo grado (3 ottobre 1980) che, ovviamente, alla decisione in appello relative alla variante de

qua.

Orbene, deve, in primo luogo, rilevarsi che, nella specie, i ricorrenti non hanno svolto, nemmeno con motivi aggiunti, a

seguito delle due decisioni su menzionate, censura alcuna volta a far valere l'intervenuto annullamento della variante.

Né potrebbe invocarsi, nella specie, l'efficacia caducante che l'annullamento della presupposta variante spiegherebbe nei con fronti del diniego di concessione, in quanto l'effetto caducante dell'annullamento — in linea di principio — è da ritenere

operante con esclusivo riferimento al contesto procedimentale (nella specie, giurisdizionale) in cui l'annullamento è pronunciato; sicché l'annullamento della variante al termine del procedimento giurisdizionale conclusosi con la decisione n. 866 del 1984 del

Consiglio di Stato, avente ad oggetto la variante medesima, non può ripercuotersi automaticamente nell'ambito del processo ri guardante il diniego di concessione edilizia (per giunta nella fase di ottemperanza), provocandone l'annullamento. Tutt'al più po trebbe individuarsi un obbligo dell'amministrazione a rimuovere il detto diniego a seguito dell'andamento della variante, ma tratte rebbesi di un obbligo in ottemperanza da riferire all'esecuzione del giudicato sulla variante (dee. n. 866 del 1984 del Consiglio di

Stato) e non di quello che deriva dalla sentenza n. 243 del 1977 di questo tribunale avente ad oggetto l'obbligo della p.a. di

pronunciarsi sulla domanda di concessione edilizia.

5. - Ma anche a non voler tener conto delle descritte ragioni di

ordine processuale, l'intervenuto annullamento della variante pre supposta non può svolgere influenza alcuna nel presente giudizio anche per un altro ordine di considerazioni direttamente collegate ai limiti che il principio generale della rilevanza delle sopravve nienze in sede di esecuzione del giudicato deve necessariamente

incontrare.

È stato esattamente rilevato che il principio dell'applicazione, in sede di esecuzione del giudicato, della normativa vigente al

momento della notificazione della sentenza da eseguire all'ammi

nistrazione, se vale a far assumere rilevanza ai mutamenti della

situazione di fatto e di diritto che sopravvengano alla pronuncia della sentenza stessa, d'altra parte presenta la valenza opposta di

cristallizzare la situazione giuridica della quale la p.a. deve tener

conto, con la conseguente irrilevanza delle sopravvenienze succes

sive alla detta data di notificazione (Cons. Stato, sez. V, 10

giugno 1982, n. 515, id., Rep. 1982, voce Giustizia amministrati

va, n. 808, e 22 dicembre 1982, n. 902, id., Rep. 1983, voce

cit., n. 773; Cons, giust. amm. sic. 10 marzo 1983, n. 39, ibid., n. 752).

Orbene — anche a voler considerare che, secondo un certo orientamento (Cons. Stato, sez. V, 14 ottobre 1982, n. 733, ibid., n. 776), sarebbe sempre applicabile la sopravvenienza ulteriore

più favorevole al privato — deve ritenersi che il limite comunque invalicabile alla rilevanza dei mutamenti sopravvenuti della situa

zione giuridica in corso di esecuzione del giudicato sia costituito dall'emanazione di un provvedimento (da parte della p.a. o del

commissario ad acta), posto in essere per l'appunto in esecuzione

del detto giudicato e idoneo, in quanto tale — purché legittima mente emesso — a definire il rapporto amministrativo sottostante, concludendo cosi l'intero iter procedimentale, sia amministrativo che giurisdizionale.

6. - Tale conclusione non può venire infirmata dalla circostanza

che, nella fattispecie in esame, il mutamento sopravvenuto della

situazione giuridica sia stato determinato dall'annullamento giu risdizionale di un atto (variante al piano regolatore) su cui si fonda l'impugnato diniego di concessione edilizia.

Da siffatto annullamento giurisdizionale, infatti, può farsi deri vare soltanto una duplice alternativa conseguenza: o si può —

come già accennato — ritenere che sussista un obbligo della p.a. di rimuovere il diniego di concessione per il venir meno del

presupposto su cui esso si fonda, in ottemperanza del giudicato di annullamento di tale atto presupposto (trattasi, quindi, di

obbligo « esterno » rispetto al giudicato della cui esecuzione si

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Page 8: adunanza plenaria; decisione 8 gennaio 1986, n. 1; Pres. Pescatore, Est. Lignani; Lupi (Avv. Morbidelli, Lombardi, Gonnelli) c. Comune di S. Croce sull'Arno (Avv. Colzi). Conferma

GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

controverte nel presente giudizio); ovvero deve ritenersi — in maniera forse più lineare — che la p.a. sia oramai tenuta a rilasciare la concessione edilizia agli attuali ricorrenti in seguito alla proposizione da parte di questi di una nuova domanda in via amministrativa.

