Adunanza plenaria; decisione 9 marzo 1983, n.1; Pres. Pescatore, Est. Lignani; Petricca (Avv.Lavitola) c. Comune di Montelibretti (Avv. Davoli). Annulla T.A.R. Lazio, sez. I, 4 novembre1981, n. 923Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 5 (MAGGIO 1983), pp. 161/162-167/168Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23175561 .
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161 GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 162
CONSIGLIO DI STATO; Adunanza plenaria; decisione 9 mar
zo 1983, n .1; Pres. Pescatore, Est. Lignani; Petricca (Avv.
Lavitola) c. Comune di Montelibretti (Avv. Davou). Annulla
T.A.R. Lazio, sez. I, 4 novembre 1981, n. 923.
CONSIGLIO DI STATO;
Edilizia e urbanistica — Piano regolatore — Adozione — Impti
gnabilità immediata — Limiti — Conseguenze. Comune e provincia — Piano regolatore — Consiglio comunale
— Partecipazione di consiglieri interessati — Illegittimità —
Fattispecie (R. d. 4 febbraio 1915 n. 148, t. u. della legge comu
nale e provinciale, art. 290; r. d. 3 marzo 1934 n. 383, t.u.
della legge comunale e provinciale, art. 279).
È impugnabile la delibera comunale di adozione di un piano re
golatore, in relazione ai vincoli concreti che da esso immedia
tamente derivano per le proprietà dei singoli; la mancata im
pugnazione rende inoppugnabile la successiva e conseguenziale
applicazione di misure di salvaguardia, ma non preclude l'im
pugnazione del piano regolatore una volta intervenuta l'appro vazione regionale. (1)
È illegittima l'adozione di un piano regolatore, impugnata dal pro
prietario di terreni ai quali toglie la edificabilità prevista nel pre cedente programma di fabbricazione, se alla seduta del consiglio comunale abbiano parteciparlo consiglieri proprietari di terreni
sui quali tale edificabilità veniva trasferita, localizzando gli in
sediamenti residenziali ritenuti necessari per la soddisfazione del fabbisogno edilizio. (2)
(1) La decisione in parte conferma, e in parte si discosta, dalla
precedente pronuncia dell'adunanza plenaria 16 giugno 1978, n. 17, Foro it., 1979, III, 14, con nota di richiami (annotata da Cappellini, in Le regioni, 1979, 143; da Dani, in Foro amm., 1979, I, 551; v. anche La Torre, in Amm. it., 1979, 653; Varrone, in Vita not., 1979, 866; Pifferi, in Amm. it., 1981, 58; Catelli, in Le regioni, 1981, 793), che, con presa di posizione fortemente innovativa, aveva affermato la immediata impugnabilità del piano regolatore solo adotta
to, anche indipendentemente dalla emanazione sulla sua base di un
provvedimento applicativo, come la misura di salvaguardia, traendo dalla premessa l'ulteriore conseguenza della inammissibilità per tardi vità del ricorso proposto contro previsioni già adottate, solo dopo l'approvazione regionale.
Alla svolta, abbastanza inaspettata, dell'adunanza plenaria, si era subito opposta, quasi ribellata, la giurisprudenza, specie dei tribunali
amministrativi regionali: v. i richiami in nota a T.A.R. Toscana 30
aprile 1980, n. 204 (che aveva pronunciato l'inammissibilità del ricorso contro una previsione di piano regolatore solo adottato, in difetto di una misura di salvaguardia), a T.A.R. Lombardia 23 aprile 1980, n. 502 (che, pur negando di utilizzare la tesi affermata dalla plenaria, aveva ammesso il ricorso contro un piano regolatore solo adottato, proposto dal proprietario di un'area la cui edificabilità era stata esclusa dal nuovo strumento urbanistico), e a T.A.R. Calabria 19
gennaio 1980, n. 20 (che • si era adeguato all'orientamento della
plenaria, rimettendo in termini, in seguito alla decisione di questa, il
ricorrente nei confronti un piano regolatore solo adottato), Foro it.,
1981, III, 549.
Successivamente, il rifiuto dell'orientamento della plenaria, anche da
parte di sezioni del Consiglio di Stato, si era ancora accentuato. Nel senso della inammissibilità del ricorso contro la deliberazione
comunale di adozione di un piano regolatore, in difetto di provvedi menti applicativi, sez. IV 15 dicembre 1981, n. 1078, Cons. Stato, 1981, I, 1407; T.A.R. Puglia 4 settembre 1982, n. 379, Trib. amm.
reg., 1982, I, 3175; sez. IV 17 febbraio e 10 marzo 1981, nn. 165 e
248, 18 marzo 1980, n. 270, Foro it., Rep. 1981, voce Edilizia e
urbanistica, nn. 185, 186, 276; TA.R. Veneto 12 marzo 1981, n. 200, ibid., n. 277; T.A.R. Abruzzo 1° settembre 1980, n. 247, ibid., n.
424; T.A.R. Piemonte 16 dicembre 1980, n. 1143, ibid., n. 428. V.
anche Sez. IV 27 gennaio 1981, n. 62, ibid., n. 495, che ha
affermato la carenza sopravvenuta di interesse nei confronti di un motivo di ricorso rivolto alla prescrizione di un piano regolatore solo
adottato, in seguito all'annullamento della deliberazione di approva zione.
