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Alias_2012_05_19

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MUSICA » ARTI » OZIO SUPPLEMENTO SETTIMANALE DE «IL MANIFESTO» SABATO 19 MAGGIO 2012 ANNO 15 N. 20 2 4 AL SE C ONDO DA BUSKER A ROCKSTAR LIBRI, CANTA L’ITALIA IL DERBY DELL’UNITA’ D’ITALIA BAYERN-CHELSEA FRANCA ONGARO BASAGLIAAMOS VOGEL SERENA NONOABDALLAH YAHYABEN ZETLIN L’ARMA DELLA SOVVERSIONE SECONDO AMOS VOGEL, PATTO TRA LUCE E OSCURITÀ, MATERIA INCANDESCENTE PER TRASFORMARE IN REALTÀ LE UTOPIE
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MUSICA » ARTI » OZIO

SUPPLEMENTO SETTIMANALE DE «IL MANIFESTO» SABATO 19 MAGGIO 2012 ANNO 15 N. 20

24 AL SECONDO

DA BUSKER A ROCKSTAR LIBRI, CANTA L’ITALIA

IL DERBY DELL’UNITA’ D’ITALIA BAYERN-CHELSEA

FRANCA ONGARO BASAGLIAAMOS VOGELSERENA NONOABDALLAH YAHYABEN ZETLIN

L’ARMADELLA SOVVERSIONESECONDOAMOS VOGEL,PATTO TRA LUCEE OSCURITÀ,MATERIAINCANDESCENTEPER TRASFORMAREIN REALTÀ LE UTOPIE

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(2) ALIAS19 MAGGIO 2012

MARIA GRAZIA GIANNICHEDDA

Gli scritti di Franca Basaglia contenuti in Salute/malattia sono in buonaparte delle «voci» dell’ Enciclopedia Einaudi. Uno di essi, quello intitolato«Follia/delirio» è un lavoro a quattro mani scritto con Franco Basaglia.Sono ripresentati con il discorso inedito che Franca Basaglia tenne nel2001 in occasione del conferimento della laurea honoris causa a Sassari,e con un saggio (che qui pubblichiamo in parte) di Maria GraziaGiannichedda che insegna sociologia dei fenomeni politici all’Universitàdi Sassari ed è stata tra i più stretti collaboratori di Franco Basaglia aTrieste e a Roma. Ha lavorato con Franca Ongaro Basaglia comeconsulente del gruppo Sinistra indipendente e ha curato con lei lapubblicazione delle Conferenze brasiliane di Franco Basaglia. Hacollaborato con la Commissione europea, l’Organizzazione mondialedella sanità e altri organismi delle Nazioni Unite. Con Franca e AlbertaBasaglia ha costituito la Fondazione Basaglia di cui è attualmentepresidente.

Come si attual’utopiadella realtà

BASAGLIA

di MARIA GRAZIA GIANNICHEDDA

●●●Franca Ongaro Basaglia è statauna protagonista delle battaglie civilie culturali che hanno cercato di darequalità ai cambiamenti cheattraversavano l’Italia negli anni «diintense speranze e contrappostepaure» del secondo dopoguerra. Sela società italiana ha girato losguardo verso gli internati deimanicomi, se la psichiatria hacominciato a interrogarsi sui suoifondamenti e la democrazia agiudicarsi di fronte alla condizionedei malati di mente e di quantivivono forme analoghe diesclusione, se la costruzione dellacittadinanza ha fatto passi avanti nel

segno della Costituzione, questo lo sideve in modo speciale all’impulso diun gruppo di «intellettuali e ditecnici», e Franca Basaglia tra questi,che nei primi anni sessanta hannocominciato a pensare e a fare ricercain modo diverso rispetto alle culturedominanti, e si sono assunti laresponsabilità di mettere alla provale proprie intuizioni nella praticaprofessionale e nell’impegnopolitico.

Franca Basaglia ha vissuto perintero il ciclo del cambiamento cheha contribuito a innescare: il lavoronell’ospedale psichiatrico di Gorizia;il movimento che scuote lapsichiatria in tutta Europa e che inItalia dura più a lungo perché si

radica nell’istituzione pubblica e dalì conduce le sue battaglie; le riformepsichiatrica e sanitaria del 1978 e iduri anni successivi, con la morte diFranco Basaglia nel 1980 e i progettidi controriforma in Parlamento,dove Franca Basaglia arriva nel 1984,eletta al Senato come indipendentenelle liste del Partito comunista. Perdue legislature Franca Basagliadiventa il riferimento delleesperienze di trasformazione dellapsichiatria che resistono e di quellenuove che nascono, si impegna neldialogo col movimento dei familiari,cerca di indurre gesti di governodella riforma attraverso diverseiniziative, tra le quali un disegno dilegge che sarà la base del primoprogetto «Obiettivo salute mentale»nel 1989. Poi la svolta degli anninovanta, con le prime, in realtàuniche, azioni di governo dellariforma, la chiusura degli ultimiospedali psichiatrici e la diffusionedei servizi di salute mentale, semprediseguali in quantità e qualità.Franca Basaglia ha segnato questopercorso fino ai primi anni duemila,che forse sono stati per lei i piùdifficili. Certo era indebolita dallamalattia che l’ha portata alla morte il13 gennaio 2005, ma era anchecolpita dal regredire veloce deiprocessi di riforma della psichiatria edella sanità e dal crescere invece,quasi senza contrasto, dei processidi medicalizzazione della vita e dicostruzione del povero comenemico, a fronte di una cultura che

sembrava incapace di riconoscerequeste tendenze e di una politicasempre meno interessata adarginarle.

Salvo gli anni di Gorizia, in cui hapartecipato all’apertura delmanicomio, e gli anni dell’impegnoparlamentare, Franca Basaglia hafatto soprattutto lavoro di studio e discrittura, in un legame molto forte,sostanziale con il lavoro ditrasformazione che Franco Basagliainventava e guidava, e con lastraordinaria mobilitazione che nenasceva. Per tutti gli anni settanta, lagrande casa di Venezia, dove FrancaBasaglia abitava con i figli e in cuiFranco tornava quasi ogni finesettimana, è stata attraversata dallepersone più diverse con cuiprendevano corpo i progetti diquegli anni intensissimi, in un climaspesso allegro, a volte conflittuale,con ben poca distinzione tra vitaprivata e pubblica. Franca Basaglia,con quel suo stile aristocratico eaffettuoso, anticonformista eaccogliente, era un riferimentofondamentale di quel discutere,progettare, realizzare – da MarcoCavallo a Psichiatria democratica, alRéseau, ai programmi di ricerca, aldibattito sulla riforma psichiatrica,che ebbe un’accelerata improvvisatra la fine del ’77 e i primi mesi del’78, proprio mentre lei scriveva iprimi tre saggi di questo libro, quasirifugiata in quello che chiamava «lostudietto», tra gli schedari cheriordinava e i blocchi di appunti incui annotava le discussioni conFranco Basaglia. I lavori che hannoscritto insieme negli anni settantasono nati così, con lunghediscussioni nelle quali venivanocoinvolti anche i collaboratori, icolleghi, gli amici con cui nei finesettimana si lavorava a un progetto oall’altro. Quando si era formata unamassa critica di idee e argomenti,Franca Basaglia si chiudeva nellostudietto con la macchina dascrivere, cercando di difendersi daltelefono e dai problemi che lareclamavano. Franca Basaglia ha

scelto e sempre difeso questolegame tra il suo lavoro teorico e laconcretezza dei luoghi in cui sigiocavano le questioni che studiava.Si è mantenuta in contatto con iservizi, ha lavorato alla formazionedegli operatori, ha sostenuto leassociazioni di familiari e utenti, èandata a convegni, dibattiti, incontri.Questi due aspetti, il lavoro teorico el’impegno culturale e politico, nellasua vita si sono sempre integratiperché nascevano dalla stessaispirazione, si nutrivano degli stessisentimenti, avevano la stessa originee radicalità. Negli ultimi tempi,Franca Basaglia usava spesso questoconcetto, radicalità. Era convintache per capire cos’era accaduto conla riforma psichiatrica e non solo, sidovesse essere radicali, si dovessecioè cercare di cogliere la radicedelle questioni, che poi sta nellaconcreta condizione degli umani,nei loro corpi ed esperienze, nellediversità e disuguaglianze da cuisono segnati. È necessario «uncambio radicale dei corpiprofessionali e dei fondamenticulturali delle diverse discipline»,concludeva in quello che è stato ilsuo ultimo lavoro, la lezione per lalaurea ad honorem a Sassari. Queste«discipline, che agiscono

essenzialmente su parti separate deicorpi, dovrebbero invece misurarsicon i bisogni di cui questi corpi sonointrisi», e dovrebbero «porsi ilproblema prioritario delladisuguaglianza e del conflitto cheessa produce come radice con cuiconfrontarsi». Quel confronto perFranca Basaglia era iniziato aGorizia, davanti ai corpi offesi dalmanicomio, e in fondo ha lavoratotutta la vita per capire, spiegare aglialtri e combattere ciò che alloraaveva visto. Nelle prime pagine di unlibro per ragazzi, Manicomioperché?, Franca Basaglia ricorda «leprime immagini viste delmanicomio».

È il 1962, lei ha trentaquattro anni,

L’APPLICAZIONEDELLA 180

ULIDI PICCOLA MIA●●●Il docufilm di Mateo Zoni, in concorso al Torino Film Festival,mette in scena l’adolescente Paola, accolta in una struttura per aiutarla asuperare le sue crisi di autolesionismo. Alla soglia del compleanno dei 18anni si sente più forte, avanza con passione e generosità nella vita di tuttii giorni, tra le compagne della casa e, snodo di sceneggiatura, in visita allafamiglia che permette allo spettatore di entrare in meandri oscuri dovela normalità può celare l’origine di un disturbo mentale, pur tra gli affettipiù profondi. Libro di riferimento: Morte della famiglia di David Cooper,film di riferimento: Matti da slegare di Bellocchio, Agosti, Rulli, Petraglia

Franca Ongaro Basaglia, ha condiviso conil marito l’impegno politico, dal lavoro all’ospedaledi Gorizia alle battaglie per la riforma psichiatricae sanitaria. Ora si ripubblicano i suoi scritti

I FILM

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(3)ALIAS19 MAGGIO 2012

èSTORIA 2012

GERENZA

IL RITORNODELL’ELETTROSHOCK

Il Manifestodirettore responsabile:Norma Rangerivicedirettore:Angelo Mastrandrea

Alias a cura diRoberto Silvestri

Francesco Adinolfi(Ultrasuoni),Matteo Patrono(Ultrasport)con Massimo De Feo,Roberto Peciola,Silvana Silvestri

redazione:via A. Bargoni, 800153 - RomaInfo:ULTRAVISTAe ULTRASUONIfax 0668719573tel. 0668719549e 0668719545email:[email protected]:http://www.ilmanifesto.itimpaginazione:ab&c - Romatel. 0668308613ricerca iconografica:il manifesto

concessionaria di pubblicitá:Poster Pubblicità s.r.l.sede legale:via A. Bargoni, 8tel. 0668896911fax 0658179764e-mail:[email protected] Milanoviale Gran Sasso 220131 Milanotel. 02 4953339.2.3.4fax 02 49533395tariffe in euro delleinserzioni pubblicitarie:Pagina30.450,00 (320 x 455)Mezza pagina16.800,00 (319 x 198)Colonna11.085,00 (104 x 452)Piede di pagina7.058,00 (320 x 85)Quadrotto2.578,00 (104 x 85)posizioni speciali:Finestra prima pagina4.100,00 (65 x 88)IV copertina46.437,00 (320 x 455)

stampa:LITOSUD Srlvia Carlo Pesenti 130,RomaLITOSUD Srlvia Aldo Moro 4 20060Pessano con Bornago (Mi)

diffusione e contabilità,rivendite e abbonamenti:REDS Rete Europeadistribuzione e servizi:viale BastioniMichelangelo 5/a00192 Romatel. 0639745482Fax. 0639762130abbonamento ad Alias:euro 70,00 annualeversamentisul c/cn.708016intestato a Il Manifestovia A. Bargoni, 800153 Romaspecificando la causale

In copertina il frontespiziodel libro di Amos Vogel«Film as a subversive art»

ROBA DA MATTI●●●Enrico Pitzianti, regista cagliaritano, entra nella strutturaassistenziale di Casamatta a Quartu Sant’Elena, all’avanguardia nel suocampo, dove sono ospitate da 17 anni sette persone con disagi mentaliche si trovano nella situazione di dover trovare in breve tempo unanuova casa che li accolga perché sotto sfratto e anche nell’impossibilitàdi fronteggiare le spese. Emergono le capacità organizzative di GisellaTrincas, tra i fondatori della struttura e presidente dell’Asarp(associazione sarda per l’attuazione della riforma psichiatrica), destinataa familiari e volontari, con l’obiettivo di rivendicare la pratica

attuazione della legge 180. Prendono sempre più forma neldocumentario le diverse personalità dei protagonisti che cercano diimmaginare il loro futuro: chi sogna la nuova casa, chi una nuova vitacon il fidanzato, e per tutti è evidente come l’idea di riprendersi la vitasia una realtà, delineata con affettuosa partecipazione. Il film, unaproduzione indipendente, ha avuto un grande successo in Sardegna egrazie alla partecipazione popolare lo sfratto, se non rientrato, è statodilazionato. Già distribuito nelle sale del «continente», dopo Roma,Milano, Genova e Torino esce anche al Lumière di Bologna il 28maggio, il 29 al Fronte del Porto Cineclub di Padova, il 21 giugno alcinema Ariston di Trieste, nella prima serata alla presenza del regista

INTERVISTA ■ ENRICO PITZIANTI

Dalla Sardegnasi spalancanoi cancelli apertidella «casamatta»

dal 1953 è sposata con FrancoBasaglia, direttore da qualche mesedell’ospedale psichiatrico di Gorizia,e hanno due figli piccoli, Enrico eAlberta. Fino ad allora hanno vissutotra Venezia e Padova, Francolavorando nella clinicaneuropsichiatrica nell’Università diPadova, Franca occupandosi dellafamiglia ma non rinunciando acoltivare la passione per la scrittura.Ha scritto infatti il testo diun’edizione dell’Odissea disegnatada Hugo Pratt, che ancora non avevacreato Corto Maltese e che daquando erano ragazzi era amico diFranca e di suo fratello, lo scrittoreAlberto Ongaro. Le avventure diUlisse erano uscite a puntate sul«Corriere dei Piccoli», per il qualeFranca Basaglia aveva anche scrittoalcune favole e una riduzione delromanzo di Louisa May Alcott,Piccole donne. L’impatto conl’ospedale psichiatrico dirotta peròin poco tempo quello che forse eraun progetto di vita. Franca Basagliasmette con la letteratura, comincia afare la volontaria nei reparti, studiasociologia e psicologia, partecipa allediscussioni dell’équipe che nelfrattempo si sta allargando, va perqualche settimana a Melrose, inScozia, nell’ospedale psichiatrico diDingleton per vedere da vicino comelavora Maxwell Jones, che staconducendo all’epoca il primoesperimento di gestione di un interoospedale psichiatrico in forma dicomunità terapeutica.

Le immagini con cui FrancaBasaglia racconta il manicomiorivelano una cultura che appartienea tutto il gruppo di Gorizia ma checaratterizza lei in modo speciale.Dimostrano dimestichezza con imeccanismi istituzionali, abilità nelcogliere e decodificare i giochi dipotere attraverso i dettagli e i riti delquotidiano, capacità di leggere illinguaggio dei corpi, degli oggetti,degli spazi. Questa cultura si cogliegià nel contributo, il primo cheFranca Basaglia firmaindividualmente, al volume che

presenta il lavoro di Gorizia e cheesce nel 1967 con un titolocoraggioso ed esplicitamentesartriano, Che cos’è la psichiatria?. Aquel libro, curato da Franco Basagliae pubblicato dalla Provincia diParma con, in copertina, unautoritratto di Hugo Pratt in divisada internato, Franca Basagliapartecipa con un saggio cherappresenta bene, tra l’altro, il lavorodi innovazione culturale di queglianni. Commenta infatti il testo Lacarriera morale del malato mentaledel sociologo americano ErvingGoffman, in realtà un capitolo dellibro Asylums, che Franca Basagliasta traducendo e che uscirà l’annoseguente, nel 1968, conun’introduzione dei Basaglia.Asylums sarà la prima opera diGoffman pubblicata in Italia. Questolibro, sull’onda del successo cheaveva avuto qualche mese prima lapubblicazione di L’istituzionenegata, avrà in Italia un’eco chesorprenderà lo stesso Goffman,uomo originale e schivo con cui iBasaglia entrano in sintonia. DiGoffman, Franca Basaglia tradurràanche Il comportamento inpubblico, e Goffman scriverà uncontributo per il volume Crimini dipace.

Tra il 1966 e il 1970 l’attività diFranca Basaglia diventa intensa:scrive per diverse riviste e nelfrattempo partecipa con tutto ilgruppo di Gorizia all’elaborazione diL’istituzione negata. Rapporto da unospedale psichiatrico. Nel suocontributo, Rovesciamentoistituzionale e finalità comune,Franca Basaglia propone alcuni deitemi su cui lavorerà anche negli annisuccessivi: il nesso tra libertà eresponsabilità, la vitalità el’inevitabilità del conflitto. Metterein questione i ruoli istituzionaliinduce una «problematizzazionedella situazione, (...) una messa incrisi generale e individuale insieme»,nella quale si oscilla

●●●Sembra un brutto incubo o unfilm dell’orrore invece è pura realtà,abbiamo potuto vederlo in undocumentario realizzato duranteun’«irruzione» a sorpresa dal senatoreUmberto Marino del Pd, i manicomicriminali, adesso li chiamano O.P.G. masono sempre gli stessi, in Italia esistonoancora e sono pieni di «rifiuti umani» dicui nessuno ha voglia di farsi carico, cihanno detto che presto li chiuderanno,dovrebbero farlo nel 2013 speriamo chesia vero, perchè le immagini rimbalzatedalla televisione nelle nostre case eranocosì tragiche da non potersi sostenere inun dopocena casalingo senza provocareun impulso di rigetto, e le storie che ipoveri disgraziati rinchiusi in questiluoghi di tortura raccontavano,affannandosi disperatamente davanti allatelecamera, altro non sono che unelenco penoso di piccoli eventi diordinario malessere, di solitudini eabbandoni, di tragiche casualità opremeditate cattiverie. Gente chemagari paga da ventanni una rissa dopouna sbronza troppo molesta finita indenucia penale con la reclusione forzatain manicomio criminale solo perchè nonha una famiglia disposta a riaccoglierli,perchè la diversità è scomoda e fa paura.

Per esperienza personale posso diredi aver faticato per oltre due anniinsieme ad un gruppo di amici per tirarfuori dal manicomio criminale unbravissimo attore purtroppo alcoolistache in preda a coma etilico si eralasciato andare a rissose minacce controil corpo dei Carabinieri e da loro erastato denunciato e quando dovevaessere rilasciato, non essendo riuscito atrovare nessuna comunità che se nefacesse carico, è stato spedito, ormai piùlucido di una palla di cannone ad Aversa.

Parlo di questo argomento perchè inquesti giorni esce «Salute/malattia» diFranca Ongaro Basaglia moglie e strettacollaboratrice di Franco Basaglia, che è ilterzo volume della collana «180.Archivio critico della salute mentale» ed.Alpha Beta Merano.

Ne parlo perchè in questo periodo ditagli e di restaurazione mi chiedo chefine faranno tutti quegli ospiti altroveindesiderati. In tempi di medicalizzazioneforzata, in cui qualcuno ha perfino ilcoraggio di rivalutare gli elettroshock,sarebbe molto importante farconoscere il punto di vista di questa fineintellettuale che propone di guardare evivere la malattia mentale dal punto divista del soggetto, addirittura laconsidera un’opportunità di crescita econsapevolezza per il malato stesso,tutto il contrario dell’oggettivazionedella malattia dal punto di vista medicotanto in voga adesso.

Si sa che la legge 180 è stata realizzatasolo a metà, i manicomi sono statichiusi, tranne quelli criminali, ma nonsono state create, a parte qualche casoraro , situazioni alternative in grado diaccogliere chi ha disagi mentali, eppurela società in cui viviamo è sempre piùmalata. Siamo così pieni di problemi«reali» da non renderci neanche contodi vivere in un continuo controsenso iparlamentari guadagnano in un mesequello che la gente normale guadagna inun anno, la società è al 50% compostada donne eppure [VSOM]siamo dasempre governati da uomini, cito soloqueste due banalità tanto perricordarmi che i pazzi veri siamo noiche accettiamo supinamente un sistemache di sano non sembra avere più nulla.

A Gorizia fino al 20 maggio si tiene èStoria, l’ottava edizione del festivalinternazionale della storia con 150 ospiti e 70 eventi, dedicato quest’anno ai Profeti diogni periodo storico. Il festival è stato inaugurato con eventi dedicati al Milite Ignotocon itinerari dedicati alla prima Guerra e il concerto-proiezione di Karl Jenkins. Laserata finale è dedicata a Moni Ovadia e al suo nuovo recital «Il registro dei peccati»(Tenda Erodoto, ore 20), dedicato alla scoperta della cultura degli ebrei del centro edell’est dell’Europa, un abbraccio di solidarietà fra tutti i popoli e le religioni dellaterra. Sabato 19 ai Giardini pubblici (tenda Apih ore 21.30) proiezione del film muto«Gloria: apoteosi del soldato ignoto» in collaborazione con la cineteca del Friuli. Nelcorso del festival si presenta la riedizione del libro «Salute/Malattia» storico saggio diFranca Ongaro Basaglia (ed. Alphabeta Verlag per la collana 180 diretta da PeppeDell’Acqua con la proiezione di «La favola del serpente» realizzato nel ’68 dalfinlandese Pirrko Peltonen nel manicomio di Gorizia. Si possono seguire gli eventi instreaming su www.èstoria.it tra cui Corrado Augias (ore 18 di sabato) insignito delpremio FriulAdria che interverrà su «La speranza e l’attesa di libertà».

di SILVANA SILVESTRI

●●●Racconta l’esperienza riuscita moltobene di una residenza che accoglie alcunepersone con disagio psichico Roba da mattidi Enrico Pitzianti, stagione di grandesuccesso alla sua uscita in Sardegna ed oradistribuito in varie città. Il problema dellacasa era l’impossibilità di tenerla ancora.

●Come è stato accolto il film?Piace molto, emoziona, trasmette emozioni,attira pubblico e le associazioni. Sono ancorasotto sfratto, il film è servito per allungare itempi dello sfratto, poiché in Sardegna haavuto molta risonanza , così il padrone dicasa per non avere problemi ha deciso chefino al 31 dicembre non avrebbe mandatol’ufficiale giudiziario. Però da lì se nedovranno andare.

●Dà l’impressione di un esperimentoriuscito secondo le indicazioni di BasagliaL’apice della filosofia basagliana, la massimaespressione di quello che aveva in menteBasaglia almeno in parte, era il rapporto congli utenti, la libertà delle persone chepossono entrare e uscire, i «cancelli aperti».Poi lui aveva pensato ben altro rispetto alladislocazione dei servizi territoriali, ma quellaè un’altra storia. Io più volte mentremontavo il film pensavo: se Basaglia fosse invita cose avrebbe pensato guardando il film?Ed era un contraddittorio virtuale.

●La situazione è veramente disastrosa inItalia, non è che ce ne siano tante diiniziative come questa.Non ce ne sono soprattutto perché il puntoforte di queste realtà sono i familiari. È graziea loro che stanno in piedi. In questo caso,capitanati da Gisella Trincas hanno avuto laforza e il coraggio di mettere su una strutturadel genere. Gisella che è la sorella di unadelle ospiti della casa, è una donna di grandeumanità, coraggio, forza. Sull’idea di base siè costruita questa realtà perché c’è ilsupporto dei familiari.