L'efficacia retroattiva dell'annullamento non può spingersi, in

vece, a tal punto da far riaprire una vicenda amministrativa e

giurisdizionale ormai definitivamente — e legittimamente — esau rita con l'emanazione del provvedimento (negativo) da parte del commissario ad acta in sede di ottemperanza al giudicato.

Diversamente opinando — non solo si delinerebbe, sotto il

profilo teorico, un effetto ripristinatorio dell'annullamento del tutto avulso dagli svolgimenti che immancabilmente si producono in forza di un provvedimento che, ancorché successivamente

annullato, ha potuto tuttavia nondimeno produrre, a certe condi

zioni, effetti giuridici ormai esauriti — ma, soprattutto, sotto il

profilo pratico, si esporrebbe la fase di esecuzione del giudicato a uno stato di indefinita incertezza temporale, senza che ciò sia

indispensabile per la tutela delle posizioni dei privati e, nella

specie, dei ricorrenti, i quali — come si è detto poco innanzi —

comunque hanno altre vie per far valere l'intervenuto annulla mento giurisdizionale della variante presupposta, al fine di conse

guire la concessione edilizia. 7. - Alla stregua delle svolte argomentazioni il proposto ricorso

in ottemperanza — in cui è stato convertito il presente ricorso,

originariamente instaurato nelle forme ordinarie — va dichiarato inammissibile. (Omissis)

CONSIGLIO DI STATO; sezione VI; decisione 5 dicembre

1985, n. 657; Pres. Buscema, Est. Noccelli; Regione Lazio

(Aw. Lagonegro, Adilardi), Soc. coop, produttori zootecnici

Frangipane (Aw. Cervati) c. Bargiacchi (Avv. Morra) ed altri.

Terre incolte — Provvedimento di assegnazione — Acquiescen za del proprietario — Impugnazione dell'affittuario — Le

gittimazione (L. 4 agosto 1978 n. 440, norme per l'utiliz zazione delle terre incolte, abbandonate o insufficientemente

coltivate, art. 6). Terre incolte — « Ius superveniens » — Applicabilità ai procedi

menti in corso (L. 4 agosto 1978 n. 440, art. 10). Terre incolte — Insufficientemente coltivato — Mancanza di

elementi di comparazione — Illegittimità (L. 4 agosto 1978 n.

440, art. 2, 3). Terre incolte — Definizione di terre « abbandonate » — Fattispe

cie (L. 4 agosto 1978 n. 440, art. 2).

Ove vi sia stata assegnazione di terre ex l. 440/78 ad una

cooperativa agricola, l'affittuario di dette terre è legittimato ad

impugnare autonomamente il provvedimento a cui il proprieta rio ha fatto acquiescenza, e non sono di ostacolo alla prosecu zione del rapporto di esso affittuario la scadenza della proroga legale e la violazione della clausola contrattuale che faceva

obbligo di coltivare intensivamente. (1) Ai procedimenti in corso per l'assegnazione di terre incolte, nei

quali alla data di entrata in vigore della l. 440/78 non sia stato emesso il parere conclusivo dell'apposita commissione provin ciale, si applica la disciplina di detta legge e non già quella di cui alla l. 199/50. (2)

È illegittimo il provvedimento di concessione di terre ex l.

440/78, ove la commissione provinciale non abbia accertato gli elementi di comparazione per « l'insufficientemente coltivato » di cui all'art. 2 di detta legge. (3)

Non vanno considerate « abbandonate », ai sensi dell'art. 2 l.

440/78, le terre che l'affittuario, pur omettendo di coltivare intensivamente in violazione di una specifica clausola contrat

tuale, abbia adibito a pascolo di bestiame bovino secondo la loro naturale vocazione. (4)

(1-4) I. - La sentenza riportata conferma T.A.R. Lazio, sez. I, 31 marzo 1982, n. 357, Foro it., Rep. 1982, voce Terre incolte, n. 5.

Nel caso di specie, non era in discussione il diritto dell'affittuario a proporre impugnazione avverso il provvedimento di assegnazione, in presenza dell'acquiescenza del proprietario, ma piuttosto se esso affittuario avesse ancora titolo alla conservazione del fondo per essere medio tempore intervenuta la scadenza della proroga legale, oltre che per effetto della violazione di una specifica clausola contrattuale (obbligo di coltivare intensivamente il fondo).

Su queste questioni pregiudiziali, la cooperativa ricorrente aveva

Il Foro Italiano — 1986.

Diritto. — I due appelli investono la stessa sentenza del T.A.R. del Lazio, sicché vanno riuniti e decisi con una unica pronuncia.

È preliminare l'esame dell'eccezione di inammissibilità e/o improcedibilità del ricorso introduttivo che la cooperativa « Fran

gipane » solleva con l'8° motivo, sub lett. a), dell'appello principa le e con il 9° motivo della «memoria aggiunta» notificata I'll

giugno 1982, confortata poi con ulteriori osservazioni esposte nella memoria conclusiva del 1° marzo 1985.

chiesto una decisione incidenter tantum e cioè al solo fine di valutare la legittimazione processuale dell'affituario.