Per specifiche applicazioni del principio, al fine di escludere l'i
nammissibilità per tardività del ricorso proposto solo contro l'appro vazione, T.A.R. Toscana 24 giugno 1982, n. 201, Trib. amm. reg.,
1982, I, 2550; T.A.R. Lombardia 9 ottobre 1980, n. 308, Foro it.,
Rep. 1981, voce cit., n. 187; Cons. Stato, sez. IV, 27 agosto 1982, n.
577, Cons. Stato, 1982, 1, 1071. V. anche sez. IV 8 giugno 1982, n.
330, ibid., 775, che ha escluso che la mancata impugnazione della
deliberazione con la quale il comune accetta le modificazioni del
piano regolatore introdotte in sede di controllo, implichi l'inammissibi
lità del ricorso proposto contro il piano stesso dopo la sua approva zione.
(2) T.A.R. Piemonte 27 novembre 1979, n. 550, Foro it., Rep. 1980,
voce Edilizia e urbanistica, n. 189, ha escluso la illegittimità dell'ado
zione di un piano regolatore senza l'astensione di un consigliere
proprietario di terreni, in difetto della prova, concreta e specifica, che
tale piano sia stato adottato anche in considerazione di tale posizione
soggettiva e dell'interesse sostanziale ad essa sottostante. In relazione all'adozione dei piani di zona per l'edilizia economica
e popolare, T.A.R. Sicilia, sede Catania, 28 settembre 1981, n. 450,
Diritto. — 1. - La prima questione che richiama l'attenzione
del collegio è quella relativa all'ammissibilità del ricorso, propo sto in primo grado, contro la delibera del consiglio comunale
per l'adozione del piano regolatore generale. Oltre ad essere, per sua natura, preliminare, essa riveste una speciale importanza
perché è in ragione di essa che il ricorso è stato deferito a
quest'adunanza plenaria, su istanza dell'appellante. In verità, se l'adunanza volesse ora attenersi puramente e
semplicemente alla propria ben nota giurisprudenza (rappresenta ta dalla decisione 16 giugno 1978, n. 17, Foro it., 1979, III, 14), la questione sarebbe risolta de plano, nel senso che si dovrebbe
ritenere l'ammissibilità del ricorso proposto in primo grado (ri
formando, sul punto, la sentenza appellata) e passare quindi ad
esaminarlo nel merito. Ma non ci si può nascondere la circo
stanza che la sentenza appellata, nella parte in cui si è posta in
consapevole contrasto con la giurisprudenza di questo collegio, non rappresenta un caso isolato, bensì' è coerente con un medi
tato orientamento giurisprudenziale (le cui basi argomentative si
leggono diffusamente nella sentenza 25 giugno 1980, n. 732 della I sezione del T.A.R. Lazio, id., Rep. 1981, voce Edilizia e
urbanistica, n. 188), volto, appunto, a negare ammissibilità ai
ricorsi proposti in via immediata e diretta (e cioè prima dell'in
tervento di atti applicativi, quali le misure di salvaguardia) contro le delibere comunali di adozione degli strumenti urbani
stici. Anche talune decisioni delle sezioni giurisdizionali del Con
siglio di Stato si sono poste in difformità della giurisprudenza
Trib. amiti, reg., 1981, I, 3445, ha negato la sussistenza del dovere di astensione dei consiglieri proprietari di immobili ricadenti nel territo rio comunale, mentre tale dovere sussisterebbe in sede di adozione dell'atto di localizzazione di un programma costruttivo ai sensi del l'art. 50 1. il. 865/71; e T.A.R. Lazio, sez. I, 22 novembre 1978, n. 992, Foro it., Rep. 1979, voce Comune, n. 107, ha considerato
legittima la partecipazione alla votazione sulla proposta di rinvio dell'approvazione di un piano di zona da parte di un socio di una cooperativa aspirante all'assegnazione di un'area compresa nel piano.
La giurisprudenza relativa ai presupposti del dovere di astensione per interesse proprio di consiglieri comunali, talvolta arriva all'enun ciazione di criteri generali: v., tra gli altri, T.A.R. Molise 27 gennaio 1981, n. 21, id., Rep. 1981, voce cit., n. 122, che ha negato la sussisten za di tale dovere quando l'organo del quale fanno parte, munito di potestà decisionale, anziché esercitarla, si limiti a delegarne l'esercizio ad un altro organo, senza fissare alcuna direttiva; Cons. Stato, sez.
V, 20 maggio 1977, n. 478, id., Rep. 1977, voce cit., n. 100, che lia affermato che tale dovere sussiste solo in caso di atti discrezionali, non anche in caso di atti dovuti; T.A.R. Toscana 13 giugno 1980, n. 565, id., Rep. 1981, voce cit., n. 128, che ha negato che i
componenti la giunta debbano astenersi nelle sedute nelle quali il
consiglio comunale debba procedere alla ratifica o all'approvazione delle deliberazioni adottate dalla giunta stessa. Altre volte la decisio ne sembra avere una rilevanza più circoscritta alle particolarità della
fattispecie, in una casistica assai variegata: cosi, tra le altre, Cons.
Stato, sez. IV, 13 gennaio 1981, n. 5, ibid., n. 124, che ha negato che, nel caso nel quale un privato abbia intentato un'azione per danni contro il comune, e contro alcuni consiglieri in solido con esso, questi si debbano astenere nelle deliberazioni aventi ad oggetto materia connessa con la proposta azione (nello stesso senso la deci sione appellata: T.A.R. Marche 6 settembre 1979, n. 242, id., Rep. 1980, voce cit., n. 120); Cons, giust. amm. sic. 15 ottobre 1980, n.