●Attraverso questi ostacoli si vedonoreazioni magnifiche, gli ospiti cheimmaginano il futuro, fanno progettiUna delle caratteristiche dell’ approcciobasagliano è quello della speranza di unfuturo, di una guarigione, di un progetto. Nelmomento in cui gli utenti fanno un progettoper una vita migliore è già un grande passoavanti. Nel momenti in cui una cerca la casaper andare a vivere con il fidanzato oun’altra dice «andiamo a vivere insieme»sono dei grandi passi in avanti. Poi bisognavedere se li faranno o meno, però già lasperanza e lo stimolo di farli è già un passoavanti nella cura della malattia mentale

●Tu ti sei occupato di questo argomento

perché hai fatto studi di psicologia?No, mi colpiva che questa storia si svolgessea casa mia e rischiasse di finirenell’anonimato perché se poi non c’è unadocumentazione concreta della storia diquesti quindici anni, sai bene che lamemoria in questo paese è molto corta.Quindi c’era la necessità di raccontareun’esperienza così straordinaria e diraccontarla come la so raccontare io, quindiè l’istinto che mi ha spinto a farlo. E in più ilcoraggio di Gisella che mi ha fatto entrarecon la macchina da presa dentro casa perchéin questi casi si tende a nascondere il disagiomentale e non ad aprire le porte. Ho posto lacondizione che dovevo essere libero di girarenella casa e lei ha accettato. Hanno fatto unariunione, tutti hanno dato la loroapprovazione in assemblea e io sono entratoin casa.

●Erano curiosi delle riprese?Sì però poi io ero uno di loro, un misto traun operatore e un confidente, dopo un po’anche la mia presenza diventava qualcosa dinormale. Il migliore risultato del mio lavoroè stato quello di diventare trasparente.

●So che le proiezioni pubbliche hannosuscitato molte discussioniLe proiezioni più belle sono state nellescuole in Sardegna quando gli utentiandavano a presentare il film e venivanointervistati dai ragazzi, diventavanoprotagonisti e attori in piena regola di unfilm. Per loro sono stati i momenti più belli.

●Quali erano le domande dei ragazzi?Chiedevano del fidanzamento o dovevolevano andare a vivere, però una ragazzinadi 11 anni ha detto: «mamma ma quegliattori sono persone normali». Questo è statoil grande messaggio del film, il superamentodel pregiudizio. Ho voluto raccontare lanormalità della cosiddetta «follia» mentre misono poi dovuto mettere a raccontare lafollia provocata dalla cosiddetta «normalità»,le denunce, le vendette, le ispezioni dei nas,tutte le cose poco chiare che sono successe.

SEGUE A PAGINA 5

Una delle piùavanzate strutturedi accoglienza,a Quartu Sant’Elena,rischia la chiusura.Un film raccontala sua storia

Nella pagina accanto un ritrattodi Franca Ongaro BasagliaIn grande, Franco Basaglia durante lapreparazione della mostra fotografica suimanicomi a Parma nel 1968 (foto CarlaCerati)e sotto, ritratto da Claudio Ernè.Entrambe le immagini sono tratte dal sitowww.francobasaglia.org. A pag 2 anche ilmanifesto del festival èStoria

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(4) ALIAS19 MAGGIO 2012

CRITICA CINEMATOGRAFICA

È scomparso a 91 anni il teorico capostipitedei programmatori di sale, flusso ininterrotto difilm, avanguardia, surrealismo e passionepolitica, fondatore dello storico Cinema 16

di RINALDO CENSI

●●●Se n’è andato in sordina, unapaio di settimane fa, il 24 aprile. Il 18aveva appena compiuto 91 anni.Amos Vogel (all’anagrafe Vogelbaum)era nato nel 1921 a Vienna e a 7 anni,per il suo compleanno, aveva ricevutoin regalo una lanterna magica,completa di slides colorate. Robertsone Ingmar Bergman hanno benspiegato cosa significhi restareammaliati da queste variazioniluminose: è qualcosa di magnetico einsieme luciferino (cos’è il cinema senon una proiezione di luce?).Qualcosa come un segno del destino,per chi, come lui, era destinato adiventare uno dei più genialiprogrammatori di film che il cinemaabbia mai conosciuto. Ed era dunquedestino che a 11 anni ricevesse inregalo il primo proiettore a manovella9.5 millimetri, Pathè Baby, su cui farscorrere i film di famiglia insieme allecomiche di Chaplin e ai film dianimazione con Krazy Kat, MickeyMouse. «Mi divertivo anche a farscorrere le comiche a ritroso –racconta Vogel a Scott MacDonald –per il gusto magico di trasformare,sovvertire la realtà».

Amos Vogel deve essere stato unodei più giovani frequentatori deicinema viennesi. Dodicenne siintrufola tra le file delle poltrone,gremite da centinaia di spettatori:vede film tedeschi delle origini, filmrussi (poi vietati a partire dal 1934).Ricorda di essere statoprofondamente colpito da Night Mail(1936), diretto da Basil Wright e HarryWatt, a cui avevano collaborato W. H.Auden, Alberto Cavalcanti e BenjaminBritten. «A causa di quel film, il

concetto di film documentariodivenne per me di crucialeimportanza. Realizzaiimmediatamente che si trattavadavvero di un film poetico, e mi stupiidi come un soggetto così noioso – illavoro presso il sistema postalebritannico – potesse essere stato resoin maniera così interessante».

Non è che a 12 o 13 anni, davanti aquesto film, Amos Vogel abbia vistonitidamente nella sua vita futura.Eppure qualcosa emerge, forse lasciaun segno. Anche se le intenzionierano ben altre. Ragazzo colto, lettoreaccanito (Dos Passos, Zola, Whitman,Walpole, Twain in traduzione e gliautori tedeschi in lingua originale),faceva all’epoca parte di una cerchiadi giovani socialisti-sionisti. Ragazze eragazzi la cui intenzione era ditrasferirsi in un kibbutz in Israele(quando Israele non era ancoraIsraele): «Volevamo costruire uninsediamento dove nessuno sarebbestato proprietario terriero, dove laproprietà privata era esclusa, e ilreddito sarebbe stato suddiviso, come

in una vera democrazia partecipata».L’idea utopica di uno statoarabo-ebraico. Ma nel 1938 Hitlerinvade l’Austria. Il padre di Amos, unavvocato, fa in tempo a chiedere unvisto, in quota polacca, pressol’Ambasciata americana a Vienna.Tempo di attesa: 6 mesi. I Vogelbaumpartono senza un soldo; gli ultimidenari vengono spesi per il viaggio: suuna nave tedesca. Passano 6 mesi aCuba, in attesa di poter entrare negliStati Uniti. Un bel periodo. Batistanon è un santo, ma Amos studial’inglese e vede moltissimi filmamericani. Entra negli Stati Uniti conla speranza di raggiungere i suoicompagni nel kibbutz in Palestina.Per questo studia agraria. In Georgia.Passa dai cartelli affissi sulle panchinedei parchi di Vienna, col divieto aicani e agli ebrei di sedersi, a quelliben in vista sulle fontanelleamericane, per «soli bianchi». Lavoraper due anni nelle fattorie del NewJersey, poi, deluso per come i sionististavano gestendo la questione araba,decide di non essere più un sionista.

Capisce di aver programmato la suavita per qualcosa in cui non crede più.Lascia le fattorie. Si diploma inscienze politiche presso la NewSchool for Social Research di NewYork. Si arrabatta con lavori di ognigenere. Incontra nel 1942 la donnache diverrà sua moglie, Marcia.Riscopre il cinema.

A pensarci bene, è come se diversipezzi di un puzzle improvvisamentearrivassero a combinarsi tra loro. Lapassione politica, l’idea di unacomunità di individui, incontra l’ideache un film, qualunque tipo film,abbia qualcosa da dire, e che tuttoquesto possa essere condiviso.Documentari scientifici, filmeducativi, cartoni animati, filmd’avanguardia: Amos Vogel si accorgeche oltre ai film mainstream diHollywood esiste un mondo diimmagini (spesso fissato su pellicola16mm.) che attende di esseremostrato, portato alla luce. Ne ha laconferma una sera, presso laProvincetown Playhouse, dove MayaDeren organizza la proiezione dialcuni suoi film. È la vera scintilla.Meshes of the Afternoon, realizzatoinsieme al marito di Deren, AlexanderHammid, colpisce così a fondo Vogeltanto da convincerlo a organizzare asua volta delle seratecinematografiche. Setaccia ledistribuzioni di New York, molestaaventi diritto chiedendo di vedere imateriali lì depositati. Perché permostrare, bisogna aver prima visto ifilm. È uno dei principi su cui Vogelnon transigerà mai (non riesconeppure a immaginare quanti metridi pellicola abbia visto, o quanti neabbia fatti scorrere tra le mani). Adogni film corrisponde una scheda dilettura. È un lavoro meticoloso maimprescindibile. Sinonimo diaccuratezza, riflessione, attentavalutazione. Le cose non si fanno acaso. O all’ultimo minuto. AmosVogel comprende che a New York c’èspazio per qualcosa che va oltre ilsemplice intrattenimentohollywoodiano. Nel 1947 affitta laProvincetown Playhouse per unagiornata; organizza due proiezioni:alle 6 e alle 8 di sera. La sala ha 200posti a sedere. Il successo è folgorantee immediato. La sala gremita. Tanto

che Vogel dovrà ripetere ilprogramma per ben 16 volte. «Non hodubbi – ricorda con modestia – che seavessi scelto altri film, la cosa avrebbefunzionato comunque. Quest’idea hafunzionato, non perché io fossi uneccellente programmatore, oqualcosa di simile, ma perché dellecircostanze storiche hanno permessoal Cinema 16 di colmare un verobisogno sociale».

Cinema 16 è il nome che Vogelsceglie per il cine-club che sioccuperà della programmazione e poiin seguito della distribuzione dei filmpresentati nelle sale newyorkesi. È un«cine-club per spettatori adulti»,un’attività culturale non-profit, nataper far accrescere con le sueproiezioni di film d’avanguardia l’ideadel cinema come potente formad’arte; con i film scientifici, idocumentari sociali, educativi siprefissa invece il compito di allargarela conoscenza della natura delmondo, la sua realtà nascosta. Su unmanifesto, la lettera C di cinemaaccoglie i due rulli che proiettano unfascio di luce (manifesto dal gustocostruttivista). Sul fondo le scritte:arte, surrealismo, classici del cinema,film colorati a mano, documentarisociali, film medicali e psichiatrici,studi psicologici, astrazioni colorate,film d’avanguardia, antropologia,scienza. La nozione di choc e dicambiamento è di crucialeimportanza. «Mi sono sempreconsiderato un socialista radicale, ecuriosamente ho sempre pensato cheanche un film sulla cosmologia o unostudio psicologico o un filmd’avanguardia possano avere unafunzione positiva, aiutare a migliorareil mondo. Ci allontanano da dovesiamo ora, schiudendo nuovepossibilità». È l’idea di unaprogrammazione intesa come«montaggio» eclettico dei materiali. I

film si urtano facendo emergerestrane costellazioni impensate. Nonsono i film, ma è il cinema che simette in movimento. Saltano glisteccati, le immagini circolano libere.La finzione, il documentario: Vogel neesplora i limiti. Apre brecce. Leimmagini circolano, si scontrano, siattraggono. Neppure Henri Langloisaveva osato tanto. Lo spettatore vienecolto di sorpresa e le reazioni non sifanno attendere. Il pubblico si dividein fazioni. C’è chi mal sopporta i filmd’avanguardia e si lamenta con Vogel:«Mi ha fatto venire l’emicrania!» Gliintellettuali invece non amano idocumentari sociali («il realismo nonesiste!»). Vogel, dal canto suo, amasorprendere tutti. Comprende che le«emicranie» degli spettatori sono diordine ideologico. E non fa nulla percurarle. Preferisce perdere quei pochispettatori piuttosto che compiacerli.Decide di proiettare ad esempio unfilm proibito, un film di propagandanazista di Fritz Hippler, Der ewigeJude. Il film, fermato alla dogana,viene sbloccato grazie a una lettera aidoganieri scritta da Sigfried Kracauer,come lui un rifugiato ebreo; vengonospiegate le intenzioni dellaproiezione. Molti ebrei non hannoperdonato a Vogel quella serata.Eppure quel film – il cuore nero –andava mostrato.

Dal 1947 al 1963, anno della suachiusura, il cine-club Cinema 16 èsopravvissuto senza chiedere undollaro, in completa indipendenza,senza fondi o finanziamenti di privati.Settemila i soci. Tra questi,frequentatori come Susan Sontag,Meyer Schapiro (Vogel rimase moltoinfluenzato dalle sue lezioni sull’artemoderna), Ad Reinhardt, MarlonBrando, e poi tutti gli scrittori Beat. Emi chiedo se William Burroughs (avràfrequentato la sala dalle parti diLexington?) non abbia tratto

Amos Vogel, il filmcome arte sovversiva

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(5)ALIAS19 MAGGIO 2012

MALEDIMIELE●●●Le prime due proiezioni milanesi di Maledimiele di Marco Pozzi si tengono sabato 19maggio al Cinema Mexico (via Savona, 57). Ritratto di Sara (Benedetta Gargari, premiata alfestival di Annecy), 15 anni, che si avvia implacabile verso l'anoressia come rifiuto di un piano divita assegnatole, tra amiche stupefatte e genitori, di media borghesia e sensibilità, disperati: lui(Gianmarco Tognazzi) oculista, strimpella Satie, lei (Sonia Bergamasco), compassionevole efilantropa organizza mostre fotografiche e altro, ma entrambi non ci sono. Non viene utilizzatostrumentalmente per stigmatizzare, educare, colpevolizzare nessuno. Nel cast Isa Barzizza.(Alla proiezione delle 16 saranno presenti Marco Pozzi e Gianmarco Tograzzi, alle ore 21Marco Pozzi e il cast. Il film rimarrà in programmazione al Cinema Mexico da domenica 20

ispirazione dal montaggio spiazzantedei programmi di Vogel. Quelrepentino spostarsi da un noir a undocumentario su una rara specie dipesce tropicale (magari il Candirù,presente in Naked Lunch), oun’operazione chirurgica, l’analisi dicristalli chimici al microscopio,questa zigzagante mobilità non èforse presente, non fonda la suascrittura?

Quando la sala chiude, l’elenco deicineasti e dei titoli presenti nelcatalogo è impressionante: si passa daMaya Deren a Georges Franju, dainomi più altisonanti dell’avanguardiaa Charles Chaplin. Non c’è tempo perraccontare di come Jonas Mekasabbia in un certo senso lavorato perscalzare Amos Vogel. Gli attacchi sulVillage Voice, la fondazione dellaFilm-makers’ Cooperative. Il suosettarismo e la sua miopia, la suasicumera da parrocchia, il suoportamento da «Papa underground»(«The Great Lobster», il grandeparassita, lo chiamava Jack Smith). Dagentiluomo, Amos Vogel risponderàindirettamente a Mekas nel 1967,sulle pagine dell’Evergreen Review,criticando le sue scelte (e il NewAmerican Cinema) in un testolucidissimo e implacabile intitolatoThirteen Confusions (reperibile sulprimo numero della rivista on lineFilmidee, insieme a uno specialededicato ad Amos Vogel). Mekas èl’avanguardista ortodosso, tanto dasfociare nel dogmatismo più ottuso.Vogel, al contrario, aveva unacuriosità onnivora, gusto eclettico,grande cultura, cervello fino esguardo vigile (con i programmi deifilm mette in atto inconsapevolmentequella pratica del «buon vicinato»applicata da Aby Warburg ai libri dellasua biblioteca). Dirige e cura insiemea Richard Roud il New York FilmFestival, seleziona i film americani peril Festival di Cannes. In seguitoscriverà Film as subversive art(Random House, 1974), tradotto initaliano nel 1980 da Studio Forma,nella bella veste grafica di Enzo Mari.Insegnerà presso l’università diHarvard e all’Annenberg School ofCommunications (Università dellaPennsylvania), dove fonda unacineteca e insegna fino al 1991.

Ecco, Il cinema come artesovversiva è un libro che andrebberistampato e studiato in tutte leuniversità italiane. Il quel libro ilcinema è materia incandescente, nonqualcosa di morto: il montaggio,l’idea di concatenazione... insomma,un concentrato di acume esottigliezza figlio di un sapereaccumulato in ore di proiezioni. Ognifilm è una costruzione che obbliga lostorico del cinema o della cultura aripensare costantemente gli oggettidella sua indagine. Andrebbeconsigliato anche ai programmatoridelle cineteche nostrane, un tantinofermi al modello «omaggio a», oppure– faute de mieux – «il cinema di».Come afferma lo stesso Vogel: «Intermini di programmazione, laformula del Cinema 16 potrebbeessere ancora usata con successo».Non stento a crederlo.

Per Scott MacDonald, storico delcinema e autore dell’imprescindibileCinema 16. Documents Towards aHistory of the Film Society (WideAngle Books / University PressPhiladelphia – 2002), libro checontiene una lunga intervista a Vogelqui citata, Film as subversive art è ilresoconto di un periodo storicocruciale (il libro è dedicato alla moglieMarcia, a Steven, Loring – e al Cinema16): la messa in pagina del lavorosvolto negli anni del cine-club. Quellibro, tra fotogrammi di film rarissimi,forse ormai perduti, e liste diprogrammi eccentrici, politici, resta latraccia tangibile di come delleimmagini instabili, deperibili,potessero – se studiate, accostate condovizia e attenzione – fungere daattrattori di energia (anche psichica).Una sottile detonazione invisibile,elettrica, si sprigiona in tutta la sala. Ilcinema non era nato forse anche perquesto? Avrei voglia didomandarglielo.

SEGUE DA PAGINA 3

LA CRITICA ■ AMOS VOGEL

Contro la trama,la narrazione,i tabù, la morale,i valori, l’artista

«L’arte non potràmai prendereil posto dell’azionesociale,ma il suo compitoresta inalterato:cambiarele coscienze»

Nella pagina accanto: «Il coraggio quotidiano»di Ewald Schorm (’64), manifesto di Cinema16, Buster Keaton, Amos Vogel. In questapagina: Vogel da ragazzo e con Hitchcock

continuamente «tra il bisogno diun’autorità (che elimini o diminuiscal’ansia prodotta dalla dimensione incui l’intera istituzione tende amuoversi: la responsabilizzazione), eil bisogno di conquistare una libertàche passa attraverso la conquistadella propria responsabilità», e chevale tanto per i malati quanto per imedici. La prospettiva non può essereuna semplice «’democratizzazione dirapporti’, che rischierebbe di esserefine a se stessa» riproponendo ungioco fisso di ruoli. La prospettiva è lacontinua ricerca di «andare oltre lasuddivisione dei ruoli», in un«movimento dialettico (...) che nonpresume di risolvere i conflitti, ma diaffrontarli a un altro livello».

In quest’ottica Franca Basagliacomincia a lavorare anche sull’altrotema che costituisce la trama dellasua ricerca e del suo impegno, l’esseredonna e il rapporto tra donne euomini. L’inizio, come racconta leistessa, era stato emblematico. Avevascritto «nel ’68, quando si parlava dirivoluzione come se ne fossimo allavigilia, un articolo, un po’ sfasatorispetto alla politicità del momento,sulle difficoltà del rapporto privatodonna-uomo». L’articolo, che anticipauno dei temi del movimentofemminista, «poneva l’accento sullacoerenza necessaria, in chi tenta dilottare contro ogni tipo disopraffazione, fra il privato e ilpubblico». L’articolo vennepubblicato su Che fare?, una rivistaimportante della sinistra a cui ilgruppo di Gorizia collaborava, ma «laredazione 8...) evidentementeperplessa di fronte a un testoambiguo che tentava di parlare, al dilà della lotta di classe, della politicitàdel quotidiano attraverso una storia disubordinazione della donna» sidissociò con un titolo inequivocabile:Confessione sbagliata.

Per alcuni anni Franca Basaglianon scrisse su questi temi, o meglioscrisse due testi brevi, Grillo parlante(1970) e Il soldato e la spada (1972),che pubblicò solo nel 1982nell’antologia Una voce. Riflessionisulla donna, in un capitolo intitolatoMonologhi, che si conclude con untesto molto bello, Congedo (1980).Qui, i temi che le sono cari e cheritroviamo in alcuni scritti firmati conFranco Basaglia – «l’utopia di unrapporto che per ora si realizza solonel conflitto, come l’utopiadell’eguaglianza si realizza solo nellalotta per raggiungerla» – si mescolanocon un accenno diretto al suorapporto con Franco morto da poco.«Ora che la mia lunga lotta con econtro l’uomo che ho amato si èconclusa, so che ogni parola scritta inquesti anni era una discussione senzafine con lui, per far capire, per farmicapire. Talvolta era un dialogo.Talvolta l’interlocutore svaniva e iorestavo sola sotto il peso di una veritàche si riduce a un’arida resa dei conticon il bilancio in pareggio, se l’altronon la fa anche sua.»

Franca Basaglia aveva ripreso ascrivere sulla questione donna nel1977, introducendo i libri di PhyllisChesler Le donne e la pazzia e diGiuliana Morandini E allora mihanno rinchiusa. L’anno successivoscrive la voce «Donna» perl’Enciclopedia Einaudi e cura laripubblicazione del testo di unneurologo tedesco di un certo rilievo,Paul Julius Möbius, che era uscito nel1900 ed era stato tradotto qualcheanno dopo da Ugo Cerletti,l’inventore dell’elettroshock. Il testo,esplicito fin dal titolo, L’inferioritàmentale della donna, «può trarre ininganno», avvertiva Franca Basaglianella sua introduzione, «e indurrecommenti pesantemente ironici» chepossono sottovalutare quanto invece«sia ancora presente nella nostracultura, seppure mascherato,trasformato, tradotto in linguaggidiversi» l’argomentare positivista allaMöbius che «ricorre alla creazione diuna natura che, di volta in volta,assume la faccia più adeguata all’usoche si vuol farne».

Franca Basaglia firma anche, nel1980, l’introduzione di un libro nato

da un momento importante dellebattaglie femministe, Un processo perstupro. Si tratta del primo resocontotelevisivo di un processo che si erasvolto a Latina nel 1978 e che, ripresoda un gruppo di registe dellatelevisione, era stato mandato in ondanel 1979. Il reportage aveva mostratoil gioco del dibattimento chetrasformava la vittima in imputata,con le madri a difendere i figlistupratori e «quell’atmosfera dacaserma» – come scrive FrancaBasaglia – «che avvolgeva l’interotribunale in una complicità tuttamaschile».

Tra i diversi lavori scritti o curaticon Franco Basaglia, su due ènecessario soffermarsi, sia per il lorovalore intrinseco sia perchérappresentano bene le scelte e ilpercorso di Franca Basaglia. Il primoè Morire di classe. La condizionemanicomiale fotografata da CarlaCerati e Gianni Berengo Gardin...L’idea di fondo era che i meccanismidi esclusione avrebbero potuto esseremessi in questione se il problema delmanicomio fosse uscito dall’ambitodegli specialisti... Il secondo libro darichiamare è Crimini di pace, checoinvolse intellettuali come MichelFoucault, Robert Castel, NoamChomsky, Ronald Laing, ErvingGoffman in una discussione sul«ruolo degli intellettuali e dei tecnicicome addetti all’oppressione»...

Intorno al ’75 arrivò da Einaudi,che aveva avviato un ambiziosoprogetto di Enciclopedia, alcune voci,gran parte delle quali relative allamedicina. Franca Basaglia affrontòsostanzialmente da sola questa faticanuova e di grande respiro. Nelleprime pagine del capitolo ClinicaFranca Basaglia esplicital’orientamento che seguirà in tutto illavoro: non «una ricerca archeologicasull’organizzazione del saperemedico, (...) sull’evoluzione dellascienza e del mutare della malattia»,ma il tentativo di vedere la malattia,oltre che come «fenomeno naturale»,come «prodotto storico-sociale, il cuivalore e significato mutano con ilmutare di ciò che è – perl’organizzazione sociale in cui si trovainserito – l’uomo che ne è portatore».

