+ All Categories
Home > Documents > alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Date post: 24-Mar-2016
Category:
Upload: mattioli-1885
View: 289 times
Download: 28 times
Share this document with a friend
Description:
L’alimentazione, intesa nel senso più ampio e nei suoi aspetti positivi di una migliore nutrizioneed in quelli negativi degli incidenti sanitari e delle malattie nutrizionali, ha ampliato edaccentuato il suo ruolo nella nostra vita quotidiana. Se un tempo il problema era quello dellafame, oggi, nelle popolazioni che hanno un’ampia disponibilità di cibi, i problemi alimentarinon sono scomparsi, anzi paiono aumentati e, in ogni caso, sono cambiati.
261
EXPLORA alimentazione e patologia alimentare darwiniana GIOVANNI BALLARINI Mattioli 1885 88-89397-05-5
Transcript
Page 1: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Copia omaggio per i Signori Medici / Vendita vietata

Esente da bolla di accompagnamento Art. 4 Comma 6/ DPR627-78

E X P L O R A

alimentazione e patologia alimentare

darwinianaGIOVANNI BALLARINI

Mattioli 1885

ISBN 88-89397-05-5

L’alimentazione darwiniana, recuperando la natura biologica dell’alimentazione umana, è il nuovo paradig-ma necessario per il controllo delle moderne e dilaganti malattie alimentari, che non sono solo dovute agli ali-menti, ma anche a come questi sono usati in cucina.

Le neo-biotecnologie applicate agli alimenti, prosecuzione delle vetero-biotecnologie iniziate ottomila oforse diecimila anni fa, oggi assumono prospettive nuove. La cucina, strettamente correlata all’agricoltura edall’allevamento, è qui esaminata nella prospettiva dell’evoluzione culturale, che l’uomo ha sovrapposto all’evo-luzione biologica.

Mai come oggi è evidente che la cucina rappresenta un punto di raccordo tra biologia e cultura. Un libroanche per chi non sa nulla, o quasi, dei nuovi argomenti d’alimentazione e vuole avere una sintesi.

GIO

VA

NN

I BA

LLA

RIN

I

AL

IME

NTA

ZIO

NE

E P

AT

OL

OG

IAA

LIM

EN

TAR

E D

AR

WIN

IAN

A

Ma

tt

iol

i 18

85

88-89397-05-5

Page 2: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

E x p l o r a

frontespizio 1-4 21-07-2006 14:22 Pagina 1

Page 3: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

frontespizio 1-4 21-07-2006 14:22 Pagina 2

Page 4: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

GGIOVANNI BBALLARINI

alimentazione e patologiaalimentare darwiniana

M a t t i o l i 1 8 8 5

frontespizio 1-4 21-07-2006 14:22 Pagina 3

Page 5: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Autore:

Giovanni Ballarini

isbn 88-89397 - 05 - 52006, Mattioli 1885 spa

tutti i diritti riservati.

www.mattioli1885.com

frontespizio 1-4 21-07-2006 14:22 Pagina 4

Page 6: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

A l i m e n ta z i o n e e pat o l o g i a a l i m e n ta r e d a r w i n i a n a

indice 21-07-2006 14:21 Pagina 5

Page 7: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Presentazione 9Introduzione 11

CAPITOLO IGeni, cibo e cucina: noi siamo il nostro passato alimentare.Le basi dell’alimentazione darwiniana 17

Antenati 17La nascita della cucina 28Tutte le malattie derivano dall’agricoltura? 46Quale alimentazione umana? 63

CAPITOLO IICibo e nutrizione: argomenti d’alimentazione darwiniana 77

Alimenti animali ed alimentazione darwiniana 78Carnivorità: necessità biologica e culturale della carne 78Ittiofagia 89Lattofagia: dalla naturale lattofobia alla lattofilia culturale 94Miele: voglia di dolce 104

Alimenti vegetali ed alimentazione darwiniana 107Cereali: alimenti che l’uomo ha adeguato alle sue necessità 107Leguminose: carne e farmacia dei poveri 113Ortaggi, piante aromatiche e frutta: necessità nutrizionale umana 119Fibra alimentare: da inutile a necessaria 129Bevande acide, infusi e bevande nervine 133

Attività extranutrizionali degli alimenti e nutrizione darwiniana 135Attività extranutrizionali e farmacologiche degli alimenti 135Antibiotici ed ormoni alimentari: realtà antichissime e necessarie 143Antiossidanti: una preziosa protezione 150

Luci ed ombre degli alimenti in una alimentazione darwiniana 153Immunità e alimentazione: antiche radici della nutraceutica immunitaria 153Probiotica, nutraceutica ed alimenti funzionali: antiche radici di una nuova dimensionedell’alimentazione umana 157Psicodietetica: importanza di nutrire il cervello 168Antialimenti: una sfida alla nostra alimentazione 174

Biotecnologie alimentari, uso degli alimenti e nutrizione darwiniana 177Enzimi e fermentazioni alimentari: veterobiotecnologie alimentari 177Grassi: invenzione d’un alimento 180Bioritmi alimentari: mangiare secondo natura 184

Indice

indice 21-07-2006 14:21 Pagina 6

Page 8: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

CAPITOLO IIICibo e malattie: argomenti di patologia alimentare darwiniana 187

Patologia alimentare darwiniana 187

Malattie da cibi pericolosi ed alimentazione darwiniana 193Avversioni alimentari: quando un cibo non piace 193Intolleranze alimentari: quando si rompe un equilibrio tra geni e cibo 196Allergie alimentari: conseguenze della scomparsa dei parassiti 200Celiachia: intolleranza al glutine dei cereali 205

Cibo che fa male e patologia alimentare darwiniana 209Veleni alimentari. Sola dosis facit venenum 209Micotossine: invenzione agricola di ieri ed oggi 214Fave e favismo: antico legame tra cibo e malattie 218Infezioni alimentari: dalle infezioni della caccia a quelle dell’allevamento 222

Malattie da cibi buoni ed alimentazione darwiniana 224Obesità e sovrappeso: una moderna epidemia su di un’ancestrale base genetica 224Colesterolo: dalla paura alla necessità 230Ipertensione: sale, un appetitogeno necessario 234

Malattie da assenze nutrizionali e patologia alimentare darwiniana 240Osteoporosi: calcio e magnesio, grandi minerali necessari per la vita 240Ferro: una carenza mondiale 244Oligoelementi alimentari: importanza delle piccole quantità 248Carenza di fibra alimentare. Malattie del grosso intestino d’origine alimentare: patologiedella civiltà 252Vitamine: carenze provocate dall’uomo 254Vitamina D: la vitamina che non era una vitamina 259

CAPITOLO IVIl nostro futuro alimentare 263

Alimentazione darwiniana: una sfida globale 263Alimentazione darwiniana: la sfida degli alimenti e delle biotecnologie 269Alimentazione darwiniana: la sfida di come coltivare ed allevare 278Alimentazione darwiniana: nuova dimensione dell’antropologia alimentare 288Educazione alimentare darwiniana: il nuovo paradigma 292

indice 21-07-2006 14:21 Pagina 7

Page 9: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

indice 21-07-2006 14:21 Pagina 8

Page 10: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

La nutrizione darwiniana recupera la natura biologica dell’alimentazione umana ed è il nuovo pa-radigma per una necessaria rivoluzione alimentare

L’alimentazione, intesa nel senso più ampio e nei suoi aspetti positivi di una migliore nutri-zione ed in quelli negativi degli incidenti sanitari e delle malattie nutrizionali, ha ampliato edaccentuato il suo ruolo nella nostra vita quotidiana. Se un tempo il problema era quello dellafame, oggi, nelle popolazioni che hanno un’ampia disponibilità di cibi, i problemi alimentarinon sono scomparsi, anzi paiono aumentati e, in ogni caso, sono cambiati.Dal cibo come salvezza dalla fame, si è passati alla paura del cibo e delle malattie da cibo(foodborne diseases).Gli alimenti e l’alimentazione, per i nuovi sistemi applicati od applicabili alla loro produzio-ne, ad esempio gli ormoni e gli Organismi Geneticamente Modificati (OGM), e gli inquina-menti alimentari, spesso sotto forma di scandali, sempre più spesso occupano le pagine deigiornali e gli schermi televisivi.Un ampio ventaglio d’argomenti, connessi alla produzione degli alimenti, è oggi un temaquasi fisso di dibattiti socioculturali. Da una parte questo dipende dal ritmo incalzante concui scoperte ed innovazioni si succedono, e dalla sovrapposizione d’onde di risonanza susci-tate dalle notizie. Da un’altra parte, non vi è dubbio, l’alimentazione è molto vicina al nostroio, individuale e sociale. Rovesciando l’aforisma del gastronomo e filosofo Anthèlme Brillat-Savarin, secondo il quale “la scoperta di un manicaretto nuovo fa per la felicità del genereumano più che la scoperta di una stella”, oggi l’invenzione di un nuovo cibo fa più paura diuna scoperta chimica o fisica. Non dimentichiamo che, in fondo in fondo, tutti noi pensiamod’essere quel che mangiamo.Quasi nessuno resta indifferente alla notizia che una malattia è stata correlata ad un cibo odal tipo o qualità dell’alimentazione. Anche per questo, quando si annuncia una nuova tecnicaper produrre alimenti, si cercano e soprattutto si enfatizzano gli aspetti negativi. Lo scandali-smo alimentare non è solo una moda, ma è divenuta una consuetudine. Questo non significache tutti siano in grado di valutare la notizia e di attribuirle il giusto peso, perché questo ri-chiede la conoscenza di un certo numero di concetti e fatti scientifici. In proposito bastapensare alla paura che ha suscitato e continua a suscitare, il fatto che si possa modificare ilpatrimonio genetico di un alimento vegetale, anche quando alla pianta non si aggiunge, masi toglie un gene.Sempre più evidente è l’ignoranza scientifica della nostra società, anche nell’ambito degli ali-menti e della nutrizione.

11

Introduzione

introduzione 14-06-2005 10:22 Pagina 11

Page 11: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

In ogni modo, oggi il cibo è divenuto un problema. Sembra che Anthèlme Brillat-Savarinabbia sbagliato, affermando che “il piacere della tavola è di tutte le età, di tutte le condizioni,di tutti i paesi e di tutti i giorni: può associarsi a tutti gli altri piaceri e rimane per ultimo aconsolarci della loro perdita” e che “la tavola è il solo luogo ove non ci si annoia mai durantela prima ora”.Nelle popolazioni dei paesi industrializzati, con la recentemente raggiunta abbondanza ali-mentare e l’indubbio aumento della sicurezza degli alimenti, le paure e soprattutto le malat-tie nutrizionali non sono scomparse. In modo quasi paradossale, invece, sembrano essere au-mentate.La diminuzione ed il migliore controllo delle malattie infettive e parassitarie, assieme all’al-lungamento della durata della vita, ha dato spazio a nuove malattie correlate all’alimentazio-ne: obesità, diabete e loro associazione (diabesità), disturbi nel metabolismo dei grassi (iper-colesterolemie ecc.) e patologie correlate (malattie cardiocircolatorie ecc.), malattie degene-rative dei diversi organi, soprattutto del cervello e, non da ultimo, neoplasie e tumori.Nuovi e sempre più raffinati metodi diagnostici permettono oggi di scoprire malattie ali-mentari che un tempo rimanevano nascoste, o più semplicemente erano ignorate.Sotto nuova veste, sono ancora validi i motti “ne uccide più la gola della spada”, “i cuochidanno lavoro ai medici” e soprattutto “quel che non ammazza ingrassa”. A quest’ultimo pro-posito, se un tempo il cibo ammazzava per la sua cattiva qualità, oggi il cibo sano, che ingras-sa, continua ad ammazzare. Appunto perché ingrassa.Com’è avvenuto tutto ciò? Com’è possibile quello che sembra essere un fallimento dell’uma-nità? A che cosa sono serviti milioni d’anni di selezione naturale della nostra specie e diquelle che ci hanno preceduto? E tutte le culture che hanno preceduto le attuali? È tutta col-pa di aver abbandonato tradizioni alimentari? O abbiamo e stiamo sbagliando nell’educazio-ne alimentare? Perché proprio le società che si ritengono più avanzate sono quelle che hannosviluppato nuovi problemi nutrizionali? Sono ancora valide le pulsioni alimentari e che valo-re hanno nell’uomo moderno le fami specifiche o queste, da sistemi di controllo e regolazio-ne, sono divenute cause di sregolamenti e malattie? Perché è così difficile mettersi a dieta esoprattutto mantenere la linea? Vi è una predisposizione all’obesità e tutto quanto vi è corre-lato? Per rispondere, almeno in parte, a questi ed altri interrogativi, è stato scritto questo li-bro che affronta la questione alimentare umana sotto una nuova prospettiva, quella della ge-netica umana, nelle sue componenti metaboliche e comportamentali, nel quadro di un’ali-mentazione darwiniana od evoluzionista. Chi procederà nella lettura, comprenderà meglio ilperché del corsivo e potrà approfondire il paradigma dell’alimentazione darwiniana e le sueimportanti applicazioni.Il messaggio contenuto nel paradigma dell’alimentazione darwiniana esposto in questo libroè semplice, almeno ad un primo esame.La nostra genetica (geni) si è evoluta in tempi lunghissimi, in buona parte preumani, in rela-zione ad una disponibilità e qualità d’alimenti (cibo) molto diverse dalle attuali. Con l’inven-zione dell’allevamento e dell’agricoltura i cibi sono mutati, ma al tempo stesso sono stati cor-retti da una tecnica: la cucina. Con l’urbanesimo sono cambiati gli stili di vita. Nel passato viera una relativa scarsità alimentare ed una vita molto attiva: circa quaranta chilometri dicammino od otto ore d’attività fisica il giorno. Oggi, almeno nei paesi industrializzati, abbia-mo ad una quasi illimitata abbondanza alimentare, soprattutto energetica, con una quasicompleta immobilità. La nostra genetica, che condiziona anche importanti comportamenti,soprattutto alimentari, non è cambiata. Inoltre la cucina, da sistema di correzione dei cibi

12

Introduzione

introduzione 14-06-2005 10:22 Pagina 12

Page 12: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

prodotti dall’agricoltura e dall’allevamento e strumento di regolarizzazione dell’alimentazio-ne, è divenuta una nuova causa di malnutrizione e di malattie alimentari. Già nel passato, masolo per una limitata percentuale di persone delle classi abbienti (dove l’obesità era bellezza ela gotta una nobile malattia) si era rotto il delicato equilibrio tra costituzione genetica (geni),alimenti (cibo), stili di vita e cucina. Oggi il fenomeno è di massa e si sta espandendo a mac-chia d’olio a tutte le popolazioni dei paesi industrializzati, passando anche a quelli in via disviluppo, e divenendo un problema sociale.Oggi sappiamo che i geni, che abbiamo ereditato, determinano una corretta alimentazioneed una regolare nutrizione. Un giusto rapporto tra geni, cibo e cucina influenza quindi la no-stra salute e può determinare o condizionare malattie nutrizionali e metaboliche. In quest’o-rientamento è intuibile come la nutrizione darwiniana recupera la natura biologica dell’alimen-tazione umana ed è il nuovo paradigma per una necessaria rivoluzione alimentare, che deve passa-re attraverso la cucina.Le malattie e le patologie alimentari del benessere, in particolare obesità e sue conseguenze,malattie degenerative e metaboliche sono oggi in crescita per frequenza e gravità. Non hannosolo una base genetica, fisiopatologica e metabolica, ma anche una base comportamentalecomplessa. In modo sempre più chiaro, sta emergendo il nuovo capitolo delle patologie ali-mentari comportamentali, con un’evidente componente genetica. Alle malattie nutrizionali delbenessere, s’affiancano le sempre più diffuse nuove carenze nutrizionali, che nei paesi indu-strializzati minano l’efficienza fisica e psichica delle popolazioni, nella prima ed in particola-re nella terza età. Nuove malattie alimentari infettive (foodborne diseases), compaiono con unritmo accelerato e, negli ultimi cinquant’anni, si sono quintuplicate.Molte patologie nutrizionali sono causate, favorite o in ogni modo correlate a non correttistili di vita, d’alimentazione e ad un sempre più diffuso cattivo uso dei cibi o malacucina, tuttiargomenti sotto l’attenzione dell’antropologia alimentare. Questa disciplina studia gli aspettisociali dell’alimentazione umana nelle sue diverse sfaccettature e con i suoi complessi rap-porti con la società, l’economia e la salute. Il solo aspetto antropologico non si dimostra, tut-tavia, sufficiente per comprendere, quindi per controllare, i diffusi e gravi problemi della nu-trizione umana. È necessario associare e soprattutto integrare un approccio darwiniano odevoluzionista dell’alimentazione umana, come sopra indicato. In modo molto incisivo, P.Kingsley (2001) ha affermato che “il passato siamo noi”. Secondo l’alimentazione darwinia-na, i geni che abbiamo ereditato determinano sia una corretta nutrizione, sia la nostra saluteed indirizzano molti comportamenti che condizionano parte delle malattie che ci affliggono.In ultima analisi, “noi siamo quello che mangiamo e quello che hanno mangiato i nostri piùlontani antenati”.Le nuove idee, dell’antropologia alimentare e dell’alimentazione darwiniana, oggi devono es-sere confrontate con la qualità e l’uso degli alimenti. Con l’agricoltura e l’allevamento, l’uo-mo ha aumentato la quantità degli alimenti, ma ne ha anche modificato la qualità. Modifica-zioni erano state apportate dalle vetero-biotecnologie fermentative (yogurt, formaggi, vino,birra, pane ecc.) e dalle altre tecnologie di cucina. Oggi si aggiunge la manipolazione biotec-nologica degli alimenti, che suscita paure ed apprensioni, soprattutto perché rappresenta unignoto che potrebbe aggredirci.Mai come oggi l’alimentazione è, inoltre, campo di disinformazione, apprensioni, paure esperanze. Drammatico è il risultato di un’inchiesta compiuta in Europa nel 2000 e secondola quale il 35% degli intervistati credeva che nei cibi normali non fossero presenti geni, cheinvece sarebbero immessi in quelli transgenici. Un tempo vi era la fantasia di diventare forti

13

Introduzione

introduzione 14-06-2005 10:22 Pagina 13

Page 13: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

come un leone, astuti come una volpe, rapidi come una lepre o resistenti ai veleni come la vi-pera mangiando le carni di questi animali. Oggi si è sviluppata un’inconscia paura negativa,altrettanto fantastica, che i cibi possano alterare il nostro essere (genetico). Al di fuori di fan-tasie, le neo-biotecnologie applicate agli alimenti e prosecuzione delle vetero-biotecnologieiniziate ottomila, diecimila anni fa, oggi assumono nuove prospettive, ma devono essere esa-minate alla luce delle idee dell’alimentazione darwiniana ed in ambito di una moderna an-tropologia alimentare. In questo contesto bisogna considerare il nuovo ruolo della cucina. In-venzione peculiare umana e strettamene correlata alle altre invenzioni dell’agricoltura e del-l’allevamento, la cucina rappresenta l’indispensabile punto di collegamento tra biologia e cul-tura ed il necessario punto di raccordo della genetica con una corretta nutrizione umana.Non è infine da trascurare che, in un momento come l’attuale, nel quale la scienza ed in par-ticolare la dottrina dell’evoluzione sono oggetto di contestazione, proprio un’interpretazionescientifica ed evoluzionista dell’alimentazione e delle patologie alimentari sono l’unico para-digma capace d’interpretare la realtà e quindi di guidare uno sviluppo che non tradisca unineliminabile passato.In questo libro, con un linguaggio facilmente comprensibile, tenendo conto delle più recenticonoscenze scientifiche, anche in merito all’evoluzione della nostra specie e di quelle chel’hanno preceduta, sulla scorta delle nuove idee dell’antropologia alimentare e del paradigmadell’alimentazione darwiniana, si spiega perché ci ammaliamo di cibo, come prevenire le ma-lattie nutrizionali tipiche della nostra società opulenta e consumistica, quali strade percorrereper impedire l’insorgere di nuove malattie nutrizionali e, quindi, quale dovrebbe essere la no-stra vera alimentazione. Sono anche affrontati e discussi rischi e vantaggi delle neo-biotec-nologie alimentari e come, attraverso queste e con una buona cucina, sia possibile adeguare ilcibo ai nostri geni e abitudini alimentari.Per una più facile accessibilità e leggibilità, il libro é diviso in più parti.In una Prima Parte, Geni, cibo e cucina - Noi siamo il nostro passato alimentare - Le basi dell’ali-mentazione darwiniana, sono considerati i più importanti aspetti dell’alimentazione evolu-zionista.Nella Seconda Parte, Argomenti d’Alimentazione Darwiniana, in brevi capitoli sono illustrati,in modo sintetico, i più importanti argomenti alimentari interpretati in base al paradigmadell’evoluzione darwiniana.Nella Terza Parte, Argomenti di Patologia Alimentare Darwiniana, in brevi capitoli ed in baseal paradigma dell’evoluzione darwiniana sono considerate le principali patologie e malattiealimentari.Nella Quarta Parte – Il nostro futuro alimentare, sono affrontati i temi dello sviluppo della cu-cina, dell’antropologia alimentare e dell’educazione alimentare, considerati in chiave evolu-zionista.Una completa ed esaustiva interpretazione darwiniana dell’alimentazione umana porterebbead un lavoro enorme, con l’intervento di specialisti. In quest’ultima condizione, si sarebbedovuto tenere conto delle posizioni personali. Un orizzonte che contrasta con gli interessialimentari immediati del lettore, al quale il libro si rivolge. La mia intenzione è stata di scri-vere un libro per chi dei nuovi argomenti d’alimentazione non sa nulla o quasi e che vuoleavere una sintesi e, soprattutto, concretezza. Conoscere poco, ma chiaramente, è meglio chenon conoscere nulla. È quest’ultima una richiesta di benevolenza per i limiti dell’esposizio-ne? Anche, ma non bisogna dimenticare che se le schematizzazioni possono non essere tutta laverità, sono tuttavia utili, se non necessarie, per comprenderla.

14

Introduzione

introduzione 14-06-2005 10:22 Pagina 14

Page 14: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

15

Introduzione

Da dove derivano i “nostri” geni

Le più recenti indagini genetiche e soprattutto la determinazione del genoma umano sfatano l’idea di

un possesso e di una specificità dei “nostri” geni. Nella quasi totalità li abbiamo ricevuti per “via verti-

cale”, di generazione in generazione, dai nostri, anche più lontani antenati. Nel corso dell’evoluzione

biologica abbiamo ottenuto geni anche per via “trasversale”, anche da batteri, attraverso una bioin-

gegneria genetica naturale. Alcuni numeri dimostrano questa duplice eredità.

99,9% – È la percentuale dei geni che sono identici in ogni persona umana presente sulla terra. Una

precisa indicazione della recente nascita della specie umana e della sua forte promiscuità.

40.000 – È il massimo numero di geni contenuti in ognuna delle cellule del corpo umano, ma possono

essere anche solo 27.000. Fino a poco tempo fa si riteneva fossero 100.000.

40% – Percentuale dei geni che l’uomo condivide con quelli di un nematode (verme).

60% – Percentuale dei geni che l’uomo condivide con il moscerino dell’aceto (Drosophila melanoga-

ster)

90% – Percentuale dei geni che l’uomo condivide con il topo.

98-99% – Percentuale dei geni che l’uomo condivide con lo scimpanzé. La principale differenza gene-

tica consiste nella perdita dei geni che determinano la presenza di taluni zuccheri sulla superficie delle

cellule.

223 – Numero dei geni, fino ad oggi identificati, che pare che i nostri antenati abbiano acquisito diret-

tamente dai batteri, attraverso un’ingegneria genetica naturale.

500 – Numero dei geni coinvolti nei processi olfattori che nel corso della loro evoluzione gli ominidi

hanno perso, a favore di geni coinvolti in altri sensi (vista ecc.).

33% – Percentuale della sequenza genomica umana fino ad oggi identificata.

(Da: Time, 26 febbraio 2001 – International Herald Tribune, 2001; New Scientist, 2001 – Marks J. – Che cosa si-

gnifica essere scimpanzé al 98 per cento – Feltrinelli, Milano, 2003).

introduzione 14-06-2005 10:22 Pagina 15

Page 15: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

introduzione 14-06-2005 10:22 Pagina 16

Page 16: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Antenati

Noi siamo quello che mangiarono i nostriantenati, in particolare quelli della nostraspecie.Grandi menti hanno plasmato il pensiero deiperiodi storici: Socrate, Platone e Aristotelela cultura classica, Cristo la liberazione daimiti e dai dogmi, Lutero e Calvino ispiraro-no la Riforma, Voltaire e Rousseau l’illumi-nismo, Galileo Galilei la ricerca scientifica.Da Albert Einstein e da Charles Darwindipende in larga misura la moderna conce-zione del mondo fisico e biologico.

Nutrizione ed evoluzioneLa nutrizione darwiniana od evoluzionistaritiene che molte delle attuali malattie nutri-zionali e disturbi alimentari, nei loro molte-plici aspetti sociali, psicologici e medici, sia-no correlati ad un’incompatibilità tra:a) biologia umana, sia sotto l’aspetto fisico

sia psichico, e quale risultato di un lun-ghissimo processo evolutivo;

b) attuali stili di vita delle popolazioni uma-ne, soprattutto dei paesi industrializzati;

c) condizioni ambientali;d) odierna disponibilità d’alimenti e loro

composizione;e) modo di trattamento ed uso dei cibi.Sfortunatamente, molte delle pratiche ali-mentari e dietetiche dimostrano che vi sonoequivoci e fraintendimenti, anche in quellache è considerata o propagandata come ali-mentazione naturale.Per questo bisogna divulgare i principi ed iconcetti della nutrizione darwiniana od evo-luzionista, applicandoli alle moderne turbe emalattie nutrizionali, con le proposte di pre-venzione e di trattamento. La nutrizionedarwiniana correla la biologia e la psicologiaumana al passato, alla nostra specie ed al suoprocesso evolutivo. Allo stesso tempo, la nu-trizione evoluzionista considera gli alimentidi cui l’uomo oggi si nutre. Nella nutrizionedarwiniana sono raccolti, correlati ed inter-pretati in chiave evoluzionista concetti qualiselezione naturale, selezione artificiale, stra-

17

C a p i t o l o I

Geni, cibo e cucina: noi siamo il nostro passato alimentare.Le basi dell’alimentazione darwiniana

Sottili e complicati rapporti legano il patrimonio genetico umano all’ambiente ed all’alimentazio-ne. L’alimentazione può anche influire sull’evoluzione genetica della specie umana.Prima di addentrarci nella conoscenza dei rapporti tra Geni e Cibo, sono utili alcune considerazio-ni sui nostri Antenati ed in particolare su quelli della nostra specie.Esaminando la nascita della cucina e dell’agricoltura, è possibile giungere ad alcune conclusioni suirapporti tra l’Alimentazione, la Genetica e la Cultura Umana, di cui la cucina fa parte.In quest’ambito si può considerare sotto una nuova prospettiva l’alimentazione umana, tra geneticae cultura, e porsi l ’interrogativo di quale deve essere.

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 17

Page 17: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

tegie biologiche, effetti sociali ed ambientalidelle attività umane. Una conoscenza dellastoria naturale della nostra specie è la basefondamentale per un’analisi biologica delleturbe alimentari e nutrizionali, con le lororelative conseguenze.

Da dove proviene la nostra biologiaLa nostra biologia e molti dei nostri com-portamenti sono il risultato dell’evoluzioneche si è svolta nel corso di moltissimi milio-ni d’anni, iniziando con le prime forme divita comparse sulla terra, molte centinaia dimilioni d’anni fa.Le caratteristiche che c’identificano comemammiferi, e di cui nessuno può dubitare(ad esempio la riproduzione attraverso lagravidanza, la presenza di ghiandole mam-marie e la produzione di latte, il manteni-mento d’una temperatura corporea costante,una cute con peli) risalgono a circa 225 mi-lioni d’anni fa.Delle nostre caratteristiche di primati (ditaprensili, struttura dell’orecchio medio, adat-tamento ad una vita arborea) si hanno le pri-me tracce circa 65 milioni d’anni fa.La selezione indirizzata ad un’elevata acu-tezza della visione binoculare con gli occhiposti frontalmente, lo sviluppo della mano edel piede, un progressivo aumento del cer-vello in relazione alle dimensioni del corpo,il lungo periodo di maturazione fetale e so-prattutto neonatale, con il correlato aumentodella capacità di apprendere, iniziò 40 milio-ni d’anni fa, con la comparsa dei primati su-periori (scimmie e preominidi).Le caratteristiche della famiglia biologicadegli ominidi incominciarono a comparire inlontani antenati, circa cinque milioni d’annifa. Gli Hominidae, ai quali apparteniamo, ecom’è abbastanza facilmente documentabiledai reperti fossili, assumono una posizioneeretta. La caratteristica di camminare e cor-rere su due gambe è iniziata circa cinque mi-lioni d’anni fa, liberando gli arti anteriori.Conseguenze della stazione eretta sono state

lo sviluppo della mano ed anche altri impor-tanti fenomeni biologici: complicazioni nellagravidanza e parto, patologie di tipo alimen-tare e nutrizionale ecc. La posizione eretta ela locomozione bipedale comportano un di-spendio energetico superiore a quello dell’u-so di quattro arti. Inoltre, la mano “liberata”può utilizzare strumenti e dedicarsi a nuoveattività di raccolta ma anche, in prospettiva,di produzione del cibo. Già fin dalle primefasi dell’ominizzazione inizia un allunga-mento della gravidanza e dell’allattamento,con un periodo di maturazione biologica ecomportamentale del neonato molto impor-tante, con particolari esigenze nutrizionaliper la madre, il feto ed il neonato. È forse inquesta fase che è iniziata un’altra caratteri-stica biologica, che oggi troviamo nella fem-mina della nostra specie, di una fase non ri-produttiva (menopausa), con tutte le esigen-ze e conseguenze nutrizionali. Una fase po-st-riproduttiva che oggi vediamo allungarsisempre più. Nei primati e negli ominidi, losviluppo cerebrale è avvenuto anche in rela-zione alla disponibilità dei nutrienti (Rossi eRossi Prosperi, 2003).In questo processo evolutivo, di cui sono sta-ti indicati solo alcuni dei tratti salienti, s’in-serisce lo sviluppo del sistema nervoso cen-trale, cervello in modo speciale, con le suenecessità nutritive. Senza correre troppoavanti, oggi sappiamo che il più antico gene-re della famiglia degli ominidi fu l’Australo-pitechus, diverse specie del quale, sono vissu-te da circa quattro milioni e mezzo ad unmilione d’anni fa, nei territori dell’attualeAfrica. Ancora in Africa, da due milioni emezzo a due milioni d’anni fa, comparve ilgenere Homo, che sviluppò progressivamenteil volume del proprio cervello ed una sempremaggiore dipendenza dalla cultura materialedi sia pur rudimentali, ma importantissimistrumenti. Un genere che circa un milione emezzo d’anni fa, seguendo soprattutto le co-ste del mare ed i fiumi, si diffuse nell’attualeEurasia.

18

Capitolo I

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 18

Page 18: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Circa 300.000 anni fa comparve l’Homosapiens, con grande sviluppo cerebrale, pro-babilmente con più specie geneticamentedistinte, tra le quali hanno avuto un parti-colare successo quelle identificate comeUomo di Neanderthal (Homo sapiens nea-derthalensis) e Uomo di Cro Magnon (Homosapiens sapiens). Entrambe le specie, moltoprobabilmente non interfeconde, erano ca-paci di costruire utensili, d’esprimersi e diparlare, quindi di pensare, sia pure a livellidiversi.L’Uomo di Neanderthal occupò l’Europa edil Vicino Oriente nel Paleolitico medio, da300.000 a 35.000 anni fa. Organizzato inpiccoli gruppi di cacciatori e raccoglitoriera seminomade ed in equilibrio biologicocon la selvaggina, di cui prevalentemente sinutriva. Abitava in primitive capanne egrotte, abbandonando i residui della sua vi-ta quotidiana. Usava il fuoco e costruivastrumenti di pietra levigata. Aveva un lin-guaggio, come dimostrano lo sviluppo cere-brale delle aree di Broca e di Wernicke, ilpalato concavo e lo sviluppo dell’osso ioide,ed una cultura denominata mounsteriana(da Mounstier, in Dordogna, Francia). IlNeanderthal scomparve circa 35.000 annifa.L’Uomo di Cro Magnon era presente in Eu-ropa fin da 35.000 anni fa e popolò anchel’Australia, l’America e le isole del Pacifico.Era un cacciatore e raccoglitore, ma anchepescatore. Costruiva strumenti di pietra,d’osso e corno. Inumava i morti, spesso as-sieme ad offerte. Per primo praticò il dise-gno, l’incisione, la pittura, la scultura e, comevedremo, sviluppò la cucina.Delle due specie, che certamente convisseroalmeno per un certo periodo negli stessiareali, come l’Europa, solo una, l’uomo diCro Magnon, al quale dobbiamo le primemanifestazioni pittoriche in caverne o rap-presentazioni d’immagini incise su ossa, svi-luppò una cultura materiale sempre più raf-finata ed elaborata, che gli permise di

diffondersi in ogni parte della terra e, so-prattutto di sostituirsi completamente all’al-tra specie, il Neanderthal.La nostra specie, Homo sapiens sapiens, riferi-bile al Cro Magnon, sulla faccia della terraha oggi superato i sei miliardi d’individui.

Evoluzione culturale a gran velocitàL’Homo sapiens, nonostante i cambiamentibiologici lentissimamente raggiunti, noncambiò sostanzialmente i rapporti che i suoipredecessori avevano instaurato con l’am-biente. Pur migliorando le proprie capacitàdi caccia e raccolta ed estendendo i territoridi vita, da un punto di vista alimentare rima-se sempre molto simile ai cacciatori e racco-glitori di centinaia di migliaia d’anni prima.Il suo stile di vita non era molto diverso daquello degli ominidi che l’avevano preceduto.Sulla stessa linea, si ritiene, rimase fermol’Uomo di Neanderthal, mentre l’altra spe-cie, la nostra o Uomo di Cro Magnon (Ho-mo sapiens sapiens) oltre a sviluppare attivitàartistiche, fu l’artefice di un grande e sottoun certo aspetto drammatico cambiamento:il passaggio dalla raccolta alla produzione emanipolazione del cibo, con l’invenzione, da10.000 a 12.000 anni fa, dell’agricoltura,dell’allevamento degli animali e lo sviluppodella cucina.Secondo alcuni ricercatori, l’invenzione fudeterminante per il sopravvento del CroMagnon sul Neanderthal e fu causata dallaprogressiva diminuzione della selvaggina,sulla quale, soprattutto il Neanderthal, basa-va la sua alimentazione. Si calcola che gli in-dividui di questa specie, peraltro di maggiormole del Cro Magnon, avessero un fabbiso-gno giornaliero di 160 grammi di proteine,in prevalenza d’origine animale, pari a 800grammi di carne (in gran parte muscolo), ol-tre ad una certa quota di grasso animale, checorrispondono a circa due chilogrammi, duechilogrammi e mezzo d’animale selvaticoper adulto e per giorno. Una necessità chespingeva il Neanderthal anche al cannibali-

19

Geni, cibo e cucina

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 19

Page 19: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

smo, un comportamento oggi accertato.Quando 10.000, 12.000 anni fa, nei territorisud orientali dell’odierna Turchia e poi nellaFertile Mezzaluna, fu inventata l’agricolturae l’allevamento del bestiame, l’uomo da no-made dovette trasformarsi in sedentario, co-struendo il villaggio e la città, dove racco-gliere e conservare gli alimenti, prodotti inbrevi periodi dell’anno. Il passaggio fu gra-duale e non senza contrasti, come dimostrala lunga persistenza della pastorizia, fase ditransizione tra una vita migratoria con lacaccia degli animali ed una vita sedentariabasata sull’agricoltura, e le lotte tra popolipastori ed agricoltori per il possesso ed unadiversa utilizzazione del territorio. Contrastiche sono stati oggetto anche d’antichi miti eracconti, come quello biblico del pastoreAbele e dell’agricoltore e costruttore di cittàCaino.Mantenendo immutata la sua biologia (ge-netica), in un brevissimo volgere d’anni (unattimo nell’evoluzione biologica) l’uomocambiò la sua alimentazione, lo stile e l’am-biente di vita, rompendo antichissimi, benconsolidati e delicati equilibri. Le conse-guenze dell’agricoltura, dell’allevamento edell’urbanizzazione sono state forti anchesotto il profilo alimentare e nutrizionale, edovremo esaminarle più avanti, non primadi esserci posti un interrogativo.L’invenzione dell’agricoltura e dell’alleva-mento del bestiame operata dalla nostra spe-cie, fu la conseguenza “del caso e della ne-cessità” come vorrebbe la regola biologica, o laconseguenza di una “scelta basata su di unaprevisione” per ovviare la scarsità del cibo,oppure una scelta di diverso genere, di tipoculturale? In questa scelta vi fu anche la vo-lontà d’evitare il cannibalismo?Molto probabilmente è vera l’ipotesi cultu-rale, come risulta dalle idee che si stanno og-gi maturando sull’origine della cucina, venti-mila, forse trentamila anni fa, attraverso laricerca di droghe vegetali psicoattive.In qualunque modo l’agricoltura e l’alleva-

mento siano iniziati, il loro sviluppo ha por-tato ad una rivoluzione sulla faccia del pia-neta terra dove, per la prima volta, una spe-cie non è più succube dell’ambiente, non se-gue soltanto la regola “del caso e della neces-sità”, ma attraverso la cultura affronta l ’am-biente, anche quello vivente, modificandolo se-condo un progetto che guarda al futuro.Senza essere accusati di razzismo, meglio dispecismo, si deve riconoscere che, se quantoora indicato sarà confermato come vero,l’uomo di Neanderthal non era ”uomo”, oper lo meno un uomo completo, come oggiintendiamo e cioè capace di immaginare equindi dominare il futuro. Il vero, primo edunico uomo, con tutta la cautela di quest’af-fermazione, è stato il Cro Magnon, quindinoi. Un’affermazione che non deve essere lettacome espressione d’orgoglio. Tutt’altro, ma solocome una grande responsabilità.Qui è necessario rilevare che biologia e cul-tura hanno tempi d’evoluzione molto diffe-renti.I tempi d’evoluzione biologica si calcolanoin migliaia di generazioni (200.000 anni so-no circa 6.500-7.000 generazioni umane),mentre quelli dell’evoluzione culturale, inanni.I 10.000 anni che ci separano dall’invenzio-ne dell’agricoltura, allevamento ed iniziodell’urbanizzazione sono, al massimo, 300generazioni, mentre gli ultimi cento annid’evoluzione culturale comprendono soltan-to tre generazioni. Anzi soltanto due, perchél’allungamento della vita media umana haulteriormente rallentato il ritmo dell’evolu-zione biologica. Non è improbabile che inun futuro, che è già cominciato, ed in conse-guenza dell’allungamento della vita media,vi sarà una generazione e mezza ogni centoanni.Con un’evoluzione biologica che rallenta ed un’e-voluzione culturale che accelera ad un ritmo espo-nenziale, si rompono equilibri, con con-seguenze drammatiche, anche e soprattutto nel-l’alimentazione, nutrizione e patologie correlate.

20

Capitolo I

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 20

Page 20: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

I diecimila anni dell’agricoltura ed alleva-mento, rispetto ai duecentomila dell’Homosapiens, sono solo il 5%. Se esaminiamo cos’èavvenuto in questi ultimi cento anni, che so-no solo lo 0,05% della vita della nostra spe-cie, un’inezia, ci si può rendere conto delsempre più gran divario che si è venuto acreare tra la biologia e la cultura umana!Non bisogna inoltre dimenticare che la bio-logia dell’Homo sapiens sapiens ha radicimolto, ma molto più antiche dei diecimilaanni ora considerati. La biologia, inoltre, ri-guarda il nostro corpo nei suoi aspettimorfologici, fisiologici, metabolici e com-portamentali.Si è stimato che l’uomo abbia circa quaran-tamila geni, gran parte dei quali, se non qua-si tutti comuni ad altre specie. La nostra ge-netica è quindi antica, molto antica e per ta-luni aspetti attinge all’origine della vita.I nostri geni determinano forme e funzionidei nostri organi e quindi il tipo e la qualitàdell’alimentazione, ma anche i nostri com-portamenti, od almeno una parte di questi.Come ha da tempo dimostrato Konrad Lo-renz, numerosi comportamenti, anche ali-mentari, sono ereditati, né più né meno de-gli organi. La nostra biologia e le pulsioniche sollecitano ed indirizzano i nostri com-portamenti, non sono sostanzialmente mu-tate negli ultimi cinquantamila anni e sonostate plasmate per uno stile di vita e soprat-tutto un’alimentazione che l’uomo ha cam-biato in questi ultimi diecimila anni (95%della sua vita come specie) e drammatica-mente stravolto in questi ultimi cento anni(0,05% della sua vita come specie).Le conseguenze non potevano essere chegravi, anche se vi è stato un allungamentodella durata della vita. Un allungamento del-la vita che, sotto alcuni aspetti, sta provo-cando ulteriori, non piccoli problemi.Per meglio inquadrare quanto sarà discussonei successivi capitoli, è qui opportuna unasintetica puntualizzazione sulla nostra ali-mentazione “naturale”.

Qual è la nostra “vera” alimentazione naturaleNoi siamo una specie che si è evoluta conun’alimentazione relativamente scarsa digrassi, sufficientemente ricca di proteine ingran parte d’origine animale (insetti – alme-no 1286 specie secondo Ponzetta e Paoletti,1997 - carne magra d’animali d’ogni specie,con sostenuta presenza di pesce), con moltafibra alimentare, insolubile e solubile, deri-vata da una larga varietà di bacche e confrutta e radici, ricche di principi attivi.Al tipo d’alimentazione ora schematizzatoera ed è correlato il nostro organismo. Ladentatura è sia da carnivorano (denti incisivie canini) sia da vegetariano (denti molari).Lo stomaco ed il primo tratto intestinale èadatto ad un’alimentazione carnea e congrassi, mentre il secondo tratto (grosso inte-stino) è adeguato alla fermentazione della fi-bra vegetale, soprattutto di quella solubile.La nostra alimentazione era caratterizzata dauna grandissima biodiversità alimentare, conabbondanza di composti fitochimici (Phyto-chemicals Nutrients) o “molecole strategiche”.Queste erano presenti negli alimenti d’origi-ne animale, come i metalli incorporati inmolecole organiche e taluni grassi della serieomega-3. Moltissime erano le “molecolestrategiche” negli alimenti vegetali: vitamine,antiossidanti, fitormoni, metalli organici ecc.Non bisogna inoltre sottovalutare le necessitànutrizionali che l’uomo ha per il suo cervelloche ha una corteccia cerebrale con 14 miliar-di di cellule (neuroni), in confronto ai 3,5 – 3miliardi del gorilla e dello scimpanzè (Rossie Rossi Prosperi, 2003).I nostri antenati, anche i nostri bisnonni,esercitavano un’elevata attività fisica, dell’or-dine di quaranta chilometri il giorno, a passosvelto e con intervalli di piccole corse rapide,o con un lavoro fisico per circa otto ore gior-naliere.Il ritmo riproduttivo era basso, ma con unimpegno metabolico intenso (gravidanza esoprattutto un lungo allattamento, di circaquattro anni) scandito da un ciclo che, in

21

Geni, cibo e cucina

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 21

Page 21: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

condizioni normali, era di cinque anni. Unritmo indubbiamente lento, ma estrema-mente utile e per questo selezionato dallabiologia e soprattutto dalla cultura. Attra-verso il lungo periodo d’allattamento e quin-di di stretta convivenza del neonato e delpiccolo con la madre, si sviluppa l’ereditàculturale, ad iniziare dal linguaggio, che hadecretato il successo della nostra specie.Le nascite si susseguivano circa ogni cinqueanni e la donna passava gran parte della suavita post - puberale allattando. Dopo il partoe per i primi due anni, il bambino era allatta-to esclusivamente con il latte materno, checontinuava a ricevere anche per i successividue. L’allattamento “continuo”, tra le dodici ele diciotto poppate il giorno, nella donna ini-biva l’ovulazione, quindi impediva il sovrap-porsi di una nuova gravidanza all’allattamen-to in corso. Quando l’allattamento era statocompletato, nella donna riprendeva l’ovula-zione ed iniziava un nuovo ciclo di gravidan-za, parto e allattamento. Se vi era la morteprecoce del neonato, prima del normale mo-mento di slattamento, la donna diveniva dinuovo fertile e riprendeva il ciclo riprodutti-vo.La nascita di un bambino inetto, completa-mente dipendente dalla madre e con un len-tissimo accrescimento, era ed è un notevolevantaggio, in quanto nel periodo post - na-tale permette un forte sviluppo del cervelloe, soprattutto, la possibilità di trasmettereun’importante eredità culturale. Tuttavia, vi èla necessità di procurare cibo abbondanteper la madre, che allatta e raccoglie cibo persè ed il piccolo. Diviene quindi necessarial’opera congiunta del maschio cacciatore,che procura alla madre ed al piccolo la tantoimportante carne, pesce e grasso animale. Videve quindi essere un elemento di legametra la femmina ed il maschio e questo è, sen-za dubbio, il sesso.Di norma gli accoppiamenti fertili avveniva-no solo a lunghi intervalli. Per questo, il si-stema messo in atto da altre specie, nelle

quali la femmina segnala al maschio il suostato di fertilità con il calore, non potevafunzionare. Vi è stato, quindi, lo sviluppod’accoppiamenti sessuali senza che la femmi-na segnali il suo stato d’ovulazione, con il ca-lore od estro, come avviene nella quasi tota-lità dei mammiferi. Accoppiamenti senzauna precisa finalizzazione riproduttiva e nel-l’ambito di una famiglia matriarcale sono unanovità delle specie umane. Nella vita fertiledi una coppia, non necessariamente monoga-mica, fin dal periodo paleolitico e neolitico sipotevano calcolare in non meno d’uno o dueaccoppiamenti la settimana, quindi da sette-cento a millecinquecento accoppiamenti ognicinque anni, il periodo sopra citato per avereun bambino. Attraverso il legame sessuale,svincolato dalla riproduzione, la donna ed in-direttamente il bambino, ricevevano dall’uo-mo cibo. Non è quindi fuori luogo il dettoche è stata la donna ad inventare l’amore.La mortalità umana, a tutte le età, era eleva-ta ed aveva il vantaggio di una marcata e co-stante pressione selettiva, con la sopravvi-venza del più adatto, anche sotto il profiloalimentare.

I cambiamenti della biologia vegetale ed animaleÈ quasi una moda mettere sotto accusa l’a-gricoltura intensiva e l’allevamento indu-striale, come causa di tutti i mali del pianetae dell’umanità. Accuse in gran parte basatesu una scarsa od insufficiente conoscenzadella realtà e, soprattutto, del fatto che, in unmodo o od in un altro, è necessario nutrirein modo adeguato una popolazione di seimiliardi di persone, in continuo aumento.Oggi però s’incomincia ad indagare se equali sono i limiti, i rischi od i danni di unanutrizione con alimenti ottenuti da vegetalicoltivati o d’animali allevati, indipendente-mente dai sistemi. Un interrogativo che ri-guarda anche le cosiddette produzioni biolo-giche, ecologiche, naturali o naturistiche equant’altro di simile.

22

Capitolo I

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 22

Page 22: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

A questi nuovi aspetti s’interessa il presente li-bro che non ha finalità scandalistiche o che nonmira ad un’irreale ed impossibile eliminazionedi una produzione agricola o zootecnica deglialimenti, ma che ha l’obiettivo d’individuare lelinee sulle quali farla evolvere, meglio adeguan-dola alle necessità nutrizionali della nostra spe-cie, con i suoi organi, metabolismi e comporta-menti.L’uomo non ha mutato la sua biologia, sianegli aspetti corporali e sia in quelli com-portamentali. Con la sua cultura, attraversol ’agricoltura e l ’allevamento, l ’uomo haprofondamente cambiato i suoi alimenti ed,in particolare, sta riducendo a livelli perico-losi la “biodiversità alimentare” preistorica.Oggi l’uomo, anche il vegetariano, non hapiù un’alimentazione naturale, biologica-mente intesa. Non sono certamente naturaliil grano e tutte le altre graminacee, come ivegetali e le frutta che sono coltivate, anchecon metodi biologici. Con l’agricoltura, an-che quella tradizionale, l’uomo ha modifica-to i vegetali coltivati esistenti, tanto da ren-dere difficile o talvolta impossibile indivi-duare la loro derivazione da specie selvatiche(tipico il caso del mais, di cui s’ipotizza sol-tanto un’origine dal theosinte). Per non par-lare degli oli vegetali, delle farine e deglizuccheri raffinati, dei latticini e di tanti altrialimenti, tutti innaturali da un punto di vistadella nostra biologia, quale risulta dalla ge-netica che abbiamo. In modo analogo, sonodivenuti innaturali gli usi di cibi. Ad esem-pio, l’uomo non era geneticamente adatto adutilizzare il latte come alimento oltre i primiquattro anni di vita, come dimostra il fattoche una buona parte della popolazione uma-na non lo tollera, a meno di non modificar-lo, come sarà detto in un successivo capitolo.Bisogna quindi ripensare il mito di un ritor-no alla natura, qual è oggi presente sulla fac-cia del pianeta o come sognata dai vegetaria-ni e vegani.I cambiamenti ai quali sopra si è fatto cennohanno profondi effetti sulla salute nutrizio-

nale. Diversi ricercatori, tra i quali lo svedeseStaffan Lindeberg, riferiscono all’alimenta-zione agricola molte malattie come cardio-patie, arteriosclerosi ed arteriopatie, diabete,osteoporosi, rachitismo, obesità, alle qualidobbiamo aggiungere le carenze di calcio,ferro e di molecole strategiche, causa di defi-cit mentali giovanili e degenerazioni senili.Possiamo avere una migliore conoscenza dimolti problemi nutrizionali umani se si con-sidera che la quasi totalità dell’evoluzioneumana si è svolta quando i nostri antenatierano raccoglitori e cacciatori, in equilibriocon l’ambiente. Oggi però non viviamo enon mangiamo più come un raccoglitore edun cacciatore, che cercavano di depositarel’energia sotto forma di grasso, attraversoprocessi biologici e comportamentali chemiravano ad ottenere un risultato vantaggio-so. Oggi depositare grasso è un rischio: obe-sità, diabete (diabesità) e tutte le patologiepiù o meno correlate al sovrappeso.Tornare indietro, alle caverne ed alla dietapaleolitica o neolitica? Un’ipotesi chiara-mente non realistica, soprattutto per sei epiù miliardi di persone. Anche la dieta pa-leolitica - che a volte è stata evocata – è solouna frazione di vita delle specie che ci han-no preceduto. È certamente meglio conosce-re chi siamo o, con più precisione, che cosaci hanno lasciato i nostri antenati, passando-ci i geni che sono divenuti i nostri. Non stu-piamoci di quest’affermazione: gli individuipassano, le specie evolvono, quelli che resta-no, pur lentissimamente cambiando o, me-glio, in gran parte si ricombinano, sono i ge-ni, che Dawkins ha provocatoriamente defi-niti “egoisti”. Siamo uomini, in quanto ab-biamo ricevuto i geni che erano già presentinell’Homo sapiens di duecentomila anni fa, eche lui, in grandissima parte, aveva ricevutodai suoi sempre più lontani antecedenti eche più recentemente ci ha passato, attraver-so l’Uomo di Cro Magnon, la nostra speciedi Homo sapiens sapiens. Il nostro patrimoniogenetico è stato, inoltre, plasmato e selezio-

23

Geni, cibo e cucina

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 23

Page 23: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

24

Capitolo I

Confronto tra l’alimentazione paleolitica e quella attuale americana od occidentale(da Eaton, Eaton III, Konner, 1999)

Nutriente Alimentazione Alimentazione

paleolitica occidentale

Energia (Kcal) 3000 2000-2500 (3000)

Proteine (grammi giorno) 200-250 100 -200

Grassi (% energia alimentare) Meno del 10% Più del 30-40%

Colesterolo (mg giorno) 500 Più di 1000

Carboidrati semplici Scarsi o assenti Abbondanti

Fibra alimentare (grammi giorno) 104 10-20

Ferro (mg giorno) 87,4 10-11

Zinco (mg giorno) 43,4 10-15

Calcio (mg giorno) 1956 750

Sodio (mg giorno) 768 4000

Potassio (mg giorno) 10500 2500

Vitamina A Retinolo equivalente 2870 800-900

Carotene Retinolo equivalente 927 342-429

Vitamina E (mg giorno) 32,8 7-10

Vitamina B 1 (mg giorno) 3,91 1,08-1,75

Vitamina B 2 (mg giorno) 6,49 1,34-2,08

Acido folico 0,357 0,149-0,205

Vitamina C 604 77-109

Volume cerebrale e disponibilità di alimenti dall’australopiteco all’Homo sapiens(Rossi, Rossi Prosperi, 2003 – con modifiche)

Milioni anni fa Specie Volume cerebrale (ml) Alimentazione

4,3-3,9 Australopitecus amanensis 400 Vegetariana

3,8-2,8 Aus. afarensis 400 - 450 Vegetariana (frugivora)

2,8-2 Aus. africanus 450 - 500 Vegetariana (vegetali fibrosi)

2-,1 Aus. Bosei 500 Vegetariana (vegetali duri, radici)

2,1-1,1 Aus. robustus 500 - 550 Vegetariana

(tuberi, proteine animali occasionali)

1,1-0,900 Homo habilis 700 - 800 Onnivoro (animali terrestri)

0,9-0,4 Homo erectus 1000 - 1100 Onnivoro (migrazioni, animali

marini)

0 (oggi) Homo sapiens 1300 - 1400 Onnivoro totale

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 24

Page 24: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

nato, nel corso di milioni d’anni, almeno fi-no alle radici dei mammiferi, dall’alimenta-zione. Per questo noi siamo anche quel che tut-ti i nostri antenati hanno mangiato.Una Nuova Alleanza tra la nostra biologia,

quindi i nostri geni da una parte, e i nuovi ali-menti di cui non possiamo più fare a meno dal-l ’altra, è oggi la grande sfida alimentare, chepuò essere superata soltanto nella prospettiva diuna nutrizione evoluzionista.

25

Geni, cibo e cucina

Consumo di diversi nutrienti da parte dell’uomo paleolitico ed attuale (da McKully, 2001)

Nutriente Paleolitico Attuale

Proteine animali (a) 33% 12-14%

Grassi (a) 20-25% >30%

Grassi saturi (a) 6% 14%

Fibre (grammi giorno) 100 10-20

Folato (mcg giorno) 300-400 150-200

Vitamina B 6 (mg/giorno) 3 1,5

Vitamina B 12 (mcg giorno) 15 9

Acido ascorbico (mg giorno) 600 77-109

Sodio (grammi giorno) 0,7 >6

a) Percentuale delle calorie

Alimentazione di popolazioni di cacciatori-raccoglitori, pastori, agricoltori e società in-dustriali – Media maschi e femmine (Da Leonard, 2003)

Popolazione Energia (1) Cibi CIbi Colesterolo (3) Indice massa

animali (2) vegetali (2) corporea (5)

Cacciatori – Raccoglitori

Kung (Botswana) 2100 33 67 121 19

Inuit (Nordamerica) 2350 96 4 141 24

Pastori

Turkana (Kenya) 1411 80 20 186 18

Evenki (Russia) 2820 41 59 142 22

Agricoltori

Quechua (Altopiano Perù) 2002 5 95 150 21

Società industriali

Stati Uniti d’America 2250 23 77 204 26

1 – Chilocalorie giornaliere

2 – Percentuale energia da alimenti d’origine animale

3 – Percentuale energia da alimenti d’origine vegetale

4 – Colesterolo ematico totale (mg/100 ml)

5 – Indice Massa Corporea (peso in kg / altezza in cm al quadrato) – normale 18,5 – 24,9 = Sovrappeso 25 –

29,9 = Obesità 30 ed oltre

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 25

Page 25: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Bibliografia

Altichieri A. Sette donne alle origine degli europei.Corriere della Sera, 20 aprile 2000, p. 21

Ammerman A.J., Cavalli Sforza L. La transizioneneolitica e la genetica di popolazioni in Europa.Boringhieri, Torino, 1986

Appenzeller T. Cooler heads prevailed. The Scien-ces, 31, fasc. 1, 8-9, 1991

Ballarini G. Nel cibo l’“eredità” dei nostri antenati.Gazzetta di Parma, 7 aprile 2003

Baschetti R. Paleolithic nutrition. Eur. J. Clin. Nu-tr., 51, 715-716, 1997

Berti P. R., Leonard W. R. Demographic and so-cioeconomic determinants of variation in foodand nutrient intake in an Andean community.American Journal of Physical Anthropology. 105(4), 407-417, 1998

Bhatia A. Anthropology of food and nutrition.Contributions to Indian Sociology. 32 (1), 160-161, 1998

Biondi G., Rickards O. Uomini per caso. Ed. Riu-niti, Roma, 2003

Biondi G., Rickards O. Quale antenato? Le Scien-ze, n. 421, settembre 2003, pag. 28-35

Boncinelli E. I nostri geni. La natura biologica del-l’uomo e le frontiere della ricerca. Einaudi Ta-scabili, Torino, 1998

Cavalli Sforza L e F. Supremazia di un continente,in Diamond (2000)

Cavalli Sforza L. I geni dell’uomo. Il Sole 24 Ore,16 aprile 2000, p. 35

Cavalli Sforza L. L., Menozzi P., Piazza A. TheHystory and Geography of Human Genes. Prin-ceton, 1994

Coelho A. M., Bramblett C. A., Quick L. B. Socialorganization and food resources availability inprimates: a socio-bioenergetic analysis of dietand disease hypotheses. Am. J. Phys. Anthropol.,46(2), 253-264, 1977

Colombo U., Lanzavecchia G. (a cura di). Dallatribù alla conquista dell’universo. Scienza, tec-nologia e società. Libri Scheiwiller, Milano,2000

Conroy G. C. Recostructing Humans Origins: AModern Synthesis. W. W. Norton, New York,1997

Consiglio C., Siani V. Evoluzione e alimentazione.Il cammino dell’uomo. Bollati Boringhieri, Tori-no, 2003

Cordain L., Eaton S. B., Miler J. B., Mann N., HillK. The paradoxical nature of hunter-gatherer

diets: meat-based, yet non-atherogenic. Europ. J.Clin. Nutr., 56, suppl 1, S42-52, 2002

Dawkins. Il Gene Egoista. Zanichelli, Bologna,1980

Decport L. V. The human genome of the paleo-lithic era and current life conditions. A noxiousdiscordance? Arq. Bras. Card., 52, 297-300,1989

Delluc G., Delluc B., Roques M. La nutritionprehistorique. Pilote 24, Périgueux, 1995

DeWalt K. M. Diet as adaptation: the search fornutritional strategies. Fed. Proc, 40(11), 2606-2610, 1981

Diamond J. Armi, acciaio e malattie. Breve storiadel mondo negli ultimi tredicimila anni. Einau-di, Torino, 2000

Eaton S. B. What did our late palelothic (preagricul-tural) ancestors eat? Nutr. Rev., 48, 227-230, 1990

Eaton S. B., Eaton S. B. 3rd, Konner M. J. Paleo-lithic nutrition revisited: a twelve-year retrospec-tive on its nature and implications. Europ. J.Clin. Nutr., 51, 207-216, 1997

Eaton S. B., Konner M., Shostak M. The paleo-lithic Prescription: A Program of Diet and Exer-cise and Design of Living. Harper & Row, NewYork, 1988

Eaton S.B., Eaton S.B. III, Konner, M.J. Paleoliticnutrition revisited. 1999. in Trevathan et alii,1999

Fedele F. L’alimentazione attraverso gli studi zooar-cheologici. L’Alimentazione nell’Antichità, Par-ma 2-3 maggio 1985. Cassa di Risparmio diParma, Parma, 1985

Fedele F. Un cervello per correre? Le Scienze, n.275, luglio, 10-11, 1991

Forni G. Gli albori dell’agricoltura. REDA, Roma,1990

Francardo S. M. I semi del futuro. Edilibri, 2000Gamble C. The paleolithic societies of Europe.

Cambridge World Archaeol., 1999Graff J. Living in the Past. Time, April 23, 2001 (p.

53-59)Grivetti L. E., Ogle B. M. Value of traditional

foods in meeting macro- and micro-nutrientneeds: the wild plant connection. Nutrition Re-search Reviews, 13 (1), 31-46, 2000

Haenel H. Phylogenesis and nutrition. Nahrung,33, 867-887, 1989

Hartwig W. C. (ed.). The Primate Fossil Record.Cambridge University Press, 2002

Johns T. The chemical ecology of human ingestivebehaviors. Annual Review of Anthropology. 28,27-50, 1999

26

Capitolo I

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 26

Page 26: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

27

Geni, cibo e cucina

Johns T., Nagarajan M., Parkipuny M. L., Jones P.J. H. Maasai gummivory: Implications for paleo-lithic diets and contemporary health. CurrentAnthropology, 41 (3), 453-459, 2000

Johnson A. W., Earle T. The evolution of humansocieties. From foraging group to agrarian state.Cambridge Univ. Press, 2001

Kate Wong. Antenato cercasi. Le Scienze, n. 414,febbario, p. 54- 63, 2003

Landi R. Le coltivazioni agrarie in Italia dalla prei-storia agli splendori dell’Impero Romano. L’Ali-mentazione nell’Antichità, Parma 2-3 maggio1985. Cassa di Risparmio di Parma, Parma, 1985

Lemonick M. D. Ancient Exodus. Two skuls helpexplain when and why our ancestrors left Africa.Time, may 22, 2000 (p. 70)

Lemonick M. D., Dorfman A. Father of Us All?Time, July 23, 2002 (p. 44-53)

Lemonick M. D., Dorfman A. One Giant Step forMankind. Time, June 23, 2001 (p. 44-53)

Leonard W. R. Cibo per pensare. Le Scienze, n.413, gennaio 2003, p. 66-74, 2003

Leonard W. R., Robertson M. L. Evolutionary per-spectives on human nutrition: the influence ofbrain and body size on diet and metabolism.Americ. Journ. Human Biol., 6, 77-88, 1994

Lozoff B., Brittenham G. M. Field methods for theassessment of health and disease in pre-agricul-tural societies. Ciba Found. Symp.,49, 49-62,1977

Mancini F. Osservazioni geopedologiche sulle re-gioni ad antica agricoltura. L’Alimentazione nel-l’Antichità, Parma 2-3 maggio 1985. Cassa diRisparmio di Parma, Parma, 1985

Mayr E. L’influenza di Darwin sul pensiero moder-no. Le Scienze, n. 385, settembre 2000, pag. 73-78

Mayr E. Un lungo ragionamento. Genesi e sviluppodel pensiero darwiniano. Bollati Boringhieri,1994

McCully K. S. Dalla “paleodieta” all’alimentazionemoderna. Alimentazione e prevenzione, 1, fasc.2, p.73, 2001

McCully K. S. The significance of wheat in theDakota territory, human evolution, civilization,

and degenerative diseases. Prespective in Biologyand Medicine, 44, 52-61, 2001

Nesse R. M., Williams G. C. L’evoluzione e l’origi-ne della malattie. Le Scienze, n. 365, gennaio1999, pag. 60-68

Ponzetta M. T., Paoletti M. G. Insects as food ofIriean Jaya populations. Ecology of food and nu-trition, 39, 321, 1997

Posey D. A. Ethnoentomological survey of Ame-rind groups in lowland Latin America. FloridaEntomologis, 61, 225-229, 1978

Puech P. F. Recherche sur l’alimentation de l’homoerectus de Tautavel, le crane et la face humaineles plus anciens d’Europe. [Nutrition of Homoerectus of Tautavel, the oldest human skull andface in Europe]. Inf. Dent., 14. 59(28), 13-8,1977

Rathje W. L., Ho E. E. Meat fat madness: conflic-ting patterns of meat fat consumption and theirpublic health implications. J. Am. Diet. Assoc.,87(10), 1357-1362, 1987

Rossi A., Rossi Prosperi L. Tappe dello sviluppo ce-rebrale in relazione alla disponibilità di nutrientia partire dall’australopiteco. Progress in Nutri-tion, 5, 33-40, 2003

Schmidt R. R. L’anima dell’uomo preistorico. Gar-zanti, Milano, 1941

Scossiroli R. E. La rivoluzione neolitica e l’adozionedell’agricoltura. in: AA. VV. Evoluzione, culturee intelligenza fra passato e futuro. Cappelli, Bo-logna, 1985

Searns S. (cura di) Evolution in Health and Disea-se. Oxford University Press, 1998

Tattersall I., Schwartz J. H. Extint Humans. We-stwiews Press, 2001

Trevathan W.R., Smith E.O., McKenna J.J. Evolu-tionary Medicine. Introduction. Oxford Univer-sity Press, Oxford, 1999

Wilson C. S. Contributions of nutrition science toanthropological research. Fed. Proc., 37(1), 73-6,1978

Wrangham R. W., Jones J. H., Laden G., PilbeamD., Conklin Brittain N. The raw and the stolen.Cooking and the ecology of human origins.Current-Anthropology, 40 (5), 567-594, 1999

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 27

Page 27: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

La nascita della cucina

Solo l’uomo, più probabilmente la donna, as-sieme all ’agricoltura ed all ’allevamento, hainventato e sviluppato la cucina.Tutto fa ritenere che la cucina, madre di tut-te le tecniche, sia stata la conditio sine quanon per lo sviluppo dell’agricoltura e dell’al-levamento, la creazione di nuovi alimenti edil successo della nostra specie.