69, id., Rep. 1981, voce cit., n. 125, che ha negato che i componenti della giunta e del consiglio comunale che siano dipendenti ospedalieri debbano astenersi in occasione delle deliberazioni attinenti alla nomi na e alla revoca di rappresentanti del comune nel consiglio di amministrazione dell'ente ospedaliero (contra la decisione appellata: T.A.R. Sicilia, sede Catania 22 giugno 1979, n. 339, id., Rep. 1980, voce cit., n. 121); Cons. Stato, sez. V, 7 aprile 1978, n. 408, id., Rep. 1978, voce cit., n. 107, che ha affermato che, nel caso di denunce ed esposti presentati contro alcuni amministratori da parte di un cittadino, essi si devono astenere nelle deliberazioni che riguarda no quest'ultimo. Per altre considerazioni, v. anche T.A.R. Campania 11 luglio 1979, n. 330, id., Rep. 1980, voce cit., n. 119.
La sussistenza del dovere di astensione è stata precisata sotto diverso profilo da Cons, giust. amm. sic. 22 ottobre 1982, n. 48, Cons. Stato, 1982, I, 1312, che, nell'ipotesi nella quale alcuni consi
glieri comunali abbiano un interesse proprio solo nei confronti di alcune delle parti di una deliberazione, essi devono allontanarsi dalla seduta quando si discute di tali parti, e devono asternersi nella
votazione della deliberazione del suo complesso. Comunque, quando un consigliere (nella specie, regionale), si trova
in situazione di incompatibilità, egli deve non solo astenersi dalla
votazione, ma anche allontanarsi dalla seduta: T.A.R. Liguria 22
maggio 1980, n. 254, Foro it., Rep. 1981, voce cit., n. 123; T.A.R.
Marche 26 marzo 1976, n. 65, id., 1977, III, 208, con nota di richia
mi sui vari aspetti sopra considerati, che ha anche affermato che la
partecipazione alla seduta dei consiglieri interessati in proprio vizia la
deliberazione indipendentemente dalla c.d. prova di resistenza, in un ca
so nel quale alla deliberazione di decadenza dall'impiego di un dipen dente comunale avevano partecipato consiglieri denunciati dal di
pendente stesso per reati commessi nell'esercizio delle loro funzioni.
Il Foro Italiano — 1983 — Parte III-12.
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PARTE TERZA
dell'adunanza plenaria, non tanto, però, per negare ammissibilità
a ricorsi proposti contro piani adottati e non approvati, quanto
per respingere eccezioni di tardività sollevate nei confronti di
ricorsi proposti dopo l'approvazione dei piani, o dopo l'applica zione di misure di salvaguardia (sez. IV 17 febbraio 1981, n.
165, ibid., voce Edilizia popolare ed economica, n. 46; 27 ago
sto 1982, n. 577). Si è cosi determinata una situazione d'incertezza
giurisprudenziale, nella quale molti ricorrenti sono praticamente costretti a reiterare i ricorsi nelle varie fasi della formazione di
un nuovo piano regolatore, ed anche a consumare inutilmente un
grado di giudizio, proponendo ricorsi destinati ad essere dichiarati
inammissibili in prima istanza, con la speranza d'incontrare mi
glior fortuna in appello.
S'impone, dunque, anche nell'interesse pubblico, un riesame
critico (suffragato anche dall'istituzionale autorevolezza di questo
collegio) della questione, nei suoi due profili, che sono: primo,
quello dell'ammissibilità d'impugnative rivolte direttamente con
tro il piano adottato (o, se si preferisce, contro le delibere
comunali d'adozione), e, secondo, quello degli eventuali effetti
preclusivi che la mancata impugnazione del piano adottato (se
ritenuta ammissibile) può spiegare in ordine all'impugnazione dello stesso piano, una volta definitivamente approvato.
2. - Quanto al primo aspetto, l'adunanza plenaria, dopo atten
to esame, ritiene di dover confermare (e sostanzialmente con la
stessa motivazione) la decisione n. 17 del 1978; conviene, per
tanto, ribadirne, e, se possibile, chiarirne alcuni concetti.
Per effetto dell'obbligatorietà delle misure di salvaguardia (già
previste come discrezionali dalla 1. 3 novembre 1952 n. 1902, e
rese obbligatorie dall'art. 3, ult. comma, 1. 6 agosto 1967 n. 765), il piano regolatore adottato dal comune, pur conservando la sua
natura di elemento della fattispecie complessa che si perfeziona con l'atto di approvazione regionale, ha acquisito anche una
efficacia imperativa diretta e propria, che ne fa uno strumento
di governo del territorio sia pure con effetti ridotti quanto al
contenuto prescrittivo (infatti non sono immediatamente applica bili tutte le prescrizioni che deriveranno dal piano approvato, ma solo alcune) e quanto alla durata temporale (ed invero le
misure di salvaguardia non possono essere protratte oltre un
certo tempo dalla data della delibera di adozione). La limitazione del contenuto prescrittivo consiste in ciò, che il
piano adottato ha applicazione (grazie alle misure di salvaguar
dia) solo in senso impeditivo degli interventi edilizi ed urbani
stici contrastanti con esso; vi sono, tuttavia, anche altri limitati, ma non trascurabili effetti, disposti da singole leggi (di carattere
eccezionale e dunque tassative); si può fare l'esempio dell'art. 3, ult. comma, 1. 18 aprile 1962 n. 167 (che consente di formare
un piano di zona per l'edilizia economica e popolare anche in
base ad un PRG adottato e trasmesso per l'approvazione); del
l'art. 17, 4° comma, 1. 6 agosto 1967 n. 765, e dell'art. 4 1. 1°
giugno 1971 n. 291 (i quali, con diversi riferimenti temporali, attribuiscono al piano adottato l'effetto di rendere inapplicabili le limitazioni, previste dai primi tre comma dello stesso art. 17, all'edificazione nei comuni sprovvisti di strumento urbanistico; e
cioè, in buona sostanza, gli attribuiscono l'effetto di legittimare interventi che in mancanza di esso non sarebbero consentiti); dell'art. 3 1. 1° giugno 1971 n. 291 (che equipara il piano adottato a quello vigente per quanto riguarda la localizzazione
di opere di edilizia ospedaliera ed universitaria); e di qualche altro caso di minore importanza. Si deve poi ricordare che la
Corte costituzionale, con sent. 29 aprile 1982, n. 83 (id., 1982, I,
2404), ha riconosciuto legittima l'introduzione, con legge regiona
le, di misure di salvaguardia più penetranti di quelle previste dalla legge statale.