...Per questo oggi che siamo colpititanto dalla condanna alla salutequanto dalla minacciosa crescita delledepressioni, l’approccio di FrancaBasaglia risulta più prezioso e vieneda domandarsi come mai il terreno sucui lei ha cominciato a lavorare siastato così poco attraversato: anche lei,del resto, non ha più potuto dedicarsiche in modo episodico alla ricercacritica sulla medicina e in generaleallo studio. Nel 1983, infatti, il Partitocomunista le propose la candidaturacome indipendente al Senato, dove fueletta per due legislature e aderì algruppo parlamentare della Sinistraindipendente...Il suo impegno, ecertamente il suo successo principale,fu il disegno di legge di attuazionedella 180 che presentò per la primavolta nel 1987 con le firme di tutto ilsuo gruppo parlamentare. InParlamento in quella fase c’erano unadecina di disegni di legge chevolevano variamente scardinare la«legge 180», come si continuava achiamarla. Da parte dei ministri dellaSanità non arrivava alcun gesto digoverno, le regioni facevano leggi avolte buone che disattendevanosistematicamente, e soprattutto nonsi aveva idea, neppure quantitativa, dicosa accadesse nelle vecchie e nuoveistituzioni psichiatriche. Ma c’eranomolti gruppi, di ascendenze eorientamenti diversi, che lavoravano amettere in piedi servizi di salutementale degni di questo nome, e c’erail gruppo storico di Trieste, che ametà degli anni ottanta aveva giàorganizzato l’intero sistema locale deiservizi di salute mentale. Infinec’erano i familiari, tanti gruppi eassociazioni, che cominciavano acapire l’inganno dietro alle promessedi mettere tutto a posto con unacontroriforma. Il primo progetto«Obiettivo salute mentale» arrivò nel1989, due anni dopo il disegno dilegge di Franca Basaglia.

di ALESSANDRO STELLINO

●●●Gli amanti del cinema, gliindagatori curiosi, gli instancabiliricercatori non possono fare a menodi ricordare il momento in cui hannotenuto nelle mani per la prima volta illibro Il cinema come arte sovversiva diAmos Vogel. Le immagini – uncoacervo di stills tratte dai film diBuñuel, Jakubisko, Bertolucci,Richter, Pabst, Varda, Oshima,Marker, Herz, Antonioni, Schroeter,Polanski, Warhol, Bene, Jancsó,Metzger, Pasolini, Terayama, Chaplin,Franju e tanti altri – e i capitoli daititoli programmaticamente eclatanti –La distruzione della trama e dellanarrazione, L'eliminazione dell'artista,L'attacco al montaggio, Il trionfo e lamorte della camera mobile, L'attaccoa Dio: bestemmia e anticlericalismo –spalancavano agli occhi del lettore unapproccio irriverente nei confrontidella storia della settima arte, tutto ilpotere di un cinema corrosivo evitale, votato all'infrazione dei codiciprestabiliti. Non per puro spiritoiconoclasta o per gusto dello shockgratuito, ma nella convinzione chesolo attraverso l'incessante lavoro discardinamento del preesistente edelle sue attese il cinema possarinnovarsi, morire e rinascere dalleproprie ceneri.

«Questo è un libro sullasovversione di valori, istituzioni,morale e tabù esistenti, messa in attodall'arte potenzialmente più potentedel secolo; scettico nei confronti ditutta la saggezza ricevuta (compresala propria), delle verità eterne, delleregole dell'arte, delle leggi naturali eumane, verso tutto ciò che può essereconsiderato sacro. È un tentativo dipreservare le opere e i risultatisovversivi nel cinema». Con questeparole Vogel dava il via al proprio,personalissimo percorso alla ricercadegli scarti al convenzionale, glispostamenti progressivi compiutidall'immagine in movimento perliberarsi di ogni fardello imposto,sfuggire a qualunque forma direstrizione, e liberare così lospettatore, vittima alienata della«disneyficazione del globo».

Proclamando, alla maniera diBreton, che «l'unico mistero modernosi celebra al cinema», Vogel catapultail lettore in un prisma di rifrangenzescaturite della lotta tra luce e buio,vera e propria scintilla primigenia cheporta in nuce ogni possibiledeflagrazione dell'immaginario:«L'essenza del cinema non è la luce,ma un patto segreto fra luce eoscurità: metà del tempo passato alcinema dalle vittime di quest'artetecnologica è oscurità totale, nessunaimmagine passa sullo schermo, in unsolo secondo quarantotto momenti dioscurità si alternano a quarantottomomenti di luce, e sempre perché lapellicola si ferma nel proiettorequarantotto volte al secondo,l'immagine viene proiettata due volte,come una fotografia. (...) Quindi, permetà del tempo passato al cinema,l'occhio dello spettatore nonpercepisce alcuna immagine ecomunque il movimento non è maireale. Senza la complicità fisiologica epsicologica dello spettatore, il cinemanon potrebbe esistere».

Muovendosi con agilità edeclettismo tra autori e cinematografie

distanti nello spazio e nel tempo –dagli espressionisti tedeschi alla novávlna ceca, da Ejesenstein a Godard –Vogel ha gettato uno sguardoentusiasta su oltre mezzo secolo dicinema (il libro viene pubblicato nel1972 e da allora non è mai più statoaggiornato), inneggiando alla suanatura polimorfa e sfuggente, inperenne trasformazione, conl'avvertenza che l'abolizione di untabù implica anche la suasvalutazione e finale normalizzazione:una volta esibito e infranto, perde lasua carica sovversiva, e non rivestepiù alcuna minaccia. Ma il camminoè ancora lungo e i tabù da infrangerenon sono finiti: sono solo menoappariscenti di un tempo e perquesto ancora più pericolosi. Inun'epoca in cui l'opinionismo hapreso il posto della critica e

sovversione e omologazione tendonoa sovrapporsi in una deprivazionereciproca di significato, chi ha letto Ilcinema come arte sovversiva e ne hafatto proprio l'insegnamento (nonsono pochi i cinefili che amanoriferirsi ad esso come a «La Bibbia»,riconoscendogli una sacralità cheVogel avrebbe forse rifiutato) sa cheogni operatore culturale è unguardiano, per dirla con l'autore.

Il cinema che Vogel amava,sosteneva e diffondeva non è morto,ma sopravvive faticosamente aimargini di un'industria fagocitante,per rimanerne spesso stritolato. E se,ai tempi della globalizzazione, ogniluogo è allo stesso tempo centro eperiferia dell'impero, mai come oggila fruizione del cinema è aperta,disponibile, libera. I mediatori nonhanno scusanti, devono solo aggirarele nuove trappole del sistema ecombattere vecchie pigrizie, perché ilcinema, nelle sue forme piùinnovative, persiste lungo circuitialternativi e molteplici, lontano daquelli in cui si era soliti trovarlo.L'esercizio critico si deve adeguare diconseguenza e perseguire il proprioscopo vitale con la stessa difficoltosatenacia messa in campo dai piùcoraggiosi tra i registi, o finiranno perpassare per «buoni tedeschi»,cooperando allo sfacelo diffuso nonin virtù delle loro azioni ma del lorosilenzio.

Spiace ricordare Vogel ora che nonc'è più e averlo dimenticato per cosìtanto tempo, ma è d'obbligo, oggi piùche mai, seguire il suo esempio diattivista culturale radicato nellasocietà, e recuperare la sua eredità,offerta in dono nelle pagine finali dellibro: «L'arte non potrà mai prendereil posto dell'azione sociale e la suaefficacia può essere seriamenteindebolita dai limiti imposti dallestrutture del potere, ma il suocompito rimane inalterato: cambiarele coscienze. Quando ciò accade,anche se soltanto con un singoloessere umano, si tratta di un risultatotalmente importante da fornire siagiustificazione che spiegazioneall'arte sovversiva. (...) In tal senso, ilsoggetto di questo libro rimarràsempre di attualità e queste paginesono solo una prima stesura, perché ilvero soggetto è la libertà umana, i cuiguardiani, in tutti i tempi e sotto tuttele condizioni, sono i sovversivi».

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BIOGRAFIA

di MARIA GROSSO

●●●Occhi che guardano drittoverso la videocamera. Sono quelli diPetru, Franco, Luigi, Giancarlo,Marcel, Alberto, Pasquale… ospitidella comunità S. Alvise, una dellestrutture finanziate dallaFondazione di Partecipazione Casadell’Ospitalità di Venezia, che, colsostegno del Comune, operano infavore di coloro che non hanno néuna abitazione né forme disostentamento.

Occhi che guardano in macchina:un gesto apparentemente piccolo,eppure enorme, come manifestarsi,rialzare la testa oltre la vergogna dinon avere né casa né lavoro nésoldi. E al di là del dolore dell’essersidimenticati di sé. Uno sguardo cheè pura presenza «dall’altro lato delponte»: lasciata indietro la frontieradelle vite socialmente riconosciute,delle identità-maschere cui èconcesso diritto all’esistenza.

Tutto questo accadeva e continuaad accadere in Via della Croce, ildocumentario di Serena Nonopresentato a Venezia nel 2009.(Allora, quando ho realizzato laprima parte di questa intervista, S.Alvise accoglieva in tutto 25 uomini,tra cui alcuni provenienti daRomania, Costa d’Avorio, Belgio,Perù, Egitto e Tunisia).

Si tratta di un lavoro realmentecollettivo, crocevia della filosofiabasagliana della fondazione (rifiutodell’assistenzialismo e promozionedella partecipazione responsabile daparte delle persone accolte), nonchédel desiderio degli ospiti di dirsi a sestessi e al mondo in un percorso diconsapevolezza e rispecchiamentodi sé. Il tutto filtrato dalla sensibilitàe dalle relazioni che Nono - untracciato d’artista tra pittura escultura - ha saputo intessereall’interno della Casa, fino alprendere forma di tre progetticinematografici: Ospiti (2007), Viadella Croce (2009), appunto, e di unterzo lavoro, ora in divenire.

L’esito, un coraggioso e poeticoaddentrarsi tra i territori tabù delvissuto di chi ha conosciutol’indigenza assoluta nonché laperdita di affetti e dignità socialecome progressiva cancellazione disé dal mondo. Ma anche unracconto di dolore, di cadute, di vitae di rinascita che, avvolgendosiattorno al filo della Via Crucis -traccia simbolica scelta di comuneaccordo dal gruppo - sa generareliberatorie rappresentazioni «da unaparte e dall’altra del ponte»: alconfine tra pittura, teatro sacro euna quotidianità nuova, purificatadall’inessenziale. Mentre lamacchina si fa contenitorerispettoso e caldo che non teme discoprire rimosse congiunzioni tra«normalità» e «margini», tra abissi esalvezza: «Mi considero un’ospite.Questa frase mi tiene sempre vivo,in quanto in qualsiasi momentopossiamo essere per strada. Allevolte tra noi quando ci incontriamoci salutiamo dicendo, ricordati chesei ospite», recita Antonio Pelosi neldocumentario.

Nel tempo la forza di questotracciato comune tra «l’ospite»Nono e «gli Ospiti» della Casa èandata anche oltre: fino a germinareVenezia Salva – un anno dilavorazione, un mese di riprese, oggiappena ultimate, per un film che èadesso in fase di montaggio.

Un’opera in cui la città è ancoranucleo complesso e pulsante diquesta ricerca condivisa, retemateriale delle convergenze tra gliindividui e la storia. A sostrato, iltesto omonimo di Simone Weil,ispirato alla congiura del 1618,durante la quale l’ambasciatore diSpagna a Venezia cospirò perdistruggere la Serenissima: unacongiura fallita a causa deltradimento di uno dei congiuratiche, pentendosi, fece salva la città.(«Una città perfetta, che sta peressere piombata nel sogno orrendodella forza; un uomo attento che,all’improvviso, la vede e la salva»).

Così anche Nono, sul sentierodella narrazione seicentesca diSaint-Réal (da cui muove Weil),nell’eco di illustri «casse dirisonanza» come Otway, Goethe eHofmannsthal, si è sentita chiamatada questo archetipo tragico dellastoria veneziana: alcuni degli ospitinon sono più quelli, adesso sonopresenti le donne della Casa diMestre, ma i fili continuano aincrociarsi, le forme del cinema sisfidano a uscire da sé, mentre ilvissuto incarnato dei partecipanti aquesta Venezia salva, ci esorta, dicontro alla violenza e alladistruzione dell’oppressioneuniversale, a interrogare il passato ela bellezza salvifica cara a SimoneWeil, per combattere uniti quella«perdita della realtà» di cui scrivevaCristina Campo, curando l’edizioneitaliana dell’opera.

●Il tuo incontro con la

comunità...Ho conosciuto due degli ospiti diS.Alvise otto anni fa quando eranoancora per strada. Stazionavano inun parco vicino a casa mia, doveportavo il cane. Negli anni ci siamoincontrati nuovamente e mi hannoraccontato che erano stati accoltipresso la Casa dell’OspitalitàS.Alvise, chiedendomi di andare atrovarli.

E così è stato. Allora alla Casac’era una operatrice molto brava(nel film fa una delle tre Marie,quella peruviana), che aveva ilprogetto di creare dei laboratorid’arte per gli ospiti della struttura.Così è partito un corso di scultura epoi uno di pittura. Io davo unamano. In questo modo, poco allavolta, ho conosciuto tutti gli ospiti.Poi ho pensato che volevo far lorodei ritratti, non avevo in mente deiquadri, ma degli spazi visivi in cuipotessero raccontare se stessi ad

libitum, specchiarsi nella verità oinventarsi una storia che esprimessel’idea che avevano di sé. È arrivatocosì il primo documentario che hofatto con loro, Ospiti, e quindi Viadella Croce.

●Quanto tempo è intercorso tra iprimi due film?Un anno. In un primo periodoabbiamo cercato di portare Ospiti ingiro per l’Italia, in qualche festivalminore e proiettandolo in alcunechiese, poi ci è venuta voglia di fareun altro film, anche perché nelfrattempo nella Casa erano arrivatenuove persone che volevanopartecipare. Inoltre Bruno, cheaveva preso parte a Ospiti e cheadesso è scomparso, aveva espressoil desiderio di continuare il lavoro inuna direzione più radicale cherispecchiasse maggiormente lestorie degli abitanti della Casa. Cosìda questa discussione si è fattastrada pian piano l’idea diaccostarci alla Passione di GesùCristo e alla Via Crucis. Il fatto poiche ogni stazione si leghi a un temadelineato, dalla cadutaall’abbandono, dall’incontro con lamadre alla carità incarnata dallaVeronica e al suo gesto di asciugareil volto di Cristo, e ovviamente allamorte e alla resurrezione, ci èsembrata una linea d’orizzontepropizia per far emergere lapersonale via crucis degli ospiti.

●Come hanno reagito alla tuaproposta?All’inizio, al di là dell’aspettospecificamente religioso - non tuttisono credenti e alcuni sonomusulmani - erano un po’ perplessi.Io però ho subito chiarito che il miointento non era quello di convertirlie che certo non interpretavo illavoro come una crociata, bensìcome un’opportunità per indagareinsieme una figura intimamenteassociata alla parte dei poveri dellaterra. Pensavo che le vicende diGesù, molto simili alle loro,avrebbero potuto risvegliare inognuno un senso profondo difamiliarità. E anche da parte deimusulmani non c’è stato nessunproblema a confrontarsi con questopersonaggio. Così abbiamo discussocollettivamente i vangeli (nel film itesti sono tratti da Giovanni, Marco

e dal Libro dei Salmi, ndr), letto ibrani della Passione e siamo andatidi persona a visionare alcuni quadrisull’argomento (tra cui Tiziano,Tintoretto, Giotto, Mantegna,Caravaggio, Piero della Francesca…)all’Accademia di Belle Arti a Veneziao in alcune chiese. Altri li abbiamoosservati e studiati comeriproduzioni sui libri, e così un po’alla volta si è fatta strada l’idea dimettere in scena dei tableaux vivantda alternare alle testimonianze delgruppo, immaginando la Passionecome un filo che unisse, anche nelcostante riferirci ai quadri dei grandimaestri, la via crucis degli ospitidella Casa.

●A un certo punto del film unodegli ospiti dice che la povertà èun dono…Credo che una frase come questascaturisca da un senso molto ampiodi umanità e di accoglienza che horiscontrato appartenere agli ospitidella Casa, qualcosa che hannomaturato nel tempo. Non possederenulla ci toglie la capacità diprevaricare sul prossimo, la smaniadi primeggiare e ci dà la possibilitàdi rispecchiarci maggiormente gliuni negli altri. Certo, anche tra loroci sono tensioni e conflitti, nonvoglio descriverli come santi, maquello che si respira nella casa èrealmente un senso intimo disolidarietà, un’aura concreta disupporto reciproco. Questo credosia il significato delle parole diMarcel. Molti credono che quelladegli homeless sia una scelta di vita.Conoscendoli ho scoperto che nonlo è mai. Tutt’al più è una sceltaultima, dopo una serieinnumerevole di eventi atrocementetravagliati. Allora uno sceglie ditagliare i fili col passato, diconsiderare l’ipotesi di una vitacompletamente a parte.

●Hai mai vissuto questo tipo diproblemi, conosciuto momenti dipovertà?Non ho mai avuto difficoltàeconomiche, ma non sono vissutain ambienti di lusso. Quando eropiccola abitavo alla Giudecca, unodei quartieri più popolari diVenezia, il luogo dove sono andata ascuola e dove tutt’ora vivo. E poi lamia era una famiglia comunista al

tempo in cui questo voleva diremolto. È stata la mia formazione. Lanostra casa era aperta a tutti,sempre piena di ospiti provenientianche da paesi lontani, come il SudAmerica, persone che si rifugiavanoda noi, che vivevano sempre inbilico, a corto di mezzi. Quindi hosempre conosciuto una aperturache non faceva distinzioni dipossibilità economiche. I valori cheattribuisco a questa infanzia nonsono distanti da quelli cristiani.Occuparsi di chi sta peggio e oltre:prendersi carico. È qualcosa ditrasversale alle religioni, ma cheappartiene intimamente alcristianesimo.

●Un’altra parola che ricorre è«nemico», a un certo punto unodegli ospiti dice: «quel nemico locreiamo noi perché non loabbiamo amato. Per questo cisono i nemici, perché ce li siamocreati noi».È una frase dura e coraggiosa cheveramente incarna l’originalità dellaparola di Gesù Cristo. Ama il tuonemico. Un comandamentodrastico e perentorio. Diversamenteda altre religioni è l’unico a dirlo. Ecredo che questo sia emerso nelleparole di Pasquale non certo perchéabbia una educazione cristiana maperché fa parte realmente della suaesperienza all’interno della Casa.Un vissuto che combattel’annullamento dell’identità, per cuise tu non hai non esisti. Lì scopriche anche se non hai puoi esisterefortemente. Anche se talvoltaduramente. Certo anche a loropiacerebbe avere qualche soldo, unacasa tutta per sé e una situazionemeno di confine, più «normale».Hanno vite aspre: proprio perquesto sono davvero coraggiosi adire queste cose.

●Nel percorso del film è coinvoltoanche il Comune di Venezia con ilsindaco Cacciari in primapersona… (nel 2009, ndr)La Casa dell’Ospitalità esiste anchegrazie all’amministrazione diCacciari che si è spesa moltissimoper gli ultimi e per le situazioni diquesto tipo. È davvero una dellepoche ormai a combattere unamentalità sempre più drammaticadi esclusione e di rimozione della

CINEMA ITALIANO

●●●Veneziana di nascita (1964), dopo gli studi a Londra allaKingston University (si diploma in Fine Arts BA, scultura),dall’89 ritorna a Venezia dove inizia a dipingere e dove vivetutt’ora, esponendo in molte città italiane e europee, con unfocus speciale sulla figura, il ritratto e i temi sacri. Tra lemostre più importanti Figure a Palazzo Sarcinelli, Conegliano2000; Preghiera Silenzio alla Mole Vanvitelliana, Ancona, 2002;Londoners, Italian Cultural Institute, Londra 2003; Sense ofwonder, Roma 2009. Collabora per mostre e installazioni conscrittori come Daniele Del Giudice, Hanif Kureishi, MarioFortunato e con il teologo Bruno Forte e il filosofo VincenzoVitiello, a presentazioni e pubblicazioni su questioni intorno alsacro. Nel 2007 il suo primo documentario Ospiti, cui segueVia della Croce (2009).

Passionee resurrezionein Laguna

La registaracconta comeha realizzatocon gli homelesse i «poveri» dellacomunità S. Alvisela trilogia «Ospiti»,«Via della Croce»e «Venezia Salva»

SERENA NONO

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presenza di alcune persone daltessuto sociale accettato. Inoltre,sono legata a Cacciari daun’amicizia personale antica. Cosìquando gli ho raccontato di questaesperienza, gli ho chiesto dapprimaun po’ scherzando di fareun’apparizione nel film. Poi, ungiorno che avevo la videocameral’ho filmato e lui ha accettato diprendere parte al lavoro. Sonomolto contenta che ci sia (anche semolti non lo riconoscono, talmenteè integrato nella fila di volti cheassistono alla Crocifissione), nonsolo come testimone delleistituzioni, ma anche come filosofoche ha indagato approfonditamentele questioni relative alla morte e allaresurrezione di Gesù.

●In un intervento nel film si parladi resurrezione in un senso moltoconcreto, non teologico, ma socialee politico.È Nerio Comisso, direttore dellaCasa dell’Ospitalità - che parla inveneziano e che sembra il piùbarbone di tutti - a farlo.Concepisce la resurrezione come unritorno a una nuova vita che avvieneperò nell’ambito di questa. Perchéquando ti trovi per strada, senzaaffetti e senza una lira, mentre chipassa finge di non vederti o non tivede nemmeno, muori dentro,muori socialmente e anchespiritualmente. Così, anche se da unpunto di vista teologico laresurrezione è altro, qualcosa cheaccade dopo la morte e non unmigliorare la propria condizione, luiinterpreta in modo molto concretola possibilità di rinascere, come unsuperamento della morte sociale ecome scoperta di nuove forme diesistenza. Per quanto concerne ilfilm, io ho scelto di non filmareGesù risorto, se non nelle vesti delgiardiniere, quando, come èraccontato nel Vangelo, laMaddalena si reca al sepolcro acercare il suo corpo e non lo trova,ma trova invece le bende e ilcustode del giardino che nonriconosce. Allora ci sono le famoseparole che lui le dice: «Non mitrattenere, perché non sono ancorasalito al Padre».

Il fatto poi di aver scelto perquesta interpretazione Luigi che farealmente il giardiniere all’internodella Casa, e che subito dopo fa undiscorso sul piantare nuovi alberiraccontando del suo bisogno disognare, è volutamente simbolico…

●Guardando il film sembrainevitabile pensare a Pasolini.Anche per quanto riguarda ilrapporto con la musica.È così, anche se mentre giravo nonne ero consapevole. È stato quasialla fine delle riprese che, rivedendoIl Vangelo secondo Matteo, honotato alcune assonanze moltoforti, come la scena in cui lui sisofferma sugli occhi delle donne,qualcosa che ho fatto anch’io, senzapensare a una citazione, masemplicemente seguendo quelloche sentivo.

Erano passati più di dieci anni daquando avevo visto il film. Certecose ti lavorano dentro anche senon te ne accorgi come unimprinting latente. Per quantoconcerne la musica è un omaggioesplicito, non solo a Pasolini maanche a Tarkovskij che ha usatol’aria Erbarme dich ne Il sacrificio.Amo particolarmente Tarkovskij. Ele inquadrature delle foglie gliele horubate. Per un regista sarebbe forsepiù imbarazzante, ma dal momentoche questo non è il mio mestiere,posso permettermi alcuni omaggipalesi.