Cucina, non solo fuocoCirca mezzo milione d’anni fa, forse ancorprima, anche un milione e quattrocento milaanni fa (Gowlett e coll., 1981), l’Homo erec-tus ed i suoi antenati conoscevano ed utiliz-zavano il fuoco, per riscaldarsi, mantenerelontano le fiere e, si ritiene, anche per la cot-tura di qualche alimento.Il fuoco è essenziale per ogni cucina, anchese, certamente, esiste una “cucina del crudo”che va dal midollo d’ossa lunghe di grossianimali ai crostacei marini, dalle uova a talu-ni pesci, senza dimenticare un gran numerodi vegetali, in particolare erbe e foglie giova-ni, ma soprattutto frutta. Ancor oggi ostri-che, pesci, uova, vegetali e frutta si mangia-no crudi.La cucina è altro e ben più dell’uso del fuoco.La cucina fa parte di un complesso sistema,nel quale è compresa una vasta serie d’opera-zioni che, partendo dalla produzione e con-servazione degli alimenti, s’interessa della lo-ro trasformazione, degli accostamenti e ac-coppiamenti, regole d’uso e quant’altro l’uo-mo ha inventato prima che il cibo arrivi allabocca. La preparazione degli alimenti combi-na azioni comprese nelle seguenti aree.• Procedimenti di conservazione. Quasi in-

scindibili sono i legami della cucina con es-siccazione ed affumicamento, macerazionee fermentazione, salagione degli alimenti.

• Cottura e uso del fuoco in diverse forme(azione diretta, indiretta e mediata).

• Manipolazione degli alimenti: macinazio-ne, fermentazione ecc.

• Mescolanza d’alimenti differenti ed in par-ticolare di diversa origine: animale e vege-tale.

• Aggiunta di spezie, condimenti, aromi ecc.• Regole d’uso nello spazio e nel tempo (tra-

dizioni, costumi, divieti ecc.; calendari ali-mentari stagionali, mensili, giornalieri).

Come recentemente hanno affermato Del-luc e Roques (1995), non abbiamo cono-scenza in epoca preistorica di una cucina,che non fosse soltanto uso del fuoco. D’altraparte la preparazione e cottura degli alimen-ti ha avuto importanti conseguenze sull’evo-luzione e struttura sociale degli ominidi edella nostra specie (Wrangham e coll.,1999) e sull’evoluzione culturale dell’Homosapiens sapiens.Quando, perché e come l’uomo ha elaboratouna cucina, nei termini che conosciamo?Tutto fa ritenere che la cucina sia stataun’invenzione umana molto recente, esclusi-va della nostra specie di Homo sapiens sapienso Cro Magnon, in stretto collegamento conl’agricoltura e l’allevamento.

La madre delle necessitàÈ opinione comune che la necessità sia lamadre dell’invenzione. In altre parole, comeha discusso recentemente Diamond (1998),le invenzioni nascerebbero quando vi è unbisogno comune, fortemente sentito, cui latecnologia esistente non dà risposta o ri-sponde in modo parziale. Quest’opinione sibasa su molte osservazioni ed esperienze, so-prattutto moderne, ma è tutt’altro che unarealtà comune, come dimostra anche la resi-stenza, persistente e diffusa, che vi è nell’ac-cettare le novità.Che la necessità sia la molla che spinge allaricerca del nuovo, e quindi porti all’inven-zione, è contraddetto da gran parte dellastoria umana. Che bisogno vi era della stam-pa a caratteri mobili, dell’automobile e delfrigorifero, per fare tre esempi, quando cul-ture e società d’altissimo livello - basta citarela Grecia classica ed il Rinascimento italiano

28

Capitolo I

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 28

Page 28: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

- si erano sviluppate senza queste invenzio-ni? (Ovviamente vi fu chi, come Gutem-berg, che nel 1445 inventò i caratteri mobiliprevedendone un’applicazione pratica e so-prattutto per ottenere un vantaggio econo-mico. Questo è il caso di un inventore e so-prattutto di un innovatore ben definito, co-me oggi siamo abituati a vedere.)Gran parte della storia dimostra che, solodopo che una nuova tecnica è stata inventa-ta, se ne può vedere l’enorme potenziale disviluppo. Per questo, in una misura certa-mente provocatoria e da non prendere comeun dogma assoluto, Diamond afferma chespesso l’invenzione è la madre delle necessità enon viceversa. Se un tempo non vi era la ne-cessità della stampa, dell’automobile e delfrigorifero, chi riuscirebbe oggi a farne a me-no? Soprattutto oggi, che siamo entrati inun sistema, nel quale l’asse portante è ilcambiamento più che la tradizione.È inoltre molto difficile stabilire chi ha “ve-ramente” inventato questa o quella cosa. Purnon mancando la possibilità d’attribuire aqualche individuo il titolo d’inventore, nellagran parte dei casi la tecnologia progredisceaccumulando le esperienze di molti. Gli usidi un’invenzione vengono di solito alla lucein un secondo tempo, perché quasi mai unoggetto s’inventa pensando di soddisfarespecifici bisogni. Queste considerazioni sonoapplicabili soprattutto alle oscure ed incertevicende delle prime tecnologie (veterotecno-logie), di cui la cucina fa parte, anzi n’è quasicertamente la madre o, come s’usa dire, l’in-cubatrice.Quando gli uomini dell’era glaciale si accor-sero che la combustione della sabbia con ilcalcare lasciava nei loro focolari strani resi-dui, non potevano prevedere la lunga serie discoperte, spesso fortuite, che attraverso i pri-mi oggetti vetrificati in superficie (circa6.000 anni fa), i manufatti egiziani e meso-potamici di 4.500 ed il primo vaso in vetrodi 3.500 anni fa, avrebbero portato alle pri-me finestre di vetro dei romani, 1900 anni

fa. E, proseguendo, a tutto il fiorire di tec-nologie vetrarie che sono oggi sotto ai nostriocchi.Come indicano le osservazioni delle cultureprimitive, ancora esistenti fino a metà delsecolo scorso, tutte le invenzioni sembranooriginare da un lungo processo di tentativied errori, senza una precisa finalizzazioneiniziale e, quindi, senza un progetto e, so-prattutto, in un quadro molto ampio di nonspecializzazione. Una condizione molto di-versa da quella che siamo oggi abituati aconsiderare (o sognare?).Bisogna ritenere che non una persona, mapiù facilmente un piccolo gruppo familiare otanti piccoli gruppi familiari, “giocavano” at-torno alle stesse cose: il fuoco, il cibo e la suaraccolta e quant’altro. Molti, importanti in-dizi fanno ritenere che attorno al fuoco l’uo-mo abbia sviluppato molte delle sue peculia-rità: dallo stare seduto, allo sviluppo di unlinguaggio articolato, dalla produzione dipiù o meno elaborati strumenti, soprattuttod’abbigliamento, alla cucina in tutte le suemanifestazioni e, come vedremo, ad inalarefumo d’erbe inebrianti. Si può ipotizzare chenel complesso quadro di discorsi e giochi at-torno al fuoco, un ruolo preponderante, perquanto riguarda il cibo e quindi lo sviluppodella cucina, sia stato svolto dalla compo-nente femminile. Se così fosse e consideratoil ruolo che la cucina ha avuto nel processodi sviluppo umano, è forse vera l’ipotesi cheil primo uomo fu una donna.Queste brevi considerazioni sono importantiquando affrontiamo l’origine delle tecnichee, tra queste, della cucina, madre di tutte letecniche.

È nato prima il brodo della pentolaMolto probabilmente è stato il brodo a ri-chiedere la costruzione di una pentola, pri-ma di terra cotta e, molto tempo dopo, dimetallo.Secondo le attuali conoscenze archeologichee le osservazioni sulla cucina dei popoli pri-

29

Geni, cibo e cucina

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 29

Page 29: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

mitivi (Perlès, 1987) la cottura d’alcuni ali-menti, soprattutto carni, risale alla scopertaed utilizzazione del fuoco, almeno nel paleo-litico inferiore. Le tracce od i resti di sup-porti di spiedi (certamente sono state utiliz-zate ossa di mammut) sono più recenti.Fin dall’inizio gli alimenti erano cotti di-rettamente sulla brace o sulla cenere, oppu-re arrostiti a contatto di pietre roventi.Qualche indizio testimonia a favore di unacottura a vapore, in piccole fosse dove si al-ternavano braci, pietre, carni avvolte in fo-glie. A questo punto siamo già nell’area dimanipolazioni abbastanza complesse, cheidentificano e caratterizzano la cucina, co-me dimostra, ad esempio, una ricetta mon-gola che c’è arrivata. Ancora agli inizi delsecolo ventesimo i mongoli (Perlès, 1987)usavano cuocere un animale con la pelledura (capra o marmotta) nel seguente mo-do. Dopo il taglio del collo, si estraevano ivisceri, la carne e le ossa, lasciando intattala pelle, che era trasformata in un sacco.Questo era riempito con la carne ridotta inpiccoli pezzi, eventuali verdure di farciturae pietre roventi d’adatte dimensioni. Si pro-cedeva alla legatura del sacco e, dopo circaun’ora e mezza, la carne era cotta a punti-no. Per mangiare la carne, bastava aprire ilsacco.Contrariamente ad un’idea abbastanza diffu-sa, anche in periodo preistorico era possibileriscaldare alimenti liquidi in assenza di va-sellame. Una tecnica molto diffusa, in tuttele culture primitive, era di gettare pietre ro-venti in un liquido contenuto in un sacco dipelle. È anche provato che si possono farbollire liquidi direttamente sul fuoco, usandorecipienti di fibre vegetali, cortecce fresche,canne di bambù, otri di pelle od ottenuti dastomaci e prestomaci animali. Quasi certa-mente il brodo di carne e di vegetali è statoinizialmente ottenuto senza pentole, che so-no state sviluppate in tempi successivi. Lepopolazioni nomadi potevano agevolmenteusare gli otri, ma non il vasellame impiegato

dalle popolazioni sedentarie e quando è arri-vata l’agricoltura.Se abbiamo qualche idea sulle prime tecni-che di produzione del brodo, da chi e perchéè stato inventato? Non si potrà mai trovarel’inventore del brodo (come dell’acqua cal-da!). Quest’invenzione ha avuto molti padrio, più probabilmente, molte madri, in tempie luoghi differenti. È plausibile che il brodo(con la pentola) sia un’invenzione di tagliofemminile, come testimonia l’antropologiaed, in una certa misura, la psicanalisi, mentrel’arrosto e lo spiedo hanno forti valenze ma-schili. Gli inizi del brodo sono incerti e sisono senza dubbio avvantaggiati dei risultatidella cottura a vapore, sopra citata, nelle fos-se con pietre roventi od in sacchi di pelle.Un’ipotesi accattivante è quella che con lacottura umida si siano volute estrarre daglialimenti particolari virtù, in una concezionemagica della vita, di cui abbiamo le primeprove nelle pitture rupestri e delle caverne,che la nostra specie iniziò a produrre circa30.000 anni fa. Il brodo, con le sue originimagiche, quasi farmacologiche più che ali-mentari, è stato molto importante per l’ori-gine della cucina, perché ha spinto all’inven-zione ed alla produzione di nuovi contenito-ri, di terra cotta, ceramica, metallo.Senza pentole la cucina è ben povera. Ma ilbrodo ha un antenato, il fumo.

Il fumo prima del brodoOgni storia ha la sua preistoria, spesso oscu-ra e di difficile decifrazione. Com’è nata lacucina ed in particolare perché e come, dopoun lunghissimo periodo, forse un milioned’anni, durante il quale l’uomo aveva usato ilfuoco, fu inventata una cucina che poi, rapi-damente e nel volgere di qualche migliaiod’anni, è arrivata alle altezze della gastrono-mia? Gli archeologi non danno risposte,mentre gli antropologi avanzano ipotesi, altempo stesso stimolanti ed inquietanti. Dueaggettivi non casuali, dato che la preistoriadella cucina sembra trovare luogo nell’uso di

30

Capitolo I

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 30

Page 30: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

droghe stimolanti ed inebrianti, assunte perinalazione (fumo).Tra gli antropologi si va diffondendo l’ideache le sostanze psicoattive possano essereconsiderate parte integrante della costituzio-ne d’ogni cultura umana. Sherratt (1995) ri-tiene che dozzine, forse centinaia, siano lesostanze psicoattive usate dalla comunitàumana e che siano fondamentali per il com-portamento sociale dell’uomo. Un’ipotesiche trova conferma nella constatazione cheanche in talune specie d’animali vi è la ricer-ca di sostanze inebrianti, secondo il princi-pio che quanto vi è nella specie umana sipuò trovare, anche a livello di barlume, inspecie animali. Significativa è la ricerca dellavaleriana da parte dei felini o di vegetali fer-mentati da parte degli erbivori.Secondo la schematizzazione di Sherratt(1995), al centro delle zone continentali delpianeta dove ebbero origine l’agricoltura e lavita urbana, si rileva l’uso di bevande alcoli-che ottenute da frutta e cereali. A Nord ditali zone, foglie e semi narcotici di pianteannue – papavero, hashish, tabacco, stramo-nio e altre – sono state invece consumate,solitamente mediante il fumo. Per quanto ri-guarda l’Eurasia orientale quest’uso è avve-nuto nell’ambito della cultura degli sciama-ni. A Sud delle zone agricole, invece, foglie efrutti stimolanti d’arbusti perenni – cola,qat, caffè, the, betel, coca, picheri ed altri –erano masticati e talvolta inalate, oppuremessi in infusione. Masticare e fiutare sem-brano essere state le modalità originarie diconsumo di vegetali contenenti sostanze psi-coattive. In seguito od anche contestual-mente, nel corso del milione d’anni durante iquali i nostri antenati impararono ad utiliz-zare il fuoco, le stesse sostanze psicoattivefurono inalate sotto forma di fumo.Come ha fatto notare Von Gernet (1995),bruciare sostanze psicoattive e respirarne ifumi, rispetto all ’assunzione per via ga-strointestinale, offre vantaggi fisiologici e as-sume rilevanza simbolica. Le mucose respi-

ratorie e soprattutto i polmoni hanno un’e-norme superficie - nell’uomo paragonata aquella di un campo da calcio - che permetteun rapidissimo assorbimento d’alcaloidi pre-senti nel fumo. L’atto di soffiare e di aspirareil fumo è inoltre percepito quale metaforasciamanica del passaggio di un potere spiri-tuale. In era preistorica, come indicano leosservazioni in popolazioni primitive studia-te nel secolo XIX e XX, stati di coscienza al-terati erano prodotti grazie a diversi mezzi,singoli od associati: prolungato isolamento,danza ritmica, digiuno, ma soprattutto conuna modificazione della biochimica organicaottenuta con l’assunzione di sostanze psi-coattive.L’assunzione di sostanze psicoattive per ina-lazione è da considerare un procedimentodiffuso, anche se è stato studiato soprattuttonell’area americana, utilizzando testimo-nianze culturali e botaniche. Su questa linea,antropologi e botanici si rifanno alle migra-zioni di gruppi di cacciatori e raccoglitori,con la cultura degli sciamani, che per lo me-no 15.000 anni fa migrarono dalla Siberiaall’America settentrionale e da qui, nel corsod’alcuni millenni, si diffusero fino alla Terradel Fuoco. Una migrazione relativamente ra-pida che ha posto il problema della cono-scenza, da parte di piccoli gruppi, dei nuovivegetali che incontravano nel loro migrare.Oggi si ritiene che le popolazioni, spostan-dosi nel nuovo ecosistema, mantennero leproprie caratteristiche di cacciatori (cibo si-curo), mentre per gli ignoti e pericolosi ve-getali di raccolta, utilizzarono la loro predi-sposizione culturale all’uso di piante psicoat-tive, saggiandone le loro caratteristiche e po-tenzialità attraverso il fumo. Spostandosi nelNuovo Mondo gli uomini non cercaronosoltanto cibi per la sussistenza, quali bacchee noci, ma anche prodotti della flora in gra-do di dare sostegno e sviluppo ai principifondamentali della cultura degli sciamani.L’esistenza preistorica in Eurasia di una cul-tura del fumo trova testimonianze antiche,

31

Geni, cibo e cucina

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 31

Page 31: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

ad iniziare da quella d’Erodoto (446 circaavanti l’Era Corrente) sull’uso dell’hashishda parte degli Sciiti, che inalavano il fumoprodotto dai semi di canapa (hashish – Can-nabis sativa) e d’altri vegetali delle steppeeurasiatiche, gettati su pietre roventi. Unapratica confermata dai ritrovamenti archeo-logici di piccoli bracieri associati a strutturemegalitiche. In area europea sarebbe statoutilizzato anche il papavero da oppio (Papa-ver somniferum). Goodman e Lovejoy (1995)affermano che gli europei avevano unaprofonda conoscenza delle piante psicoattivee ne consumavano in misura ben maggioredi quanto siamo portati a credere. Non ètuttavia da sottovalutare che oggi si sta os-servando il diffondersi di vegetali comuniche, assunti per via inalatoria, hanno effettiallucinogeni: salvia (Salvia divinorum o sal-via dei veggenti), lattuga (L. silvestre) ed altrivegetali sopra citati, assunti per inalazione.L’uso inalatorio del fumo dei vegetali sareb-be stata la prima tappa di un processo cheavrebbe portato alla cucina.È attorno al fuoco che le popolazioni prei-storiche di cacciatori e raccoglitori, chiac-chierando, mangiando carni e semi abbru-stoliti ed inalando fumi inebrianti ancor pri-ma di aver inventato l’agricoltura e l’alleva-mento, diedero inizio ad un tipo di cucinapiù elaborato, che dobbiamo associare allecotture umide ed alla possibilità di mescola-re i cibi. Riguardo alla cucina, un vecchioaforisma recita che “l ’arrosto viene prima delbollito”. Da quanto indicato, l’aforisma do-vrebbe essere aggiornato e completato ricor-dando che, almeno per i vegetali, “il fumoviene prima dell’arrosto e del bollito”.Il fatto che specie vegetali selvatiche con at-tività psicoattive fossero note prima dell’in-venzione dell’agricoltura e dell’allevamento,permette d’ipotizzare che una coltivazioneorticola sia partita o per lo meno sia stataagevolata dall’interesse per le droghe (Win-ter, 1991). Un’ipotesi questa molto interes-sante, in quanto permette di superare una

difficoltà riguardante gli inizi dell’agricoltu-ra. È stato fatto notare, infatti, che le popo-lazioni di raccoglitori e di cacciatori nonavevano bisogno di coltivare ed allevare persfamarsi e che con uno strumento di selce unuomo poteva raccogliere in un giorno più diquanto gli fosse necessario per vivere. Diver-so è stato quando i nostri antenati hannoiniziato la ricerca delle piante con attivitàpsicoattive. Una coltivazione di queste pian-te, non necessarie alla sopravvivenza, maparticolarmente gradite, avrebbe permessodi mettere a punto le tecniche agricole che,successivamente, sarebbero state applicateanche agli altri vegetali nutrizionali.Se la combustione era il metodo miglioreper godere delle piante psicoattive, per quel-le nutrizionali fu necessario sviluppare altretecniche, soprattutto quelle delle fermenta-zioni e del calore umido, che caratterizzanola cucina.Se le cose andarono come ora indicato, al-meno all’inizio della coltivazione dei vegetalinon vi fu un progetto nutrizionale, e non sipoteva neppure immaginare quanto ne sa-rebbe derivato, soprattutto in termini di po-polazione. Anche se le determinazioni nu-meriche non sono facili e restano ipotetiche,un milione d’anni prima della nostra era sistima che sulla terra vi fosse una popolazio-ne umana, con una dieta frugivora e carnivo-rana, di circa mezzo milione d’individui. Al-la fine dell ’ultima glaciazione, circa nel10.000 prima dell’Era Corrente, la popola-zione umana aveva raggiunto i circa tre mi-lioni d’individui. Nel 3.000 prima dell’E.C.,dopo solo settemila anni dalla scoperta del-l’agricoltura, la nostra specie sembra avesseraggiunto i 100 milioni di persone.

Origine delle bevande fermentateVino d’uva, vino di riso, idromele e kumissono bevande alcoliche note fin dall’anti-chità. L’uva contiene il fruttosio, dall’amidodei cereali si ottiene il maltosio, il miele ha ilglucosio ed il latte il lattosio. Da questi zuc-

32

Capitolo I

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 32

Page 32: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

cheri, tramite fermentazione, si ottengonobevande inebrianti contenenti alcole (Sher-ratt, 1995). Non bisogna poi dimenticare daaltri vegetali zuccherini, dai datteri alla pol-pa dell’agave, dal succo d’acero a quello dellacanna da zucchero, dalla patata al riso ed adiversi tuberi africani e, più vicino a noi,dallo zucchero di barbabietola, è stato pro-dotto alcole. Non vi è vegetale e frutto (me-la, pera, fico, albicocca, ciliegia e via dicen-do) ricco di zuccheri, o d’amidi trasformabiliin zuccheri, che l’uomo non abbia utilizzatoper produrre alcole. Perché vi è stata una ri-cerca dell’alcole, e come questa abbia in-fluenzato l’invenzione dell’agricoltura e dellacucina, sono interrogativi che iniziano adavere una risposta.La ricerca dell’alcole non è solo umana, co-me dimostra il gradimento che molti anima-li erbivori hanno per vegetali spontanea-mente fermentati. La ricerca dell’alcole, perle sue attività inebrianti, si collega alla ricer-ca che l’uomo, e certamente alcuni suoi an-tenati, facevano di vegetali inalandone i fu-mi. Non è infine da sottovalutare che con lafermentazione alcolica l’uomo poteva di-sporre di un inebriante, l’alcole, in ogni sta-gione dell’anno, facilmente trasportabile,senza limiti di quantità e, con la sua concen-trazione (come sarebbe avvenuto in tempi anoi molto vicini) di gran potenza.Quale vegetale fu usato per primo nella pro-duzione d’alcole? Una domanda alla quale èdifficile rispondere. È infatti probabile chenon vi sia un primo vegetale, ma molti. Si èsostenuto che la prima bevanda fermentatasia stata la birra, anche come iniziale utiliz-zazione dei cereali. È invece più probabileche questi fossero tostati e soffiati, comel’attuale pop corn, e dopo essere schiacciati omacinati, ridotti in pappa da cuocere sullepietre roventi. La fermentazione dei cereali,trasformati in birra, era tuttavia nota inEgitto e Mesopotamia dall’età del bronzo,quando già si conosceva il vino di dattero ed’uva. Una bevanda fermentata ottenuta dai

cereali, riportabile alla birra, era conosciutain Mesopotamia fin dall’età sumerica. E’ im-probabile che il miele nell’antichità fosse co-sì abbondante da essere largamente usatoper la produzione dell’idromele. Il latte, so-prattutto di cavalla, fermentato per ottenereil kumis, aveva un’area molto ristretta e tipi-ca della cultura degli Sciiti.La fermentazione alcolica, nel vecchio mon-do, sembra essere partita dall’uso di frutta,prima selvatica e poi coltivata: datteri, uva,fichi. La coltivazione di questi frutti è data-bile a quattromila prima dell’era corrente, al-l’inizio dell’era urbana nelle pianure alluvio-nali della Mesopotamia, con ramificazioni intutto il Vicino Oriente. Tra le diverse piante,la palma è quella che potrebbe essere stataall’origine delle bevande fermentate, datoche già la sua linfa fermenta naturalmente.L’esperienza maturata con l’uso di frutti sog-getti a fermentazione può aver offerto l’in-centivo all’avvio della coltivazione d’altrifrutti. Certamente le viti erano adatte allacoltivazione delle zone collinose del Medi-terraneo e delle fasce costiere dell’Asia Mi-nore, dove probabilmente ebbe inizio la viti-coltura. Questo avvenne nel corso del quartomillennio prima della nostra era ed entro ilterzo millennio la produzione di vino eraben avviata nell’Egeo. La sperimentazionenei processi di fermentazione ed il trasferi-mento dei vari lieviti naturali presenti neifrutti selvatici (vino di palma prima e d’uvapoi) consentì l’estensione della produzionealcolica ai cereali (birra), al miele (idromele)e forse al latte di giumenta (kumis).Come dimostra il caso dell’uva, coltivata peril principale fine di produrre vino, la ricercadi una sostanza inebriante come l’alcole nonè stata senza importanza per il passaggiodalla raccolta dei vegetali all’agricoltura.

Le prime cucinePerlès (1987), sulla base di ricerche archeo-logiche eseguite nella località greca di Fran-chthi e riguardanti la fine del paleolitico su-

33

Geni, cibo e cucina

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 33

Page 33: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

periore ( Jacobsen, 1976; Hansen, 1978; Pay-ne 1973), ricostruisce un banchetto costitui-to da sardine alla griglia con erbe profumate,zuppa di mandorle sgusciate aromatizzatecon aglio, cervo e cinghiale allo spiedo, fo-cacce d’avena arrostite, lenticchie e veccie,acqua ed una bevanda fermentata a base dibacche di ginepro. Da recenti ricerche diFranco Rollo dell’Università di Camerino,sappiamo invece con certezza il menu degliultimi due pasti consumati cinquemila annifa sulle Alpi dal cacciatore e forse sciamanoÖtzi, l’uomo di Similaun: carni di cervo ros-so e di capra selvatica (capriolo) con contor-no od in una zuppa di cereali. Tutto questoci dice poco di come i cibi fossero preparati.Dalla nostra interminabile preistoria, rilevaBottéro (1987) non ci restano che vestigiamateriali: residui alimentari, utensili, focola-ri, forni, ceramiche, ma nulla che ci precisiin che modo fossero utilizzati. Solo i docu-menti scritti possono darci l’idea di una cu-cina. Siccome la comparsa della scrittura èdel terzo millennio prima della nostra era, èsoltanto a partire da quest’epoca che possia-mo conoscere qualche cosa della cucina e daqui tentare di risalire a ritroso per scoprirnele origini.Pare che la cucina più antica del mondo, chenoi conosciamo, sia quella mesopotamica,per il semplice fatto che le popolazioni cheabitavano tra il Tigri e l’Eufrate, circa nel3.300 prima della nostra era, inventarono lascrittura. La cucina mesopotamica è scon-volgente, in quanto dimostra un alto gradodi maturità ed ha già superato l’incerto con-fine che la distingue e la separa dalla gastro-nomia, nella quale gli aspetti edonistici edartistici sopravanzano quelli strettamentenutrizionali. Questa cucina dimostra un altogrado d’integrazione con l’agricoltura e l’al-levamento. Tutto questo ha una sola spiega-zione: la prima cucina che conosciamo dove-va avere un lungo, lunghissimo passato(Perlès, 2004; Milano, 2004).Nella Mesopotamia di cinquemila e trecento

anni fa, la cucina si basava sui seguenti ali-menti: cereali, verdure, frutta (cocco, mele,pere, fichi, melograni, datteri, uva), legumi-nose (lenticchie, fave ecc.), bulbi e radici,tartufi e funghi, erbe di condimento, carnigrasse e di bestiame minuto (maiali, pollameecc.), uova, cacciagione, pesci di mare e d’ac-qua dolce, insetti (cavallette), latte e suoi de-rivati fermentati, burro ed altri grassi anima-li (strutto) e vegetali (sesamo e ulivo), man-ne prodotte da alberi vari, miele e sali mine-rali (Bottéro, 1987). Solo un’agricoltura edun allevamento ben sviluppati potevano dareuna tale varietà d’alimenti. Parimenti, eranogià consolidati i sistemi di trasformazione econservazione degli alimenti tramite fer-mentazione (formaggi - sembra di oltre ven-ti tipi - birra, vino ecc.), essiccamento (ce-reali e leguminose, fichi e datteri, carni e pe-sce), salagione e forse affumicatura (carni epesce). Probabile l’uso di insaccare la carnenei budelli di cavallo, quindi presenza di sa-lami (Bottéro, 1987). Sviluppate erano letecniche di cottura a fuoco diretto ed indi-retto, come documenta il vasellame di cera-mica ed anche di bronzo, ma soprattutto lostudio delle ricette recuperate da Bottéro(1987). Tra queste, di gran lunga predomi-nanti erano quelle dei bolliti, brodi, intingo-li, ma non mancavano le ricette di pasta ecarni. Milano (2004) riporta anche ricetteburlesche, decrittate nella biblioteca di Nini-ve e risalenti al VII secolo prima dell’EraCorrente.Nell’alimentazione mesopotamica, almenoin quella dei palazzi, e dove si scriveva, lacucina si era già evoluta nella gastronomia.Anche se su quest’argomento sarà necessariotornare più avanti, è qui utile accennare checucina e gastronomia sono le due principalipolarizzazioni dell’alimentazione umana. Lacucina è tradizionale, conservativa, popolaree quindi etnica, territoriale, stagionale, natu-rale e semplice, di taglio femminile e conutilizzo di brodi con lessi e bolliti ed usodella pentola. La gastronomia, invece, è inno-

34

Capitolo I

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 34

Page 34: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

vativa, evolutiva, del palazzo, internazionale,che ricerca le primizie, artificiale ed elabora-ta, di taglio maschile, con uso di spiedo perarrosti, ma soprattutto di tegami per sughi.Il ruolo antropologico della gastronomianon è stato ancora sufficientemente indaga-to, ma tutto fa ritenere che il passaggio dal cuo-cere al fare cucina sia dipeso dalla nascita diuna nuova dimensione antropologica alimenta-re.

Quando è stata inventata la cucinaTorniamo al quesito di quando è stata in-ventata la cucina, senza considerare la fase diprecucina, costituita dall’uso del fuoco percuocere la carne ed abbrustolire qualche ve-getale per ottenere fumi inebrianti.Limitandoci al caso rappresentativo dellacucina mesopotamica, bisogna fare due con-siderazioni. La prima è l’alto grado di matu-rità, che testimonia come questa cucina sianata molto prima del terzo millennio avantil’era corrente: considerando i plausibili tem-pi d’evoluzione delle prime tecniche, untempo da calcolare in millenni. La secondaconsiderazione, è che la cucina mesopotami-ca si basa su di una varietà d’alimenti chesolo un’agricoltura ed un allevamento svilup-pati possono offrire. Collegando le due con-siderazioni, in modo fondato si può ritenereche la cucina in esame sia nata e si sia svi-luppata in stretto contatto con l’agricoltura el’allevamento, partendo da una radice comu-ne, che può essere riportata a dodicimila epiù anni fa. Una data, questa, che giustificapienamente la presenza, oltre cinquemila an-ni fa, di una cucina mesopotamica con altogrado di maturità.Allargando l’orizzonte e considerando le di-verse cucine elaborate dalle culture umane(senza per ora precisare il ruolo della cucinastessa nello sviluppo dell’agricoltura e del-l’allevamento) si conferma l’ipotesi che ognicucina è sorta e si è ampliata in relazione al-l’agricoltura ed all’allevamento. A confermadi quest ’ultimo orientamento, se diamo

un’occhiata alle prime e principali aree geo-grafiche di sviluppo dell’agricoltura, è facilecostatare che sono le stesse nelle quali vi èstata una cucina importante, con caratteri digastronomia. Nell’area del Vicino Oriente,della Fertile Mezzaluna e dell’Egitto, accan-to alla già citata cucina e gastronomia meso-potamica, bisogna citare la cucina faraonicadell’antico Egitto e poi, nel bacino del Me-diterraneo, le cucine della Grecia e di Roma,anche se queste sono da considerare cucinederivate dalle altre precedenti. Anche inqueste ultime aree si sono sviluppate gastro-nomie, con importanti testimonianze lette-rarie. Altrettanto significativa è stata e rima-ne la cucina e la gastronomia della Cina,collegata ad un’antica agricoltura, con diffu-sione a tutta l’area asiatica.Coltura agricola, cultura della cucina e ga-stronomia sono fenomeni strettamente col-legati. La cucina e la gastronomia, che n’è lasublimazione, compare e raggiunge elevatilivelli di qualità, quando all’agricoltura ed al-l’allevamento del bestiame si associano i se-guenti elementi, primari e secondari. Parti-colarmente importante è un più o menocompleto abbandono del nomadismo, colpassaggio ad una vita sedentaria e costruzio-ne d’insediamenti stabili, anche se, in que-st’ultimo caso, rimangono importanti i col-legamenti con la pastorizia e la raccolta difrutti spontanei e soprattutto d’animali sel-vatici (pesci, selvaggina). Per lo sviluppo del-la cucina è inoltre indispensabile l’invenzio-ne di tecnologie di conservazione degli ali-menti, una gestione centralizzata del territo-rio con sistemi di scambi e di commercio ed,in modo speciale, una produzione agricoladiversificata, nella quale sono compresi “pac-chetti” di piante agricole, ed in particolarequelli di cereali e leguminose. Sono elementiaccessori, ma sempre significativi, una gerar-chia sociale sviluppata e l’esistenza di sistemidi comunicazione tramite registrazioni(scrittura).

35

Geni, cibo e cucina

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 35

Page 35: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

36

Capitolo I

Cronologia dell’introduzione di alcuni alimenti in alimentazione umana

Anno Alimenti vegetali Alimenti animali

1.000.000 avanti Frutta, bacche Termiti ed altri insetti

l’Era Corrente Vegetali diversi Lumache e crostacei

(E. C.) Uova

500.000 a. E. C. Carne, pesce (selvaggi)

175.000 a. E. C. Cottura a fuoco diretto

(carne allo spiedo, grani tostati)

100.000 a. E. C. Carne umana (cannibalismo)

30.000 a. E. C. Vegetali con attività psicofarmacologiche

Inalazione di fumi psicoattivi

9.000 a. E. C. Carne d’ovini e caprini domestici

8.000 a. E. C. Frumento monococco (einkorn)

Lenticchie

7.000 a. E. C. Fagioli, noci Carne di maiale

6.000 a. E. C. Cottura con acqua (brodo)

6.000 a. E. C. Mais, datteri, broccoli

5.500 a. E. C. Piselli Miele selvatico

5.000 a. E. C. Canna da zucchero, zucca, olio d’oliva

5.000 a. E. C. Fermentazioni vegetali (vino, birra e pane) Fermentazioni animali

(latti fermentati)

4.000 a. E. C. Uva e vini, arance, angurie Formaggi

3.600 a. E. C. Mais scoppiato (pop corn)

3.200 a. E. C. Polli allevati

3.000 a. E. C. Carote, fave, cipolle

Graminacee fermentate, pane lievitato

2.900 a. E. C. Fichi

2.830 a. E. C. Soia

2730 a. E. C. The

2600 a. E. C. Funghi Apicoltura (miele domestico)

2500 a. E. C. Patate

1600 a. E. C. Cioccolato

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 36

Page 36: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

37

Geni, cibo e cucina

Cronologia delle principali aree agricole e cucine

Data più antica Area geografica Principali vegetali e animali Grandi Cucine

(a. E. C.)

8.500 Vicino Oriente Farro e altri cereali Cucina mesopotamica

Fertile Mezzaluna Pisello e altre leguminose 3.000 a.C.

Olivo

Pecora e capra

7.500 - 7.000 Cina Riso e miglio Cucina cinese

Maiale (baco da seta) 3.000 a.C.

7.000 Valle dell’Indo Cereali Cucina indiana

Importazione dal vicino Animali avicoli 3.000 a.C.

oriente Piccoli ruminanti

Grandi ruminanti

6.000 Egitto Cereali Cucina egizia

(importazione dal Vicino Asino 3.000 a.C.

Oriente)

6.000 - 3500 Europa occidentale Farro e altri cereali Cucina greca

(importazione dal Vicino Leguminose Cucina romana

Oriente) Olivo Cucine mediterranee

Piccoli ruminanti

Maiale

5.500 - 5.000 Iran o Caucaso Vite (vino)

Sahel (?) Sorgo e riso africano

Etiopia (?) Gallina di faraone

4.000 - 3500 Mesoamerica Mais, fagioli e zucca

Tacchino

4.000 - 3500 Ande e Amazzonia Patate e manioca

Lama e cavia

Principali elementi di collegamento tra agricoltura e cucina

A) Elementi primariVita prevalentemente sedentaria e costruzione d’insediamenti stabili

Invenzione e sviluppo di tecnologie di conservazione degli alimenti

Gestione centralizzata del territorio

Sviluppo di sistemi di scambi e di commercio

Produzione agricola diversificata

B) Elementi accessoriGerarchia sociale sviluppata

Sistemi di comunicazione tramite registrazioni (scrittura)

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 37

Page 37: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Il cacciatore e raccoglitore abbrustolisce e cuoce,l’agricoltore fermenta e cucinaIl riconoscimento dei fattori che hanno ac-compagnato la nascita e sviluppo della cuci-na, indicando uno stretto rapporto tra questae l’agricoltura, non fornisce una precisa indi-cazione perché questo sia avvenuto, dato perscontato che sia possibile averne una precisaconoscenza.La comparsa della cucina ed il suo relativa-mente rapido sviluppo (in Mesopotamia, tral’invenzione dell’agricoltura ed il costituirsidi una cucina matura passano solo alcunimillenni) sono avvenuti almeno dopo 25.000anni da che la nostra specie, l’uomo di CroMagnon, era rimasta sola, dopo l’estinzionedell’uomo di Neanderthal. Senza contare illunghissimo periodo precedente, per la no-stra specie, la caccia, la raccolta del cibo ed ilfuoco, si erano dimostrati più che sufficientinon solo per sopravvivere, ma anche per unasua diffusione sul pianeta. Anche i risultatidelle indagini sulle ossa degli uomini caccia-tori e raccoglitori non segnalano sistematicie prolungati periodi di carestia.Perché, più o meno improvvisamente, secon-do i tempi biologici, la nostra specie ha in-ventato l’agricoltura ed ha sviluppato l’alle-vamento?Molto si è indagato e discusso in proposito,come a livello di buona divulgazione ancherecentemente ha riferito Diamond (1998).Sono state anche individuate le condizioniche hanno portato all’innovazione agricola. Inmodo analogo, sono state studiate le conse-guenze dell’agricoltura e dell’allevamento sututti, o quasi, gli aspetti dello sviluppo delleculture umane. Molti aspetti sono stati esa-minati, ma non quello della cucina e, di con-seguenza, della gastronomia. In particolarenon si è studiato quale ruolo abbia avuto la cuci-na sull’invenzione agricola. L’idea prevalente ediffusa, tanto ovvia da non essere stata, moltevolte, neppure discussa, è che una volta in-ventata e sviluppata la produzione agricola, lacucina sia stata solo una conseguenza.

Senza escludere che l’uomo abbia potuto ap-prezzare alimenti vegetali abbrustoliti o me-scolati a carni selvatiche sottoposte al calore,come nel caso della sopra menzionata cucinamongola, e l’uso dei fumi psicoattivi ottenutidai vegetali, l ’interpretazione di una cucinaconseguenza dell ’agricoltura è l ’unica possibilee, soprattutto, è corretta? Una domanda allaquale bisogna rispondere, considerando, inchiave evoluzionista, i numerosi problemialimentari e sanitari provocati dagli alimentiagricoli, esaminati nella terza parte di questolibro.Valutando ora in una prospettiva evoluzioni-sta la nascita della cucina, in rapporto all’a-gricoltura ed all’allevamento, il quadro cam-bia in modo sostanziale. Pur non sottovalu-tando il ruolo d’eventi casuali, un esame det-tagliato ed approfondito dei rapporti traagricoltura e cucina induce ad assegnare allacucina un ruolo non secondario o successivoall’agricoltura, ma, all’opposto, un ruolo trai-nante. In modo simile a quanto indica l’esem-pio del brodo nato prima della pentola o sugge-risce il ruolo dell’inalazione di fumi psicoattiviottenuti da vegetali o la fermentazione di cibizuccherini per la produzione d ’alcole, tutto faritenere che sia stata la cucina a trainare, o perlo meno a favorire in modo decisivo lo sviluppodell’agricoltura e dell’allevamento.Rimandando alla seconda parte per moltialimenti, qui bisogna fare alcune puntualiz-zazioni.Non si può ragionevolmente pensare ad unosviluppo della cerealicoltura, senza un colle-gato utilizzo delle granaglie, tramite proce-dimenti tecnologici abbastanza ricercati:conservazione tramite l’essiccamento o l’usodi fosse od altri contenitori privi d’ossigeno;produzione di bevande fermentate (birra,che nell’antico egiziano aveva una denomi-nazione corrispondente a “pane liquido”);elaborazione di cibi che comportavano unamacinazione ed una fermentazione associataalla cottura (produzione di pane lievitato).Questi trattamenti, in modo efficace contra-

38

Capitolo I

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 38

Page 38: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

stano gli effetti antinutrizionali dei cereali.Altro esempio classico, dei rapporti tra tec-niche di cucina e caratteristiche negative deicereali, è l’utilizzo alimentare del mais, cheha provocato la pellagra quando da una cot-tura a secco ed in ambiente alcalino (tortillasdella cucina messicana), si è passati alla bol-litura (polenta della cucina europea).In modo analogo è avvenuto per molte legu-minose, dotate d’effetti antinutrizionali. Inproposito, tra tutti gli esempi, è da citarel’uso della soia nella cucina cinese: dal lattedi soia ai formaggi di soia, ottenuti con pro-cedimenti che inattivano i fattori antinutri-zionali ed allergenici della leguminosa.Altrettanto dimostrativo è il latte, alimento“innaturale” oltre i quattro anni di vita, chel’uomo primitivo ha utilizzato fermentando-lo, per inattivare il lattosio ed anche per pro-durre alcole. Al riguardo è da ricordare il co-siddetto fregio di Baghdad, detto della latte-ria, datato a circa cinquemila anni fa, nelquale sono rappresentate le operazioni ca-searie della trasformazione fermentativa dellatte.Ricordando che è nato prima il brodo dellapentola, che il fumo dei vegetali nell’uomoha accompagnato il loro uso alimentare eche è stata la trasformazione casearia ad in-durre la produzione d’animali da latte,estendendo il concetto, e ve ne sono tutte lebuone ragioni, almeno nella fase iniziale del-la transizione neolitica bisogna ritenere chela cucina, se non ha causato l’invenzionedell’agricoltura e dell’allevamento, in modonetto ha comunque avuto un ruolo trainantee di primo piano.In altri termini, si può anche affermare chese l’uomo cacciatore e raccoglitore abbrusto-lisce e cuoce, è l’agricoltore che fermenta ecucina.

Perché è stata inventata la cucinaTorniamo al quesito: perché é stata inventatala cucina? Una risposta sembra più facile do-po quanto indicato e considerando i notevoli

vantaggi dei trattamenti culinari, anche diconservazione, schematizzati in una tabella.In sintesi, si può ritenere che la cucina abbiaportato a vantaggi differenziati per gli ali-menti d’origine animale e per quelli vegetali.Per gli alimenti d’origine animale, in partico-lare le carni, i vantaggi sono almeno di tretipi. Il primo riguarda la migliore digeribi-lità, ma non è un elemento assoluto, tantoche ancor oggi sono in uso preparazioni cu-linarie di carni crude o poco cotte (tartarefrancese ecc.). Il secondo vantaggio è di mi-gliorare gli aromi ed il gusto delle carni, an-che attraverso la conservazione fermentativa.Il terzo vantaggio è lo sviluppo d’alimenticompletamente nuovi, come i salumi fer-mentati, i latti fermentati e gli yogurt, i for-maggi ed il burro e tutti i prodotti caseariRilevanti sono i vantaggi che la cucina svi-luppa negli alimenti vegetali. L’uomo, per lasua costituzione anatomica, fisiologica ecomportamentale, ha un’alimentazione difrugivoro, in altre parole di mangiatore difrutta, di bacche e giovani virgulti. Sottoquest’aspetto, l’alimentazione vegetale uma-na non è stata ancora ben studiata in tutti isuoi risvolti. Quando si è però studiata l’ali-mentazione delle scimmie, si è costatato chequeste apprezzano la frutta non ancora com-pletamente matura (acida e ricca di molecolestrategiche, ad iniziare dall’acido ascorbico ovitamina C), e che nella frutta ricercano inprimo luogo eventuali vermi, fonte di pro-teine “animali”. È inoltre sorprendente comele scimmie, che hanno imparato ad apprez-zare il carbone vegetale, che assorbe tossineintrodotte con il cibo, hanno ampliato la lo-ro alimentazione digerendo di tutto, anchecibi a rischio (Struhaker e coll., 1997).Gran parte dei vegetali sviluppati dall’agri-coltura, sono per l’uomo più o meno innatu-rali o dotati d’attività negative di tipo fisico,meccanico o biochimico. Ad esempio, lagrande usura dei denti dell’uomo preistoricoè ridotta dai procedimenti di macinazione ecottura dei cereali e d’altri alimenti vegetali.

39

Geni, cibo e cucina

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 39

Page 39: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

40

Capitolo I

Principali effetti nutrizionali della cucina

Trattamento Inattivazione effetti sfavorevoli Effetti favorevoli ed altri vantaggi

Trattamenti meccanici Eliminazione gusci, cortecce, parti Riduzione masticazione enon alimentari ecc. migliore attività della saliva

Estrazione d’olio e grassi

Produzione di fumo Eliminazione di veleni Inalazione di molecole psicoattivetramite tostatura

Cottura a secco Inattivazione infezioni e parassiti Miglioramento digeribilitàInattivazione fattori antinutrizionali Gelatinizzazione del connettivo

Sviluppo d’aromi (reazione di Maillard)

Cottura umida Inattivazione infezioni e parassiti Miglioramento digeribilitàInattivazione fattori antinutrizionali Gelatinizzazione degli amidi e dei

connettiviEstrazione e concentrazione diprincipi nutritivi

Cotture multiple Diminuzione degli effetti negativi Conservazione delle preparazioni dei singoli sistemi di cottura di cucina

Associazione d’alimenti Diminuzione di singoli alimenti con Intersupplementazione nutrizionalecaratteri negativi Utilizzo nutrizionale d’alimenti

contenenti molecole strategiche

Aggiunta di piante Apporto di molecole strategichearomatiche, odorose (vitamine, antiossidanti,

oligoelementi di tipo organico ecc.)

Uso d’alimenti minerali Apporto di minerali (sodio, iodio,(sale ecc.) calcio ecc.)

Essiccamento (con o Inattivazione parassiti e infezioni Possibilità di conservazione esenza affumicamento) commercializzazione

Miglioramento digeribilità

Salagione Inattivazione infezioni e parassiti Possibilità di conservazione e commercializzazioneMiglioramento digeribilità

Macerazione Inattivazione infezioni, parassiti Miglioramento della digeribilitàe principi antinutrizionali

Fermentazione acida Inattivazione infezioni e parassiti Possibilità di conservazione eInattivazione principi commercializzazioneantinutrizionali o d’intolleranza Miglioramento digeribilità(lattosio, glutine ecc.) Produzione d’aromi e sapori

Produzione di bevande acide

Fermentazione alcolica Inattivazione infezioni e parassiti Possibilità di conservazione eInattivazione principi antinutrizionali commercializzazioneo d’intolleranza (lattosio, glutine ecc.) Miglioramento digeribilità

Produzione di bevande alcoliche

Trattamenti associati Riduzione effetti negativi di singoli Sinergia tra gli effetti positivi deitrattamenti singoli trattamenti

Congelazione Inattivazione parassiti Possibilità di conservazione

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 40

Page 40: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

In modo analogo, gran parte degli effetti an-tinutrizionali degli alimenti vegetali (legu-minose, graminacee ecc.), dei fattori d’intol-leranza e dei potenziali allergenici sono inat-tivati dai trattamenti di cucina.La cucina è stata e si mantiene indispensabi-le per un’alimentazione con una rilevante enon naturale quota di vegetali, anche se, nonbisogna dimenticare, l’agricoltura ha cercatodi sviluppare vegetali coerenti con le richie-ste nutrizionali della biologia della nostraspecie e gastronomiche delle culture umane.L’agricoltura ha permesso il soddisfacimentodelle richieste nutrizionali della specie uma-na, fino a quando questa ha mantenuto stilidi vita naturali, vale a dire con un rilevantedispendio energetico, e vi è stato un correttorapporto con la cucina. Diversa è stata la ri-sposta dell’agricoltura, quando sono stati ri-chiesti alimenti dotati di particolari caratte-ristiche gastronomiche, non correlate allenecessità nutrizionali umane.Tutto porta a ritenere che la cucina sia stata laconditio sine qua non per lo sviluppo dell’a-gricoltura e la creazione di nuovi alimenti, ad

esempio quelli lattiero-caseari, ma non spiegain modo esauriente perché è stata inventata lacucina.Le ricerche che riguardano le prime fasi del-lo sviluppo della cucina, soprattutto perquanto riguarda il ruolo di fumi inebrianti edi bevande alcoliche, fanno ritenere che, conogni probabilità, la cucina iniziò con la ri-cerca di sistemi per procurarsi, dai vegetali,delle droghe e sostanze inebrianti, come l’al-cole e l’agricoltura sarebbe stata sviluppataper averne una continua disponibilità. Inmodo analogo pare sia avvenuto anche perl’allevamento animale, il cui inizio sarebbeiniziato per motivi magici o per procurarsioggetti d’ornamento (penne e piume), lana epellicce. In quest’orientamento, lo sciamane-simo e concezioni magiche analoghe avreb-bero avuto una notevole importanza, conuna serie di variazioni e d’implicazioni nellequali sarebbero state coinvolte valenze di ti-po maschile e femminile, amplificate nellesocietà patriarcali prevalentemente pastoralied in quelle matriarcali prevalentementeagricole.

41

Geni, cibo e cucina

Prime fasi di sviluppo della cucina (anni prima dell’Era Corrente)

Fase Procacciamento Procedimenti tipici

Selvatica (precucina) Caccia Fuoco diretto200.000 - 150.000 a. E. C. Raccolta

Sciamanica Raccolta erbe psicoattive Produzione di fumi inebrianti30.000 a. E. C.

Primitiva Caccia SpiedoRaccolta Cottura con pietre e su pietre roventi

Agricola Agricoltura Tegami e cotture umide10.000 – 8.000 .a E. C. Allevamento Forno

Urbana Commercio alimentare Fermentazioni (vino, birra, latte)4.000 – 3.000 a. E. C. Estrazioni (olio)

Macinazione (farina)Salagione

Gastronomica Alimentazione indipendente Trasferimenti degli alimenti3.000 – 2.000 a. E. C. dalle stagioni e dai luoghi Innovazioni tecnologiche

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 41

Page 41: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

È nata prima l’agricoltura o la cucina?Una domanda mal posta conduce ad una ri-sposta difficile, se non impossibile. Con ogniprobabilità, infatti, cucina ed agricoltura so-no coeve.I rapporti tra agricoltura e cucina devono es-sere visti nella prospettiva preistorica e stori-ca, nella quale si sono formate durante ilpassaggio che l’uomo ha fatto tra uno stile divita di cacciatore e raccoglitore, a quello d’a-gricoltore ed allevatore. Un passaggio moltolento e di lungo periodo, mai netto e defini-tivo, sottoposto a fluttuazioni, che oggi sonostudiate per i singoli territori, ad esempioquello dell’attuale Palestina (Finkelstein eSilberman, 2002).Le indagini archeologiche eseguite nel Me-dio Oriente indicano che, per molti millenni,le popolazioni hanno avuto la capacità di pas-sare rapidamente dalla vita di caccia e raccol-ta a quella di piccoli insediamenti e di un vil-laggio con allevamento degli animali, o vice-versa di ritornare dalla pastorizia all’agricol-tura stanziale, senza mai abbandonare la rac-colta nei terreni incolti, secondo le condizioniclimatiche o politico - economiche. Una si-tuazione che non deve stupire, se consideria-mo come ancor oggi l’urbanesimo e l’agricol-tura intensiva possono coesistere con la cacciae la pesca in aree selvatiche o rinselvatichite.Tornando al passato ed ai lunghi inizi dell’a-gricoltura e dell’allevamento, in ogni regionemolti gruppi sono stati in grado di modifi-care il loro stile di vita, anche alimentare, se-condo le migliori opportunità del momento.Come in modo efficace si esprimonoFinkelstein e Silberman (2002), il sentieroche portava dalla vita sedentaria del villaggioal nomadismo pastorale e da questo alla cac-cia e raccolta è sempre stato percorso in en-trambe le direzioni. Un percorso che hacoinvolto le diverse realtà, anche quell’ali-mentare e, quindi, della cucina.Una volta iniziata l’agricoltura, gli agricolto-ri continuavano ad avere bisogno dei nomadiper un regolare approvvigionamento di car-

ne, latticini, pelli e lana. I nomadi avevanobisogno dei mercati dei villaggi sedentari perottenere grano ed altri prodotti agricoli, cheavevano iniziato ad apprezzare. Le due con-troparti non erano però equivalenti. Gli abi-tanti dei villaggi potevano fare affidamentosulle loro produzioni per sopravvivere, men-tre i pastori nomadi non potevano vivere in-teramente dei prodotti del loro gregge: nellamisura in cui avevano abbandonato o ridottola raccolta dei vegetali, avevano bisogno digrano per bilanciare la loro dieta. Da qui di-versi e fluttuanti sono stati a lungo i rapportitra popolazioni di cacciatori e raccoglitori, dipastori nomadi e d’agricoltori stanziali. Rap-porti che hanno coinvolto anche l’alimenta-zione e la cucina.Come indicato, i cacciatori ed i pastori, no-madi, cuociono, al più utilizzando focolarioccasionali o recipienti di pelle. Anche il pa-ne viene cotto avvolgendo la pasta su di unapietra rovente. Gli agricoltori stanziali, inve-ce, sono dotati d’attrezzature adeguate, diceramica e successivamente di metallo e diun forno stabile, che permettono di cucina-re, con tutti i già indicati vantaggi. Sia pureattraverso una serie di fluttuazioni tra vitanomade, di caccia, raccolta e pastorizia e divita agricola stanziale, la cucina si è svilup-pata in stretto collegamento all’agricoltura,in modo particolare per contrastare le carat-teristiche nutrizionali negative delle produ-zioni agricole.È nata prima l’agricoltura o la cucina? Si ègià sostenuto che è questa una domanda malposta, che comporta una risposta difficile, senon impossibile. Agricoltura e cucina sonostrettamente collegate, anche se, da un punto divista funzionale, è stata la cucina, vale a dire latrasformazione dei cibi, che ha dato avvio edassicurato il successo dell’agricoltura.

Aspetti evoluzionisti nella nascita della cucinaL’alimentazione umana si dipana tra biolo-gia e cultura. L’uomo non è soltanto biolo-gia, ma è anche cultura.

42

Capitolo I

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 42

Page 42: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Se l’alimentazione umana è biologia, la cuci-na è soprattutto cultura. La cultura è entrataprepotentemente nell ’alimentazione daquando l’umanità ha inventato l’agricoltura el’allevamento, con la produzione degli ali-menti, non più soltanto la loro raccolta. An-cor più prepotentemente, la cultura è entratanell’alimentazione umana da quando, moltoprobabilmente la donna, ha iniziato a mani-polare gli alimenti, trasformandoli in cibo,tramite la cucina, in tutti i suoi aspetti, dallaconservazione, trasformazione, cottura, as-semblaggio, fino ai riti di consumo. La cuci-na, in quanto espressione di un’attività altempo stesso recente e antica, deve essereconfrontata con il pensiero di CharlesDarwin, che spiega il progetto funzionaledegli organismi e che ha portato alla biologiaevolutiva, e quindi alla scoperta ed allo stu-dio dei geni, ed è una delle idee capaci dimodificare la scienza dell’alimentazione edella nutrizione. Il concetto dell’adattamen-to, come mezzo di selezione, permette dimeglio comprendere i meccanismi nutrizio-nali e l’alimentazione, sia normale sia patolo-gica, i costi degli adattamenti anche non cor-retti, ma necessari per contrastare situazioniambientali e, o alimentari, gli scontri mala-dattativi tra il progetto animale e le condi-zioni ambientali e, o alimentari e così via.La cucina è la maggiore e più diffusa tecno-logia inventata dall’uomo per regolare i rap-porti tra la biologia umana (geni) e le carat-teristiche d’alimenti (cibo), prodotti dall’a-gricoltura e dall’allevamento e sempre menonaturali e, da soli, non più rispondenti aimutati stili di vita umana, almeno nelle so-cietà tecnologiche ed industriali. Compren-dere la funzione dell’idea evoluzionista diDarwin in alimentazione, con particolare ri-guardo alla cucina, in altre parole costruireuna cucina corretta, per una nutrizione evolu-zionista o darwiniana, non è una nuova mo-da alimentare più o meno alternativa, ma èuna prospettiva aggiuntiva, che non servetanto a curare o prevenire patologie e malat-

tie nutrizionali, ma a meglio comprendere lecause evolutive di gran parte, se non tutti iproblemi dell’alimentazione e della patolo-gia nutrizionale umana. Le cause e spiega-zioni prossime di cui si occupa l’alimenta-zione e la scienza della cucina classica ri-guardano le strutture ed i meccanismi biolo-gici e rispondono alle domande di “che co-sa?”, “come?”. Che cos’è una malattia nutri-zionale? Da chi e com’è generata? Qual è lacucina migliore e più sana? Domande indi-spensabili per sapere dove e come interveni-re. Le spiegazioni evolutive rispondono in-vece ai “perché?” sull’origine delle strutture efunzioni, sia normali sia, soprattutto, patolo-giche. La nuova dimensione della nutrizioneevoluzionista serve a comprendere l’origineevolutiva dei disturbi e delle malattie nutri-zionali, una conoscenza che si dimostra mol-to utile per raggiungere gli scopi stessi diuna corretta alimentazione che sia veramen-te biologica, nel senso più vero e profondodel termine e cioè legata alla vita (bios).

Tre nuove prospettive: produzione degli alimenti,cucina ed educazione alimentareLa fame e la malnutrizione non sono la con-seguenza delle moderne tecnologie del seco-lo diciannovesimo o ventesimo, o della catti-va distribuzione degli alimenti. Non bisognadimenticare le malattie e soprattutto le care-stie del passato. Nonostante che le malattiealimentari, le carestie e le sofferenze umanesiano antiche, è l’attuale scala di grandezzedi questi mali, documentata dalle indaginistatistiche, che fornisce dimensioni impres-sionanti del grave problema alimentaremondiale. Si tratta di un problema con mol-teplici dimensioni, ma soprattutto d’ordinemorale.Quello che oggi è divenuto maggiormenteevidente è la dimensione assoluta del proble-ma, vale a dire la quantità numerica dellapopolazione umana colpita da fame, anchese vi è stata una riduzione percentuale delproblema. Vi è anche da considerare che il

43

Geni, cibo e cucina

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 43

Page 43: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

problema della fame ha assunto una nuovadimensione nelle subcarenze: di tipo energe-tico, proteico, vitaminico e minerale. Le po-polazioni colpite da subcarenze subisconogli effetti negativi che si manifestano conuna diminuita resistenza alle malattie, mino-re attività intellettuale, ridotta lunghezzadella vita e così via.Altrettanto importante è la malnutrizione,che colpisce sia le popolazioni povere sia lericche. Nelle seconde, sono espressione dimalnutrizione gli eccessi energetici, le caren-ze di molecole strategiche e di fibra alimen-tare, solubile ed insolubile. Da non dimenti-care l’obesità che colpisce i popoli ricchi, oraanche quelli in via di sviluppo, e che è unaforma di malnutrizione.Un altro orientamento si va facendo stradain tutte le società: le radici della malnutri-zione sono prevalentemente culturali. Inquest’ambito sono da inserire le concezionireligiose in senso lato, le abitudini e le modeche in un certo senso confermano l’opinionedegli antropologi e storici alimentari funzio-nalisti. D’altra parte non è possibile intro-durre un alimento od un modello alimenta-re, pur adeguato alle necessità fisiologiche onutrizionali, senza tenere conto della culturadella popolazione che deve riceverle.La nutrizione culturale, nell’ambito di un’ali-mentazione evoluzionista, può concretamentecontribuire alla soluzione dei problemi nu-trizionali del mondo moderno. Di conse-guenza, è un importante strumento per lacostituzione di un equilibrio alimentaremondiale, necessario al raggiungimento diuna pace planetaria.

Bibliografia

Anonimo. Cereali, carne di cervo e di capra l’ultimopasto dell’uomo di Similaun. La Repubblica, 17settembre 2002 (p.24)

Ballarini G. Radici antiche del formaggio grana esuo uso nella cucina tradizionale padana. L’Ali-mentazione nell’Antichità, Parma 2-3 maggio1985. Cassa di Risparmio di Parma, Parma, 1985

Bottéro J. Il banchetto più antico del mondo. InFerniot e Le Goffe (1987)

Bottéro J. La più antica cucina del mondo. In Fer-niot e Le Goffe (1987)

Bottéro J. Ricettario del passato. In Ferniot e LeGoffe (1987)

Bresciani E. Mense imbandite nell’Egitto Antico:tra ideogramma e realtà. L’Alimentazione nel-l’Antichità, Parma 2-3 maggio 1985. Cassa diRisparmio di Parma, Parma, 1985

Cafulli L. Hanno imparato ad apprezzare il carbonee ora le scimmie digeriscono di tutto. Corrieredella Sera, 12 ottobre 1997

Consiglio C., Siani V. Evoluzione e alimentazione.Il caminno dell’uomo. Bollati Boringhieri, Tori-no, 2003

Delluc G., Roques M. La nutrition prehistorique.Pilotes 24, Perigieux, 1995

Diamond J. Armi, acciaio e malattie. Breve storiadel mondo negli ultimi tredicimila anni. Einau-di, 1998

Ferniot F., Le Goff J. (a cura di). La cucina e la ta-vola. Dedalo, Bari, 1987

Finkestein I., Silberman N. A. Le tracce di Mosè.Carocci, Roma, 2002

Forni G. Gli albori dell’agricoltura. REDA, Roma,1990

Goodman J., Lovejoy P.E. Postfazione. In Good-man e coll., 1995

Goodman J., Lovejoy P.E., Sherratt A. (Eds.) Usisacri, consumi profani. Il ruolo storico e culturaledelle droghe, ECIG, Genova, 1995

Gowlett J.A.J., Harris J.W.K., Walton D., WoodS.A. Early archaelogical sites, hominid remainsand traces of fire from Chesowanga, Kenia. Na-ture, 294, 125-129, 1981

Graff J. Living in the Past. Time, April 23, 2001 (p.53-59)

Graaf J. Agriculture is bad for you. Time, April 23,2001 (p. 59)

Hansen J. The Earliest Seed Remains from Greece:Paleolithic trough Neolithic at Franchthi Cave.Berl., Deutsch. Bot., Ges., 91, 39, 1978

Jacobsen T.W. 1700 Years of Greek Prehistory.Scientific American, June, 76-78, 1976

Mc Cully K.S. Dalla paleodieta all’alimentazionemoderna. Alimentazione & Prevenzione, 1 (2),73, 2001

Milano L. La Mesopotamia. In: Montanari e Sab-ban (2004), vol. I, pag. 18-27, vol. II p. 436-441

Montanari M., Sabban. F. (a cura di). Atlante del-l’Alimentazione e della Gastronomia. UTET,Torino, 2004

44

Capitolo I

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 44

Page 44: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

45

Geni, cibo e cucina

Payne S. Animal Bones. Esperia, 42, 59-66, 1973Perlès C. Le “specialità” della preistoria. in Ferniot e

Le Goff (1987)Perlès C. Risorse selvatiche, risorse domestiche. In:

Montanari e Sabban (2004), vol. I, pag 402-425Pernigotti S. Fra alimentazione e religione nell’anti-

co Egitto: un animale “maledetto”. L’Alimenta-zione nell’Antichità, Parma 2-3 maggio 1985.Cassa di Risparmio di Parma, Parma, 1985

Saporetti C. Cucina mesopotamica. In “L’ArcanoConvito”. Verona, 7-11-1989. A cura di J. diSchino (Roma, 1989)

Saporetti C. Desinare in Mesopotamia. L’Alimen-tazione nell’Antichità, Parma 2-3 maggio 1985.Cassa di Risparmio di Parma, Parma, 1985

Sassatelli G. Cibo, alimentazione e banchetto pres-so gli Etruschi. L’Alimentazione nell’Antichità,Parma 2-3 maggio 1985. Cassa di Risparmio diParma, Parma, 1985

Sherratt A. L’alcol e i suoi sostituti. Simbolo e so-stanza nelle culture preindustriali. In Goodmane coll. (1995)

Struhaker e coll. Intern. J. Primatol. (cit. Cafulli,1997).