La limitazione della durata temporale consiste in ciò, che le
misure di salvaguardia, secondo la 1. del 1952 non potevano avere effetto oltre il biennio dalla data delle delibera di adozio
ne, termine elevato a tre anni dalla 1. 30 luglio 1959 n. 615, ed
ulteriormente elevato a cinque armi, per i piani tempestivamente
inoltrati per l'approvazione (con possibilità di rinnovo del termi
ne per l'intero piano nell'ipotesi che le osservazioni dell'autorità
superiore ne impongano una rielaborazione anche parziale) dalla
1. 5 luglio 1966 n. 517.
3. - È da notare che, entro i suddetti limiti, gli effetti del
piano adottato si producono per espressa e positiva disposizione di legge, sicché non è corretto assimilarli alle ipotesi di esecu
zione anticipata di un atto in corso di perfezionamento (quale il
caso, molto noto, dell'esercizio, di fatto, dell'insegnamento da
parte di un docente universitario proposto per l'incarico ma
ancora in attesa del formale atto di nomina) per trarne argo menti circa il regime dell'impugnabilità.
È ancora da notare che, sempre entro i suddetti limiti, gli effetti in parola sono configurati dal legislatore come « propri »
del piano adottato, e non come effetti anticipati del futuro atto
di approvazione. In altre parole, le misure di salvaguardia hanno
il loro presupposto necessario e sufficiente nel piano adottato, tanto è vero che esse sono e restano pienamente legittime (salvo,
s'intende, perdere efficacia alla scadenza del termine) anche se il
piano non venga poi approvato, e addirittura anche se esso non
venga mai trasmesso per l'approvazione (l'unica sanzione di tale
omissione, o di abnorme ritardo, sembra essere la riduzione del
relativo termine a tre anni anziché cinque, come dispone la 1. n.
517 del 1966). Ciò posto, si osserva che se l'efficacia giuridica del piano
adottato è più ristretta (nel contenuto prescrittivo e nel tempo) di quella del piano definitivamente approvato, non è però quali tativamente diversa. Del resto, anche molte prescrizioni del pia no approvato non hanno altro effetto che quelle di vietare le
opere difformi da quelle previste; e se è vero che il piano
approvato ha efficacia a tempo indeterminato, è anche vero che
talune prescrizioni, e precisamente i vincoli di natura sostan
zialmente espropriativa, hanno efficacia limitata nel tempo (1. n.
1187 del 1968; si veda Corte cost. 12 maggio 1982, n. 92, id.,
1982, I, 2116). Più precisamente, si vuol dire che non vi è differen
za tra il piano adottato e quello approvato, quanto al modo d'inci
dere sugli interessi legittimi dei privati; l'uno e l'altro danno luogo a provvedimenti applicativi, inibitori e repressivi delle attività
contrastanti con le previsioni del piano; ma per entrambi la
lesione degli interessi legittimi si produce non nel momento in
cui viene adottato l'atto applicativo, bensì in quello (necessaria mente anteriore), in cui viene emanata la prescrizione che iden
tifica, per ciascun terreno, le opere permesse e quelle vietate.
4. - Conviene sottolineare, a questo punto, che la convinzione
di questo collegio, circa il carattere immediatamente lesivo del
piano adottato, non si fonda puramente e semplicemente sulla
natura obbligatoria e vincolata degli atti applicativi, quasi che
bastasse la trasformazione di un atto da discrezionale in vincola
to a spostare automaticamente l'effetto lesivo, e la conseguente
impugnabilità, all'atto presupposto nel quale si consuma la di
screzionalità amministrativa. Sono infatti numerosissimi i casi (ed
ogni pratico del diritto amministrativo li conosce) di procedi menti costruiti in modo tale che l'atto conclusivo, pur essendo il
solo dotato di efficacia giuridica esterna, è sostanzialmente privo di margini di discrezionalità, mentre questa è interamente (o
quasi) consumata in uno, o più atti interni, pacificamente consi
derati non lesivi e non impugnabili. Allo stesso modo non si
dubita che quando un atto, obbligatorio e vincolato, applica in
concreto una disposizione regolamentare formulata in via genera le ed astratta, l'effetto lesivo appartiene all'atto applicativo, e la
disposizione regolamentare è impugnabile solo congiuntamente ad
esso.
Il rapporto tra il piano regolatore (adottato ed approvato) e i
suoi atti applicativi (a seconda dei casi, rilascio o diniego della
concessione edilizia, applicazione di misure di salvaguardia, re
pressione di costruzioni abusive, ecc.) non corrisponde (o alme
no, non interamente), ad alcuno di questi due modelli. Certa
mente non si può dire che il piano regolatore sia l'atto interno di un procedimento che si conclude con l'atto applicativo; ma non si può dire nemmeno che il piano regolatore sia un insieme
organico di prescrizioni generali ed astratte, rese concrete nei confronti di soggetti determinati solo attraverso gli atti applicati vi.