●C’è anche molta musica di tuopadre, Luigi Nono.Sì, c’è molta musica di mio padre.Spero che mi perdoni, ho tagliatoalcuni suoi brani anche moltopesantemente, ma era necessarioper motivi interni al film. Volevoperò averlo con me in questoviaggio.

di VINCENZO MATTEITUNISI

●●●Yahya Abdallah è un regista cheha la capacità di condensare tutta laTunisia dentro 50 minuti didocumentario; Nahnu Huna (Noiqua) è un lungometraggio chedescrive amaramente una realtàisolata con la poesia e la crudezzadelle immagini, immagini che ad ognimodo sanno emozionare. Così laprosa si srotola nel frame dellapellicola: una vecchietta sedutadavanti alla porta di casa su una sediasgangherata, mentre la musica rapcanta in sottofondo di un tempoandato, in cui esistevano altri valori el’amicizia aveva importanzafondamentale nelle relazioniinterpersonali dentro la comunità,mentre ora viene tradita anche dagliamici più intimi. La solitudine scorrein quell’immagine spiazzante,racchiusa dentro i cavi dei palielettrici e una sparuta parabolaadagiata sul tetto che sembrarappresentare l’unico contatto con unaltro mondo. Bayrem neldocumentario è il filo conduttoredella trama del film che, sulla suapiccola bici, corre in mezzo alla gente,alla povertà, alla mancanza di unfuturo del quartiere poverissimo diTunisi Jbel Jlud. La musica del liutomediorientale e del rap loaccompagnano e raccontano il rione,come in questo rap: «Quartiere dimiseria, dappertutto tracce di sangue,le pareti e i muri ne sono testimoni.Spoliazione dei beni e dei diritti, è undato di fatto, una verità, il quotidiano.Il sistema è quello d’imporre la regola,una tecnica falsa della vessazione edell’emarginazione … Sangue!Miseria! Repressione … Menzogne!Sottomissione! Quale schizofrenia!?…. Attenzione alla mia collera, allamia rivolta, non provocatemi … sonofiero, libero, e soprattutto tunisino!Non sopporto le frustrazioni.Criminale e pieno di risorse … io losono! Lasciatemi esprimere, parlareliberamente! Vogliono chiudermi labocca, ma non ci riusciranno». Nelfilm un intervistato racconta la suastoria: «Sono appena evaso diprigione, sono disperato e pronto atutto. La cultura di Jbel Jlud è il furto,il saccheggio, le rapine e lo sballo …questa è la cultura che Ben Ali haimplementato nel nostro quartiere».Poi all’improvviso appare unapanoramica del rione. Un adultoseduto sulla collinetta mentre guardail traffico della tangenziale che spaccaa metà l’urbanistica del quartiere,domanda al bambino accanto a lui:«Che vorrai fare da grande? Che cosavuoi diventare?»

«Diventerò gommista»«Gommista? Perché proprio questo

mestiere?»«Così...», il bambino s’infila l’indice

nella scarpa da sport, si gratta, undettaglio che descrive mille emozionidi uno stato d’animo infantile, di unmodo di relazionarsi con i più grandi;quel particolare già fa capire che ilregista Abdallah non è unosprovveduto, ma che sa carpire leemozioni dei personaggi cherivestono il ruolo di se stessi.

«Sembra che ti piace questo lavoro,e sembra che sia ben pagato…»

«Sì…»«La gente non può certo guidare

una macchina con la ruota bucata. Turipari la gomma e prendi i soldi;Bayrem, puoi vivere senza soldi? Chipuò vivere senza soldi?»

«Persone …», l’adulto gli accarezzala testa.

«Invece vedo che diventerai uncalciatore piuttosto che un gommista… più bravo di Ronaldinho». Poil’immagine si sposta su spaccati delquartiere: uno sfascio con unmucchio di vetture distrutteaccatastate l’una sull’altra, una donnacon l’higab che porta a spasso leproprie capre, ragazzi che spacciano,

la disoccupazione scavata sui volti deigiovani. Poi sono le parole di YahyaAbdallah che spiega direttamente checosa è Jbel Jlud.

●Questo è il tuo primolungometraggio?Sì, è il primo lavoro professionale inassoluto, ma ho fatto tanta gavetta.Ho studiato presso l’università diMultimedia e mi sono laureato nel2003. Poi, come detto ho lavoratocome aiuto regista in documentari, infilm e in televisione. Il film Noi qua, èdi mia concezione, ho preso unacamera e sono andato in strada conl’idea in testa. Anche il modo diriprendere non segue una logicapianificata con un gruppo di lavoro,

almeno all’inizio, questo perché nelquartiere dove ho girato, Jbel Jlud, èimpossibile entrare con altre persone,troppo pericoloso, troppa criminalità:c’è spaccio di droga, lotte tra bande,assassinii giornalieri …

●Cosa vuoi dire con «Noi Qua»?Ho ripreso molte situazioni con lamia videocamera durante larivoluzione, ma non sentivo il bisognodi girarci un film. Sono più interessatoa spiegare i motivi per i quali c’è statala rivoluzione; sono concentrato suisentimenti post-rivoluzionari e iproblemi che affliggono il cinematunisino, allo scopo di cambiare ilpaese. C’è gente che vive maeffettivamente non vive! Il problemanon è la povertà o la mancanza dicibo, è la consapevolezza.

●La consapevolezza tra le persone?Sì, perché non sono coscienti diquello che succede. Ogni volta cheviene detto loro qualcosa, loro laprendono senza analisi critica, perchésono i media che stabiliscono l’umoredella popolazione indirizzando lamente della gente, incominciando aparlare a ruota libera su argomentoprestabilito… Così alla fine non siparla mai del futuro del paese! Questoè un problema di fondo. Esiste gentesvantaggiata, che non riesce amangiare giornalmente, in tutti i postinel mondo c’è povertà, ma il nostroproblema non è questo, è lamancanza d’attenzione a cosasuccede nel paese, al suo futuro, incampo politico, sociale, economico …Non siamo veri cittadini, perché c’èsolamente il 10% che lavora, decide lesorti della nazione, mentre il restante90% subisce le decisioni di questa

minoranza. Tutti vogliamo avere vocein capitolo sulle sorti del paese,vogliamo esprimere la nostraopinione, ne abbiamo abbastanza diquesto potere politico che fa e non fa,in questo modo non si capisce checosa è veramente la democrazia!

●Non pensi che la situazione siasimile a quella egiziana dove lepolitiche sono le stesse del vecchioregime?”Sì, non c’è niente di nuovo,soprattutto quando i media parlano.Non ci sono parole che rispecchianola forza e l’energia rivoluzionarie chec’erano all’inizio, sono solo parole eannunci proforma: dignità, onestà,giustizia … ma non esiste unastrategia chiara. Il problema qui inTunisia è che il sistema precedente èpresente, non ci sono media socialima solo privati; non ci sono studisociali per risolvere i problemi dellacomunità. Noi, come registi,proviamo a mostrare gli aspetti e itemi su cui sensibilizzare lapopolazione. Se si guarda come vivela gente nel quartiere di Jbel Jlud sipuò imparare qualcosa…

●Ma nel film lo zio dice al bambinopiccolo: «se tuo padre vuole tornaredall’Italia, digli di non tornare, quinon c’è niente da trovare», siriferisce a Jbal Jlud?”Il padre è andato via durante igiorni della rivoluzione, tornare nonserve a nulla. Molta gente delquartiere che vediamo nel film ègente che impugna coltelli, che èdedita alla droga e alla criminalità…non c’è rispetto dell’altro. Allora,

DOCUMENTARIOFoto da «Venezia salva»e da «Via della Croce» di Serena Nono

La rivoluzionetunisina bloccatadalle strutturedel vecchio regime.Il regista YahyaAbdallah parladel suo primolungometraggio«Noi qua»

Una scena di Nahnu Huna (Noi qua)di Abdallah Yahya

ABDALLAH YAHYA

Un ragazzo in biciin volo sopra Tunisi

SEGUE A PAGINA 8

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Un proverbio tunisino dice:«Non darmi un pesce per poidirmi come cucinarlo». Il nostrodesiderio è vivere decentemente

moderati arabi < 176 177 178 >

Nelle città del Sahara Occidentale giovani militantisfidano ogni giorno le forze di occupazione:

ammainano le bandiere del Marocco sui tetti degliedifici pubblici, disegnano sulle mappe scolastiche

la linea di frontiera che Rabat vieta di tracciare tra i due paesi del Magreb. Le loro azioni di

protesta sono pagate spesso con il carcere duro e la tortura. Domenica scorsa il Corriere della Seraha di nuovo pubblicato una carta dell’Africa che

raffigura il Sahara come parte del Marocco: il divieto di indicare la frontiera sahrawi sembra

in vigore anche nella redazione di via Solferino.

●●●«A New Orleans l’acqua è comeun dio, uno dio Greco che controllatutto quello che c’è intorno. E la tua vitadipende dall’equilibrio dell’acqua che ticirconda. Il rapporto viscerale con lanatura, l’acqua in particolare, è una dellecose che mi hanno attirato in questoposto. Faccio film su persone in unacondizione di caos che cercano distabilizzare. L’acqua mi sembra lasuperficie migliore su cui tracciare storiecome questa. Sulla terra ferma nonavrebbero molto senso».

In una recente intervista alla rivistaFilm Comment, il regista Ben Zeitlin(newyorkese, trapiantato in Louisiana,vincitore di Sundance 2012 e proprioieri a Cannes, dove il suo Beasts of theSouthern Wild e’ presentato a «UnCertain Régard») descriveva così il suorapporto con l’elemento che, ancoraprima di Beasts, ha da sempre informatoil suo cinema. Il suo primo corto, Egg,realizzato nel 2005, era una versionepasso a uno di Moby Dick ambientataall’interno di un uovo. Zeitlin, che halavorato brevemente con il grandeanimatore cecoslovacco Jan Svankmajer,lo ha seguito nel 2008 con Glory At Sea,un omaggio di venticinque minuti allaLouisiana post Katrina ambientato, dopouna grossa tempesta, a bordo di unazattera fatta di un letto, una vasca dabagno e una macchina arrugginita. Ilcorto è stato girato in sei mesi, quasiinteramente al largo della costa dellaLuisiana, e con una colonna sonorafirmata dal regista, di cui una canzone,Elysian Fields, fu usata per una serie dispot elettorali della campagna Obama.

Con Beasts, Zeitlin porta il suo amoreper l’acqua, New Orleans (scoperta atredici anni durante un viaggio con igenitori, studiosi di folklore) e il senso diuno spiazzamentofisico/cultural/social/mentale nelle sferedel mito, della fiaba e della tragedia.L’idea di partenza era di spiegareperché, dopo il disastro di Katrina, moltiavevano rifiutato di andaresene. Suialleati imperdibili, in quest’avventura dicinema indipendente Usa tra le piùaffascinanti degli ultimo anni, sono unabambina di 6 anni (l’esordienteQuvenzhané Wallis, che è una forzedella natura) e Dwight Herny, unpanettiere delle disastratissima settimaward di New Orleans

«Quando sono arrivato in Louisianadopo l’uragano, questo era un luogocompletamente surreale. Emanava unsenso di apocalisse biblica. Non so sequella fosse solo ma mia impressione,ma ho sentito subito il dovere di elevarela storia che volevo raccontare a livellodi mito, folklore. La politica in situazionicome queste è molto divisiva….È colpadi Bush, del goveno federale, dei bianchi,dei neri…In quelle divisioni si perdonospesso la vera tragedia e le vereemozioni di quello che è successo», hadetto ancora Zeitlin alla rivistaamericana.

«Questo film forza costantemente ilrealismo verso una dimensioneiperreale, quasi fantastica, ma visto cheogni dettaglio – dai luoghi, allescenografie, alle interpretazioni - èautentico, parte di quello che eraveramente successo, la forza d’urto delreale non viene mai abbansonata deltutto».

Ed è proprio questal’ambizione/visione che fa di Beasts unadelle avventure indipendenti piùaffasconanti degli ultimi anni.

per che cosa deve tornare suopadre? Dobbiamo provare a essereonesti con la società, non vogliamoessere dei mendicanti cui il governovenga a dare una mano, nonvogliamo una mano, vogliamo che ilgoverno sia onesto e sincero; lagente in quel quartiere vuolelavorare e non essere etichettatacome il rione dell’emigrazione!

●C’è una signora anziana vestitain modo tradizionale che dice: «Larivoluzione appartiene aigiovani», che cosa vuoi dire?Nel film c’è una parte vera, comequella dei cantanti rap, che voglionostrillare la loro verità fuori dalquartiere ma non ci riescono. Poi cisono gli studenti con il lorodesiderio di dire che ci sono, chesono presenti, e lo fanno aiutando ipoveri dell’entroterra tunisino,anche se a loro volta questi studentivivono in uno dei quartieri piùpoveri dell’intera Tunisi. Siorganizzano e chiedono aiuto alleuniversità e alla gente comune:soldi, cibo, vestiti… e vanno adaiutare un'altra regione povera dellaTunisia. Questa donna anziana diceloro che la sua gente non vuoleaiuto, ma salari per poter vivere; unproverbio dice: «Non mi dare unpesce e poi dirmi come devocucinarlo». Il nostro desiderio èvivere decentemente.

●Quali sono i tuoi programmi peril futuro?Il film mi ha aperto a nuove idee,soprattutto sui progetti riguardo lasocietà civile. Molti che hanno vistoil film mi hanno detto checonverrebbe specializzarmi su filmche parlano di quartieri, ma nonsono d’accordo. È vero che Jbel Jludpuò rappresentare tutti i quartieri eper questo mi piacerebbe che il filmabbia una grande distribuzione,perché diventi una cartolina perimpreziosire le discussioni sullacomunità tunisina nelle strade inTunisia. Molto probabilmente ilprossimo film sarà un documentarioincentrato sui salafiti.

●Quindi preferisci specializzartisu documentari?Non proprio, perché sto anchescrivendo la trama di un film cheparlerà della disoccupazione, avràun taglio ironico e sarcastico, moltoverosimilmente sarà un corto. Ildocumentario invece sarà incentratosui giovani salafiti, perché non sospiegarmi come sia possibile che ungiovane possa divenire un salafita!Che cosa lo interessa veramente? Cisarà bisogno di ricerche sul campo,interviste… una bella sfida. Lo scopoè quello di scoprire quale è la veraidentità tunisina attraverso i salafiti,perché non voglio incentrarel’interesse della gente solo suiproblemi economici, ma su quelloche veramente si fa per la comunità,che tipo di collaborazione esiste trale persone, anche se di stamporeligioso, perché deve esserciconsapevolezza di quello che si fa.

●Perché il discorso dellaconsapevolezza è così importanteper te?C’è una parte nel film di Noi qua,dove c’è un ragazzo che vendehashish, lo vende ai poveri per 10dinari, mentre 20 a chi ha i soldi.Anche se vende droga, pensa allastessa classe sociale da cui proviene,mentre gli altri pensano solo ai soldi.Bisogna vedere la realtà e la veritànascoste dietro le apparenze;l’importanza di un regista è quella diessere il più obiettivo possibile,senza compromessi.

(Lo spaccio di droga è uno deipochi lavori che porta soldi presentenel quartiere, non ci sono altrealternative alla disoccupazione. Ilregista ha il coraggio di presentareun problema serio, perché in Tunisianon esistono possessori econsumatori, ma solo spacciatorisoggetti a una dura punizione:

carcere per un anno, un’ammenda di•2000, il sequestro del passaportoper 5 anni e sicuramente un futurocancellato. Lo stesso Abdallah hasubito pressioni e intimidazioni dallapolizia per rivelare i nomi dellepersone che appaiono neldocumentario, bloccando diversevolte la proiezione del suo film, maYahya continua dritto per la suastrada, perché la polizia non sarà unostacolo al raggiungimento del suoobiettivo. Ndr)

●Dove hai preso l’idea del film?L’idea mi è venuta da un professoreteatrale, Mohasin El Adab. Eravamoseduti insieme, e mi ha detto chec’era un gruppo di studenti che siera riunito nel quartiere di Jbel Jludper organizzare aiuti alla zonapovera del centro. Così ha iniziato aparlarmi del quartiere, della suagente, e come fosse possibile chedella gente già povera pensasse diaiutare altri poveri! Come erapossibile che pensassero di potercambiare la vita di altre persone segià la loro esistenza non glielopermetteva? Come aiutare gli altri segià non si ha la possibilità disostentare se stessi? Per me eraqualcosa di straordinario, un’energiapositiva, forse la stessa che haportato alla rivoluzione. Andandonel quartiere ho ricevuto un altroregalo: ho incontrato un cantanterap, Jacko, che ha un’energia socialeincredibile attraverso il vissuto a JbelJlud, canta e racconta la vita delproprio quartiere. Così ho unito ledue storie. Entrambe per merappresentano la Tunisia, perché igiovani sono gli unici che possonocostruire una nuova Tunisia: non gliislamici o altre ideologie! Loro sono ileader che porteranno il futuro,perché sono stati loro ha iniziare larivoluzione. Li ho visti affrontare lapolizia senza essere preparati, parteerano degli Ultras e parteuniversitari, uniti nella sfida contro ilsistema. Ora questi ragazzi hanno lapossibilità di parlare e costruire illoro paese attraverso le loro idee. Io,come uomo, sono soddisfattoperché sono responsabile del miopaese, e non viceversa che il paese

sia responsabile per me!

La poesia del film scivola sulleruote della piccola bici di Bayrem,sulle pareti bianche delle abitazionitunisine incrostate dal tempo, suipanni stesi di terrazze senzasperanze, sulle mani collose diun’anziana che strizza il bucato;attraverso i palazzi fatiscenti, gli sfascidella macchine, l’indifferenza dellepersone all’apatia quotidiana, lestrettoie dei muri del quartiere. Ilregista Yahya Abdallah uniscesapientemente i diversi connotatidella Tunisia post Ben Ali, postBurghiba, post-moderna, racchiusidentro Jbel Jlud: il movimento rapunito a quello dei graffiti, la voce deigiovani che chiedono solamente unlavoro, la droga come unicaalternativa alla disoccupazione, laprigione come spettro perenne sullapropria esistenza, la decisione digiovani ragazze (ex rocker)d’indossare il velo, la laicità dellostato… tutti argomenti scottanti chechiedono risposte anche se ancoranon ce ne sono. Il piccolo Bayrem faun viaggio con la sua bicicletta permostrarci l’altro lato della Tunisia, imotivi che nascono dietro una

rivoluzione soffocata dai soliti giochidei politici di turno, mentre la frase diun professore nel documentario ciricorda ciò che è veramenteimportante: «Costruire una scuola aJbel Jlud è più redditizio che costruireun commissariato di polizia, èattraverso la cultura che riusciremo amobilitare la maggior parte di questistudenti, in modo che Jbel Jlud possadivenire un polod’irradiazione-imitazione.

Yahya Abdallah sa cambiaresapientemente l’inquadratura, pertrasmettere il pathos. Come quandosi sposta dall’interno di un pullman,dove una studentessa velata chiede alprofessore se la laicità sarà il futurodel paese, alla scena dei graffitisti chedisegnano un murales a Jbel Jlud perun concerto di beneficenza, mentrelo sguardo assorto di un anzianoaccovacciato appoggiato alla parete liosserva, come se i suoi occhiaffondino le radici nel passato dellaTunisia, lo stesso che vede costruire ilpresente, verso un futuro ancora dadecifrare. Poi l’immagine dalconcerto si stacca, concentrandosi sufotogrammi paesaggistici di Jbel Jlud,per ritrovare Bayrem alla fine del suoviaggio, di nuovo su quella collinaaccanto a suo zio, continuando queldiscorso cominciato all’inizio delfilm: Mio padre è a Lampedusa

«È lì da molto tempo?»«Vorrei dirgli di ritornare»«Lui troverà un lavoro ragazzo mio,

guadagnerà soldi che t’invierà, perfarti vivere e crescere meglio, avereun futuro diverso. La prossima voltache parli con lui, digli di nontornare…»

●Il film ha una particolare fluidità,non si avverte il peso del progettosulla leggerezza del girato,malgrado la complessità e ladurezza degli argomenti trattati.Questo è stato possibile grazie a unlavoro davvero collettivo. Abbiamocollaborato in tutte le fasi direalizzazione del film (solo ilmontaggio è interamente opera mia).Ho cercato di non avere ideepreconcette e di non pormi in modoconvenzionale. Dal gruppo ho anchericevuto consigli rispetto a certeangolature di ripresa. Non essendouna del mestiere non avevo laprepotenza di pormi dicendo, io sofare. Perché in realtà io non so equesto mi ha dato una fantasticalibertà. Mi divertivo molto di più acollaborare con loro.

Non gli ho mai chiesto di mettersiin posa, né forzato l’andamento dellediscussioni. D’altro canto, non liavvertivo nemmeno ogni volta chedecidevo di riprendere. Per questo hovoluto girare con una piccolavideocamera sd e non hd (cheperaltro non ho). Non volevopresentarmi con una grandeapparecchiatura, pensavo che liavrebbe messi in imbarazzo.Desideravo che l’atmosfera fossemolto informale. Con gli stracci adisposizione insieme abbiamo fatto icostumi, hanno costruito la croce e lacorona di spine e poi abbiamo sceltoinsieme le zone da filmare, cercandotra i luoghi di Venezia quelli menoconosciuti. È stata una ricercacreativa di forte legame con la città,oltre che di dialogo silenzioso con isuoi abitanti che a volte hannomostrato curiosità, altre completaindifferenza nei nostri confronti.

●E Venezia ritorna nel progetto cheavete appena terminato di girare,tre anni dopo «Via della Croce» (lechiedo oggi, ndr).La nostra riflessione è continuata:qualcuno purtroppo è mancato, altrisono arrivati, ma l’80% degli attori diVenezia Salva è ospite di Sant’Alvise odella sede di Mestre. Il progetto èpartito da una mia proposta ma il miodesiderio è stato ancora una volta diragionare insieme sul testo (da cui hoscritto la sceneggiatura). Cosìabbiamo invitato uno storico che ciraccontasse Venezia e l’Europa del‘600 e un teologo che introducesse iltesto di Simone Weil. Al centro delnostro studio l’idea weiliana dibellezza che converte, ma anchel’eroismo senza riscatto né compenso- il protagonista che salva la cittàtradendo i suoi è a sua volta traditodal governo veneziano -. Dunquesiamo in presenza di una tragediaassoluta, allora come oggi. È statoquesto il gran salto per me e i mieicompagni, andare oltre il raccontodelle loro vite per aprirci a una pièceche riguarda tutti. In questo Veneziaci è stata vicina, abbiamo esploratoluoghi densi di storia come PalazzoDucale o Palazzo dell’Arsenale,cercando di deviare da certe visionilise da cartolina, e lasciandociincuriosire da dettagli inusuali.

●Cosa senti a questo punto dellavoro, che ne sarà di Venezia,«roseo gioiello», «bene comune»? Misembra molto bello questo esservistretti a Simone Weil checonsapevolmente ha conosciuto lapovertà e ha cercato una veragiustizia sociale.È stata una prova molto piùcomplicata e complessa di Via dellaCroce. L’intento quello di sforare daldocumentario per realizzare un filmin costume, sia pure altro rispetto aglistereotipi del genere. Ho giratosempre in digitale, ma ho avuto undirettore della fotografia, Tarek BenAbdallah, un piano di lavorazione, ec’è stato un coinvolgimento massimoda parte di tutti, nonché un grandeimpegno di memorizzazione del testoda parte delle attrici e degli attori. Orami aspetta il montaggio, non so cosaaccadrà, la storia è aperta…

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BEN ZEITLINUN CERTO SGUARDO

ABDALLAH YAHAYA DA PAG 7SERENA NONO DA PAG 7

ABDALLAH YAHYAFoto di scena e di backstage di Nahnu

Huna (Noi qua) di Abdallah Yahya

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(9)ALIAS19 MAGGIO 2012

I FIORI

LA PARTITA

LA MOSTRA

MEN IN BLACK III (3D)DI BARRY SONNENFELD; CON WILL SMITH,TOMMY LEE JONES. USA 2012

0Gli agenti J e K sono ancora alleprese con le entità aliene cheinfestano il mondo. Questa volta

devono occuparsi di Yaz, un motociclistache torna nel 1969 per uccidere l’agenteK giovane. J viene mandato indietro neltempo per salvare K.

MOLTO FORTE,INCREDIBILMENTE VICINODI STEPHEN DALDRY; CON TOM HANKS,SANDRA BULLOCK. USA 2012

0Tratto dal romanzo omonimodi Jonathan Safran Foer, è il filmche elabora il lutto delle Torri

gemelle dalla parte di un bambino.Oskar ha nove anni e gira per la cittàcon una macchina fotografica e con unachiave trovata in un magazzino,appartenente al padre che ha persolavita nell’attentato. Forse quella chiavepuò aprirgli una porta misteriosa. .