Vattuone R. Aspetti dell’alimentazione nel mondogreco. L’Alimentazione nell’Antichità, Parma 2-3 maggio 1985. Cassa di Risparmio di Parma,Parma, 1985

Von Gernet A. Sogni alla nicotina: il tabacco nellepreistoria e nella storia antica del Nordest ame-ricano. In Goodman e coll., 1995

Winter J.C. Prehistoric and storic Native Americantobacco use: an overview. Soc. for Amer. Ar-cheology, New Orleans, 1991

Wrangham R.W., Jones J.H., Laden G., PilbeamD., Conklin Brittain N. The raw and the stolen.Cooking and the ecology of human origins.Current Anthropology 40 (5), 567-594, 1999

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 45

Page 45: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Tutte le malattie derivano dall’agricoltura?

“Tutte le malattie umane provengono dall’a-gricoltura e dall’allevamento del bestiame”Mirko D. Grmek

Agricoltura, allevamento e cucina, le primevetero-biotecnologieSolo la nostra specie di Homo sapiens sapiens,tra tutti gli esseri viventi, ha sviluppato atti-vità tecnologiche e non solo strumentali, esoprattutto artistiche. In quest’ambito è statacreata una complessa serie di tecnologie ap-plicate al cibo (cucina), che sono state portatea livelli artistici (gastronomia). Il tutto in rela-zione alla coltivazione dei vegetali ed all’alle-vamento degli animali, altre due attività sullequali gli antropologi ancora stanno indagan-do in merito alle precise motivazioni, di co-me e perché siano nate e poi sviluppate.Per centinaia di migliaia d’anni i nostri pro-genitori, e per decine di migliaia d’anni lanostra specie erano vissuti raccogliendo ve-getali e cacciando animali. Per un lungo tem-po le specie umane erano ricorse al fuoco permodificare le caratteristiche degli alimenti,come si è già detto. L’alimentazione era stataal tempo stesso occasionale e continua, connumerosi piccoli pasti nel corso della giorna-ta ed ogni volta usando un cibo diverso, ve-getale o animale, in un quadro d’elevata “bio-diversità alimentare”. Non erano rari periodidi digiuno, seguiti da abbuffate, ad esempio

quando si rendeva disponibile una grandepreda. Seguendo il variare delle stagioni e lemigrazioni degli animali, l’uomo si spostavanelle zone in cui poteva trovare alimenti ve-getali maturi, e continuamente inseguiva glianimali che gli davano carne e grasso. Un ti-po di vita, e si è già citato, che comportavaspostamenti che sono stati calcolati fino aquaranta chilometri il giorno.Poco più di dieci secoli prima dell’era corren-te, dopo un relativamente lungo periodo diprecucina, con la coltivazione dei vegetali, lapastorizia e l’allevamento animale, la nostraspecie, rimasta l’unica del suo genere sullaterra, diede avvio alla prima delle grandi ri-voluzioni alimentari, con un’importanzaenorme sull’evoluzione della specie. Per di-versi motivi, oggi si ritiene che l’agricoltura el’allevamento, sviluppati dall’uomo in pochearee del pianeta ed in tempi assai diversi, sidiffusero in due modi: tramite l’apprendi-mento delle tecniche da parte dei popoliconfinanti, ma soprattutto con la diffusioneterritoriale dei primi agricoltori. Tutto questoavvenne in momenti differenti nelle varieparti del mondo. In alcune aree in cui le con-dizioni climatiche erano favorevoli, tuttavia ecome fa notare Diamond (2000), l’agricoltu-ra non nacque, né fu portata in tempi prei-storici, e l’uomo vi continuò a vivere per mil-lenni come cacciatore e raccoglitore, fino aquando non venne in contatto con il mondomoderno.

46

Capitolo I

Le grandi rivoluzioni alimentari umane

(XX) - XV - X Secoli prima dell’era corrente Agricoltura, allevamento e cucina – Vetero-biotecnologie

XV - XVI Secolo era corrente Diffusione mondiale delle specie vegetali e animali

produttrici d’alimenti

XIX Secolo era corrente Inizio dell’industrializzazione alimentare

XX Secolo era corrente Mondializzazione del commercio d’alimenti

XXI Secolo era corrente Ingegneria alimentare (neo biotecnologie)

Mondializzazione degli stili alimentari

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 46

Page 46: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

I popoli che divennero agricoltori per primiguadagnarono un gran vantaggio sugli altri,ma dovettero anche subire l’impatto negati-vo delle malattie provocate dalla nuova ali-mentazione e dallo stretto contatto con ilbestiame: malattie nutrizionali e malattie in-fettive e parassitarie. Come anche recente-mente ha fatto rilevare Diamond (2000) letestimonianze archeologiche ci mostranoche i primi agricoltori erano spesso più gra-cili e malnutriti dei loro colleghi cacciatori -raccoglitori a causa di patologie nutrizionali.Erano anche più soggetti a malattie infettivee parassitarie contratte dagli animali ed ogginote come zoonosi.L’avvento dell’agricoltura, allevamento e cu-cina sono alla base della prima delle cinquegrandi rivoluzioni alimentari. Queste rivolu-zioni sono l’espressione dell’evoluzione cultu-rale che, nell’uomo, si è innestata sull’evolu-zione biologica, dando una nuova dimensionealla storia dell’umanità, e di tutta la vita sulpianeta.Nella prima rivoluzione alimentare, con lapastorizia, iniziale forma d’allevamento delbestiame, l’uomo mantenne il nomadismo,caratteristica umana consolidata. Con l’agri-coltura, da nomade o migratore l’uomo di-venne sedentario, prima per più o meno bre-vi periodi, ad esempio per compiere un rac-colto, poi definitivamente. In questo modocomparve il possesso della terra, si creò ilvillaggio, la città, lo stato e soprattutto iniziòa cambiare lo stile di vita. Non scomparve enon diminuì sostanzialmente l’attività fisicae le circa otto ore di lavoro giornaliere prese-ro il posto dei circa quaranta chilometri dicammino. Con l’agricoltura e l’allevamentodel bestiame, gli orizzonti alimentari inizia-rono a cambiare. Altri mutamenti arriveran-no, si svilupperanno e si assommeranno nel-le successive rivoluzioni alimentari.Fin dalla prima rivoluzione alimentare iniziòa ridursi la biodiversità alimentare, che fino al-lora aveva caratterizzato l ’alimentazioneumana. In modo analogo divenne necessario

conservare gli alimenti. Molti dei nuovi ali-menti agricoli non si dimostrarono perfetta-mente adatti alla biologia umana ed alle suenecessità nutrizionali. Tutto questo portò allanecessità di sviluppare tecnologie (veterobiotec-nologie) di conservazione degli alimenti (essic-camento, salagione, fermentazione ecc.) ed unacucina, sempre più specializzata e raffinata, co-me già considerato.

Come si sono sviluppate le veterobiotecnologieLa coltivazione delle piante e l’allevamentodel bestiame sono necessari? Quali rischi edanni hanno portato alla salute umana?Questi interrogativi si pongono a monte del-l’affermazione di Mirko D. Grmek che tuttele malattie umane provengono dall’agricoltura edall’allevamento del bestiame. In modo analo-go, Jared Diamond (2000) dedica un capitolodi un suo libro a Il dono fatale del bestiame,nel quale considera l’evoluzione degli agentipatogeni e come l’addomesticamento abbiafavorito, se non determinato la comparsa dimalattie infettive umane. Affermazioni che sicollegano a quanto sopra già accennato e chesono state oggetto d’ampi dibattiti, arrivatianche a livello giornalistico (ad esempio ilservizio curato da J. Graff, 2001).Va tuttavia rilevato che nella pur ampia e det-tagliata analisi delle malattie provocate dall’a-gricoltura e dall ’addomesticamento del bestia-me, scarsa attenzione è stata dedicata all’altret-tanto importante capitolo delle malattie noninfettive e non parassitarie dovute alle caratte-ristiche degli alimenti ottenuti dalle piante col-tivate e dagli animali allevati.Per meglio comprendere quale debba esserela nostra alimentazione, è qui opportunoesaminare non tanto perché la nostra specieha addomesticato piante ed animali ed hainventato l’agricoltura e l’allevamento, macome questo è avvenuto, come sono cambiatele caratteristiche degli alimenti agricoli e d’al-levamento e soprattutto con quali tecnologiel’uomo è intervenuto per produrre nuovi alimenti.

47

Geni, cibo e cucina

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 47

Page 47: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Dalla selezione naturale a quella artificialeCon ogni probabilità - in proposito vi è unlargo consenso tra gli studiosi - l’agricolturae l’addomesticamento degli animali sonoiniziati e si sono sviluppati quando l’uomo,quasi certamente la donna, è intervenuta so-stituendosi alla selezione naturale, spessoandando contro questa, come ben dimostra-no alcuni esempi. Un argomento questo che,recentemente, è stato dettagliatamente di-scusso da Diamond (2000).Il grano, uno dei primi vegetali coltivati, hauna spiga che ad un certo momento di ma-turazione rilascia i singoli semi (o grani)che, con l’aiuto anche di una sottile arista eseguendo il vento, possono allontanarsi, infi-larsi nel terreno (come ancora oggi fanno iforasacchi), diffondendo la specie. Questespighe deiescenti non possono essere mietutesenza perdere il raccolto.Ogni tanto (una spiga su mille, diecimila?)vi è la comparsa di una mutazione genetica,a seguito della quale la spiga non rilascia igrani. I grani non si diffondono; al massimotutta la spiga, cadendo, dà origine ad un’altrapianta, nello stesso posto. La spiga non deie-scente è una mutazione sfavorevole al succes-so della specie selvatica, ma è molto utile perl’uomo che può raccoglierla integra. L’uomo,da queste spighe mutate, con la battitura ot-tiene i grani da mangiare o che può semina-re nei luoghi e nelle concentrazioni più op-portune, dando avvio ad un’agricoltura. Conl’osservazione che i grani germogliano conpiù facilità e danno un raccolto più abbon-dante attorno ai luoghi di defecazione, al-l’uomo è venuta l’idea di una concimazione.In questo modo, l’uomo ha iniziato anche ascegliere e seminare i grani più grossi e ricchid’amido, i frutti più grossi, carnosi e succosi, dipiante meglio adatte ai singoli terreni e climi.Nel primitivo farro l’uomo ha anche sceltocasuali variazioni di grani particolarmentegrossi, perché la pianta aveva un maggiornumero di cromosomi (grani poliploidi) epassare quindi dal farro al frumento. Si trat-

ta quindi d’organismi scelti perché hannouna genetica diversa, oggetto di selezione,quindi da considerare Organismi Selettiva-mente Modificati (OSM) con risultati chesostanzialmente non si differenziano dai re-centi Organismi Geneticamente Modificati(OGM), se non per la diversa tecnologiautilizzata dall’uomo (e la sua efficacia). Unastrada intermedia è stata applicata con suc-cesso nel secondo dopoguerra con l’irradia-zione delle piante, per aumentare la frequen-za delle mutazioni casuali, dello stesso tipodi quelle spontanee. Usando la selezione, neisuoi spostamenti da sud - est a nord - ovest,raggiungendo zone sempre più fredde, l’uo-mo ha adattato i cereali a nuove condizioniclimatiche. Si è così arrivati, nel corso deimillenni, agli attuali frumenti, nelle varietàdi grani teneri e duri. Inoltre, è divenutopossibile avere frumenti resistenti alle avver-se condizioni climatiche (vento ecc.) ed au-mentare la loro produttività, soprattutto inambienti favorevoli, perché concimati o dallacenere di un incendio, casuale o provocato, odai residui organici.La quasi totalità del grano usato oggi derivada una lunghissima serie di mutazioni chel’uomo ha scelto (selezione artificiale). Non èquindi eccessivo affermare che nell’odierno fru-mento, pur coltivato nel modo più naturale pos-sibile, non vi è quasi più nulla di naturale.Quanto indicato per il farro è avvenuto pertutte le altre graminacee che sono state colti-vate (orzo, segale, panico, mais, riso ecc.). Lostesso è avvenuto per le leguminose, gli alberida frutto e tutte le piante oggi coltivate.Dove l’uomo ha portato e sviluppato la pro-pria presenza sulla terra, il successo della se-lezione artificiale è stato così grande che inun caso, come quello già citato del mais, èriuscito a sostituire completamente la specienaturale di partenza, oggi non più ritrovata.Anche nelle specie animali, con il passaggiodalla selezione naturale a quell’artificiale, èavvenuto un processo analogo. È interessan-te notare che Charles Darwin enunciò la sua

48

Capitolo I

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 48

Page 48: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

teoria sull’Origine della Specie attraverso laselezione naturale, osservando anche i risul-tati che gli allevatori inglesi avevano ottenu-to con la selezione artificiale, costruendorazze animali molto diverse dai progenitoriselvatici e dai comuni animali domestici.Negli animali si è anche attuata una selezio-ne artificiale dei comportamenti. Sfruttandoanche meccanismi comportamentali qualil’imprinting ed i segnali infantili, nei cucciolid’animali selvatici fu azzerata la distanza difuga e poterono essere incorporati nella co-munità umana, che così divenne una nuova“famiglia allargata”, d’uomini e animali.Dapprima nella famiglia umana entrò il lu-po, che divenne cane, poi i piccoli ruminantiche furono trasformati in pecore e capre, se-guiti dai grossi ruminanti e dal cavallo, men-tre altri animali per lungo tempo mantenne-ro una posizione ambigua, tra il selvatico edil domestico. È il caso dei volatili e dei cin-ghiali che vivevano attorno ai villaggi uma-ni, in uno stato di domesticazione lassa, an-che come spazzini dei residui umani.Sugli animali gli interventi di selezione ri-guardarono il comportamento (animali docilie con elevata affettività umana) e le loro ca-ratteristiche morfologiche: cani di diverse ta-glie, aspetto ed attitudine comportamentale,secondo l’uso: guardia del gregge, caccia ecc.;pecore con vello lanoso o con disposizione adingrassare; capre capaci di dare molto latte;maiali con grasso abbondante; cavalli agili eveloci o lenti e potenti, e così via.Per i vegetali la concimazione ha avuto unanotevole importanza. In modo analogo, pergli animali, l’addomesticamento ha interessa-to soprattutto quelli con un’alimentazioneche non era competitiva con quell’umana, se-condo la regola che l’animale non doveva ru-bare cibo all’uomo, ma aumentarlo, con unbilancio nutrizionale positivo. Il cane adesempio serviva a catturare la selvaggina od aproteggere i greggi, ma era alimentato conscarti (ossa ecc.). Tra gli animali vegetarianihanno avuto successo i ruminanti che si nu-

trono di ciò che il loro rumine fermenta, par-tendo da materiali e vivendo in territori asso-lutamente inutilizzabili per l’alimentazioneumana. Tipico è il caso di steppe e zone se-midesertiche, dove i cammelli e le capre tro-vano nutrimento, mentre l’uomo morirebbedi fame. Questi ruminanti divengono alimen-to per l’uomo. Sulla stessa linea si pongono icinghiali e tutti gli animali spazzini (polli,oche ecc.) attraverso i quali l’uomo può rici-clare cibi da lui scartati od inutilizzabili.

Origine e sviluppo della domesticazioneL’origine e lo sviluppo della domesticazioneè uno dei problemi più difficili che si pongo-no a chi s’interessa delle società umane e, diconseguenza, della loro alimentazione. Sul-l’argomento esiste una bibliografia vastissi-ma e non è questa la sede per affrontare ilgrave e complesso problema. Ai fini dellapresente esposizione e nei limiti qui conces-si, basterà dare alcuni cenni, particolarmenteindirizzati al tema specifico dell’alimenta-zione, e che si aggiungono a quanto già con-siderato sull’origine della cucina.Come è già stato indicato, le popolazioni dicacciatori e raccoglitori hanno molto tempolibero e non possiedono piante od animaliaddomesticati. Questa situazione si è man-tenuta per un lungo periodo, certamente perpiù di due milioni d’anni. Che cosa è, o qualisono stati i motivi che hanno indotto i nostriprogenitori o, meglio, quelli di un’unica spe-cie, la nostra, a cambiare radicalmente leproprie abitudini, inventando la coltivazionedelle piante e l’allevamento degli animali? Aquesta domanda abbiamo in parte già datouna prima risposta, considerando il ruolodella cucina. Qui è opportuno aggiungereche, in linea di massima, è oggi accettato chela domesticazione, vegetale o animale, non èavvenuta solo come una risposta diretta aduno stato di carestia, di siccità o comunquead un periodo di situazione sfavorevole.Questi ultimi eventi avrebbero richiesto unasoluzione immediata e non a lungo termine,

49

Geni, cibo e cucina

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 49

Page 49: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

com’è, appunto, la domesticazione. È invecemolto più agevole immaginare che la dome-sticazione sia iniziata in un periodo ed inuna fase di cibo abbondante e di riposo, eche si sia rivelata preziosa in una successiva(ed imprevedibile) fase di carenza o, comun-que, di difficoltà.Da qui sorge la domanda: perché lo sviluppodell’addomesticamento vegetale e animale?In un non recente, ma già classico lavoro,Harlan (1967) ha dimostrato che un uomocon una falce di pietra (selce) può raccoglie-re con facilità una quantità di grano selvati-co sufficiente alle necessità alimentari dellasua famiglia.Lo sviluppo della domesticazione fu inizial-mente intenzionale o soltanto un fenomenoaccidentale? Non sembri strana l’ipotesi diuna domesticazione accidentale, che adesempio fu sostenuta da Zeuner (1963).Questa potrebbe essere avvenuta in uominied animali costretti a convivere in aree ri-strette od in aree geografiche confinate, co-me strette valli lungo un fiume, piccole oasiisolate in ampi deserti, od aree di terra cir-condate dai ghiacci durante la glaciazionedel Pleistocene. In queste situazioni è facileimmaginare l’istituirsi tra uomini ed animalidi scambi di neonati. Fino a pochi anni fanell’Amazzonia le donne allattavano indiffe-rentemente i propri piccoli o quelli della ca-gna, come i bambini succhiavano dallemammelle degli animali del villaggio. Si sa-rebbe così costituita quella che è stata chia-mata la “via del latte” della domesticazioneanimale. Sempre accidentale potrebbe esserestata, almeno all’inizio, la domesticazionedelle piante, che sarebbero cresciute rigo-gliose sui rifiuti abbandonati dai cacciatori eraccoglitori, ai margini dei loro insediamentitemporanei; al ritorno nello stesso posto do-po una migrazione annuale avrebbero trova-to un raccolto particolarmente abbondante(Anderson, 1952). In modo analogo, l’uomoavrebbe potuto accorgersi che alcune piantea lui utili crescevano particolarmente rigo-

gliose sul letame presente in recinti doveerano stati tenuti animali selvatici o semisel-vatici (Grivetti, 1980).Recentemente Diamond (2000) indica so-prattutto cinque condizioni alla base dell’av-vio dell’agricoltura: 1) declino delle risorsenaturali; 2) aumento della disponibilità dellespecie domesticabili; 3) progressi tecnologicinella raccolta, trasformazione e conservazio-ne del cibo; 4) legame di causa ed effetto trala crescita della densità della popolazione ela crescita della produzione del cibo; 5) suc-cesso dei popoli che, avendo adottato l’agri-coltura, poterono crescere numericamente equindi sopravanzare i popoli dei cacciatori eraccoglitori.In ogni caso, era necessaria, da parte dell’uomo,un’acuta osservazione dei fenomeni e, soprat-tutto, la possibilità d’immaginare il futuro. Unatteggiamento mentale particolare, collegato al-la possibilità di rappresentare la realtà e di de-scriverla. Da qui il collegamento dell’agricoltu-ra e dell’allevamento al linguaggio ed alle im-magini artistiche che l’uomo Cro Magnon trac-ciava sulle pareti e sulle volte delle grotte.Non mancano tuttavia ricercatori che riten-gono che la domesticazione, animale e vege-tale, abbia avuto fin dall’inizio un ben preci-so scopo. A questo riguardo si notano duetendenze: domesticazione per la produzionedi cibo; domesticazione per altri scopi eco-nomici o per motivi, in senso lato religiosi.Secondo la prima tendenza, gli animali pos-sono essere stati addomesticati per i loroprodotti come il cuoio e la lana, o come ani-mali da lavoro da tiro, da soma, da sella(Child, 1951; Laufer, 1927). Non è da sotto-valutare che il bovino sembra sia stato il pri-mo grande animale addomesticato proprioper il lavoro e poi sia diventato un animaleda carne e solo dopo da latte. La religione,nel più ampio senso del termine, può averefornito validi motivi di domesticazione, per-ché gli animali sono necessari all’uomo, co-me dimostra l’attuale sviluppo dell’animaleda compagnia, per motivi estetici, come og-

50

Capitolo I

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 50

Page 50: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

getti di sacrificio e quindi tramite con la di-vinità, o come produttori d’oggetti rituali, adesempio corna, penne e così via (Hahn,1896; Palmieri, 1959). Per le piante, è diffi-cile pensare ad una domesticazione a scopoalimentare. Anche le ricerche sull’utilizza-zione delle piante selvatiche nelle societàcontemporanee suggeriscono che il loro usopsicoattivo, già considerato, ma anche deco-rativo, come fibre per fabbricare vestiti, neiquali la componente ornamentale è semprepreminente, se non esclusiva, per usi magiciod impieghi medicamentosi, è più diretta al-le specie vegetali selvatiche o semiselvatiche.Queste ultime specie sarebbero state prele-vate dalla savana o foresta e trapiantate invicinanza dell’insediamento umano e curatedall’uomo, ma non per usi alimentari (Gri-vetti, 1976 e 1978; Led, 1973).La domesticazione animale e vegetale, rite-nute tra loro strettamente connesse, conse-cutive a situazioni accidentali od effettuateper ben precisi motivi, collegate almeno al-l’inizio a situazioni alimentari o non, hannoradicalmente modificato la disponibilità d’a-limento per la popolazione umana e cambia-to profondamente l’attività e l’economia del-la specie. I dati archeologici disponibili sug-geriscono che la prima comparsa delle pian-te e degli animali domestici sia avvenuta inCina e nel Sud-Est Asiatico, in un periodoche supera i ventimila anni avanti Cristo(Chang, 1973; Gorman, 1969; Solheim,1971). Quest’inizio è nettamente più anticodi quello che è stato possibile datare nellaFertile Mezzaluna che, com’è ampiamentenoto, si estende dall’Iran orientale e passan-do dalla Mesopotamia e Palestina, arriva fi-no all’Egitto (Aykroyd e Doughty, 1970;Storcke e Teague, 1952).Le conseguenze della domesticazione ani-male e vegetale sono state immense. La pri-ma è stata l ’aumento della popolazioneumana. Precedentemente alla domesticazio-ne, l’uomo era presente sulla faccia dellaterra in concentrazioni molto ridotte, e que-

sto spiega come con la caccia e la raccoltapotesse ampiamente soddisfare le sue esi-genze alimentari con una notevole facilità.Una bassissima concentrazione della popo-lazione umana sul territorio è un altro moti-vo, oltre a quelli prima citati, che fa ritenerepoco probabile una motivazione alimentaredella domesticazione. Precise e recenti ri-cerche, alle quali hanno partecipato diversiricercatori tra i quali Cavalli Sforza, tendo-no a dimostrare che l’incremento della po-polazione collegato alla domesticazione èstato alla base di un’espansione dei popolid’agricoltori e allevatori. Quest’espansionenell’area asiatico - europea si è svolta nel-l’arco di oltre cinquemila anni e, partendodalla Fertile Mezzaluna, si è spostata versole estreme regioni del Nord Europa con unavelocità di circa un chilometro l’anno. Pre-cise indagini di genetica umana, eseguite daAmmerman e Cavalli Sforza (1984, 1986),da Luigi e Luca Cavalli Sforza (1997) han-no inoltre dimostrato che si è trattato dispostamento delle popolazioni che pratica-vano l’agricoltura e l’allevamento del bestia-me e non di trasmissione dell’invenzione adaltre popolazioni autoctone dei nuovi terri-tori.In ogni caso, è importante notare che inmolti casi, con l’agricoltura e l’allevamento,le popolazioni adottarono non tanto unospecifico alimento, ma dei “pacchetti ali-mentari” (come li definisce Diamond(2000), costituiti da alimenti ricchi d’energia(amidi e, o grassi) e di proteine. Ad esempionel Sud-Est dell’Europa i popoli locali at-torno al 6.000 prima dell’era corrente adot-tarono il pacchetto mediorientale costituitoda cereali, legumi e bestiame. Nell’America,circa nel 2.500 prima dell’era corrente fuadottato il pacchetto costituito da mais, fa-gioli e cucurbitacee. È facile intuire che ilsuccesso del sistema agricolo non dipendetanto dalla coltivazione di un solo vegetale,ma di un pacchetto di vegetali capaci di so-stenere un’adeguata nutrizione umana.

51

Geni, cibo e cucina

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 51

Page 51: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

52

Capitolo I

Alcuni esempi di specie vegetali ed animali addomesticate (da Diamond, 2000 - con mo-difiche)

Area geografica Vegetale Animale Data più antica

Domesticazione autoctonaAsia, Africa (America?) ––– Cane 10.000 a. E. C.

(12.000 - 9.000 a. E. C.?)

Vicino Oriente Granaglie diverse Pecora, capra 8.500 a. E. C.

(Fertile Mezzaluna) (farro, frumento, orzo, ecc.),

piselli, olivo

Cina Riso, miglio Maiale, baco da seta Prima del 7.000 a. E. C.

Mesoamerica Mais, fagioli, zucca Tacchino Prima del 3.500 a. E. C.

Ande ed Amazzonia Patate, manioca Lama, cavia Prima del 3.500 a. E. C.

America settentrionale Girasole, chenopodio Nessuno 2.500 a. E. C.

Sahel (?) Sorgo, riso africano Gallina di faraone Prima del 5.000 a. E. C.

Africa equatoriale (?) Igname, palma Nessuno Prima del 3.000 a. E. C.

Etiopia Caffè, teff Nessuno Ignota

Nuova Guinea (?) Canna da zucchero, banana Nessuno 7.000 a. E. C. (?)

Dopo l’arrivo di specie alloctoneEuropa occidentale Papavero, avena Nessuno 6.000 - 3.500 a. E. C.

Valle dell’Indo Sesamo, melanzana Bovini asiatici 7.000 a. E. C.

Egitto Sicomoro, chufa Asino, gatto 6.000 a. E. C.

Mediterraneo –––– Coniglio 200 circa a. E. C.

Date approssimate di prima domesticazione di alcune specie animali (Diamond, 2000)

Specie Data (a. E. C.) Area

Cane 10.000 Asia sudoccidentale, Cina, America settentrionale

Pecora 8.000 Asia sudoccidentale

Capra 8.000 Asia sudoccidentale

Maiale 8.000 Cina, Asia sudoccidentale

Bue 6.000 Asia sudoccidentale, India, Nordafrica (?)

Cavallo 4.000 Ucraina

Asino 4.000 Egitto

Bufalo d’acqua 4.000 Cina (?)

Lama, alpaca 3.500 Ande

Cammello 2.500 Asia centrale

Dromedario 2.500 Arabia

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 52

Page 52: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

53

Geni, cibo e cucina

Principali specie d’animali erbivori addomesticate nell’antichità (Diamond, 2000 - conmodifiche)

Specie maggiori e progenitore Area geografica

Pecora – Muflone Asia centrale ed occidentale Capra – Bezoar Asia centraleBue – Uro Eurasia e Africa settentrionaleMaiale – Cinghiale Eurasia e Africa settentrionaleCavallo - Cavallo selvatico Russia meridionaleDromedario - Dromedario selvatico ArabiaCammello della Battriana - Cammello selvatico Asia centraleLama e alpaca – Guanaco AndeAsino - Asino selvatico Africa settentrionale (Vicino Oriente)Renna - Renna selvatica Eurasia settentrionaleBufalo d’acqua o asiatico - Bufalo selvatico Sud-Est asiaticoYak - Yak selvatico Himalaia e Tibet

Principali coltivazioni alimentari preistoriche (Diamond, 2000, con modifiche)

Area Cereali e Leguminose Radici, tuberi Cucurbitacee

piante erbacee

Fertile Farro, Triticum Piselli, Lenticchie, == Melone

Mezzaluna monococcum, Ceci

Orzo

Cina Riso, panico, Soia, == (Melone)

miglio perlato Phaseolum angularis,

Ph. aureus

Mesoamerica Mais Fagioli Jicama Zucche

(Ph. vulgaris, ecc.) (Cucurbita pepo,

ecc.)

Ande, Amazzonia Quinoa, (mais) Fagioli comuni e Manioca, patata, Zucche

di Lima, arachidi patata dolce

Africa occidentale Sorgo, Fagioli dall’occhio, Igname Cocomero,

e Sahel miglio africano, arachidi zucche

riso africano (Laginaria)

India (Grano, orzo, riso, Fagioli (Ph. aureus, == Cetriolo

sorgo, miglio) Ph. mungo ecc.)

Etiopia Miglio, teff (Piselli, lenticchie) == ==

(grano, orzo)

Stati Uniti Orzo (Pusillum), == Girasole, Zucca (C. pepo)

orientali Phalaris, Chenopodium articiocco

Nuova Guinea Canna da zucchero == Igname, taro

Tra parentesi le specie d’antica importazione

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 53

Page 53: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Alimentazione dell’uomo preistoricoL’alimentazione dell’uomo preistorico, inmodo speciale quella della nostra specie, èstata oggetto di numerose indagini e rasse-gne, tra le quali è da citare quella del biologoJared Diamond (2000), che si è occupatoanche delle relazioni con l’agricoltura e l’ad-domesticamento animale, considerando ilruolo delle differenze ambientali, senza peròconsiderare le conseguenze di tipo sanitarionon infettivo che l’alimentazione agricola haindotto sulla nutrizione umana.Quali equilibri alimentari, a proposito deglistili di vita, si erano raggiunti in un processodi selezione biologica e d’evoluzione cultu-rale, durato almeno duecentomila anni, sen-za considerare quanto avvenuto nel prece-dente mezzo milione d’anni nei preominidie negli ominidi?Sulla base dei reperti ossei e delle feci fossili(coproliti) e delle ricerche eseguite sugli uo-mini preistorici che vivevano fino a pochidecenni fa in alcune regioni del pianeta, oggiabbiamo un quadro abbastanza preciso del-l’alimentazione dei nostri antenati. Senzaentrare in eccessivi dettagli si può affermareche si trattava di un’alimentazione mista,comprendente cibi d’origine vegetale ed ani-male, caratterizzata da una grandissima va-rietà di specie, che cambiavano nel corsodelle stagioni. Non vi era pianta o animale,soprattutto di piccole dimensioni, dai mollu-schi agli insetti, e recentemente si è anchericonosciuto l’importante ruolo del pesce,che non fosse mangiato. Interessante è

quanto osservato da tre archeologi (GordonHilman, Susan Colledge e David Harris eriportato da Diamonds, 2000) nel sito ar-cheologico di Tell Abu Hureyra, situato inSiria, ai margini della valle dell’Eufrate. Trail 10.000 ed il 9.000 prima dell’Era Corren-te, gli abitanti del luogo, sebbene già stabi-lizzati in un insediamento permanente, vive-vano ancora di raccolta. L’agricoltura ebbeinizio nel millennio successivo. Gli scavihanno rivelato grandi quantità di resti car-bonizzati - probabilmente usati per produrrefumi psicoattivi - di piante selvatiche cheerano certamente raccolte altrove e poi tra-sportate al villaggio. L’analisi di 700 campio-ni, ognuno contenente una media di 500 se-mi identificabili appartenenti a 70 specie di-verse, ha portato a conclusioni sorprendenti.Gli indigeni raccoglievano almeno 157 spe-cie di piante, senza contare quelle che non siè riuscito ad identificare. Le 157 diversespecie rappresentano solo una parte di quelleesistenti nei dintorni e sono di tre categorie.Molte hanno semi immediatamente eduli.Altre, come i legumi e le piante affini allasenape, sono tossiche, ma divengono com-mestibili, con una certa facilità, dopo cottu-ra, fermentazione ecc. Altre piante eranousate per ottenere tinture, farmaci o fumipsicoattivi. Tutto fa ritenere che le specieselvatiche che non erano raccolte, erano otossiche od inutili.Altri studi confermano le osservazioni diHilman e collaboratori che indicano la gran-de biodiversità alimentare dell’uomo prei-storico e la sua approfondita conoscenzadell’ambiente e della flora. RecentementeRollo e coll. (2002) esaminando il contenutointestinale della mummia dell’uomo di Si-milaun, circa cinquemila anni fa, hanno do-cumentato che negli ultimi pasti aveva man-giato carne di cervo rosso e di capra, cerealie funghi.La gran varietà dei cibi (biodiversità alimen-tare), ognuno assunto in piccole quantità,aveva due vantaggi. Il primo vantaggio è

54

Capitolo I

Le ultime tappe della popolazione umanamondiale

1 miliardo 1804

2 miliardi 1927 - 123 anni dopo

3 miliardi 1960 - 33 anni dopo

4 miliardi 1974 - 14 anni dopo

5 miliardi 1987 - 13 anni dopo

6 miliardi 1999 - 12 anni dopo

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 54

Page 54: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

l’intersupplementazione. Se un alimento eraricco di un principio nutritivo e scarso di unaltro, mangiato assieme o nello stesso giornocon un altro alimento con caratteristiche op-poste, portava ad un equilibrio alimentare,nel quale ogni alimento era di supplementoall’altro. Esempio d’intersupplementazione èl’associazione tra un cereale ed il latte (duealimenti che, come vedremo oltre, sono “in-naturali”) e la cui combinazione sfocia in unbuon equilibrio alimentare. Altro esempio èl’associazione tra cereali e leguminose. Il se-condo vantaggio è la sicurezza. Alimenti noncompletamente favorevoli o dotati d’attivitàantinutrizionali e soprattutto causa d’intol-leranza, non producono effetti negativi edanni apprezzabili, se assunti in piccolaquantità. Anche l’uomo preistorico applica-va, sia pure inconsciamente, il principioenunciato da Paracelso che sola dosis facit ve-nenum.Com’erano scelti gli alimenti? Nel passato,più d’oggi, nell’uomo erano sviluppate le fa-mi specifiche, di cui erano espressione anchele “voglie delle gravide” (segni di carenze osubcarenze nutrizionali). L’organismo, siapure con una certa approssimazione, segna-lava la necessità di talune categorie d’ali-menti. Da qui la voglia di grasso e d’alimentidolci e zuccherini (necessità energetica), o laricerca del sale, d’alimenti acidi (frutta acer-ba, acida e ricca di vitamine) e così via.Con l’agricoltura, la biodiversità alimentaresi riduce, inizialmente di poco e poi in modosempre più intenso. L’intersupplementazioneè più rara e gli squilibri alimentari si diffon-dono, divenendo sempre più gravi. L’uomovive male, alimentandosi con pochi alimenti,soprattutto se non gli sono completamenteadatti. Da qui la necessità di modificarli contecnologie e così si sviluppa la cucina. Gra-dualmente e con modalità diverse, all’agri-coltura si associò l’allevamento del bestiameche, per lungo tempo, non ha avuto un’e-sclusiva o prevalente finalizzazione alimen-tare, come ha oggi. Nel passato le pecore

erano utilizzate soprattutto per la produzio-ne della lana, il bovino per i riti sacrificali(certamente nell’Antico Egitto e probabil-mente nella cultura cretese), il cavallo ed ibovini per i lavori, rispettivamente rapidi eleggeri o lenti e pesanti. Le capre sono stateaddomesticate per la produzione di latte edil maiale, spesso mantenuto in semidomesti-cità, per la carne, come gli animali da cortile,che davano anche le uova.

Conseguenze alimentari dell ’agricoltura edell’allevamentoUna delle più importanti conseguenze delladomesticazione è stata la riduzione della va-rietà di fonti alimentari. La riduzione dellabiodiversità alimentare riguarda l’uomo e glianimali addomesticati. A quest’ultimo pro-posito è utile ricordare che, mentre in unprato stabile naturale esiste una consociazio-ne floristica, con la presenza di almeno cin-quanta specie foraggiere per metro quadrato,nei moderni erbai esiste al massimo un’asso-ciazione di tre foraggiere (due leguminoseed una graminacea) e molti pascoli sono co-stituiti da una sola specie botanica, per dipiù di un’unica varietà. In una consociazionefloristica complessa esistono fenomeni dicompensazione nutrizionale di una specievegetale rispetto ad un’altra. Inoltre, in casodi condizioni atmosferiche avverse, gli effettinegativi saranno solo parziali. La monocol-tura, invece, fornisce un’alimentazione unila-terale, è fortemente sensibile alle condizioniatmosferiche (Dewey, 1979; Doudgty, 1979;Pirie, 1962) ed agli attacchi dei parassiti, aiquali risponde secondo la legge del tutto o delnulla.La dipendenza alimentare da un ristrettonumero di specie vegetali ed animali per-mette all’uomo d’avere una grand’abbondan-za di cibo, ma lo espone anche ai gravissimirischi di una nutrizione unilaterale e di care-stie. Non è certamente una prova, ma è perlo meno significativo, che la prima descri-zione storica di una carestia, il periodo di

55

Geni, cibo e cucina

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 55

Page 55: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

sette vacche magre citato dalla Bibbia, siaavvenuto in un’area della Fertile Mezzalunadove era stata iniziata la coltivazione deicampi. Altrettanto celebre è la grave carestiache colpì l’Irlanda, quando le coltivazioni dipatate, divenute il cibo quasi esclusivo dellapopolazione, furono distrutte dalla dorifora.In modo analogo, anche l’uomo è esposto airischi di un’alimentazione unilaterale. Unesempio è la pellagra, per un uso prevalentedi mais, le cui proteine sono carenti d’alcuniaminoacidi ed è un cereale scarsamente do-tato di vitamine essenziali biodisponibili perl’uomo.L’uomo del passato aveva una gran diversifi-cazione alimentare, anche se con chiare pre-dilezioni (come ancora oggi i baboni selvati-ci) per alimenti che otteneva con la caccia, laraccolta, l’allevamento, l’agricoltura, l’orti-coltura, la pesca e che si procurava anchetramite baratto, dono o acquisto. Questa di-versità aveva un ruolo importante per unacorretta nutrizione, la già citata intersupple-mentazione.Evidentemente, nessuno oggi vuole tornareindietro e rinunciare agli indubbi vantaggidella domesticazione ed in particolare dell’a-gricoltura. Al tempo stesso bisogna peròrendersi conto dei gravi rischi della mono-coltura vegetale e animale.Un non piccolo problema è infine quello selo sviluppo agricolo e zootecnico, oltre al-l’incremento della quantità d’alimento, haportato e porta ad un miglioramento dei li-velli di nutrizione delle popolazioni umane.Come già da tempo hanno fanno rilevareGrivetti (1981), Dewey (1980) e Robson(1976) ed altri, la risposta non può essereunivoca, dato che non ci si può aspettare chead un’aumentata produzione d’alimenti (epur senza entrare in merito alla loro qualità)segua automaticamente un incremento dellasalute od un miglioramento della nutrizionenella popolazione umana. Il miglioramentodello stato di nutrizione di una popolazioneè solo uno dei molti componenti di un com-

plicato sistema che collega la cultura, l’am-biente, la salute. Un cambiamento dell’ali-mentazione può dare dei vantaggi, ma non èautomaticamente certo, come dimostranoalcuni esempi divenuti ormai classici e, pri-mo tra tutti, quello della pellagra da alimen-tazione unilaterale con mais. Inoltre l’agri-coltura ha portato malattie, infettive e non,prima di scarso rilievo nelle specie umane,ma oggi all’attenzione dei ricercatori e dellequali si sono occupati diversi studiosi: tra ipiù recenti Grmek (1985) e Diamond(2000).

Modificazioni degli alimenti, della dieta e riduzione della biodiversità alimentareNonostante possa apparire sconcertante, laproduttività alimentare attraverso l’agricol-tura e l’allevamento non è un “peccato” mo-derno, ma è alla base delle tecnologie (oggidefinite veterotecnologie o, meglio, vetero-bio-tecnologie) che hanno portato ad un sistemache, nel bene e nel male, ha permesso all’u-manità di superare i sei miliardi d’individui.In periodi di fame, che riguardano ancorauna rilevante percentuale della popolazione,l’obiettivo predominante è stato d’aumentarela quantità di cibo. Al di fuori di sogni o d’i-deologie che non corrispondono alla realtà,la qualità del cibo e soprattutto la sua ade-guatezza ad una corretta nutrizione umanaera marginale. Secondo una “regola” abba-stanza credibile, ci s’interessa della qualitàdegli alimenti solo quando una classe socialeod una popolazione si è liberata dalla fame,disponendo di almeno tremila chilocalorielorde giornaliere. Non ci si deve quindi stu-pire che la produzione d’alimenti tramite l’a-gricoltura e l’allevamento abbia fornito al-l’uomo cibi diversi da quelli che aveva utiliz-zato nel corso di tutta la sua vita di specie odelle specie che lo avevano preceduto (Nonbisogna dimenticare che tra l’uomo moder-no e lo scimpanzè, che non è un suo antena-to ma un suo collaterale, le differenze gene-tiche sono solo dell’uno per cento).

56

Capitolo I

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 56

Page 56: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Le modificazioni più importanti, se nondrammatiche, connesse all’agricoltura ed al-levamento riguardano tre ambiti: alimenti,dieta, biodiversità alimentare.

Modificazioni degli alimenti - Non è facilecomprendere le diversità che vi sono tra lacomposizione degli alimenti selvatici e quellidell’agricoltura e dall’allevamento. Granparte dei consumatori moderni non conosceo non gradisce il selvatico, che spesso consi-dera cattivo, puzzolente, troppo forte e cosìvia. Basta l’esempio della carne di cinghiale,che oggi è accettata in quanto, almeno inItalia, gran parte degli animali hanno una ri-dotta selvaticità, avendo subito incroci conanimali domestici ed un’alimentazione basa-ta non solo sui frutti del bosco, ma anche dacoltivazioni agricole (patate, mais ecc.) chequesti animali hanno imparato a devastare.In linea di massima, nelle produzioni agrico-le e zootecniche è aumentata la quota d’ami-do, zuccheri semplici e grassi di deposito(non di struttura) scarsamente presenti inciò che era raccolto o cacciato dalle popola-zioni paleolitiche e neolitiche. È drastica-mente diminuita la quantità di fibra alimen-tare, insolubile e solubile, che tanta impor-tanza ha nel corretto funzionamento delgrosso intestino e per il metabolismo ener-getico. Sono diminuite le molecole aromati-che, che danno sapore, sono dotate d’impor-tanti attività biologiche e sono inquadratetra le “molecole strategiche”: vitamine, an-tiossidanti, bioregolatori ormonali ecc.

Modificazione della dieta – L’alimentazionedell’uomo cacciatore e raccoglitore, comequella dei suoi antenati, a cui si è già accen-nato, era variata, nel corso della stessa gior-nata, settimana, mese ed anno. La dieta eradeterminata dalla disponibilità degli alimen-ti, in base al territorio che continuamentevariava con le migrazioni umane ed il cam-biare delle stagioni. La dieta era guidata dal-le fami specifiche che nell’uomo primigenio,

come ancor oggi negli animali selvatici, era-no abbastanza sviluppate, con comporta-menti che rimangono, ma sono molto atte-nuati. Oggi, invece, la dieta è determinata dauna folla di condizionamenti culturali e lagrande, se non illimitata disponibilità d’ali-menti del tipo più gradito (grassi, dolci, sala-ti ecc.) ha trasformato le fami specifiche(voglia di grasso, voglia di dolce, voglia disalato, voglia d’acido) in trappole pericolosee, nel lungo periodo, anche mortali.

Riduzione della biodiversità alimentare - Oggisiamo divenuti particolarmente attenti allabiodiversità vegetale ed animale, ma dimen-tichiamo o sottovalutiamo il ruolo che labiodiversità ha avuto e deve continuare adavere nell’alimentazione umana. Sono solo150 le specie di piante coltivate nel mondo,su un totale di ben oltre 600.000 specie ve-getali esistenti. Delle specie coltivate solo 30producono il 95% del fabbisogno umano dicalorie e proteine ed il 60% dei nostri ali-menti deriva da tre di queste: riso, mais, fru-mento. La drastica perdita della biodiversitàalimentare umana ha una grande importan-za economica: una crisi nella produzione diuna di queste coltivazioni avrebbe conse-guenze planetarie gravissime. Inoltre, le ne-cessità nutrizionali umane sono complesse enon vi è nessun alimento che, da solo, possasoddisfarle. Il problema era stato risolto dal-la selezione naturale anche attraverso alcunicomportamenti. È da ripetere che, dopo lescoperte di Konrad Lorenz, i comportamen-ti, anche quelli alimentari, sono da conside-rare quasi come organi e come questi, alme-no in parte, oggetto di selezione naturale ed’ereditarietà. Il comportamento alimentareumano è di tipo continuo, variato e guidatoda alcune fami specifiche (già considerate).Nell’uomo vi era e permane il comporta-mento di alimentarsi in continuazione, contantissimi, piccoli pasti, e con i cibi più di-versi. L’uomo mescolava alimenti vegetali eanimali, in relazione al momento stagionale

57

Geni, cibo e cucina

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 57

Page 57: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

ed al territorio, che cambiava con il continuomigrare, non raramente ciclico, il tutto gui-dato dalle fami specifiche. Tra queste vi era epermane la ricerca dell’energia nel grasso so-prattutto dolce (richiamo al latte, anche at-traverso un imprinting alimentare) e la ricer-ca del salato, mentre sono ancora discusse lefami specifiche per taluni minerali ed ancheper l’acido. In questo modo si ottenevano iseguenti vantaggi.• Introduzioni di piccole quantità di singoli

alimenti che, se avevano caratteri avversi,non erano d’entità tale da dare sostanzialidisturbi. Anche in alimentazione vale ilprincipio che sola dosis facit venenum.

• Contestuale introduzione d’alimenti diver-si, con loro intersupplementazione.

• Alimentazione continuamente variata chepermette di equilibrare eccessi o carenzemomentanee ed, inoltre, di sopperire ad unmetabolismo influenzato dal clima, caldo ofreddo.

• Le caratteristiche, anche tossicologiche,degli alimenti vegetali sono spesso condi-zionate dal terreno e, fin dagli anni trentadel secolo XX, erano stati individuati i co-siddetti “orti del cancro” quando il terrenoera ricco di particolari minerali, ad iniziaredall’arsenico. Nell’uomo cacciatore e racco-glitore, in perenne migrazione, questi rischierano controllati dal cambiare dei terrenidi raccolta.

Famiglia allargata ed infezioni alimentariOgni concentrazione d’animali è seguita damalattie e la stretta convivenza degli uominicon gli animali addomesticati facilita le tra-smissioni infettive. Non deve stupire, se lostorico delle malattie dell’uomo Mirko D.Grmek, ha affermato che le malattie umaneprovengono dall’agricoltura e dall’allevamentodel bestiame. In modo analogo, Diamond(2000) considera le malattie infettive umanecome Il Dono Fatale del Bestiame.

58

Capitolo I

Alcuni numeri dell’agricoltura mondiale (Fonte: elaborazione dati IPGRI e FAO 2001 - Ca-stelnuovo, 2001)

Le piante• 600.000 le specie vegetali conosciute (selvatiche o coltivate) e raccolte nella Banca Dati dell’IPGRI

(Istituto Internazionale per le Risorse Fitogenetiche)

• 7.000 le specie vegetali usate in alimentazione umana.

• 3 coltivazioni (frumento, riso e mais) forniscono il 60 per cento delle calorie nella nutrizione di tutti

gli abitanti della Terra. Seguono le banane e le patate.

La biodiversità vegetale e l’ambiente• Perdita di biodiversità nel pianeta: 2 per cento l’anno.

• 10 le varietà di frumento coltivate oggi in India, contro le 30 di 50 anni fa.

• Previsione di perdita di biodiversità nelle foreste: 2 - 8 per cento nei prossimi anni.

• 5 - 7 milioni d’ettari sottratti ogni anno all’agricoltura.

• 300.000 ettari di foresta distrutti o degradati ogni anno.

I bisogni alimentari umani• 8 milioni di persone nei paesi industrializzati e 26 milioni di persone nei paesi in transizione soffrono

di denutrizione

• Nei prossimi 50 anni le derrate alimentari dovranno aumentare del 25% per cento per soddisfare i

bisogni di circa 9 miliardi di persone.

• Nei paesi industrializzati almeno un quarto della popolazione è sovralimentata (soprappeso ed obe-

sità)

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 58

Page 58: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Due affermazioni che, come tutte quellenette e definite, hanno del vero e del falso.Affermazione che hanno spinto a ricercheche stanno dando risultati interessanti, inparticolare quelle che riguardano la ricostru-zione degli alberi genealogici delle speciebatteriche causa d’infezioni comuni all’uomoed agli animali. Mai come oggi ci si è resiconto che, se le ricerche sul genoma possonoaiutare a comprendere il presente ed a pro-gettare un futuro, sono assolutamente indi-spensabili per interpretare il passato. Il pro-blema delle infezioni, e tra queste quelle ali-mentari, è molto complesso e può essereschematizzato come segue.1. La concentrazione di molti animali della

stessa specie o di specie affini, come peco-re, capre, buoi e vacche, bufali, tutti rumi-nanti, facilita successivi e rapidi passaggidegli agenti infettivi da un animale ad unaltro, con un aumento del loro potere pa-togeno (virulentazione).

2. Le condizioni d’allevamento e soprattuttouna nutrizione animale inadeguata dimi-nuiscono le resistenze organiche e per-mettono l’insorgere d’infezioni da micror-ganismi opportunisti.

3. Negli allevamenti vengono a mancaremolti dei meccanismi di controllo nellatrasmissione d’infezioni tramite vettori(parassiti), che in condizioni naturalimantengono bassa la quantità d’infezionetrasmessa (anche per le infezioni vale ilprincipio della dose).

4. In linea di massima, con l’evoluzione na-turale ed attraverso diversi meccanismi, inogni specie animale si sviluppa un equili-brio con le infezioni alle quali la specie èesposta. La contestuale presenza, in unastessa comunità, d’animali di differentispecie e con patrimoni infettivi diversi, fa-cilita il passaggio d’infezioni tra gli anima-li, ma soprattutto tra questi e l’uomo. Daqui l’origine di molte zoonosi (infezionicomuni agli animali ed all’uomo) e di ma-lattie, quali tubercolosi, brucellosi ecc.

5. La coesistenza in luoghi e tempi ristrettid’infezioni diverse, permette anche l’ibri-dazione tra i microrganismi e la formazio-ne di nuove varianti genetiche, quindi dinuove infezioni. Un fenomeno, quest’ulti-mo, ben studiato per le infezioni influen-zali, nelle quali sono coinvolti virus tipicid’uccelli migratori selvatici, uccelli dome-stici, maiali e uomini che vivono in strettocontatto, ad esempio sulle foci dei grandifiumi asiatici.

6. La concentrazione d’animali e uomini,nella famiglia allargata dell’allevamentodivenuto rapidamente stanziale, comportauna concentrazione fecale inusuale. Con-segue una trasmissione infettiva attraversol’acqua inquinata dalle deiezioni animalied umane, con rischi ulteriormente au-mentati dalla concimazione ed irrigazio-ne. Da qui la facilitazione d’infezioni in-testinali e d’origine alimentare, oggi in-quadrate tra le foodborne diseases.

7. Anche nelle città primitive e di dimensio-ni limitate, vi erano condizioni di promi-scuità tra uomini ed animali e affollamen-to umano, associati a cattive condizioniigieniche (fecalizzazione ecc.) favorevolialla diffusione d’infezioni e soprattutto difoodborne diseases.

59

Geni, cibo e cucina

Principali infezioni umane derivate daglianimali

Malattia umana Infezione animale

Morbillo Peste dei ruminantiCimurro del cane

Tubercolosi Micobatteriosi dei ruminanti

Vaiolo Vaiolo vaccino, vaiolo d’altrianimali

Influenza Influenza aviare(Peste aviare classica)

Plasmodiosi Plasmodiosi dei primati(Malaria)

AIDS Retrovirosi dei primati

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 59

Page 59: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

L’invenzione delle veterobiotecnologie della cu-cinaSulla base dell’idea di Grmek (1985) per l’a-gricoltura e di quanto mostrato anche dalleindagini citate da Diamond (2000), oggistiamo intuendo che uno dei maggiori pericolinutrizionali è la ridotta biodiversità alimenta-re. Per dare una risposta ai problemi della ri-dotta biodiversità alimentare, contempora-neamente all’agricoltura l’umanità ha svilup-pato il trattamento degli alimenti, dando vi-ta alla cucina. Questa migliora l’utilizzazio-ne dei principi alimentari contenuti nei cibi,inattiva molti fattori antinutrizionali, tossicio sgraditi, libera elementi nutrizionali im-portanti (ad esempio la cottura a secco inambiente alcalino trasforma la trigonellinadel mais in vitamina PP) e facilita le inter-supplementazioniSviluppando quanto già visto sull’origine del-la cucina, sono necessarie alcune precisazioni.Se il frumento è carente di taluni aminoacidi,l’unione nello stesso piatto con leguminosemigliora sensibilmente il valore nutritivo. Lazuppa di lenticchie (non solo lenticchie!)d’Esaù, già ai tempi biblici era una raffinatez-za alimentare. In modo analogo la puls roma-na ed i tradizionali minestroni medievali dicereali a grani minuti e grossi, con legumino-se e tante erbe rappresentavano sistemi dicompletamento ed equilibrio alimentare.Con la cucina è possibile, nello stesso piatto opasto, avere un buon equilibrio nutrizionale,associando alimenti vegetali ed animali.Sviluppare un’agricoltura significa diventaresedentari e avere raccolti in certi mesi del-l’anno e non in altri. Furono necessari siste-mi di conservazione degli alimenti e non ècertamente un caso che nelle città più anti-che, una di queste Gerico, compaiono strut-ture destinate a conservare il frumento, l’olioed altri alimenti. La cucina non è estranea aiprocessi di conservazione degli alimenti, tra-mite essiccamento, salatura e fermentazioni,con le quali si sono prodotti alimenti, ancoroggi tenuti in gran considerazione: latti fer-

mentati e prodotti caseari, vino, birra ed al-tre bevande alcoliche, pane, salumi, diversivegetali fermentati.Le malattie che l’uomo ha potuto e può an-cora contrarre dal bestiame allevato, ancheattraverso gli alimenti, le già citate zoonosialimentari, sono contrastate dai trattamentidi cucina, in particolare dalla cottura, essic-camento e salagione, fermentazioni.La cucina, sviluppando caratteristiche d’e-donismo alimentare e quando vi sono le di-sponibilità, un tempo rare ed oggi semprepiù ampie, soddisfa le richieste del gusto, inmisura che va ben al di là delle necessità fi-siologiche. Se la cucina è mal usata, quindi èuna malacucina, provoca danni, causando lecosiddette malattie da eccessi o del benesse-re, giustificando l’antico detto che ne uccidepiù la gola della spada e che i cuochi procuranoil lavoro ai medici.L’agricoltura e l ’allevamento hanno dato avvioalla prima e più importante rivoluzione ali-mentare, che ha completamente cambiato la vitadell’uomo ed ha permesso lo sviluppo numericodella specie. La cucina che si è formata con l’a-gricoltura e si è dimostrata capace di controllarerischi derivanti all’uomo dagli alimenti agricolie dall ’allevamento, quando è mal usata puòcausare eccessi e, divenendo una malacucina,provocare le patologie del benessere.

Bibliografia

Anonimo. Cereali, carne di cervo e di capra l’ultimopasto dell’uomo di Similaun. La Repubblica, 17settembre 2002, p. 24

AA. VV. L’alimentazione nell’antichità. Parma, 2-3maggio 1985. Cassa di Risparmio di Parma, Par-ma, 1985

Alciati G., Fedeli M., Pesce Delfino V. La malattiadalla preistoria all’età antica. Laterza, Roma -Bari, 1987

Ammerman A.J., Cavalli Sforza L.L. Mesuring therate of spread of early farming in Europe. Man,6, 574-688, 1971

Ammerman A.J., Cavalli Sforza L.L. La transizioneneolitica e la genetica di popolazioni in Europa.Boringhieri, Torino, 1986

60

Capitolo I

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 60

Page 60: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Anderson, E. Plants, Man, and Life. Little andBrown, Boston, 1952

Aykroyd, W.R. Doughty. Wheat in Human Nutri-tion. FAO, FAO, 1970

Barigozzi C. (a cura di). The Origins and Dome-stication of Cultivated Plants. Amsterdam,1986

Capasso L. L’origine delle malattie. Marino Solfa-nelli Editore, Chieti, 1985

Castelnuovo R. Riscoprire e valorizzare piante efrutti dimenticati. Realizzata una banca dati per600.000 vegetali d’interesse agricolo. Le Scienze,n. 397, settembre 2001, p.22 - 23

Cavalli Sforza L. Geni, Popoli e Lingue. Adelphi,Milano, 1996

Chang, K.C. Food in Chinese Culture. Anthropo-logical and Historical Perspectives. Yale Univ.,New Haven USA, 1977.

Chang, K.C. Radiocarbon dates from China. Someinitial interpretations. Curr. Anthropol. 14: 525-28, 1973.

Child, V.G. The Neolithic revolution. In: ManMakes Himself, pp. 23-33, 67-72., Watts, Lon-don, 1951.

Clutton-Brock J. Domesticated Animals from EarlyTimes. London, 1981

Cowan C.W., Watson P.J. (a cura di). The Originsof Agriculture. Washington, 1992

Dewey, K.G. Agricultural development, diet, andnutrition. Ecol. Food Nutr. 8: 265-73, 1979.

Dewey, K.G. The impact of agricultural develop-ment on child nutrition in Tabasco Mexico.Med. Anthropol. 4: 21-54, 1980.

Diamond J. Armi, acciaio e malattie. Breve storiadel mondo negli ultimi tredicimila anni. Einau-di, Torino, 2000

Doughty J. Commentary. Dangers of reducing therange of food choice in developing countries.Ecol. Food Nutr. 8: 275-83, 1979.

Ewald P.W. Evolution of Infectious Diseases.Oxford University Press, New York, 1994

Flannery K. The origin of agriculture. Annuals Re-views of Anthropology, 2, 271 - 310, 1973

Forni G. Gli albori dell’agricoltura. Reda, Roma,1990

Gorman C. Hoabinhian. A peble-tool complexwith early plant associations in Southeast Asia.Science 163: 671-72, 1969

Graff J. Agriculture is bad for you. Time, April 23,2001 (p. 59)

Grivetti, L.E. Cultural Nutrition: Anthropologicaland Geographical Themes. Ann. Rev. Nutr. p.47-58,1981.

Grivetti, L.E. Culture diet, and nutrition. Historyand emergence of a geographical theme. Presen-ted at Assoc. Am. Geographers 74th Am. Meet.,New Orleans, Apr. 9-12, 1978.

Grivetti, L.E. Dietary resources and social aspectsof food use in a Tswana tribe. PhD thesis, Univ.Calif., Davis, 1976.

Grivetti, L.E. Dìetary separation of meat and milk.A cultural-geographical inquiry. Ecol. Food Nu-tr. 9: 203-17, 1980.

Grivetti, L.E. History of food habits research andrelation to other disciplines. In Handbook ofFood Habits. Vol. 2, Food Habits Methodologyand Measurement, Ed. H. Heiselman. Boca Ra-ton, Fla: CRC, 1981.

Grivetti, L.E. Nutritional success during drought.Examples from the eastern Kalahari. Presentedat West Coast Nutr. Anthropol. 2nd Ann. Meet.,San Francisco, March 25, 1978.

Grivetti, L.E. Poisoning by Coturnix quail. Conti-nued search for a toxic mechanism. Presented atWest Coast Nutr. Anthropol. 4th Ann. Meet.,Univ. Calif., Davis, May 3, 1980.

Grivetti, L.E., Pangborn, R.M. Food habit research.A review of approaches and methods. J. Nutr.Ed. 5: 204-8, 1973.

Grivetti, L.E., Pangborn, R.M. Origin of selectedOld Testament dietary prohibitions. J. Am. Diet.Assoc. 65: 634-38, 1974.

Grmek M.D. Le malattie all’alba della cività occi-dentale. Il Mulino, Bologna, 1985

Hahn, E. Die Haustiere und ihre Beziehungen zurWìrtschaft des Menschen. Duncker und Hum-blot, Leipzig, 1896

Harlan, J.R. A wild wheat harvest in Turkey. Ar-chaeology 20, 197-201, 1967.

Harklan J.R. Agricultural origins: centers and non-centers. Science, 174, 468-474, 1971

Harris D., Hillman G. (a cura di). Foraging andFarming: The Evolution of Plant Exploitation.London, 1989

Laufer, B. Methods in the study of domestication.Sci. Mon. 25, 251-55, 1927.

Laws of Manu. The Sacred Books of the East., Vol.25, ed. F.M. Múller, transl. G. Búhler, Oxford:Clarendon, 1886.

Lee, R.B., De Voren L. Mari the Hunter. Aldine,Chicago, 1968

MacNeish R. The Origins of Agriculture and Set-tled Life. Norman 1992

Mason J.L. (a cura di). Evolution of DomesticatedAnimals. London, 1984

Mc Cully K.S. Dalla paleodieta all’alimentazione

61

Geni, cibo e cucina

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 61

Page 61: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

moderna. Alimentazione & Prevenzione, 1 (2),73, 2001

Nesse R.M., Williams G.C. L’evoluzione e l’originedelle malattie. Le Scienze, n. 365, gennaio 1999(p. 60-68)

Palmieri, R.P. Domestication and exploitation of li-vestock in the Nepal Himalaya and Tibet. Anecological, functional and culture historical studyof Yak and Yak hybrids in society, economy, andculture. PhD thesis, Univ. Calif., Davis, 1976.

Pirie, N.W. Indigenous foods. Adv. Sci. 18, 467-75,1962.

Richards M.P. A brief review of the archaeolo-gical evidence for Palaeolithic and Neolithicsubsistence. Eur. J. Clin. Nutr., 56, 1262-1278,2002

Rindos D. The Origins of Agriculture: An Evolu-tionary Perspective. San Diego, 1984

Robson, J.R.K. Commentary on Changing food ha-bits in developing countries. Ecol. Food Nutr. 4,291-56, 1976.

Rollo F. e coll. Proocedings of National Academy ofScience. 2002 (cit. Anonimo, 2002)

Satolli R. Gli antenati dei batteri sono cresciuti in-

sieme all’uomo. Corriere della Sera, 16 settembre2001, p. 33

Scossiroli R.E. La rivoluzione neolitica e l’adozionedell’agricoltura. in: AA. VV. Evoluzione, culturee intelligenza fra passato e futuro. Cappelli, Bo-logna, 1985

Smith B. The Emergence of Agriculture. NewYork, 1995

Solheim W.G. New light on a forgotten past. Nati.Geogr. 139, 330-39, 1971.

Stearns S. (ed.). Evolution in Health and Diseases.Oxford Univ. Press, 1998

Storcke, J., Teague, W.D. A History of Milling.Flour for Mans Bread. Univ. Minn. Minneapo-lis. 1952

Trevathan W.R. et alii. Evolutionary Medicine.Oxford Unvuv. Press, 2000

Vavilov N.I. Studies on the origin of cultivatedplants. Bull. Appl. Bot. Pl. Brreding, 16, 1-245,1926

Zeuner, F.E. A History of Domesticated Animals.Harper & Row New York, 1963

Zohary D., Hopf M. Domestication of Plants inthe Old World. Oxford, 1993

62

Capitolo I

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 62

Page 62: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Quale alimentazione umana?

Qual è la corretta alimentazione dell’uomo equali i moventi che l ’hanno indirizzata?Molte teorie sono state avanzate, ma tuttoconverge verso un’onnivorità umana, biolo-gica e culturale e l ’idea evoluzionista si stadimostrando la più efficace per comprenderle.Nella storia della vita, la specie umana hasviluppato la cultura alimentare, che non puòdimenticare come alcuni comportamentiumani siano ereditari. L’alimentazione cul-turale ha accelerato l’evoluzione umana, maha anche dato avvio a gravi e pericolosi squi-libri in relazione all’ineliminabile patrimo-nio genetico. La cucina, tipica espressionedella cultura umana, deve essere considerataquale indispensabile collegamento tra unabiologia fissa ed una cultura innovativa.