È noto che il giudice amministrativo, fuori dei casi di giusrisdizione esclusiva, non può pronunciare in materia di diritti, ad eccezione dei casi in cui la risoluzione di questioni pregiudiziali o incidentali relativa a diritti sia necessaria per decidere la questione principale (art. 8 1. 6 dicembre 1971 n. 1034).

Va ancora ricordato che, a parte le questioni pregiudiziali sulle quali occorre, per legge, sospendere il giudizio o attendere la decisione del giudice adito (costituzionale, comunitario o penale), sono riservate al giudice ordinario le questioni inerenti alla querela di falso di un documento, quelle inerenti allo stato e alla capacità dei privati individui, salvo che si tratti della capacità di stare in giudizio.

Va altresì ricordato che il giudice amministrativo ha la facoltà e non l'obbligo di decidere la questione pregiudiziale.

Ciò premesso, nel caso di specie di cui alla riportata sentenza, per cui non constano precedenti specifici, non pare che vi fossero preclu sioni acché il giudice amministrativo risolvesse incidenter tantum le questioni pregiudiziali prospettate dalla cooperativa ricorrente.

Sta di fatto che è stata decisa negativamente la questione pregiudi ziale circa la dedotta cessazione del regime di proroga legale, sia che si trattasse di affitto a conduttore non coltivatore diretto e sia che si trattasse di affitto a coltivatore diretto.

In proposito, a fronte della generica affermazione di intervenuta cessazione del regime di proroga dei contratti agrari, e con la sola indicazione che il contratto di affitto de quo era stato stipulato nel 1965, la sentenza riportata ha escluso la cessazione dell'affitto a conduttore non coltivatore diretto per la mancata prova della disdetta da parte del proprietario (tale disdetta sia ai sensi dell'art. 1 1. 606/66 e sia ai sensi dell'art. 4 1. 203/82 va fatta per iscritto almeno dodici mesi dalla scadenza del contratto).

Per altro verso, a volere considerare il contratto de quo di affitto a coltivatore diretto, ha ritenuto la sentenza riportata che il contratto stesso doveva ritenersi prorogato sine die (v. in proposito l'art. 2 1. 203/82, che stabilisce la ulteriore durata dei contratti di affitto a coltivatore diretto in corso al momento dell'entrata in vigore di detta legge, da un minimo di dieci anni ad un massimo di quindici anni a seconda della data di inizio del rapporto).

La decisione incidenter tantum sotto il profilo anzidetto appare esatta, mentre desta perplessità l'affermazione della sentenza riportata che al giudice amministrativo non « sarebbe » consentito (il condiziona le è nella sentenza), in presenza di una « semplice » inadempienza contrattuale, il « sicuro » riconoscimento dell'intervenuto effetto risoluti vo del contratto di affitto, rimesso ad apposito organo specializzato della magistratura ordinaria (sezione specializzata agraria del tribunale ex art. 26 1. 1:1/71).

Non si capisce bene se la sentenza riportata punti sulla competenza esclusiva della sezione specializzata agraria del tribunale, ovvero sulla mancanza di « gravità » della inadempienza dell'affittuario o, se si vuole, sul dubbio circa la « gravità » dell'inadempienza, considerato che l'art. 5 1. 203/82, nel confermare l'analoga disposizione dell'abro gato regime vincolistico dei contratti agrari, richiede che per farsi luogo a risoluzione di un contratto agrario occorre un « grave » inadempimento e non un qualsiasi inadempimento.

Il riferimento alla competenza esclusiva del giudice specializzato non sembra sufficiente a superare l'ambito applicativo dell'art. 8 1. 1034/71, tanto più che l'accertamento incidenter tantum non ha efficacia di giudicato ma solo un'efficacia limitata ai fini della risoluzione della questione principale dedotta.

Pure opinabile è il riferimento della sentenza riportata all'art. 10 1. 11/71, secondo cui l'affittuario può prendere tutte le iniziative di organizzazione e di gestione consentite dalla razionale coltivazione del fondo, in quanto il diritto dell'affittuario alla continuazione del rapporto andava valutato in riferimento alla incidenza sul rapporto stesso della gravità o meno dell'inadempienza dedotta (mancata coltivazione intensiva), avuto anche riguardo alla arbitraria utilizzazio ne del fondo in violazione di una espressa clausola contrattuale.

Va ricordato che con riferimento all'art. 10 1. 11/71 la giurispruden za della Cassazione ritiene che le iniziative di organizzazione e gestione richieste dalla razionale coltivazione del fondo da parte dell'affittuario non possono porsi in contrasto con la destinazione economica del fondo stesso voluta dal concedente, il cui mutamento senza il consenso di quest'ultimo può giustificare la risoluzione del contratto, senza alcun rilievo per la sua eventuale convenienza econo mica (v. per tutte Cass. 29 agosto 1984, n. 4714, id., Rep. 1984, voce Contratti agrari, n. 290, e in Giur. agr. it., 1985, 92, con nota di Salvestroni; in argomento, v. anche Bellantuono, 1 veri e i falsi problemi del mutamento dell'ordinamento colturale da parte dell'affit tuario, in Nuovo dir. agr., 1979, 133).

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