OPERAZIONE VACANZEDI CLAUDIO FRAGASSO; CON MAURIZIOMATTIOLI, FRANCESCO PANNOFINO. ITALIA 2012

0Finiti i cinepanettoni ecco i filmsalvagente (è il caso di dirlo)con un cast affollato come una

spiaggia: tra gli altri Jerry Calà, EnzoSalvi, Ceccherini, Valeria Marini. Ipersonaggi: un cantante di piano bar,costretto ad una fuga in Basilicata,accusato di aver messo incinta la figliadel boss locale, cambia sesso e identitàper nascondersi. E poi un disoccupato chenon ha il coraggio di dire alla famiglia che haperso il lavoro e che non potranno andare invacanza, due famiglie rivali, un industrialealla ricerca di avventura, un cuocobengalese...

THE AVENGERS (3D)DI JOSS WHEDON; CON CHRIS HEMSWORTH,SCARLETT JOHANSSON. USA 2012

1Una schiera di eroi coi genimodificati nel sangue èchiamato a sventare Loki,

fratellastro bacato di Thor (ChrisHemsworth) supereroe conl’ossessione del martello. Gli altri sonoRobert Downey jr uno strafottenteIronman, Chris Evans Capitan Americacon la new entry Bruce Banner aliasl’incredibile Hulk. Il regista, da sempreun appassionato dei fumetti Marvel haun sepolcrale passato di successi comeBuffy l’ammazzavampiri e Angel.Distribuisce Walt Disney. (fi. bru.)

IL CASTELLO NEL CIELODI HAYAO MIYAZAKI. ANIMAZIONE. GIAPPONE1986.

8Incastonato tra due capolavori– Nausicaa nella valle del vento('84) e Il mio vicino Totoro ('88) –

Il castello nel cielo è il film d'esordio delloStudio Ghibli di Hayao Miyazaki chefirma soggetto, sceneggiatura e regia,disegna i personaggi e «costruisce» imodellini. Ogni inquadratura esplodenella vertigine di lampi e rapsodie visive,opere d'arte seriali ad alta quota, unatrama del fantastico complessa. Lputa èl’isola fluttuante nel cielo, abitata damusicisti e matematici privi di sensopratico, o meglio di vocazione alprofitto. Titolo e doppiaggio scelti inaccordo con la Ghibli da una Lucky Redammirevole nel distribuire tutto ilpatrimonio Miyazaki (il dvd del Castellonel cielo fu ritirato dalla Buena Vistadopo una breve uscita nel 2004). (m.c.)

CHRONICLEDI JOSH TRANK; CON MICHAEL B. JORDAN,MICHAEL KELLY. GB USA 2012

1Ci sono più Schlock e RogerCorman che Blues Brothers inquesta «cronaca» di vita di liceo

che combina solide radici mitologicoletterarie e intelligente backroundcinefilo dalla sensibilitàipercontemporanea non lineare, del

cinediario da web per uno sguardod’insieme da Icaro a The Blair WitchProject a X-Men. Il film lievita verso unclamoroso finale volante. (g.d.v.)

DARK SHADOWSDI TIM BURTON, CON JOHNNY DEPP. USA 2012

7Burton gioca con l'immortalitàin un bazar di memorabilia, tralupi mannari e Crocodile rock,

alla ricerca impossibile di un presentedove fermarsi. Fruga nei bauli dellapaura, dietro alle sue creaturinemostruose, tutte fil di ferro, canapascucita, occhi sbilenchi, «autoritratti». Ilvampiro Barnabas dei mille episodi Abc(’66-’71) salta fuori dalla memoria degliesseri anormali, reietti e cadaverici.Depp riprende la sua faccia di cera ed èBarnabas, signorino nella tenuta diCollinswood, padrone della città chedal 1750 porta il suo nome. Poi lamaledizione. Poi il risveglio da vampironel 1972 alle prese con pantaloni azampa d'elefante. Burton orchestra unacommedia nera dai toni campsull'essere sempre fuori dal propriotempo. (m.c.)

DIAZDI DANIELE VICARI, CON ELIO GERMANO,CLAUDIO SANTAMARIA. ITALIA 2012

7Diaz non cerca il « colpevole»,vero o presunto, ma prova ariflettere (e a fare riflettere)

sulle conseguenze di quella democraziamalata, e sulle sue modalità. Come èpossibile che sia accaduto qui, tra noi,ora è la domanda di un racconto che sifonda sugli atti processuali e sullesentenze della corte di appello diGenova. L'assalto alla Diaz è la «scenamadre», ritorna, si dilata nel tempo(cinematografico), è l'imbuto in cui idiversi punti di vista convergono in unosolo (c.pi.)

HUNGERDI STEVE MCQUEEN, CON MICHAELFASSBENDER, LIAM CUNNINGHAM, STUARTGRAHAM, BRIAN MILLIGAN, LIAM MCMAHON.GB IRLANDA 2008

71981, Bobby Sands il militantedell’Ira trovato in possesso diarmi, condannato a una lunga

pena esige di essere trattato dal nemicocon lo status e la dignità del«prigioniero politico». Il sacerdoteirlandese cerca invece di riempire disensi di colpa il suo gesto, però restaconvinto della politicità del suo gestoestremo. La storia darà ragione a lui eai suoi compagni. (r.s.)

ISOLEREGIA: STEFANO CHIANTINI, CON ASIAARGENTO, IVAN FRANEK. ITALIA 2012

7Tre personaggi vivono nel loroisolamento e nel silenzio perchédolore o difficili situazioni

hanno segnato il loro destino. Isolenell’isola (siamo alle Tremiti), ma traloro si crea una profondacomprensione: una ragazza muta (AsiaArgento), l’anziato prete appena uscitodall’ospedale, l’immigrato senzadocumenti. Alta tensione emotiva,interpretazioni notevoli. Il film esce insala e si potrà vedere dal 16 maggioonline sul sito www.larepubblica.it (s.s.)

SISTERDI URSULA MEIER; CON LÉA SEYDOUX, KACEYMOTTET KLEIN. FRANCIA 2012

7Storia di un amore doloroso eimpossibile, di una complicitàassoluta e feroce, di un mondo

diviso dall’alto delle stazioni sciisticheaffollate dai vacanzieri di lusso e il bassodi chi abita lì, i ragazzini delle casepopolari, i lavoratori stagionali. Simoneè un ragazzino quasi adolescente chevive con sua sorella, tanti uomini perstorie destinate a finire male e che vivequel fratellino come un peso. Ma lui èsempre occupato con i vacanzieri arubare e rivendere sci e altri accessori.Un legame forte e violento. (c.pi.)

A CURA DISILVANA SILVESTRICRISTINA PICCINO, MARCO GIUSTI,ROBERTO SILVESTRI,GIULIA D’AGNOLO VALLAN,ARIANNA DI GENOVA,MARIUCCIA CIOTTA

LA PARTITA DEL CUOREPER NON DIMENTICARE FALCONE E BORSELLINOPALERMO, 23 MAGGIOLa ventunesima edizione della Partita delCuore sarà dedicata al ricordo dei 20anni dalla morte di Giovanni Falcone ePaolo Borsellino, si terrà il 23 maggioalle ore 20.40 allo stadio Renzo Barberadi Palermocon la nazionale cantanti e lanazionale magistrati. Tra i cantantiClaudio Baglioni, Enrico Ruggeri, (ilpresidente della squadra), NeriMarcoré, Luca Barbarossa, Raoul Bova.Per la Nazionale Magistrati, insieme alpresidente e capitano Piero Calabrò, cisaranno, tra gli altri, il capo della direzione nazionale antimafia, Piero Grasso e LucaPalamara, per anni presidente dell’associazione nazionale magistrati. L’evento, curatoda Gianluca Pecchini, farà parte di una giornata che Palermo dedicheràall’anniversario e che coinvolgerà migliaia di studenti provenienti da tutta Italiacompresi i ragazzi del Palermo calcio. I fondi raccolti saranno finalizzati a progettilegati alla Fondazione Giovanni e Francesca Falcone e alla Fondazione Parco dellaMistica Onlus, nata per realizzare il Campus Produttivo della Legalità e Solidarietà,centro di produzione e promozione culturale e al tempo stesso uno strumento diriqualificazione dell’area denominata «Tenuta della Mistica». (s.s.)

MUSICA DA FILMAL TREVI

IN UNA VASCADA BAGNO NERA

MAGICO

I FILM IL FILM

SINTONIENON VOGLIO MORIRE DA SOLODI TSAI MING-LIANG, CON SHIANG-CHYI CHEN, LEE KANG-SHENG. TAIWAN FRANCIA 2006«Esordio» del regista a Kuala Lumpur, la città dove è nato e dove non aveva mai girato,magnifico impasto del suo cinema. Siamo nella Kuala Lumpur del nuovo millenniopopolata da immigrati che arrivano un po' dappertutto, non parlano il malese e spesso siguardano anche tra loro con diffidenza, se non aggressività, per difendere quel poco chehanno. Sfruttati, denigrati, picchiati, vivono in ogni spazio possibile, ammassati suterrazze, sottoscala, vecchi palazzi pericolanti, soffitte per i quali pagano ai propripadroni quasi tutto il loro guadagno. C'è un senso di malattia profonda nel film, forse piùacuto che negli altri suoi lavori a cominciare dallo straniamento esasperato diun'immagine quasi documentaria. Un ragazzo di cui non sentiremo mai la voce (LeeKang-Sheng, icona di Tsai Ming-Liang) viene picchiato quasi a morte. Un altro, emigratodal Bangladesh, lo raccoglie, lo cura, divide con lui il materasso. Gesti di dolcezza,attenzione, le mani lo lavano, lo imboccano, gli occhi lo guardano. Amore? Una ragazzacinese cura un giovane ricco in coma. Stessi gesti ma senza dolcezza. Lei e Lee KangSheng si piacciono, si amano, l'altro si dispera ma c'è posto anche per lui. La storiad'amore doveva essere tra i due ragazzi poi però l'attore indiano, che non èprofessionista, è musulmano e l'omosessualità era per lui un tabù troppo forte, così lasceneggiatura è cambiata e anche questa è una caratteristica nel lavoro del regista, nelladichiarazione di un cinema che è flusso di vita, trasformazione e senso profondo deltempo reso sostanza stessa dell'immagine. (c.pi.)

FIORI-TOTORINO 23-27 MAGGIO«Fiori-To» si intitola la nuovamanifestazione nazionale, dedicataall’agricoltura e al verde urbano, chel’Assessorato all’Ambiente della Cittàdi Torino e la Fondazione TorinoSmart City hanno progettato percompletare il quadro delle iniziative dipromozione di una città più intelligentee sostenibile, previsto dalla primaedizione di Smart City Festival «CittàVisibili», in programma dal 23 maggio al5 giugno 2012, Giornata Mondialedell’Ambiente. La manifestazione, che sisvolgerà nel centro di Torino, tra Piazzale Valdo Fusi e il tratto pedonale di viaCarlo Alberto, conterrà infatti tre eventi: il 2˚ Workshop Nazionale Image –Incontri sul Management della Green Economy (24-25 maggio), la rassegna diorticoltura e florovivaismo Flor ’12 (25-27 maggio) e il convegno «AgricolturaUrbana» (25 maggio), che darà vita anche ai laboratori pratici «Orti e frutteti incittà» (26-27 maggio). Non è solo quindi un’esibizione cittadina di fiori e piante,ma si propone come una vera «fioritura culturale» della città, per riflettere sullasostenibilità ambientale e la vivibilità dello spazio urbano. Nella foto PalazzoCisterna. (s.s.)

ZOE LEONARDGALLERIA RAFFAELLA CORTESE, FINO AL 28/7In contemporanea alla mostra alCamden Art Centre di Londra, lagalleria Cortese di Milano inaugura (il 25maggio) la seconda personale dell’artistaamericana Zoe Leonard, aprendo ancheper l’occasione il nuovo spazio di viaStradella 1, dedicato a installazioni,proiezioni, talk, presentazioni,esposizioni di singole opere. Lefotografie di Leonard, nata nel 1961 aNew York (suo padre era un rifugiatopolacco) non ambiscono alla neutralità ealla oggettività; al contrario, cercano unanarrazione che scarti dai territori conosciuti e indaghi - spesso con processi lunghi econ uno sguardo smaliziato - la società, le sue abitudini e i suoi rituali. Qui, leimmagini proposte sono soprattutto quelle del sole: appartengono a una serie in cuici si è spinti al limite «umano» di ciò che è possible registrare con la macchinafotografica. Girando la camera verso quella violenta fonte di luce, riprendendola indiretta, vengono infatti rovesciate le regole della fotografia: Zoe Leonard l’ha fattoper un intero anno, cogliendo l’accecante bagliore in tutte le sue sfumature. «Sonointeressata nelle possibilità dell'astrazione in fotografia - ha affermato l’artista -. Hoscelto un soggetto che per sua natura risulta impossibile da ritrarre, la mia è unaesplorazione, una sfida alla percezione comune». (a. di ge.)

LIPSTICKItalia, 2012, 3’30”, musica: Dott Reed, regia: GeoCeccarelli, fonte: Youtube.com

1Il pubblico entra in un piccoloteatrino (siamo a Bevagna,Perugia) e ripiomba negli anni ’20.

Ad esibirsi è la «Dyvina», performer eartista di burlesque al secolo SilviaManganiello. In un palchetto,accompagnata dalla band, si esibisce DottReed, la cantante originaria della Tasmania(vive a Londra) che ha trovato in Italia lasua patria discografica: l’etichetta Wasabiè in realtà transnazionale. Con la suaimpareggiabile classe e sensualità, laDyvina manda gli astanti in visibilio, madue finti poliziotti la porteranno via e lospettacolo si chiude tra le ire della platea.Anche se la trovata finale è esile, Lipstick èun clip pieno di grazia, ben fotografato emontato, che si confà perfettamenteall’immaginario sonoro della vocalist.

LOSTOlanda, 2006, 3’50”, musica: Anouk, regia: Dean Karr,fonte: Youtube.com

7Immersa in una vasca da bagnonera la cantautrice olandeseincontra il suo doppio. Sensualità

e narcisismo si fondono in questovideoclip di eccelsa raffinatezza, in cuiKarr gioca con una serie di elementiscenografici e di design, come una miriadedi lampadine accese, adoperandoavvolgenti carrellate e lavorando didettagli. Senza dubbio la presenza diAnouk – in tutta la sua melanconicabellezza – e la sua voce intensa eleggermente roca, hanno il loro peso.

BLIND PILOTSUk, 2003, 4’, musica: The Cooper Temple Cause,regia: autore ignoto, fonte: Youtube.com

8Dopo aver salutato la suacompagna, un giovane sullatrentina va a far bisboccia con gli

amici, tra pub, giostre e locali a luci rosse.Ma, poco alla volta, il suo corpo cominciaa subire una metamorfosi e, piantata inasso la comitiva, il ragazzo – che ha ormaiassunto le sembianze di un demoniacocaprone – si immerge sul serio nellaorgiastica notte londinese. Ispirato a Unlupo mannaro americano a Londra, il clipanticipa di alcuni anni certe atmosfereperverse di Shame, film di Steve McQueeninterpretato proprio da MichaelFassbinder, che qui veste i panni delprotagonista. Da realistico e quasistereotipato per le situazioni chepropone, Blind Pilots diventa surreale eavvincente nel suo imprevedibilesvolgimento.

STEVE MCQUEENUsa, 2002, 3’50”, musica: Sheryl Crow, regia: WayneIsham, fonte: Mtv

1La Crow è spericolata propriocome Steve McQueen. Così,dopo avergli reso omaggio

visitando la targa a forma di «stella» nelmarciapiede di Hollywood, la popstar silancia in inseguimenti mozzafiato su auto emoto, classiche citazioni dai film chehanno reso celebre McQueen (Bullit e LeMans). Isham impagina con brio leimmagini, ma sono le sequenze d’azione amovimentare un video in cui la Crow, daspavalda rocker, non rinuncia aimbracciare la chitarra.

Musicisti dello schermo al cinemaTrevi.

Sergio Bassetti, docente di Filmologia edi Storia e critica del cinema pressol'Università La Sapienza e il tecnico delsuono Federico Savina, docente allaScuola nazionale di cinema, curano unaserie di giornate preziose, con cadenzamensile, intitolate «Musicisti delloschermo» che si svolgeranno alla salaTrevi di Roma. Un evento raro e quindistimolante sulla musica applicata alcinema. Si inizierà il 23 maggio con ilgrande Enzo Masetti. A quest'eventoseguiranno degli appuntamenti dedicatiad Alessandro Cicognini, AngeloFrancesco Lavagnino, Carlo Rustichelli eArmando Trovajoli. Per iniziare aconoscere l'universo sonoro delcompositore Masetti, si proietterannoPiccolo mondo antico (1941) di MarioSoldati (alle 17) e Processo alla città (1952)di Luigi Zampa (alle 19). Ci sarà poi unincontro moderato da Bassetti con il criticocinematografico Steve Della Casa, che verràseguito dalla visione di Le fatiche di Ercole(1958) di Pietro Francisci. Ne parliamo conBassetti:

Perché una rassegna suicompositori per lo schermo?

Il progetto è stato di congiungere duedesideri che avevamo io e FedericoSavina. Lui era più interessato allequestioni tecniche di registrazione, aidiversi modelli di registrazione del suonoe di come queste hanno cambiato lecolonne sonore per il cinema. Io invecelo sono molto di più ai modelli estetici,mi interessa parlare degli aspetti più legatialle personalità dei musicisti e alle loroscelte estetiche. Io e Savina siamo inqualche modo complementari. Ilconservatore della Cineteca nazionaleEnrico Magrelli ha avuto fiducia in questaoperazione. Mentre Domenico Monettie Luca Pallanch, che curano laprogrammazione del Trevi, si sono datiun gran da fare per il reperimento dellepellicole e per verificare il loro stato.

Come avete effettuata la scelta deicompositori?

Masetti è stato attivo dalla metà deglianni '30 fino alla fine degli anni cinquanta.Ha lasciato una traccia importante nellamusica per film. È stato anche undocente, che ha insegnato sia alla Scuolanazionale di cinema che al Conservatoriodi Santa Cecilia. Cicognini ha lavorato atutti i generi del cinema italiano. Glimanca solo il western spaghetti perché èmorto prima del suo avvento. E le suepartiture erano sempre di grandissimaqualità. Anche Rustichelli era capace dipassare da un genere all'altro, congrandissimi risultati. Lavagnino è statoinnovativo, anche per quello che riguardale tecniche di registrazione. E poi ci saràTrovajoli, un altro grandissimo. L'annoprossimo, si faranno altri incontri su altricompositori, anche meno famosi comeMario Zafred, Carlo Innocenzi o CarloSavina.

E la scelta dei film?Abbiamo cercato, nel limiti del

possibile di non fare delle scelte ovvie.Per Cicognini, per esempio, non abbiamoscelto Ladri di biciclette o Miracolo a Milano,due dei film più famosi di Vittorio De Sica,ma Stazione Termini, una pellicolasottovalutata.

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(10) ALIAS19 MAGGIO 2012

DAVID GILMOUR& SYD BARRETT

David e Syd erano amici sindall’infanzia, trascorsa a Cambridge.Si iscrissero entrambi alCambridgeshire College of Arts andTechnology e iniziarono a suonareinsieme. Nell’estate del 1965passarono un’estate in vacanzapagandosi le spese facendo autostope suonando per le strade del sud dellaFrancia. Pare che il loro repertoriofosse in gran parte basato sullecanzoni dei Beatles. A Saint Tropezfurono fermati dalla polizia e messiagli arresti per poche ore. Syd si eraappena aggregato a Roger Waters,Nick Mason e Rick Wright e avevadato vita ai Pink Floyd (che all’epocaavevano anche il nome di The TeaSet). David continuò a suonare per lasua band, i Jokers Wild, fino al 1967

quando sarà poi chiamato adaffiancare e in seguito sostituire inmodo permanente l’amico Barrettaffetto da squilibri mentali. «Il mododi suonare la chitarra di Syd non erail massimo - ricorderà Gilmour inun’intervista -. Il suo stile era moltorigido. Ho sempre pensato che fossiio il miglior chitarrista. Ma eraeccezionalmente intelligente, unartista in ogni senso possibile».Chissà in quanti pagherebbero perascoltare la versione live di Help delgiovane duo David & Syd.

DAMIEN RICE

Il cantautore irlandese, classe 1973,iniziò a suonare negli anni '90,militando nel gruppo rock degliJuniper. Dopo due singoli di relativosuccesso la band si sciolse e Damiendecise di darsi all'agricoltura,coltivando ortaggi in Toscana, aPontassieve. La passione per lamusica però lo spinse a lasciare lazappa e riprendere in mano lachitarra. Si imbarcò in un viaggio perl'Europa dove si esibì come musicistadi strada. La fortuna bussò alla portaquando scoprì, per caso, che un suocugino di cui non sapeva quasil'esistenza era il compositore eproduttore discografico David Arnold(celebre per le colonne sonore).L'augusto parente si trasformò inmecenate, gli finanziò uno studiodiscografico casalingo e Rice nel corsodi due anni incise le canzoni cheentrarono a far parte del suo debutto,intitolato semplicemente O. Della suavita di musicista di strada DamienRice ha detto: «Ho imparato che stavomeglio senza soldi. Non avendo

denaro ero costretto a suonare perstrada. Ho trovato che vivere al limiterende la vita più appassionante».

Dalla metro al cielo.Fuori gli ex busker

Star che hanno davvero cominciato in strada o che hanno volutoprovare per gioco cosa si prova ad accovacciarsi, imbracciareuna chitarra e dipendere totalmente dal gusto e dalla generositàdei passanti. Ecco il vero antidoto ai talent show e alle voci tv

di GUIDO MARIANI

Il rock appartiene alla strada. Pare che il termine inglese «busker»che oggi indica i musicisti che si esibiscono in posti improvvisatiper qualche spicciolo, nacque inizialmente per indicare i piratiche solcavano i mari del XVII secolo. La musica popolare è natanelle piazze, nelle feste di paese e dai cantastorie girovaghi checreavano armonie, miti e leggende. Il blues, padre nobile delrock’n’roll, veniva suonato agli angoli delle strade nel sud degliStati Uniti. Il texano Blind Wille Johnson fu accecato dallamatrigna che gli gettò in faccia la liscivia con cui si lavava ilbucato, iniziò a suonare una chitarra in cui la cassa armonica erauna scatola di sigari. Da ragazzino il padre lo lasciava fuori dainegozi dove suonava per pochi centesimi. Venne arrestato piùvolte per vagabondaggio, fino a che, nel dicembre 1927, varcò leporte di uno studio di registrazione e incise sei canzoni chehanno scritto la storia della musica, tanto da essere incluse cometestimonianza del genio del genere umano sulle sonde Voyagerinviate dagli americani a curiosare nello spazio. Pochi anni dopoWoody Guthrie era uno tra i 400mila agricoltori e disoccupatispinti dalla siccità e dalla grande depressione in un viaggio dellasperanza verso l’ovest degli Stati Uniti, cantava sogni edenunciava ingiustizie, saltava sui treni di passaggio e si esibivaper le strade e nei saloon. I bluesmen e i cantori viaggiatori, gli«hobo» come Guthrie, erano forse davvero dei pirati, gettarono leradici del rock e fanno parte del dna di ogni grande artista. Lestrade sono ancora il palcoscenico di tante future star o musicistidi fama. C’è chi si esibisce solo per gioco o per provocazione, c’èchi vi ha iniziato la carriera, altri ancora hanno capito che ci sonocircostanze che fanno della strada l’unico vero modo per mettersialla prova o per diffondere il messaggio delle proprie canzoni.

Se volete vedere Bono dal vivoavete due possibilità. Aspettare chegli U2 vadano in tour in giro per ilmondo e comprare un costosobiglietto per un loro fantasmagoricospettacolo o andare a Dublino lavigilia di Natale nella centralissimaGrafton Street.