Evoluzione dell’alimentazione umanaCon lo studio di cibi popolari e di schemialimentari semplici e largamente diffusi, ri-salendo nel tempo è facile arrivare ai limitidella storia. È il caso della carne arrostita,del pane, vino e birra, del latte e formaggi, ecosì via.Accanto al problema di come tali cibi si sia-no mantenuti per millenni e del come e per-ché si siano modulati in una quasi infinitavarietà, vi è quello di come la specie umanaabbia sviluppato la propria alimentazione.Oltre a quanto già considerato, è opportunoriconoscere che nei riguardi dell’evoluzionedell’alimentazione umana si sono andate de-lineando due idee guida. La prima supponeche gli uomini primitivi ed i loro antenatifossero prevalentemente carnivori (Hamiltone Busse, 1978). La seconda idea guida, al-l’opposto, ritiene che gli uomini primitivi,ma soprattutto gli ominidi ed i preominidifossero prevalentemente vegetariani ( Jolly,1970, Consiglio e Siani, 2003). Come in altricasi non manca una notevole schiera di ricer-

catori che si pone in una situazione interme-dia, ritenendo che l’uomo primitivo fosse on-nivoro e che utilizzasse una relativamenteequilibrata miscela d’alimenti d’origine ani-male e vegetale (Teleki, 1973, e molti altri,tra i quali l’autore di questo libro). Fino apoco tempo fa i reperti archeologici usati persostenere l’una o l’altra delle idee guida suesposte avevano il grave difetto d’essere in-completi e soprattutto selettivi. Oggi però lecose sono cambiate ed attraverso indaginidettagliate si può ricostruire la dieta dei no-stri antenati, soprattutto di quelli della nostraspecie, l’uomo di Cro Magnon od Homo sa-piens sapiens.Abbastanza agevole è una conservazione diresti d’ossa, denti e chitina, mentre i tessutianimali e vegetali vanno perduti nella loroquasi totalità, salvo casi eccezionali. Sulla ba-se dei resti alimentari è praticamente impos-sibile una dettagliata e precisa valutazionedella composizione della dieta dell’uomo pri-mitivo. Non mancano tuttavia le sorprese,come quelle dell’uomo di Similaun, che ci èarrivato conservato dai ghiacci alpini e delquale conosciamo la composizione degli ulti-mi due pasti (Rollo e coll., 2002). Modernemetodologie d’indagine molto raffinate, ap-plicate alla paleozoologia, paleobotanica, pa-leoclimatologia, paleopatologia aiutano nellaconoscenza della nutrizione umana antica.All’alimentazione dei nostri antenati si sonodedicati diversi ricercatori, tra i quali sonoda ricordare Archer e coll. (2001), Carpenter(1992), Cunnane e coll. (1993), Delluc ecoll. (1995), Eaton S. Boyd da solo e concollaboratori (1985, 1988, 1990, 1991, 1992,1997, 2000, 2001), Peleg (1994), Richards(2002), Sebastian e coll. (2002), Simopoulos(2001), Ulijaszek (2002) ed altri, ai quali sirimanda per ulteriori approfondimenti. Sullabase degli elementi che si sono accumulati,unitamente ad una serie d’argomenti dimorfologia comparata, si deve ritenere chegli uomini primitivi in generale avessero unadieta non specializzata (Benz, 1980) e soprat-

63

Geni, cibo e cucina

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 63

Page 63: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

tutto che fossero degli onnivori (Delluc ecoll., 1995). L’Homo sapiens, sia il neadertha-lensis che il sapiens o Cro Magnon, è un on-nivoro, carnivorano e vegetariano al tempostesso. È inoltre un onnivoro al tempo stesso“biologico” e “culturale”. Se le basi e le com-ponenti biologiche dell’onnivorità biologicasono state ben studiate, non altrettanto è av-venuto per l’onnivorità culturale.In una prospettiva onnivora, sono da consi-derare l’alimentazione carnivora e vegetaledell’uomo. Nella stessa prospettiva è impor-tante considerare anche la nutrizione delcervello, che l’uomo ha sviluppato in misuramolto superiore a tutte le altre specie (Rossi,Rossi e Prosperi, 2003). Secondo le ultimericerche, il cervello dell’uomo si è evoluto epuò funzionare in modo ottimale in rappor-to alla presenza, nella sua alimentazione,d’acidi grassi a lunga catena e di adeguateproporzioni di acido arachidonico ed acidodecosaeseonico (DHA), presenti in una ali-mentazione onnivora, con presenza d’anima-li terrestri e marini.

L’uomo è un carnivoranoDiverse caratteristiche anatomiche e fisiolo-giche umane sono quelle, già citate, comuniai mammiferi carnivorani: denti incisivi ecanini, stomaco relativamente piccolo ecc.Non è da sottovalutare, inoltre, la “fame dicarne” che si manifesta in tutte le societàumane, anche primitive. Il ruolo della carni-vorità in relazione all’evoluzione umana, èstata recentemente analizzata in dettaglio daMann (2000).Il principale argomento a favore della tesi diuna dieta prevalentemente carnivorana, tut-tora controversa, è stato discusso nel periodopassato da Leopold e Ardrey (1972) e si ba-sa sulla tossicità di molti vegetali. Una tesirecentemente riconsiderata da Diamond(2000). Molte piante selvatiche sono tossi-che per l’uomo, a causa della presenza d’al-lergeni, inibitori d’enzimi digestivi, sostanzeirritanti o tossiche, antagonisti delle vitami-

ne od ormoni, e fitormoni che interferisconocon gli equilibri ormonali umani. La cotturaneutralizza la maggior parte delle proprietànegative dei vegetali, ma la cottura dei vege-tali è relativamente recente ed alcuni studio-si la datano a non più di trecentomila annifa, ma è probabile sia molto più recente. Sedatiamo l’origine degli ominidi e dei preo-minidi a circa due milioni e mezzo di annifa, per circa l’ottanta per cento della sua vitasulla terra queste specie non hanno avuto adisposizione il fuoco per preparare cibi vege-tali. Una condizione che deve tenere contodella già più volte richiamata biodiversitàalimentare e delle piccole quantità d’uso diciascun vegetale.Più recentemente, alcuni ricercatori ameri-cani (Leonard, 1994 e 2003) hanno sostenu-to che l’aumento di volume del sistema ner-voso centrale, in particolare del cervello, nonpotè avvenire fin a che gli ominidi non adot-tarono una dieta sufficientemente ricca dicalorie e comprendente particolari sostanzenutritive, tali da soddisfare gli aumentati co-sti energetici assorbiti dal cervello e dallaposizione eretta. Non è da sottovalutare chenell’uomo a riposo il cervello utilizza il 20-25% dell’energia metabolica (basale), mentrenei primati non umani questa percentuale èsolo dell’8-10% e non supera il 5% negli al-tri animali. Studi comparativi indicano an-che che i primati con il cervello più grande(relativamente al peso corporeo) si nutronod’alimenti più ricchi. L’uomo ha il cervellodi maggiori dimensioni e per questo ha ne-cessità di una dieta con alimenti d’origineanimale. Le popolazioni di cacciatori e rac-coglitori giunte fino ai nostri giorni, ricava-no il 40-60 per cento dell’energia da alimen-ti d’origine animale (carne, pesce, uova in-setti e molluschi ecc.), contro il 5-7% degliscimpanzè. Gli alimenti d’origine animale, aparità di peso, contengono molte più caloriee sostanze nutritive di quelli vegetali che sitrovano in natura. Ad esempio 100 grammidi muscolo (carne magra) forniscono circa

64

Capitolo I

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 64

Page 64: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

180 chilocalorie, ma se la carne è grassa lecalorie possono anche raddoppiare. La stessaquantità di frutta e di foglie contiene rispet-tivamente solo 50-100 o 10-20 chilocalorie.Una dieta basata su carne d’animali selvatici,in associazione a vegetali, questi ultimi inpiccole quantità, ma con un’elevata varietà,può essere sana, per questo si può supporreche l’introduzione delle piante, su di unoschema d’alimentazione carnivora, sia avve-nuto lentamente, a seguito di lunghe provedi tentativi ed errori, sotto la spinta di pres-santi necessità, ad esempio carestie. In que-st’orientamento può anche essere inclusol’uso dei cereali abbrustoliti o tostati e la fer-mentazione dei vegetali che, eseguita dentroall’organismo come nei ruminanti, o al difuori come l’uomo che ha elaborato una se-rie d’alimenti fermentati, distrugge parte de-gli elementi tossici o negativi presenti neglialimenti vegetali.Coloro che ritengono che l’uomo fosse pre-valentemente carnivorano - tra questi ancheDiamond (2000) - pensano anche che l’uo-mo, almeno in talune condizioni ambientali,possa avere provocato una più o meno com-pleta distruzione della fauna selvatica, pre-cludendo anche una successiva, possibile do-mesticazione degli animali.L’idea che l’alimentazione dell’uomo fosseprevalentemente carnivora pone il problemadella sicurezza degli alimenti d’origine ani-male. Nonostante le paure che recentementesi sono diffuse per le carni, gli alimenti otte-nuti dagli animali sono da ritenere sufficien-temente sani. In una concezione evoluzioni-sta non bisogna escludere che nel corso deitempi vi sia stata anche un’evoluzione dellaresistenza verso le malattie trasmesse con lecarni (foodborne diseases). In linea di massi-ma, quest’evoluzione potrebbe essersi svoltasecondo due linee, con una premessa, che ri-guarda il tipo di malattie trasmissibili con glialimenti d’origine animale. Non è, infatti,possibile riportare al passato la situazioneodierna. È anche da ritenere che nel passato

gran parte delle attuali infezioni alimentarinon esistessero e che siano state amplificatee create, sia dall’allevamento del bestiame,sia dalla conservazione degli alimenti.Una resistenza della nostra specie alle infe-zioni presenti negli alimenti d’origine anima-le potrebbe essere derivata dalla selezione dilinee genetiche umane resistenti alle infezio-ni presenti negli animali più frequentementecacciati. Un meccanismo che, pur con certilimiti, pare avere una certa importanza. Adesempio i canidi non sono stati interessati al-la trasmissione della BSE (EncefalopatiaSpongiforme Bovina) mentre ne sono statiinteressati i gatti. I canidi hanno da semprecacciato i ruminanti e se ne sono cibati, non igatti, per i quali i grandi ruminanti sono unalimento biologicamente nuovo. Si potrebbequindi ritenere che i canidi abbiano subitouna selezione che ha eliminato le linee gene-tiche sensibili alla BSE, il che non sarebbeavvenuto per i gatti. In modo analogo puòessere avvenuto per molte altre infezioni.Una seconda via di resistenza è quella di unatolleranza immunologica del feto, e di unasorta di vaccinazione naturale del neonatoverso le infezioni presenti negli animali. Peril neonato bisogna considerare due meccani-smi che si attivano nella lunga fase d’alimen-tazione con il latte materno (in condizioninaturali, primi quattro anni di vita). Il primoè costituito dall’assunzione di piccole caricheinfettanti, in relazione al tipo d’alimentazio-ne del neonato e poi del bambino. Il secon-do meccanismo è quello dell’assunzione dicariche infettanti, assieme ad una protezionedegli anticorpi contenuti nel latte materno.Un aspetto particolare del carnivorismoumano è il cannibalismo. Un’idea che perlungo tempo è rimasta nell’ombra, forse perla paura d’evocare un peccato d’origine o didistruggere il mito di una passata età felice.Indizi di cannibalismo nei fossili umani era-no rari, ma con la ricerca sono divenuti piùfrequenti ed oggi è chiaro che questa praticaha radici profonde nella nostra storia. At-

65

Geni, cibo e cucina

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 65

Page 65: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

tualmente il cannibalismo ancestrale è sem-pre meno un’ipotesi ed è sempre più unarealtà, tanto che recentemente White (2001)non ha avuto paura di intitolare un suo arti-colo “Quando eravamo cannibali”. La ricercad’indizi di cannibalismo si basa sull’analisi diresti ossei che presentano tracce di macella-zione e cottura: segni di taglio, martellature,fratture, aperture del cranio o bruciature po-stmortali. Criteri archeologici rigorosi han-no anche permesso d’associare a pratiche dicannibalismo resti umani del sito archeolo-gico di Gran Dolina, in Spagna, della grottadi Moula-Guercy, vicino Marsiglia, e del si-to Anasazi di Mancos Canyon, in Colorado(White, 2001; Osborne, 1997).

L’uomo è un vegetarianoAlmeno in parte la morfologia umana dellamandibola e dei denti molari è a favore diquest’ipotesi. È anche da ricordare il buonsviluppo del grosso intestino, deputato allafermentazione degli alimenti vegetali, anchese non paragonabile a quello degli animalierbivori, come tra l’altro testimonia nell’uo-mo la scomparsa dell’intestino cieco, ridottoalla vestigia d’appendice.I già citati Leopold e Ardrey (1972) hannosollevato il problema della sicurezza deglialimenti in relazione all’evoluzione delladieta dell’uomo primitivo, considerando inmodo particolare quelli vegetali. Come han-no fatto gli uomini primitivi a far evolverenel senso della sicurezza la loro dieta? Unaspetto che, recentemente, è stato esaminatoe discusso anche da Diamond (2000).Nonostante molte piante tossiche sianoamare e quindi facilmente identificabili, vene sono molte che, pur essendo tossiche odotate d’effetti negativi, sono di buon saporee ben palatabili. D’altra parte, il solo saporeamaro non impedisce di mangiare piantetossiche ed il fatto che ogni anno si verifi-chino casi d’avvelenamenti di bambini chemangiano piante ornamentali tossiche ne èuna conferma.

Le società umane primitive devono aver svi-luppato meccanismi per sceverare, nel vastis-simo mondo dei vegetali, quanto è sicuro dalpericoloso. Un processo avvenuto in un lun-ghissimo periodo di tentativi, prove ed errori,durante il quale molti individui hanno sof-ferto d’avvelenamenti o fenomeni tossici.Quando una pianta era identificata come sa-na o sicura, l’informazione era trasmessa an-che attraverso il linguaggio. È questa un’ipo-tesi non irreale, in quanto ha anche un ap-poggio nell’alimentazione comparata. Inquesto modo le colonie di ratti, ma anche dimolti animali onnivori, inseriscono nella loroalimentazione alimenti nuovi e ne trasmetto-no l’uso alla propria colonia, con un mecca-nismo culturale di trasmissione delle infor-mazioni.Le cose non sono però semplici, come po-trebbero apparire. Le società primitive cheesercitavano la caccia, ma soprattutto la rac-colta, non rimanevano ferme in un territo-rio. Ad esempio il continente americano fupopolato dall’uomo in un tempo relativa-mente breve. Tra l’Alaska, da dove gli uomi-ni penetrarono nel Nuovo Mondo tramite ilponte di terre emerse che lo univa all’Asia,alla Terra del Fuoco vi è una distanza di cir-ca ventiquattromila chilometri, con un’enor-me varietà d’aree climatiche, zone vegetali enicchie ecologiche botaniche. La diffusioneumana nel continente americano si ritienesia stata relativamente rapida, nell’ordine dimigliaia d’anni. Se l’ipotesi di prove e tenta-tivi è corretta, come hanno fatto tali popola-zioni a percorrere una così gran distanza,mantenendo un’alimentazione vegetale sta-bile e sicura?Per rispondere a questa domanda sono statiintrapresi due ordini di ricerche. Il primo ri-guarda i primati selvatici ancora esistenti enei quali è stata studiata l’alimentazione incondizioni che si suppongono simili a quelledegli ominidi. Il secondo ordine di ricercheconcerne i comportamenti alimentari di so-cietà contemporanee di cacciatori e raccogli-

66

Capitolo I

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 66

Page 66: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

tori, analizzando come risolvono il problemaalimentare, mantenendo un soddisfacentestato nutrizionale.

Alimentazione dei primati in libertàDi questo argomento si sono recentementeoccupati Consiglio e Siani (2003). Dalle ri-cerche di Hamilton e Busse (1978) risultache i baboni in libertà preferiscono la carnepiù d’ogni altro alimento; secondariamente sirivolgono a frutta, semi e germogli e solo daultimo alle erbe e foglie. I vegetali che nonsono accettati come cibo, sono graditi se pre-viamente abbrustoliti, ad esempio per un in-cendio. I baboni tendono a mangiare - se vene è a sufficienza - un unico cibo e non gra-discono la varietà d’alimenti. Inoltre amanosia il dolce sia l’acido e nell’accesso al cibo -analogamente ad altri animali con vita socia-le - stabiliscono delle gerarchie.Molto importante è che in ben tre annid’osservazioni non è mai stato visto cheadulti, maschi o femmine, dessero da man-giare od imboccassero i giovani, ad eccezio-ne dell’allattamento. Non si sono ottenutielementi a favore del fatto che gli schemialimentari dei giovani dipendessero dall’os-servazione degli adulti. È tuttavia noto chegiovani scimmie possono insegnare a coeta-nee la pratica di bagnare con acqua salata lepatate dolci. Non è in ogni modo chiaro co-me possa avvenire la trasmissione da una ge-nerazione all’altra delle nozioni relative la si-curezza o pericolosità dei cibi. D’altra partesi tratta di un problema molto generale, chealmeno per altre specie, ad esempio i topi edi ratti, ha avuto parziale spiegazione - alme-no così è da alcuni ritenuto - attraverso se-gnali chimici veicolati dal latte materno. Inquesto sono contenuti taluni sapori ed aromiderivanti dal tipo d’alimentazione della ma-dre, che condizionano il piccolo nelle suesuccessive scelte alimentari.Come si può supporre anche per quanto os-servato in specie affini, i primati, la compo-nente alimentare vegetariana dell ’uomo

sembra essere stata di tipo prevalentementefrugivora.

Alimentazione dei popoli cacciatori e raccoglitoriNumerose sono le ricerche eseguite sui po-poli che fino a tempi recenti praticavano lacaccia e la raccolta e sono da ricordare gliancora validi lavori di Lee (1979), Lee e DeVore (1968), Marshhall (1976). Una recenterassegna è stata compiuta da Diamond(2000) e da Leonard (2003). Da non dimen-ticare le indagini sull’alimentazione dell’uo-mo paleolitico, in parte già citate, diBroadhurst (1997), Cordain e coll. (2000),Eaton e coll. (1985, 1997, 1998), Hallberg ecoll. (1998), Mann (2000). Tutte le ricerchesmentiscono l’ipotesi che nelle società pri-mitive la ricerca del cibo occupasse gran par-te del tempo e che pertanto non ne restasseper compiere innovazioni, invenzioni od an-che una semplice specializzazione. Le ricer-che di Hiatf (1967), Lee (1965), Lee e DeVore (1968) hanno dimostrato che ben pocotempo è impiegato per la caccia effettuatadai soli maschi, mentre le donne si dedicanoalla raccolta dei vegetali, per cui tre, quattrogiorni per settimana sono completamentededicati al riposo ed allo svago.Nei popoli di cacciatori e raccoglitori si puòrilevare che la settimana lavorativa è di tre,quattro giorni e più breve di quella che oggiè denominata settimana corta. Ritornaquindi la questione del perchè l’uomo haaddomesticato le piante e gli animali, inven-tando l’agricoltura e l’allevamento, da doveora deriva gran parte, se non la quasi totalitàdell’alimento. La risposta più probabile èquella già data della ricerca di sostanze psi-coattive.

L’uomo è un onnivoro biologico, ma soprattuttoculturaleRecentemente Delluc e collaboratori (1995)hanno discusso le prove a favore di un’ali-mentazione onnivora dell’Homo sapiens, siaH. s. neanderthalensis sia H. s. sapiens o Cro

67

Geni, cibo e cucina

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 67

Page 67: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Magnon, la nostra specie, raggruppandole incinque ordini d’argomenti principali:1. Caratteristiche dei denti, atti a triturare,

strappare, tagliare.2. Risultati delle ricerche riguardanti il tipo

d’usura dei denti.3. Risultati delle determinazioni degli isotopi

del carbonio e dello stronzio nelle ossa umanefossili.

4. Resti d’alimenti o di loro parti negli insedia-menti umani, ivi compresi le deiezioni fossili(coproliti).

5. Tipo d ’utensili e tracce da loro lasciate, adesempio sulle ossa, sia animali che umane(cannibalismo).

Le prove di un’alimentazione onnivora dan-no una base biologica a questa caratteristica.Un esame della nostra attuale alimentazione,ma soprattutto di quanto è avvenuto conl’invenzione dell’allevamento e dell’agricol-tura, si ricava dalla comparazione degli stilialimentari umani, e permette d’inquadrarel’alimentazione onnivora umana nell’ambitodi una duplice dimensione culturale: alimen-tazione conservativa ed alimentazione inno-vativa.Alimentazione conservativa. L’uomo è unconservatore, ha costruito e sviluppato tradi-zioni che danno sicurezza biologica, ma so-prattutto psicologica. L’alimentazione con-servativa o tradizionale ha inoltre un tagliolocalistico e femminile.Alimentazione innovativa. L’uomo è un in-novatore che in condizioni difficili, ma nonsolo in queste, cerca strade nuove, anche ali-mentari. Una ricerca cauta attraverso prove etentativi, deriva all’uomo anche dall’ereditàdi corridore e di migratore e con taglio ma-schile.La caratteristica culturale dell’onnivorismoumano spiega la gran varietà dei costumi ali-mentari che l’uomo ha inventato e sviluppa-to, nonostante l’unità biologica della specie.Una varietà che ha indotto a svilupparequella branca dell’alimentazione culturaleche è la cucina, sublimata nella gastronomia,

nella quale agli aspetti nutrizionali si sovrap-pongono quelli culturali.

Alimentazione tra biologia e culturaLa storia della vitamina D e dello yogurt in-segnano come il cambiamento di uno stile divita (migrazione umane verso regioni conpoco sole) o degli stili alimentari (biotecno-logia dei latti fermentati) possano modifica-re la biologia umana, fino a favorire la sele-zione di varianti genetiche. Anche se intempi che a noi paiono lunghissimi, la specieumana - e non poteva essere diversamente -evolve sotto l’aspetto biologico, ma soprat-tutto culturale.Biologia e cultura sono espressioni della vita,ma bisogna tenerle distinte, anche per il fat-to che per lunghissimi periodi la vita ha avu-to espressioni soltanto o quasi esclusivamen-te biologiche, mentre manifestazioni cultu-rali sono relativamente recenti e riguardanouna limitata percentuale di specie.Un intreccio tra biologia e cultura, quest’ul-tima intesa come trasmissione di conoscenzee di comportamenti acquisiti, esiste anchenegli animali. Animali di numerose speciesono dotati di significativi livelli di culturaed oltre centocinquanta sono le specie cheDanilo Mainardi ha denominato “animaliculturali”, dotati cioè di cultura. Negli ani-mali culturali sono molto importanti i com-portamenti alimentari appresi e trasmessiverticalmente di generazione in generazionee talvolta anche trasversalmente, pare, daanimale ad animale. Come esempi di tra-smissione verticale di una cultura alimentarevi sono le abitudini nella scelta dei cibi nellecolonie di ratti e l’insegnamento che la gattaimpartisce ai gattini nell’individuazione enella cattura delle prede. Negli animali cul-turali, rispetto alla biologia, la cultura hasempre un ruolo minoritario, anche se nontrascurabile. Da non dimenticare, infatti, cheesiste un’innovazione culturale anche neglianimali, come dimostra l ’esempio dellescimmie che avendo imparato a salare le pa-

68

Capitolo I

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 68

Page 68: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

tate con l’acqua di mare, per via culturalehanno trasmesso quest’abitudine alimentare,soprattutto per via verticale.Nelle specie d’ominidi, in un lungo periodo,circa centonovantamila anni su duecentomi-la, pari al 95% della loro vita, la biologia piùche la cultura, ha guidato l’alimentazione.Negli ultimi diecimila anni ha inoltre presoil sopravvento e, negli ultimi decenni, è di-venuta predominante.

Anatomia e comportamenti, tra genetica ed apprendimentoL’alimentazione e la nutrizione umana sonocondizionate da un’anatomia e da una fisio-logia rigidamente determinate dai geni, maanche dai comportamenti che sono in parted’origine genetica ed in parte appresi. Perquanto riguarda l’anatomia e la fisiologiache nell’uomo determina e, o condiziona l’a-limentazione, si è già accennato. Per quantoriguarda i comportamenti alimentari sononecessarie alcune precisazioni.Come ha recentemente sottolineato D. Mai-nardi (2001), esiste una genetica dei com-portamenti. A mettere in evidenza questagenetica, con grande ispirazione, è statoKonrad Lorenz, che possedeva solide cono-scenze anatomiche, quando asserì che “icomportamenti possono essere studiati come sefossero organi”. Ci si riferisce, in questo caso,ai comportamenti istintivi, a quei modulifissi che possono essere descritti e disegnatiin etogrammi, che comprendono il sistemadei comportamenti di una specie e che ca-ratterizzano ogni specie, non esclusa quellaumana.I moduli fissi comportamentali, anche di ti-po alimentare, comprendono quelli che era-no chiamati istinti, sono determinati geneti-camente e risentono, ma in modo limitato,delle influenze ambientali. Si tratta dei com-portamenti alimentari più avanti inquadraticome rigidi.Esistono altri, numerosi comportamenti piùelusivi e meno determinati (oltre indicati co-

me flessibili e variabili) che inducono a spo-stare il bersaglio delle manifestazioni com-portamentali, anche alimentari, alle capacitàd’apprendimento. In molte specie, ma inmodo particolarmente spiccato nell’uomo, viè una porzione del comportamento che nonè sotto controllo genetico, ma è mediato emodulato, attraverso due linee principali. Laprima è l’elevata capacità d’apprendimentoalimentare, anche attraverso il condiziona-mento del gusto, che caratterizza la specieumana. La seconda riguarda i canali cheorientano l’apprendimento su determinatistimoli, soprattutto entro ristretti intervallitemporali. Rientra in quest’ambito l’imprin-tig alimentare, che dall’esterno inserisce nelcomportamento alimentare del bambino ciòche anche in seguito deve essere riconosciu-to buono e conveniente, oppure cattivo esconveniente. Attraverso l ’imprinting, ilbambino subisce un importante orientamen-to, condizionamento ed educazione del gu-sto, che non lo lascerà per tutto il resto dellavita e non sarà facile modificare.Considerando i comportamenti nell’ambitodella alimentazione darwiniana, non bisognadimenticare come abbastanza recentementesi è sviluppata anche una psichiatria darwi-niana (Mc Guire e Troisi, 2003) che consi-dera i comportamenti patologici visti sottol’aspetto evoluzionista.

Cosa è determinato e cosa è variabile nel comportamento alimentare umanoIn relazione alla cultura è utile la già citatadistinzione dei comportamenti alimentariumani in tre categorie: comportamenti rigidi,comportamenti flessibili e comportamenti va-riabili. Questa distinzione comporterebbeun’analisi approfondita e dettagliata, in que-sta sede impossibile, e pertanto bisogna li-mitarsi ad alcune astrazioni e schematizza-zioni. Il problema è inoltre complicato dalfatto che comportamenti flessibili o variabilipossono essere determinati da regole psico-logiche fisse o rigide, con risultati diversi a

69

Geni, cibo e cucina

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 69

Page 69: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

seconda delle circostanze specifiche, nellequali si manifestano e sono applicate. Vainoltre aggiunto che, una sia pur approssi-mativa classificazione dei comportamentialimentari umani, non comporta alcun giu-dizio di valore e non deve far pensare che leloro conseguenze siano fisse ed intoccabili,ma anzi possono variare ed evolvere.

Comportamenti rigidi - I comportamenti ri-gidi manifestano una scarsa o nessuna varia-bilità tra una cultura e l’altra. Sono compor-tamenti che si collegano al fatto che siamoesseri sociali, indipendentemente dal tipo disocietà. Altrettanto universale è il nostro in-teresse per i nostri simili. La nostra disponi-bilità a creare legami sociali si manifesta inmodo molto evidente nell’alimentazione esoprattutto nel fare cucina, un’attività socialea diversi livelli: familiare, locale, etnica. An-che se è meno evidente, fa parte della naturaumana costituire delle gerarchie e quindisviluppare comportamenti alimentari gerar-chici. Esistono ben poche società umane chenon conoscono differenze alimentari di statosociale ed ogni volta che si tenta d’abolirle,tendono a riemergere, anche se sotto diversaforma. L’alimento ed il rito alimentare, comeidentità, sono tipici dell’uomo ed ogni tenta-tivo di arrivare a delle uguaglianze è destina-to al fallimento. Nell’alimentazione e nel-l’ambito della cucina, le donne sembranosvolgere un ruolo primario con funzioni ab-bastanza specifiche ed in parte diverse daquelle maschili. É stato più volte segnalatoche esiste una “cucina femminile” (della pen-tola, dei brodi e dei sughi ecc.), diversa dauna “cucina maschile” (dello spiedo, degli ar-rosti ecc.). Questo non vuol dire che i cuochinon facciano brodi o le cuoche arrosti allospiedo, ma esistono tendenze, correlate amaschio e femmina, che indirizzando l’ali-mentazione umana si trasferiscono anche al-la cucina. Esistono pertanto tendenze comu-ni a tutta l’umanità che trascendono le diffe-renze culturali. Questo non significa che la

cultura possa attenuare od esasperare anchele tendenze più radicate nella natura umana.

Comportamenti flessibili - Flessibili sono icomportamenti che manifestano una varia-bilità ridotta, secondo la cultura d’apparte-nenza. In quest’ambito si possono inserire iriti alimentari fondamentali di preparazione(cucina), d’uso (tavola) e gli stili alimentari.Fare cucina è tipico dell’umanità, ma non èfacile immaginare che sia un comportamen-to geneticamente determinato, tanto più chela specie umana solo negli ultimi diecimila oventimila anni ha fatto cucina (5 – 10% dellavita di specie). Questo non esclude che nel-l’origine della cucina non siano ravvisabilidelle “orme biologiche”. Non considerandoil ruolo di una disposizione genetica, nell’u-manità, per la ricerca di sostanze psicoattive,fare cucina significa fondamentalmente duecose: manipolare e mescolare cibi diversi ecuocere. Quasi certamente il mescolare cibidiversi è espressione di un comportamentogeneticamente determinato, anche attraversole cosiddette fami specifiche. Una mescolan-za dei cibi, l’uomo ed i suoi antenati la face-vano con la raccolta e soprattutto seguendole variazioni stagionali od ambientali duran-te le migrazioni. Come i diversi cibi sono as-sociati o miscelati, ha una forte valenza cul-turale, in relazione anche ad un gusto, che inparte sembra essere costruito dalla cultura,anche se ha certamente una base biologica esi possono ravvisare delle “orme” genetiche.Non è da dimenticare che alcuni gusti, comequello d’amaro, sono biologicamente asso-ciati a rischio di tossicità. Fin dall’antichitàsi era rilevata la gran differenza alimentarenelle diverse culture umane e vi è stata latendenza a pensare che i costumi alimentariumani siano relativi alla cultura. In quest’or-dine d’idee è stata interpretata la rigidità ditaluni costumi alimentari umani nel corsodelle migrazioni o di trasferimenti, con laproduzione d’alimenti in ambienti nuovi edanche, entro certi limiti, poco adatti. Un ti-

70

Capitolo I

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 70

Page 70: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

pico ed antico esempio è la diffusione dellavite e del frumento operata dai romani, manmano che estendevano il loro dominio finoalle regioni europee più settentrionali, anchese non molto adatte a tali vegetali. Nono-stante le grandi differenze nell’alimentazio-ne delle diverse società, vi sono tuttavia deitratti comuni nei riti alimentari fondamen-tali di preparazione (cucina), uso (tavola) estili alimentari. Per quanto riguarda gli stilialimentari è evidente quello del mangiareinsieme (convivio, simposio ecc.), del pastocomune come rito con importanti valenzesociali (pranzo di nozze, pranzo funebreecc.) e religiose (pranzo sacrificale ecc.).Quanto mai flessibile è d’altra parte l’espres-sione del pranzo nelle diverse culture. Inquesta categoria va collocata l’identificazio-ne etnica (cibo come identità culturale), a li-vello di famiglia, clan, popolazione. In modoanalogo va interpretato il rifiuto di stili ali-mentari diffusi od imperanti, per esprimereuna diversità individuale, singola o di grup-po, ad esempio il vegetarianismo od il vega-nismo, di fronte al carnivorismo.

Comportamenti variabili - I comportamentivariabili mostrano una gran diversità, in re-lazione alla cultura d’appartenenza. Rientra-no in quest’ambito i metodi con i quali l’uo-mo produce il cibo, attraverso la caccia e laraccolta, con uno stile di vita nomade e dimigrazioni, o con l’agricoltura e l’allevamen-to degli animali, in condizioni stanziali o se-dentarie. Entrano nello stesso ambito lestrutture sociali, economiche e religiose cheinfluiscono e determinano la scelta degli ali-menti ed il loro uso. Se si può dire che esisteuna “voglia di grasso” ed una “voglia di car-ne” (condizionamenti biologici fissi), varia-bili sono i comportamenti umani sulla sceltadi quale grasso e soprattutto quale carne equando utilizzarla, come dimostra la granvariabilità dei tabù e delle permissioni ali-mentari nei riguardi degli animali alimentari(puri o impuri ecc.). In modo analogo, nella

scelta delle diverse qualità di carni od altrialimenti, influiscono il loro ruolo di statussymbol o le virtù che a loro sono attribuite, inbase a categorie culturali, ad esempio la di-stinzione tra carni bianche e rosse.

L’uomo culturale e la cucinaÉ l’uomo il più importante “animale cultura-le”, il vivente che ha utilizzato al massimogrado la cultura nell’adattamento all’am-biente, nella lotta per la sopravvivenza e peril suo migliore adeguamento a cambiamentiambientali e sociali. Con la cultura, l’uomoha modificato e modifica i propri comporta-menti, ma anche e soprattutto l’ambiente incui vive, e sopprattutto modifica il cibo. Nonè un caso che l’agricoltura e l’allevamentodegli animali siano state le invenzioni chehanno dato il massimo impulso all’evoluzio-ne culturale ed hanno profondamente incisosull’alimentazione e sugli equilibri biologiciumani. La cultura alimentare non è più sol-tanto un aspetto marginale, ma sta divenen-do un punto centrale della salute umana(biologia) e degli equilibri naturali (ecolo-gia). Con l’avvio dell’agricoltura ed alleva-mento si è rotto un antichissimo ed al tempostesso delicato equilibrio tra genetica e com-portamenti umani da una parte, e disponibi-lità e qualità degli alimenti dall’altra.L’equilibrio tra la genetica umana e gli ali-menti si potrebbe ricostruire, modificandosia gli stili di vita, sia gli alimenti ed il lorouso. Indubbiamente l’uomo deve avere uno stiledi vita nel quale sia presente una continua atti-vità fisica. Modificare gli alimenti, in tutta lagran diversità d’interventi possibili, è fare cuci-na e questa è stata la prima tecnologia umana,che ha superato il semplice uso di strumenti piùo meno semplici, come anche qualche animale èin grado di fare. É in quest’ultimo quadro dicollegamento tra il biologico ed il culturale, ches’inserisce la cucina che, di là dagli aspetti ancheedonistici della gastronomia, ha un ruolo distraordinaria importanza per la salute biologica(fisica) e culturale (psichica) umana.

71

Geni, cibo e cucina

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 71

Page 71: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Sotto l’aspetto biologico, la cucina è il puntodi collegamento tra una biologia umana, re-lativamente statica, ed una biologia degli ali-menti vegetali ed animali in rapida evoluzio-ne. La cucina tende inoltre a contrastare ipericolosi effetti di una perdita della biodi-versità alimentare.Sotto l’aspetto culturale la cucina, oltre cheper gli aspetti psicodietetici degli alimentistessi, ha un importante ruolo d’identifica-zione e quindi di sicurezza psicologica.

Il mito dell’alimentazione perfetta“Tutte le malattie entrano dalla bocca”, “è ilcuoco che prepara il lavoro al medico” ed al-tri detti o proverbi, peraltro già citati, evoca-no un mito antico, che si rinnova continua-mente. Se si mangiassero solo cibi sani eperfetti e se l’alimentazione fosse correttavedremmo scomparire, si dice, tutte le ma-lattie.L’idea che una parte di malattie sia dovuta aicibi ed all’alimentazione, comprendendo ov-viamente gli stili alimentari, è indubbiamen-te vera ed è confermata dall’evoluzione dellapatologia alimentare. Infatti, con una mi-gliore sanità dei cibi, molte tossinfezioni ali-mentari si sono ridotte o sono quasi scom-parse (quest’affermazione non contrasta conil fatto che si siano scoperte nuove infezionialimentari, prima sconosciute, ma certamen-te presenti). È d’altra parte vero che nuovepatologie nutrizionali stanno dilagando, adiniziare da quelle da scorretto ed eccessivouso di cibi sani, in base al principio che “quelche non ammazza, ingrassa”. Se un tempoper il cibo vi era un rischio tossico od infet-tivo, oggi, proprio perché “sano” ma mal uti-lizzato, il cibo ingrassa, dando avvio a nuovepatologie. Ben note sono le conseguenze pa-tologiche del sovrappeso e dell’obesità: dallepatologie metaboliche (diabete ecc.) a quellecardiocircolatorie (infarto ed ictus ecc.) e tu-morali (neoplasie mammarie, del colon ecc.)ed altre.Il problema ora indicato può essere affronta-

to con una migliore ed appropriata educa-zione alimentare? Quesito certamente giu-sto, ma che deve tenere conto della naturaumana che, sotto l’aspetto dei comporta-menti e della psicologia, non è una tabularasa, ma è l’espressione di una genetica, peragire sulla quale è necessario applicare l’ideadarwiniana.L’educazione alimentare può accettare una con-cezione darwiniana della psicologia (natura)umana?L’idea di una perfettibilità della nutrizioneumana, senza tenere conto della componen-te psicologica di natura genetica, ha creatol’incubo e l’inferno delle diete, con i correlatiinsuccessi.Soprattutto nel settore alimentare e nutriziona-le bisogna abbandonare il mito della perfezionee ripiegare su quello, realistico anche se menogratificante, di un miglioramento, nell ’ambitoanche dell’applicazione, non facile, di un equili-brio tra costo e beneficio. Un’idea, quell’ora in-dicata, certamente poco popolare, sia a livel-lo individuale sia collettivo e, quindi, nonpolitica.Una totale adesione all’idea darwiniana èpossibile, se si considera che il rapporto tral’alimento e l’uomo è complesso e deve com-prendere anche lo stile di vita (ambiente contutte le sue componenti, livelli d’attività fisi-ca ecc.), ma soprattutto la cultura che vi èstrettamente connessa.

Nutrizione darwiniana ed antropologia alimentareIl pensiero di Charles Darwin, che spiega ilprogetto funzionale degli organismi, ha por-tato alla biologia evolutiva, quindi alla sco-perta ed allo studio dei geni, ed è una delleidee capaci di modificare la scienza dell’ali-mentazione. Il concetto dell’adattamento,come mezzo di selezione, permette di com-prendere meglio i meccanismi nutrizionali el’alimentazione normale e patologica, i costidegli adattamenti necessari per contrastaresituazioni ambientali e alimentari, gli scontri

72

Capitolo I

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 72

Page 72: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

maladattativi tra il progetto animale e lecondizioni ambientali e alimentari e così via.Accogliere l’idea evoluzionistica in alimen-tazione e costruire una Nutrizione Evolu-zionista non è una nuova moda alimentarealternativa, ma è una prospettiva che nonserve tanto a curare o prevenire patologie emalattie nutrizionali, ma a comprendere lecause evolutive di gran parte, se non tutti iproblemi dell’alimentazione umana. La di-mensione della nutrizione evoluzionista ser-ve a comprendere l’origine evolutiva dei di-sturbi e delle malattie nutrizionali, una co-noscenza che si dimostrerà molto utile perraggiungere gli scopi stessi di un’alimenta-zione che sia veramente biologica, nel sensopiù vero e profondo del termine e cioè legataalla vita (bios). Tuttavia l’uomo non è soltan-to biologia, ma è anche cultura. Quindi vi èanche un’antropologia alimentare. La culturaè entrata prepotentemente nell’alimentazio-ne, da quando l’umanità ha inventato l’agri-coltura e l’allevamento, con la produzionedegli alimenti, non più soltanto la loro rac-colta.

Bibliografia

AA,VV. Necessità di una ricerca per l’alimentazionee la salute. Food Technol., 55, 189, 2001

Anonimo. Cereali, carne di cervo e di capra l’ultimopasto dell’uomo di Similaun. La Repubblica, 17settembre 2002 (p.24)

Archer M.C., Clarkson T.W., Strain J.J. Geneticaspects of nutrition and toxicology: report of aworkshop. Journ. Am. Coll. Nutr., 20, 119-128,2001

Benz C.L. Form and function and early hominidmandibles. PhD thesis. Univ. Calif. Berkeley,1980

Berti P.R., Leonard W.R. Demographic and socioe-conomic determinants of variation in food andnutrient intake in an Andean community. Ame-rican Journal of Physical Anthropology. 105 (4),407-417, 1998

Bhatia A. Anthropology of food and nutrition.Contributions to Indian Sociology. 32 (1), 160-161, 1998

Broadhurst C.L. Balanced intakes of natural trigly-

cerides for optimum nutrition: an evolutionaryand phytochemical perspective. Med. Hypothe-ses, 49(3), 247-261, 1997

Carpenter K.J. Protein requirements of adults froman evolutionary perspective. Am. J. Clin. Nutr.,55, 913-917, 1992

Coelho A.M., Bramblett C.A., Quick L.B. Socialorganization and food resources availability inprimates: a socio-bioenergetic analysis of dietand disease hypotheses. Am. J. Phys. Anthropol.,46(2), 253-264, 1977

Consiglio C., Siani V. Evoluzione e alimentazione.Il cammino dell’uomo. Bollati Boringhieri, Tori-no, 2003

Cordain L., Miller J.B., Eaton S.B., Mann N., HoltS.H.A., Speth J. D. Plant-animal subsistence ra-tios and macronutrient energy estimations inworldwide hunter-gatherer diets. American Jour-nal of Clinical Nutrition, 71 (3), 682-692, 2000

Cunnane S.C., Harbige L.S., Crawford M.A. Theimportance of energy and nutrient supply in hu-man brain evolution. Nutr. Health, 9, 219-235,1993

Danforth M.E. Nutrition and politics in prehistory.Ann. Rev. Anthopol., 28, 1-25, 1999

Delluc G., Delluc B., Roques M. La nutritionprehistorique. Pilote 24, Périgueux, 1995

DeWalt K.M. Diet as adaptation: the search for nu-tritional strategies. Fed. Proc, 40(11), 2606-2610, 1981

Diamond J. Armi, acciaio e malattie. Breve storiadel mondo negli ultimi tredicimila anni. Einau-di, Torino, 2000

Dusi E. I nipoti di Eva sbagliarono strada così l’Eu-ropa si popolò in ritardo. La Repubblica, 12aprile 2002 (p. 17)

Eaton S.B. Fibre intake in the prehistoric times. inJohn Libbey and Co. Ltd, London (p. 27-40),1990

Eaton S.B., Cordain L. Evolutionary aspects ofdiet: old genes, new fuels. Nutritional changessince agriculture. World Rev. Nutr. Diet., 81, 26-37, 1997

Eaton S.B., Cordain L., Eaton S.B. An evolutionaryfoundation for health promotion. World Rev.Nutr. Diet., 90, 5-12, 2001

Eaton S.B., Eaton S.B. Paleolitic vs. modern diets.Selected pathophysiological implications. Europ.J. Nutr., 39, 67-70, 2000

Eaton S.B., Eaton S.B. 3rd, Konner M. J. Paleolithicnutrition revisited: a twelve-year retrospective onits nature and implications. Eur. J. Clin. Nutr.51(4), 207-216, 1997

73

Geni, cibo e cucina

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 73

Page 73: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Eaton S.B., Eaton S.B., Konner M.J., Shstack M.An evolutionary perspective enhances under-standing of human nutritional requirements.Journ. of Nutr. 126, 1732-1740, 1996

Eaton S.B., Eaton S.B., Sinclair A.J., Cordain L.,Mann N.J. Dietary intake of long-chain polyun-saturated fatty acids during the paleolithic. Re-turn of Omega-3-Fatty-Acids into-the FoodSupply, 83, 12-23, 1998

Eaton S.B., Konner M. Paleolithic nutrition.A consideration of its nature and current impli-cations. N. Engl. J. Med., 312 (5), 283-2899,1985

Eaton S.B., Konner M., Dhotak M. Stone Agers inthe Fast Lane: Chronic Degenerative Diseasse inEvolutionary Perspective. The Amer. Journ.Med., 84, 739 – 749, 1988

Eaton S.B., Nelson D.A., A. Calcium in evolutio-nary perspective. Am. J. Clin. Nutr., 54, 281S-287S, 1991

Eaton S.B. Humans, lipids and evolution. Lipids,27, 814 – 820, 1991

Eaton S.B. Primitive health. Journ. of the MedicalAss. of Georgia. p. 137 - 140, 1991

Eaton S.B. What did our late paleolitic (preagricul-tural) ancestors eat?. Nutritive Rewiews, 48,227-229, 1990

Ewald P. Evolutionary biology and the treatment ofsigns and symptoms of infectious diseases. Journ.of Theoretical Biology, 86, 169-176, 1980

Ewald P. The evolution of virulence. ScientificAmerican, aprile, 86-93, 1993

Ewald P.W. Evolution of Infectious Diseases.Oxford University Press, New York, 1994

Forni G. Gli albori dell’agricoltura. REDA, Roma,1990

Grivetti L.E., Ogle B.M. Value of traditional foodsin meeting macro- and micro-nutrient needs:the wild plant connection. Nutrition ResearchReviews, 13 (1), 31-46, 2000

Hallberg L., Hulthen L., Garby L. Iron stores inman in relation to diet and iron requirements.European Journal of Clinical Nutrition, 52 (9),623-631, 1998

Hamilton W.J., Busse C.D. Primate carnivory andits significance in human diets. Bio-Science 28,761-66, 1978

Harris M., Ross E. Food and Evolution: Toward aTheory of Human Food Habits. Temple Univer-sity Press, Philadelphia, USA,1987

Hatf, B. The food quest and the economy of the Ta-smanian aborigines. Oceania 38, 99-133, 1967

Johns T. The chemical ecology of human ingestive

behaviors. Annual Review of Anthropology. 28,27-50, 1999

Johns T., Nagarajan M., Parkipuny M.L., Jones P. J.Maasai gummivory: Implications for paleolithicdiets and contemporary health. Current Anthro-pology, 41 (3), 453-459, 2000

Jolly C.J. The seed-eaters. A new model of hominiddifferentiation based on a baboon analogy. Man(NS), 5, 5-26, 1970.

Lappe M. Evolutionary Medicine. Rethinking theOrigins of Disease. Sierra Club Books, SanFrancisco USA, 1994

Lee R.B. 1973. Mongongo. The Ethnography of amajor wild food resource. Ecol. Food. Nutr., 2,307-28, 1973

Lee R.B. The kung San. Men, Women, an Work ina Foraging Society. Cambridge UK, CambridgeUniv. Press, 1979.

Lee R.B. The subsistence ecology of Kung bush-men. PhD thesis, Univ. Calif., Berkeley, 1965

Lee, R.B., De Voren L. Mari the Hunter. Chicago,Aldine, 1968.

Leonard W.R. Cibo per pensare. Le Scienze, n.413, gennaio 2003, p. 66-74, 2003

Leonard W.R., Robertson M.L. Evolutionary per-spectives on human nutrition: the influence ofbrain and body size on diet and metabolism.Americ. Journ. Human Biol., 6, 77-88, 1994

Leopold, A.C., Ardrey, R. Toxic substances inplants and the food habits of early man. Science,176, 512-514, 1972

Lozoff B., Brittenham G.M. Field methods for theassessment of health and disease in pre-agricultu-ral societies. Ciba Found. Symp.,49, 49-62, 1977

Mc Guire M.T., Troisi A. Psichiatria Darwiniana.Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2003

Mainardi D. Per amore o ragioni sociali lo scim-panzè è pure carnivoro. Corriere della Sera, 19marzo 2000, p. 26

Mann N. Dietary lean red meat and human evolu-tion. European Journal of Nutrition, 39 (2), 71-79, 2000

Marshall L. The Kung of Nyae Nyae. Cambridge,Mass, Harvard Univ., 1976

McNeill W.H. Plagues and Peoples. Garden City,Anchor Books, New York, 1976

Nesse R.M., Williams G.C. Why We Get Sick:The New Science of Darwinian Medicine. TimeBooks, New York, 1994 (Trad. italiana. Perché ciammaliamo. Einaudi, Torino, 1999)

Osborne L. Does Man Eat Man? Inside in theGreat Cannibalism Controversy. Lingua Franca,7, n. 4, aprile-maggio, 1997

74

Capitolo I

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 74

Page 74: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

75

Geni, cibo e cucina

Pace G.M. Umani per un pugno di geni. La Repub-blica, 12 aprile 2002 (p.16)

Peleg M. Darwinian evolution patterns in foodsproducts and beverage. Crit. Rev. Food Sci. Nu-tr., 34, 95-108, 1994

Puech P.F. Recherche sur l’alimentation de l’homoerectus de Tautavel, le crane et la face humaine lesplus anciens d’Europe. [Nutrition of Homo erec-tus of Tautavel, the oldest human skull and facein Europe]. Inf. Dent., 14. 59(28), 13-8, 1977

Rathje W.L., Ho E.E. Meat fat madness: conflic-ting patterns of meat fat consumption and theirpublic health implications. J. Am. Diet. Assoc.,87(10), 1357-1362, 1987

Richards M.P. A brief review of the archaeologicalevidence for Palaeolithic and Neolitich subsi-stence. Eur. J. Clin. Nutr., 56, 1262-1274, 2002

Rollo F. e coll. Proocedings of National Academy ofScience, 2002

Rossi A., Rossi Prosperi L. Tappe dello sviluppo ce-rebrale in relazione alla disponibilità di nutrientia partire dall’australopiteco. Progress in Nutri-tion, 5, 33-40, 2003

Sebastian A., Frassetto L.A., Sellmeyer D.E. et alii.Estimation of the net acid load of the diet of an-

cestral preagicultural Homo sapiens and their ho-minid ancestors. Am. J. Clin. Nutr., 76, 1308-1316, 2002

Seed J.R. Immunoecology: origins of an idea. Journ.of Parasitol. 79, 470-471, 1993

Simopoulos A.P. Evolutionary aspects of diet andessential fatty acids. World Rev. Nutr. Diet., 88,18-27, 2001

Tattersal I. Come siamo diventati umani. Le Scien-ze, n. 401, gennaio 2001, pag. 50 - 56

Teleki, G. 1973. The omnivorous chimpanzee. Sci.Am. 228: 32-42, 1973

Ulijaszek S.J. Human eating behaviour in an evolu-tionary ecological contest. Proc. Nutr. Soc., 61,517-526, 2002

White T.D. Prehistoric Cannibalism at Mancos.Princeton University Press, 1992

White T.D. Quando eravamo cannibali. Le Scienze,n. 397, settembre 2001 (pag. 82-90).

Williams G.C., Nesse R.M. The dawn of Darwi-nian medicine. Quart. Rew. of Biology, 66, 1-22,1991

Wilson C.S. Contributions of nutrition science toanthropological research. Fed. Proc., 37(1), 73-6,1978

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 75

Page 75: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Parte I-Geni, cibo 22-06-2005 10:58 Pagina 76

Page 76: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

77

C a p i t o l o I I

Cibo e nutrizione: argomenti d’alimentazione darwiniana

Qual è la nostra vera alimentazione, per la quale siamo adatti e che quindi non può far male? Do-manda sempre più frequente, nei paesi nei quali vi è una disponibilità alimentare pari o superiorealle tremila chilocalorie lorde. Superata la soglia della fame, aumenta la ricerca della sicurezza ed’ogni alimento si chiede non solo che non faccia male, ma che porti benessere.Molti studi sono stati e sono fatti, ma spesso con risultati contrastanti, o che paiono tali. Le diver-sità non sono tanto nei risultati, quanto nelle interpretazioni che sono date. Qual è il giusto criterioo quali sono i parametri corretti per valutare se un alimento, una dieta od uno stile di vita sonoadeguati alle esigenze umane? Innanzi tutto, la nutrizione umana, come quella d’ogni altra specie,è molto complessa e man mano che si sviluppano le ricerche questa complessità, invece di diminuire,si amplia. Esiste anche una non indifferente variabilità, anche nell’ambito della specie umana ed aproposito degli stili di vita, del clima, dell’età ed altre varianti.Un tempo, le risposte a questi ed altri interrogativi li cercavamo fuori di noi. Di fronte ai rischi dacibi sani che usiamo male od in eccesso, si è diffuso il dubbio, oggi la certezza, che una parte delle ri-sposte sono in noi, anzi nei nostri geni.Un aiuto oggi ci viene dall’applicazione del cosiddetto “paradigma darwiniano” che trova la suamigliore espressione nella frase enunciata da Theodosius Dobzhansky (1953) “in biologia nulla hasenso se non alla luce dell’evoluzione”.Il paradigma darwiniano permette di comprendere perché il cibo può farci male e com’è possibile chele cose che piacciono sono anche vietate, fanno male od ingrassano, come ha affermato Oscar Wilde?Sottili ed al tempo stesso complicati rapporti legano il patrimonio genetico all’ambiente. Il cibo èuno dei tramiti del non facile ed ancora poco conosciuto rapporto tra l’ambiente ed i geni. Altrettan-to importanti sono le trasformazioni che l’umanità, con la cucina, ha inventato per rendere il ciboadatto alla propria genetica ed a stili di vita atavico.“Il passato siamo noi” ha affermato P. Kingsley (2001). È nel nostro passato genetico che dobbiamocercare il primo riferimento alla correttezza della nostra alimentazione ed anche l’origine di moltidei mali alimentari, antichi e moderni, in quella che è stata denominata Alimentazione Darwinia-na o Evoluzionista.Molti aspetti della nostra alimentazione saranno da rivedere. Alcuni capitoli sono già ben in evi-denza, altri iniziano ad abbozzarsi.

Dobzhansky Th. - American Biology Teacher, n. 35, 125-129, 1973Kingsley P. – Nei luoghi oscuri della saggezza – Marco Tropea Editore, Milano, 2001

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 77

Page 77: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

ALIMENTI ANIMALI EDALIMENTAZIONE DARWINIANA

La nostra specie ha mangiato e mangia ognicosa. L’uomo è un onnivoro che si è nutritodi tutto: cibi d’origine animale (carni in sen-so lato e di tutte le specie animali, dagli in-setti e vermi ai mammiferi ed ai pesci, finoagli uccelli, uova ecc.), alimenti vegetali d’o-gni tipo ed anche minerali, ad iniziare dal-l’acqua.Nell’ambito di una vasta e mutevole onnivo-rità, gli alimenti d’origine animale ed in par-ticolare le carni rivestono un ruolo particola-re e questo giustifica di esaminare la carni-vorità umana alla luce del paradigma darwi-niano, esaminando i cibi derivanti dagli ani-mali a sangue caldo (carnivorità), dai pescied altri animali acquatici (ittiofagia), dal lat-te (lattofagia) e da taluni insetti (miele).

Carnivorità: necessità biologica e culturaledella carne

La nostra specie, e prima per centinaia dimigliaia d’anni gli ominidi, forse anche perqualche milione d’anni i primati, si sono ali-mentati di carne ottenuta dalla caccia e dallaraccolta d’animali uccisi da altri predatori,in un equilibrio tra benefici e rischi, solo inparte indagati e considerati dal paradigmadarwiniano. Per questo, la voglia di carne èprofondamente iscritta nei comportamentiumani e si manifesta in diversi modi: ricercadi carni e frattaglie, fino ad essere arrivataal cannibalismo.Oltre a quanto visto a proposito dell’evolu-zione umana, sono qui considerati gli aspettinutrizionali delle carni, intese come partimuscolari e visceri degli animali.

Carne ed alimentazione umanaLa nostra specie fa parte dei primati e nondei carnivori. Perché mangiamo carne siamoquindi carnivorani, come siamo vegetariani

quando ci cibiamo di vegetali. La carne nel-l’alimentazione umana è stata esaminatasotto molti aspetti (nutrizionali, sanitari,psicodietetici, psicologici e culturali), con ri-sultati che in buona parte trovano riferimen-to e giustificazione nel paradigma darwinia-no. Recentemente, numerosi ricercatorihanno esaminato da un punto di vista evolu-zionista la nostra alimentazione con la carneed oltre quanto già indicato nella prima par-te sulla nutrizione paleolitica, sono da men-zionare le indagini di Broadhurst (1997),Cordain e coll. (2000, 2002), Eaton e coll.(1985, 1997, 1998), Hallberg e coll. (1998),Mann (2000), che documentano la carnivo-rità della nostra specie. La carne è l’alimentopiù importante per l’uomo fin dal paleoliti-co, come dimostrano anche recenti indaginisulla “macelleria” in questo periodo (Patou-Mathis, 1997). In quel periodo i nostri ante-nati avevano una dieta che conteneva circacentocinquanta grammi di proteine, pari adue grammi per chilogrammo di peso cor-poreo. Cordain e coll. (2000), studiando lepopolazioni di cacciatori e raccoglitori di-mostrano elevati consumi d’alimenti d’origi-ne animale, che coprono dal 45 al 65% del-l’energia. La maggioranza di queste popola-zioni (73%) ricava più della metà dell’ener-gia alimentare (56-65%) dagli animali. Con-siderando inoltre che i vegetali selvatici sonoscarsi di carboidrati e ricchi di proteine, nel-le popolazioni studiate le proteine sono inpredominanza (19-35% dell’energia alimen-tare) rispetto ai carboidrati semplici e com-plessi (22-40% dell’energia). Da non dimen-ticare che recenti indagini hanno dimostratoche l’uomo di Similaun, prima di morire,aveva mangiato cereali, carne di cervo rossoe carne di capra.Sulla dieta dei nostri antenati, Cordaine ecoll. (2002) hanno messo in evidenza il “pa-radosso” delle popolazioni paleolitiche che sinutrivano di elevate percentuali di carni,senza andare contro a problemi sanitari. Ilparadosso è stata spiegato con la qualità del-

78

Capitolo II

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 78

Page 78: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

le carni degli animali selvatici (carme ma-gre), ma soprattutto dalla presenza, nella ali-mentazione paleolitica, di elevati quantitati-vi di antiossidanti, fibra alimentare, vitaminee phytochemicals, con bassi livelli di sale (clo-ruro di sodio), in associazione ad uno stile divita caratterizzato da elevato esercizio fisicoe assenza di fumo di tabacco.Com’è stato esaminato nella prima parte,l’alimentazione umana ha due componenti:biologica e culturale. Se la biologia indicache la carne è veramente utile per una cor-retta ed equilibrata alimentazione, l’antropo-logia dimostra che l’uomo ha un bisogno cul-turale di carne. Il bisogno culturale di carnesi manifesta, nelle diverse società, con regoleche comprendono divieti, permissioni e mo-di d’uso (cucina), capaci di soddisfare anchel’ineliminabile ricerca di diversità alimentarecaratteristica dell’uomo. Una diversità chead esempio riguarda il continuo successodelle trasformazioni salumiere, che soddisfa-no le richieste culturali umane per quantoconcerne la voglia di tradizione, la biodiver-sità gastronomica e la domanda di facilitazio-ne nella preparazione dei cibi (semplificazio-ne della cucina). Il bisogno della carne si ma-nifesta in molti altri modi, non ultimo lagran diversificazione dei tipi di carni. Inquesto capitolo considereremo soprattuttol’aspetto della carne magra (muscolo) ed ivisceri (frattaglie), con un accenno al canni-balismo, mentre rimandiamo ad altri capitoliper i grassi animali (e vegetali) ed il pesce(ittiofagia).

Carne buona da mangiareSecondo l ’antropologo Marvin Harris(1985) la carne, in tutte le sue amplissimediversificazioni, è “buona da mangiare”. Lostesso autore afferma che “meno dell’uno percento della popolazione mondiale si astienevolontariamente da qualsiasi cibo d’origineanimale, e meno della decima parte di que-st’uno per cento può considerarsi genuina-mente e strettamente vegetariano”. Il fatto

che meno dello 0,1% della popolazioneumana sia vegetariana dimostra che l’uomoha bisogno di carne che, come si è già affer-mato, è al tempo stesso di tipo biologico epsicologico. Ogni cultura ha la sua carne o lesue carni, ma non bisogna dimenticare cheper la nostra specie e quelle che l’hanno pre-ceduta, la carne per eccellenza era quella de-gli animali selvatici, con la caratteristicad’essere molto magra. Ancor oggi la carne dicervo e daino hanno un contenuto di 0,8-1,2% di grassi. Inoltre, quando sono cotte afuoco vivo, i grassi si riducono ulteriormen-te. I grassi sono rimasti associati alla carnequando l’uomo, divenuto sedentario, ha uti-lizzato i tegami ed ha inventato intingoli va-ri. Nella nostra cultura, nel soddisfacimentodella fame di carne un ruolo importante hala carne bovina. Il bovino, erede dei grandiruminanti selvatici, in molte culture è all’a-pice delle specie animali che l’uomo ha desi-derato e desidera mangiare. Lo testimoniache il simbolo della sua testa è stato sceltoper identificare la prima lettera dell’alfabeto:aleph, da cui alfa, termine che identificaval’animale. Se la carne bovina è buona damangiare e richiesta dalla nostra cultura,non significa che le idee, ma soprattutto lerichieste dei consumatori sul tipo e soprat-tutto sulla qualità della carne siano rimasteimmutate. Con il passare dei millenni e deisecoli queste si sono modificate, influenzatedagli stili di vita, ma soprattutto da condi-zioni antropologiche, alle quali recentemen-te si sono associate condizioni di tipo saluti-stico e nutrizionale, culinario, gastronomicoecc. In particolare vi è stata un’evoluzionedelle caratteristiche di qualità che il consu-matore richiede alla carne, soprattutto semagra.

Carne magra, alimento protettivo con funzionisalutariLa carne, come ogni altro cibo o bevanda,non è un alimento completo. Ogni tipo dicarne, in rapporto alla percentuale di grasso,

79

Cibo e nutrizione

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 79

Page 79: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

ha particolari indicazioni con riferimento aidiversi stili di vita ed al fabbisogno energeti-co. In rapporto alle sue peculiari caratteristi-che, la carne ha importanti ed insostituibiliruoli dietetici. La carne oggi è divenuta an-che un alimento protettivo, perché elementod’integrazione ed equilibrio della dieta, at-traverso l’intersupplementazione degli ami-noacidi e l’assorbimento del ferro vegetale.In altri capitoli sono esaminati aspetti con-cernenti il colesterolo, l’immunità ed il com-portamento (Psicodietetica).

Carni e rischi sanitariOggi l’uomo interviene per avere carni sicu-re, ottenute da animali allevati e sotto con-trollo “dalla terra alla tavola”. Tutte le malat-tie provengono dall’agricoltura, è stato detto,ma quali malattie l’uomo poteva ed ancoraoggi può contrarre dalle carni degli animaliselvatici?Molte sono le infezioni e parassitosi chepossono passare dagli animali selvatici al-l’uomo: al cacciatore, a chi maneggia la sel-vaggina, a chi la mangia ed anche al cane dacaccia, che a sua volta può ritrasmetterle al-l’uomo.Certamente la selvaggina non è indenne dainfezioni e malattie, ma bisogna considerareche in natura i predatori, veri spazzini sani-tari, eliminano egli animali infetti. Il rischiosanitario da cacciagione è diversificato eschematicamente l’uomo può esserne coin-volto per diverse strade.La prima è quella del contatto con le carni esoprattutto con i visceri d’animali infetti. Inmodo analogo può essere rischioso uno stret-to contatto con gli animali abbattuti. È facileche sulla pelle degli animali siano presentizecche. Quando il corpo dell’animale si raf-fredda le zecche tendono a staccarsi e cerca-no un altro ospite caldo e quindi possonopassare all’uomo, trasmettendo numerose in-fezioni, anche gravi, come la Paralisi da Zec-che. Una seconda via è quella alimentare, chetuttavia è controllata dalla frollatura della

carne e soprattutto dalla loro cottura. Moltoprobabilmente l’uso del fuoco ha avuto unruolo decisivo nel preservare l’uomo primiti-vo da problemi sanitari connessi alla selvag-gina. Una terza via è quella delle infezioniche dagli animali selvatici possono passare aquelli domestici e da questi, poi, all’uomo.