Il piano regolatore contiene anche prescrizioni generali ed
astratte (tali sono, spesso, le disposizioni di attuazione), ma il
suo contenuto più caratteristico (che lo distingue, ad es., dal
regolamento edilizio) è rappresentato dall'imposizione ad ogni terreno (individualmente considerato, anche se mediante l'inclu sione in zone più o meno ampie) di una specifica destinazione
urbanistica, che lo qualifica, e sostanzialmente configura (delimi
tandolo, o, all'opposto, costituendolo, a seconda delle opinioni dottrinali) il contenuto del diritto del proprietario.
È in questa luce che comunemente si ritiene che il piano
regolatore sia direttamente lesivo e dunque suscettibile d'impu gnazione immediata; e ciò risulta ancora più chiaro, se si ha
presente la giurisprudenza (da ultimo, sez. IV 10 marzo 1981, n.
248, id., Rep. 1981, voce Edilizia e urbanistica, n. 159; 23 marzo 1982, n. 163; 21 giugno 1982, n. 396) che distingue anche ai fini dell'impugnabilità tra prescrizioni di PRG direttamente lesive e non direttamente lesive: distinzione fondata non tanto sul carattere vincolato o discrezionale dei rispettivi atti applica tivi, bensì sulla natura e sugli effetti propri di ogni singola prescrizione.
Da questo punto di vista, non si ravvisa differenza tra il
piano adottato e quello approvato, sempre tenendo conto, s'in
tende, dell'efficacia più limitata e comunque temporanea del
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
primo. Si deve dunque concludere che un piano regolatore gene rale, una volta adottato, nella misura in cui è suscettibile d'ap
plicazione (mediante le misure di salvaguardia o negli altri modi
consentiti dalla legge), è immediatamente lesivo e direttamente
impugnabile; più precisamente, lo è nello stesso modo ed alle
stesse condizioni in cui ciò si dice tradizionalmente del piano approvato.
Sono dunque direttamente impugnabili, nel piano adottato, tutte le prescrizioni (verosimilmente le più numerose) che tali
sarebbero ritenute nel piano approvato, secondo i principi co
munemente accettati; e saranno impugnabili solo congiuntamente agli atti applicativi quelle altre prescrizioni che, anche se appar tenenti ad un piano approvato, non sarebbero ritenute diretta
mente impugnabili. 5. - Fatta questa prima conclusione, se ne deve trarre una
conseguenza inevitabile, alla luce delle regole generali: e cioè
che il piano adottato, nella misura in cui è direttamente impu
gnabile, diviene inoppugnabile se decorre inutilmente il termine
per eventuali ricorsi (circa la decorrenza di detto termine, si fa
qui richiamo di quanto affermato dall'adunanza plenaria nella
decisione n. 17 del 1978, non essendovi al momento materia per un riesame della questione). L'applicazione delle misure di sal
vaguardia, cioè, non riapre i termini per chi li abbia lasciati
decorrere inutilmente (sempreché, beninteso, nella fattispecie concreta non sia proprio detta applicazione a costituire la prima
presa di conoscenza da parte dell'interessato).
Riguardo gli effetti di eventuali sentenze di accoglimento, l'a
dunanza plenaria conferma (non essendovi, anche su questo
punto, materia per un riesame) l'orientamento già accennato
nella propria decisione n. 17 del 1978, e più esplicitamente
espresso nell'altra decisione n. 37 del 21 ottobre 1980 (id., 1981,
III, 144): e cioè che l'annullamento totale o parziale del piano adottato, a seguito del ricorso proposto contro di esso, ha effica
cia caducante (e non semplicemente viziante) nei confronti del
provvedimento di approvazione: vale a dire che chi ha impu
gnato il piano adottato non ha l'onere di riproporre gli stessi
motivi contro l'approvazione. 6. - Quest'ultima osservazione introduce un'altra, ben più gra
ve questione: che è quella dei rapporti tra piano adottato e
piano approvato, sotto il profilo degli eventuali effetti preclusivi in ordine all'impugnazione del secondo, derivanti dalla mancata
(o comunque non utilmente esperita) impugnazione del primo. Com'è noto, nella decisione n. 17 del 1978 questo collegio
affermò (peraltro a guisa di mero completamento di un più
ampio discorso, e non a conclusione di un'indagine svolta ex
professo) che, dal rilievo che l'attualità della lesione si verifica
dal momento dell'adozione della delibera comunale, discende
come corollario che l'interessato che abbia trascurato (avendone
conoscenza) d'impugnarla, non potrà far valere i vizi concernenti
la delibera di adozione una volta che l'iter del procedimento si
sia concluso con l'intervento del provvedimento regionale. È noto, altresì, che quest'affermazione ha suscitato notevoli
perplessità, rivelate anche da diverse pronunce giurisprudenziali; a molti, infatti, è sembrato un rigore eccessivo, nei confronti
degli interessati, quello di attribuire un effetto definitivamente
preclusivo, anche in presenza dell'atto terminale del procedimen
to, al silenzio serbato nei confronti di quello che appare pur
sempre un atto intermedio, dotato di effetti propri bensì lesivi, ma comunque provvisori e dunque suscettibili di valutazione, da
parte dell'interessato, diversa da quella che può essere data degli effetti permanenti. In altre parole, è sembrato a molti irragione vole impedire il ricorso, in presenza di effetti lesivi pieni e
permanenti, a chi non aveva trovato negli effetti lesivi ridotti e
provvisori ragione sufficiente per affrontare il peso d'un giudizio.