È qui che il cantante tiene diconsuetudine un’esibizionenatalizia in cui i soldi raccolti vannoin beneficenza. È più un augurioalla sua città che una raccolta fondie di solito l’esibizione avviene conl’accompagnamento di qualche stardella musica irlandese come GlenHansard (già leader dei Frames). Ilrepertorio di solito prevede grandihit da Stand by Me a One a Knockin'on Heaven's Door con qualcheinevitabile jingle natalizio. L’annoscorso qualche solerte poliziotto haanche tentato di interromperel’esibizione non essendosi accortodi chi aveva di fronte. Nonriconoscere Bono a Dublino è comenon riconoscere il Papa in Vaticano.

STING

Busker per gioco, l’ex Police si ècamuffato alla buona e si è esibitoqualche anno fa nella metropolitanadi Londra. Pare che questa sfida sianata da una crudele battuta di unsuo amico che, tra il serio e il faceto,gli rinfacciò di essere insicuro e chela sua carriera aveva i giorni contati.Per mettersi alla prova, il cantante sicalcò un cappello sulla testa e andò,chitarra in braccio, a strimpellareall’ingresso di una stazione dellaUnderground. In qualche ora haraccolto 40 sterline. Una cifraincoraggiante per un girovago, manon certo degna dei suoiprincipeschi cachet. Si narra cheuna donna l’abbia riconosciutogridando, ’Ma è Sting!’ e un altrospettatore l’abbia zittita malamenteinsultandola: «Stai zitta stupida!Non sai che Sting è un miliardario?»

BRUCE SPRINGSTEEN

Per il Boss ogni occasione per esibirsiè buona. Non si contano le suecomparsate in bar in appoggio diband di amici affermate o semisconosciute e non si contanoneppure i suoi show improvvisati perstrada quando viene convinto asuonare da qualche suo fan osemplicemente perché vede unachitarra disponibile. In Italia, nelgiugno del 1988, nel corso del Tunnelof Love Express tour fece una tapparomana e in visita alle attrazionituristiche della capitale andò apiazza di Spagna dove si intrattennecon un gruppo di giovani a cantarein mezzo alla gente, replicò il mesedopo a Copenhagen dove chiese aipassanti se avevano qualchepreferenza per il repertorio. A Napolinel 1997 nel corso del tour teatraleseguito all’album The Ghost of TomJoad si è esibito dal balcone delTeatro Augusteo dove doveva tenereun concerto. Una performancevisibile anche su YouTube.

JACKSON BROWNEIl suo disco più bello e amato è Running on Empty del 1977, album in cui lecanzoni sono state tutte incise dal vivo o in posti insoliti e situazioni difortuna (una anche sul pullman del suo tour durante un viaggio). Da quellaraccolta uno dei pezzi più celebri è un classico per ogni musicista girovago,The Road scritta da Danny O'Keefe, ma ormai identificata conl’interpretazione di Browne che la incise in un motel di Baltimora. Unacanzone sulla strada e spesso suonata per strada, una volta anche in Italia,nel 2000, nella piazza Ducale di Vigevano, accompagnato da Ron che avevaportato al successo la versione italiana del brano Una città per cantare,scritta da Lucio Dalla. Browne, noto per il suo infaticabile impegnoumanitario, non si è mai neppure risparmiato per esibizioni improvvisate inoccasioni di manifestazioni e marce di protesta. La sua più recente è stata loscorso dicembre a Zuccotti Park a New York e poi a Washington davanti aimanifestanti del movimento Occupy.

FENOMENI ■ UN TEMPO CANTASTORIE GIROVAGHI, OGGI IN CLASSIFICA

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(11)ALIAS19 MAGGIO 2012

PAUL MCCARTNEY

Nel 1984 Macca decise di girare unfilm musicale sulla falsariga dei suoiesordi beatlesiani, scandito dallasua musica e accompagnato dalfedele Ringo Starr. La pellicola, nonparticolarmente riuscita, siintitolava Give My Regards to BroadStreet. Una scena vedeva McCartneynei panni di un musicista di stradache si esibiva fuori dallametropolitana di Londra. La scenafu girata dal vero, con Paulleggermente camuffato chestrimpellava una Yesterday che nonvaleva neanche pochi pence.Qualche monetinainaspettatamente arrivò, manessuno pensò minimamente chequel mediocre chitarrista fosse l’exBeatles. «Mi misi a fare una versionestupida della canzone - ha dettoPaul - e nessuno mi riconobbe, manessuno secondo me vuoleguardare un suonatore di strada infaccia perché non vogliono veniretroppo coinvolti dalla sua storia,quindi camminano in fretta e vannovia. E così io cantavo ’’Yesterday, allmy troubles - grazie, signore -seemed so far away'».

TRACY CHAPMAN

La carriera della cantautrice Usa fuguidata agli esordi da una serie diimpressionanti colpi di fortuna,peraltro bilanciati dal suo grandetalento. Originaria di Cleveland, neglianni del college andò a studiare aBoston dove passava i pomeriggi e leserate in compagnia della sua chitarrasuonando un po’ nella vivace HarvardSquare dell’area universitaria diCambridge e in alcuni caffè dellazona. La piazza poteva essere caoticama le sue canzoni si facevano notare.Rimase particolarmenteimpressionato un altro studenteuniversitario Brian Koppelman (oggiaffermato sceneggiatore) che pensò disuggerirla al padre che al tempodirigeva l’etichetta Sbk. Il managerscritturò l’artista nel 1986 e laintrodusse a una major, la Elektra,che pubblicò nel 1988 il disco diesordio. Melodie scarne e sognanti,testi impegnati e struggenti. La criticaapprezzò subito il disco ma un altrocolpo di fortuna avvenne quando perun ritardo in un cambio palco nelconcerto in mondovisione per i 70anni di Nelson Mandela che si stavasvolgendo a Londra, nello stadio diWembley, la Chapmann, sola con lasua chitarra, fu utilizzata comeriempitivo ed ebbe tutto il tempo difarsi apprezzare dal pubblicointernazionale. Da lì nacque unsuccesso che oggi definiremmo«virale» e l’album di esordio dellaragazza busker vendette quasi diecimilioni di copie in tutto il mondo. Nel1989 Tracy Chapmann ha ricevuto treGrammy Awards.

VIOLENT FEMMES

Il trio di formato da Gordon Gano,Brian Ritchie e Victor DeLorenzo era«alternative» prima che esistessel’alternative rock. Sono diventati unaband di culto tanto da detenere uncurioso primato, il loro album didebutto del 1983 fu il primo disco adaver venduto negli Usa più di unmilione di copie senza mai essereentrato nei primi 100 posti dellaclassifica di Billboard. Anche lorodevono all’esperienza di musicisti dastrada una spinta decisiva per lacarriera. Originari di Milwaukee,decisero un giorno di esibirsi davantia un locale che avrebbe ospitato lasera stessa i Pretenders, il gruppo diChrissie Hynde, che ai tempi andavaper la maggiore. Tra i giovani in codaper comprare il biglietto si intrufolòla band che fu colpita dall’energiacontagiosa dei Violent Femmes. IPretenders li invitarono a suonare sulpalco prima di loro. In un sologiorno passarono dal marciapiede acondividere i riflettori con una banddal successo internazionale. Ilpubblico li salutò con bordate difischi, ma l’esibizione finì tra gliapplausi. Fu la loro epifania, il trio siautofinanziò il disco d’esordio e nel1983 conquistò con il suoscanzonato punk folk le college radioe i giovanissimi americani che nonamavano lo zuccheroso pop anni ’80.Brian Ritchie nel 2008 ha collaboratoall’album Villa Inferno dei pisani ZenCircus, band italiana anch’essa contrascorsi da busker.

RAGE AGAINSTTHE MACHINE

C’è chi per strada suona per i soldi echi una volta ha suonato contro isoldi. Il 26 gennaio del 2000 i RageAgainst The Machine suonarono aNew York davanti alla borsa di WallStreet in una breve esibizionediventata il video Sleep Now in theFire diretto da Michael Moore. IlComune di New York allora guidatoda Rudy Giuliani non aveva concessoil permesso. I volumi alti e la follaraccoltasi davanti all’edificio (tra cuialcuni operatori di Borsa chepogavano) spinsero la polizia achiudere le porte della Borsa oreprima della chiusura ufficiale.

THE POGUES

Non tutti i posti per strada sonodisponibili per chi arriva prima,alcune città selezionano con unacerta cura chi si esibisce davanti amonumenti o luoghi particolarmentepopolari e gli annali raccontanoanche la storia di busker bocciati. Ilgruppo folk rock britannico (ma conmolti legami con l’Irlanda) unival’amore per la musica tradizionaleceltica, lo spirito anarchico del punk ela passione per le sbronze. All’iniziodella loro avventura, nei primi anni’80, il nucleo originario della band,guidata da Shane MacGowan, amavaesibirsi per strada e pensò che nessunposto fosse migliore del CoventGarden a Londra. La capitalebritannica però non permette achiunque di suonare in una locationcosì prestigiosa e la formazionedovette passare una selezione. IPogues furono bocciati senza appello.Secondo la testimonianza di JemFiner chitarrista e banjo della band,l’anonimo responsabiledell’audizione disse: «Pochi mancanoil marchio di qualità del CoventGarden. Ma voi avete fallito». Lacarriera dei Pogues è proseguita suipalchi di mezzo mondo. Non semprela strada dice la verità.

JOHN LENNON, DJ PER UN POMERIGGIOdi FRANCESCO ADINOLFI

Una scena epocale, poco nota al mondo, molto nota ai fan. Il pomeriggio del 28 settembre 1974a New York piove. Chi è sintonizzato su Wnew-Fm si sente smarrito: una voce con accento diLiverpool sta leggendo le previsioni del tempo e anziché alta temperatura gli scappa: «Hightimes (lett. euforia, data da alcol o droghe), oh no, magari fosse così». È John Lennon. Che ride, sidiverte, si presenta come il Doctor Winston O' Boogie (il Dr. Winston - dal secondo nomedell’artista - del ballo) e dichiara sicuro: «Fare il dj è la mia seconda occupazione preferita».Successe tutto per caso: Dennis Elsas, il conduttore, aveva incontrato Lennon (entrambi nella

foto) in uno studio di registrazione; in quell’occasione aveva chiesto a May Tang, la compagna diLennon al tempo, se l’artista avesse mai avuto voglia di fare un salto in radio per presentare ilnuovo disco, Walls and Bridges. Pang aveva richiamato subito dicendo che non solo John avevaaccettato ma che si sarebbe portato appresso anche qualche disco da suonare. Elsas eraconvinto che Lennon non si sarebbe mai presentato e per questo non fu mai fatta alcunapubblicità, inoltre rispetto alle radio in Am, quelle in Fm erano più riservate e restie apromuovere gli eventi. Brillante e avvincente, Lennon suonerà il suo singolo Whatever Gets Youthru the Night, Watch Your Step di Bobby Parker, Showdown della Electric Light Orchestra, GroovyTrain degli Splinter, I’m the Greatest di Ringo Starr ecc. Alla domanda ’Tornerete insieme?’risponde: «In tour no, ma in qualche altro è possibile, quando ci incontriamo l’umore è semprepositivo». Da ascoltare in quattro parti qui: www.youtube.com/watch?v=OCq-kdYEvT4

ITALIA

La prima volta on the road.Con Bennato e AntonacciEdoardo Bennato è tra i musicisti italiani chepiù celano un'anima busker. In un incontro diqualche anno fa raccontava: «Quando nel '73uscì il mio primo disco, ’Non farti cadere lebraccia’, la Ricordi mi disse che avevano parlatocon la Rai e che era emerso che la mia vocenon era radiofonica. Quindi non avrebberopassato il mio disco. Nove anni di gavetta etutto finito lì. Allora mi misi davanti a Vanni(uno dei bar più noti della capitale), vicino allaRai e cominciai a suonare, mi giocai l'ultimacarta. Un giorno passarono Enzo Caffarelli eManuel Insolera del settimanale musicale ’Ciao2001’ e mi dissero che sarei dovuto andare alfestival di Civitanova Marche. Ci andai e ful'inizio di tutto».

Eccolo il tragitto artistico dei busker: dallastrada alla strada, dalle metropolitane allemetropolitane e forse, un giorno, al paradiso(molto raramente). Artisti che da un latocontinuano a rappresentare uno splendidoantidoto a talent show e reality vari (fitti difacce che «nascono e muoiono» solo in tv) eche dall'altro sono il filo ultimo per ricordarsichi si è stati e da dove si viene. Lo sapevanobene Claudio Baglioni e Francesco De Gregoriche anni fa si esibirono a una fermata dellametro a Roma e nessuno li riconobbe. Nel 1993a Biagio Antonacci andò quasi male: mentre siesibiva per gioco nella stazione centrale diMilano sopraggiunsero i Carabinieri che siallontanarono allorché un funzionario dellametro svelò l'indentità dell'artista in questione.In ambito indie, molti sono i musicisti chehanno iniziato in strada, tra questi gli ZenCircus. Del resto nel nostro paese l'attenzioneagli artisti di strada è sempre stata molto alta.Tra i festival più noti dedicati ai busker spicca ilFerrara buskers festival, il più grande erinomato al mondo e ancora il festival diCastellaro Lagusello (Mn), il Mercantia diCertaldo (Fi), gli Artisti in Piazza di Pennabilli(Rn) e il TolfArte di Tolfa (Rm). Da notare chel'abrogazione nel 2001 dell'articolo 121 delTulps, che disciplinava l'esercizio dell'attivitàdegli artisti di strada attraverso l'iscrizione diquesti ultimi in appositi albi presso il lorocomune di residenza, ha di fatto creato unvuoto legislativo. Ora ogni amministrazionecomunale si regola a seconda delle rispettiveopportunità: si va dall'assoluto divietoall'adozione di specifica delibera. Il panoramagiuridico, pertanto, è variegato e frammentato.

Qui accanto un buskera Manchester (foto DamianBrandon), sotto EdoardoBennato agli esordi

«I posti migliori vanno via subito, siatetempestivi», «non mendicate, sarà la qualitàa portarvi i soldi», «chiedere denaro rovinatutta la magia», «ascoltate il pubblico»

NEIL YOUNGGlasgow, ingresso della stazione centrale, 2 aprile 1976. Un uomoè rannicchiato in terra con un banjo, una custodia aperta perraccogliere le (eventuali) elemosine e un’armonica a bocca. Sullatesta ha un cappello in tweed da cacciatore che gli nasconde ilvolto e lo fa assomigliare un incrocio tra Sherlock Holmes e unclochard esibizionista. A guardarlo è uno dei tanti, a sentirlocantare non ci si può sbagliare. Quel personaggio è Neil Youngche ai tempi sfoderava album storici a ripetizione ed era una dellemaggiori rock star in circolazione. Ma i pendolari passano difretta e sono assai poco convinti di quel menestrello. Qualcunoha anche da ridire. Solo un gruppo di giovani si ferma e riconosceil rocker. Il filmato dell’esibizione fu raccolto da due cineasti cheseguirono l’intera giornata scozzese di Young e dei suoi CrazyHorse. Ricorda uno dei registi: «Erano fatti e completamente fuoridi testa». Prima di raggiungere la stazione di Glasgow perl’inconsueto show, avevano scatenato un principio di incendionella lobby dell’hotel Albany (vedi YouTube).

ANDY GRAMMER

Andy è un po’ l’ultimo arrivato e faparte della generazione dei busker2.0, quelli che suonano per stradaper le mance e usano YouTube e ilweb nel tentativo di sfondare. A lui è

andata discretamente bene. Non eraun cantante di una strada qualsiasi,il suo marciapiede preferito era unadelle camminate più celebri delmondo, la Third Street Promenadedi Santa Monica, cuore dell’area diLos Angeles dove turisti e celebritàvanno a braccetto. Con la suachitarra, le sue melodie facili e la suafaccia da ragazzo da copertina èriuscito a conquistarsi non soloqualche banconota, ma anchealcune serate nei locali più allamoda di Ellei: dal Viper Room allaHouse of Blues. Per il resto ci hapensato il web, Keep Your Head up èstato tra i video della settimana suiTunes ed è diventata una hit. È poiandato in tour con una star del popdi prima grandezza come TaylorSwift. Il suo primo album è appenastato pubblicato anche in Europa.Su Twitter ha elencato le dieci regoled’oro per i busker. Consigli preziosi:«I posti migliori vanno via subito,quindi siate tempestivi»; «nonmendicate, sarà la qualità a portarvii soldi e chiedere denaro rovina tuttala magia»; «seguite sempre quelloche vi dice il pubblico».

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di FLAVIANO DE LUCA

In copertina il disegno di unafonovaligia, col giradischi e il tastoselettore 33-45-78. Un oggettoextragalattico, praticamente ignoto atutti quelli che hanno meno ditrent’anni, eppure assai efficace perrappresentare una certa stagionedella musica leggera italiana,quell’epoca dove si bramavano glialbum o i singoli in vinile che spessos’ascoltavano in lunghi pomeriggi distudio, l’era di formazione di LuigiManconi, sociologo, uomo politico(senatore e sottosegretario nelgoverno Prodi), agitatore culturale daLotta Continua ai Verdi,dall’antirazzismo ai diritti deidetenuti, che si è votato ad altreMuse e torna a occuparsi di quellache pubblicamente ha un po’trascurato (e privatamente ha semprecoltivato) Euterpe, colei che rallegra,la dea del canto e della musica, lapassione che ha scandito, riscaldato,accompagnato e accelerato la suaesistenza. In fondo il tomo dicinquecento pagine, La musica èleggera (scritto con Valentina Brinis,Il saggiatore, euro 16), sottotitolo«Racconto di mezzo secolo dicanzoni», scritto in prima persona,quasi una summa delle sue brillanti,enormi conoscenze nel campo diquella «pulsione primaria trasversale»non è altro che un godibilissimo esghembo percorso autobiografico,

con digressioni, approfondimenti evariazioni dove la ragionata colonnasonora, gli artisti preferiti e quellimeno, è in stretta relazione con imutamenti sociali e politici, con quel«vento dell’est», per dirla alla GianPieretti, che annunciava letrasformazioni del nostro paese.

Ne aveva già scritti forse sei di librid’argomento canzonettaro (con lopseudonimo di Simone Dessì, aitempi occuparsi di pentagramma e

assonanze era ritenuto sconvenienteper un dirigente politico severamenteestremista) ma è davvero folgorantela sua partenza, da Alan Lomaxisolano, che sassarese sedicenneutilizza il registratore Geloso coi tasticolorati per documentare unaversione agropastorale di Bella Ciao,diffusa in Sardegna, accennata daEfisia, la collaboratrice familiare deltempo, e la manda con una lettera alNuovo Canzoniere Italiano che lo

invitò a Milano. Ecco l’altro trattosconvolgente del libro, una granquantità d’incontri, telefonate,scambi di opinioni con artisti,cantanti, gruppi, trovati o inseguiti,fortuiti o lungamente preparati, conla determinazione del collezionista didischi e del lettore famelico dellabiblioteca teatrale Einaudi, ben primache inventassero internet e i socialnetwork. Insomma il tentativo diriscattare in mille modiquell’aspirazione giovanile dacantautore trasformatasi poi insguardo attento, analisi puntuale estudio maniacale dei brani che cihanno fatto ballare, innamorare,sognare, soprattutto in quegli anniSessanta e Settanta, un grumo disolide esperienze collettive, condivisedalle Alpi ai Peloritani (chi hadimenticato Ma che bella giornata diUgolino o In fondo al viale dei Gens,tanto per fare qualche esempiominoritario, mentre Manconi siconcentra su Tutti frutti di RickyGianco, La storia di Rosetta di FrancoTrincale e Cambale Twist di BenitoUrgu coi Barrittas che introduce ilsuo debutto da provinciale curioso alPiper, pagine davvero spassose).

Ci si può divertire a leggere deitanti aneddoti, polemiche e intuizioni- quella con Giaime Pintor ai tempi diMuzak su Buonanotte fiorellino di DeGregori che annunciava l’irruzione diun certo sentimentalismo, Il LucioDalla portato a fare colazione in Viadel Fico a Roma e straordinariointerprete delle canzoni scritte conRoberto Roversi, il romanzo, operaprima e copia unica di FrancescoGuccini, perduto nel disordine dellacasa editrice Savelli, un videocliptelevisivo con gli Skiantos, persino ildisegno di legge sulla canapa indianafinito sulla copertina del disco deiPitura Freska, - partendodall’assunto, ampiamentedimostrato, che le poesie (e anche ledichiarazioni politiche esplicite)fanno male alle canzoni, feliciinvenzioni di musica e parole, formaespressiva più adeguata perraccontare la dimensione fragile,tenera e violenta, quel romanticismoinfantile e consolatorio da risolverenello spazio di tre-quattro minuti.Salvo alcune luminose eccezionicome Oltre il ponte di Calvino eLiberovici, datata 1959 oppure Quellacosa in Lombardia, di Fortini e Carpi,incisa nel 1964 da Jannacci e alcunealtre, tutte regolarmente citate inquesto libro denso, dove sfilanotantissimi personaggi della nostramusica degli ultimi cinquant’anni, daFrancesco De Gregori a Luigi Tenco,Vasco Brondi e Giuni Russo, Giorgio

Gaber e Alice, Corrado Sannucci eAntonio Infantino, la nostra RinaGagliardi (massima esperta di Mina)e Cesare Bermani, Ivan Della Mea e ilcanzoniere di Pino Masi e AlfredoBandelli, Elsa Morante e FlavioGiurato e Lucio Quarantotto, l’elencopotrebbe essere sterminato tanto chel’autore si arrischia persino aindividuare la canzone più bella evarie liste di canzoni indispensabili inuna sorta di ascesi sonora per l’anticoiscritto all’Azione cattolica (coinvoltoin un piccolo colpo di scena finale).Certo oggi un ragazzo può metterenel suo lettore mp3 tutto quello chevuole, il reggaeton e De Andrè, ilmash up e David Byrne, inqualunque sequenza e in qualunqueluogo, nell’epoca dell’immediatezza,di un click che ti cambia la giornata,senza il tempo di dover richiedereall’ottica Delogu quel disco segnalatoda un amico. Tutto è molto piùliquido e simile, perdendo sensostorico e identità e qualità però poicapita di ascoltare alla radio o a casadi un amico una canzonesconosciuta, di chiedere qualcheinformazione in più e la magìaritorna...

Ps: Dissento democraticamente dalcapitolo «Elogio del liceo classico»avendo fatto lo scientifico, in unastorica e tipica rivalità allaCoppi-Bartali che purtroppo oggi èsemplicemente pro o contro Apple,utenti di Google versus sostenitori diMicrosoft. Se Manconi all’Azuni diSassari ha tradotto i testi di Sassi diGino Paoli e Ne me quitte pas diJacques Brèl in latino, al liceo Silvestridi Portici abbiamo cantato (etrasformato) Evenu shalom alehem, ilbrano popolare ebraico, in E io rich avuje pace ‘e bene, in napoletano. Contanti saluti a Pier Capponi, PiersFaccini e Piter e i Funamboli.

TUTTI CONTRO TUTTIdi R. PE.