Carne e nutrizione darwinianaLa nostra specie ha un insopprimibile biso-gno biologico e psicologico di carne, che de-riva da una carnivorità antica di almeno unmilione d’anni. Geneticamente siamo predi-sposti a nutrirci di carne magra, perché leparticolari caratteristiche di nutrizionalità diquesta carne s’associano ad importanti atti-vità di tipo extranutrizionale. In particolaresono da sottolineare:* le azioni positive sul metabolismo e soprat-

tutto l’attività anticolesterolica;* una favorevole modulazione immunitaria;* le gradite influenze sul comportamento,

anche in ambito di psicodietetica.La carne magra non è soltanto un alimentoprotettivo come si considerava nel passato,ma oggi deve essere considerata un alimentoportatore di salute. Nella carne magra si ri-scontra una spiccata convergenza delle ri-chieste di tipo nutrizionale con quelle di ti-po culinario e gastronomico.Carne magra - L’attuale richiesta di carnemagra è stata oggetto di un’analisi in chiaveevoluzionista da Mann (2000), con un arti-colo dal titolo Dietary lean red meat and hu-man evolution. Sull’argomento si è raggiuntal’evidenza scientifica che la carne di per sé enell’ambito dello stile di vita dei paesi occi-dentali non costituisce un fattore di rischiosanitario, in particolare per le malattie car-diovascolari, mentre esiste un rischio per uneccessivo uso alimentare di grassi, in parti-colari di quelli saturi, spesso associati allacarne degli animali prodotti dai moderni si-stemi d’allevamento. Le ricerche di Manndimostrano che diete con elevate quantità dicarne rossa magra possono diminuire i livelli

80

Capitolo II

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 80

Page 80: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

ematici di colesterolo, in quanto apportanorilevanti quantità d’acidi grassi della serieomega-3 e sono una buona fonte di ferro,zinco, cromo e vitamina B12. Lo studio del-la storia alimentare dell’uomo e dei preuma-ni dimostra che per un periodo almeno di unmilione, forse due milioni d’anni i nostri an-tecedenti ed antenati hanno mangiato quan-titativi crescenti di carne. Durante questoperiodo la selezione naturale ha portato adun adattamento della nostra genetica adun’alimentazione ricca di carne. Si trattavadi carne derivata da animali selvatici, poveradi grassi, soprattutto di quelli saturi e riccad’acidi grassi polinsaturi (PUFA). Diverselinee di ricerca indicano come la carne ma-gra sia stata la maggior fonte d’energia negliumani fino alla scoperta dell’agricoltura. Sitratta d’indagini che spaziano da studi isoto-pici dei fossili, morfologia dell’apparato di-gerente, encefalizzazione umana e fabbiso-gno energetico degli umani, teorie sulla rac-colta del cibo, resistenza insulinica e studisulle società di cacciatori e raccoglitori. Inconclusione, ancor oggi, la carne magra, inopportune quantità, è da ritenere un alimen-to salutare ed un benefico componente diuna dieta ben bilanciata.Grassi - In un’analisi evoluzionista, i grassidella carne sono stati esaminati anche recen-temente da Eaton e coll. (1998), che hannostudiato l’introduzione alimentare d’acidigrassi polinsaturi a lunga catena nella dietapaleolitica umana. Anche Broadhurst (1997)ha considerato l’uso alimentare bilanciatodei trigliceridi naturali in una visione nutri-zionale ed evoluzionista. In quest ’ultimaprospettiva, si rileva che gli alimenti naturalicontengono una gran varietà di grassi strut-turali, di tipo polinsaturo, monoinsaturo esaturo e quindi è difficile giustificare un’ali-mentazione che non contenga un’equilibratamiscela di trigliceridi e di fosfolipidi. Nes-sun grasso naturale è intrinsecamente buonoo cattivo, ma può diventarlo la loro propor-zione od associazione. Da un punto di vista

evoluzionista bisogna raccomandare unagran varietà di grassi, sotto il profilo dellaloro struttura, grado di saturazione, lun-ghezza delle catene. Gran parte delle pato-logie connesse allo squilibrio tra grassi po-linsaturi del tipo n-3/ n-6 sono dovuti all’u-so dei cereali nell’alimentazione umana e de-gli animali produttori d’alimenti per l’uomo.Altrettanto importanti sono i processi di la-vorazione e di raffinazione degli alimenti, inparticolare quelli riguardanti la produzionedegli oli e dei grassi. Oltre ai processi di pe-rossidazione, sono da considerare i numerosicomposti fitochimici presenti negli oli nonraffinati, frutta e vegetali e che svolgonoun’importante protezione contro la perossi-dazione dei grassi e malattie croniche.Sicurezza - La sicurezza della carne derivadall’assenza in concentrazioni biologicamenteefficaci di componenti di tipo infettivo, pa-rassitario, chimico o radioattivo. La sicurezzaè la conditio sine qua non che fa della carne unalimento. La qualità è la presenza nella carnedi caratteristiche che soddisfano le atteseespresse od inespresse del consumatore, chela rendono apportatrice di salute ed adeguataagli usi nutrizionali, dietetici, culinari e ga-stronomici ai quali è destinata. Per risponderealle esigenze ed attese dei consumatori, oggila produzione di qualità offre una carne ma-gra, con alta nutrizionalità e particolari atti-vità extranutrizionali. La nutrizionalità derivadal contenuto in proteine ricche d’aminoacidiessenziali (in particolare quelli ramificati), vi-tamine (soprattutto la B12) ed oligoelementiminerali organici (ferro, zinco, cromo). Al-trettanto importanti sono le attività extranu-trizionali delle vitamine, oligoelementi orga-nici, ma soprattutto dalle caratteristiche dellafrazione lipidica della carne magra. Quest’ul-tima, con un limitato apporto energetico e dicolesterolo, fornisce fosfolipidi ed acidi grassiinsaturi (od in questi trasformati) e soprat-tutto acidi grassi polari dotati d’attività pro-colesterolo HDL ed anticolesterolica genera-le. Di grande interesse sono inoltre le attività

81

Cibo e nutrizione

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 81

Page 81: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

extranutrizionali della carne che riguardanol’immunità e che derivano dalla combinataattività di componenti azotate (soprattuttogli aminoacidi essenziali ed i nucleotidi), lipi-diche (acido linoleico coniugato), vitaminicheed oligominerali (ferro, ma soprattutto cro-mo).Da non sottovalutare infine le caratteristicheextranutrizionali della carne di tipo psico-dietetico riguardanti il controllo dei com-portamenti alimentari (assunzione dell’ali-mento con effetto saziante) e dell’aggressi-vità (effetto tranquillante).La qualità della carne magra ha un’impor-tante funzione nel suo uso come alimentoprotettivo, ma anche come alimento porta-tore di salute. In quest’ultimo orientamentola carne magra rientra a pieno titolo nelleLinee Guida formulate dall’OrganizzazioneMondiale della Sanità per una Politica Nu-trizionale, anche perché sono coerenti conun’alimentazione naturale, qual è prospettatadalla nutrizione darwiniana od evoluzioni-sta.

Visceri animali ed alimentazione darwinianaL’uomo preistorico, come molti suoi antenatie gli animali carnivorani, era avido di viscerie del midollo osseo, cibi che sono rimastinella cucina tradizionale. La pratica di rom-pere le ossa per ricavarne il midollo è anti-chissima ed i nostri predecessori la pratica-vano sulle ossa d’animali e dei propri consi-mili (cannibalismo). Nel midollo osseo sicercava un grasso speciale? Il midollo osseocontiene elevate quantità di lecitina e non èimprobabile che vi fosse una fame specificaper questo nutriente, che ha diverse attivitàmetaboliche connesse anche allo sviluppo edal corretto funzionamento del sistema ner-voso. Senza arrivare a ritenere che esista unafame specifica per i visceri, come quell’ipo-tizzata per il midollo osseo e forse il cervel-lo, entrambi ricchi di lecitine, le molecolestrategiche contenute nei visceri animaligiustificano il loro uso alimentare.

Frattaglia, di solito al plurale (frattaglie), dalatino fractus, participio passato di frangere o“spezzare”, sono le parti “spezzate” e separa-te dalla “carne” e che rimangono dopo lamacellazione degli animali. Le frattaglie de-gli animali di grossa e media taglia (bovini,suini ed equini) comprendono animelle (ti-mo), ghiandole salivari, pancreas, cervello,fegato, rognoni (rene), cuore, milza, polmo-ni, mammella, trippa, coda ecc. Negli ani-mali di piccola taglia (ovini e caprini) pol-mone, cuore e fegato sono compresi nellacorata o coratella senza dimenticare l’intesti-no degli animali giovanissimi: pagliata “puli-ta” e “sporca”. Nei volatili di bassa corte(polli, tacchini e galline di faraone, piccioni,oche, anatre ecc.) le rigaglie o frattagliecomprendono fegato, cuore, ventriglio (omagone, maghetto ecc.), granelli (testicoli)ed anche la cresta e bargigli. Il termine deri-va dal latino regalia: regalo che erano fatti aipoveri; con un’etimologia più fantasiosa, daregalis, “da re”, degno di un re, nel sensoquindi di boccone da re!Una lunga e diffusa tradizione testimonial’importanza che le diverse culture umanehanno attribuito ai visceri animali, anche co-me tramite per interpretare i voleri divini(aruspici etruschi) e come alimenti di pregioe dotati d’azioni benefiche per l’organismo,fino ad arrivare al cannibalismo rituale (cere-brofagia della Nuova Guinea, con la conse-guente malattia detta Kuru), un cannibali-smo non ancora completamente scomparso,se è vero quanto hanno riferito i giornali diBokassa. Circa la tradizione che i visceri de-gli animali siano carichi di virtù o vantagginutrizionali, basta dare uno sguardo alle cre-denze che avevano gli antichi egizi, i romaniod ancor oggi molti popoli i cui costumi so-no studiati dall’etnomedicina. Più vicino anoi e com’esempi si può ricordare che attra-verso la scoperta nel fegato del fattore antia-nemico estrinseco del Castle si è giunti allaVitamina B12 ed il successo che in un nonlontano passato ha avuto l’opoterapia (tera-

82

Capitolo II

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 82

Page 82: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

pia effettuata con estratti d’organo), un ap-proccio che oggi vediamo risorgere, sia purecon altre prospettive d’applicazione, nellanutraceutica effettuata con gli alimenti fun-zionali che contengono molecole strategiche.Ad alcuni visceri animali usati in alimenta-zione sono stati imputati rischi, ed in propo-sito basta ricordare che in un lontano passa-to la gotta era attribuita ad un eccesso nelladieta di talune frattaglie, come oggi si temeil rischio di residui di farmaci, contaminantiambientali o di malformazioni fetali in don-ne gravide che mangiano rilevanti quantitàdi fegato che contenga elevate quantità divitamina A. Da non sottovalutare, inoltre, irischi infettivi, tradizionali e non convenzio-nali.Molte delle molecole strategiche d’elevataimportanza per la nutrizione umana si tro-vano negli alimenti d’origine animale (carne,latte, uova, pesce) ed oggi ci si sta accorgen-do della loro elevata concentrazione nellefrattaglie. Queste molecole strategiche co-prono un’ampia gamma d’attività e d’estre-ma importanza sono quelle che contengonomicrominerali od oligoelementi (ferro, zin-co, rame, selenio, cromo ecc.). Le principaliattività sono le seguenti:1 - Molecole strategiche contenenti ferro per

la formazione del sangue, buon funziona-mento muscolare (cuore compreso), svi-luppo del cervello e suo funzionamento.

2 - Molecole strategiche contenenti zincodeterminano il buon funzionamento del-la cute e la produzione d’ormoni che in-tervengono sulla crescita, metabolismodegli zuccheri, riproduzione ecc.

3 - Molecole strategiche contenenti ramepotenziano l’attività del ferro.

4 - Molecole strategiche contenenti selenioproteggono dai radicali liberi, dall’ossi-dazione ed intervengono nella preven-zione dei tumori.

5 - Molecole strategiche contenenti cromointervengono nel buon funzionamentomuscolare e nella prevenzione del diabete.

Altrettanto importante è il ruolo d’alcuniacidi grassi insaturi, ad iniziare dall’acidocervonico, presente nel tessuto nervoso e ne-cessario per un regolare sviluppo del sistemanervoso nella prima età e, pare, per il mante-nimento della sua integrità anatomica e fun-zionale nella terza età. Un ruolo solo pocotempo fa insospettato è quello degli acidinucleici e dei nucleotidi presenti in rilevantiquantità in molte frattaglie e con potenti at-tività immunostimolanti. Da ricordare comealcune frattaglie, come il fegato, sono riccheanche di vitamine, in particolare la vitaminaA, e d’enzimi.

Virtù e rischi delle frattaglieLa presenza nelle frattaglie di molecole stra-tegiche spiega la loro funzione protettiva inun’alimentazione equilibrata e dà ragione delloro uso alimentare. Un’opportuna quantitàdi frattaglie nel complesso dell’alimentazio-ne umana ha importanti ruoli che possonoessere così riassunti.• Fornire molecole strategiche ed in partico-

lare quelle contenenti oligominerali (ferro,zinco, cromo ecc.) dotate d’elevate attivitàmetaboliche e sopra ricordate.

• Assicurare una quota di vitamina A (fega-to).

• Svolgere una funzione protettiva di frontea carenze per alimentazioni unilaterali etroppo raffinate, come spesso sono quelleodierne.

• Assicurare il fabbisogno di taluni acidigrassi insaturi essenziali, utili sopra tuttoper il cervello.

• Normalizzare e stimolare il sistema immu-nitario tramite gli acidi nucleici, i nucleoti-di e lo zinco sotto forma organica.

• Assicurare una protezione contro i tumori.Per avere una risposta equilibrata è da ricor-dare che sono sufficienti limitate quantità disingole frattaglie ed è opportuno associarediverse frattaglie tra loro.Come tutti gli alimenti, anche le frattagliehanno dei limiti, in gran parte legati a con-

83

Cibo e nutrizione

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 83

Page 83: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

sumi eccessivi di una sola frattaglia. Tipicoesempio è la gotta che un tempo colpiva leclassi agiate che si cibavano d’eccessivequantità di frattaglie, nell’ambito di un’ali-mentazione squilibrata e scarsa di vegetali.Oggi possiamo ricordare il rischio dimalformazioni fetali nelle donne gravide chemangiano sostenute quantità di fegato di vi-tello molto ricco di vitamina A. Si tratta dirischi recenti e da quando si è raggiunta, an-che per le frattaglie, un’abbondanza, un tem-po sconosciuta. Sempre a dosi troppo elevatee continuate, talune frattaglie che nell’ani-male svolgono la funzione di “filtro” ed inparticolare il fegato ed il rene, potrebberoapportare residui indesiderati di farmaci,d’inquinanti ambientali o di farmaci, un ri-schio che oggi è in buona parte superato daicontrolli sanitari ed utilizzando in alimenta-zione le frattaglie in limitate quantità.

Cacciagione, non solo grasso e proteinePer lunghissimi periodi l’uomo ed i suoi an-tenati si sono nutriti con successo d’animaliselvatici e con conseguenze di tipo nutrizio-nale, oggi oggetto d’attenzione. Non ancorasufficientemente studiati sono gli aspetti cheoggi consideriamo d’ordine sanitario. In en-trambi i casi, una valutazione evoluzionistaapre interessanti prospettive. È opinione co-mune, sempre più convalidata dai risultatid’indagini, che per lunghissimi tempi l’uomoed i suoi antenati si sono nutriti d’animalicacciati od uccisi da altri animali, senza tra-scurare quelli raccolti (molluschi, insettiecc.). Una recente dimostrazione si è avutacon l’esame del contenuto dell’apparato dige-rente nell’uomo di Similaun. Tra gli animalicacciati e raccolti sono da considerare anchequelli dei fiumi e dei mari, e di conseguenzal’ittiofagia sembra una caratteristica alimen-tare umana atavica. Con la caccia l’uomo siprocurava carne (proteine), il preziosissimograsso (energia) ed altri nutrienti. Tra questiultimi sono da citare il sodio, il calcio conte-nuto nelle ossa e la lecitina del midollo osseo.

Da non sottovalutare che con la caccia l’uo-mo poteva procurarsi pelli e pellicce con cuicoprirsi, ossa e corna da lavorare, corna epiume con cui adornarsi.Attraverso la carne (intesa in senso lato,comprendendo anche i visceri) l’uomo pote-va contrarre dagli animali infezioni e parassi-tosi (zoonosi alimentari) che è necessarioconsiderare, sia pure brevemente, in chiaveevoluzionista.Uno degli errori più diffusi è d’applicare alpassato concetti moderni e relativamente re-centi. Tra questi vi sono molte idee igieni-che, un tempo sconosciute. Ad esempio, finoa metà del milleottocento, ben poco si sape-va dei parassiti e delle infezioni che la carne,come altri alimenti, potevano trasmettere al-l’uomo, per il semplice motivo che non viera al riguardo un’evidenza diretta, ravvici-nata e tanto meno immediata (uno od almassimo due giorni), tra l’ingestione del ci-bo e la comparsa di problemi sanitari. Inmodo analogo non vi era alcuna idea deidanni provocati da un eccesso di taluni com-ponenti della carne, salvo l’idea, peraltro nonsempre ben chiara, di un eccesso acuto, nelquadro di un’indigestione. In modo analogoè per la gotta o uricemia, provocata da uneccesso alimentare cronico, ritenuta una “no-bile malattia”, che solo nel millesettecento fuchiaramente collegata ad un eccesso di car-ne, soprattutto frattaglie.Per tutta la sua vita, fino all’arrivo dell’agri-coltura intensiva, per l’uomo, la caccia fu lagran riserva di proteine nobili ed i problemifurono forse più di carenza che d’eccessi, an-che se questi non mancavano in una piccolapercentuale di ceti abbienti, tanto da doveressere oggetto di controllo, tramite precettid’astinenza, con significati di punizioni lai-che o di regole religiose, quindi in un pas-saggio dalla natura alla cultura.

Cannibalismo, una sfida biologica e culturaleCannibalismo, mangiare individui della pro-pria specie, è un fenomeno biologico molto

84

Capitolo II

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 84

Page 84: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

diffuso e per questo regolato sul piano bio-logico ed in molte specie anche culturale esociale. Con il cannibalismo, negli animali enell’uomo, si sono trasmesse malattie, maqueste non sono state avvertite, o non hannoin ogni modo impedito la diffusione e lapersistenza del comportamento, quasi certa-mente in un bilancio tra beneficio (nutrizio-ne) e costi (infezione). Con ogni probabilitàil cannibalismo rituale si è sviluppato par-tendo da basi biologiche, sempre in un’otticadi un beneficio, anche di tipo psicologico(ben - essere o eucenestesi). Oggi, ma attra-verso il dono, si è sviluppata una nuova for-ma di passaggio da uomo ad uomo d’organie di salute, attraverso i trapianti.Il cannibalismo, nel paradigma darwiniano,deve essere esaminato sotto l’aspetto biolo-gico e culturale. Sempre più numerose sonole prove che i nostri antenati praticavano ilcannibalismo, che nel corso dei millenni nonè scomparso, ma si è anche modificato con ilculto dei morti, come dimostra il cannibali-smo rituale encefalico, ancora presente in al-cune tribù della Nuova Guinea alla fine delventesimo secolo. Certamente la fame dicarne ha spinto l’uomo al cannibalismo, e lodimostrano recenti episodi, come quello del-la seconda metà del secolo ventesimo tra ipasseggeri di un aereo precipitato sulle An-de. Altrettanto importanti, per spiegare ilcannibalismo, sono alcune fami specifiche etra queste quelle di sale e di lecitina, chehanno spinto l’uomo a cibarsi delle ossa edel loro contenuto.Una delle forme più antiche di cannibalismoè rivolta alle ossa. È una forma non soloumana, ma anche animale, anche di quelliconsiderati erbivori. Nella pampa argentinae nelle pianure centroamericane, per soddi-sfare la fame specifica di minerali, i bovini sicibavano delle ossa calcinate al sole dei loroconspecifici morti. In questo modo contrae-vano malattie infettive, quali il carbonchioematico e sintomatico ed il botulismo. Nel-l’uomo il cannibalismo d’ossa, di cui abbia-

mo sicure evidenze archeologiche, ha duediversi aspetti. Un primo tipo di cannibali-smo è rivolto al midollo osseo e riguarda so-prattutto le ossa lunghe che lo contengono.Il midollo osseo è ricco di grasso ed il canni-balismo è stato giustificato come una rispo-sta alla fame specifica rivolta alla ricerca d’a-limenti grassi. Non bisogna tuttavia dimen-ticare che il midollo osseo è ricco di lecitinee che nell’uomo pare esistere una fame spe-cifica per queste.Un secondo tipo di cannibalismo riguarda leossa calcinate, dopo la cremazione. Le osser-vazioni compiute in modo particolare nelleregioni centrali dell’America meridionale,permettono di collegare questo tipo di can-nibalismo alla ricerca del sale. Un tipo dicannibalismo che permette d’intravedere ipercorsi che collegano il cannibalismo biolo-gico a quello rituale. Nelle regioni internedell’America meridionale e soprattutto nellaforesta amazzonica le popolazioni sonoesposte alla mancanza di sale (cloruro di so-dio). Un’alimentazione prevalentemente ve-getariana e quindi abbondante di potassio,rende ancora più evidente la mancanza disodio. Il sodio è un minerale necessario perla vita e la sua mancanza conduce anche allamorte. La mancanza di sodio si manifestacon sete, stanchezza, debolezza ed apatia.Negli animali e nell’uomo il sodio è presentenei liquidi organici, nelle cellule ed è conser-vato nelle ossa, che ne sono il naturale depo-sito. Tutto fa ritenere che l’uomo in carenzadi sodio, cibandosi d’ossa, soprattutto se cal-cinate e quindi facilmente assimilabili, assu-mendo il sodio in esse contenute, quasi im-mediatamente riconoscesse la diminuzionese non la scomparsa della stanchezza, debo-lezza ed apatia da mancanza del minerale.Un effetto che poteva benissimo essere in-terpretato come se lo spirito dell’animale odel defunto fosse passato in chi ne mangiavale ossa, trasferendogli la propria vitalità,energia e potenza. Una credenza che potevaessere accresciuta nel caso in cui le ossa pro-

85

Cibo e nutrizione

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 85

Page 85: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

venissero da un giovane guerriero e da uncacciatore che avesse avuto un’alimentazionealmeno parzialmente carnea e quindi conuna certa quantità di sodio. Una serie di cre-denze che aprono il secondo capitolo delcannibalismo, quello culturale.Nell’uomo esiste indubbiamente un canni-balismo culturale, con forti connotazioni ri-tuali. Molti indizi fanno ritenere che alla ra-dice di questo tipo di cannibalismo vi siauna base biologica. Quanto sopra indicato aproposito del cannibalismo con ossa calcina-te n’è un chiaro esempio. Senza entrare indettagli sul cannibalismo rituale umano, ètuttavia necessario rilevare come questo, nel-le diverse culture, s’indirizza soprattutto adalcuni organi, come il cuore, il fegato ed ilcervello. Per quanto riguarda il cervello, so-

no da ricordare le osservazioni compiutenelle tribù della Nuova Guinea nella secon-da metà del secolo ventesimo a proposito diuna malattia, il kuru, salita alla ribalta dell’o-pinione pubblica a proposito dell’epidemiabovina detta della mucca pazza. Il kuru, ma-lattia della risata sardonica per uno dei sin-tomi con i quali si manifesta, è un’encefalo-patia spongiforme specifica umana, provoca-ta da un prione, un agente patogeno nonconvenzionale. La malattia era trasmessa at-traverso il cannibalismo rituale, nel quale ilcervello del defunto era usato come alimentoe come unguento per uso esterno. Il canni-balismo rituale con il cervello, molto proba-bilmente trova la sua radice biologica nellavoglia di grasso e di lecitina già citate, e dicui il cervello è particolarmente ricco.

86

Capitolo II

Caratteristiche alimentari delle popolazioni di cacciatori e raccoglitori (Cordain L., MillerJ. B. Eaton S. B., Mann N. et al, 2000)

Società studiate Alimenti Animali Alimenti vegetali

Quantità % Energia % Qualità % Energia %

Totale società 45–65 35-55

73% delle società studiate >50 56–65 <50 35-44

14 % delle società studiate <50 54–35 >50 56-65

Principali caratteristiche nutrizionali delle molecole strategiche contenute nelle fratta-glie animali

Frattaglia Ferro Zinco Cromo Vitamina A Acidi grassi essenziali Nucleotidi

Animelle X X X

Cervello X X

Fegato X X X X

Rognone X X

Cuore X X X X

Milza X X X

Mammella X

Trippa X

Intestino X

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 86

Page 86: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Bibliografia

Anonimo. Cereali, carne di cervo e di capra l’ultimopasto dell’uomo di Similaun. La Repubblica, 17settembre 2002 (p.24)

Ballarini G. Attività “extraproteiche” degli aminoa-cidi e peptidi in patologia bovina. Quaderni AS-SALZOO, 1986

Ballarini G. Immunità e nucleotidi alimentari.Obiettivi e Documenti Veterinari, 16 (4), 1-3,1995

Bashetti R. Paleolithic nutrition. Europ. J. Clin.Nutr., 51, 715-716, 1997

Bourre J. M. La dietetica del cervello. Sperling &Kupfer, Milano, 1992

Broadhurst C.L. Balanced intakes of natural trigly-cerides for optimum nutrition: an evolutionaryand phytochemical perspective. Med. Hypothe-ses, 49(3), 247-261, 1997

Bunn H.T. Meat-eating and Human evolution: stu-dies on the diet and subsistence patterns of Plio-Pleistocene Hominids in East Africa. Ph D.,University of Berkeley, California, 1982

Chandra R.K., Newberne P.M. Nutrition, Immu-nity and Infection Mechanism of Interactions.Plenum Press, New York, 1977

Cheraskin E., Ringsdorf W.M., Brecher A. Psycho-dietetics, Bantam Books, Toronto, 1974

Concon J.M. Food Toxicology. M. Dekker Inc.,New York et Basel, 1988

Cordain L. Eaton S.B., Miller J.B., Mann N., HillK. The paradoxical nature of hunter-gathererdiets: meat-based, yet non atherogenic. Europ. J.Clin. Nut., 56, suppl 1, S42-52, 2002

Cordain L., Miller J.B., Eaton S.B., Mann N., HoltS.H.A., Speth J.D. Plant-animal subsistence ra-tios and macronutrient energy estimations inworldwide hunter-gatherer diets. American Jour-nal of Clinical Nutrition, 71 (3), 682-692, 2000

Davis K.L., Berger C.A., Hollister L.E. N. Engl. J.Med., 293,152, 1975

Davis K.L., Hollister L.E., Barchas J.D., BergerP.A. Life Sci., 19,1507, 1976

Davis K.L., Hollister L.E., Berger P.A., Vento A.L.Psychopharmacology. Bull., 14,56, 1978

Davis S.L. Endocrinology, 91, 205, 1972Dobzhansky Th. American Biology Theacher, n.

35, 125-129, 1973Eaton S.B. What did our late paleolithic (preagri-

cultural) ancestors eat? Nutrition Rev., 48, 227-230, 1990

Eaton S.B., Eaton S. B. 3rd, Konner M. J. Paleolithicnutrition revisited: a twelve-year retrospective onits nature and implications. Europ. J. Clin. Nutr.,51, 207-216, 1997

Eaton S.B., Eaton S.B., Sinclair A.J., Cordain L.,Mann N.J. Dietary intake of long-chain polyun-saturated fatty acids during the palaeolithic. Re-turn of Omega-3-Fatty-Acids into-the FoodSupply, 83, 12-23, 1998

Eaton S.B., Konner M. Palaeolithic nutrition. Aconsideration of its nature and current implica-tions. N. Engl. J. Med., 312(5), 283-2899, 1985

Enwonwu C.O. (Ed.). Functional Significance ofIron Deficiency. Meharry Medical College, Na-shville, Tennesse, 1990

Fernstrom J.D., Wurtman R.J.- Science, 178, 4059,1972

Ganter H.E. (1986). cit. Ip (1998) Haenel H. Phylogenesis and nutrition. Nahrung,

33, 867-887, 1989Hallberg L., Hulthen L., Garby L. Iron stores in

man in relation to diet and iron requirements.European Journal of Clinical Nutrition, 52 (9),623-631, 1998

Hallberg L., Scrimshaw N.S. (Eds.). Iron Defi-ciency and Work Performance. INACG, 1991(cit. Scrimshaw, 1991)

87

Cibo e nutrizione

Composizione della carne d’animali selvatici (per 100 grammi – Istituto Nazionale di Ri-cerca per gli Alimenti e la Nutrizione - INRAN, Roma, 2000)

Specie animale Parte Acqua Proteine Lipidi kcalorie kjoule

edule % grammi grammi grammi

Cervo (carne) 100 76,5 21,0 0,8 91 382

Daino (carne) 100 75,8 21,0 1,2 85 397

Fagiano (pronto da cuocere) 85 69,2 24,3 5,2 144 602

Quaglia (pronta da cuocere) 67 65,9 25,0 6,8 161 674

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 87

Page 87: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Harris M. Good to Eat. Riddles of Food and Cul-ture. Simon and Schuster, New York 1985 (Tra-duzione italiana. Buono da Mangiare. Enigmidel gusto e consuetudini alimentari. G. Einaudi,Torino, 1990)

Ip C. Lessons from Basic Research in Selenium andCancer Prevention. J. Nutr., 128, 1845-1854,1998

Kingsley P. Nei luoghi oscuri della saggezza. MarcoTropea Editore, Milano, 2001

Kulkarni A.D., Rudolph F.B., Van Buren Ch. T.The Role of Dietary Sources of Nucleotides inImmune Function: A Review. Symposium: Die-tary Nucleotides: A Recently DemonstratedRequirement for Cellular Development and Im-mune Function. J. Nutr., 124, 1442S - 1446S,1994

Mann N. Dietary lean red meat and human evolu-tion. European Journal of Nutrition, 39 (2), 71-79, 2000

O’Brien B. Cholesterol Metabolism Is AlteredWhen Rats Are Fed Either Beef Tallow as the

Only Dietary Fat or Fat Containing the LipidExtracts of Beef. J. Nutr., 124, 1112-1117, 1994

Patou-Mathis M. Les marques de boucherie auPaléolithique. Rev. Méd. Vét., 148, 959-968,1997

Pollit E., Haas J., Levitsky D.A. (Eds.). International Con-ference on Iron Deficiency and Behavioural Develop-ment.Am.J.Clin.Nutr.,50 (3),1989

Pollit E., Leiberl R.L. Iron Deficiency: Brain Bio-chemistry and Behaviour. Raven Press, 1982

Ranjit Kumar Chandra, Sobha Kumari. Nutritionand Immunity: An Overview. Symposium: Die-tary Nucleotides: A Recently Demonstrated Re-quirement for Cellular Development and Immu-ne Function. J. Nutr., 124, 1433S - 1435S, 1994

Scrimshaw N.S. La Carenza di Ferro. Le Scienze,47 (280), 16, 1991

Wurtman R.J. Le Science, n.166, p.54, 1982Wurtman R.J., Hefti F., Melamed E. Pharmacol.

Rew., 32, fasc.4, 1980Wurtman R.J., Wurtman J.J. (Eds.). Nutrition and

the Brain. Raven Press, 1977-1982

88

Capitolo II

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 88

Page 88: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Ittiofagia

L’ittiofagia, od il pesce ed altri animali ac-quatici come cibo, è una caratteristica dell’a-limentazione umana, che solo recentemente èstata studiata. Nel paradigma darwiniano,l’ittiofagia sembra avere avuto un ruolo im-portante nello sviluppo della nostra specie.Alle soglie del terzo millennio dell ’era cor-rente, dopo una storia preumana ed umanalunghissima, tutto dimostra che non stiamoperdendo il gusto dell’ittiofagia. Non soltan-to perché il pesce in tavola è troppo in altonella gerarchia dei piaceri perché vi si possarinunciare, ma anche perché non si deve tra-scurare l ’aspetto psicosociale del pesce che, inuna società edonistica come l’attuale e quellache si prefigura per il prossimo millennio, èdiventato preponderante.

Ittiofagia umana ancestraleQuando l’uomo ha incominciato a mangiareil pesce? Un’inquietante ed al tempo stessoaffascinante ipotesi è che l’ittiofagia (man-giare pesce) abbia avuto un ruolo non secon-dario nell’origine e nello sviluppo degli omi-nidi prima, delle specie preumane poi ed in-fine della nostra specie. Gli antropologi, co-me sostiene Michael Crawford dell’Istitutodi Chimica Cerebrale dell ’Università diLondra, oggi ipotizzano che ominidi da cuisi è evoluto l’Homo faber, comparso in Africadue milioni d’anni fa e dal quale deriva lanostra specie di Homo sapiens sapiens, si nu-trissero dei pesci, ricchi d’acidi grassi insatu-ri, che popolavano il Mar Rosso e le acqueche scorrevano nella grande spaccatura dellaRift Valley. Anche per quest’alimentazionele dimensioni del cervello umano sono au-mentate, mentre quello delle grandi scimmieche nelle savane si nutrivano soltanto di ve-getali e d’animali terrestri, poveri d’acidigrassi insaturi delle serie omega-3 ed ome-ga-6, rimaneva piccolo, in proporzione allamassa corporea. L’ancestrale, forse inizial-mente casuale scoperta del pesce, portò a

sviluppare o per lo meno favorì nuove atti-vità di raccolta e di caccia, incrementandofunzioni manuali e cerebrali, apportandonuovi e particolari acidi grassi favorevoli perlo sviluppo cerebrale ed il perfetto manteni-mento delle attività mentali e psicologiche,che si andavano formando. Su questa lineaMichael Richards dell ’Università diBradford (UK) stima che l’uomo di CroMagnon ha sopraffatto quello di Nean-derthal, oltre che per le migliori capacità in-tellettive, anche per una dieta che compren-deva il pesce, ricco d’acidi omega-3. Si è af-fermato che una delle caratteristiche umanesia la cucina. Il pesce alimentare non potreb-be essere stata un’orma, una prima traccia, ilsentiero poi ed infine la via percorsa nell’an-cora misterioso passaggio dal bestiale all’u-mano? È questa solo un’ipotesi: la “via delpesce” avrebbe segnato i primi passi dell’uo-mo, come dopo la “via del latte” avrebbe da-to avvio all’addomesticamento degli animali.

Pesce, cibo del cervelloIl pesce marino è particolarmente ricco d’a-cidi grassi polinsaturi della serie omega-3 edomega-6: molto nutrienti e considerati indi-spensabili per la vita e la salute, ad iniziareda una buona difesa contro le infezioni, masoprattutto per il corretto sviluppo cerebralenell’infanzia ed utili nella prevenzione d’ic-tus cerebrali e d’infarti del miocardio nell’etàdi mezzo e nella terza età. Gli acidi grassiinsaturi del tipo omega-3 ed omega-6 sonoun nutrimento essenziale per il cervello per-ché favoriscono la sintesi dei fosfolipidi, igrassi che rafforzano la struttura e rendonoottimale il funzionamento delle membranecerebrali.La presenza di questi acidi grassi insaturi as-sicura quindi un buon funzionamento delcervello. Il nostro organismo non è in gradodi sintetizzarli, ed il soddisfacimento delfabbisogno d’acidi grassi insaturi del tipoomega può avvenire attraverso il pesce ali-mentare, ripercorrendo una strada iniziata

89

Cibo e nutrizione

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 89

Page 89: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

circa due milioni d’anni fa. Per il pesce, riccod’acidi grassi insaturi del tipo omega-3 edomega-6 vale il detto “buono da mangiare,buono da pensare”, e sono alimenti che in-fluenzando positivamente il funzionamentocerebrale e quindi sono anche detti psicodie-tetici.Gli acidi grassi polinsaturi, soprattutto deltipo omega-3 ed omega-6 sono necessari al-l’uomo, soprattutto nel periodo dello svilup-po cerebrale, durante la vita fetale e l’infan-zia. Anche per questo motivo, sono presentiin sufficienti quantità nel latte materno, ov-viamente se la madre ha una corretta ali-mentazione. Una mancanza di questi acididurante lo sviluppo fetale e nei primi anni divita può influire negativamente sullo svilup-po cerebrale, con deficit intellettivi e predi-sposizione alle malattie cerebro-vascolari,sostiene il Dott. Gerard Hornstra, docentedi Nutrizione Sperimentale dell’Universitàdi Maastricht. Infatti, lo sviluppo cerebrale èmassimo nei primi periodi della vita ed as-sorbe fino al 70% dell’energia durante la vitafetale ed il 60% nel neonato. Se durante lagravidanza e l’allattamento, la madre non hasufficienti quantità d’acidi grassi insaturi, viè il rischio che il bambino nasca sottopeso esoprattutto con un sistema nervoso iposvi-luppato, un rischio che permane anche dopolo svezzamento se questo, come è frequentenei paesi industrializzati, avviene abbastanzaprecocemente.Nel passato il pesce era quasi imposto nell’a-limentazione per circa ottanta giorni l’anno(la quaresima, più i venerdì e le vigilie). Sitrattava di pesce conservato, ma anche fre-sco, di mare e di fiume o lago. Molte ricettetradizionali testimoniano dell’importanzaalimentare del pesce. In media oggi l’italianoha una disponibilità dai tre etti e mezzo aiquattro etti di prodotti ittici la settimana.Come tutti sanno, il pesce ha molto scarto,per questo si deve ritenere che la quantitàeffettivamente mangiata è di circa due etti equindi poco più di un pasto la settimana.

Veleni ed infezioni itticheTaluni pesci, come il fugu od il pesce palla,in particolari periodi della loro vita, possonoconcentrare nei loro organi (soprattuttoovaia, fegato ed intestino) potenti veleni. InGiappone, dove questi pesci sono oggetto digastronomia, sono necessari espertissimicuochi che sanno asportare le parti pericolo-se. Il fegato di molti pesci marini è inoltretossico e molte volte concentra i veleni cheprovengono dalle alghe. In modo analogodiversi molluschi dei mari caldi possonoconcentrare i veleni prodotti da talune alghe.Nelle carni di diversi pesci mal conservati eper l’azione di batteri, può essere presenteistamina e composti istaminosimili, che pro-vocano fenomeni tossici e sintomi di tipo al-lergico. Anche i pesci soffrono di malattie,ma salvo eccezioni, non sono trasmissibiliall’uomo. Inoltre i batteri e parassiti delle lo-ro malattie sono distrutti dalla cottura. Lasaggia abitudine di cibarsi di pesce e prodot-ti ittici cotti, e quindi sicuramente privi d’in-fezioni o parassiti, ha quindi un solido fon-damento. Per proteggere il consumatore neipunti di commercio e vendita dei prodottiittici, sia a livello internazionale sia naziona-le, esistono controlli sanitari. Per i pesci sel-vaggi, i maggiori rischi d’inquinamento ri-guardano il mercurio. Nei pesci d’alleva-mento, quali inquinanti possono essere pre-senti residui di farmaci usati per la cura delleloro malattie.

Preziosi grassi selvaggi dei pesciMolte delle caratteristiche dietetiche dei pe-sci dipendono dai loro grassi, che varianocome quantità nelle diverse specie ed in que-ste anche con la stagione. I grassi dei pro-dotti ittici hanno un particolare ruolo nutri-zionale perché sono facilmente digeribili equindi forniscono un’energia concentratache nel passato era indispensabile, per glistili di vita. Oggi è importante la qualità deigrassi dei prodotti ittici. Da tempo si eranosospettate, ma recentemente sono state con-

90

Capitolo II

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 90

Page 90: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

fermate importanti le attività extranutrizio-nali, se non veramente terapeutiche dei gras-si presenti nei pesci, in particolare di quellimarini. La qualità dei grassi dipende, infatti,dalla specie ittica, da come ha vissuto e si èalimentata. È importante ricordare che di-versi studi epidemiologici condotti in questiultimi anni hanno dimostrato che in popola-zioni con alto consumo di pesce marino lamortalità per malattie alle coronarie (infartocardiaco ecc.) è particolarmente ridotta,quindi si è anche parlato della Dieta Eschi-mese. I grassi del pesce, della frazione trigli-cerica ed ancor più di quella fosfolipidica,sono prevalentemente di tipo insaturo e ca-ratterizzati dalla presenza di composti del-l’acido alfa-linolenico (in particolare acidoeicosapentanoico o EPA, e decoesapentanoi-co o DHA), preziosi per una buona alimen-tazione umana. I grassi di pesce sono ancheparticolarmente ricchi d’acido oleico (circa il10 %), tipico componente dell’apprezzatoolio d’oliva, ma soprattutto d’acido arachi-donico (dal 15 al 25%) e dei già citati, parti-colari acidi grassi omega-3. Nei grassi di pe-sce, in particolare in quelli estratti dal fega-to, sono contenute importanti vitamine: vi-tamina D e soprattutto vitamina A, que-st’ultima in forma attiva e non sotto formadi provitamina, come nei vegetali dove sonopresenti i caroteni, che tuttavia esistono an-che nei pesci con carni salmonate.

Il pesce alimento terapeuticoI grassi dei prodotti ittici ed in particolaredi quelli marini e selvaggi (ma oggi precisericerche dell’INRAN sfatano quest’opinio-ne) sono in parte diversi di quelli dei mam-miferi e possono svolgere azioni extranutri-zionali. In qualche caso si è sospettata lapossibilità di qualche danno (come per l’aci-do cetoleico contenuto nelle aringhe), marecenti e ripetuti studi epidemiologici han-no confermato le caratteristiche del pescemarino selvaggio, ma anche d’allevamento,quale alimento terapeutico. Una terapia che

deve essere stimata naturale, perché si ricol-lega alle necessità nutrizionali umane, chederivano da una genetica con antichissimeradici.Malattie cardiovascolari. I rapporti tra cole-sterolo nel sangue e patologie vascolari dauna parte, e la presenza di pesce nella dietadall’altra, traggono spunto dall’osservazioneche tra gli Eschimesi della Groenlandia lemalattie cardiovascolari sono rare. L’alimen-tazione di questo popolo è a base di carne difoca e balena, a loro volta ricche d’olio dipesce marino. La Dieta Eschimese per laprevenzione delle malattie cardiache e so-prattutto dell’infarto, e per mantenere bassonel sangue il livello di colesterolo, propostada Hennekens, si basa su una dose di 350grammi di pesce il giorno (pari a quasi 128chilogrammi di pesce per persona e per an-no). Molto citato è anche l ’esempio delGiappone, dove il consumo medio annuo èdi circa 36 chilogrammi per persona, conuna mortalità da malattie delle coronariemolto bassa. Inoltre la mortalità di questotipo è ancora più bassa nell’isola d’Okinawa,dove ogni persona mangia circa 70 chilo-grammi di pesce l’anno (poco meno di dueetti il giorno). Anche studi olandesi hannodimostrato che vi è una correlazione tra laquantità di pesce mangiato e la riduzionedella mortalità per alterazioni alle arterie co-ronarie. Da qualche tempo è inoltre notoche anche nell’uomo un’alimentazione conapprezzabili quantità d’acidi grassi insaturiinfluisce sul metabolismo dei lipidi, sul tipoe la qualità delle proteine del sangue e so-prattutto sull’evoluzione dell’aterosclerosi esull’incidenza d’alcuni tipi d’ipertensione ar-teriosa, d’infarto miocardico e d’ictus apo-plettico.Artrite reumatoide e malattie infiammatorie.Le azioni sulle prostaglandine e leucotrienidegli acidi grassi omega-3 spiegano la capa-cità che una dieta a base di pesce grasso, odin misura minore anche dei suoi oli, ha diregolare le risposte infiammatorie. Da qui i

91

Cibo e nutrizione

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 91

Page 91: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

risultati favorevoli nell’artrite reumatoide ot-tenuti da J. M. Kremer del Medical Colleged’Albany (N. Y., USA) e da A.D. Steinberg.Non confermati i risultati nell’asma bron-chiale, emicranie, psoriasi ed anche esauri-mento nervoso.Attività psicodietetiche del pesce. Si è ipotizza-to che la composizione delle proteine delpesce, nelle quali non manca la tirosina, pos-sa influenzare la produzione dei neurotra-smettitori cerebrali noradrenalina o dopami-na, ma quest’attività non pare documentatanella pratica.Attività ormonali dei prodotti ittici. Per alcuniprodotti ittici è stata ipotizzata un’attivitàormonale, ma non ancora sufficientementedimostrata. Nelle ostriche si è enfatizzatauna particolare concentrazione di zinco, unmetallo che è noto avere interessanti azionifavorevoli all’immunità ed alla salute dellapelle, ma soprattutto è coinvolto nella pro-duzione dell’ormone della crescita e, pare,anche degli ormoni della riproduzione.Azioni immunitarie e cosmetiche dei prodottiittici. Le caratteristiche nutrizionali dei pro-dotti ittici, il loro buon contenuto in ami-noacidi essenziali ed in taluni minerali (adesempio zinco) e vitamina A, sono favorevo-

li ad una buon’attività del Sistema Immuni-tario e quindi di un’efficace resistenza alleinfezioni.

Bibliografia

Ackman R.G., Yurawecz M.P. (ed.). MossobaM.M. (ed.), Kramer J.K.G. (ed.), Pariza M.W.(ed.), Nelson G. Conjugated linoleic acid(CLA) in lipids of fish tissues. Advances inconjugated linoleic acid research, Volume-1,283-295, 1999

Baschetti R. Paleolithic nutrition. Eur. J. Clin. Nutr.51 (10), 715-716, 1997

Broadhurst C.L. Balanced intakes of natural trigly-cerides for optimum nutrition: an evolutionaryand phytochemical perspective. Med. Hypothe-ses, 49 (3): 247-261, 1997

Bulliyya G. Influence of fish consumption on thedistribution of serum cholesterol in lipoproteinfractions: comparative study among fish-consu-ming and non-fish-consuming populations. AsiaPac. J. Clin. Nutr., 11(2), 104-111, 2002

Bulliyya, G., Reddy K.K., Reddy G.P., Reddy. P.C.,Reddanna P., Kumari K.S. Lipid profiles amongfish-consuming coastal and non-fish-consuminginland populations. Eur. J. Clin. Nutr., 44 (6),481-485, 1990

Chen Wei Jao, Yeh Sung Ling, Chen W.J., Yeh. DS.L. Effects of fish oil in parenteral nutrition. Nu-trition, 19, 275-279, 2003

92

Capitolo II

Il pesce nell’alimentazione umana

Punti di forza del pesce1 – Proteine d’elevato valore biologico, pari a quelle degli animali da macello o da cortile.

2 – Grassi prevalentemente insaturi e pertanto buoni, quindi particolarmente indicati per l’alimenta-

zione umana.

3 – Presenza di particolari acidi grassi (omega-3) dotati d’importanti azioni sanitarie e nutrizionali.

4 – Presenza di Vitamine quali la A, D, PP e del Gruppo B.

5 – Elevata digeribilità e pertanto alimento leggero adatto anche per chi ha una digestione lenta.

6 – Facile masticabilità e quindi alimento indicato per chi ha problemi di masticazione.

7 – Basso livello calorico, nei pesci magri e semigrassi, e quindi particolarmente consigliato per diete

dimagranti.

Punti deboli del pesce1 - Il pesce non è un alimento completo e va utilizzato assieme ed altri, in particolare pane, pasta, ri-

so, polenta.

2 – Elevata deperibilità e quindi necessità d’usare pesci freschissimi o conservati convenientemente.

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 92

Page 92: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

93

Cibo e nutrizione

Cordain L., Eaton S. B., Miller J. B., Mann N., HillK. The paradoxical nature of hunter-gathererdiets: meat-based, yet non-atherogenic. Eur. J.Clin. Nutr., 56 Suppl 1, S42-52, 2002

Eaton S.B., Eaton S.B. 3rd, Sinclair A.J., CordainL., Mann N.J. Dietary intake of long-chainpolyunsaturated fatty acids during the paleo-lithic. World Rev.Nutr. Diet. 83, 12-23, 1998

Eaton, S.B. What did our late paleolithic (preagri-cultural) ancestors eat?. Nutr.Rev., 48 (5), 227-230, 1990

Eaton, S.B.; Eaton, S.B. 3rd; Konner, M.J. Paleo-lithic nutrition revisited: a twelve-year retrospec-tive on its nature and implications. Eur. J. Clin.Nutr., 51(4), 207-161, 1997

Givens D. (ed.), Frayn K.N. Fats in the diets of ani-mals and man, Birmingham, UK, 9 May, 1996,British Journal of Nutrition., 78: Supplement 1,1997

Haenel, H. Phylogenesis and nutrition. Nahrung.,33 (9), 867-887, 1989

Hiroyasu I. e coll. J. Am. Med. Assoc., 285, 304-312, 2001 (Assunzione di pesce ed acidi grassiomega-3 con la dieta e rischio d’ictus nelle don-ne)

Kee C.D. Dietary habits and the state of the humanoral cavity in the prehistoric age. Taehan-Chikkwa Uisa Hyophoe Chi., 28 (6), 555-558,1990

Larsen T., Thilsted S.H., Kongsbak K., HansenM.T.I. Whole small fish as a rich calcium sour-

ce. British Journal of Nutrition, 83, 2, 191-196,2000

Macchiarelli R. Prehistoric “fish-eaters” along theeastern Arabian coasts: dental variation, morpho-logy, and oral health in the Ra’s al-Hamra com-munity (Qurum, sultanate of Oman, 5th-4thmillennia BC). Am. J. Phys. Anthropol., 78 (4),575-594, 1989

Niyongabo A., Youyou A., Legerr CL. et alii. Ef-fects of dietary crude palm oil, fish oil and theirassociation on cholesterol and lipoprotein con-stants in rats wich could be beneficial in humans.Intern. J. Vitamin and Nutr. Res., 69, 330-336,1999

Steffens W., Wilson R.P. (ed.), Wee K.L. Effects ofvariation in essential fatty acids in fish feeds onnutritive value of freshwater fish for humans.Proceedings of the sixth international sympo-sium on feeding and nutrition in fish, Hobart,Australia, 4-7 October 1993, Aquaculture. 151,1-4, 97-119, 1997

Yurawecz M.P. (ed.), Mossoba M.M. (ed.), KramerJ.K.G. (ed.), Pariza M.W. (ed.). Nelson G.J. Ad-vances in conjugated linoleic acid research, volu-me 1 - VII + 480 pp, 1999

Ziegler O., Got I., Jan P., Drouin J.P. Diet treat-ment of hypercholesterolaemias. From theory topractice. Traitement dietetique des hyperchole-sterolemies. De la theorie a la pratique. Annalesde Cardiologie et d’Angeiologie, 38, 5, 249-253,1989

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 93

Page 93: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Lattofagia: dalla naturale lattofobia allalattofilia culturale

Con il latte, l ’evoluzione ha sviluppato unalimento naturale, specifico per ogni specieanimale. Con la domesticazione d ’alcunianimali, l ’uomo ne ha utilizzato il latte,trasformandolo in un alimento culturale, conproblemi d’intolleranza, superati con le bio-tecnologie casearie. Infatti, lo yogurt, in Ita-lia il più noto dei latti fermentati, è l ’espres-sione di una delle più antiche vetero-biotec-nologie inventate dall’uomo. I latti fermen-tati hanno indotto la selezione di una muta-zione genetica che ha creato le popolazioniumane lattofile.

Latte, alimento innaturale per l ’adulto, ed alimentazione darwinianaI mammiferi, nel corso della loro evoluzionebiologica, hanno inventato e sviluppato illatte, che costituisce una particolare alimen-tazione del neonato, e gli fornisce i nutrientinecessari per lo sviluppo. Per questo, ognispecie di mammiferi ha il suo latte partico-lare. Superata la fase neonatale, durante laquale la ghiandola mammaria produce unasecrezione particolare, il colostro, ed il perio-do dell’allattamento, il latte scompare dall’a-limentazione. Il latte, non è una provocazio-ne, è un alimento innaturale per gli individuidella specie umana che hanno più di quattro,al massimo cinque anni d’età quando, secon-do la biologia umana, l’allattamento s’inter-rompe.La nostra specie, dalla sua comparsa sullaterra circa 150.000 anni fa, fino a qualchemigliaio d’anni fa, non conosceva il latte ali-mentare, salvo quello dell’allattamento al se-no del neonato. Il latte compare, e solo peralcune culture, con la pastorizia, quandol’uomo diviene un lattofago: mangiatore dilatte e suoi derivati. Queste culture che sonodette “lattofile”, in contrapposizione alla na-turale “lattofobia”, vale a dire non accetta-zione culturale del latte.

Antiche culture dell’area indoeuropea hannosviluppato la pastorizia, con domesticazioned’animali da latte, e non è agevole compren-derne i motivi e soprattutto l’esatto svolgi-mento di quella che è stata definita la via dellatte della domesticazione. Nelle popolazioniadulte umane antiche e precedenti ogni tipod’agricoltura ed allevamento, il latte non erapresente. In queste culture, non lattofile anzilattofobe, si rileva una diffusa intolleranza allattosio del latte. Come si è passati da unanaturale lattofobia all’attuale lattofilia delleculture africane ed occidentali? È da ritenereche il formarsi della lattofilia sia passato at-traverso una modificazione culturale del lat-te, trasformato in latte acido (yogurt ecc.) edin latte cagliato e suoi derivati (formaggi, ri-cotte ecc.). Queste trasformazioni eliminanola totalità o gran parte il lattosio, e questopuò aver reso possibile la selezione di lineegenetiche umane lattosio-tolleranti, adatteall’alimentazione con latte non trattato.Perché l’uomo, probabilmente la donna, hacercato e sviluppato la lattofilia? È da ritene-re che nei latti acidi o caseificati siano pre-senti e forse esaltate alcune attività extranu-trizionali del latte, ad esempio l’attività op-pioide (simile alla morfina) della beta-casei-na. Tra le attività extranutrizionali del latte ènecessario considerare i seguenti aspetti diparticolare importanza.1 - Influenza delle attività extranutrizionali

del latte nella domesticazione animale,secondo la cosiddetta via del latte.

2 - Tradizioni d’uso del latte in rapporto allesue attività di tipo salutistico e di “elisirdella giovinezza”.

3 - Uso tradizionale del latte nei diversi pa-sti giornalieri.

4 - Uso tradizionale del latte in associazionecon altri alimenti ed in particolare cereali.

In questa prospettiva bisogna considerarecome e perché il latte animale è divenuto unalimento per una buona parte dell’umanità,assumendo una valenza d’alimento femmi-nile, contrapposta all’alimento maschile rap-

94

Capitolo II

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 94

Page 94: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

presentato dalla carne, almeno secondo laconcezione proposta dall’Adams (1990).Credenze tradizionali sul latte, consolidatein un ben articolato immaginario sociale etalvolta individuale, trovano conferma nelleattività extranutrizionali recentemente indi-viduate in quest’alimento, che indubbiamen-te dimostra una sua peculiarità rispetto atutti gli altri, e che gli deriva dal fatto d’esse-re l’unico alimento progettato ed elaboratodalla natura esclusivamente a questo scopo,anche se con caratteristiche adatte alle ne-cessità biologiche e comportamentali di cia-scuna specie, come sta indicando l’alimenta-zione darwiniana. In quest’ultimo orienta-mento sono interessanti le caratteristichespecie - specifiche del latte e bisogna attirarel’attenzione sulle conseguenze delle manovregenetiche in corso sui bovini delle razze dalatte e volte a modificare le caratteristichenutrizionali (ad esempio energia) ma ancheextranutrizionali (ad esempio riduzione dellabeta-caseina) del latte, come pure i rapportiche esistono tra modello alimentare, dieta espettro acidico dei grassi del latte. Il latte,come molti altri alimenti, ha avuto e man-tiene un vasto e complesso immaginario so-ciale ed individuale, che va da una vera epropria cultura del latte, talvolta mitizzata,ad un’avversione che può anche divenire fo-bia. Entrambi gli atteggiamenti hanno va-lenze culturali collettive ed individuali. Ilcomplesso fenomeno della mitizzazione edella fobia del latte ha importanti riflessi an-tropologici, che sono stati più volte affronta-ti sotto diverse prospettive, alle quali si è re-centemente aggiunta (non sostituita) quelladelle caratteristiche extranutrizionali del lat-te. In quest’ambito bisogna rilevare l’impor-tanza oggi attribuita al latte, in ambito d’ali-mentazione darwiniana.

Diversità dei latti, alimenti funzionali e nutraceuticiUn dato a prima vista sconcertante è l’estre-ma diversità compositiva del latte nelle di-

verse specie di mammiferi. Nulla in biologiaha senso, se non alla luce dell’evoluzione, haaffermato Theodosius Dobzhansky e tuttodiviene chiaro se la composizione del latted’ogni singola specie è riferita alle specifichenecessità del neonato e del tipo di rapportomadre - figlio, quindi in un’ottica funziona-le, e il tutto è considerato nell’ambito dellanutrizione evoluzionista.La composizione e le caratteristiche del latte,interpretate in un contesto evoluzionistico,sono funzionali alle caratteristiche somatichee comportamentali della specie e soprattuttodel rapporto madre e figlio, il tutto finalizza-to al successo della specie. È tuttavia da rile-vare che alcune caratteristiche funzionali trava-licano la specie e possono essere interspecifiche. Illatte deve essere considerato come un Ali-mento Funzionale Specie - specifico, ma ancheun Alimento Funzionale Interspecifico.Il latte Alimento Funzionale Specie – specifico.Il latte d’ogni specie animale, uomo compre-so, ha una composizione adeguata alle carat-teristiche funzionali del neonato e della pri-ma infanzia ed in modo particolare velocitàdello sviluppo del corpo e del cervello.Il latte Alimento Funzionale Interspecifico. Ènoto che la “via del latte” è una delle chiaviinterpretative dell’ancora poco noto pro-cesso che ha portato alla domesticazioneanimale. Una via, quella dello scambio del-le madri e dei cuccioli tra specie diverse,che ha sfruttato non solo gli aspetti nutri-zionali (energetici, proteici ecc.), ma anchefunzionali.Il latte, come molti altri alimenti, ha avutoe mantiene un vasto e complesso immagi-nario sociale ed individuale. Quest’aspettoè stato dettagliatamente analizzato sottol’aspetto culturale ed antropologico ed èquasi un obbligo ricordare l’analisi di Mar-vin Harris (1990) che in modo molto inci-sivo ha distinto le culture lattofile da quellelattofobe. In quest’ambito e per le loro spe-ciali caratteristiche, i latti sono da conside-rare anche alimenti nutraceutici.

95

Cibo e nutrizione

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 95

Page 95: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Attività farmacologiche del latteIl latte è noto per le sue caratteristiche tipica-mente nutrizionali (apporto d’energia, pro-teine, vitamine e sali minerali, acidi grassiecc.). La sua composizione nutrizionale èmolto complessa e va acquisendo dettaglisempre più fini, man mano che si utilizzanometodi analitici raffinati: a questo riguardobasterebbe citare gli ormoni e gli enzimi checontiene. Il latte è dotato anche di caratteri-stiche extranutrizionali dovute a molecolecon attività sulle cellule e sugli organismi vi-venti, che lo fanno inserire tra gli alimentinutraceutici. Che il latte ed i suoi derivatifossero una “medicina” era presente in molteculture umane. Con il progredire delle ricer-che, si assiste all’identificazione di nuove mo-lecole, presenti nel latte e nei suoi derivati,con particolari attività. Attività extranutrizio-nali del latte di tipo psicodietetico permetto-no di collegare quest’alimento a situazioni dibenessere organico (eucenestesi) ed a statiemozionali, con possibili influenze sul com-portamento individuale e sociale. Il latte èdotato d’attività antinfettive, che derivano dalsuo contenuto anticorpale, cellule somatiche, li-sozima (attivo in particolare sui batteri Grampositivi), chelazione del ferro esercitata a livellointestinale dalla lattoferrina, casomorfine. Illatte è provvisto di vitamine di cui è nota l’at-tività antinfettiva, come la vitamina A e la vi-tamina C. Il latte a livello gastrointestinalepresenta attività antiacide legate al poteretampone delle sue proteine ed all’elevataquantità di sali minerali, soprattutto di calcio.Recentemente sono state messe in evidenzale azioni regolatrici della motilità intestinaledelle casomorfine, l’azione favorente l’assorbi-mento del calcio esercitata dal lattosio e le fun-zioni regolatrici dell’assorbimento ed utiliz-zazione del colesterolo alimentare. Il lattosio(e non l’acido lattico) interviene in senso po-sitivo nell’assorbimento intestinale del calcio.Questa caratteristica dà ragione del perché siottengano risultati positivi con diete che pre-vedono limitate quantità di latte, che favori-

sce l’assorbimento del calcio presente anchenei vegetali. È da tempo noto che gli africaniMasai hanno una bassa colesterolemia, nono-stante l’elevato uso alimentare di latte, ovvia-mente in uno stile di vita che vede un’intensaattività muscolare e, probabilmente, ancheper fattori genetici. Benché non sia stato an-cora ben definito, tutto porta a ritenere che ilfattore anticolesterolo sia da identificare con ifosfolipidi di cui il latte è abbastanza ricco eche si trovano prevalentemente nello stratoproteico che ricopre i globuli di grasso. Nellatte di vacca i fosfolipidi ed il colesterolo so-no in rapporto di circa 2,84:1 ed inoltre ilcontenuto di colesterolo nel latte di vacca ènettamente inferiore a quello di donna (mg12,30 contro 25 mg/Mj). Nel latte intero ilrapporto fosfolipidi/colesterolo risulta favo-revole ad un controllo della colesterolemia,agevolando la formazione di HDL. In base arecenti indagini sui neuromediatori e sulleazioni di tipo neurocomportamentale svoltedal latte, sono da considerare in modo parti-colare le casomorfine, taluni aminoacidi e com-posti vitaminico-simili. Recenti indagini indi-cano come i grassi del latte hanno rilevantiattività salutistiche, in particolare di tipo ex-tranutrizionale: azione antinfettiva tramiteuna migliore immunità; attività psicodietetiche;attività anticancerogene; attività ormonali, di-rette ed indirette. Le singole attività extranu-trizionali tendono a potenziarsi a vicenda,con un risultato di norma superiore alla som-ma dei singoli effetti. È anche in questa pro-spettiva che, recentemente, Linda K. Massey(2001) ha interpretato l’attività favorevole dellatte nel contenimento dell’ipertensione arte-riosa e nella riduzione del rischio d’ictus.

Intolleranza al lattosio e lattofobiaIl latte contiene una proteina (caseina) e so-prattutto uno zucchero (lattosio) che per es-sere digeriti hanno bisogno di particolari en-zimi. Qui c ’interessa, in particolare, lalattasi, l’enzima che scinde il lattosio in zuc-cheri semplici (glucosio e galattosio). Solo

96

Capitolo II

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 96

Page 96: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

gli zuccheri semplici sono utilizzati ed as-sorbiti dall’intestino. I neonati di tutti imammiferi, nel loro intestino, hanno la lat-tasi, che scompare quando cessa l’allatta-mento. Più in dettaglio, la lattasi è, di nor-ma, presente nell’intestino del feto (dallaventitreesima settimana) ed ha la sua massi-ma concentrazione nel neonato e nel bambi-no allattato. Successivamente, dal sesto mesedi vita, l’enzima diminuisce per raggiungere,nell’adulto, valori di circa un decimo dell’at-tività enzimatica del neonato, potendo anchescomparire completamente. La produzionedella lattasi e la durata di questa nell’arco dellavita, sono regolate da geni.Il lattosio del latte, nell’intestino di personeche non hanno la lattasi, va incontro a fer-mentazione batterica, con la produzione del-l’irritante acido lattico, con una diarrea aci-da, più o meno intensa. Inoltre, il lattosionon scisso dalla lattasi, richiama acqua edaumenta il contenuto intestinale. Ne conse-guono gonfiori intestinali ed una diarrea aci-da, tipica dell’intolleranza. Quando manca lalattasi si ha intolleranza al latte che contienelattosio (non ai latticini, che ne sono privi).L’intolleranza al lattosio può essere primariao secondaria.L’intolleranza al latte sarà più in dettaglioesaminata tra le patologie alimentari. Qui èutile dare un breve cenno al problema di co-me dall’intolleranza al latte si sia passati allatolleranza al latte.Gli adulti di popolazioni umane “naturali”,sono costituzionalmente privi di lattasi equindi non tollerano il latte. Una situazioneche ancor oggi ritroviamo nei cinesi, ameri-cani precolombiani, aborigeni australiani edell’oceano Pacifico ecc. Queste popolazionifanno parte delle culture dette anche lattofo-be, avverse al latte. L’alactasia (mancanza dilattasi che provoca l’intolleranza) ha un’inci-denza molto diversa nelle popolazioni uma-ne: si passa dal 3% in Svezia e Danimarca, al100% in Giappone e molte aree dell’Asia eAfrica. In Italia, con differenze tra setten-

trione e meridione, l’alactasia è presente nel40% della popolazione. Queste diverse per-centuali sono da interpretare secondo l’evo-luzione della specie uomo.La genetica che corrisponde all’alactasia, conil 100% d’intolleranza al latte nell’età adulta,è da ritenere “primitiva”. Invece la variante“persistenza della lattasi”, che determina latolleranza al latte e come vedremo a propo-sito delle popolazioni lattofile, è da ritenereconseguenza della selezione di una mutazio-ne. Questa selezione sarebbe stata possibiledall’alimentazione con latti fermentati, neiquali i batteri lattici, ed in particolare loStreptococcus termophilus, elaborano l’enzimamancante.