Si è, inoltre, osservato che l'applicazione del rigoroso principio
dell'impugnabilità determinerebbe una incongruenza nel sistema
complessivo della formazione dei piani regolatori, sotto il profilo della sostanziale vanificazione di quella fase delle osservazioni,
pur prevista dalla legge ed anzi valorizzata anche da leggi recenti. In effetti, se la conoscenza del piano adottato non si
presume in base alla pubblicazione ma si desume caso per caso
in base ad altri elementi, non v'è dubbio che la presentazione di
osservazioni è uno degli indici più sicuri dell'avvenuta presa di
conoscenza; ne consegue che (in base al principio rigoroso)
chiunque abbia presentato osservazioni (in ipotesi anche fonda
te) si priva, per ciò solo, della possibilità di ricorrere contro il
piano approvato (se non per i vizi determinatisi nella fase di
approvazione) e deve necessariamente impugnare il piano adotta
to (trasferendo cosi subito la controversia in sede giurisdizionale e rendendo in gran parte superfluo l'esame delle osservazioni);
in tale situazione è prevedibile che molte persone si asterranno
dal proporre osservazioni, privando cosi il procedimento di que
gli apporti collaborativi che potrebbero rivelarsi preziosi per l'amministrazione (conviene qui dire che, se è vero che le osser
vazioni non sono un rimedio predisposto dalla legge a tutela di
interessi privati, è anche vero che la collaborazione può consi
stere nella rappresentazione di vizi di legittimità, nell'interesse
tanto dell'amministrazione quanto del proponente). 7. - 11 nodo rappresentato dall'affermazione « data l'impugna
bilità diretta del piano adottato, ne consegue l'onere di impu
gnarlo pena l'impossibilità di denunciare i suoi vizi in sede di
ricorso contro il piano approvato », si può sciogliere in due
modi: o negando la premessa (impugnabilità diretta del piano adottato) o negando che vi sia una necessaria consequenzialità tra la premessa e la conclusione. Di fatto, nel dibattito conseguito alla decisione n. 17 del 1978 sono risultati più frequenti i
tentativi rivolti nella prima direzione, e cioè a contestare il fondamento del contenuto essenziale di quella pronuncia; ma, come si è visto, questa strada non può essere percorsa, perché un'approfondita indagine sugli effetti dell'adozione del piano re
golatore rende inevitabile che si ammetta la sua impugnabilità immediata.
Il collegio ritiene invece che la soluzione consista nel dimo
strare che non v'è un rapporto di necessaria consequenzialità
logica tra l'impugnabilità del piano sin dalla sua adozione e la
sua inoppugnabilità (relativamente ai vizi determinatisi nella pri ma fase) dopo l'approvazione. La convinzione del collegio, cioè, è che, una volta definitivamente approvato, il piano regolatore
generale sia pienamente impugnabile (vale a dire con riferimento
ad ogni vizio ipotizzabile, anche se determinatosi nella fase
dell'adozione) da parte di ogni interessato, non escluso chi abbia
già acquisito piena conoscenza del piano adottato, né chi contro
quest'ultimo abbia proposto ricorso: salvi solo gli effetti del
giudicato che eventualmente si formi in ordine all'infondatezza di
taluno dei motivi.
8. - Se la delibera d'adozione è, contemporaneamente, atto
dotato di efficacia esterna lesiva propria, ed atto interno di un
procedimento ancora in corso, è conforme ai principi dire che
esso è immediatamente impugnabile (e suscettibile di diventare
inoppugnabile) solo in relazione al primo aspetto, e non anche in relazione al secondo. Anzi, è proprio la constatazione che gli effetti lesivi del piano adottato sono effetti « propri », e non
effetti anticipati della futura approvazione, che permette di di
singuere tra la lesione prodotta dal piano adottato e quella prodotta dal piano approvato, e di escludere che l'acquiescenza (intesa in senso lato a significare ogni ipotesi di mancata o
comunque non utile impugnazione), manifestata verso la prima, limiti le possibilità di difesa nei confronti della seconda.
Si tratta di lesioni diverse non solo perché prodotte da atti
diversi (dalla delibera comunale, l'una; dall'atto complesso risul
tante dall'insieme dei provvedimenti comunale e regionale, l'al
tra) ma anche perché oggettivamente tali, sia in ordine all'inten
sità (non occorre sottolineare quanto maggiormente penetranti siano le prescrizioni del piano approvato rispetto a quello adot
tato), sia in ordine alla durata (efficacia permanente da una
parte, efficacia provvisoria dall'altra), sia, ancora, in ordine a
quella che si potrebbe chiamare la stabilità giuridica (il piano adottato non solo è soggetto a un limite temporale, che è quello
dell'applicabilità delle misure di salvaguardia, ma è, inoltre, sog
getto a riesame ed a modificazioni anche profonde nell'ulteriore
corso del procedimento: perciò la lesione da esso prodotta, ancorché temporaneamente attuale, concreta e certa, non è
« stabile », potendo essere eliminata in ogni momento dal so
pravvenire di una diversa determinazione; invece il piano ap
provato non può essere modificato se non attraverso un nuovo,
apposito, complesso procedimento, e perciò la lesione da eseo
prodotta, certamente non immutabile, può comunque ben essere
detta « stabile »).