I giornalisti amano inventare rivalità tragruppi e artisti, spesso prive difondamento - vedi Beatles e RollingStones, che nella realtà erano molto uniti- altre meno - Oasis e Blur, ad esempio.Ma alcune volte non c’è nessun bisogno diinventare, giacché ci pensano le stesse

star a gettarsi fango addosso l’un l’altro.Di seguito qualche chicca. David Lee Rothvs Elvis Costello: «Ai giornalisti musicalipiace Costello perché gli assomigliano»;Trent Reznor vs Marilyn Manson: «Unragazzo maligno che per avere successopasserebbe sopra chiunque, e supera ognilimite della decenza»; Nick Cave vs RedHot Chili Peppers: «Sto sempre vicinoallo stereo a chiedermi "che cos’è questaimmondizia?". E la risposta è sempre Red

Hot Chili Peppers»; Elvis Costello vsMorrissey: «Scrive fantastici titoli, peccatoche spesso dimentichi di scrivere lacanzone»; Robert Smith vs Morrissey: «Selui dice di non mangiare carne, beh, alloraio mangerò carn.: Ecco quanto odioquell’uomo»; Paul Weller vs FreddieMercury: «Diceva di voler portare ladanza alla classe operaia. Che stronzata!»;Noel Gallagher vs Jack White: «SembraZorro a cavallo di una ciambella»; Boy

IL BLUESDELLO STOCCAFISSO

Qui, Francesco De Gregori,sotto Ricky Giancoe Francesco Guccini.Nel riquadro la copertinadel libro «La musicaè leggera» di Luigi Manconi

PAGINE ■ È USCITO IL LIBRO DI LUIGI MANCONI «LA MUSICA È LEGGERA»

Tu chiamale canzoni.Cinquant’annidi melodie italiane

RITMI

BASSANO ROMANO (VT)La Casa di EmmeVia della Stazione, 33 (tel. 0761 63 55 44).Nel bel mezzo del viterbese, ecco unastraordinaria enclave di cucina friulana.Straniati dal fuori contesto, si entra in unantico granaio di tufo dove tutto parla distagioni del nord, scaldate a suon dicaminetto e grappe. Qui il tempo trascorrelento. Ci si puo’ abbandonare a unbicchiere di buon Merlot e crostini caldicon petto d’oca affumicato, oppure aserissime banchettate all’insegna dicarpaccio di manzo affumicato con legna difaggio e bacche di ginepro, stinco di maialecotto al forno per sei ore nella birra,sublimi dolci esotici, come lo «strucolo depomi», lo strudel di mele alla triestina.Ricca la selezione di birre artigianali, alcuneprodotte nella Carnia. Lo spritz ha ilVermouth fatto in casa e i tanti vini delCollio ci riportano leggiadri a Lelio Luttazzi:«Davanti a un fiasco de vin, quel fiol d'uncan, fa le feste…». Bonus: la copiosa eeccellente proposta di salumi di Sauris.Malus: l’(in)evitabile sfida control’incappucciata con la falce, quando satolli ealticci si risale in macchina. Voti: cucina 7;ambiente 7; servizio 7.TORINOScannabueLargo Saluzzo 25/H (tel. 011 6696693).Finito il Salone del libro, cosa resta? Labandana di Mauro Corona, gli autografi diFabio Volo, gli sbadigli dei dibattitimortiferi. Meno male che c’è Scannabue,dove Torino è San Salvario e noncapannoni asettici. Cominci con un Ruché,l’ottimo e speziatissimo vino di Castagnole,per accompagnare una tartare di fassona,un Brandacujun (stoccafisso e patate) o untonno di coniglio (carne macerata nell’olioper giorni). Poi agnolotti e tajarin, stinco ebrasato. Infine, tarte tatin e l’ottimo amarolocale, il San Simone. Per disintossicarsi daipennivedoli contemporanei, niente dimeglio che ripassarsi la vita di Scannabue(Aristarco), La Frusta letteraria che nel 1760si scagliava contro «la stucchevole poesiabucolica, l'erudizione accademica, ilbigottismo religioso». Al Lingotto intantoc’è Ligabue, novello romanziere. Scannabuesogghigna e brandisce a mo’ di coltellacciola penna d’oca, pronto a «scannare gliscrittoracci moderni». Bonus: il dehor e ilCastelmagno (e il Testun al Barolo).Malus: difficile trovare posto. Voti: cucina7,5; ambiente 7,5; servizio 6,5.TORINOSlurpVia Massena 26 (011 562 5366). Quandoun locale viene battezzato con il nome di«Ristorante e design» bisogna andarci cauti.Quando poi si chiama Slurp, onomatopeicocome un fumetto (bum!), bisogna frenaredi botto (scrieeek!). Da fermi si possonoosservare da vicino due enormi posate(gulp!) che ci introducono in un localedecisamente bello (gasp!). Una galleriamolto cool e stravagante, con un tavolo«dell’amicizia» e uno «dell’amore», cuscinimorbidi che sembrano di cemento, sediecolorate Pantone. In bagno non trovi lamaniglia e leggi sotto la freccia: «La manigliaè qui, ci scusiamo a nome dell’architetto».Tutto molto bang e wow. Poi però mangi eti portano spaghetti scotti (chew), «quelmaialino» che non è granché (bleah). El’entusiasmo scema (sob). Ce ne andiamoinsoddisfatti (grunt) canticchiando la sigla diSuperGulp, fumetti in tv: «E l’ultimo chiudala porta». Bonus: i mobili in vendita.Malus: il cibo in vendita. Voti: cucina: 5,5;ambiente 8; servizio 5.

www.puntarellarossa.it

Un percorsoautobiograficoche vadi pari passocon i mutamentisociali e politicidel paese.Da Luigi Tencoa Vasco Brondi

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SpainTornano le atmosfere dream pop delquartetto californiano.Roma LUNEDI' 21 MAGGIO (INIT)San Benedetto del Tronto (Ap)MARTEDI' 22 MAGGIO (BREVEVITA.SAN)

Civil CivicIl garage, e non solo, del duo australiano.Roma MERCOLEDI' 23 MAGGIO (ANGELO MAI,CON CHK CHK CHK)Rieti GIOVEDI' 24 MAGGIO (YOUTHLESS)Napoli VENERDI' 25 MAGGIO (INDIEROCKETFESTIVAL)

Mark StewartIl fondatore del Pop Group da solista.Torino GIOVEDI' 24 MAGGIO (SPAZIO 211)

!!! (Chk Chk Chk)Da New York, tra rock, funk e dance.Bologna MARTEDI' 22 MAGGIO (LOCOMOTIV)Roma MERCOLEDI' 23 MAGGIO (ANGELO MAI,CON CIVIL CIVIC)

And Also The TreesSulla scena del pop alternativo britannicoda ben oltre vent’anni.Torino VENERDI' 25 MAGGIO (AUDIODROM)Roma SABATO 26 MAGGIO (INIT)

IceagePunk rock per la band danese.Bologna SABATO 19 MAGGIO (LOCOMOTIV)Roma LUNEDI' 21 MAGGIO (TRAFFIC)Marina di Ravenna (Ra) MARTEDI'22 MAGGIO (HANA-BI)

Lords of AltamontGarage rock tiratissimo per la banddell'ex Fuzztones Jake Cavaliere e dell’exbassista degli Mc5 Michael Davis.Torino MARTEDI' 22 MAGGIO (UNITED CLUB)Piacenza MERCOLEDI' 23 MAGGIO(SPAZIO 4)La Spezia GIOVEDI' 24 MAGGIO (SHAKE)Osimo (An) VENERDI' 25 MAGGIO(FUNHOUSE)Codroipo (Ud) SABATO 26 MAGGIO(SHACK)

Stealing SheepsIl trio folk al femminile di Liverpool.Segrate (Mi) MERCOLEDI' 23 MAGGIO(MAGNOLIA)

MudhoneyUna delle band più importanti del grunge.Mezzago (Mb) LUNEDI' 21 MAGGIO(BLOOM)Madonna dell'Albero (Ra)MERCOLEDI' 23 MAGGIO (BRONSON)

FriendsL'indie pop allegro e solare della band diBrooklyn.Segrate (Mi) SABATO 19 MAGGIO(MAGNOLIA)

High PlacesIndie elettronica per il duo di Brooklyn.Padova MARTEDI' 22 MAGGIO(EX MACELLO)Roma MERCOLEDI' 23 MAGGIO (CIRCOLODEGLI ARTISTI, CON TU FAWNING)

Genova GIOVEDI' 24 MAGGIO (HOP)Milano VENERDI' 25 MAGGIO (LO-FI)

Tu FawningL'avant pop è il cuore della musica diquesta band che arriva da Portland,Oregon.Roma MERCOLEDI' 23 MAGGIO (CIRCOLODEGLI ARTISTI, CON HIGH PLACES)Vittorio Veneto (Tv) GIOVEDI'24 MAGGIO (BIANCONIGLIO)

Matt ElliottDai trascorsi elettronici con i Third EyeFoundation, l'inglese Matt Elliott è passatoal folk contemporaneo.Guagnano (Le) SABATO 19 MAGGIO(RUBIK)Avellino LUNEDI' 21 MAGGIO (GODOT)Roma MARTEDI' 22 MAGGIO (LANIFICIO 159)Faenza (Ra) MERCOLEDI' 23 MAGGIO(CLANDESTINO)

DiagramsIl progetto solista di Sam Genders deiTuung.Roma SABATO 19 MAGGIO (CIRCOLO DEGLIARTISTI)

Black LipsGarage underground per la band diAtlanta.Torino MARTEDI' 22 MAGGIO (ASTORIA)Madonna dell'Albero (Ra)VENERDI' 25 MAGGIO (BRONSON)Rossano Veneto (Vi) SABATO26 MAGGIO (VINILE FESTIVAL)

Mulatu AstatkeIl pianista e compositore etiope ritornacon il suo sestetto.Sesto S. Giovanni (Mi) GIOVEDI'24 MAGGIO (CARROPONTE)

Ky-Mani MarleyFiglio di Bob, una dinastia senza fine...Genova GIOVEDI' 24 MAGGIO (PALACEP)

Marlene KuntzTorna dal vivo la rock band piemontese.Torino VENERDI' 25 MAGGIO (HIROSHIMAMON AMOUR)

Virginiana MillerLa band livornese torna dal vivo.Livorno SABATO 26 MAGGIO (THE CAGE)

AreaLa formazione, erede di quella degli anni’70, si esibisce in varie città italiane.Milano LUNEDI' 21 MAGGIO (TEATRODAL VERME)Roma VENERDI' 25 MAGGIO (CROSSROADS)

Dino Piana All StarsAl trombonista Dino Piana vieneconferito, nel corso della serata, il premioalla carriera «Una vita per la musica».Ascoli Piceno VENERDI' 25 MAGGIO(COTTON JAZZ CLUB)

Rita MarcotulliLa pianista e compositrice in quartetto.Roma SABATO 26 MAGGIO (AUDITORIUMPARCO DELLA MUSICA)

Acoustic GuitarMeetingMolti e di livello internazionale gli ospitidella rassegna, tra questi, Jorma Kaukonene David Bromberg (il 25), Bob Brozmanne Juan Carlos «Flaco» Biondini (il 26).Sarzana (Sp) DA GIOVEDI' 24 A SABATO26 MAGGIO (FORTEZZA FIRMAFEDE)

Lo Spirito del PianetaIl festival etnico ha in cartellone, tral'altro, l'unica data italiana (il 26) delsuonatore di cornamusa Carlos Nunez.Chiuduno (Bg) VENERD' 25 E SABATO26 MAGGIO (POLO FIERISTICO)

Pisa, Venezia, CorreggioA Pisa suona il New Quintet del pianistaGiovanni Guidi, a Venezia il fisarmonicistafrancese Richard Galliano, nella cittadinain provincia di Reggio Emilia suonano ilsassofonista Raffaele Casarano con TheOther Locomotive e il trombettista FulvioSigurtà con gli Electric Alchemists.Pisa SABATO 19 MAGGIO (TEATRO S. ANDREA)Venezia SABATO 19 MAGGIO (BASILICADEI FRARI)Correggio (Re) SABATO 19E MERCOLEDI' 23 MAGGIO (TEATRO ASIOLI)

Blue NoteIn cartellone il sax di Lou Donaldson(doppio recital in una serata) la fusiondegli Yellowjackets (tre date) e il vocalistKurt Elling (anch’egli doppio recital).Milano DA MARTEDI' 22 A SABATO26 MAGGIO (BLUE NOTE)

George vs Elton John (nella foto): «Tuttiquei soldi, e ancora porta quei capelli daaddetta alla mensa scolastica»; Elton Johnvs Keith Richards: «È come una scimmiacon l’artrite, che cerca di andare sul palcoe sembrare giovane»; Elton John vsMadonna: «Dovrebbero sparare achiunque canti in playback davanti a unpubblico che paga 75 sterline pervederlo»; Dave Grohl vs Courtney Love:«È un brutta stronza».

L’ESTETICAÈ CLASSICA

A CURA DI ROBERTO PECIOLA CON LUIGI ONORI ■ SEGNALAZIONI: [email protected] ■ EVENTUALI VARIAZIONI DI DATI E LUOGHI SONO INDIPENDENTI DALLA NOSTRA VOLONTÀ

ULTRASUONATI DASTEFANO CRIPPAGUIDO FESTINESESIMONA FRASCAMARIO GAMBAGABRIELLE LUCANTONIOROBERTO PECIOLASERNA VALIETTI

La musica classica, soprattutto neipaesi anglosassoni, da cui provengonogli autori dei libri in questione, Ball,Kramer, Nyman, sta finalmenteuscendo dall’ingombrante ruolo diunica verità assoluta, difeso da studiosidi accademia o conservatorio: lenuove generazioni di critici emusicologi, dai cinquant’anni in giù,cresciute - volenti o no - tra rock emass media, si avvicinano al linguaggiodelle sette note (sette?) in manieraaperta, curiosa, antipregiudiziale,persino con approcci diinterdisciplinarietà. L’americano HugoRoss, con Il resto è rumore e Sentiquesto, prontamente tradotti daBompiani, fa scuola: e non è un casoche, dopo Ross, il libro oggi più bellosulla classica sia opera di un chimico,interessato ai problemi dell’arte e dellafilosofia: Phil Bell con L’istintomusicale. Come e perchéabbiamo la musica dentro(Dedalo, Bari, pp. 508, euro 22) difatto costruisce un’estetica nonconvenzionale, lavorando sulla musicacosì come viene percepita dalcompositore, dall’interprete e dalpubblico, facendo interagire le scienze«esatte» e quelle sociali, tra numerosiesempi (anche con spartiti) da Bach aHendrix, con prosa accessibilissima,pur tirando in causa psicologia,neurologia, musicologia e altro ancora.

¶¶¶Con Perché la musica classica?Significati, valori, futuro (Edt, Torino,pp. 255, euro 14) Lawrence Kramer, cheè più addentro alla musica in qualità didocente e giornalista, si impegna ariflettere sull’identità di una cultura«dotta» forse destinata a soccombere; dabuon americano imposta il proprio saggioattorno a un efficace pragmatismo, che loporta, in una lunga parte del libro stesso, ainterrogarsi sul ruolo della classica qualecolonna sonora nei film hollywoodiani,mentre nel resto non lesina confronti eanalogie con il pop e la contemporanea. Aquest’ultima si riferisce invece MichaelNyman in La musica sperimentale(Shake, Milano, pp. 222, euro 20), risalenteal 1972, circoscritto a quelle sonorità diricerca, che, negli esiti performativi,risultano vicine all’arte figurativa, lontanepolemicamente dal mainstreamneoavanguardista (Boulez, Berio,Stockhausen): le «antimusiche» inglesi enordamericane irrompono sulla scenaverso la metà degli anni Cinquanta grazieall’attivismo pionieristico, spiazzante,oltranzista di John Cage che ispira giovaniesteti radicali, molti dei quali, soprattutto icosiddetti minimalisti, da Glass a Reich,oggigiorno quasi rockstar, ribadiscono chela tonalità non è affatto naturale, che laconsonanza e la dissonanza non sonoinnate, che la popular music non è perniente banale o primitiva.

Segnali confortanti dalla scena rockautoriale italiana. Tornano gli Amor Fou eCento giorni da oggi (Universal) li riconfermacome realtà importante e estremamenteattiva. Musicalmente il disco rappresenta unritorno alle sonorità anni Ottanta de Lastagione del cannibale - il disco d'esordiodove nella formazione trovava spazio ancheCesare Malfatti dei La Crus. Tantaelettronica certo, qualche beat dance in Unavita violenta, su testi folgoranti che mettonoalla berlina lo Stivale della politica degliintrallazzi, delle mille Ruby e igieniste dentali«fedeli all'imperatore», come cantano inForse Italia. Ampliando lo sguardo - conomaggi sparsi a Battisti e Battiato sul mondo(triste) de Le guerre umanitarie. Citazioni erimandi ripetuti al prog anni Settanta e allanew wave, anche per l'esordio dei varesiniMasCara, Tutti usciamo di casa (Universal).Suoni coinvolgenti e caldi e un approccioche potrebbe ben funzionare dal vivo.Toscani, divertenti e irriverenti, sonoinvece i ragazzi della Band ElasticaPellizza che con Oggi no (Nicipic/Egea)offrono tredici canzoni dalle liriche spessosurreali capaci di catturare l'attenzionedell'ascoltatore. Occhio al divertentissimosito... (Stefano Crippa)

Alla quinta uscita discografica (in unmercato che brilla, è il caso di dire, peropacità di attenzione verso i nuovimusicisti interessanti), il pianista VittorioMezza propone la difficile scelta delpianoforte solo. Il jazzista casertano,docente in diversi conservatori (e autoredi un valido volume tecnico per i pianistijazz) ha dalla sua una diteggiaturasontuosa, e un tocco percussivo maibanale, frutto evidente degli ascolti e deglistudi di Monk, Bley, dei due Taylor, Johne Cecil. Il che non significa che il nostronon sappia anche «reinventare» unasplendida ballad contemporanea comeQuando di Pino Daniele, nel suo LifeProcess (Abeat Records). Altra ma simileeccellenza in Heart & Soul (Alfamusic), inazione il trio del pianista StefanoSabatini, alle spalle un notevolepercorso solistico. Un talento da tenered'occhio è il pianista siciliano (milanesed'adozione) Rosario Di Rosa, che inYawp!!! (Abeat) mette assieme, con gustozappiano, talenti diversi come BittoloBon, Le Sorelle Marinetti, Paolo Botti: ealtrettanto zappiana è la scelta dei temi:dai Cure come da Bruno Canfora. Unospasso, insomma. (Guido Festinese)

INDIE ITALIA/1

Eccitanti citazioni,occhio ai MasCara

AFRO

La modernitàama la tradizione

JAZZ ITALIA

Il pianofortecolorato Di Rosa

INDIE ITALIA/2

«Avvolte» il rocksembra invisibile

AA. VV.CAPOVERDE, TERRA D'AMORE VOL. 3 (Egea)❚ ❚ ❚ ❚ ❚ È ormai una collana - giunta alterzo volume - dal profilo benefico vistoche tutti i proventi vanno a unassociazione umanitaria che fa capo alproduttore discografico Alberto Zeppieri,incentrata intorno alle musiche cantate daCesaria Evora, del suo autore preferitoTeofilo Chantre, di Tito Paris. Canzonicapaci di stordire per la loro incredibilemalinconia, trattate non sempre - almenoqui - come dovrebbero. Però Gino Paoli,che con Remo Anzovino esegue l'ineditoSanto me tradotto dallo stesso Paoli, eStefano Bollani con Dorota Miskiewicznella centrata rilettura di Sodade,diventata So già, valgono la spesa. (s.cr.)

JAY BRANNANROB ME BLIND (Nettwerk/Self)❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Molti lo ricorderanno nel filmShortbus, ma Jay Brannan è anche unapprezzato cantautore. Rob Me Blind è ilsuo terzo disco e, per molti, sarà quellodella definitiva consacrazione anche comemusicista. In verità a noi non convincetroppo, brani - tutti acustici - che scadonospesso nello sdolcinato, con spuntimelodici e voce che ci ricordano quellapletora di cantanti d’oltreoceano buoniper i teenager... (r.pe.)

DISSÒI LOGOINYX (Amirani/Auditorium Edizioni)❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Era da diversi anni che il gruppodei «discorsi dissonanti» mancava dagliscaffali: ora ritornano, con il loro preziosobagaglio di intelligenza musicale tra avantjazz, art rock e richiami «etnici» al di là diogni genere confinato nelle etichette. Checi sia una dedica a Piero Milesi aggiungevalore al tutto: come lo aggiunge lapartecipazione di musicisti eccelsi (epionieri, come Milesi) quali FedericoSanesi a percussioni e batteria, e MarioArcari, oboe e clarinetto. Un disco chenon si lascia riassumere a parole: tantomeglio, bisogna mettersi all'ascolto. (g.fe.)

MASABUMI KIKUCHI TRIOSUNRISE (Ecm/Ducale)❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Finalmente un piano-trio chespazza via le solite convenzioni purviaggiando all’interno del genere eapprofittando delle atmosfereromantiche/traslucide della casa diMonaco. Merito del pianista giapponeseche sa elaborare i grandi esempi storici,da Tristano a Bley, nella direzione di undiscorso ricco di pause, di spezzature,tentato dal puntillismo, animato tanto daun fermo intimismo lirico quanto da unaelegante acuta esplorazione nei territoriavantgarde. Merito di Thomas Morgan.Merito di Paul Motian, , qui alla sua ultimaprova in sala d’incisione prima dellamorte. (m.ga.)

PUBLIC IMAGE LIMITEDTHIS IS PIL (Pil Official/Goodfellas)❚ ❚ ❚ ❚ ❚ PIL, acronimo odioso ma nelmondo del post punk è stato per moltotempo il coadiuvante per la costruzione diun suono rigenerante. John Lydon/JohnnyRotten torna dopo 20 anni straniante eteso, voce e sguardo sghembi, spiccatogusto per il canto parlato come nellamiglior tradizione del punk ironico eiconoclasta. Con lui pezzi da 90 come LuEdmonds (Damned, Pil), Bruce Smith (PopGroup, Slits) e Scott Firth (SteveWinwood, Elvis Costello). (s.fr.)

TEHO TEARDODIAZ (Radiofandango)❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Teho Teardo ritrova il registaDaniele Vicari. Le musiche di Diaz, scritte,registrate, mixate e prodotte daltalentuoso compositore pordenonese,eseguite con il Balanescu Quartet estrumenti elettronici, esprimono conintelligenza e sapienza il disagio e lacrudezza della vicenda raccontataattraverso la manipolazione del suono e lasospensione dell’apparato melodico. Nelcd anche Evolution Revolution Love diTricky. Bello e coinvolgente. (g.lu.)

VERBALVERBAL (Neverlab)❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Uno sforzo quello che i Verbalrichiedono ai fanatici della forma canzonestrofa-ritornello-strofa. Quasi tacciono icinque bergamaschi, non gli interessapiacere per forza, abbandonano i lidi delrock e a colpi di chitarra e batteria siaprono un sentiero in una forestapopolata da band come gli Ufomammut.Sei tracce, un viaggio dove omnichord,campionatore e voci paiono uscire da unvecchio televisore rimasto acceso in unastanza buia in fondo al corridoio. (s.va.)

Dopo gli ottimi riscontri dell’esordio di unpaio di anni fa torna il duo palermitano IlPan del Diavolo con Piombo polvere ecarbone (La Tempesta Dischi). Qualchenovità rispetto al precedente disco,rappresentata da una più attenta produzionema anche da una minor carica che fa sì che illoro blues-folk sembri più «ammorbidito». Ilrisultato è altalentante e non tutto cisembra a fuoco. Molto meglio L’essenziale èinvisibile agli occhi (Triciclo/Venus), quintafatica per i torinesi Avvolte. Al discopartecipano vari ospiti, tra cui Lydia Lunch eRoberto Angelini. Indie rock dal mooddecisamente cupo, il loro, che per la primavolta, abbandonato il nome AvvolteKristedha, forse riescono a esserepienamente convincenti. Tra i brani Il vestitopiù scuro, Per essere viva e Un istante. Lapsichedelia è invece il mondo sonoro in cuivivono The Churchill Outfit, che con illoro esordio omonimo (Dada Dischi)sorprendono assai. I cinque ragazzi brescianihanno studiato la lezione, e il loro rockspazia da fine anni Sessanta alle pulsioniNovanta e Duemila, dai Pink Floyd agliArctic Monkeys, con grande naturalezza.Complilmenti d’obbligo, anche se molto ègià stato detto. (Roberto Peciola)

Dagli anni Ottanta la musica neoafricana(o afrobeat che dir si voglia) raggiungenotorietà mondiale e livelli qualitativieccelsi grazie a una radicalediversificazione di linguaggi sonori.Precursore di un sound originale chefonde tradizione, ritualismo, modernità,impegno civile e politico è Fela Kuti(1938-1997), di cui oggi si pubblical’inedito Live in Detroit 1986 (Strut): unhighlife come sempre allegro e grintosoal tempo stesso, dove l'incredibileenergia ritmica è supportata da riff eassolo di ascendenza jazzistica. Alleradici black americane si rifanno isudafricani Ladysmith BlackMambazo nel doppio And Friends(Inakustik), con un ideale viaggio diandata/ritorno da un continente all'altro,esprimendosi come di consueto negliidiomi gospel locale mescolati qui a ungusto pop nelle molte cover assieme aospiti statunitensi in un tripudio di worldmusic spesso eccitante. Un altromaestro è infine Mory Kante che a 62anni registra La Guinéenne (Discograph)ancora un disco molto fine, ribadendo latradizione griot integrata a modernesonorità. (Guido Michelone)

DI GUIDO MICHELONE

ON THE ROAD

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COPPA ITALIA

di FLAVIO PAGANO

●●●Una vecchia barzellettaracconta di una famiglia dinapoletani che vogliono diventarepiemontesi. Per ottenerlo, devonoattraversare a nuoto il Po. Perprimo parte il papà. Arriva sull’altrasponda e lì, con l’accento di colpotrasformato, grida alla moglie: «Vensì!». La moglie si butta, raggiungel’altra sponda, e grida al figlio: «Vensì!». Il ragazzo si lancia tra i fluttima, a metà del guado, non ce la fapiù e invoca disperatamente aiuto:«Oi pa’, aiutam’! Me stong’affugann’!». E suo padre sbotta: «Èsin minute chi sun piemunteis, egià sti napuli rumpu el bale!».