Popolazioni umane lattofileVi sono popolazioni umane nelle quali si èverificata una mutazione genetica e si è sele-zionata la “varietà” nella quale la produzionedi lattasi continua per tutta la vita. In questocaso di parla di popolazioni lattofile, amantidel latte. Fanno parte di culture lattofile lepopolazioni europee che, fin dalla preistoria,hanno sviluppato l’allevamento del bestiamee la produzione del latte, anche per procurarsila preziosa vitamina D. Come dimostrano di-verse ricerche, le popolazioni d’adulti cinesi,negri africani, indigeni americani, australianie tanti altri popoli, presentano una più o me-no assoluta intolleranza al lattosio. L’intolle-ranza al lattosio interessa il 20% della popo-lazione bianca d’origine europea (con puntesino al 40% in Francia), circa il 75% dei negridell’America settentrionale, ma in Africa edin Asia (estremo oriente) con certe popola-zioni si arriva al 100%. In Italia meridionale,come in altri paesi mediterranei, l’intolleran-za al lattosio è parziale (in Italia, infatti, que-st’intolleranza passa dal 51% al nord al 71%al sud). La presenza del gene che mantiene laproduzione dell’enzima lattasi è un cambia-mento del genoma umano, molto importanteper lo sviluppo alimentare di molte popola-zioni umane.

97

Cibo e nutrizione

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 97

Page 97: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Mutazione genetica della lattofiliaCom’è stato possibile sviluppare una culturadel latte, in popolazioni umane che n’eranointolleranti e nelle quali quest’alimento pro-vocava disturbi? In modo schematico, oggi siritiene che tutto iniziò circa seimila, ottomi-la anni fa, con la produzione di latte acido,più comunemente conosciuto come yogurt,attraverso quella che oggi è considerata unaveterobiotecnologia. Il lungo ed ancora oscuroperiodo della transizione neolitica sfocia inquella che può essere definita come la rivo-luzione dell’età del bronzo, sulla quale si ba-sa lo sviluppo delle culture eurasiatiche chehanno come centro la Fertile Mezzaluna,che tanta importanza ha avuto nell’originedella moderna cultura occidentale. In questarivoluzione dell’età del bronzo, incomincia-mo a scoprire una serie d’eventi che nonpossono essere semplici coincidenze. Tra glieventi di rilievo nella rivoluzione dell’età delbronzo, e con un ruolo non secondario, vi èla comparsa, il diffondersi ed il differenziarsidelle vetero-biotecnologie dei latti fermen-tati, in stretta associazione ad una variazionegenetica di una parte della popolazioneumana. È intuitivo come nelle popolazioniumane intolleranti al lattosio non si è svilup-pato un uso alimentare del latte negli adulti.Al massimo e solo tardivamente si è svilup-pato l’uso alimentare di derivati del latte pri-vi di lattosio, come il formaggio ed, in certecondizioni climatiche ed ambientali, il bur-ro. La tolleranza al lattosio, per la quale l’or-ganismo umano mantiene per tutta la vita lacapacità di elaborare la lattasi necessaria alladigestione del lattosio del latte, è una varia-zione genetica, ereditaria, solo parzialmentedominante negli ibridi per il carattere. Lavariazione genetica “tolleranza al lattosio”(che per comodità indicheremo come GL o“gene lattasi”) è certamente comparsa piùvolte ed in molte popolazioni, ma non si èpotuta selezionare e diffondere per la già in-dicata mancanza di latte nell’alimentazionedegli adulti. Questa selezione è però avvenu-

ta in alcune popolazioni eurasiatiche, incoincidenza della rivoluzione dell’età delbronzo, in rapporto allo sviluppo e diffusio-ne dei latti fermentati. Nei latti fermentatiuna parte (solo una parte) del lattosio è tra-sformato in acido lattico od in alcole etilico.Inoltre i batteri lattici presenti nel latte fer-mentato elaborano enzimi, come la beta-ga-lattosidasi, che scindono il lattosio e man-tengono la loro attività dopo l’ingestione. Inaltri termini la fermentazione del latte primadella sua ingestione supera almeno in buonaparte i problemi connessi all’intolleranza al lat-tosio e diviene un elemento indispensabile allaselezione e diffusione del gene GL in una popo-lazione. In una popolazione nella quale il ge-ne GL è largamente diffuso si associa unsempre più vasto uso del latte. Si tratta dellegià citate popolazioni lattofile, nettamenteseparate dalle lattofobe.

Evoluzione culturale e biologica delle popola-zioni, da lattofobe a lattofileSe le popolazioni lattofobe rappresentano lanormalità ancestrale, le popolazioni lattofile,divenute tali soprattutto attraverso i lattifermentati, assumono i caratteri di un’inno-vazione, che non riguarda soltanto gli aspettialimentari, nutrizionali e sanitari, ma che as-sume ruoli più ampi. Lattofilia e lattofobiasono espressione di un’evoluzione culturaleche si è sviluppata in stretto rapporto conuna mutazione genomica e quindi con un’e-voluzione biologica. Lattofilia e lattofobia siassociano anche ad altre condizioni e sonodue situazioni antropologiche complesse,con numerose conseguenze. Riferendoci allarivoluzione dell’età del bronzo avvenuta nel-l’area delle popolazioni lattofile dell’area eu-rasiatica, si è notato che l’utilizzo alimentaredel latte, si associa all’impiego dell’aratro edel carro, con tutte le implicazioni sociali edeconomiche correlati. Le popolazioni umanelattofobe in quanto intolleranti al latte sonole stesse che o non conoscono i due stru-menti (anche se, magari, come certe popola-

98

Capitolo II

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 98

Page 98: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

zioni dell’America precolombiana, conosce-vano la ruota) o, conoscendoli, come il casodei cinesi, sino ad ieri li impiegavano, parti-colarmente il carro, prevalentemente conuna trazione umana. Questo potrebbe signi-ficare che lo sviluppo dell’allevamento per laproduzione del latte “promuove” anche l’im-piego degli animali ai fini da traino. L’aratroed il carro, oltre che essere tra loro collegatinell’ambito della genesi della città, costitui-scono l’epicentro d’altri grandiosi processi,

quali la progressiva prevalenza della struttu-ra familiare patrilineare, con predominio delmaschio e del matrimonio virilocale (cioè lanuova famiglia si costituisce nel luogo di re-sidenza del marito) e quindi, in seguito, gra-zie all’accentramento di tipo maschile, dellanascita dello stato. In precedenza la prepon-deranza era invece di chi ammassava il cibo,lo conservava e lo trasformava, lo distribui-va: la madre di famiglia. Non è infine da sot-tacere il rilievo che le culture lattofobe sonoanche quelle nelle quali vi è stato un mag-giore sviluppo di droghe. Un rilievo che sicollegherebbe alle attività extranutrizionali

99

Cibo e nutrizione

Caratteristiche principali che diversifica-no i latti nei mammiferi

– Livello energetico

– Ripartizione dell’energia, tra quella fornita

dai grassi e dagli zuccheri

– Contenuto proteico

– Qualità delle diverse proteine

– Qualità dei grassi

– Contenuti in minerali

– Contenuti in vitamine

– Attività antinfettive aspecifiche e specifiche

Aspetti funzionali dei latti nei mammiferi

– Caratteristiche della prole (atta o inetta)

– Tipo d’allattamento (continuo od intermitten-

te)

– Necessità energetiche del neonato, in relazio-

ne alle condizioni climatiche ambientali

– Velocità d’accrescimento corporeo del neona-

to

– Entità d’accrescimento di taluni apparati, in

special modo quello nervoso

– Durata dell’allattamento più favorevole, per il

neonato e la madre

– Caratteristiche comportamentali della specie

– Tipologie microbiologiche dell’apparato dige-

rente

Funzioni del latte in un’alimentazioneevoluzionista

– Da alimento per l’infanzia ad alimento per

tutte le età

– Da alimento e nutrimento a modulatore orga-

no-specifico

– Attività neuro-ormonali e psicodietetiche del

latte

– Additivazione organica nell’evoluzione della

nutrizione umana: alimento funzionale in

un’alimentazione modellata

Attività funzionali del latte

– Funzioni nutrizionali

– Qualità delle caseine

– Spettro e tipologia degli acidi grassi

– Induzione enzimatica

– Protezioni anticorpali specifiche

– Funzioni protettive

– Intersupplementazione aminoacidica

– Funzioni prebiotiche

– Attività di stimolo e regolazione delle fermen-

tazioni lattiche

– Attività bifidogena

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 99

Page 99: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

del latte e dei suoi derivati, in particolare ca-somorfine ed altri composti peptidici adazione neuro-ormonale.

Veterobiotecnologia dello yogurt e mutazionegenomica umanaAlcune, importanti conclusioni sull’alimen-tazione darwiniana del latte e suoi derivati

s’impongono. La prima è che, nella specieumana, diversamente dagli animali, la cultu-ra interviene, in misura rilevante, nel rap-porto tra costituzione genetica ed alimenta-zione. La seconda considerazione riguardagli effetti genetici sulla popolazione umanadi una delle più antiche e tradizionali vete-ro-biotecnologie, quella della fermentazione

100

Capitolo II

Peptidi biologicamente attivi derivati dalle proteine del latte (da Schlimme e Melsel, 1994)

Peptidi attivi Precursore proteico Attività biologica

Casomorfina Alfa e beta-caseina Agonista oppioide

Alfa-lattorfina Alfa-lattalbumina Agonista oppioide

Beta-lattorfina Beta-lattoglobulina Agonista oppioide

Lattoferoxina Lattoferrina Antagonista oppioide

Casoxina Kappa-caseina Antagonista oppioide

Casokinine Alfa-Beta-caseina Antipertensivo

Casoplatelina Kappa-caseina, transferrina Antitrombotico

Immunopeptidi Alfa-Beta-caseina Immunostimolante

Fosfolipidi Alfa-Beta-caseina Trasporto minerali

Frequenza dell’allele recessivo dell’intolleranza al latte (assenza di lattasi intestinale nel-l’adulto) in diversi gruppi etnici (da Kretchmer, 1972)

Frequenza allele recessivo Intolleranza al latte (da 0 a 1)

Svedesi 2 0,140

Europei 4 0,200

Svizzeri 10 0,316

Americani caucasici 12 0,346

Finlandesi 18 0,424

Africani tussi 20 0,447

Africani fulani 23 0,480

Americani neri 75 0,870

Australiani aborigenI 85 0,922

Africani bantu 89 0,943

Cinesi 93 0,964

Thailandesi 98 0,99

Americani indiani 100 1,000

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 100

Page 100: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

del latte. Infatti, applicando all’alimentazio-ne umana la biotecnologia dei latti fermen-tati, dalla genetica “naturale” d’intolleranzaal lattosio, si è passati ad una nuova geneti-ca, di tolleranza al lattosio. Una terza consi-derazione riguarda l ’immagine culturale deilatti fermentati e lo yogurt. Questi alimenti, chenell ’immaginario popolare sono quasi simbolodi naturalità, hanno invece provocato una va-riazione genetica nelle popolazioni umane, perfortuna benefica, che oggi sarebbe giudicata perlo meno inquietante!

Bibliografia

AA.VV. Il latte e i suoi derivati come fonte alimen-tare di calcio. SISA, Milano, 1991

AA.VV. L’intolleranza al lattosio nella pratica clini-ca: credenze, timori, comportamenti clinici erealtà. Convegno Policlinico di Verona, 9 giugno2001

AA.VV. Latte e derivati: tra tecnologia e nutrizio-ne. Attualità della ricerca. International Con-gress, Roma, 7 giugno 1994

Adams Carol J. The Sexual Politics of Meat. A Fe-minist-Vegetarian Critical Theory. Continuum,New York, 1990

Ballarini G. Il latte e la vita, Silvana Editrice, Mila-no, 1994

Ballarini G. Rischi e virtù degli alimenti, Calderini,Bologna 1989

Bayless T.M., Rosenweig N. . A racial difference inincidence of lactase deficiency. J.A.M.A., 197,138, 1966

Bourre J.M. La Dietetica del Cervello. Sperling &Kupfer, Milano, 1992

Cope R.B., Bosnic M., Boehn-Wilcox Ch. et alii.Dietary butter protects against ultraviolet radia-tion-induced suppression of contact hypersensi-tivity in Skh:HR-1 hairless mice. J. Nutr., 126,681-692, 1996

Dahlquvist A. The Milk Allergy and Lactose Into-lerance. Support Group, Adelaide, 1983

Dahlqvist A. Intestinal disaccharidases in: Durand(1964)

101

Cibo e nutrizione

Incidenza media dell’intolleranza al lattosio negli adulti d’alcune popolazioni (da Dahlq-vist, 1993, Franzé e Nervi, 2002)

Paese Percentuale d’intolleranza

Svezia 3

Danimarca 3

Finlandia 16

Svizzera 17

Inghilterra 20 – 30

Francia 40

Italia 40

Africa 100

Giappone ed Estremo Oriente 100

Cina 90

Asia 95

Australia 84

Stati Uniti – Popolazione bianca 10

Stati Uniti – Popolazione nera 73

Russia Europea ed Asiatica (URSS) 19-20 / 40-90

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 101

Page 101: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Dancer J.B. (Ballarini G.). Il triangolo culinario.Calderini, Bologna, 1984

Di Stefano M., Veneto G. Lactose malabsorptionand intolerance in the elderly. Scan. Gastroente-rol., 36, 1274-1278, 2001

Di Stefano M., Veneto G. Lactose malabsorptionand intolerance in the elderly. Scan. Gastroente-rol., 36, 1274-1278, 2001

Dillehay D.L., Webb S.K., Schmelz E.M. et alii.Dietary sphingomyelin inhibits 1,2-dimethylhy-drazine-induced colon cancer in CFI mice. J.Nutr., 124, 615-620, 1994

Durand P. (ed.). Disorders due to intestinal defecti-ve carbohydrate digestion and absortion. Il Pen-siero Scientifico, 1964

Durand P., Della Cella G. Nuove acquisizioni sulleintolleranze primitive e secondarie ai carboidrati.La Clin. Ter., 35, 401, 1965

Franzè A., Nervi G. Intolleranza al lattosio: cause,effetti, rimedi. Alimentazione e Benessere, 4, fa-sc. 3, 2-6, 2002

German J.B., Dillar C.J., Ward R.E. Bioactive com-ponents in milk. Curr. Opin. Clin. Nutr. Metab.Care, 3, 653-658, 2002

Hu Y.F., Chang C.J.G., Brueggmeier R.W., LimY.C. Presence of antitumor activities in the milkcollected from gossipol-treated dairy cows. Can-cer Lett., 87, 17-23m 1994

Ip C., Briggs S.P, Haegele A.D., Thompson H.J. etalii. The efficacy of conjugated linoleic acid inmammary cancer prevention is independent ofthe level or type of fat in the diet. Carcinogene-sis, 17, 1045-1050, 1996

Johnson J.D., Simoons F.J., Hurwitz R. et alii.Lactose malabsorption among the Pima indiansof Arizona. Gastroenterol., 73, 1299-1304,1977

Johnson J.D., Simoons F.J., Hurwitz R. et alii. Lac-tose malabsorption among adult Indians of theGreat Basin and American Southwest. Am. J.Clin. Nutr., 31, 381-387, 1978

Klurfeld D.M., Weber M.M., Kritchevsky D.Comparison of semipurified and skim milk pro-tein containing diets on DMBA-induced breastcancer in rats. Kiel. Milchwirtschaft. Forschun,35, 421-422, 1993

Klurfeld D.M., Weber M.M., Kritchevsky D. Inhi-bition of chemically induced colon or breast can-cer by milk fat and milk solids. Fed. Proc., 42-802, 1983

Kretchmer N. Lactose and Lactase. Scientific Ame-rican, October 1972

Lin H., Boylstoiin T.D., Chang M.J. et alii - Sur-

vey of the conjugated linoleic acid contents ofdairy products - J. Dairy Sci., 1995, 2358-2365,1995

Maffeo G. Funzione ed attività biologica di alcunipeptidi nel latte. Obiettivi e Documenti Veteri-nari, nov. 1989, pag. 11

Maiuri L., Raia V. Mosaic pattern of lactase expres-sion by villous enterocytes in human adult-typehypolactasia. Gastroenterology, 100, 359-369,1991

Marenco G., Ghibaudi D., Meraviglia A. Intolle-ranza al lattosio nell’adulto. Minerva Pediatrica,22, 505-513, 1970

Marvin H. Buono da mangiare, Einaudi, Torino,1990

Massey L.K. Dairy food consumption, blood pres-sure and stroke. J. Nutr., 131, 1875-1878, 2001

Murgia F. L’intolleranza al lattosio: una carenza subase genetica. Scientific Nutrition Today Bookn. &, 2002

Parodi P.W. Conjugated linoleic acid: an anticarci-nogenic fatty acid present in the milk. Aust. J.Dairy Technol. 49, 93-97, 1994

Parodi P.W. Cows’ milk fat components as potentialanticarcinogenic agents. J. Nutr., 127, 1055-1060, 1997

Parodi P.W. Milk fat components: possible chemo-preventive agents for cancer and other diseases.Aust. J. Dairy Thecnol., 51, 24-32, 1996

Rossi M., Maiuri L. Lactase persistence versus de-cline in human adults: multifactorial events areinvolved in down-regulation after weaning. Ga-stroenterology, 112, 1506-1514, 1997

Rusynyk R.A., Still C.D. Lactose intolerance. J.Am. Osteopat. Assoc., 101, suppl. 4, 10-12,2001

Schlimme E., Melsel H. Nutritional characteristicsof milk proteins and bioactive peptides derivedfrom them. in AA. VV. Latte e derivati: tra tec-nologia e nutrizione. Attualità della ricerca. In-ternational Congress, Roma, 7 giugno 1994

Swagerty D.L. Jr., Walling A. D., Klein R. M. Lac-tose intolerance. Am. Fam. Physician, 65, 18551856, 2002

Walzem R.L., Dillard C.J., German J.B. Wheycomponents: millennia of evolution create func-tionalities for mammalian nutrition: what weknow and what we may be overlooking. Rev.Food Svi. Nutr., 42, 353-357, 2002

Welsch C.W. Relationship between dietary fat andexperimental mammary tumorigenesis: a reviewand critique. Cancer Res., 52, 2040S-2048S,1992

102

Capitolo II

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 102

Page 102: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

103

Cibo e nutrizione

Yanagi S., Yamashita M., Imai S. Sodium buty-rate inhibits the enhancing effect of high fatdiet on mammary tumorigenesis. Oncology,50, 201-204, 1993

Yanagi S., Yamashita M., Ogoshi K. et alii.Comparative effects of milk, yoghurt, butterand margarine on mammary tumorigenesisinduced by 7,12-dimethykbenx [a] anthracenein rats. Cancer Detect. Prev., 18, 415-420,1994

Yanagi S., Yamashita M., Sakamoto M. et alii.

Comparative effects of milk, yoghurt, butterand margarine on mammary tumorigenesisinduced by 7,12-dimethykbenx[a] anthracenein rats. In: The Pharmacological Effects ofLipids. III. The Role of Lipids in Cancer Re-search (Kabara J. J. ed.), pp 159-169, LauridinInc., Galena, IL, 1989

Young G.P., Gibson P.R. Butyrate and the colo-rectal cancer cell. In: Short Chain Fatty Acids(Binder H.J., Cummings J., Soergel K., eds.),pp.148-150, Kluwr, London, U.K., 1994

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 103

Page 103: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Miele: voglia di dolce

La voglia di dolce profondamente inseritanella natura umana e collegata al primo ali-mento, il latte, nel passato poteva essere sod-disfatta soltanto con il miele e la frutta. Dalmiele l ’uomo ha ricavato una delle prime be-vande alcoliche, l’idromele.

Il miele, tra allevamento ed agricolturaL’apicoltura è un allevamento animale d’anti-chissima tradizione, perché efficace sistemadi produzione di un prezioso alimento, ilmiele, ottenuto da vegetali altrimenti assolu-tamente non commestibili per l’uomo. Perquesto, la raccolta del miele selvatico prima,e l’apicoltura poi, si sono sviluppate e diffusein molte parti del mondo. Il miele è il pro-dotto alimentare che le api producono dalnettare dei fiori o dalle secrezioni provenientida parti vive di piante o che si trovano sullestesse (melata), che esse bottinano, trasfor-mano, combinano con sostanze specificheproprie, immagazzinano e lasciano maturarenei favi dell’alveare. Il miele ha una composi-zione molto complessa ed al tempo stessovariabile, come si può intuire dalla diversaorigine (polline e melata). In modo analogo idiversi tipi di polline influiscono sulle sue ca-ratteristiche organolettiche: colore, sapore,profumo, consistenza ecc. e presenza di mo-lecole attive provenienti dai vegetali.

Attività nutrizionali e sanitarie del mieleLe attività nutrizionali del miele sono instretta relazione alla sua composizione. Ilmiele è un alimento essenzialmente energeti-co ed un buon dolcificante. Importante è laqualità degli zuccheri, per circa un terzo co-stituito da glucosio, lo zucchero semplicepresente nel sangue dei mammiferi, è assor-bito dall’intestino senza necessità d’alcunprocesso digestivo. Anche gli altri zuccherisono molto digeribili e con elevata biodispo-nibilità. Il miele contiene inoltre vitamine eminerali, a differenza dello zucchero raffina-

to che ne è privo, e che sono molto scarsi inquello grezzo. Nel miele, oltre alle compo-nenti nutrizionali rappresentate dagli zuc-cheri, proteine, vitamine e minerali, è conte-nuta un’amplissima ed ancora incompleta-mente nota quantità di molecole o principisecondari che, singolarmente od in associazio-ne ed in rapporto alle concentrazioni, svolgo-no interessanti azioni profilattiche e terapeu-tiche. Le principali attività sanitarie del mie-le possono essere riassunte come segue.Attività probiotica - La presenza di zuccheri,acidi organici (ad iniziare dall’acido salicili-co) ed ormoni favorisce lo sviluppo di unaflora intestinale batterica buona, con preva-lenza dei batteri lattici. Questo condizionauna migliore nutrizione (probiosi).Attività antinfettiva intestinale - Il mielecontiene principi di tipo antibiotico, attiviverso numerosi microrganismi: streptococ-chi, stafilococchi, enterobatteri ecc.Attività antinfettiva locale - Attraverso mec-canismi non ancora completamente noti, ditipo biologico e chimico, il miele svolgeun’azione antinfettiva sulle piaghe ed ulceri,con stimolo della cicatrizzazione. In questocontesto è da inserire l’attività contro la cariedei denti, per la sua azione contro i batteriorali che fermentano gli zuccheri e produco-no acidi che alterano la dentina.Nel miele sono concentrati i principi attivicontenuti nelle piante da cui deriva il nettareraccolto dalle api (miele di nettare). Questiprincipi attivi, in rapporto soprattutto allaloro concentrazione, svolgono azioni farma-cologiche e terapeutiche. Per questo motivoi mieli monoflora hanno particolari, specifi-che e selettive attività terapeutiche, ma inqualche caso anche tossiche. Fin dalla anti-chità, al miele in generale ed a singoli mielimonoflora sono state attribuite proprietà te-rapeutiche, che in buona parte sono stateoggi confermate, più per gli aspetti preventi-vi che non curativi di malattie o disturbi diuna certa entità. Le azioni antinfettive deimieli sono da riferire ai composti alifatici ed

104

Capitolo II

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 104

Page 104: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

aromatici (terpenoidi) presenti soprattuttonei mieli monoflora d’acacia, tiglio, castagnoo multiflora, in particolare pinene, canfene,eucaliptolo, linalolo, alcol benzilico, farseno-lo, limonene ed altri composti di derivazionevegetale. Questi composti sono presenti neidiversi tipi di miele nella quantità da 0,12 a0,26% ed esercitano una significativa attivitàantibiotica nei riguardi di molti microrgani-smi (Escherichia coli, Staphylococcus, Strepto-coccus, Klebsiella, Pseudomonas, Candida edaltri microrganismi).

Rischi del mieleIl miele non risente in modo significativodegli inquinamenti ambientali, perché quan-do questi superano un certo livello, le api osono uccise o hanno disturbi e di conse-guenza non producono il miele. Il miele èprodotto da insetti sani che si frappongonocome filtri tra noi e l’ambiente e ci assicura-no un alimento sano.La grande differenza biologica che vi è tra leapi e gli uomini evita rischi di trasmissioned’infezioni. Tuttavia in alcuni mieli è stata

105

Cibo e nutrizione

Alcuni componenti secondari del miele (elencati in ordine alfabetico e NON di concen-trazione o di frequenza di presenza)

Acidi organici - Acetico – Butirrico – Citrico – Cloridrico – Formico – Fosforico – Gluconico – Malico -

Lattico – Piroglutammico - Salicilico – Succinico

Inquinanti e contaminantiInquinanti ambientali (Cadmio, Piombo ecc.)

Inquinanti batterici (Clostridium botulinum, Enterobatteri ecc.)

Contaminanti da processi d’estrazione, lavorazione del miele, contenitori ecc.

Ormoni e sostanze ormonosimili. Acetilcolina - UGF (Fattori sconosciuti di crescita) – Fitostimoline

Veleni vegetali - Principi attivi dei seguenti vegetali: aconito – azalea – belladonna – coca – digitale -

lauroceraso – oleandro – scilla – stramonio

Proprietà farmaco-terapeutiche tradizionalmente attribuite ad alcuni mieli monoflora

Abete - Antisettico generale, Antinfiammatorio vie respiratorie, Diuretico

Acacia - Regolatore intestinale

Arancia – Antispasmodico, Neurosedativo

Biancospino – Antispasmodico, Neurosedativo

Castagno - Regolatore circolazione sanguigna

Erica - Antisettico generale, Antisettico apparato urinario e diuretico, Antianemico

Eucalipto - Antisettico generale, Antisettico apparato respiratorio, Antisettico apparato urinario

Girasole – Antipiretico

Grano saraceno – Antianemico

Lavanda - Antisettico generale, Antinfiammatorio, Antispastico

Rosmarino – Colagogo, Coleretico

Tiglio - Antispasmodico, Neurosedativo

Timo - Antisettico generale

Trifoglio – Dinamogenico

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 105

Page 105: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

riscontrata la presenza di spore del Clostri-dium botulinum che potrebbero essere peri-colose per bambini lattanti. Il miele si di-mostra capace tuttavia di inibire lo svilup-po delle forme vegetative del Clostridiumbotulinum, peraltro inattivate dalla pasto-rizzazione, che distrugge anche la tossinabotulinica (non la spora batterica).Esistono anche dei mieli tossici, che giànell’antichità erano stati descritti da Dio-doro Siculo e da Senofonte (Anabasi, IV,8, 20-21). La tossicità del miele deriva dal-la tossicità delle piante ai cui fiori avevanoattinto le api. Ancor oggi sulle coste delMar Nero fioriscono l’azalea, l’aconito, ilgiusquiamo, il rododendro pontico, il col-

chico, tutte piante velenose, ed anche inepoche più recenti si sono verificati feno-meni analoghi a quelli descritti da Diodoroe Senofonte. Tra i mieli che contengonoprincipi attivi farmacologici vi sono quelliche si producono nelle Ande, dove le apibottinano i fiori di coca e producono mielicon elevate quantità di cocaina.

Miele ed alimentazione darwinianaCertamente il miele è stato uno dei piùimportanti dolcificanti della preistoria e lasua facile fermentabilità ha contribuito allosviluppo delle bevande alcoliche ed ine-brianti (idromele) e quindi all’origine dellacucina.

106

Capitolo II

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 106

Page 106: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

ALIMENTI VEGETALI EDALIMENTAZIONE DARWINIANA

Ampia e complessa è la gamma d’alimentivegetali presenti nell’alimentazione umananaturale, prima dell’invenzione dell’agricol-tura, dell’allevamento e della cucina, comeindicato nella prima parte.Gli alimenti vegetali sono stati esaminatisotto l’aspetto energetico e plastico, più re-centemente anche come portatori di mole-cole strategiche indispensabili per la vita, co-me le vitamine, od indispensabili per unbuono stato di salute. La necessità di questemolecole può essere compresa soltanto nelparadigma darwiniano.Una particolare attenzione deve essere dedi-cata ad alcuni alimenti vegetali e tra questi icereali, le leguminose, gli ortaggi e le piantearomatiche, la frutta ed alcune bevande ve-getali.

Cereali: alimenti che l’uomo ha adeguatoalle sue necessità

La rivoluzione agricola è strettamente colle-gata alla coltivazione dei cereali, i cui semisono facilmente conservabili e rappresentanoun’importante fonte d’energia, anche se nonsono facilmente digeribili. Alla coltivazionedei cereali si è dovuto associare un tratta-mento, soprattutto quello fermentativo, ne-cessario per controllarne gli effetti negatividi tipo tossico, antinutrizionale e connessialla riduzione della biodiversità alimentare.Per brevità considereremo solo due cereali:frumento e mais.

Coltura e cultura dei cerealiGran parte delle culture agricole sono iden-tificate dalla coltivazione di uno o più cerea-li. Le culture della Fertile Mezzaluna e delMediterraneo hanno avuto e mantengonocome marcatori culturali il frumento e l’or-zo, le culture dell’Europa settentrionale la

segale, quelle dell’Asia centrale il panico edil miglio, quelle dell’Africa il sorgo ed il mi-glio ed infine quelle dell’America il mais,senza dimenticare il riso di vaste aree dell’A-sia. Senza entrare a discutere perché e comei cereali sono stati resi domestici, argomentoesaminato nella prima parte, è necessario ri-levare che quasi tutti i cereali sono dotati dicaratteristiche ed attività negative e rimarca-re che buona parte di queste attività sonoeliminate, ridotte o per lo meno fortementecontrastate dalle operazioni di cucina, cheprincipalmente possono essere elencate co-me segue.1. Utilizzo alimentare solo di una parte dei

grani, previa macinazione (ad esempio fa-rina) o previa fermentazione liquida (bir-ra).

2. Trattamento con il calore (tostatura).3. Azione d’alcali inorganici (calce, ceneri

vegetali ecc.)4. Azione di acidi organici (di solito deri-

vanti dalla fermentazione).5. Trattamenti combinati ed in particolare

separazione di una sola frazione del cerea-le, azione d’alcali od acidi e successivotrattamento con il calore secco (ad esem-pio tortillas di mais e pane di frumento)od umido (puls o minestrone).

Il legame tra l’agricoltura cerealicola e la cu-cina è così stretto da essere divenuto quasiun esempio paradigmatico di come la cucinasia da considerare una parte essenziale delprocesso d’addomesticamento dei vegetali.In una prospettiva d’alimentazione evoluzio-nista, quando questo legame è stato allentatood interrotto, ad esempio con il cambiamen-to o l’alleggerimento dei trattamenti di cuci-na, sono comparse patologie nutrizionali, trale quali hanno un ruolo quasi emblematicomalattie quali la celiachia (oltre considerata)e la pellagra.

Frumento ed altri cerealiÈ ancora discusso se il primo cereale coltiva-to sia stato l’orzo od il frumento primitivo,

107

Cibo e nutrizione

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 107

Page 107: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

denominato farro, nelle sue due varietà difarro piccolo e di farro grande, un etimo chesi trova in molte lingue. Con far i latini indi-cavano tutti i cereali panificabili (da qui iltermine farina). Gli Egiziani avevano il ter-mine har, gli Ebrei bar ed i Celti bara. Si ri-tiene che partendo dalla fertile mezzaluna, lacerealicoltura si diffuse all’Europa con la ve-locità di circa un chilometro l’anno, arrivan-do tra il 7.000 ed il 6.000 avanti l’Era Cor-rente in Grecia, tra il 4.000 ed il 5.000 inpianura padana e nel 2.000 avanti l’E. C.nell’Europa settentrionale. Oggi esistono duegrandi varietà di frumento: frumenti teneri efrumenti duri. La farina dei frumenti teneri,impastata con acqua, tende a fare colla ed èusata soprattutto per la panificazione o per lepaste all’uovo. I frumenti duri sono più ricchidi proteine e soprattutto di glutine. Con lamacinazione, il frumento duro ha una frattu-ra vitrea, non si spappola e granula a spigolivivi dando origine alla semola. Il glutine, conl’acqua dà origine ad un impasto elastico chenon fa colla. La pasta di grano duro ha un’e-levata capacità d’assorbimento dell’acqua,cotta per pochi minuti non si spappola e ri-mane al dente. Nell’alimentazione tradizio-nale, sorta e sviluppatasi con l’agricoltura, ilfrumento e gli altri cereali erano utilizzati so-prattutto per la fabbricazione della birra e delpane. Due tecniche che inattivano parte deifattori negativi sopra citati. In proposito è darilevare quanto segue.Birra ed altre bevande fermentate preparate coni cereali. La produzione di queste bevandeprevede una serie di fermentazioni: di regolain una prima fase vi è la germinazione delseme e la formazione di malto; in una secon-da fase vi è una fermentazione alcolica. Nel-la birra è utilizzata soltanto la parte liquida,mentre la parte solida (trebbie di birra) è eli-minata. Ne consegue che tutti gli aspetti ne-gativi dei cereali usati sono inattivati od eli-minati. Nella celiachia (vedi) non esisteun’intolleranza da birra, anche se preparatacon il frumento o l’orzo.

Pane prodotto con il sistema tradizionale dellievito madre od acido. La fermentazione delpane con il lievito madre od acido (saccaro-miceti e lattobacilli) spontaneo od originatodal mosto del vino o da frutta fermentate,comporta una denaturazione proteica, facili-tata dalla lunga durata del processo fermen-tativo (lievitazione). In questa lievitazione èprevalente la presenza di acido lattico. Ilprocesso di denaturazione proteica aumentacon la cottura, soprattutto se prolungata, co-me avveniva nei forni tradizionali a legna. Ilpane prodotto in questo modo, non solo haminori attività allergeniche (quindi bassi ri-schi di celiachia), ma anche minori attivitànegative di tipo antinutrizionale, antivitami-nica, antienzimatica ecc. Questo pane, inol-tre, per la sua acidità resiste bene all’ammuf-fimento. Attività negative, invece, si riscon-trano nelle odierne condizioni di panifica-zione solo con i saccaromiceti (lievito di bir-ra), nei prodotti da forno ottenuti con pro-cessi di “gonfiatura” con gas prodotti da rea-zioni chimiche o nei prodotti non fermenta-ti (prodotti azzimi, paste fresche o secche digrano tenero o duro). Tra le inevitabili con-seguenze negative vi è indubbiamente ilmaggior rischio d’intolleranze e, tra queste,anche di celiachia (vedi).

Pane, segno distintivo di cultura e civiltàIn origine i semi dei cereali erano raccolti emangiati, come dimostra l’usura dei dentidegli ominidi, spesso dopo una breve tosta-tura. Successivamente si cominciò a maci-narli ed a mescolarli con acqua per farnepappe. A quel tempo, l’uomo aveva già arro-stito la carne, ma arrivare alla lavorazionedei cereali, produzione della farina, introdu-zione degli ingredienti e cottura della pastavoleva dire avere raggiunto un elevato stadiodi civiltà. Il lievito comparirà più avanti, in-fatti, i più antichi residui di pane lo rivelanoquasi sempre azzimo. Le prime tracce di pa-ne lievitato si trovano nell’antico Egitto.Contemporaneamente, nell’epopea medio

108

Capitolo II

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 108

Page 108: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

orientale di Gilgames, antica opera lettera-ria, che affonda le radici nel terzo millennioprima dell ’Era Corrente, si racconta diEnkidu, un uomo animalesco iniziato allaciviltà grazie a una donna che gli offre pane.Così nel XI secolo a.E.C. Omero nell’Odis-sea chiama gli uomini “mangiatori di pane”,per distinguerli dagli altri esseri che nonsanno preparasi il cibo. È quindi tale il valo-re del pane che le testimonianze più antichepercepiscono l’atto di preparare e mangiareil pane come momento di inizio e segno di-stintivo della civiltà umana. I gesti per averefarina e pane sono così fondamentali per lavita dell’uomo, tanto da imprimersi in modoindelebile in molte lingue mediterranee: nel-l’accadico, antica lingua semitica, la parolagranum-quaranum significava ammucchiare,immagazzinare. La seconda radice dà formaal verbo dis-cernere che indicava l’atto di se-parare il grano dalla paglia. La base pènu,della parola pane, significava macinare,mentre la base sé di se’um, il seme, significavaaprirsi, essere fertile. Dall’incrocio delle basipenu e se’um nascono le parole pestare, impa-sto, pasta e pasto. La parola latina pastus,mostra poi come per l’alimentazione di mol-ti popoli mediterranei sia stato fondamenta-le l’uso degli impasti di farine. Pane, poi, hain latino la stessa radice di pascere ossia didar da mangiare. Con il termine far (e da quiil nostro termine di farina) i latini indicava-no tutti i cereali panificabili. Così facevanogli egizi con har, gli ebrei con bar e i celticon bara. In quest’ultimo caso sorge l’acco-stamento con il termine birra ottenuta ap-punto dalla fermentazione di un cereale ebase di un importante lievito per la panifica-zione.Non si sa quando e come l’uomo abbia co-nosciuto i processi fermentativi dei cereali equelli più generali dei cibi. A Babilonia panee birra erano intercambiabili, il pane era bir-ra mangiabile e la birra pane potabile. Intempi successivi, Ulpiano, giurista romano,accenna ad una birra fatta da pane fermenta-

to. Bisogna in ogni modo ricordare che lalievitazione panaria ha avuto diverse originie si è differenziata in modo tale che – alme-no un tempo – ogni regione, ogni territorio,ogni paese e ogni famiglia aveva il “suo” pa-ne, le cui caratteristiche derivavano da unaserie di condizioni, non ultima il tipo di lie-vito usato (birra, vino, spontaneo o lievitomadre), per le quali non è facile, forse im-possibile, stabilire una cronologia. Nell’epo-ca romana la panificazione raggiunge un’ele-vata qualità e raffinatezza gastronomica: Pli-nio il Vecchio riporta notizie sul pane dettoartrolagano, che era composto di farina,miele e olio. C’erano poi gli streptici costi-tuiti da una sfoglia sottile, che era rivoltatadurante la cottura. In epoca barbarica la pro-duzione del pane diminuisce drasticamentee diventa raro e rozzo per effetto delle cultu-re celtiche del nord, che contrappongono al-la cultura romana una vita primitiva e rude. Ipani più abominevoli, e probabilmente sfor-nati in tempi di carestia durante l’alto me-dioevo, sono stati trovati in Svezia: essi sonofatti per un 90% di corteccia di pino o di pa-glia. Soltanto con la ricostruzione del SacroRomano Impero nel X secolo ogni singolostato avrà la possibilità di uno sviluppo agri-colo e panario secondo il territorio; svinco-landosi dall’organizzazione feudale, la pani-ficazione diventerà un’arte vera e propria, li-bera da restrittivi e onerosi regolamenti. NelXIII secolo nascono le associazioni di me-stieri tra cui quelle dei mugnai e dei panet-tieri. Nel secolo successivo, l’evoluzione tec-nologica porta alla realizzazione nel norddell’Europa dei mulini a vento che permet-tono una farina più raffinata, anche se moltocostosa e per i ricchi; la popolazione, soprat-tutto quella del nord, utilizzerà fino al secoloscorso farine più economiche come quella disegala, d’orzo, d’avena. L’uso della farina digrano rimane e si sviluppa maggiormentenelle terre mediterranee. In Italia, nei mona-steri il pane è particolarmente saporito eadatto ad essere mangiato anche senza com-

109

Cibo e nutrizione

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 109

Page 109: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

panatico. Con l’epoca moderna, arriva dalleAmeriche la patata e il mais, che per la lorofacilità di coltivazione diventeranno alimentiestremamente popolari. La coltivazione delgrano d’altra parte usufruisce dello sviluppoagrario avutosi nel rinascimento e permettedi elevare le produzioni medie per ettaro,anche se le tecniche panarie restano quellemedievali. È dal ‘700 che l’industria panariamigliora: in quel periodo nasce ad esempio ilgrissino torinese, che ottiene subito un gransuccesso. Napoleone tenta di farlo riprodur-re a Parigi, da due grissinieri torinesi. Il ten-tativo, però fallisce: nella capitale francesemancano l’aria e l’acqua piemontese, che piùdegli altri ingredienti, contribuiscono, si di-ce, alla buona riuscita del prodotto. Allora,come oggi il primo sapore è quello che con-ta. Anche dal punto di vista scientifico sonostati fatti passi determinanti: nel 1728 Bar-tolomeo Beccari scopre il glutine; successi-vamente Justus von Liebig perfeziona l’ana-lisi dello scienziato italiano e scopre quanto ivegetali in generale e nel nostro caso il granosi nutrono di minerali e non di sostanze or-ganiche in decomposizione. Con Liebig ini-zia la coltivazione intensiva a base di conci-mi chimici adeguati, che farà dimenticare lespaventose carestie medievali. Ai primi del-l’Ottocento lo svizzero Muller rivoluziona latecnica molitoria inventando il mulino a ci-lindri: il grano anziché essere macinato èschiacciato fra due rulli così il corpo farinososcivola fuori della scorza alla quale rimaneattaccato anche il germe. Questo procedi-mento realizzò il sogno di avere velocementee in grandi quantità una farina bianchissimae facile da conservare. Tuttavia questo proce-dimento presenta il grande svantaggio di se-parare dalla farina tutte le proteine dellacrusca, gli oli e le vitamine. Per tutto questosecolo fino alla seconda guerra mondiale losviluppo tecnologico porta gli Stati Uniti adiventare il granaio del mondo, perché le ap-plicazioni intensive trovano estensioni che inEuropa non esistono. Solo all’inizio del ‘900

la Russia intensifica ed estende alla Siberiala coltura del grano: tutto ciò è frutto del-l’applicazioni della legge di Mendel che per-mette l’incrocio tra varietà ricche di chicchicon varietà resistenti al freddo, un’operazio-ne che consente anche d’avere varietà cheresistono ai climi tropicali indiani, australia-ni e africani. Ma il pane moderno deve lesue caratteristiche e impieghi industriali so-prattutto al lievito, che è sottoposto neglianni del ‘900 a selezioni che permettono dicontrollare la lievitazione. D’altro canto peròsi avranno sempre più pani leggeri e che in-duriscono nella giornata. Dopo il secondoconflitto, i paesi industrializzati sperimenta-no una fase di sviluppo che non ha egualenella storia economica del genere umano perdurata ed intensità. Sorge così una “civiltàdell’abbondanza”, facile preda del consumi-smo e del superfluo. In un simile contesto ilpane diviene contorno d’elaborate pietanzeed è usato con distratta sufficienza. Anzi es-so è posto tra i prodotti dietetici delle far-macie con a fianco la crusca in sacchetti si-gillati, un tempo inseparabile compagna.

MaisIl mais è il principale cereale coltivato inepoca precolombiana nelle Americhe. Per lesue caratteristiche biologiche ed agronomi-che ha avuto una diffusione mondiale, conuna gran varietà di linee genetiche. Il mais èusato in alimentazione umana sotto diverseforme: pannocchia a maturazione cerosa ecotta a calore secco od umido; fermentatoper produrre un tipo di whisky (bourbon); fa-rina per la produzione di tortillas o polenta;fiocchi di mais (cornflakes) o mais scoppiato(pop corn) ecc. Aspetti negativi del mais sonola sua attività allergenica, il suo contenuto inenzimi ed in acido fitico, la sua attività anti-vitaminica e la sua scarsa dotazione in vita-mina PP (Preventive Pellagra o niacina). In-serito in un’alimentazione unilaterale, in Ita-lia e soprattutto in pianura padana, il maisha provocato la malattia nota come pellagra,

110

Capitolo II

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 110

Page 110: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

mentre turbe analoghe non erano presentinel paese d’origine, dove il mais aveva un di-verso trattamento. Infatti, nell’America cen-trale il mais era utilizzato dopo essere statoimpastato con alcali e cotto a secco (tortil-las). Il trattamento combinato alcali e caloresecco permette la liberazione di niacina (vi-tamina PP) dalla trigonellina, e contribuiscea ridurre il potenziale tossico di micotossineeventualmente presenti. Interessanti indagi-ni antropologiche hanno cercato di spiegarei meccanismi attraverso i quali le popolazio-ni dell’America precolombiana hanno svi-luppato una cucina del mais con alcalinizza-zione e calore secco. Incidenti sono invececomparsi quando il mais, in Italia, è statoutilizzato sotto forma di farina bollita in ac-qua (polenta gialla) o sottoposto ad una fer-mentazione acida (pane di mais), seguendola tradizione culinaria sviluppata per il farroed altre graminacee similari. Questi tratta-menti culinari applicati al mais non permet-tono la liberazione di niacina (vitamina PP)e neppure una sia pur parziale inattivazionedelle micotossine eventualmente presenti.Da qui, in modo molto schematico, la com-parsa, in un’alimentazione unilaterale, dellapellagra (vedi).

Cereali e nutrizione darwinianaIl successo dei cereali in alimentazione uma-na si correla soprattutto alle loro condizionidi uso. Non vi è alcuna cultura che abbia ad-domesticato, coltivato e sviluppato uno o piùcereali senza aver anche coltivato una o piùleguminose. Ogni cultura agricola matura èsempre basata su “pacchetti nutrizionali” co-stituiti da cereali e leguminose. Nell’areamediterranea frumento, orzo ed altri cerealisi associavano ai piselli, fava, veccia, lupinoecc. Nell’area americana il mais si associavaai fagioli. In Cina il riso si accoppiava allasoia. I pacchetti nutrizionali costituiti da ce-reali e leguminose si basano sull’integrazionedelle loro caratteristiche nutrizionali. Men-tre i cereali sono ricchi d’amidi, le legumino-

se sono ricche di proteine e dalla loro asso-ciazione si ha un’alimentazione sufficiente-mente equilibrata. Si può tuttavia supporreche all’inizio i cereali fossero dei comple-menti alle proteine della carne, come fa an-che supporre - o almeno così è stato inter-pretato - il cannibalismo nell’America pre-colombiana. Ogni cultura agricola ha, inol-tre, sviluppato cucine nelle quali i pacchetti

111

Cibo e nutrizione

Centri di diffusione dei principali cerealiagricoli

Avena Europa

Frumento Vicino Oriente (Fertile Mezzaluna)

Mais America Centrale

Miglio Africa ed Asia Centrale

Orzo Vicino Oriente (Fertile Mezzaluna)

Panico Asia Centrale

Riso Asia Sud – Orientale

Segale Europa

Sorgo Africa

Più significative caratteristiche ed atti-vità nutrizionali negative dei cereali (daBallarini, 1989, con modifiche)

– Attività allergizzante

– Attività fitasica (squilibrio calcio - fosforo)

– Attività morfinosimili (exorfine)

– Attività ormonali (estrogene)

– Azioni antinutrizionali

– Azione antivitaminica (B 6)

– Azione demineralizzante (acido fitico)

– Azioni tossiche (micotossine - idrocarburi nei

grani tostati)

– Inibizione enzimi digestivi attivi sugli amidi e

le proteine

– Minerali tossici (molibdeno, mercurio piombo,

cadmio)

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 111

Page 111: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

nutrizionali non comprendevano soltantocereali e leguminose, ma sempre altri ali-menti vegetali (verdure ricche di vitamineecc.) e d’origine animale (con aminoacidinecessari ad una buona nutrizione), anchecon ruolo d’alimenti protettivi contro possi-bili carenze e squilibri nutrizionali. Altret-tanto importante è che, nelle singole cucine,sono stati sviluppati sistemi di trattamentofermentativo, termico o combinato capacid’inattivare o di minimizzare gli aspetti ne-gativi e d’esaltare quelli positivi. Una ridu-zione di tali trattamenti (ad esempio diffu-sione dell’uso di pasta di cereali non fermen-tata e scarsamente cotta) o l’uso di tratta-menti diversi da quelli sviluppati dalla tradi-zione (bollitura o acidificazione del mais, inluogo della sua alcalinizzazione e trattamen-to al calore secco) ha portato alla comparsa

di patologie nutrizionali, quali le citate celia-chia e pellagra.

Bibliografia

Ballarini G. Rischi e Virtù degli Alimenti. Calderi-ni, Bologna, 1989

Ferrando R. Aliments traditionnels et non tradi-tionnels. FAO, Roma, 1979

Forni G. Gli albori dell’agricoltura. REDA, Roma,1990

Gontzea I., Ferrando R., Sutzesco P. Substances an-tinutritives des aliments naturels. Vigot, Paris,1968

Gorman Ch. Against the grain. Time, 2 April 2001,p. 80

Salamini F. Il frumento monococco e l’origine del-l’agricoltura. Le Scienze, 373, sett. 1999, p. 68-74

Smith Bruce D. The Emergence of Agriculture.Scient. Am. Libr., New York, 1995

112

Capitolo II

Principali caratteri differenziali delle paste alimentari

Caratteristica Pasta fresca Pasta secca

Tipo di frumento Grano tenero Grano duro

Presenza di glutine Scarsa Elevata

Uova Necessarie Assenti

Altri ingredienti Possibili (verdure: spinaci ecc.) Assenti (di norma)

Uso come involucro Sì (Paste ripiene) No

Luogo di produzione prevalente Casa Industria

Strumenti di produzione Tagliere, matterello Gramola, torchio

Strumenti di formazione Coltello (rotella, stampino ecc.) Trafila o filiera

Formati Pochi e semplici Numerosissimi ed elaborati

Essiccamento No (pasta “fresca”) Sì (pasta “secca”)

Conservazione Brevissima (ore o giorni) Lunga (mesi ed anche anni)

Cottura Brodo (latte) acqua Acqua

Durata della cottura Rapida Lenta

Condimenti Relativamente semplici Diversificati ed elaborati

Uso come piatto freddo No Sì

Diffusione tendenziale territoriale Prevalentemente locale Mondiale

(piatti del territorio) (piatti interculturali)

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 112

Page 112: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Leguminose: carne e farmacia dei poveri

Più volte la selezione naturale ha sviluppatosistemi alimentari capaci d’utilizzare l’azotoinorganico, ad esempio tramite le fermenta-zioni microbiche digestive. L’uomo, con lacultura, ha sviluppato la coltivazione delleleguminose, che attraverso una raffinatasimbiosi microbiologica, utilizzano l ’azotoatmosferico. Le leguminose sono dotate dipreziose caratteristiche nutrizionali, ma an-che d’attività negative, che solo il paradigmadarwiniano permette di comprendere.Le leguminose sono un gran successo dell ’a-gricoltura, ma il loro utilizzo come alimentoesige siano cotte ed associate a cereali, quindiin una cucina elaborata.

Attualità e successo delle leguminose nell’ali-mentazione umanaLeguminose sono i fagioli, i piselli, le fave, iceci e le lenticchie, senza dimenticare la soiae l’arachide. I loro semi, molto proteici, in ta-lune specie (soia ed arachide) sono anche ric-chi d’olio. Una volta le leguminose erano ilcibo da poveri, oggi, dopo che se ne sonoscoperte le preziose attività sanitarie, riman-gono importanti per una corretta nutrizione.Ogni cultura ha avuto e continua ad avere lesue leguminose, che assieme ai cereali forma-no dei “pacchetti nutrizionali” di piante og-getto d’addomesticamento agricolo, come ri-cordato a proposito dei cereali. Gli antichiromani avevano fave, ceci e lenticchie, i cine-si la soia e gli americani precolombiani i fa-gioli. Il successo delle leguminose nell’ali-mentazione umana dipende dall’essere moltoproteici ed in taluni casi, quando è presenteolio, energetici e, di conseguenza, possonosostituire almeno in buona parte le proteineed i grassi animali. Un secondo elemento disuccesso è che le leguminose, tramite specialibatteri che ospitano nelle loro radici, utiliz-zano l’azoto atmosferico, trasformandolo inaminoacidi e quindi in preziosi compostiproteici. Anche se coltivate in terreni poveri,

le leguminose forniscono un alimento riccodi proteine ed arricchiscono d’azoto il terre-no. Una caratteristica che, quando è statascoperta dall’uomo, ha portato alla grandeinnovazione della rotazione agraria: un cam-po coltivato a leguminose che arricchisconoil terreno, è poi coltivato con una graminaceache lo impoverisce, ed è quindi necessariotornare alla leguminosa.

Attività nutrizionale delle leguminoseLe leguminose, hanno un buon valore plasti-co, anche se il valore biologico delle loro pro-teine è inferiore a quello delle proteine deglialimenti d’origine animale (carne, latte, uo-va). Nei semi e germogli freschi il contenutoproteico sul tal quale del seme edule arriva al16,4% nei lupini deamarizzati. Nei semi sec-chi il contenuto proteico sul tal quale è com-preso tra il 20,6% dei fagioli di Lima ed il37,2% dei lupini sgusciati. Nei semi di alcu-ne leguminose (soia ed arachide) sono conte-nute le giù citate elevate quantità di grasso,con un buon valore energetico. Per i grassi,calcolati sul tal quale, nelle leguminose fre-sche si arriva ad un massimo del 2,4% (lupi-no deamarizzato), mentre per i semi secchi viè un minimo di 1,4% della veccia e fagiolo diLima, ed un massimo del 13,2% dei lupinisgusciati. Si raggiunge il 40% nelle arachidi enella soia, leguminose di recente importazio-ne nel mondo occidentale. Gli apporti calori-ci per 100 grammi di sostanza edule dei semidi leguminose mediterranee tradizionali van-no dalle 334 Kilocalorie nelle lenticchie alle407 Kilocalorie nei lupini. Considerando chela carne ha un contenuto medio proteico del19%, una percentuale di grassi variabile e chein genere oggi s’aggira sul 13% e con un ap-porto di circa 200 Kilocalorie per etto, è faci-le comprendere come le leguminose sianostate definite la carne dei poveri.

Uso nutrizionale delle leguminose ed intersup-plementazioneNell’uso nutrizionale delle leguminose è ne-

113

Cibo e nutrizione

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 113

Page 113: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

cessario richiamare i processi di intersupple-mentazione. Non esiste alcuna popolazioneo persona che si nutre di un unico alimento,ma sempre di più alimenti che, associati traloro, si compensano e si correggono l’un l’al-tro (c. d. intersupplementazione). Non ècorretto affermare che Esaù vendette la pri-mogenitura per un semplice piatto di lentic-chie, perché (Genesi cap. 25, versetto 34)Giacobbe diede ad Esaù pane ed una vivan-da di lenticchie, quindi un pasto costituitodall’associazione di un alimento derivato dauna graminacea con quello ottenuto da unaleguminosa. Le associazioni tra graminaceee leguminose sono regolarmente diffuse, inogni cultura: dalla puls degli italici denomi-nati pultiphagi, all’attuale pasta e fagioli; daitacos di mais e fagioli degli americani preco-lombiani; al riso con la soia di cui si nutrepiù di un miliardo di cinesi. La necessità diassociare diversi alimenti deriva in buonaparte dalla qualità delle loro proteine, che ingenerale è valutata considerando il loro valo-re biologico. Le proteine delle leguminosehanno un valore biologico circa di un terzodi quello dell’uovo, in quanto sono povere didue aminoacidi indispensabili per la nutri-zione umana: la metionina e la cistina. Pergiudicare il valore nutrizionale di una protei-na bisogna inoltre considerarne la digeribi-lità, molto alta per le proteine di origine ani-male, più bassa per quelle delle leguminose.Per coprire i fabbisogni proteici di un uomoadulto di circa 70 chilogrammi (salvo quantoconsiderato nel capitolo sulla carne) sono ri-tenute sufficienti circa 60 grammi di protei-ne dell’uovo. Se nell’alimentazione sono pre-senti soltanto proteine di leguminose, tenen-do conto della loro limitata digeribilità ed alfine di assicurare le necessarie quantità dimetionina e cistina, bisognerebbe arrivare a200 grammi il giorno, pari ad otto e più ettidi fagioli secchi. Con un’opportuna inter-supplementazione tra le proteine di diversialimenti, sono sufficienti 150 grammi di pa-sta di semola e 50 grammi di fagioli secchi

(od altri semi di legumi) per avere le stessequantità d’aminoacidi critici (triptofano,metionina e cistina, lisina) contenute in unetto d’uovo intero di gallina. Non è un casoche tutte o quasi le ricette tradizionali di le-guminose hanno la presenza, spesso limitata,ma per questo non trascurabile, d’alimentid’origine animale, ad esempio l’aggiunta, al-la pasta e fagioli, di cotiche di maiale o bro-do d’ossa.

Attività extranutrizionali delle leguminoseNumerose ed ancora non tutte note sono leattività extranutrizionali delle leguminose,nonostante la loro notevole importanza nu-tritiva e sanitaria. In via preliminare è utilerilevare che gran parte delle caratteristichenegative delle leguminose sono inattivate dalcalore e questo spiega come il successo diquesti vegetali sia strettamente collegato allacucina.Attività antienzimatiche e loro inattivazione.Molti semi di leguminose (soia, fagioli, pi-selli, fave, lenticchie, ceci e altre leguminose)contengono delle antitripsine che in diversogrado inibiscono l’azione della tripsina, unenzima che serve a digerire le proteine. Conogni probabilità questi enzimi servono alladifesa della pianta contro i parassiti e sonoquindi il risultato di un’evoluzione difensiva.Per una completa eliminazione degli antien-zimi presenti nei semi di leguminose è ne-cessario un trattamento intenso con il calore:una bollitura prolungata per più ore, od unacottura in pentola a pressione (118 centigra-di per almeno mezz’ora).Attività antivitaminiche e loro inattivazione.In diverse leguminose fresche (ad esempionei fagiolini) sono presenti delle ascorbasi,enzimi che distruggono l’acido ascorbico(Vitamina C). Un’antivitamina E è stata in-dividuata anche nei fagioli.Attività ormonali ed antiormonali. Nei semidi diverse leguminose, ed in particolare nel-l’olio che n’è estratto, sono state individuateattività estrogene. L’olio di soia e di arachi-

114

Capitolo II

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 114

Page 114: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

de, ad esempio, hanno un’attività estrogenapari a 10 mg di follicolina - equivalente peretto. Quest’attività può avere un effetto be-nefico sulla nutrizione, e cosmetico se l’olioè usato sulla pelle.Attività farmacologiche, con particolare riguardoal Morbo di Parkinson. In talune leguminosesono state individuate attività farmacologi-che. In particolare nella fava sono contenuteelevate quantità di L-Dopa (circa lo 0,25%del suo peso). Uno o due pasti il giorno di fa-ve fresche sono sufficienti per fornire la quan-tità di L-Dopa usati nella terapia del Morbodi Parkinson. In una persona normale la stes-sa quantità può provocare insonnia, ansie edallucinazioni, accrescere la tensione nervosa,ma anche stimolare l’attività sessuale.Attività antinutrizionali. Le emoagglutininepresenti nelle leguminose inibiscono nume-rosi enzimi proteolitici digestivi e sono di-strutte dal calore. Le caratteristiche antigenedelle leguminose possono produrre sensibi-lizzazioni diverse, in particolare allergie ali-mentari, se le leguminose sono mangiatecrude o poco cotte (fave crude, pane alla soiaecc.).Saponine e azione anticolesterolica. Le saponi-ne delle leguminose producono meteorismoschiumoso e deprimono l’utilizzazione deglialimenti, ma accanto a questi effetti sfavore-voli, deprimono l’utilizzazione intestinaledel colesterolo alimentare. La presenza difattori anticolesterolo nelle leguminose haun preciso significato di difesa dei vegetalicontro i parassiti. Le larve parassitarie persvilupparsi, hanno bisogno di colesterolo. Seuna pianta attraverso la selezione naturaledota i suoi semi di attività anticolesterolica,resiste meglio ai parassiti ed ha maggioriprobabilità di successo riproduttivo. Secon-do Oakenfull (1981) le saponine delle legu-minose nella dieta rivestono un ruolo di sot-trazione del colesterolo anche nell’uomo, ri-ducendo il rischio di coronaropatie nellepersone che per diversi motivi non riesconoa regolare i livelli di colesterolo nel sangue.

Le saponine alimentari, legandosi al coleste-rolo, formano complessi insolubili non rias-sorbibili, interrompendo anche il ciclo ente-roepatico del colesterolo. Le leguminose piùricche di saponine sono i ceci (Cicer arieti-num), numerose varietà di fagioli (Phaseolusvulgaris), oltre alla soia (Soia hyspida o Glyci-ne max). Le saponine non sono distrutte odinattivate dal calore e soltanto la fermenta-zione può ridurle (ad esempio sono circa di-mezzate nei prodotti di fermentazione otte-nuti dalla soia). Se si mangiano contempora-neamente leguminose e alimenti ricchi dicolesterolo, questo è assorbito soltanto inparte. Nell’attuale interesse per il c. d. Mo-dello Alimentare Mediterraneo si è enfatiz-zato il ruolo dei cereali, olio di oliva, vegetalidiversi, ma non si è altrettanto rilevato chenel passato i semi di leguminose (fava, cece,lenticchie ecc. e, nei secoli più vicino a noi, ifagioli) erano la base proteica più importan-te, che contrastava anche un eventuale ec-cesso di colesterolo proveniente da alimentidi origine animale.Flatulenze. Nei semi di leguminose ed inparticolare nei fagioli esistono sostanze ge-neratrici di flatulenze (gas intestinali). Sonooligosaccaridi che, arrivati nel grosso intesti-no ed in rapporto alla flora intestinale (e daqui le diversità individuali, familiari o di po-polazione) fermentano, con produzione dimetano, anidride carbonica ed altri gas.Attività cancerogene. Le leguminose nonhanno dirette attività cancerogene, non as-sumono e tanto meno non concentrano can-cerogeni ambientali. Un’attività canceroge-na, anche potentissima, può derivare perazione delle muffe. Le aflatossine prodottedall’Aspergillus flavus cresciuto sui semi diarachidi, sono probabilmente il cancerogenopiù potente fino ad oggi noto.Attività anticancerogene. Le attività antican-cerogene delle leguminose fresche sono dariportare al loro contenuto in vitamine C edE, ed in betacaroteni, mentre sia per quellefresche sia secche è da ricordare la fibra ali-

115

Cibo e nutrizione

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 115

Page 115: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

mentare, di cui i semi di leguminose sonopiù o meno ricchi. Recentemente si è attri-buito all ’acido fitico, presente in buonequantità nei semi di leguminose, la capacitàdi prevenire il carcinoma del colon.Attività tossiche ed antitossiche. Nei semi di ta-lune leguminose sono presenti anche specifi-ci eterosidi e glicosidi tossici con formazionedi acido cianidrico. Con la cottura si distrug-ge l’enzima che provoca la formazione di aci-do cianidrico, ma precise ricerche hanno di-mostrato tracce di acido cianidrico nelle uri-ne di persone che avevano mangiato i vege-tali anche cotti. Il problema riguarda soprat-tutto il fagiolo di Lima (Phaseolus lunatos).Situazioni analoghe, ma molto meno intense,sono state ritrovate per la veccia (che contie-ne la vicianina), i ceci e la fava. La fava con-tiene inoltre la vicina che provoca il favismo(vedi). Le leguminose contengono aminoaci-di particolari detti non convenzionali e chenon sono utilizzati dall’uomo o n’alterano ilmetabolismo, divenendo tossici. Nel Lathy-rus sativus sono presenti delle lectine checausano il latirismo, una malattia identificatadal medico napoletano Arnoldo Cantani nel1873 e provocata dall’eccessivo consumo dipane preparato, in periodo di carestia, con lafarina di cicerchia bianca (Lathyrus sativus) edi cicerchia cece (L. cicera).

Aspetti sanitari dell’alimentazione con leguminoseConsiderando gli aspetti sanitari dell’ali-mentazione con leguminose si possono ri-cordare i rapporti tra fava e favismo, malariae malattie del sangue di natura genetica (ve-di favismo). Oggi sono importanti i ruoliche le leguminose hanno nella prevenzionedi patologie di grande interesse contempora-neo, come le neoplasie e le alterazioni car-diovascolari collegate al metabolismo del co-lesterolo.Leguminose e cancro. Attività antineoplasti-che di tipo indiretto sono state sopra indica-te per le leguminose, attraverso i seguentimeccanismi.

a) Aumento della velocità di transito intesti-nale.

b) Nelle leguminose fresche presenza di vi-tamine C ed E e di betacaroteni, mentresia per quelle fresche sia secche è da ri-cordare l’attività anticancerogena della fi-bra alimentare, di cui i semi di legumino-se sono più o meno ricchi.

c) Acido fitico, presente in buone quantitànei semi di leguminose, che ha la capacitàdi prevenire il carcinoma del colon.

Leguminose e patologie da colesterolo. Sonostate individuate nei semi di leguminose at-tività riguardanti il metabolismo del coleste-rolo e quindi i possibili effetti su patologie aquesto correlato, in particolare di tipo car-diovascolare.1) Le saponine presenti nella dieta ed ap-

portate dalle leguminose hanno un ruolodi sottrazione del colesterolo.