9. - Si potrà obiettare che con tali affermazioni s'infrange
quello che giustamente è considerato uno dei principi cardine
della giustizia amministrativa; e cioè quello per cui in sede di
impugnazione di un provvedimento non sono più contestabili
i vizi di un atto presupposto, ove questo fosse impugnabile ex se,
ma non sia stato utilmente impugnato. È questo il principio
grazie al quale l'azione amministrativa si svolge con una re
lativa certezza di diritto, risultando divisa in una serie di
fasi, ciascuna delle quali si conclude con un atto suscettibile di
diventare inoppugnabile, se non utilmente impugnato entro breve
termine; e cosi è idoneo a costituire la base di ulteriori provve dimenti. L'utilità di questo principio è fuori discussione.
Tuttavia pare al collegio che il suo richiamo non sia pertinen
te, ai fini di cui si discute. Gli esempi classici dell'atto presup
posto suscettibile di acquisire l'inoppugnabilità pur in pendenza di ulteriori atti, sono quelli della dichiarazione di pubblica utili
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PARTE TERZA
tà (rispetto al decreto di esproprio), del bando di concorso
(rispetto ai provvedimenti di ammissione, nonché di formazione
della graduatoria), del piano regolatore (rispetto ai singoli prov vedimenti concernenti singole opere) e simili. Tutte queste ipo tesi sono accumunate dal fatto che in esse l'atto detto presup
posto chiude un procedimento o un sub-procedimento, e consu
ma, in tutto o in parte, la discrezionalità amministrativa, ponen dosi come vincolante rispetto all'ulteriore corso.
La potenziale inoppugnabiità da parte dell'interessato della
dichiarazione di p. u., o del bando di concorso, o del piano
regolatore, ecc., è in stretta relazione con l'insindacabilità e
l'immodifìcabilità degli atti stessi da parte degli organi chiamati,
rispettivamente, a pronunciare l'esproprio, a svolgere le opera zioni concorsuali, ad applicare il piano regolatore, e via dicendo.
Ciò appare con maggiore evidenza quando l'organo competente
per l'atto conseguente è diverso da quello che ha emanato l'atto
presupposto; ma si verifica anche quando vi sia identità di
soggetto (come in certi casi di espropriazione per p. u.), giacché,
comunque, le scelte espresse con l'atto presupposto non possono essere ridiscusse mediante l'atto conseguente, ma solo riportando il procedimento all'inizio, sicché anche in questa ipotesi si può parlare d'insindacabilità ed immodificabilità dell'atto presupposto.
Sotto questo profilo, appare ora chiaro come il rapporto che
corre tra l'adozione del piano regolatore e la sua approvazione non possa essere assimilata alle ipotesi ora fatte.
La delibera del consiglio comunale non vincola l'autorità re
gionale (se non nel senso che la seconda non può dar corso alla
formazione di un piano regolatore, in mancanza della prima). L'autorità regionale ha il potere di apportare modifiche di ufficio
(art. 3 1. n. 765 del 1967) che, pur essendo consentite solo a
certe condizioni, possono riguardare, in pratica, qualunque punto del piano adottato; e quand'anche non possa o non voglia modificare il piano d'ufficio, può rinviarlo al comune per un
riesame (e questo potere non incontra sostanzialmente limiti). Alla stessa autorità si suole riconoscere il potere di approvare il
piano stralciando alcune zone, oppure introducendo condizioni,
raccomandazioni, ecc.
In questa luce, si deve dire che quand'anche il piano adottato
venga approvato senza la minima modificazione, ciò avviene
sempre per effetto di un'autonoma e pienamente discrezionale
determinazione degli organi regionali, né si può parlare di sog
gezione di questi alla volontà degli organi comunali.
L'approvazione del piano regolatore, dunque, dà vita ad un
atto formalmente e sostanzialmente nuovo rispetto al piano adot
tato; nuovo per l'efficacia giuridica (se non per il contenuto
dispositivo), per l'autorità emanante, per l'esercizio di un'auto noma e piena discrezionalità.
Contro quest'atto nuovo, dunque, si deve ammettere piena tutela mediante una facoltà d'impugnazione altrettanto piena, senz'altro limite che quello dell'eventuale giudicato.
10. - Le condizioni sinora svolte conducono all'accoglimento dell'appello, dovendosi riconoscere erronea la sentenza del tribu
nale amministrativo che ha dichiarato l'inammissibilità del ricor
so di primo grado. Si deve, dunque, passare all'esame di quel ricorso nel merito,
non versandosi in una delle ipotesi in cui la legge prevede l'annullamento della sentenza con rinvio al primo giudice.
Nel merito, il collegio ritiene fondato ed assorbente il primo motivo di ricorso, dedotto con riferimento alla circostanza che alla deliberazione del consiglio comunale ha partecipato taluno
dei consiglieri comunali che pure avrebbe dovuto astenersi a norma dell'art. 290 t. u. 4 febbraio 1915 n. 148 e dell'art. 279
t. u. 3 marzo 1934 n. 383 (conflitto di interessi). A questo
proposito si può prescindere, in questa sede, dalla questione se
basti la qualità di proprietario d'immobili a determinare l'obbli
go dell'astensione del voto sul piano regolatore generale: sta di
fatto, invero, che nella fattispecie, risulta dal verbale della sedu
ta che nel consiglio comunale si fece aperta discussione, tra
l'altro, della destinazione urbanistica da conferire ai terreni ap
partenenti a determinati consiglieri nominativamente indicati, e
cioè Berti e Ferrante (destinazione che secondo la proposta di
piano risultava più vantaggiosa di quella contenuta nel p. d. f.
precedentemente adottato). In altre parole, il consiglio fu chiamato a pronunciarsi spe
cificamente anche sugli interessi personali dei suddetti consiglie ri; in tale situazione non pare dubbio che sussistesse l'obbligo dell'astensione e nondimeno entrambi i consiglieri risultano aver
votato a favore del piano ed uno dei due risulta anche aver
preso la parola nella discussione.