A Napoli, a dire il vero, lamaschera del nord più tipicamentepresa in giro sarebbe quellamilanese. Eppure è il Piemonte che,nell’immaginario partenopeo,rimane la regione più «lontana»,quella che nel lungo viaggio perraggiungerla – al tempo in cui fumeta di massa dei migranti – davala sensazione di espatriare. Dietroquesto sentimento di lontananza edi estraneità, c’è un pezzo crucialedella nostra storia. L’imprinting diun evento dal sapore tuttoraincerto e vagamente magico, comeuna verginità persa e ritrovata:l’Unità.

A unificare l’Italia del pallone –con l’introduzione della DivisioneNazionale, divenuta poi DivisioneNazionale Serie A, che consentì perla prima volta alle squadre del Suddi competere con quelle del nord –fu il Fascismo. L’iniziativa, dopo unavvio stentato, riuscì e le squadredel Mezzogiorno – sostanzialmenteil Napoli – ottennero la meritatavisibilità.

Ma, a ben guardare, nel tentativodelle società del nord di isolarsirispetto a quelle del Sud, forse nonc’era tanto uno spirito diprevaricazione antimeridionalista,quanto un desiderio di sentirsiparte dell’élite europea del calcio.Non insomma un problema dirazzismo e di repulsione per il sud,ma piuttosto di attrazione verso ilnord (dell’Europa) e il timore diabbassare il livello complessivodella competizione.

Fatto sta che il calcio avevacontinuato a proporre la visioneottocentesca di un sud arcaico,assolato, sonnolento. Un portatoculturale in cui si delineanochiaramente le propaggini propriodel clima culturale epropagandistico che avevaaccompagnato l’Unificazione.L’esercito regolare piemontese chesfila vittorioso dopo la battaglia delVolturno – nell’ultimo atto dellaquale era entrato in azioneapertamente, contro gli ordini diCavour – è per molti un esercitoinvasore. E il senso di ripugnanzache alcuni cronisti del nordriportano dinanzi allo spettacolodella miseria dei vinti, accentua ilsenso di conquista.

Non bastò neanche l’impulsopatriottico della Grande Guerra,vinta con il contributo decisivo diquei tanti campani, calabresi,pugliesi – uomini e donne – checombatterono nelle trincee ecostruirono mitragliatrici negli

stabilimenti della Fiat (dove, grazieagli «incentivi» concessiall’industria nel periodo bellico, sipermetteva di imporre orari dilavoro illimitati e salari inesistenti),a riequilibrare le disarmonienazionali. E, passato il Ventennio,lo scenario doloroso deldopoguerra ripresentò un paesepiù che mai spezzato in due. Ibombardamenti avevano distruttole linee di comunicazione e ilcampionato ricominciò con duegironi, separati da un confine checorreva lungo la Linea Goticavoluta da Kappler nell’estremotentativo di fermare gli Alleati.

Lo Stivale, visto dal basso –mentre il boom economico siavvicinava, tra mille iniquità e leimprese spericolate della primagenerazione di arricchiti – si facevasempre più ripido. Arrampicarsi alnord, fino al lavoro nelle fabbriche,non era per niente facile. «Non siaffitta ai meridionali» era uncartello comune per le strade delle

città della cosiddetta Alta Italia, incui riecheggiavano altri cartellirazzisti – ancora più dolorosi – diqualche anno prima. Capitò anchea un immigrato di lusso come ilgrande Antonio Ghirelli, chementre visionava un appartamentotorinese – da neodirettore diTuttosport – si sentì sussurrare chepoteva star tranquillo, l’ambienteera scelto, da quelle parti nessunoavrebbe dato la casa a un terrone.Poi tutto si sfumò in un vagorossore e un sorriso imbarazzato,quando Ghirelli rispose «peccato,mi avrebbe fatto piacere, sononapoletano».

Nel calcio intanto cominciano aentrare i poteri forti. Ilprofessionismo si afferma semprepiù impetuosamente e dei tempi diuna stella del Napoli, Attila

Sallustro, al quale il padre avevaproibito di giocare per soldi«perché il calcio è un gioco», nonrimaneva nulla o quasi nulla.Entrano in scena gli industriali dalportafogli gonfio – padroni anchedella stampa – che comprano l’assodel momento, e lo danno in pastoalla folla, come piccoli imperatorisugli spalti del nuovo circomassimo. Arrivano gli Agnelli, earriva Lauro. L’«Avvocato» e «‘oComandante» (ovvero «‘oPescione», come dicevano gliintimi, alludendo alle sue dotisegrete). Arrivano gli scandali, chein effetti non erano mancatineanche prima.

A volte sembra che la distanzanord-sud si riduca. Che quellaTorino così lontana, dove si parlaquasi in francese, non sia unmiraggio irragiungibile: lo sportaiuta molto a creare certe illusoniottiche. Negli anni Trenta, alloStadio Vesuvio (poi Ascarelli) stiNapoli rumpu el bale davvero,perché gli azzurri impongono ilpareggio ai bianconeri. Sonosegnali. Segnali che il sud non ècosì assopito. Ma la Juve resta unaSignora, mentre il Napoli – unicavera potenza del calcio terrone – èsquadra che conosce la dura vitadella B, che viene da giù in tutti isensi. È impastata di polvere come ibraccianti che risalgono la Penisolafino a vedere la corona innevatadelle alpi, tra le brume e il gelo, finoalla grande città industriale chegravita ormai intorno alla suafabbrica modello: uno stabilimentoche non ha l’eguale, costruito sulmodello della Ford (perché ognuno

Napoli-Juve, il derbydell’Unità d’Italia

Napoli-Juve ai tempi delle sfide tra Platinie Maradona. In alto, il gol del bianconeroPepe nella sfida di campionato giocataquest’anno al San Paolo finita 3-3

Domani seraa Roma la finaletra bianconerie azzurri.E’ il passo d’addioper Del Piero, forseanche per Lavezzi.Tra nostalgia esuggestioni storiche

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COPPA DEI CAMPIONI

ha i suoi miraggi), e il cui nome ècapace di evocare scenari da mille euna notte: il Lingotto.

Il sud somiglia alle viscere oscuredel Paese. E Torino restamaledettamente lontana. Ma glianni passano. Arrivano gli scambidi campioni. Altafini passa allaJuve, e pugnala i vecchi compagnicon un gol che vale uno scudettoall’ultima giornata. Anche Zoff sene va, anche lui alla corte del verore d’Italia, però a Napoli ci lasciaun pezzo di cuore e dopo le partitenon manca mai di domandare:«Che ha fatto il Napoli?».

L’Avvocato dice che solo perMaradona e Platini vale la pena dipagare il biglietto. Del resto lui ilbiglietto non lo paga. La Juve è sua,Torino pure. Ed è città arcigna,insomma appare tale, non cosìvotata all’ospitalità verso i fratellilevantini. Un detto spietato livorrebbe addirittura falsi, seppurcortesi.

Il calcio conta, conta sempre dipiù, e la distanza tra Napoli eTorino si contrae e si distendecome per l’effetto relativistico dicerte prodezze sportive. ConMaradona accade il miracolo: lageografia è tutta da rifare. Con unarovesciata, el pibe ha rovesciato ilmondo. E all’improviso, se non piùa nord, Napoli è più in alto diTorino: nella classifica di Serie A. IlNapoli vince e stravince. E Diego loricorda con fierezza sfacciata dascugnizzo: «Ma lo capite che cosavuol dire, in Italia, dare sei palloniall’Avvocato?». Sono vittorieepocali. Autentiche rivincite.

Eppure, al sud, il mito del nord

che vince (e spesso ti frega) è duroda abbattere. Se c’è in finale laJuventus, non si può star tranquilli.Mai. Però nemmeno a Torino sipossono dormire sonni sereni comequelli del principe di Condè primadella battaglia. Perché il Napoli havoglia di vincere e l’entusiasmo, sisa, è il carburante più esplosivo.Come in ogni melodramma che sirispetti, anche nella finale didomani sera – con in palio unaCoppa Italia forse mai così ambitaprima d’ora – ci saranno deglistruggenti addii. Qualche «tenore»azzurro ha già il piede sulla staffa,diretto forse a Milano, forse ancorapiù lontano. E tra le fila bianconere,c’è l’addio che strappa una lacrimaanche sotto la Linea Gotica, perchéad offrire per l’ultima volta ilbraccio alla Signora è Alex DelPiero, eroe del quarto Mondiale,sacro per tutti.

Insomma dietro la coccardatricolore dal sapore ottocentesco,che borbonici e savoiardi sicontenderanno a Roma, non c’èsolo un secolo di calcio, c’e un belpezzo di Risorgimento, c’è la nostraStoria. Nessun’altra partita sarebbestata perfetta quanto questa perchiudere un anno di celebrazioni: èJuve-Napoli, di diritto, il grande«derby dell’Unità d’Italia».

Ci sono le premesse per ungrande spettacolo e per un grandecalcio. Come si dice? Che vinca ilmigliore. Intanto un fatto positivoc’è già: le dispute italiane non leviene ad arbitrare più né unfrancese, né un austriaco. O,almeno – vista l’aria che tira inEuropa – non quelle sportive.

MENNEA AL CIO: «LONDRA RICORDI MONACO ’72»●●●Preoccupato dalle possibili implicazioni politiche di un anniversario tanto pesante, il Comitatoolimpico internazionale ha respinto la proposta di ricordare con un minuto di silenzio durante le prossimeOlimpiadi di Londra gli 11 atleti e allenatori israeliani che persero la vita durante l’attentato terroristico diSettembre Nero ai giochi di Monaco del 1972. Il presidente del Cio Jacques Rogge ha ricevuto una letteraufficiale del governo israeliano che ha fatto propria la richiesta dei parenti delle vittime che da decennichiedono una commemorazione pubblica del massacro di 40 anni fa. Ma Rogge ha fatto sapere che purcondividendo il dolore delle famiglie, già in altre occasioni il Cio ha già reso omaggio agli olimpioniciisraeliani del ’72 e non intende farlo ancora. Così ieri anche Pietro Mennea, che a Monaco conquistò unbronzo nei 200 metri, ha deciso di scrivere una lettera inirizzata a Rogge, al primo ministro inglese David

Cameron e al presidente del Comitato organizzatore di Londra 2012 Lord Sebastian Coe. «Gentilepresidente, le scrivo questa lettera, nella mia veste di atleta olimpico. Quest'anno ricorrono i 40 anni dallastrage di Monaco che ha comportato l'uccisione di 11 atleti israeliani, che come me e tanti altri,inseguivano un sogno e mai avrebbero pensato di poter rimanere coinvolti in un atto politico-terroristico aloro del tutto estraneo. Bisogna riconoscere che allora il Cio e tutti noi atleti siamo stati colti impreparatida questo tragico evento con il suo tristissimo epilogo, e forse non fu fatto abbastanza per onorare legiovani vite spezzate di quegli atleti israeliani. Ritengo pertanto che sarebbe importante che tutta la famigliaolimpica gli riconoscesse il giusto tributo anche solo con un minuto di silenzio, magari ricordando i loronomi, nel corso dei prossimi Giochi di Londra. Questo non sarebbe un atto politico, ma anzi, un'iniziativadi grande civiltà umana e giuridica, e la dimostrazione di come lo sport deve e può superare ogni ostilità econtrapposizione».

CHE CAZZODI SQUALIFICA

di LUCA MANES

●●●«Il calcio è uno sport fatto di 22giocatori che corrono dietro a unpallone e di un arbitro che ogni tantofa qualche errore. E alla fine laGermania vince sempre». Per capirequanto per gli inglesi sia importante,e temuto, un incontro con gli storicirivali tedeschi (e non parliamo solo difootball), basta rileggersi le paroledell’ex attaccante Gary Lineker, oggiapprezzato conduttore della Bbc. Luiha vissuto uno degli episodi menofulgidi della diatriba sportiva tra ledue nazionali: la semifinale deimondiali di Italia 90, persa ai calci dirigori, poi risultati fatali ai Tre Leonianche nella semifinale dell'Europeocasalingo del 1996.

Se si eccettua la finale dei Mondialidel 1966 – quella del celeberrimogol-non gol di Geoff Hurst – negliultimi decenni i tedeschi hannospesso e volentieri avuto la megliosugli inglesi. Un po’ diversa la storiadei confronti tra club. Qui iprecedenti fanno ben sperare ilChelsea, che questa sera contenderàal favorito Bayern di Monaco –avvantaggiato anche dal fatto digiocare nello stadio di casa, l’AllianzArena – il trofeo più importante delpanorama continentale, laChampions League. Proprio l’exsquadra di Franz Beckenbauer e KalleRummenigge ha un saldo negativonegli atti conclusivi delle coppecontro compagini d’oltre Manica. Peruno strano scherzo del destino, ilBayern ha sempre perso quando èstato dominatore incontrastato delcampo. Successe nel 1982 control’Aston Villa, bravo a reggere l’urto deiteutonici e a colpire in contropiedecon una rete del «bisonte» PeterWithe; andò ancora peggio nel 1999,quando Lothar Matthaus e compagnisi videro sfilare la coppa nei minuti di

recupero da un Manchester Unitedprovato da una stagione massacrantequanto trionfale (non per nienteconclusasi con il triplete). Dopo avercentrato pali e traverse e sprecatooccasioni a ripetizione, inquell’incontro per certi versi surreale itedeschi si fecero infilare due volte trail 92’ e il 93’, vedendo vanificato ilvantaggio iniziale di Mario Basler.Forse era una sorta di punizione deglidei del calcio per uno scippoperpetrato ai danni di un’altrasquadra inglese ventiquattro anniprima. Il Leeds United di BillyBremner e Joe Jordan si schiantòcontro il muro eretto dal portieroneSeppe Maier – e per la verità anchecontro parecchie decisioni discutibiliprese dall’arbitro francese MichelKitabdijan. Poi furono Franz Roth equel mago del goal di Gerd Muller ainfliggere il colpo mortale ai Whites.

Al di là dei controversi trascorsi conle inglesi, almeno nella bacheca delBayern fanno bella mostra di sé benquattro coppe dei campioni. Per ilChelsea e il suo attuale proprietario

Roman Abramovich la coppa dallegrandi orecchie è invece un'autenticaossessione, una sorta di scimmia dascacciare dalla schiena il più prestopossibile. I Blues non se la sonoaggiudicata nemmeno con JoséMourinho e con rose molto più fortied in salute di quella attuale,rianiamata in corso d’opera dall’exallenatore in seconda Roberto DiMatteo subentrato tre mesi fa a VillasBoas. A Mosca, nel 2008 la sfioraronoappena. Poi il capitano di millebattaglie John Terry scivolò almomento del rigore decisivo e iltrofeo prese la via dell'Old Trafford diManchester.

Per spazzare via quelle bruttememorie il Chelsea si può consolarecon il ricordo del magico destro ditrick box Gianfranco Zola nei tempisupplementari della finale di Coppadelle Coppe del 1998 contro loStoccarda e soprattutto riandare conil pensiero a uno dei momenti piùfulgidi della storia del calcio inglese,compiutasi proprio a Monaco diBaviera (sebbene all'Olympiastadion).Era il 1 settembre 2001, nellaqualificazioni per il mondialenippo-coreano la nazionale alloraguidata da Sven Goran Erikssondoveva lavare l'onta dell'1-0dell'andata, ultimo match giocatosiall'ombra delle due torri del vecchioWembley. Dopo sei minuti segnò ilpennellone Carsten Jancker, allora diproprietà del Bayern e poi passatosenza lasciare troppe tracce anche aUdine. Solita storia, ennesimaconferma della bontà dell'adagio diLineker? Nemmeno per sogno, graziea una tripletta di un giovane eall’epoca sano come un pesceMichael Owen e a due bellemarcature di Steven Gerrard e EmileHeskey, l’Inghilterra umiliò 5-1 unaGermania incredula, esterrefatta.

Infine. Un precedente tra le duesquadre in Champions League esistee risale al 2005, quarti di finale. AlChelsea regnava lo Special One ec’erano 4 giocatori che ancora oggicomandano lo spogliatoio: il portiereCech, capitan Terry (che staseraguarderà la finale dalla tribuna perchèsqualificato), Lampard e Drogba. DelBayern di allora è rimasto soloSchweinsteiger. Passarono gli inglesi,4-2 a Londra, 2-3 a in Baviera. Setteanni dopo, la sfida continua.

CHAMPIONS LEAGUE ■ L’EPILOGO

Bayern-Chelsea,la finale inattesa.Eterna sfidaanglo-tedesca

●●●In casa della Sambenedettese(Marche), per tutta la durata della partita itifosi hanno usato dei fischietti«professionali», uguali a quelli in dotazionealla classe arbitrale. Risultato: un inferno,partita interrotta una trentina di volte.Scherzetto che costerà mille euro di multaalla società.

Maurizio Di Martino, allievo del SanGiacomo (Piemonte), espulso per averinsultato l'arbitro, non ha accettato ladecisione. Ha strappato il cartellino rossodalle mani del direttore di gara e l'ha fatto apezzettini, buttandoli in terra.

Play out campionato di Eccellenza inPuglia. Il Francavilla perde in casa per 1-0contro il Vieste. Gli animi sono più chesurriscaldati. A fine gara c'è un assedioall'arbitro, ritenuto come sempre tra lecause principali della sconfitta. Nel mezzodel trambusto un dirigente rifila un calcio alsedere del direttore di gara, così forte dacausare «trauma contusivo rachide lombosacrale», riscontrato all'ospedale diFrancavilla e sette giorni di prognosi.

Multa alla Virtus Calcio Poggibonsi,campionato di promozione della Toscana, acausa degli insulti irriferibili lanciati dallatribuna da un focosissimo tifoso. Solo chel'arbitro lo ha riconosciuto benissimo: era ilsignore che prima della gara aveva segnatole righe del campo.

Ancora Toscana, ricorso del Perignano1929 per ridurre la squalifica di un suocalciatore, Matteo Bartorelli, condannato arestare fermo per due anni. Vicendaintricata, comunque al centro c'è un'accusarivolta dal calciatore all'arbitro, del tipo: «Macome cazzo arbitri?». Per la societù iltermine «cazzo» appunto, è ormai utilizzatoda tutti nel linguaggio comune, senza che visia ravvisabile un'accezione negativa. Lacommissione disciplinare non è dello stessoavviso: «Se alla parola (volgarmenteidentificativa dell'apparato genitale maschile)venisse dato, come nella versione difensiva,semplice valore rafforzativo, la locuzionepotrebbe agevolmente essere utilizzata inogni frangente: ’Me lo fa un caffè, cazzo?’, ’mipassi quel cazzo di libro?’, ’maestra, ma checazzo di voto mi dà'. L'identica frasepronunciata dal giocatore potrebbe essereinfine usata per manifestare la propriadisapprovazione nei confronti del vigile che,fischietto alla bocca, contesti una infrazioneritenuta inesistente senza temere nessunaconseguenza ulteriore».

Il giudice sportivo umbro ha smascheratoun bugiardo. Si chiama Sekou Keita,calciatore della Virtus Ortana, appenasqualificato per sei mesi per aver dichiaratoil falso, cioè di «non essere mai statotesserato per federazioni estere». Invece sìche era stato tesserato, «il mendace»,addirittura alla federazione francese,precisamente per il club Nicolaite deChaillot Paris.

Per finire, ecco un brano del refertoarbitrale, campionato di terza categoriadell'Emilia Romagna, gara tra Borussia Borgoe Atletico Borgo. Non importa quiricostruire tutta la vicenda, basta estrarneun brano: «Durante l'intervallo l'arbitroinformava i due capitani che se il lancio dicarote in campo fosse continuato, avrebbesospeso la gara. Alla ripresa del giocoinvertiva la posizione degli assistenti di gara,ma il lancio di carote da parte deisostenitori non cessava... Al momento dellasegnatura di una rete da parte dell'AtleticoBorussia, i lanci di carote riprendevano el'arbitro decideva di sospendere la partita,ravvisando che non vi fossero più lecondizioni di sicurezza ed integrità deicontendenti».

Oggi all’AllianzArena la partitache vale la coppadalle grandiorecchie.I bavaresi giocanoin casa, i Bluessi aggrappanoalla cabala

Robben e Ribery, la coppia simbolodel Bayern Monaco, compagni in campo,nemici fuori, attesi protagonisti della finalecol Chelsea. Foto Reuters

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(16) ALIAS19 MAGGIO 2012

di LUCIANO DEL SETTE

●●●Trentenne, milanese, PaoloCastaldi esordisce così «Ho deciso datempo che parlare di fumetti è inutile.Come parlare dell’arte in generale.Cosa significa ‘parlare dell’arte’? Ècome parlare di una partita di calcio,guardando le trasmissioni delladomenica sera: ore ed ore a scrutare lamoviola per un fuorigiocomillimetrico. Il calcio lo si capisce sologiocandolo. I fumetti facendoli. Nonmi interessa se qualcuno li chiamagraphic novel, se qualcuno li chiamafumetti e basta, se quello che li chiamafumetti addita come fighetto quelloche li chiama graphic novel, o sequello che li chiama graphic novel simette la sciarpetta di cotone alle fiereperché fa tanto autore di graphicnovel». E, per buon peso, aggiunge:«Vorrei che il fumetto andasse oltre ilfumetto stesso. Il fumetto devearrivare nella vita di tutti i giorni; devesedersi con me a tavola, deve ridere epiangere con me. Il fumetto deveessere sempre al mio fianco. Il fumettonon ha gabbie; non va rinchiusodentro una fiera, impedendogli di farele sue esperienze, costretto tra stand dicompensato. Il fumetto deve farsi unInterrail senza fine, e raccontarmi quelche vede di tanto in tanto». Il Castaldipensiero non ha bisogno di ulteriorichiarimenti. Annotiamo, allora, letappe di una carriera iniziata nel 2005pubblicando la storia breve I will neverbe clean again, scritta da AdrianoBarone per Star Comics. Con Barone,e con lo stesso editore, realizza poi Theanomaly. Il 2008 lo vede all’opera per ilcomune di Settimo Milanese, Nontroppo lontano, e per Edizione Voilier,Nuvole rapide (in due parti). L’ingressoin Becco Giallo avviene nel febbraio2011, il fumetto (o graphic novel?) sichiama Etenesh, l’odissea di unamigrante. Quell’anno vince il PremioBoscarato nella categoria AutoreRivelazione. Come illustratore estoryboarder, Paolo ha al suo attivocollaborazioni con Real Life Television,Agr Factory, Studio Bozzetto. E aproposito di maestri e ispiratori? «Alivello stilistico sono stato influenzatoda Pazienza, e da Pratt che mi ha fattoconoscere la bellezza dell'acquerello;da Gipi, Jiro Taniguchi, Juan Gimenez,Nikolai Maslov, Joe Sacco. Credo,inoltre, che ci sia una nuova classe diautori, che poi tanto nuova non èperché di gavetta ne ha fatta a pacchi,in grado di dare tantissimo alla graphicnovel. Matteo Fenoglio, Akab, PacoRoca, Lelio Bonaccorso, solo per farealcuni nomi».

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«Il fumetto devesedersi con mea tavola, rideree piangere con me»

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