2) Lecitine presenti nei semi di leguminosericchi di lipidi (soprattutto soia: 237mg/100 grammi di seme intero; ma anchearachidi, il cui olio contiene 145 mg/100grammi) che per il loro alto contenuto incolina, favoriscono l’eliminazione di cole-sterolo attraverso la bile ed al tempo stes-so favoriscono la formazione di lipopro-teine HDL e cioè del colesterolo conside-rato buono.

3) La fibra alimentare delle leguminose osta-cola il circolo enteroepatico del colestero-lo e ne favorisce l’eliminazione fecale.

Leguminose alimentari ed alimentazionedarwinianaOltre quanto esaminato per i rapporti tra lafava e la malaria (vedi favismo), in linea ge-nerale, per le leguminose, si delineano chia-ramente più chiavi d’interpretazione darwi-niana delle loro attività extranutrizionali edel loro uso alimentare. Perché le legumino-se, come altri vegetali, sono dotate d’attivitàextranutrizionali? Senza entrare in dettagli,è ben evidente che molte citate attività han-no una funzione antiparassitaria, interpreta-

116

Capitolo II

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 116

Page 116: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

bile come fenomeni protettivi sviluppati at-traverso una selezione evolutiva. Prima tratutte ed in modo quasi emblematico, l’atti-

vità anticolesterolica dei semi delle legumi-nose è da interpretare come un meccanismoprotettivo nei riguardi di larve d’insetti pa-

117

Cibo e nutrizione

Intersupplementazione tra le proteine d’una leguminosa (fagiolo) e d’una graminacea(frumento)

Alimento Aminoacido Triptofano Metionina Lisina più cistina

limitante mg/100 g mg/100 g mg/100 g

Pasta di semola Lisina 105 345 224

Pane Lisina 62 345 166

Fagioli secchi Metionina + 226 451 1701

Cistina

Uovo intero di gallina = 225 735 913

Minestrone di pasta e fagioli Metionina + 36 94 131

Cistina

Pasta e fagioli secchi (g 50 + g 50) 175 397 962

Pasta e fagioli secchi (g 150 + g 50) 270 740 1186

Effetto del calore e dell’aggiunta dell’aminoacido metionina sul valore nutritivo (effica-cia proteica) della soia nel ratto (da Liener et al., 1949)

Trattamento della soia Efficacia proteica

Farina di soia cruda 1,33

Farina di soia trattata con calore (A) 2,62

Farina di soia cruda più metionina 9,6% (B) 2,42

A - Il trattamento con il calore inibisce le attività antinutrizionali della farina di soia

B - Le attività antinutrizionali della soia sono in buona parte contrastate dall’aggiunta di un aminoacido essenzia-

le come la Metionina

Soia e cancro. Numero di studi pubblicati (da Messina et al., 1994; Bingham e coll. 1998;con modifiche)

Tipo di tumore Numero di studi

Totale Rischio Rischio Rischio

aumentato non significativo diminuito

Mammella 5 0 2 3

Prostata 3 0 3 0

Colon-retto 8 2 3 3

Polmone 4 0 1 3

Stomaco 14 1 6 7

Totale 34 3 15 16

100% 8,82% 44,11% 47,07

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 117

Page 117: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

rassiti che, per il loro sviluppo, hanno neces-sità di sintetizzare colesterolo.Un’importante linea interpretativa della

presenza delle leguminose nell’alimentazio-ne umana è di tipo nutrizionale, e riguarda illoro livello proteico e d’equilibrio con altrivegetali amidacei. Per questo motivo il “pac-chetto” di cereali e leguminose appare in tut-te le agricolture, fin dal loro inizio o in ognicaso molto presto, man mano che cala l’ap-porto proteico da carne. Una seconda lineainterpretativa riguarda i vantaggi che la col-tivazione delle leguminose apporta nella fer-tilità dei terreni, soprattutto quando viene amancare un apporto d’azoto animale (conci-mazione). Una terza linea è quella degli ef-fetti extranutrizionali delle leguminose. Peralcune leguminose, come la fava (vedi allavoce favismo), questi effetti paiono aver par-tecipato allo sviluppo della loro coltivazione,anche in equilibrio di costo (rischio o dan-no) e beneficio. Per altre leguminose si pos-sono proporre soltanto delle ipotesi. Unaquarta e non ultima linea è infine quella delruolo che la cucina, vale a dire il trattamentosoprattutto con il calore umido, ha avutonello sviluppo dell’uso alimentare delle legu-

minose. Calore umido significa usare la pen-tola, il che è possibile solo in una società se-dentaria, quindi con un’agricoltura sufficien-temente sviluppata.

Bibliografia

Ballarini G. Rischi e virtù degli alimenti. Calderini,Bologna, 1989

Cantani A. Latirismo (Lathyrismus) illustrato da trecasi clinici. Il Morgagni, 15, 745-765, 1873

Grmek M.D. Leggenda e realtà della nocività dellefave. In Grmek, 1985

Grmek M.D. Le malattie all’alba della civiltà occi-dentale. Il Mulino, Bologna, 1985

Liener I.E. Naturally occurring toxicants in foodsand their significance in the human diet. Arch.Toxicol. Suppl., 6153-6166, 1983

Marquet M.R. Intoxications alimentaires par cer-taines légumineuses: fèves, haricots cyanogéneti-ques. Paris, 1944

Massa E. An overview of lathyrism. Rev. Neurobio-logy, 18, 181-206, 1972

Shilling E.D., Strong F. M. Isolation, structure andsynthesis of a lathyrus factor from L. odoratus - J.Am. Chem. Soc., 76, 2848, 1954. Nutr. Rev., 23,242, 1976

Streifler M., Cohn D.F. Chronic central nervous sy-stem toxicity of the chikling pea (Lathyrus sati-vus). Clin. Toxicol., 18, 1513-1517, 1981

118

Capitolo II

Effetti della cottura sui fagioli

Componenti Effetti della cottura Effetto

desiderato

Lectine Inattivazione per denaturazione SI

Inibizione d’enzimi aspecifici Inattivazione per denaturazione SI

(inibizione proteasi)

Inibizione d’enzimi aspecifici (tannini) Piccola riduzione SI

Proteine (aminoacidi nutrizionali) Denaturazione in rapporto alla Secondo il

temperatura tipo di seme

Lisina (aminoacido) Riduzione in relazione alla temperatura e NO

durata della cottura

Oligosaccaridi Piccola riduzione NO

Fattori di flatulenza Piccola riduzione NO

Tannini Piccola riduzione SI

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 118

Page 118: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Ortaggi, piante aromatiche e frutta:necessità nutrizionale umana

È opinione comune che l ’uomo preistorico sinutrisse di bacche e radici, alle quali erano daaggiungere le frutta, e questa idea è avvalo-rata dalle recenti conoscenze di nutrizioneevoluzionista. L’orto rappresenta la rispostaculturale alla necessità umana di vegetalifreschi.La presenza di piante aromatiche nella dietaumana trova una giustificazione nelle loropreziose attività antiossidanti, antibiotiche,vitaminiche e farmacologiche, oggi conside-rate anche dalla nutraceutica. Tutto fa rite-nere che il loro uso sia antichissimo ed asso-ciato anche all ’uso del fuoco per cuocere lacarne ed all’invenzione del brodo.Nella quota vegetariana dell ’alimentazioneumana la frutta ha sempre avuto un ruolo diprimo piano, confermato anche dalle recentiindagini sulle molecole strategiche.

Wild plant connection ed alimentazione naturale su cibi freschiRecenti sono gli studi sistematici sull’impor-tanza delle piante selvatiche eduli in alimen-tazione umana e sui correlati aspetti antro-pologici, per questo è stata anche creata l’e-spressione di wild plant connection (Grivettie Ogle, 2000). Al riguardo sono stati rilevatigli aspetti riguardanti la composizione deivegetali selvatici, soprattutto per i micronu-trienti, considerando che l’uomo, durante unperiodo di centinaia di migliaia d’anni, si èalimentato soltanto con cibi freschi. Tutto faritenere che i nostri antenati, pur non viven-do a lungo, stessero sufficientemente bene,considerando anche l’ambiente e lo stile divita. Anche gli animali, di cui l’uomo si nu-triva, avevano un’alimentazione fresca, riccadi composti antiossidanti, come l ’acidoascorbico (vitamina C) ed i tocoferoli (vita-mina E). In seguito all’invenzione dell’agri-coltura, l’uomo incominciò a nutrirsi conalimenti conservati (essicati, salati ecc.) o

variamente trattati dalla cucina (cotturaecc.), con non sempre favorevoli conseguen-ze, considerate anche in altri capitoli.La conservazione e la cottura dei cibi portadei vantaggi, ma anche lo svantaggio di di-struggere molecole che sono strategiche perla salute umana e, tra queste, soprattuttoquelle che proteggono dall’ossidazione. Oggisi può avere sulla tavola un minestrone pre-parato con verdure liofilizzate, uno stracottodi carne congelata da qualche mese con con-torno di spinaci in scatola (confezionati datempo), una macedonia di frutta conservata(con coloranti e conservanti), una torta gela-ta preconfezionata e preparata con latte inpolvere e vanillina, pane congelato ed unabibita artificiale. Un pasto nutrizionalmenteequilibrato, sicuro da un punto di vista sani-tario, probabilmente accettabile da chi ha unpalato poco educato, ma non per l’aspettosalutistico. Oggi chiediamo alimenti sani,ma soprattutto che siano portatori di salute(alimenti salutistici) e forniscano le preziosenutricine, che si trovano nei prodotti naturalifreschi. La freschezza degli alimenti è unacondizione antichissima, che sta venendo al-la ribalta.

Invenzione dell’orto ed alcuni ortaggiL’orto è nato prima campo ed era una perti-nenza femminile, mentre il campo divennedi pertinenza maschile. Nell’orto l’umanitàha prodotto e sviluppato molti alimenti ve-getali, diversi dei quali sono passati alla col-tivazione in campo, ricchi di sostanze attivequali gli antibiotici vegetali gli antiossidantinutrizionali, gli ormoni vegetali o fitormonied altre sostanze farmacologicamente attive(considerati in altri capitoli). Nell’orto sonodi particolare importanza le erbe aromati-che. In questa sede è utile considerare alcuniortaggi particolari quali l’aglio, la cipolla edil pomodoro.Nell’aglio erano state dimostrate intense at-tività antinfettive su molti batteri, come purebuone azioni antiparassitarie, in particolari

119

Cibo e nutrizione

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 119

Page 119: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

sui vermi intestinali, che nel loro complessogiustificano il largo uso di questo vegetalenella cucina tradizionale. Sono state ancherecentemente confermate talune attività an-titumorali. L’aglio allontana il cancro e que-sto lo dimostra uno studio di ricercatori del-l’Illinois Institute of Technology di Chicagoguidati da Richard Moon. Il diallilsulfide,composto organosolforato presente nell’a-glio, riduce a circa un terzo il rischio di tu-more provocato dalla metilnitrosurea. Ilmeccanismo d’azione sembra quello di bloc-care i radicali liberi e se questo sarà confer-mato si può prevedere una buon’azione del-l’aglio anche contro i processi d’invecchia-mento. Recenti indagini testimoniano peròche l’attività dell’aglio è in rapporto alla suafreschezza e che molte sue attività si perdo-no con i trattamenti termici.La cipolla è ritenuta un ortaggio tonico, sti-molante, diuretico, antidiabetico, espettoran-te, emmenagogo, dotata anche di azioni anti-vomito, antidolorifiche, antiemorragiche. Piùrecentemente è stata dimostrata l’azione del-la cipolla sul metabolismo organico ed inparticolare la sua azione nel diminuire il co-lesterolo e lo zucchero nel sangue, ma anchel’eccessiva pressione del sangue (ipertensio-ne). Per la cipolla sono state segnalate azioniafrodisiache maschili e d’aiuto alla riprodu-zione maschile. A.M. Al-Bekairi e collabo-ratori, della Facoltà di Farmacia di Riyadhnell’Arabia Saudita hanno sperimentato suitopi gli effetti di un estratto acquoso dellacipolla (100 milligrammi per chilogrammodi peso vivo). Pur non avendo significativieffetti negativi oltre ad abbassare la sintesidel colesterolo, e senza dimostrare particolariazioni ormonali estrogene, antiestrogene e,quel che è molto importante, di tipo geno-tossico, si è vista un’elevata attività sull’appa-rato riproduttivo maschile. Nei maschi ali-mentati con cipolla aumenta la concentra-zione di cellule riproduttive nel seme, perun’attività androgena che conferma l’opinio-ne che la cipolla abbia per il maschio (e non

per la femmina) effetti afrodisiaci. La quan-tità di estratto di cipolla usata non è elevata ecorrisponde a circa un quinto della dose far-macologicamente attiva. Per un uomo adultosarebbero necessari 7 grammi di estratto equindi una dose facilmente raggiungibile conuna normale alimentazione con cipolle,avendo tuttavia l’avvertenza di continuare iltrattamento per almeno un mese.Per il pomodoro, significative sono le recentiricerche del Dr El-Sayed El Tanboly delNational Research Center egiziano (Depar-tement of Dairy and Food Technology diDokki, Cairo) sulle potenti attività antiossi-danti dei semi di pomodoro. I semi di po-modoro, oltre ad un olio particolare, conten-gono proteine, carboidrati, fosfolipidi e so-prattutto tocoferoli; sia l’olio di semi di po-modoro sia i tocoferoli sono dotati di elevateattività antiossidanti, ma soprattutto conten-gono il licopene, un carotenoide liposolubilecon elevate attività antiossidanti. Nella dietamediterranea il pomodoro nel suo comples-so, ivi compresi i semi, è stato subito asso-ciato ad altri vegetali antiossidanti, come ilrosmarino, contribuendo a combattere ma-lattie degenerative.

Erbe aromatiche e loro preistoriaPer circa un milione d’anni, i nostri antenatihanno usato il fuoco, anche per modificaregli alimenti ed è molto probabile che utiliz-zassero legni, arbusti ed erbe aromatiche,inizialmente sotto forma di fumi, e poi d’in-fusi nei loro brodi primitivi. La ricerca diqueste erbe è stata certamente guidata dalloro gusto, ma anche dal senso di benessereconsecutivo al loro uso. Recenti ricerchedanno la dimostrazione che le erbe aromati-che hanno preziose attività antiossidanti, an-tibiotiche, vitaminiche e soprattutto farma-cologiche, recentemente considerate dallanutraceutica. Si è anche sviluppata una ri-cerca scientifica sulle proprietà delle pianteofficinali usate in alimentazione, soprattuttoper quanto riguarda la loro attività antiossi-

120

Capitolo II

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 120

Page 120: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

dante (Cuppett e coll., 1997; Dessì e coll.,2002; Fereidoon Shahidi, 1997; LindbergMadsen e Bertelsen, 1995; Pizzale e coll.,2001). In questo capitolo è utile considerarealcuni aspetti positivi e negativi delle piantearomatiche, in una visione darwiniana del-l’alimentazione.

Erbe aromatiche e dieta mediterraneaLa dieta mediterranea non comprende sol-tanto alimenti, ma anche condimenti chesvolgono importanti azioni sanitarie. Lamoderna ricerca sta dimostrando il ruolopreventivo degli antiossidanti, soprattuttonella prevenzione dei danni provocati daiveleni ambientali o dall’età. Parlare d’antios-sidanti fa subito pensare ad additivi chimici,perciò bisogna chiarire.“Senza additivi chimici”, “contiene aromi na-turali” sono due frasi sempre più frequentinegli alimenti industriali, dalle merendine al-la maionese, dai condimenti per insalate aisughi per la pasta asciutta, dall’olio alle carnicotte, fino ai piatti di pesce pronti o da cuci-nare, alle patatine fritte, salumi di diverso ti-po ad iniziare dalle mortadelle, e cosi via.“Senza additivi chimici” e “contiene arominaturali” potrebbero sembrare frasi indipen-denti, ma non è così. Infatti, da qualche tem-po ci si è accorti che molti aromi naturali so-no dotati di potenti attività chimiche ed inpiena legalità sono usati per le loro caratteri-stiche chimiche, da esempio come antiossi-danti. Esemplare è il caso degli antiossidanticontenuti nelle foglie del rosmarino (Rosma-rinus officinalis L.).Il carnosolo, il rosmanolo, l’iso-rosmanoloed il rosmarildifenolo sono potenti antiossi-danti contenuti normalmente nelle foglie dirosmarino, dalle quali sono estratti in quan-tità sempre crescenti. Per questo il rosmari-no, sotto le crescenti richieste dell’industriaalimentare, sta divenendo un’interessantecoltivazione industriale. In Europa e negliStati Uniti d ’America gli antiossidantiestratti dal rosmarino rappresentano una

quota del 40-50% degli antiossidanti natura-li usati negli alimenti industriali. Gli antios-sidanti del rosmarino, quando sono adegua-tamente purificati, perdono ogni sapore edodore. Per questo possono essere usati inqualsiasi alimento, ad esempio anche nellemerendine. Mantenendo il loro sapore, inve-ce, possono essere utilizzati in molte prepa-razioni di carni, ad esempio nelle mortadel-le. Precise ricerche del Dr. S. Chang, hannodimostrato che gli antiossidanti del rosmari-no ritardano l’ossidazione dell’olio di soia ela formazione d’idrossiperossidi nel lardo enelle patate durante la frittura. L’abitudinequindi di aggiungere rosmarino alle patatedurante la cottura (arrosto o frittura) ha so-lide basi anche sanitarie.Il rosmarino è uno degli elementi della dietamediterranea che contribuisce in modo de-terminante al successo di questo tipo d’ali-mentazione, anche in associazione ad altrespezie mediterranee, come l’origano (purequesto dotato d’attività antiossidanti), la sal-via, l’aglio e la cipolla.“La gastronomia aveva ragione” potrebbe es-sere un libro costruito sulle sempre più fittedimostrazioni che il mangiare bene non èsoltanto un piacere, ma può essere un inso-stituibile strumento di salute.Le tradizioni alimentari si vanno rivelandodegli insostituibili giacimenti culturali nonsolo da conservare, ma anche da studiare inmodo adeguato. Indagando con sofisticati eprecisi metodi scientifici aspetti apparente-mente banali ed umili, è facile imbattersi inargomenti d’estremo interesse non solo cul-turale, ma anche pratico. Non raramente sipossono inoltre stabilire collegamenti trasettori apparentemente molto distanti. È adesempio il collegamento che vi è tra la cuci-na dell’origano e del rosmarino, la longevitàdelle passate popolazioni mediterranee e lararità con cui erano colpite da infarti cardia-ci, emorragie cerebrali e tumori.La dieta mediterranea è stata inventata dagliamericani, sulla base dell’alimentazione dei

121

Cibo e nutrizione

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 121

Page 121: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

popoli dell’Italia meridionale e della Grecia.In queste popolazioni infarti del cuore,emorragie del cervello e certi tumori eranomolto meno frequenti che in America. Que-sta dieta salutistica è stata semplificata inun’alimentazione ricca di vegetali, povera dialimenti di origine animale e con una picco-la quantità di vino rosso. Successivi studihanno enfatizzato il ruolo benefico dell’oliodi oliva. Con un’eccessiva semplificazione siè dimenticato che la vera dieta dei popolimediterranei era molto ricca di talune spe-zie, ad esempio l’origano e soprattutto il ro-smarino. Queste spezie erano e sono rimastecomponenti quasi obbligate della pizza tra-dizionale, di moltissime insalate e carni cottee di alcuni salumi.Che cosa sarebbe la nostra alimentazionesenza queste spezie? In particolare quantipiatti di gastronomia tradizionale italianaesigono la presenza di origano (in particola-re preparazioni crude od a rapida cottura) odi rosmarino (soprattutto piatti con più omeno lunga cottura). L’azione antiossidantedel rosmarino spiega il suo largo impiegotradizionale nella conservazione di grassianimali (lardo, strutto, salumi diversi) e nellacottura di alimenti grassi, soprattutto in re-cipienti metallici. La frittura o la cottura inpadella di ferro o di rame, anche se stagnata,sarebbe molto ossidante, se non fosse pre-sente il rosmarino o l’origano.Alle sostanze antiossidanti oggi si attribui-scono importanti azioni antinvecchiamento.Una buona longevità era caratteristica deipopoli mediterranei del passato. Oggi abbia-mo tutti gli elementi per ritenere che fossedovuta anche ad un’alimentazione appro-priata, come la dieta mediterranea, ed alcontinuo uso di spezie antiossidanti, comel’origano e soprattutto il rosmarino.

Malattie moderne e dieta antiossidanteL’alimentazione darwiniana non ci permettesoltanto di guardare indietro, ma anche dicercare di meglio vivere l’oggi, considerando

in particolare le nuove malattie che affliggo-no l’umanità.Recentemente Singh e Niaz (1999) hannostudiato la variazione genetica e la nutrizio-ne umana in relazione alle malattie delle co-ronarie (infarto ecc.), ipertensione, diabetemellito, aumento dei grassi nel sangue ecc.considerando anche la possibilità di predi-sporre delle diete che tengano conto dellecaratteristiche genetiche individuali, secon-do la cosiddetta “medicina predittiva”. Inquesto quadro, le vitamine antiossidanti, ilcoenzima Q10 e gli acidi grassi della serie n-3 hanno un ruolo positivo, mentre l’acido li-noleico, i grassi saturi e gli zuccheri dimo-strano avere effetti avversi.Un favorevole effetto antiossidante delladieta aumenta la resistenza genetica alla ma-laria (Greene, 1999), tanto da poter inter-pretare anche le cucine tradizionali delle po-polazioni esposte all’infezione: larga presen-za di oxidans fuels, limitata introduzione ali-mentare di ferro, limitazione nell’introdu-zione d’antiossidanti alimentari. Il tutto alfine di ridurre la produzione di radicali liberida parte dei parassiti della malaria. In que-st’orientamento è da interpretare anche ladieta lattea di molte popolazioni esposte allamalaria. Non è infine da dimenticare cheLee e coll. (1997) hanno dimostrato un’atti-vità antiossidante del the verde (Camelia si-nensis), con effetti profilattici sui danni dafumo di sigaretta.

Rischi da erbe aromaticheSiamo tutti abituati che sulle confezioni dimolti dolcificanti artificiali sia indicato chepossono essere pericolosi e soprattutto chenon bisogna superare certe dosi giornaliere.Lo stesso potrà avvenire anche per l’origanoe molte altre erbe aromatiche d’antico e più omeno largo uso nella cucina tradizionale, so-prattutto mediterranea. Una pizza con origa-no come “dose giornaliera” di un farmaconon è fantascienza. Solo cinquant’anni fa co-me ricostituente si usava il Liquore Arseni-

122

Capitolo II

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 122

Page 122: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

cale di Fowler, un farmaco oggi drasticamen-te bandito perché cancerogeno. In modoanalogo probabile che tra pochi anni ci me-raviglieremo dell’uso nella nostra cucina d’er-be che già oggi sono sospettate di canceroge-nicità e sono già state condannate o sono inattesa di giudizio da parte dei tossicologi.I Borgia, che sono passati alla storia (od allaleggenda?) per il loro uso dei veleni, usavanosoltanto prodotti naturali anche perché lachimica non era stata ancora inventata, e perl’altrettanto buon motivo che la natura èpiena di veleni e non vi è che l’imbarazzodella scelta. Mentre ai Borgia interessavano iveleni rapidi e per quanto possibili sicuri,oggi noi siamo preoccupati dei veleni lenti,che possono provocare tumori e soprattuttodei veleni subdoli, nascosti dove non sospet-tiamo, anche nelle nostre cucine e nelle ri-cette più tradizionali.Recentemente gli studiosi dell’Istituto Su-periore di Sanità e d’Istituti Universitari Ita-liani, sotto la guida del Dr. M. De Vincenzi,hanno raccolto quanto noto su diverse erbeusate nell’alimentazione umana, soprattuttocome condimenti o per la preparazione di li-quori, arrivando a conclusioni a prima vistasconcertanti, almeno per il gran pubblico.La prima conclusione di questi studi è lagran complessità di composizione dellepiante, che non agevola un giudizio di sicu-rezza e quindi una chiara assoluzione. Adesempio, nel comune origano, sono stati in-dividuati oltre cinquanta composti chimicinaturali, ognuno dei quali con le sue caratte-ristiche farmacologiche e tossicologiche. Laseconda conclusione delle ricerche che permolte delle erbe esaminate vi sono quantita-tivi di uso molto variabili. Bisogna, infatti,precisare che in linea di massima rimanesempre valido il principio che sola dosis facitvenenum, anche se oggi vi sono studiosi chesostengono che per i composti cancerogenidi tipo genotossico potrebbe bastare una solamolecola per dare avvio ad un tumore. An-che per questo, per molte erbe esaminate si

conclude per una provvisoria libertà vigilata,in attesa di poter stabilire le quantità di usonell’alimentazione senza rischi apprezzabili.Tra le erbe aromatiche recentemente esami-nate la borragine, usata soprattutto comearomatizzante delle insalate, è stata giudica-ta pericolosa perché contiene alcaloidi chedanneggiano il fegato e negli animali posso-no anche provocarne la morte. Un giudizioche potrebbe (o dovrebbe) indurre al suo se-questro sui banchi dei negozi di verdura, eforse anche alla denuncia dei negozianti perspaccio d’erbe velenose! In attesa di giudi-zio, ma sospette, sono altre erbe aromatichecome l’eufrasia, l’issopo, la cedrina, il marro-bio bianco, la melissa o cedronella, più omeno ampiamente utilizzate nella prepara-zione di tisane, bevande e liquori casalinghi.Il già citato origano, largamente usato nellapreparazione d’alimenti mediterranei, con-tiene rilevanti quantità d’estragolo che neglianimali provoca epatomi ed interferisce sulfunzionamento del fegato. In attesa d’ulte-riori precisazioni è certamente utile evitareogni eccesso e limitare l’uso delle erbe aro-matiche, variandone la presenza nell’alimen-tazione.

Frutta ed antropologia dell’alimentazione frugivoraL’uomo ha un’alimentazione nella quale lafrutta ha sempre avuto un ruolo di primopiano, come dimostrano storie raccontate escritte, miti e leggende. In uno dei primi li-bri dell’umanità, la Bibbia, la vita umana hainizio in un giardino o frutteto, l’Eden, nelquale i frutti sono commestibili, ma alcuni,come il frutto proibito, sono dotati di atti-vità extra-nutrizionali, in parte collegabilianche a quelle che oggi sono denominatemolecole strategiche. Un’altra dimostrazionedella frugivorità umana sta nell’attenzioneche l’uomo ha dedicato prima alla raccoltadei frutti e poi alla coltivazione e selezionedegli alberi da frutta. Molte osservazioni in-dicano che la coltivazione degli alberi da

123

Cibo e nutrizione

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 123

Page 123: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

frutta è avvenuta precocemente e per motividiversi, anche di tipo edonistico, come lafrutta utilizzata per le fermentazioni (vinod’uva, di datteri ecc.). Importante è aver ri-conosciuto che la ricerca della frutta si colle-ga ad una serie di comportamenti guidati dal

colore, sapore ed anche dal gusto d’acido.Per queste caratteristiche esistono dei deter-minanti di scelta, con origini preumane. Intempi recenti alla frutta si è riconosciuta laparticolare importanza di fornire principi at-tivi e molecole strategiche.

124

Capitolo II

Ossidazione ed alcuni alimenti

Alimenti ossidanti Alimenti antiossidanti

Frutta conservata Frutta fresca (esclusa la secca)

Ortaggi farinacei (patate ecc.) Verdura fresca – carote, cavoli ecc. (insalate escluse)

Spezie fresche (origano, timo, salvia, rosmarino ecc.)

Carni conservate (salate, affumicate ecc.) Carni rosse magre fresche

Grassi vecchi o mal conservati Pesci selvaggi non allevati

(sardine, tonno, pesce spada ecc.)

Additivi alimentari antiossidanti (acido ascorbico,

tocoferoli, nitriti ecc.)

Ossidanti ed antiossidanti negli alimenti

Componenti alimentari ossidanti Componenti alimentari antiossidanti

VitamineVitamina C (acido ascorbico)

Vitamina E (tocoferolo)

Minerali MineraliFerro Selenio

Rame Zinco

Manganese

Principi attivi vegetaliCarotenoidi

Xantofille

Caroteni (beta carotene; luteine; licopene; zeaxantina;

cantaxantina; astaxantina ecc.)

Flavonoidi

Composti fenolici

Principi attivi dei grassi Principi attivi della carnePerossidi Vitamina E

Selenio

Zinco

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 124

Page 124: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Uva medicinale e molecole strategiche dellafruttaChe un bicchiere di vino a pasto non facciamale ad una persona sana è risaputo. Più re-cente è la conoscenza scientifica che lo stes-so bicchiere, soprattutto se di vino rosso, faanche bene e, nell’ambito di un’alimentazio-ne corretta ed equilibrata, può aiutare a pre-venire alcune malattie. Il moderato uso divino riduce il rischio di patologie cardiova-scolari, in particolare per effetti protettivisulle arterie coronarie. Recenti ricerche di-mostrano che l’uva può essere consideratauna pianta medicinale, dalla quale sono statiestratti importanti farmaci. Gli stessi prin-cipi attivi naturali sono presenti anche nelvino, in particolare in quello rosso, ma an-che le foglie della vite, peraltro usate in ali-mentazione, soprattutto nei paesi mediter-ranei, sono dotate d’attività farmacologiche.Nell’uva sono stati individuati acido ellagi-co, resveratrolo, polifenoli e tannini, anto-ciani e antocianine e, recentemente, le pro-cianidine, con numerose ed importanti

azioni sanitarie che possono essere elencatecome segue.1 - Azione antiossidante, più elevata di

quella di molti estratti vegetali.2 - Azione antinfiammatoria, che si svolge

inibendo gli enzimi dell’infiammazione(proteasi, collagenasi, elastasi, glicosidasiecc.).

3 - Azione antimutagena utile nella terapiadi malattie croniche degenerative.

4 - Azione sui vasi sanguigni. Le procianidi-ne sono dei potenti protettivi dei vasi delsangue e della linfa. Sono utilizzabilinella terapia delle turbe della microcirco-lazione, per migliorare la resistenza deicapillari sanguigni periferici e dell’oc-chio, per aiutare la circolazione del san-gue e della linfa nelle vene e nei vasi lin-fatici. Le procianidine sono praticamenteatossiche, non sono mutagene o cancero-gene, non danneggiano la gravidanza odil suo prodotto e sono state con successoprovate nella cura dell’insufficienza dellevene, nell’edema linfatico, in malattie

125

Cibo e nutrizione

Dieta antiossidante e rischio ossidante

Alimento Frequenza d’uso

Ogni Tre volte Una volta Raramente

giorno settimana settimana o mai

Frutta fresca (1) 10 5 2,5 0

Ortaggi freschi 10 5 2,5 0

Verdure a foglia larga (2) 5 2,5 1,25 0

Spezie fresche (3) 3 1,5 0,75 0

Carni rosse, pesci selvaggi (4) 2 1 0,5 0

Integrazioni (vitamine C, e, selenio) 10 5 2,5 0

1 = Ad esclusione della frutta secca

2 = Ad esclusione delle insalate

3 = Origano, timo, salvia, rosmarino

4 = Muscolo rosso, sardine, tonno, pesce spada (escludendo i pesci allevati)

40 – 30 punti = ottimo – L’alimentazione è ben protetta contro l’ossidazione (rischio ossidante assente)

29 – 20 punti = buono – L’alimentazione è sufficientemente protetta contro l’ossidazione, ma potrebbe essere

migliorata (rischio ossidante limitato)

19 – 10 punti = rischio – È necessario aumentare sostanzialmente gli alimenti antiossidanti (rischio ossidante

presente)

9 – 0 punti = cattivo – Mutare radicalmente l’alimentazione in senso antiossidante (grave rischio sanitario)

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 125

Page 125: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

dell’occhio. Importante è anche l’uso co-smetico delle procianidine.

5 - Azione anticolesterolica del resveratrolo.Nella frutta vi è una gran varietà di molecolestrategiche, tra le quali e solo com’esempio sipossono citare le vitamine, in modo specialela vitamina C (acido ascorbico), molti com-posti fenolici (flavonoidi, resveratrolo, acido

ellagico), una lunga serie di carotenoidi (tra iquali il betacarotene precursore della vitami-na A ed il licopene), tocoferoli (antiossidantiche comprendono anche la vitamina E).

Ortaggi, erbe aromatiche, frutta ed alimenta-zione darwinianaL’orto rappresenta il primo tipo di coltiva-

126

Capitolo II

Principali principi attivi contenuti in ortaggi, frutti e vegetali

Vegetale Principi attivi e più importanti attività

Aglio e cipolla Composti della cisteina – anticolesteroliciDerivati sulfidilici – anticolesteroliciAttività antiossidante

Agrumi Numerose forme glicosidiche delle antocianine – AntiossidantiFlavoni e flavanoni- AntiossidantiVitamina C – Antiossidante

Brassicacee Sulforafano (isotiocianato) – AnticancerogenoVitamina C – Antiossidante

Caffè Acidi fenolici e flavonoidi – Antiossidanti

Cacao Catechine ed epicatechina (poilifenoli) – Antiossidanti, attività aspirinosimile

Carciofi Composti fenolici

Carote Carotenoidi – Antinfiammatori, antiossidanti

Cipolle Flavonoidi – Antiaggregazione piastrinica, antiossidanti

Frutti di bosco Antocianine, acidi fenolici e polifenoli – Protezione microcircolazione, antiossidanti

Legumi Polifenoli – anticancerogeni

Mele Flavonoli e acido clorogenico – Antiossidanti

Miele (polline) Polifenoli e flavonoidi – Antiossidanti

Olio d’oliva Tocoferoli, fenoli e polifenoli, flavonoidi – Antiossidanti

Pere, pesche, prugne Flavonoli, antocianine, Flavanoni – Antiossidanti

Pomidoro Narigenina (Flavanone), Licopene – Antiestrogeni, ipocolesterolizzanti,antiossidanti, anticancerigeni

Riso Polifenoli e gamma-orizanolo – Modulatori metabolismo lipidico

Soia Isoflavoni (fitoestrogeni), genisteina – Attività estrogena, anticolesterolica,antiosteoporosi

The verde e nero Flavanoni, caffeina – Antiossidante, anticancerogeno, anticolesterolico,antidiabetico

Vino rosso Fenoli semplici (resveratrolo), flavonoli, flavanoni, flavanololi, antociani ecc.– Antiossidanti, anticolesterolici

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 126

Page 126: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

zione ed attraverso l’orto sono passati granparte dei vegetali che sono stati poi coltivatinei campi, con sistemi agricoli tradizionali epoi intensivi. Gli ortaggi inoltre sono parti-colarmente ricchi di minerali, vitamine, an-tiossidanti e composti nutraceutici, esamina-ti in singoli capitoli. In una prospettiva dinutrizione evoluzionista l’orto si pone comeun ponte tra l’alimentazione selvatica e quel-l’agricola.La nascita della cucina pare collegarsi allepiante aromatiche, assunte per via orale odinalazione. Alle stesse piante sembra colle-garsi anche l’inizio della coltivazione dell’a-gricoltura. Oltre agli indubbi valori senso-riali e psicosensoriali, le erbe aromatiche so-no dotate di preziose azioni nutrizionali edextranutrizionali – vitaminiche, antiossidantiecc. - considerate in singoli capitoli. Da unpunto di vista dell’alimentazione darwinia-na, le erbe aromatiche sono da considerareun antichissimo patrimonio evolutivo, es-senziale per una corretta alimentazione e perla salute umana.

Nonostante le ancora limitate conoscenzesull’alimentazione evoluzionista, indubbia èla ricerca che l’uomo ha fatto e fa per procu-rarsi frutta. Nella scelta alimentare dellafrutta hanno certamente influito il colore,l’odore ed il sapore. A quest’ultimo riguardoè da sottolineare il gusto dolce (apporto dizuccheri energetici) ed il gusto acido (colle-gato alla presenza d’acidi organici con atti-vità dissetante e con azioni vitaminiche). Piùcomplessa è un eventuale trasferimento al-l’uomo primitivo del comportamento deiprimati frugivori, che cercano nella fruttasoprattutto le larve d’insetti parassiti, perquesto saremmo di fronte ad una ricerca di“carne”, più che di un vegetale.Nel 2003 l’Organizzazione Mondiale dellaSanità, al fine di prevenire le malattie croni-che umane (malattie cardiovascolari, diabetedi tipo due, obesità e neoplasie), ha lanciatoun messaggio nel quale invita ad aumentareil consumo di frutta e di vegetali. Ad un in-sufficiente uso di frutta e verdura, nel mon-do sono oggi attribuiti 2,7 milioni di morti

127

Cibo e nutrizione

Più importanti principi farmacologici contenuti nell’uva e nei vini

Acido ellagico – Anticancerogeno

Resveratrolo - Anti-infarto (riduce il colesterolo ed i grassi del sangue)

Polifenoli - Aumentano il colesterolo buono (HDL), diminuiscono la coagulazione del sangue (antiag-

gregante delle piastrine)

Antocianine - Antiossidanti, azione sui vasi sanguigni

Procianidine: Forte azione antiossidante e sui radicali liberi. Attività antinfiammatoria. Attività antimu-

tagena. Azione sui vasi sanguigni. Uso cosmetico

Più importanti azioni terapeutiche tradizionali della vite e dei suoi prodotti

Foglie della vite - Astringenti (antidiarroiche). Emostatiche (uso nelle emorragie, vene varicose, emor-

roidi). Collirio (succo estratto dalle foglie)

Succo degli acini - Astringente (acini acerbi). Digestivo (rinfrescante, stomachico, lassativo). Diuretico

Olio di semi (vinaccioli) – Lassativo. Antiacido. Colagogo. Usato sulle scottature ed ulceri torpide

Vino – Astringente. Diuretico. Anti-colesterolico. Preventivo di malattie vascolari. Antinfettivo

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 127

Page 127: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

l’anno. Per questo, frutta o verdura dovrebberoessere presenti nella dieta giornaliera almenocinque volte.

Bibliografia

Bertelli A. Resveratrolo e quercetina: polifenoli adattività antinfiammatoria ed antiossidante. Vete-rinaria, 16, 27-37, 2002

Carbonaro M., Mattera M. Polyphenoloxidase ac-tivity and polyphenol levels in organically andconventionally grown peach (Prunus persica L.,cv. Regina Bianca) and pear (Pyrus comunis L.,cv. Williams. Food Chem., 72, 419-424, 2001

Cuppett S., Schenepf M., Halla C. Natural An-tioxidants: Are they a reality? in FereidoonShahidi (ed.), 1997 (pag. 12-24)

De Vincenzi M., Dessi M.R. Botanical flavouringsubstances used in foods: proposal of classifica-tion. Fitoterapia, 62, 39-46, 1991

De Vincenzi M., Maialetti F., Di Pasquale M.,Dessì M.R. Monographs on botanical flavouringsubstances used in food. Part II. Fitoterapia, 63,353-361, 1992

De Vincenzi M., Maialetti F., Di Pasquale M.,Dessì M.R. Monographs on botanical flavouringsubstances used in food. Part I. Fitoterapia, 62,47-63, 1991

De Vincenzi M., Maialetti F., Di Pasquale M.,Dessì M.R.– Monographs on botanical flavou-ring substances used in food. Part III. Fitotera-pia, 65, 49-59, 1994

De Vincenzi M., Maialetti F., Di Pasquale M.,Dessì M.R. Monographs on botanical flavouringsubstances used in food. Part IV. Fitoterapia, 66,203-211, 1995

Dessì M.A., Rosa A., Deiana M. et alii. Attivitàantiossidante di estratti da piante della floramediterranea. Progress in Nutrition, 4, 37-42,2002

Fereidoon Shahidi (ed.). Natural Antioxidants

Chemistry, Health Effects and Applications.AOCs Press, 1997

Grivetti L.E., Ogle B.M. Value of traditional foodsin meeting macro- and micro-nutrient need: thewild plant connection. Nutr. Res. Rev., 13, 31-46, 2000

Hudina M., Stampar F. Sugars and organic acidscontents of European (Pyrus communis L.) andAsian (Pyrus serotina Rehd.) pear cultivar. ActaAlimentaria, 29, 217-230, 2000

Klatsky A. L. et alii. Red wine, white wine, liquor,beer and risk for coronary artery disease hospita-lisation. Am. J. Cardiol., 80, 416, 1997

Lindberg Madsen H., Bertelsen G. Spices as an-tioxidants. Trends in Food Science & Techno-logy, 6, 271-277, 1995

Pizzale L., Bortolomeazzi R., Vichi S., Conte L.S.Antiossidanti da piante officinali, salvia ed ori-gano: composizione della reazione fenolica edattività antiossidante. Progress in Nutrition, 3,43-49, 2001

Prandini A., Geromin D., Conti E., Pivus G. An-tioxidant activity of natural and synthetic sub-stances on animal and vegetable fat matrices.Progress in Nutrition 5 (3) 228-234, 2003

Quaglia G., Gennaro L., Raffo A. La ricerca e laqualità dei prodotti alimentari. Riv. Sc. Alim.,2001

Ranieri A., Giuntini D., Lercari B., Soldatini G.F.Influenza della luce sulle proprietà antiossidantidel pomodoro. Progress in Nutrition 6 (1) 44-99, 2004

Renaud S. de Lorgeril M. Wine, alcohol, plateletsand the French Paradox for coronary hearth di-sease. Lancet, 339, 1523-1526, 1992

Sironi L. Consumo di vino e rischio cardiovascolare.Alimentazione & Prevenzione, 2, 99-103, 2002

Truelsen T. et alii. Intake of beer, wine and spiritsand risk stroke. Stroke, 29, 2467, 1998

Wollin S.D, Jones P.J.H. Alcohol, red wine and car-diovascular disease. J. Nutr., 131, 1401-1404,2001

128

Capitolo II

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 128

Page 128: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Fibra alimentare: da inutile a necessaria

La fibra alimentare, stimata inutile da unpunto di vista nutrizionale, è oggi ritenutanecessaria per il corretto funzionamento di-gestivo, l ’apporto nutrizionale e la salute.Recenti ricerche iniziano a dimostrare anchele attività salutistiche di quanto è associatoalla fibra insolubile e le azioni prebiotiche diquella solubile.

Cos’é la fibra alimentareL’importanza recentemente riconosciuta allafibra alimentare deriva dalla constatazioneche l’uomo ha una duplice alimentazione,vegetariana e carnivorana, e che la compo-nente vegetale è indispensabile per una re-golare attività intestinale, soprattutto delgrosso intestino, ed una corretta nutrizione esalute. La presenza di fibra negli alimentivegetali è da qualche tempo oggetto d’inda-gini. Le ricerche più recenti sono indirizzatea stabilire le quantità dei diversi tipi di fibrain ogni alimento destinato all’uomo.Grosso modo per fibra s’intende tutto quan-to, d’origine vegetale, non è digeribile daglienzimi elaborati dall’apparato digerente.Nella fibra è compresa la lignina (compostofenolico polimerico), la cellulosa ed altricomponenti affini (emicellulose, pectineecc.), ma anche zuccheri semplici o riuniti inbrevi catene che non sono digeribili, perchél’organismo umano e di molti animali nonha gli enzimi adatti. Perché indigeribile, lafibra è considerata anche come scoria. Quel-l’ora indicata è la fibra totale. Nell’ambitodella fibra totale, si distinguono due impor-tanti frazioni.Una prima frazione è costituita dalla fibra in-solubile, costituita soprattutto da lignina, cel-lulosa ed altri composti affini non digeribili ed’impossibile o non facile fermentazione nel-l’apparato digerente dell’uomo e di gran par-te degli animali. Una seconda frazione, la fi-bra solubile, è costituita da idrati di carbonio

a corta catena, solubili, come il fruttosio, glu-coldifruttosio, sorbitolo, rafinosio, sucrosio,pentosani, esosani e loro polimeri oligosacca-ridici. Anche se non digeribili dall’apparatodigerente dell’uomo, i componenti della fibrasolubile sono fermentati dai batteri intestina-li, con produzione di molecole utilizzabilinella nutrizione ed importanti per il buonfunzionamento dell’apparato digerente, inparticolare del grosso intestino. Le due fibre,la fibra insolubile e la fibra solubile, hannofunzioni molto diverse.

Fibra alimentare insolubile e solubile“Una mela il giorno, leva il medico d’intor-no”: una volta si diceva perché era ricca divitamine, oggi si sa che buona parte dei be-nefici effetti nutrizionali della mela derivadalla fibra che contiene, prevalentemente ditipo solubile. Una caratteristica che, ad esem-pio, la differenza dalla pera.Un punto fermo oggi acquisito è che la fibraalimentare è importante per la sua qualità enon soltanto la quantità. Non errata, ma in-sufficiente è l’ormai classica regola che l’uo-mo deve introdurre ogni giorno con la dietada 25 a 35 grammi di fibra alimentare, an-che se l’uomo preistorico od agli inizi dell’a-gricoltura aveva una dieta nella quale la fibraalimentare si avvicinava ed anche superava icento grammi giornalieri. Oggi bisogna pre-cisare quale fibra alimentare è introdotta conla dieta ed in particolare bisogna privilegiareuna quota sufficiente, meglio se abbondante,di fibra alimentare solubile.

Fibra insolubile in alimentazioneLa fibra insolubile, polisaccaridi non idroliz-zati dagli enzimi e dai batteri intestinali, ècostituita dalla cellulosa, emicellulose e li-gnine.Principali effetti favorevoli della fibra alimen-tare insolubile.1 - Mantenimento del volume del contenutointestinale e della sua idratazione (preven-zione e cura della stitichezza).

129

Cibo e nutrizione

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 129

Page 129: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

2 - Diminuzione del tempo di transito inte-stinale.3 - Micropulizia delle anfrattuosità intesti-nali4 - Legame e sequestro di sali biliari, ioni,sostanze cancerogene.Principali effetti sfavorevoli della fibra ali-mentare insolubile. Per un eccesso di fibra in-solubile o di qualità non adatta (ricca di li-gnina) può conseguire una diminuzione del-la digeribilità degli alimenti (utile nelle dieteipocaloriche o dimagranti)

Fibra solubile in alimentazioneIn linea di massima la quantità di fibra ali-mentare necessaria per una corretta nutri-zione umana dovrebbe contenere almeno lametà di fibra solubile, che deve essere otte-nuta dagli alimenti vegetali naturali, anchese già oggi gli alimenti industriali, ad esem-pio certi tipi di latte, iniziano ad essere inte-grati con fibra solubile.Più di 36.000 piante ed in particolare fruttaed ortaggi, contengono fruttosio ed i suoiprodotti di condensazione. Tra gli ortaggi dimaggiore uso vi sono ad esempio carciofo,asparago, porro, cipolla, aglio. Contengonofruttosio anche il frumento, ma soprattuttomolti frutti, e da qui la denominazione dellozucchero. Le migliori tabelle che riportano lecomposizioni degli alimenti distinguono lafibra alimentare totale nelle due frazioni: fi-bra alimentare insolubile e fibra alimentaresolubile. Per una buona dieta è bene preferiregli alimenti ricchi di fibra solubile a quelliricchi di fibra insolubile, con un rapporto trasolubile ed insolubile abbastanza equilibrato,vicino a 1:1. Ad esempio la mela ha un rap-porto fibra solubile/fibra insolubile di 1:1,55,mentre la pera ha un rapporto 1:3,66. Perso-ne che hanno disturbi del grosso intestino(colite ecc.) traggono vantaggio dalla mela,ma possono avere disturbi dalla pera.Vantaggi delle fibre dietetiche solubili. Il frut-tosio ed in particolare i suoi derivati hannoimportanti attività funzionali alimentari.

1 - Sono “ipocalorici” (circa 1/4 dello zuc-chero normale o degli amidi) e sono utilinelle diete dimagranti, pur essendo possibi-le sfruttare l’attività dolcificante del frutto-sio.2 - Non innalzano bruscamente il livello diglucosio nel sangue e sono particolarmenteindicati nei prediabetici, e nel controlloesclusivamente o prevalentemente dieteticodel diabete zuccherino.3 – Nell’intestino stimolano lo sviluppo deibatteri bifidogeni, un particolare gruppo dibatteri lattici dotato d’elevate attività protet-tive e che sono un potente probiotico. Perquesta sua attività, il fruttosio ed altre fibresolubili, sono considerati prebiotici.4 – Dalla fermentazione delle fibre solubilioriginano acidi grassi volatili (AGV) tra iquali sono da citare l’acido propionico, l’aci-do acetico e l’acido butirrico.5 – Gli AGV sono ricchi d’energia, soprat-tutto il propionico. Per la loro utilizzazionenon è necessaria l’insulina. Dato che sonoprodotti dalle fermentazioni nel grosso inte-stino, non provocano a livello del sangue deipicchi energetici che, a lungo andare, favori-scono il diabete.6 - L’acido acetico regolarizza il pH delgrosso intestino e lo protegge da numeroseinfezioni (coliti).7 – L’acido butirrico sembra avere importan-ti azioni sulla mucosa intestinale, prevenen-do patologie quali la diverticolite e forse itumori.8 – L’inulina, una fibra dietetica solubile, haoggi importanti applicazioni. La sua strutturaomogenea e cremosa piacevole al palato (ele-vata palatabilità) conferisce agli alimenti ca-ratteristiche funzionali positive, soprattutto inquelli che sono stati alleggeriti togliendo unapiù o meno elevata percentuale di grasso. L’i-nulina si presta molto bene per preparare ali-menti light, leggeri e con poco grasso, ma altempo stesso d’ottimo aspetto e soprattutto dibuona palatabilità e sapore: in particolare pro-dotti caseari fermentati (yogurt alla frutta;

130

Capitolo II

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 130

Page 130: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

burro leggero da spalmare), cioccolata magra,prodotti da forno e dolci dietetici.Svantaggi delle fibre dietetiche solubili. Accan-to agli aspetti positivi della fibra dieteticasolubile, non bisogna dimenticare che unsuo eccesso può avere effetti indesiderati. Èquello che accade quando si eccede con lafrutta, che contiene più o meno elevatequantità d’oligofruttosio e d’inulina. Questicompositi fermentano nel grosso intestino eprovocano una diarrea più o meno intensa,con un effetto di tipo purgativo.

Molecole con attività farmacologiche associatealla fibra alimentareAssociate alle fibre alimentari insolubili visono numerose molecole dotate d’azioni die-tetiche e farmacologiche, in relazione al ve-getale dalle quali provengono. Molte radici ecortecce sono ricche di principi attivi e, tra itanti, basterà ricordare i tannini, i salicilati ela chinina, senza dimenticare le molecoleantiossidanti con azione anti-colesterolica.Un’alimentazione ricca di fibra insolubile(cinquanta e spesso cento grammi giornalie-

131

Cibo e nutrizione

Classificazione nutrizionale dei carboidrati alimentari

Carboidrati disponibili – Digeribili e assorbiti

- Zuccheri semplici e disaccaridi: glucosio, fruttosio, lattosio, maltosio e saccarosio

- Polisaccaridi del glucosio: amido, destrine, glicogeno

Fibra solubile - Carboidrati non disponibili o fibra solubile - Non digeribili, in parte fermentabili dalla

flora microbica intestinale

Oligosaccaridi della serie del rafinosio: rafinosio, stachioso, verbascosio, oligofruttosio ecc.

Pectine - Polisaccaridi del galattosio ed acido Uronico - 40% delle fibre della frutta

Gomme e mucillagini: Polisaccaridi non strutturali

Galattomannani - Mannano-Oligosaccaridi (MOS), Frutto-oligosaccaridi (FOS), Galatto-oligosaccaridi

(GOS), Altri polisaccaridi di riserva dei vegetali. Polisaccaridi presenti nei legumi

Fibra insolubile – Polisaccaridi non idrolizzati dagli enzimi intestinali

Cellulosa - Polimero del glucosio - 25% delle fibre dei cereali, vegetali e frutta

Emicellulose - Polimeri d’esosi e pentosi - 50-70% delle fibre dei cereali, vegetali e frutta

Lignine - Polimeri del fenilpropano - 10% delle fibre vegetali

Fibra grezza - Fibra insolubile più fibra solubile

Principali effetti della fibra alimentare insolubile

Effetti favorevoli1 - Mantenimento del volume del contenuto intestinale e della sua idratazione (Prevenzione e cura

della stitichezza)

2 - Diminuzione del tempo di transito intestinale

3 - Micropulizia delle anfrattuosità intestinali

4 - Legame e sequestro di sali biliari, ioni, sostanze cancerogene

Effetti sfavorevoliPer eccesso di fibra insolubile o di qualità non adatta (ricca di lignina)

1 - Diminuzione della digeribilità degli alimenti (utile nelle diete ipocaloriche o dimagranti)

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 131

Page 131: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

132

Capitolo II

ri, nell’uomo raccoglitore) era anche ricca dimolecole protettive.

Fibra ed alimentazione darwinianaL’uomo è al tempo stesso vegetariano e car-nivorano. I denti molari ed il grosso intesti-no sono l’espressione evolutiva di un’alimen-tazione vegetale ricca di fibra, solubile ed in-solubile. Un’alimentazione povera di fibracome quell’attuale comporta una serie diconseguenze che sfociano in patologie, tra lequali sono da ricordare, in ordine alfabetico:

diabesità, diabete mellito, emorroidi ed altreturbe circolatorie (vene varicose?), neoplasiedel grosso intestino, obesità, sindrome delcolon irritabile, stitichezza.

Bibliografia

Grigelmo Miguel N., Martin Belloso O. Compari-son of dietary fibre from by-products of proces-sing fruits and greens and from cereals. Food Sci.Tech. Lebensmittel Wiss. Tech., 32, 503-508,1999

Principali effetti della fibra alimentare solubile

Effetti favorevoli1 – Sviluppo nell’intestino di batteri favorevoli (probiotici)

2 - Azione diretta sui batteri patogeni (da parte dei Mannano-oligosaccaridi sulle Lectine batteriche)

3 - Effetto barriera dei batteri probiotici contro le infezioni intestinali

4 – Attività pro-immunitaria dei probiotici

5 – Attività anticancerogena dei probiotici

6 – Produzione d’acidi grassi volatili (AGV): Ipocalorici, Regolatori dell’acidità, alcalinità intestinale,

Antidiabetici

7 – Ridotta produzione di tossici intestinali (ammoniaca, indolo, scatolo, cancerogeni endogeni, ecc.)

Effetti sfavorevoliPer eccesso di fibra solubile o di qualità non adatta

1 - Feci molli o modica diarrea

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 132

Page 132: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Bevande acide, infusi e bevande nervine

L’acqua è un alimento per il quale l ’evoluzioneha sviluppato una fame specifica: la sete. At-traverso il bere sono soddisfatte diverse esigen-ze, ad esempio di raffreddamento ed altri famispecifiche. Un aspetto quest’ultimo ancora pocoindagato e che giustifica il successo di talunebevande, ad esempio quelle acide. L’uomo, ag-giungendo all ’alimentazione biologica la di-mensione culturale, all’acqua ha affiancato al-tre bevande. Non ancora sufficientemente in-dagate sono le componenti genetiche che, accan-to ai determinanti culturali, spingono l ’uomoad utilizzare bevande psicostimolanti, meglionote come nervine.

Non solo acquaL’uomo ha bisogno di mangiare e di bere. Nontutti gli animali fanno questa distinzione e vene sono di quelli che ricavano gran parte o tut-ta l’acqua di cui hanno bisogno dai cibi acquo-si o la generano con il loro metabolismo (ac-qua metabolica). La selezione naturale ha agitointensamente su questo versante, come dimo-stra l’ereditabilità, nell’uomo, della quantitàd’acqua ingerita (De Castro, 1993). L’uomo inogni caso beve e mostra una predisposizioneper l’acqua acidula, le bevande acide ed infusicontenenti sostanze nervine, come le xantine(caffeina, teina, teobromina ecc). Le evidentitendenze verso bevande diverse dall’acqua,hanno una disposizione genetica? Quasi certa-mente non esiste il gene che indirizza l’uomo abere acido o caffè e the. Probabilmente esisteuna “fame specifica” verso alimenti acidi, su diuna disposizione genetica che permette di cor-relare un certo alimento o bevanda ad uno sta-to di benessere (eucenestesi) o di malessere (ca-cocenestesi). In modo analogo è per la ricerca dibevande capaci di fornire benessere, perché psico-stimolanti.

Bevande acideOsservazioni antropologiche dimostrano chel’uomo è tendenzialmente un frugivoro, vale adire che gli piace la frutta. Quale frutta? Nelcorso dell’evoluzione, l’uomo ed i suoi antena-

ti hanno avuto a disposizione frutta selvatica,spesso raccolta acerba e prima di una comple-ta maturazione. Rimandare la raccolta volevadire lasciare ad altri il frutto. La frutta acerba,acidula, era ed è ricca d’acido ascorbico o vita-mina C considerata antistress, e d’altri com-posti antiossidanti utili per la salute. Azioneantistress e sensazione di benessere sono facil-mente collegabili a livello di gusto orale (po-tere dissetante delle bevande acide) e di be-nessere generale (eucenestesi). È molto proba-bile che durante la sua evoluzione, le specieanimali frugivore e di conseguenza anchel’uomo, abbiano sviluppato una fame specificaverso la frutta ed i vegetali acidi. Questa famespecifica si sarebbe poi manifestata anche a li-vello d’alimentazione culturale con lo sviluppodi bevande e cibi acidi (aceto, yogurt, vegetalifermentati, ecc.). Le attività extranutrizionalidelle bevande acide sono state considerate indettaglio da Ballarini (1989). Recentemente ilProf. Anatoly I. Sobko dell’Università dell’U-craina, anche in conformità a ricerche speri-mentali ha dimostrato l’efficacia degli acidiorganici somministrati con l’alimentazioneper controllare i disturbi metabolici e le alte-razioni immunitarie causate dagli stress. Sonobevande acide largamente usate le acque gas-sate o “frizzanti” ottenute con aggiunta d’ani-dride carbonica o gas carbonico che, scio-gliendosi nell’acqua, dà origine all’acido car-bonico. Numerose ricerche dimostrano chel’acqua acidificata con l’acido carbonico (ac-qua gassata) ha un’attività antistress e facilital’assorbimento del calcio. Tra le bevande acideartificiali bisogna ricordare il successo di quel-le che contengono acido ortofosforico, che hasostituito altri acidi inorganici come l’acidocloridrico. Queste bevande, d’uso ormai mon-diale, hanno avuto successo non solo per lapropaganda che le ha supportate, ma ancheper le loro caratteristiche antistress. Tra le be-vande acide tra il naturale e l’artificiale da ri-cordare il vinello acido, quasi un aceto diluito,ottenuto dalla fermentazione delle vinacce,che era usato dai lavoratori dei campi. Sonobevande acide naturali quelle ottenute dagliagrumi ed in particolare limoni, pompelmi e

133

Cibo e nutrizione

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 133

Page 133: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

loro ibridi, cedri ed altri frutti. Come già con-siderato in modo speciale per il pompelmo(Ballarini, 1989), queste bevande sono ricched’acido citrico e d’acido ascorbico (VitaminaC). L’azione antistress delle bevande acide èmassima in quelle che contengono acidi orga-nici e naturalmente presenti nell’organismo,come l’acido carbonico, l’acido citrico, l’acidoascorbico ed anche l’acido acetico. Particolar-mente efficaci, sostiene il Prof. I. Sobko con isuoi collaboratori, sono gli acidi organici delciclo tricarbossilico che a particolari dosi han-no anche un effetto terapeutico. Ovviamentele sole bevande acide non risolvono il proble-ma alimentare dello stress, per il quale si sonorivelati utili anche altri nutrienti: vitamine,aminoacidi, antiossidanti, oligoelementi mine-rali e soprattutto il selenio. Per la quantità conla quale sono bevute e soprattutto per il rapi-do assorbimento, le bevande sono molto im-portanti, soprattutto se agli acidi organici so-no associati i minerali che sono perduti con ilsudore (sodio, cloro, potassio).

Infusi e bevande nervineLa ricerca umana di bevande stimolanti pareessere culturale ma, se ben si considera l’argo-mento, è possibile rintracciare un’origine preu-mana e quindi biologica. Un argomento questoche è stato considerato in dettaglio da Ballari-ni (1989). La ricerca e la scelta degli alimenticon caratteristiche di tipo farmacologico, ri-sponde a bisogni che non sono solo umani, maanche preumani, di tipo biologico oltre chepsicologico e culturale. Per quanto riguarda lebevande cosiddette nervine (infusi di caffè,

the, carcadè, mate, cioccolata ed altre) è da ri-cordare che il caffè, che come è noto contienela caffeina, sarebbe stato scoperto dall’uomoosservando l’effetto eccitante della pianta inanimali (pecore e cammelli) che ne mangiava-no volentieri bacche e foglie. In modo analogosarebbe avvenuto per il ciat dello Yemen.

Aspetti sanitari delle bevande nervine ed ali-mentazione darwinianaÈ interessante rilevare che le bevande nervinesono quasi sempre dotate d’attività utili alla sa-lute. Ad esempio l’infuso del the è dotato diun buon potere antisettico sull’Helicobacter py-lori, un batterio che provoca una gastrite cro-nica che può complicarsi con un’ulcera gastricao duodenale.Esiste un controllo genetico dell’introduzione(ed eliminazione) dell’acqua. Molto probabil-mente esistono anche dei comportamenti ali-mentari più o meno rigidi, per le bevande aci-de, che almeno in parte giustificano il successodi bevande acide artificiali. Un successo checon ogni probabilità passa attraverso sensazio-ni endogene di benessere (eucenestesi).

Bibliografia

Ballarini G. Rischi e Virtù degli Alimenti. Calderi-ni, Bologna, 1989

De-Castro J. M. Genetic influences on daily intakeand meal patterns of humans. Physiol. Behav.,53 (4): 777-82, 1993

Weinberg B.A., Bealer B.K. Caffeina. DonzelliEditore, Roma, 2002

134

Capitolo II

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 134

Page 134: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

ATTIVITÀ EXTRANUTRIZIONALIDEGLI ALIMENTI E NUTRIZIONEDARWINIANA

La composizione degli alimenti è moltocomplessa e come ha insegnato Shakespeare“vi sono più cose in cielo ed in terra, di quelche non conosca la nostra filosofia” (Amleto,Atto I).Negli alimenti, accanto a sostanze dotate dispecifiche attività nutrizionali (proteine,grassi, minerali e via dicendo) vi sono mol-tissime molecole con azioni non nutrizionali(attività extranutrizionali) importanti per lasalute ed il benessere psicofisico. Anche inrelazione alle attività extranutrizionali, l’evo-luzione alimentare della nostra specie avevaimpostato la scelta degli alimenti ed unagran biodiversità alimentare, che vediamooggi gravemente ridursi e che l’attuale cultu-ra sembra sottovalutare.Tra le attività extranutrizionali degli alimen-ti sono da considerare quelle di tipo farma-cologico e base della nutraceutica, gli anti-biotici e gli ormoni, e gli antiossidanti con-tenuti in molti alimenti.

Attività extranutrizionali e farmacologichedegli alimenti

Negli alimenti vi sono moltissime attivitàextranutrizionali importanti per la salute edil benessere psicofisico. Su queste caratteristi-che l’evoluzione alimentare della nostra spe-cie aveva impostato la scelta degli alimentied una gran biodiversità alimentare, che og-gi vediamo gravemente ridursi e che l’attua-le cultura sembra sottovalutare.Il legame tra alimenti e farmaci è moltostretto. Molti vegetali che sono utilizzati inalimentazione umana contengono principiattivi dotati d’attività farmacologiche. Unanozione antichissima, che oggi ha uno svi-luppo nella nutraceutica.

Nella prospettiva di un’alimentazione evo-luzionista è necessario considerare le azionifarmacologiche degli alimenti e chiedersi seesiste una conoscenza preumana degli ani-mali che hanno insegnato all’uomo come sce-glierli.