Né si può dire che tali aspetti del piano non avessero alcuna attinenza con quelli incidenti sull'interesse dell'attuale ricorrente,
giacché in sostanza la questione che si poneva al consiglio era
quella della localizzazione dei nuovi insediamenti residenziali
entro un fabbisogno dato, e dunque la relativa scelta coinvolge va anche il terreno del ricorrente, considerato in precedenza edificabilc.
L'accoglimento in questo motivo del ricorso comporta la ne
cessità di una nuova deliberazione del consiglio comunale, in
composizione non viziata. Debbono pertanto considerarsi assorbi
ti gli altri motivi, prospettati con riferimento all'eccesso di pote
re (per contraddittorietà, illogicità, difetto di motivazione, ecc.)
ed attinenti pertanto a valutazioni che comunque debbono essere
discrezionalmente e responsabilmente rinnovate dall'organo com
petente.
CONSIGLIO DI STATO; Sezione IV; ordinanza 8 marzo 1983,
n. 106; Pres. Chieppa, Rei. Lignani; Generale (Avv. Ben
fante, Paradiso) c. Comune di Pavia (Avv. Maurici), Istitu
to autonomo case popolari di Pavia.
Espropriazione per pubblico interesse — Immobile di proprietà
dell'occupante — Occupazione del « diritto di locazione » —
Deferimento della questione all'adunanza plenaria (L. 25 giugno 1865 n. 2359, espropriazione per cause di pubblica utilità, art. 1).
È opportuno rimettere all'adunanza plenaria la questione se sia le
gittimo il ricorso del sindaco all'occupazione d'urgenza, preordi nato all'espropriazione, del « diritto di locazione » relativo ad
immobile di proprietà comunale. (1)
Fatto. — Con delibera n. 2077 del 24 settembre 1975 (poi ratificata dal consiglio comunale il 1° ottobre 1975), la giunta comunale di Pavia ha approvato il progetto di lavori di risana
mento conservativo di un fabbricato di proprietà del comune,
sito in Pavia, via della Zecca 3. I lavori erano dichiarati di
pubblica utilità, e l'immobile veniva destinato a residenze eco
nomiche e popolari. Poiché, peraltro, l'immobile era diviso in
appartamenti e negozi dati in locazione a privati, era prevista la
sistemazione provvisoria degli inquilini in altri locali, e la ricon
segna agli inquilini medesimi degli alloggi ricavati dai lavori di
ristrutturazione.
Non è stato però possibile raggiungere un accordo in questo senso tra il comune locatore, ed il locatario Carlo Generale, il
quale godeva tanto di un alloggio quanto di locali adibiti a
pubblico esercizio; perciò il comune si è risolto a procedere autoritativamente e cioè mediante espropriazione ed occupazione
d'urgenza « del diritto di locazione ». Ciò è stato deciso con
delibera 1° febbraio 1978, n. 38, dal consiglio comunale, con
approvazione del progetto ai sensi e per gli effetti della 1. 3
gennaio 1978 n. 1 (dichiarazione implicita di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dei lavori).
Successivamente il sindaco di Pavia ha decretato l'occupazione
d'urgenza del « diritto di locazione » del sig. Generale, moti
vando con riferimento sia alla prevista espropriazione, sia all'in
trinseca indifferibilità dei lavori progettati. La delibera consiliare del 1° febbraio 1978 ed il decreto
d'occupazione sono stati impugnati dal sig. Generale con ricorso
al T.A.R. della Lombardia. I motivi del ricorso sono i seguenti: 1) inapplicabilità dell'istituto dell'espropriazione e di quello della
occupazione d'urgenza a diritti diversi da quelli reali, e partico larmente al diritto di locazione; 2) inapplicabilità dell'art. 1 1. 3
gennaio 1978 n. 1 a progetti approvati anteriormente, come nella
specie (progetto approvato il 24 settembre 1975); 3) incompeten za del sindaco; 4) violazione delle leggi relative ai contratti di
locazione di immobili urbani; 5) eccesso di potere per disparità di trattamento; 6) difetto di motivazione, relativamente a quella
parte del provvedimento consiliare, nella quale è stata determi
nata l'indennità di esproprio; 7) mancanza dei presupposti per ché l'opera possa essere dichiarata di pubblica utilità, trattandosi
di lavori di interesse privato su bene patrimoniale disponibile.
(1) T.A.R. Lombardia 5 novembre 1980, n. 1137, che, nel corso del giudizio di cui all'ordinanza che si riporta, aveva deciso per l'illegit timità del decreto di occupazione d'urgenza del « diritto di locazio ne » (recte, precisa l'ordinanza: dell'immobile locato), leggesi in Foro it., 1982, III, 140, con nota di richiami di G. B. Garrone.
La specifica questione ora devoluta alla cognizione dell'adunanza plenaria è stata recentemente e positivamente risolta da Cass., sez. un., 3 febbraio 1982, n. 645, id., 1983, I, 421, con nota di F. Pietrosanti, Espropriazione in favore del proprietario e diritti del conduttore (a proposito dei « comparti » nella legge per il terremoto di Messina).
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