Componenti extranutrizionali degli alimentiMoltissime molecole degli alimenti nonrientrano nell’usuale esposizione della lorocomposizione. Un esempio: l’aroma del paneche esce dal forno è la miscela di circa cen-tocinquanta molecole. In modo analogo av-viene per il vino, di cui non si apprezza sol-tanto l’aroma, ma anche le più fini sfumatu-re di sapore, gusto e retrogusto, oltre che ilcolore nei suoi molteplici riflessi. Il numeroquasi infinito di molecole e d’associazione dimolecole presenti nei cibi ha ricadute nutri-zionali e sanitarie, inquadrate nelle attivitàextranutrizionali degli alimenti.Numerose ricerche indicano che agli ali-menti sono da attribuire attività di diversogenere, che sono state oggetto di un’ampiarevisione da Concon (l988) nel classico trat-tato Food Toxicology, e che possono essereclassificate come segue.- Attività nutrizionali che riguardano il me-tabolismo plastico ed energetico. I singoliprincipi alimentari possono anche interveni-re sulla e nella nutrizione anche con altrimeccanismi, diretti o indiretti. Per questi èstata coniata la dizione d’attività extranutri-zionali, le più note delle quali riguardano leproteine (attività nutrizionali extraprotei-che).- Attività farmacologiche sono state rilevatein molti alimenti. Interessanti, da un puntodi vista pratico, sono le attività farmacologi-che che si riscontrano negli alimenti sommi-nistrati per via orale ed in quantità normali.Tra queste vi sono le azioni antibiotiche ca-paci di regolare il microbismo intestinale e leattività ormonali e feromonali. Un esempiodi attività farmacologiche capaci di interes-sare il comportamento animale e derivanti

135

Cibo e nutrizione

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 135

Page 135: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

da un alimento normale somministrato pervia e dosi normali, sono le casomorfine, chesi originano dalla digestione della caseina(Grant e coll., 1981) o le exorfine che pro-vengono dalla digestione del glutine (Hem-mings, 1978), oltre agli ormoni, le sostanzeormonosimili ed i feromoni naturalmentepresenti in molti alimenti.- Attività tossiche sono note per diversi ali-menti anche tradizionali e talvolta correlatialla dose ed al metodo di preparazione deglistessi. Non va dimenticato che oggi l’uomosi ciba d’alimenti che il più delle volte sonosottoposti a trattamenti che hanno la finalitàdi permetterne la conservazione, di sanitiz-zarli ecc.Le attività extranutrizionali degli alimentiderivano da numerosi e diversificati mecca-nismi d’azione, alcuni noti, altri ancora og-getto d’ipotesi o supposizioni. Vi è anche daritenere che per uno stesso alimento o prin-cipio alimentare esistano più meccanismi diazione, diversi anche in rapporto alla doseed agli stati metabolici. Non poche attivitàextranutrizionali, e soprattutto quelle chepossono interessare il comportamento, sem-brano largamente mediate dai processi di di-gestione. Nell’uomo aminoacidi e oligopep-tidi biologicamente attivi si generano a livel-lo gastroduodenale a seguito della digestionedelle proteine. In proposito si possono citarele già ricordate casomorfine e le exorfine osostanze endorfinosimili.Le attività extranutrizionali degli alimentisono oggetto di studio scientifico e preciso,con risultati in gran parte sorprendenti emolto importanti. A titolo d’esempio sonoda ricordare le attività anticolesteroliche del-la soia e del vino rosso, ma anche della carnemagra; le azioni protettive anticancerogenedi molti alimenti vegetali, ma anche del bur-ro; le azioni prebiotiche delle fibre solubilidei vegetali ed anche nel latte; le attività or-monali e para-ormonali di molti vegetali; leazioni oppioidi che alcuni alimenti sviluppa-no nel corso della loro digestione, come le

casomorfine del latte e le exorfine del gluti-ne di frumento. Alle attività extranutrizio-nali degli alimenti sono da attribuire virtùgià intuite dalla tradizione e che talvoltahanno suscitato stupore, come quando ci si èaccorti che il vino rosso bevuto dai francesipermetteva loro di avere un livello di cole-sterolo nel sangue inferiore agli americani,pur mangiando la stessa quantità di grassianimali. N’è così nato il Paradosso Francese.Alle molecole con attività extranutrizionalidegli alimenti sono anche da attribuire aller-gie ed intolleranze, ma anche il colore e tut-ta una serie di caratteristiche funzionali de-gli alimenti. Tra una piccola fragola di boscoed una fragola coltivata in serra non vi è unagran differenza nutrizionale, calcolata in ter-mini di calorie, acqua ed altri componenti,ma una differenza abissale per le caratteristi-che extranutrizionali, ad iniziare, nelle fra-gole coltivate, da una ridotta capacità aller-genica (effetto positivo), che si associa aglieffetti negativi di uno scarso aroma, bassosapore ecc. Le attività extranutrizionali han-no una gran importanza per gli aspetti psi-cosensoriali o gastronomici facilmente intui-bili, per i risvolti comportamentali (oggi stu-diati dalla psicodietetica, che considera irapporti tra alimentazione e psiche) e quellisanitari, che vanno dal controllo della cole-sterolemia alla protezione antitumorale.Molto numerose sono le attività extranutri-zionali degli alimenti vegetali, schematica-mente indicate in una tabella. Alle più im-portanti sono dedicati capitoli specifici o lestesse sono richiamate esaminando singolialimenti. In questa sede è utile indicare leprincipali attività extranutrizionali menonote dei grassi, del latte e delle carni.

Attività extranutrizionali dei grassiPer giudicare della qualità extranutrizionaledi un grasso, bisogna tenere conto degli acidigrassi essenziali che contiene ed in partico-lare dell’acido linoleico ed alfa-linolenico.Quanto maggiore è la loro presenza, tanto

136

Capitolo II

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 136

Page 136: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

più un grasso è adatto all’alimentazione,perché permette di coprire il fabbisogno or-ganico senza eccedere in energia. In una die-ta equilibrata gran parte degli acidi grassi insa-turi dovrebbe essere di tipo strutturato e quindinon essere estratto da animali o vegetali.I grassi alimentari apportano significativicomponenti non energetici, come le vitamineliposolubili (solubili nei grassi) e caroteni. Daalcuni caroteni deriva la vitamina A, indi-spensabile per la vita e dotata di preziose atti-vità necessarie per l’accrescimento, lo svilup-po e la sanità delle mucose e della pelle. Lavitamina E è un importante antiossidante na-turale, necessario alla vita e con numerose epreziose attività antinvecchiamento e proim-munitarie. Altri caroteni e carotenoidi hannoun’attività antiossidante. Non è da dimentica-re che nei grassi ed oli sono presenti ormoni,ma soprattutto sostanze ormonosimili. Neigrassi animali possono essere contenuti or-moni naturali, ma in quantità estremamentebasse e quasi non assorbiti dall’apparato dige-rente, per questo non hanno alcun significatotossico o dannoso. I composti ormonosimilicontenuti negli oli vegetali (conosciuti anchecome fitormoni e soprattutto i fitoestrogeni)non sono inattivati dall’apparato digerente edanche per le loro concentrazioni, spesso ele-vate, possono svolgere attività farmacologi-che. Utili attività degli oli vegetali ricchi di fi-toestrogeni si hanno a livello locale: sull’inte-stino (miglioramento della nutrizione con ef-fetto auxinico) e sulla pelle. Non è certamen-te un caso che uno dei primi usi dell’olio d’o-liva non sia stato alimentare, ma terapeutico ecosmetico: quest’olio d’oliva, in particolarequello vergine, è ricco di vitamine A ed E esoprattutto d’ormoni estrogeni (fitoestroge-ni).

Caratteri extranutrizionali e nutraceutici dellatte e dei latticiniIl latte ed i suoi derivati devono essere con-siderati come alimenti funzionali e alimentinutraceutici.

Latte alimento Funzionale InterspecificoFunzioni Protettive: Intersupplementazioneaminoacidica.Funzioni Prebiotiche: Attività di stimolo eregolazione delle fermentazioni lattiche. At-tività bifidogena.Latte alimento NutraceuticoAttività farmacologiche del latte.Attività antinfettive: contenuto anticorpale,cellule somatiche, lisozima, chelazione delferro da lattoferrina, casomorfine comeagenti immunomodulatori (maturazione delsistema immunitario locale e generale, atti-vazione dei macrofagi, azione sulle celluleKiller, aumento dell’interferone), attività im-munomodulante per azione degli acidi nu-cleici delle cellule, vitamine antinfettive A,C.Attività sulla funzionalità digestiva e sul me-tabolismo: attività antiacide, regolazionedella motilità intestinale (casomorfine), as-sorbimento del calcio, fattore anticolesterolodei fosfolipidi.Attività sui neuromediatori e azioni di tiponeurocomportamentale: casomorfine, ami-noacidi e composti vitaminosimili (triptofa-no, nicotinamide).Attività ormonali: ormoni naturali - soma-totropina od ormone della crescita, ormonisteroidei, induttori d’ormoni endogeni (argi-nina) sostanze oppioidi (endorfine).

Caratteri extranutrizionali e nutraceutici dellecarni e derivatiNelle carni e loro derivati sono state indivi-duate attività extranutrizionali e nutraceuti-che ed in particolari le seguenti.Grassi strutturali della frazione lipidica dellacarne magra.Acido linoleico coniugato (proprietà anti-cancerogene, antiossidanti e di protezionemetabolica, oltre che immunostimolanti).Fosfolipidi, costituiti in prevalenza da fosfa-tidilcolina.Rapporto fosfolipidi/colesterolo favorevole(circa 14:1).

137

Cibo e nutrizione

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 137

Page 137: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Aminoacidi essenziali dotati d’attività extra-nutrizionali: arginina (produzione di soma-totropo), triptofano (produzione di serotoni-na).Nucleotidi con azione proimmunitaria.Vitamine: Vitamina E, B 1 e B 2, PP, B 12 eAcido Folico.Antiossidanti (Vitamina E).Nelle carni fermentate (salumi e salami ecc.)bisogna tenere conto della produzione di vi-tamine da parte dei batteri fermentanti, inbuona parte di tipo lattico.Minerali sotto una forma organica (ferro, ra-me, zinco, cromo e selenio).La carne è inoltre un alimento protettivo (in-tersupplementazione degli aminoacidi e as-sorbimento del ferro) ed ha un’attività sa-ziante, in buona parte dipendente dal suocontenuto dell’aminoacido triptofano, cheinduce la produzione di serotonina. In que-sto senso alla carne sono attribuibili attivitàpsicodietetiche.

Farmaci ed alimentiMolto stretti sono i rapporti tra gli alimentied i farmaci e non è certamente un caso cheil termine inglese drug, farmaco, si colleghi aquello italiano di alimenti, come le droghe ospezie. Sia gli alimenti sia i farmaci sono va-lutati dagli effetti che provocano. Vi è ancheun’abitudine agli alimenti, per alcuni deiquali – ad esempio il cacao – sembra svilup-parsi una vera e propria dipendenza (ciocco-dipendenza). La scelta degli alimenti è unacaratteristica che dobbiamo ritenere preu-mana, con un complesso coinvolgimentobiologico, psicologico e sociale. Conosceremeglio i meccanismi d’individuazione edutilizzazione dei farmaci e delle spezie, aprenuove prospettive all’alimentazione evolu-zionista. Un cibo può fare male: non bisognasubito pensare ad un’allergia o ad un’intolle-ranza (vedi i successivi capitoli) e pensareanche alle molecole con attività farmacolo-giche contenute negli alimenti naturali, odin taluni alimenti fermentati o alterati. Ista-

mina e sostanze simili sono elaborate da al-cuni batteri, che possono fermentare gli ali-menti e provocano disturbi in persone predi-sposte e con particolare sensibilità. È il casodi persone nelle quali formaggi, che hannosubito un’intensa e prolungata stagionatura(tome piemontesi ecc.) o vini a lunga matu-razione (soprattutto quelli rossi invecchiati),provocano fenomeni vasomotori particolar-mente intensi, con rapido ed intenso arros-samento della pelle della faccia, mal di testaecc. Questi alimenti contengono prodotti didemolizione fermentativa delle proteine(ammine biogene tra le quali anche l’istami-

138

Capitolo II

Principali attività extranutrizionali deglialimenti

– Attività acidogene

– Attività antiacide

– Attività allergizzanti

– Attività antibiotiche

– Attività anticancerogene

– Attività anticolesteroliche

– Attività antienzimatiche

– Attività antinfettive

– Attività antinutrizionali

– Attività antiossidanti

– Attività sull’assorbimento del calcio ed altri

minerali

– Attività di chelazione dei minerali

– Attività farmacologiche

– Attività immunitarie ed immunomodulanti

– Attività metaboliche ed antimetaboliche

– Attività neurostimolanti

– Attività nutraceutiche in generale

– Attività oppioidi e morfinosimili

– Attività ormonali ed antiormonali

– Attività prebiotiche

– Attività probiotiche

– Attività protettive

– Attività psicosensoriali e psicodietetiche

– Attività di regolazione della flora microbica

intestinale

– Attività di regolazione della motilità digestiva

– Attività saziante

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 138

Page 138: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

na). Anche taluni pesci e prodotti ittici, con-sumati freschi e non cotti, possono contene-re istamina o sostanze analoghe. Non è infi-ne da dimenticare che in molti alimenti ve-getali vi sono sostanze ad azione farmacolo-gica e tra queste, ad esempio, l’acido salicili-co (considerato nel capitolo successivo sullanutraceutica e alimenti funzionali), verso ilquale diverse persone sono intolleranti. Tra icomposti con attività farmacologica larga-mente diffusi tra i vegetali, sono da ricordarei flavonoidi.

FlavonoidiI flavonoidi rappresentano un interessantegruppo di sostanze pressoché ubiquitarie nel

mondo vegetale e particolarmente abbon-danti nel pompelmo, olio d’oliva, tè e vinorosso. Da un punto di vista chimico, rappre-sentano un ampio e complesso gruppo dicomposti polifenolici e derivati del fenil-gamma-benzopirone, una struttura a treanelli con due centri aromatici ed un etero-ciclo ossigenato centrale. In natura, attraver-so meccanismi d’evoluzione e di co-evolu-zione tra specie vegetali ed animali, agisconosoprattutto come coloranti (antociani e an-tocianidine), antiossidanti, antimicrobici ecome attrattivi o repulsivi nei confronti deglianimali, che contribuiscono alla dissemina-zione del polline, oppure che utilizzano lepiante come fonte di nutrimento o per la de-

139

Cibo e nutrizione

Componenti biologicamente attivi della frutta e verdura (Quaglia et al., 2001 - con ag-giunte)

Componente Vegetale Potenziale effetto salutistico

Acido ascorbico Agrumi, kiwi, fragole, melone, Protezione delle mucose

peperone, cavoli, broccoli, spinaci Coagulazione del sangue

Protezione verso il cancro dello stomaco,

esofago, cavità orale

Salicilati Attività antireumatica

Protezione patologie cardiovascolari

Composti fenoliciFlavonoidi Mele, uva, Riduzione patologie cardiovascolari

cipolle, lattuga, carciofi, pomodori,

olive

Resveratrolo Uva Inibizione processi di promozione e

proliferazione cellule tumorali

Acido ellagico Fragole Diminuzione del colesterolo

Attività anticancerogena

CarotenoidiBeta – carotene Carote, verdure a foglia verde, Protezione patologie cardiovascolari

melone, albicocca

Licopene Pomodoro Riduzione incidenza alcune forme di

tumore (prostata, esofago, ecc.)

Tocoferoli Ortaggi a foglia verde, cavoli, broccoli, Protezione nei confronti di processi

spinaci d’aterosclerosi, infarto

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 139

Page 139: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

posizione delle uova. La ricerca nel campodei flavonoidi ha avuto inizio, nel 1935 daparte di Szent-Gyorgyi, sugli effetti vaso-protettivi dei flavonoidi del pompelmo(esperidina ed eriodictiolo).Da allora sono state messe in evidenza altreproprietà terapeutiche dei flavonoidi: an-tiaggreganti le piastrine, antinfiammatori,antiallergici, antivirali, antitumorali, antie-patotossici, stimolanti le funzioni cognitive.I flavonoidi più diffusi sono: apigenina, ipe-ricoside ed iperina, quercitina ed isoquerciti-na, quercetrina, kaempferolo, luteolina, ruti-na e vitexina.

Attività extranutrizionali, azioni farmacologichedegli alimenti e nutrizione darwinianaNella scelta dei cibi la specie umana, come isuoi predecessori animali, è stata guidata

dalle caratteristiche sensoriali degli stessi edalle sensazioni che ricavava dal loro uso ali-mentare (senso di benessere o eucenestesi,senso di malessere o cacocenestesi). Questescelte sono oggi indubbiamente alterate dasituazioni spesso artificiali, ad iniziare dal-l’uso di coloranti di sintesi, sapori ed aromiindotti con sostanze chimiche e via dicendo,che ingannano i sensi e spesso li deformano.L’evoluzione ci spinge a cercare alimenti dicerti colori, che sono di norma associati aben precise caratteristiche nutrizionali, masoprattutto extranutrizionali (ad esempio ilcolore giallo o rosso, collegato ai carotenidotati di attività antiossidanti e vitamini-che). Un alimento artificialmente colorato digiallo o rosso, anche se innocuo, è un ingan-no, perché non è dotato di quelle peculiaritàalle quali la nostra genetica ci indirizza.

140

Capitolo II

Attività di alcune erbe aromatiche

Erba aromatica Componenti principali Attività

Aglio Allicina Stimolante la digestione, antisettico

Anice Anetolo Stimolante la digestione

Cardamono Cineolo Stimolante l’appetito e la digestione

Cinnamomo Aldeide cinnamica Stimolante l’appetito e la digestione, antisettico

Chiodo di garofano Eugenolo Stimolante l’appetito e la digestione, antisettico

Coriandolo Linalolo Stimolante la digestione

Cumino Aldeide cuminica Stimolante la digestione, calmante

Fieno greco Trigonellina Stimolante l’appetito

Menta Mentolo Stimolante l’appetito e la digestione, antisettico

Noce moscata Sabinene, safrolo Stimolante digestivo, antisettico

Pepe Piperina Stimolante digestivo

Peperone Capsaicina Antidiarroico, antinfiammatorio, stimolante

Prezzemolo Apiolo Stimolante l’appetito e la digestione, antisettico

Rafano Isotiocianato d’allile Stimolante l’appetito

Rosmarino Cineolo Stimolante l’appetito e la digestione, antisettico

Salvia Cineolo Stimolante la digestione, antisettico, calmante

Sedano Ftalidi Stimolante la digestione, antisettico, antiossidante

Senape Isotiocianato d’allile Stimolante la digestione

Timo Timolo Stimolante la digestione, antisettico, antiossidante

Zenzero Gingerolo Stimolante gastrico

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 140

Page 140: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

L’evoluzione biologica e culturale sonoun’interessante e per molti aspetti indispen-sabile chiave di comprensione dei fenomeniconsiderati in questo breve capitolo. Perquanto riguarda le azioni farmacologiche, daun punto di vista pratico sono necessari dueordini di considerazioni. Sotto l’aspetto ge-nerale, l’introduzione in una popolazione diun nuovo cibo, deve essere fatta sempre concautela, soprattutto se è usato crudo o pococotto. Sotto l’aspetto individuale, se vi è unareazione avversa verso un cibo, accertata lamolecola specifica, ad esempio caffeina, tei-na, teobromina, od acido salicilico, molte

volte si deve decidere d’eliminarlo dalla die-ta, oppure tentare di superare il problemacon diversi interventi sul cibo (ad esempiotogliendo la molecola incriminata: caffè de-caffeinato, the deteinato ecc.). Le azioni far-macologiche degli alimenti hanno anche ef-fetti favorevoli e ad esempio i salicilati ed iflavonoidi alimentari possono avere un’azio-ne antireumatica e di prevenzione di patolo-gie vascolari umane. Numerose ricerche ri-guardano i salicilati contenuti nei vegetali,loro funzioni e ne giustificano la presenza, inconseguenza della selezione di vegetali capa-ci di resistere ad eventi avversi (predatori er-

141

Cibo e nutrizione

Piante con probabile effetto terapeutico rivelato da animali all’uomo (da Scarpa, 1977con modifiche)

Pianta Principio attivo Effetto

Calamo Olio essenziale asarone Proprietà antisettiche ed antibatteriche

(Acorus calamus L.) (prodotto da un’aldeide) con odore aromatico. È attivo sulle api.

Alno (od Ontano) Emodina, alnulina, protoalnulina, Proprietà insetticide (pulci)

(Alnus glutinosa) glutano, glutinolo e diversi

composti acidi

Ancusa Non determinato Attività simili a quelle dell’Alno

(Anchusa officinalis L.)

Blattaria o Verbasco I fiori contengono notevoli Secondo Plinio attirerebbe le tignole

(Verbascum) quantità (fino all’11%) e le blatte

phlomoides L. di saccarosio

Pilosella Sostanze tanniche Attività antidiarroica. Si diceva ricercata

(Hieracium pilosella L.) dalle pecore per la cura di dissenteria

e metrorragie

Pulegio Non determinato Denominata anche herba pulicaria perché

(Menta pulegium L.) capace di uccidere le pulci

Ruta Glucoside rutina Spasmolitico, abortivo, terrebbe lontano i

(Ruta graveolens L.) predatori (gatti, volpi, martore e faine),

attività contro i parassiti esterni

Radici di mungo Narcotico con azione d’antidoto Usata dalla mangusta prima dei

(Ophiorizza mungo) verso il veleno di cobra combattimenti contro i serpenti

Rauwolfia Reserpina Tranquillante. La pianta, mangiata

volentieri dalla scimmia Colobus.

Gli uccelli che si cibano della pianta

(detta anche upas tree) durante il volo

cadono a terra (Gori, 1990)

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 141

Page 141: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

bivori, parassiti ecc.) (Walling, 2000; Singhe Usha, 2003; Chaman e coll., 2003).Non sono infine da dimenticare gli eventualiapporti degli animali nell’insegnare all’uomol’uso medicinale delle piante che sono statida Scarpa (1977) classificati in due catego-rie: 1) apporti diretti, quando è l’animale cheindica il farmaco all’uomo; 2) apporti indi-retti, quando è l’uomo che osserva e annotagli effetti di una pianta, medicinale o tossica,sull’animale.

Bibliografia

Ballarini G. Rischi e Virtù degli Alimenti. Calderi-ni, Bologna, 1989

Capron A., Dessaint J.P. Chemical Immunology,June 1990

Chaman M.E., Copaja S.V., Argandona V.H. Rela-tionships between salicylic acid content, pheny-lalanina ammonia-lyase (PAL) activity, and resi-tance of barley to aphid infestation. J. Agric.Food Chem., 51, 2227-2231, 2003

Concon J.M. Food Toxicology, M. Dekker Inc.,New York et Basel, 1988

Durante C. Herbario Nuovo. Giunti, Venetia, 1636Gori, 1990 (com. personale)Harris M., Ross E. Food and Evolution: Toward a

Theory of Human Food Habits. Temple Univer-sity Press, Philadelphia, USA, 1987

Lappe M. Evolutionary Medicine. Rethinking the

Origins of Disease. Sierra Club Books, SanFrancisco USA, 1994

McNeill W.H. Plagues and Peoples. Garden City,Anchor Books, New York, 1976

Nesse R.M., Williams G.C. Why We Get Sick:The New Science of Darwinian Medicine. TimeBooks, New York, 1994 (Trad. italiana. Perché ciammaliamo. Einaudi, Torino, 1999)

Perez De Barradas S. Plantas magicas americanas.“Bernardino De Sahagun”, Madrid, pp. 118-119

Quaglia G., Gennaro L., Raffo A. La ricerca e laqualità dei prodotti alimentari. Riv. Sc. Alim.,2001

Ricciuti S.., Cardini G. Flavonoidi. Profilo farma-cologico e terapeutico. Il Policlinico, Sez. Prat.,109, 179-194, 2002

Scarpa A. Dopo un viaggio in Africa Occidentale.E’ vero che gli animali hanno indicato e indicanofarmaci all’uomo? Natura, 68,221-243, 1977.

Scarpa A. Il sogno nella medicina tradizionale degliattuali Maya. Terra Ameriga, 8,26-27-28, p. 85,1972.

Singh U.P., Usha K. Salicylic acid induced physio-logical and biochemical changes in wheat seed-lings under water stess. Plat Growt Reg., 39,137-141, 2003

Swain A.R., Dutton S.P., Truswell A.S. Salicilatesin foods. J. Am. Diet. Ass. 85 (8), 950-960, 1985

Trevathan W.R., Smith E.O., McKenna J.J. (Eds.).Evolutionary Medicine. Oxford UniversityPress, New York, Oxford, 1999

Walling L.L. The myriad plant responses to herbi-vores. J. Plant Growth Reg., 19, 195-216, 2000

142

Capitolo II

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 142

Page 142: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Antibiotici ed ormoni alimentari: realtàantichissime e necessarie

Gli antibiotici alimentari sono una realtà,spesso insospettata, che ha radici antichissimee sembrano aver assunto, attraverso l’evolu-zione, un importante ruolo sia di sanità siad’efficacia alimentare, tanto da doverli rite-nere indispensabili per una nutrizione sanae completa.Molti alimenti contengono ormoni, che nondevono spaventare e che sono rivalutati inuna visione evoluzionista della nutrizione.Numerosi e con significati evoluzionisti edextranutrizionali importanti sono gli ormo-ni contenuti nei vegetali, o fitormoni. Danon sottovalutare sono anche quelli contenu-ti, naturalmente, anche negli alimenti d’ori-gine animale.

Naturalità degli antibioticiGli antibiotici sono composti naturaliespressione di una lunghissima evoluzione egran parte dei vegetali contiene antibiotici.Oggi s’inizia a sospettare che una mancanzaod insufficienza d’antibiotici negli alimentivegetali possa essere dannosa, ed in ogni ca-so causa di disturbi nutrizionali.Alla parola antibiotico associamo quella difarmaco, e degli abusi e danni che ne posso-no derivare. Dimentichiamo che gli antibio-tici sono composti naturali che l’uomo ha ri-cavato dal mondo vegetale e soprattutto daifunghi microscopici, nei quali sono diffusis-simi. Mentre gli animali e quindi anchel’uomo si difendono dalle infezioni con il Si-stema Immunitario, i vegetali molto tempoprima avevano inventato la guerra chimicacontro i batteri, utilizzando una sterminatagamma d’antibiotici. Gli antibiotici sono uncostituente normale dei vegetali; sono piùrari nei cibi derivati dagli animali. La pre-senza d’antibiotici negli alimenti vegetalinon deve preoccupare, anzi è vantaggiosa,per i seguenti motivi.a) Sono presenti in quantità molto basse.

b) Agiscono prevalentemente sui batteriintestinali causa d’infezioni e malattia(Salmonelle, Vibrioni, Streptococchiecc.).

c) Hanno un’azione regolarizzante i microbiintestinali e per questo favoriscono unabuona digestione (azione auxinica – vedi aproposito il capitolo sugli Alimenti Fun-zionali).

d) In gran parte non sono assorbiti e quindinon esercitano azioni generali.

e) Alcuni sono inattivati dal calore e scom-paiono negli alimenti cotti.

f ) Sono diversi dagli antibiotici usati nellacura delle malattie e non producono an-tibioticoresistenza crociata od indeside-rata.

Gli antibiotici contenuti negli alimenti ve-getali, ancorché utili per una buona alimen-tazione, non sono in grado di curare malat-tie di media o grave entità, possono invececontribuire a prevenirle, quando la loroazione si associa a quella delle vitamine e ditaluni ormoni naturali contenuti negli ali-menti. L’importanza degli antibiotici vege-tali è stata inconsciamente riconosciuta damoltissimo tempo e spiega l’uso tradiziona-le di spezie e piante aromatiche ricche d’an-tibiotici, come aglio, cipolla, pepe, peperon-cino e prezzemolo. Non è in ogni caso dasottovalutare che molti di questi antibioticinaturali hanno un certo potere tossico, chenon si manifesta alle piccole dosi usate incucina, ma potrebbe manifestarsi per dosieccessive. Per questo quasi nessuno di questiantibiotici è stato concentrato ed usato nellacura delle malattie. Non bisogna infine di-menticare che, sulla base della fluorescenzadelle ossa d’animali selvatici (Bingham ecoll., 1994) e di scheletri umani dei primisecoli della presente era (350-450 E.C. –Basset e coll., 1980) si è sostenuto che anti-biotici del tipo tetraciclina – derivati dallefermentazioni dei cereali per produrre labirra – possano fare parte della naturale ali-mentazione.

143

Cibo e nutrizione

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 143

Page 143: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Antibiotici in alimentazione umanaSiamo circondati da antibiotici e la loro pre-senza negli alimenti vegetali è completa-mente normale. Una loro assenza o scarsità èda ritenere anormale. Una diminuzione dellacarica antibiotica degli alimenti si ha con laloro conservazione e cottura ed in un mine-strone lungamente bollito rimangono benpochi degli antibiotici presenti nelle verdurefresche. Meno distruttivi ed in qualche casoarricchenti sono i processi fermentativi diconservazione: gli antociani ed i polifenolidell’uva, dotati d’attività antibiotica, si man-tengono con la fermentazione che trasformail mosto in vino e le fermentazioni vinarie epanarie arricchiscano d’antibiotici gli ali-menti che ne derivano.Ancor oggi, il quadro degli antibiotici con-tenuto negli alimenti vegetali che entranonell’alimentazione umana, è tutt’altro checompleto, come lo era qualche decennio fa(Ballarini, 1989). L’azione nutrizionale degliantibiotici alimentari può essere ricondottaai seguenti meccanismi, che si manifestanoper l’azione d’antibiotici deboli, sommini-strati in continuazione.a) Controllo delle popolazioni microbiche

intestinali, soprattutto di quelle anaerobie.b) Regolazione della flora microbica intesti-

nale, in caso di rapidi mutamenti di dietae di stress.

c) Azione favorente lo sviluppo di microrga-nismi intestinali produttori di vitamine edi metalli organici (chelati e molecole si-milari).

d) Azione favorente la fermentazione micro-bica di substrati vegetali, con diminuitaproduzione di metano intestinale (flatu-lenze).

e) Protezione indiretta dalle conseguenzenegative di un intenso sviluppo di popola-zioni microbiche intestinali potenzial-mente dannose (enterobatteri ecc.).

In conseguenza della riduzione delle infe-zioni e di una migliore nutrizione, di una ri-duzione delle conseguenze di stress e rapidi

mutamenti alimentari, è facile intuire comela presenza d’antibiotici alimentari vegetali,anche nella specie umana sia stato seleziona-to come una condizione favorevole.

Diete senza antibiotici e alimentazione darwinianaLa paura di una diffusione dell’antibiotico-resistenza ha indotto a togliere gli antibioti-ci artificiali dall’alimentazione animale e,per non tornare a condizioni preindustriali,si è migliorato lo stato igienico degli alleva-menti, mentre la dieta degli animali è statamodificata, utilizzando alimenti trattatimeccanicamente (schiacciatura, molituraecc.) o termicamente (cottura, tostatura,estrusione ecc.) ed aggiungendo vitamine eminerali organici. Nell’uomo moderno, cheha un’alimentazione sempre più scarsa d’an-tibiotici naturali, questi non sono più rite-nuti necessari: a patto d’avere elevati livelliigienici, impensabili solo qualche decenniofa, per non pensare all’uomo primitivo, e diavere una dieta basata su alimenti trattatimeccanicamente e termicamente. Per l’uo-mo delle società industrializzate, una ridu-zione dell’utilizzazione alimentare è para-dossalmente un vantaggio. Nell’uomo pri-mitivo era un vantaggio che tutto l’alimentofosse ben utilizzato ed è stato calcolato(Ballarini, 1989) che gli antibiotici alimen-tari potessero aumentare fino del 10 % ilvalore nutrizionale di una dieta. Nelle societàindustrializzate, invece, l ’ideale è di mangiaresenza ingrassare, vale a dire avere delle dietescarsamente utilizzate, quindi senza antibioti-ci. Da un punto di vista della nutrizioneevoluzionista, la ricerca di un’alimentazioneumana senza antibiotici può essere interpre-tata come una risposta culturale alla sovrab-bondanza di cibo che caratterizza le societàindustrializzate.

OrmoniOrmoni sono molecole prodotte da partico-lari ghiandole del corpo e che, trasportate

144

Capitolo II

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 144

Page 144: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

dal sangue, stimolano e regolano le funzioniorganiche. Gli ormoni prodotti dall’organi-smo sono chiamati endogeni o naturali e so-no normalmente presenti nei tessuti, organie liquidi degli animali. Questi ormoni sonoquasi completamente distrutti dai succhi di-gestivi ed anche per i loro minimi dosagginegli alimenti d’origine animale (carne, lattee uova) sono innocui.Un’intensa ricerca è stata effettuata per modi-ficare la struttura molecolare degli ormoni edottenerne derivati con due principali caratte-ristiche: 1) maggiore durata d’azione; 2) resi-stenza ai succhi digestivi, in modo da poteressere somministrati per bocca. La pillolausata nella donna per regolare i cicli sessuali,impedire il concepimento ecc. contiene or-moni di sintesi artificiali, detti anche esogeni.È ovvio il rischio di assumere ormoni esogenio artificiali, al di fuori di una precisa necessitàe quindi senza una prescrizione medica.Gli ormoni, molto numerosi, hanno molte-plici attività. Ad esempio gli ormoni sessualinon intervengono soltanto nella mascoliniz-zazione o femminilizzazione, ma hanno an-che potenti azioni sullo sviluppo corporeo,in particolare di certi organi tra i quali mu-scoli, e possono essere usati per cura e perusi illeciti (doping ecc.). Molecole ad attivitàormonale sono largamente diffuse anche trai vegetali (fitormoni e, tra questi, molto dif-fusi i fitoestrogeni) (Zava e coll., 1998; Bin-gham e coll., 1998) e la loro presenza sem-bra essere giustificata da una difesa dei vege-tali contro gli animali erbivori. I fitoestroge-ni, presenti nella alimentazione umana, sonoin generale attivi per via orale ed agisconosecondo la loro dose. L’uomo ha imparato ascegliere i vegetali e soprattutto a limitarnel’impiego, in modo da contenere i rischi daestrogeni esogeni, ma anche di sfruttarne leloro caratteristiche. Ad esempio, molti deibenefici effetti di diete vegetariane e di ap-plicazioni locali di vegetali sulla pelle, oltreche dalle vitamine che contengono, derivanoanche dai fitoestrogeni.

Ormoni negli alimenti d’origine animaleEstrogeni, no grazie: è il motto dei consu-matori europei di fronte alla bistecca. Un’o-pinione opposta a quella dei consumatoriamericani che con il loro elevato consumo dicarne di bovino, dicono invece: estrogeni, sigrazie. Gli estrogeni naturali (non altri com-posti) sono ammessi negli USA, Canada emolti altri paesi del mondo industrializzatoed aumentando l’efficienza dell’allevamentocontribuiscono a tenere basso il prezzo dellacarne. Chi è stato negli USA, si sarà accortodi quanto poco costi la carne, ovviamentenon nei ristoranti di lusso, ma già nelle SteckHouse, senza parlare dei fast food.E la salute del consumatore? La rispostaamericana, ma anche delle organizzazionimondiali come OMS e FAO, sembra chiara:nessun problema se si usano estrogeni natu-rali (ad esempio il 17-beta-estradiolo). Infat-ti, gli estrogeni naturali contenuti nella carnedi manzo (vedremo tra un attimo quantobassa sia la concentrazione di questi estroge-ni) sono in gran parte distrutti dall’intestinoe la minima quota assorbita è a sua voltabloccata dal fegato, e non provoca danno alconsumatore. A questo riguardo, l’argomentopiù convincente è quello delle quantità d’e-strogeni contenuti nella carne di manzo, an-che negli animali trattati con estrogeni, se-condo il metodo americano dell’impiantosottocutaneo, diffuso in molti paesi del mon-do. Calcolando gli estrogeni in nanogrammi(miliardesimi di grammo) la differenza tracarne di manzo trattato o no è in sostanzatrascurabile (1,53 contro 2,24 nanogrammiper etto di carne), ma soprattutto in entram-bi i casi la dose è straordinariamente più bas-sa di quella presente in altri alimenti come illatte e molti alimenti vegetali. Patate, piselli,cavoli, germe di grano ed in particolare l’oliodi soia ed anche altri oli vegetali, ad iniziareda quello d’oliva, hanno elevati contenutid’estrogeni. Se ad una bistecca di un etto, ot-tenuta da un manzo trattato o non con estro-geni e con non più di 2,5 nanogrammi di

145

Cibo e nutrizione

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 145

Page 145: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

estrogeni, si aggiungono uno o due cucchiai-ni di olio di soia (5- 10 millilitri) la quantitàdi estrogeni che è ingerita dal consumatorearriva a 9.884,5-19.766,5 nanogrammi. L’o-lio aumenta di 4.000-8.000 volte la quantitàdi estrogeno contenuto nella bistecca! Se poiquesta è mangiata con patate, piselli o cavoli

(ulteriormente conditi con olio vegetale) lequantità di estrogeno aumentano ancora. Gliestrogeni della carne sono ininfluenti sullaquantità complessiva d’estrogeni di una die-ta, anzi gli estrogeni sono molto maggiori inuna dieta vegetariana, che non in una dietache contenga carne.

146

Capitolo II

Antibiotici naturali in alcuni alimenti

Alimento Antibiotico Batteri e virus sensibili

Cipolla Aldeidi e solfuri Brucelle

Aglio Allicina Salmonelle, shigelle, vibrioni, streptococchi,

pseudomonas

Luppolo (birra) Humolone Bacillo della difterite, micobatterio della tubercolosi,

stafilococchi, streptococchi

Mela Floretolo Stafilococchi

Avocado Otto composti diversi Batteri Gram negativi

Pomodoro Tomatina Brucelle, salmonelle, colibacilli, stafilococchi

Pomodoro Licopersicina Miceti (Candida)

Pepe Capsidolo Miceti

Peperoncino Quercitina Stafilococchi, salmonelle, colibacilli

Prezzemolo Apiolo Batteri diversi

Vino Composti fenolici Batteri diversi

Vino Antociani Virus filtrabili

Bianco d’uovo Lisozima Batteri Gram positivi

Latte Lisozima Batteri Gram positivi

Attività antibatterica d’alcuni alimenti (Ballarini, 1989)

Alimento Principio attivo Microrganismi sensibili Concentrazione minima

d’attività in vitro

Cipolla Non identificato Brucella abortus 0,7/100.000

Aglio Allicina Salmonella, Shigella, Vibrio, 0,8/100.000

Streptococcus

Luppolo Humolon lupolon C. diphteriae, M. tuberculosis, 1/100.000

Streptococcus, Staphylococcus

Mela Floretolo Staphylococcus 3/100.000

Pomodoro Tomatina o Candida albicans, 1/5.000

licopersicina miceti delle dermatomicosi

Vegetali diversi Quercetolo Brucella abortus, Salmonella, 1/100.000

Escherichia coli, Staphylococcus

Bianco d’uovo Lisozima M. lysodeiticus 0,1/100.000

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 146

Page 146: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

In ogni modo, in Europa ed in Italia gliestrogeni sono severamente banditi neglianimali produttori di carne.

Ormoni negli alimenti vegetaliUna parte del decadimento senile si correla al-la diminuzione degli ormoni prodotti dall’or-ganismo, che governano tutta la vita umana esoprattutto quella sessuale e riproduttiva.Composti con attività ormonale sono presenti

nei vegetali e denominati fitormoni e fitoe-strogeni, considerati anche a proposito dellamenopausa. Spesso gli ormoni vegetali sonoattivi anche per via orale, in quanto non ven-gono distrutti dai processi digestivi. Con l’ali-mentazione vegetale si assumono ormoni, inminime quantità, che di solito non influiscononegativamente sul consumatore, hanno anzieffetti favorevoli. Recenti ricerche dimostranoche i vegetali selvatici o coltivati con sistemi

147

Cibo e nutrizione

Ormoni estrogeni in alcuni alimenti (Dr. Harlan Ritchie, Michigan State University, Aprile1990)

Alimento Nanogrammi (*) per etto

Carne di manzo 1,53

Carne di manzo trattato con estrogeni (**) 2,24

Latte di vacca 12,90

Patate 265,00

Piselli 400,00

Gelato di crema (Ice Cream americano) 612,00

Germe di grano 4.000,00

Olio di soia 1.976.471,00

(*) - Un nanogrammo corrisponde ad un miliardesimo di grammo

(**) – Trattamento secondo l’uso americano, con permanenza sottocutanea dell’impianto ormonale fino al mo-

mento della macellazione

Alimenti con particolare attività ormonale (Zava et al., 1998)

Attività estrogena Attività progestinica

Soia Origano

Liquerizia Verbena

Red clover Tumeric

Timo Timo

Tumeric Red clover

Hops Damiana

Verbena

Ormoni estrogeni vegetali in rapporto al tipo di coltivazione (Microgrammi DES-equiva-lenti per 100 grammi di Sostanza Secca)

Frumento Carota

Senza concimazione 0,20-0,45 0,06–3,30

Concimazione chimica 0,32-1,76 1,2-3,4

Concimazione organica 0,65-3,90 2,0-4,0

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 147

Page 147: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

naturali (ad esempio con concime organico enon chimico) contengono maggiori quantitàdi ormoni estrogeni di quelli coltivati conconcimi chimici. Probabilmente i vantagginutrizionali e sanitari che si hanno nel cibarsicon questi vegetali (oggi chiamati, impropria-mente, biologici) deriva dal loro contenuto inormoni, antibiotici ed altri componenti farma-cologici. È ben noto che quando si sommini-strano agli animali degli estrogeni (tra i qualianche alcuni di origine vegetale, come lo zera-nolo) non solo crescono di più, ma fanno piùmuscolo e meno grasso e la loro pelle è più li-scia. La quantità di ormoni vegetali che si puòassumere con una normale alimentazione nonè preoccupante. Casi pericolosi si sono avutinel passato con l’uso di granaglie colpite damuffe, alcune delle quali producono grandiquantità di ormoni di tipo estrogeno.

Ormoni alimentari e nutrizione darwinianaGli ormoni alimentari sono una realtà ampia-mente consolidata dalla nostra evoluzione etaluni, come i fitoestrogeni – considerati adesempio a proposito della menopausa – sonoda ritenere necessari per un buono stato di sa-lute. Non significativo pare essere il ruolo de-gli ormoni naturali negli alimenti d’origineanimale. Giuste perplessità possono tuttaviasollevare i trattamenti ormonali negli animaliche producono alimenti per l’uomo, soprat-tutto se si usano composti artificiali e quindiinnaturali.

Bibliografia

Adetumbi M. A., Lau B. H. Allium sativum (garlic)a natural antibiotic. Med. Hypotheses, 12, 227-237, 1983

Alice D., Sivaprakasam K. Antibiotics and garlicclove extract inhibitory agents of cell wall degra-ding enzymes. Hindustan. Antibiot. Bull., 37,44-47, 1995

Augusti K.T. Therapeutic values of onion (Alliumcepa L.) and garlic (Allium sativum L.). Indian JExp-Biol. 34, 634-640, 1996

Ballarini G. Rischi e Virtù degli Alimenti. Calderi-ni, Bologna, 1989

Bassett E.J., Keith M. S., Armelagos G, J., MartinD, L., Villanueva A.R. Science, 209, 1532, 1980(cit. Bingham e coll., 1994)

Bingham J., Matema R., Kappeler A., Hill F.W.G.Naturally occurring tetracycline-like fluorescen-ce in sections of femur from jackals in Zim-babwe. Vet. Rec., 135, 180-182, 1994

Bingham S, A., Atkinson C., Liggins J. et al. Phy-to-oestrogens: where are we now? Brit. J. Nutr.,79, 393-406, 1998

Boatto G., Pintore G., Palomba M. et al. Composi-tion and antibacterial activity of Inula heleniumand Rosmarinus officinalis essential oils. Fitotera-pia, 65, 279-280, 1994

Dankert J., Tromp T.F., de Vries H., Klasen H.J. An-timicrobial activity of crude juices of Allium asca-lonicum, Allium cepa and Allium sativum. Zentral-bl-Bakteriol-[Orig-A]. 245, 229-239, 1979

Dausch J.G., Nixon D.W. Garlic: a review of its re-lationship to malignant disease. Prev. Med., 19,346-361, 1990

Deng D.J., Mueller K., Kasper P., Mueller L. Effectof diallyl-trisulfide on induction of UDS by mu-tagenic drugs in primary rat hepatocytes. Bio-med. Environ. Sci., 7, 85-90, 1994

148

Capitolo II

Fitoestrogeni (livelli medi di isoflavoni e lignani) nelle urine in popolazioni diverse, in re-lazione alla alimentazione (da Bingham et al., 1998, con modifiche)

Isoflavoni mg Lignani mg

Onnivori americani 0,11 0,58

Onnivori inglesi 0,05 0,22

Lattovegetariani americani 0,37 1,23

Macrobiotici americani 1,18 5,99

Giapponesi 1,76 0,53

Americani con tumore alla mammella 0,03 0,31

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 148

Page 148: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

149

Cibo e nutrizione

Didry N., Pinkas M., Dubreuil L. Activité anti-bactérienne d’espèces du genre Allium. Pharma-zie, 42, 687-688, 1987

Drouin E. Helicobacter pylori: novel therapies. Can.J. Gastroenterol., 13, 581-583, 1999

Fritsche S., Steinhart H. Occurrence of hormonallyactive compounds in food: a review. Europ. FoodRes. And Tech., 209, 153-179, 1999

Kajimura Y., Kaneda M. Fusaricidin A, a new de-psipeptide antibiotic produced by Bacilluspolymyxa KT-8. Taxonomy, fermentation, isola-tion, structure elucidation and biological activity.J. Antibiot. (Tokyo). 49, 129-135, 1996

Klein J.O. Management of acute otitis media in anera of increasing antibiotic resistance. Int. J. Pe-diatr. Otorhinolaryngol. 5; 49 Suppl. 1S15-1S17, 1999

McNulty C.A., Wilson M.P., Havinga W., John-ston B., O’Gara E.A., Maslin D.J. A pilot studyto determine the effectiveness of garlic oil ca-psules in the treatment of dyspeptic patientswith Helicobacter pylori. Helicobacter. 6, 249-253, 2001

Mohammad S.F., Woodward S.C. Characterizationof a potent inhibitor of platelet aggregation andrelease reaction isolated from Allium sativum(garlic). Thromb. Res., 44, 793-806, 1986.

Rich G.E. Garlic an antibiotic?. Med. J. Aust., 1,60, 23 Jan. 1982

Shahnaz A., Zulekha K., Yasmeen B.. Antibacterial

activity of Salvia santolinifolia. Fitoterapia, 65,271-272, 1994

Sivam G.P. Protection against Helicobacter pyloriand other bacterial infections by garlic. J. Nutr.,131, 1106S-1108S, 2001

Sivam G.P., Lampe J.W., Ulness B., Swanzy S.R.Potter. J.D. Helicobacter pylori in vitro susceptibi-lity to garlic (Allium sativum) extract. Nutr. Can-cer., 27, 118-121, 1997

Tona Lutete, Kambu K., Ntondele D., Cimanga K..Antimicrobial activity of tannins. Fitoterapia,65, 276-278, 1994

Tsao S., Yin M. In vitro activity of garlic oil andfour diallyl-sulphides against antibiotic-resistantPseudomonas aeruginosa and Klebsiella pneumo-niae. J. Antimicrob. Chemother. 47,665-70,2001

Uchida Y., Takahashi T., Sato N. The characteri-stics of the antibacterial activity of garlic. Japan.J. Antibiot. 4, 638-642, 28 Aug 1975

Yu Y.H., Carlson K.E., Sun J. et alii. Estrogenic ef-fects of extracts from cabbage, fermented cabba-ge and acidified brussels sprouts on growth andgene expression of estrogen-dependent breastcancer cells. J. Agric. And Food Chem., 48,4628-4634, 2000

Zava D. T., Dollbaum C. M., Blen M.. Estrogenand progestin bioactivity of foods, herbs and spi-ces. Prooc. Soc. for Experim. Biol. AndMed.,217, 369-378, 1998

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 149

Page 149: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Antiossidanti: una preziosa protezione

Antiossidanti, un termine ambiguo, daquando l’industria ha preparato dei composticapaci di legarsi all’ossigeno o di contrastarnealcune azioni negative.Gli antiossidanti sono naturalmente e larga-mente diffusi in natura e senza di loro nonvi sarebbe la vita. Sono potenti antiossidantinaturali l ’acido ascorbico ed i tocoferoli, piùnoti come vitamine C e E, che svolgono laloro azione rispettivamente in ambiente ac-quoso e grasso.Per motivi che non conosciamo l ’uomo, di-versamente da altri animali, non ha svilup-pato (od ha perduto?) la genetica di produrrel’acido ascorbico.Nel passato gli antiossidanti erano larga-mente presenti nell ’alimentazione umana,ricca di vegetali freschi e d ’alimenti d ’ani-mali che si nutrivano d’alimenti freschi.L’alimentazione umana dei paesi industria-lizzati spesso manca degli antiossidanti ne-cessari per un buon livello di salute.

L’alimentazione naturale si basava su cibi freschi Si è già rilevato che l’uomo primigenio percentinaia di migliaia d’anni, si è alimentatosoltanto con una grandissima varietà di cibifreschi.Con l’invenzione dell’agricoltura, circa quin-dicimila anni fa, l’uomo cominciò a nutrirsicon alimenti conservati o trattati. Oggi aglialimenti chiediamo che facciano bene e sia-no portatori di salute (alimenti salutisti) for-nendoci anche antiossidanti quali i carotenoi-di, vitamine antiossidanti (vitamina C ed E),minerali antiossidanti (selenio) e le preziosenutricine, che si trovano nei vegetali freschi.Una condizione, quella della freschezza deglialimenti, che sta venendo alla ribalta e chemerita un approfondimento, oltre quanto giàconsiderato nel precedente capitolo su or-taggi, piante aromatiche e frutta.

Carotenoidi e nutricineSempre maggiore attenzione si sta dedican-do ai carotenoidi, flavonoidi ecc. presentinei vegetali ed alla necessità di una loro pre-senza nella dieta. Questi composti sono sta-ti sviluppati dalla selezione naturale nei ve-getali per diversi motivi: molecole ad atti-vità metabolica e di protezione contro l’os-sidazione, segnali mimetici e, o di richiamoin particolare d’artropodi e questo anchecome agevolazione alla riproduzione e dif-fusione della specie. In quest’ultimo caso visono stati importanti processi di coevolu-zione. Contestualmente, gli animali che sialimentano con vegetali contenenti carote-ni, li hanno sottoposti a processi metabolicispecifici: tipica è la trasformazione dei caro-teni vegetali in vitamina A o l’utilizzo deipigmenti carotenoidi per le colorazioni dellecute e fanere, ad esempio delle penne degliuccelli.Nei cibi non vi sono solo le vitamine, maanche altre molecole importanti per la vita ela salute, tanto da essere denominate molecolestrategiche. Tra queste hanno un posto moltoimportante le molecole che contrastano l’azionedell’ossigeno e dei radicali liberi e che sono indi-cate con il termine genetico di nutricine, perchénecessarie per una buona nutrizione ed unelevato stato di salute.In molti cibi freschi, d’origine vegetale edanche animale, le nutricine con la loro azio-ne antiossidante contrastano i dannosi effet-ti dell’ossigeno e suoi derivati (perossidi, ra-dicali liberi, ecc.). Le nutricine, perché an-tiossidanti, aumentano le difese antinfettivee soprattutto ostacolano gli effetti dell’invec-chiamento. Una caratteristica quest’ultimaoggi di grande interesse. Le nutricine sonopresenti nei vegetali freschi. Sono nutricinel’acido ascorbico, i tocoferoli, i carotenoidi(oltre seicento composti tra i quali xantofillee caroteni: betacarotene, luteina, licopene,zeaxantina, astaxantina ecc.), i flavonoidi edaltri composti a struttura fenolica.

150

Capitolo II

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 150

Page 150: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

151

Cibo e nutrizione

Principali flavonoidi negli alimenti

Sottogruppi Composti Alimenti

Flavoni Apigenina, luteolina Peperone rosso, sedano

Cereali

Flavonoli Quercetina, mirecetina, Frutta, cipolle, ortaggi

kampferolo Agrumi

Vino rosso

Flavanoni Clanidina, esperidina Agrumi

Catechine Catechina, epicatechina The, cacao e cioccolato

Antocianidine Cianidina, pelargonidina Frutta di colore rosso o blu (ciliege,

lamponi, ribes rosso, more, mirtilli, uva)

Isoflavoni Genisteina Soia

Capacità antiossidante di frutta in rapporto al tipo di coltivazione (valori espressi comeKa/Kc – Più alto il numero, migliore l’attività antiossidante) (Quaglia et al., 2001)

Frutta Convenzionale Biologica Biologica Biologica

(senza uso (inerbimento (inerbimento

di fitofarmaci) con trifoglio) erbe spontanee)

Pere 0,88 0,44 0,77 1,03

Pesche 1,00 0,68 3,00 1,79

Proprietà ed azione dei polifenoli (Martelli et al., 2001)

Azione antinutrizionale Tannini: Inibitori enzimatici, leganti delle proteine,

complessanti di cationi

Antociani: Antitiroidei

Acido caffeico: Antivitamina B1

Imbrunimento enzimatico Frutta e derivati

Vino bianco

Azioni antiossidanti del vino Derivati dell’acido benzoico e cinnamico

Tirosolo

Flavonoidi: antociani, flavonoli, flavani

Resveratrolo

Antiossidanti dell’olio d’oliva Componenti fenolici

Antiossidanti degli agrumi Polifenoli

Antiossidanti della propoli Polifenoli

Azione ipocolesterolizzante Polifenoli

Azione estrogena (debole) Isoflavoni

Azione antibatterica (batteriostatica) Polifenoli

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 151

Page 151: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Oxidans status e nutrizione antiossidanteOggi si crede che l’invecchiamento e moltemalattie degenerative dipendano da processid’ossidazione, nei quali si generano i temibiliradicali liberi. Per contrastare l’ossidazionenon basta una protezione dall’ossigeno, ma ènecessario utilizzare degli antiossidanti natu-rali. Tra i diversi alimenti, alcuni sono statiparticolarmente studiati sotto il profilo delleloro attività antiossidanti. In particolare aglio,cipolla, pomodoro, erbe aromatiche e siero dilatte. Le attività antiossidanti di frutta, ortaggied erbe aromatiche sono state studiate soprat-tutto da Plumb e collaboratori ed il rosmarinosi è rivelato un potente antiossidante.

Malattie moderne, dieta antiossidante e nutrizione darwinianaLa nutrizione evoluzionista non ci permettesoltanto di guardare indietro, ma anche dicercare di meglio vivere oggi, considerandoin particolare le nuove malattie che affliggo-no l’umanità. In questo senso, Johns (1999)ha esaminato come i nutrienti ed i non nu-trienti alimentari hanno determinato l’evo-luzione umana, dedicando particolare atten-zione al ruolo degli antiossidanti e sottoli-neando l’ipotesi che la selezione di compor-tamenti alimentari indirizzati ad attività ex-tranutrizionali sia stato un meccanismocompensatorio per aumentare gli antiossi-danti nella dieta umana, in relazione allemutate condizioni di vita. Un esempio rela-tivamente recente nella storia alimentareumana è che l’olio d’oliva vergine è dotato dibuone attività antiossidanti (Angerosa e diGiovacchino, 1996; Cointe e coll., 2002).Un tempo si sosteneva che l’uomo preistori-co si nutrisse di bacche e radici. Oggi sap-piamo che la sua alimentazione era moltopiù varia, ma le bacche, intese anche comefrutta, erano presenti in rilevanti quantità,apportando molecole strategiche e soprat-tutto antiossidanti. Forse per questo l’uomoha perduto la capacità di produrre l’acidoascorbico (vitamina C).

Un’alimentazione con scarsa presenza diverdure fresche e basata su alimenti conser-vati non apporta la quantità d’antiossidantiche la genetica umana richiede.Non bisogna inoltre dimenticare che il tipodi coltivazione praticata dall’agricoltura ten-de a ridurre la quantità d’antiossidanti. Inquesta prospettiva si rende necessario unmodo di produrre gli alimenti realmentenuovo, in quanto più vicino al naturale. Inproposito, ad esempio, non è detto che leproduzioni “biologiche”, ottenute solo senzal’uso di fitofarmaci, siano migliori, anzi sottol’aspetto antiossidante possono essere peg-giori, a meno di non intervenire aggiungen-do altri elementi di produzione.

BibliografiaAngerosa F., di Giovacchino L. Natural antioxi-

dants of virgin olive oil obtained by two and tri-ohase centrifugal decanters. Grasas y Aceites, 47,247-254, 1996

Conte L.S., Pizzale L., Bortolomeazzi R. et alii. Va-lutazione dell’attività antiossidante di oli verginid’oliva. Progress in Nutrition, 4, 17-23, 2002

Feuers R.J., Weindruch R., Hart R.W. Caloric re-striction, aging, and antioxidant enzymes - Mu-tat. Res., 295, 191-200, 1993

Johns T. The chemical ecology of human ingestivebehaviours. Ann. Rev. of Anthropology., 28, 27-50, 1999

Mancini M., Parfitt V.J., Rubba P. Antioxidant inthe Mediterranean diet. Can. J. Cardiol., 11,suppl. G., 105G-109G, 1995

Martelli A., Coisson J.D., Arlorio M. Polivalenza dicomponenti bioattivi fenolici degli alimenti -Riv. Sci. Alim., 2001, n.3

Murcia M.A., Jimenez A.M., Martinez Tomne M.Evaluation of the antioxidant properties of Me-diterranean and tropical fruits compared withcommon food additives. J. Food Protec., 64,2037-2046, 2001

Olson J.A. Vitamin A and carotenoids as antioxi-dants in a physiological context. Nutr. Sci. Vita-minol. (Tokyo), 39, Suppl. S 57-65, 1993

Plumb G.W., Chambers S.J., Lambert N. et alii.Antioxidant actions of fruit, herb and spice ex-tracts. J. of Food Lipids. 3, 171-188, 1996

Quaglia G., Gennaro L., Raffo A. La ricerca e la qua-lità dei prodotti alimentari. Riv. Sc. Alim, 2001

Singh R.B., Niaz M.A. Genetic variation and nu-trition in relation to coronary artery disease. J.Assoc. Physicians. India, 47, 1185-1190, 1999

152

Capitolo II

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 152

Page 152: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

LUCI ED OMBRE DEGLI ALIMENTIIN UNA ALIMENTAZIONEDARWINIANA

Immunità, alimentazione probiotica, nutra-ceutica ed alimenti funzionali hanno anticheradici. I nostri antenati avevano un solido si-stema immunitario ed oggi si attribuisce im-portanza anche all’alimentazione quale fat-tore d’immunità.La recente scoperta dell’importanza dei bat-teri intestinali si collega alle radici stessedell’alimentazione umana ed all’uso di ali-menti prebiotici. Più antica e forse preuma-na è l’idea che gli alimenti possano contene-re farmaci, e che molti alimenti hanno atti-vità preventive attraverso la nutraceutica(nutrimento quale farmaco).Gli alimenti devono anche fare bene e perquesto alcuni di loro sono stati definiti fun-zionali, che rispondono a necessità biologi-che, accolte e sviluppate dalle culture uma-ne. In questo ambito, solo recentemente si èdedicata attenzione agli aspetti nutrizionalidel cervello e la psicodietetica avrà un’im-portanza strategica.Tra le ombre della nostra alimentazione visono anche gli antialimenti, espressione del-la lotta tra la nostra specie che vuole man-giare e le altre specie che non vogliono esse-re trasformate in cibo.

Immunità e alimentazione: antiche radicidella nutraceutica immunitaria

I nostri antenati avevano un solido sistemaimmunitario, che permettevano di resisteread infezioni provocate da una vasta gammadi parassiti, batteri e virus.Oltre alla selezione naturale, che eliminavaindividui con un sistema immunitario nonpienamente efficiente, oggi si attribuisce im-portanza anche all’alimentazione quale fat-tore d’immunità.

Nutrizione e difese immunitarieRecenti acquisizioni precisano l’importanzadella nutrizione nello sviluppo delle difeseimmunitarie e nella prevenzione delle malat-tie infettive, anche attraverso il controllodell’Oxidans Status, e l’azione di antiossi-danti naturali quali le nutricine, già conside-rate.Una generalizzata malnutrizione energeticae proteica causa un’atrofia dei tessuti linfoidideputati alla protezione immunitaria, so-prattutto nei giovani. Da tempo è nota l’im-portanza, per un corretto sviluppo e funzio-namento del Sistema Immunitario, di vita-mine (A, C), aminoacidi (metionina ed al-tri), oligoelementi (ferro, zinco, rame e sele-nio). Importanti sono anche i carotenoidi edi nucleotidi contenuti negli alimenti vegetalied animali. Recentemente si sono avute ul-teriori conoscenze in aree nutrizionali cheriguardano il ruolo sull’immunità degli acidigrassi polinsaturi.

Carotenoidi, nucleotidi ed immunitàI carotenoidi sono un vasto e complessogruppo di molecole (oltre 600 oggi conosciu-te) che possono contenere ossigeno (xantofil-le), ma circa il 10% sono idrocarbonati (caro-teni). Molti vegetali, erbe e spezie hanno at-tività antiossidanti, in quanto contengonomolecole flavonoidi. Oltre alle ben note atti-vità pigmentanti, molti carotenoidi hannoattività antiossidante, come il betacarotene, illicopene, astaxantina e la cantaxantina. I ca-rotenoidi, in quanto antiossidanti, influenza-no il sistema immunitario e stimolano l’atti-vità fagocitaria e battericida. Il tipo d’alimen-tazione prevalente nell’uomo moderno e so-prattutto l’attuale tendenza ad un ampio usod’alimenti conservati, fermentati, essiccati,oltre all’uso di cereali conservati a lungo e digrassi non ben conservati ed ossidati, provocala drastica diminuzione del loro contenuto innutricine antiossidanti che nella dieta.Da molto tempo si sapeva che il lievito hauna potente attività stimolante l’immunità,

153

Cibo e nutrizione

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 153

Page 153: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

in quanto ricco di nucleotidi. I nucleotidialimentari (dai quali derivano le purine o pi-rimidine) sono indispensabili per lo sviluppodelle cellule del sistema immunitario e del-l’immunità di tipo cellulomediato, che di-fende da alcuni virus e diversi batteri e pro-tegge dall’invasione tumorale. Nell’uomoun’alimentazione priva o scarsa di purine, ènefasta soprattutto per i bambini e molti an-ziani, provocando pericolosi cali d’immunitàcon le seguenti conseguenze.1 - Insufficiente sviluppo od attività del si-

stema emopoietico ed immunitario, so-prattutto dell’immunità cellulomediata.

2 - Diminuita difesa contro cellule estraneee soprattutto di tipo tumorale.

3 - Diminuita difesa verso infezioni causateda batteri controllati dalla immunità cel-lulomediata, ad esempio da stafilococchiecc. o da funghi (candida ecc.) e moltoprobabilmente anche da micobatteri del-la tubercolosi e di infezioni similari.

4 - Ancora da definire, ma probabile, il ruo-lo di tale alimentazione per le infezionivirali controllate da immunità cellulome-diata (ad esempio da Herpes virus) odimmunodipendenti.

Carne, vegetali ed immunitàOltre a quanto già considerato nel capitolodedicato alla carne, in questo momento bi-sogna ricordare l ’importanza per unabuon’immunità della quota proteica alimen-tare ed in particolare di taluni aminoacidi,ad esempio la metionina, e dei grassi presen-ti, tra i quali soprattutto alcuni acidi grassi,come il linoleico. Sempre più complesse as-sociazioni di vitamine, aminoacidi, acidigrassi e minerali sono proposti per stimolarele risposte immunitarie antinfettive, ma i ri-sultati non sono ancora completamente sod-disfacenti. Una risposta forse può venire dal-la recente scoperta del ruolo che hanno, perla difesa immunitaria, dell’acido linoleicoconiugato (ALC), dei nucleotidi, oltre chedel ferro, dello zinco e del cromo alimentari,

tutti fattori presenti nella carne. Oggi biso-gna ritenere che in una dieta equilibrata lacarne è importante anche per le attività pro-immunitarie svolte dalle seguenti molecole:acido linoleico coniugato; nucleotidi; ferro,zinco e cromo sotto forma organica, moltoassorbibile e biodisponibile.Recenti indagini hanno dimostrato che mol-ti vegetali contengono molecole dotate d’at-tività immunostimolante. In proposito sonoda citare i seguenti generi: Aconitum, Angeli-ca, Arnica, Artemisia, Asparagus, Camelia,Cinnamomum, Dioscorea, Echinacea, Fagopy-rum, Ficus, Glycyrrhiza, Morus, Panax, Phy-tolacca, Viscum ed altri. Tra i vegetali più stu-diati vi sono il ginseng (genere Panax) e l’E-chinacea (Xiao e coll., 1993; Puhlmann ecoll., 1992; Wagner e Juvic, 1991). Moltoampia è la varietà delle molecole coinvolte.

Immunità ed alimentazione darwinianaL’identificazione di nuovi determinanti nu-trizionali che agiscono sulla resistenza allemalattie ed aumentano la risposta immuni-taria (nutricine) apre nuove strade interpre-tative delle malattie infettive, soprattutto diquelle condizionate, come le Sindromi d’Im-munodeficienza Nutrizionale Acquisita(NAIDS). Su questa linea viene anche riva-lutato il ruolo degli alimenti carnei. La pos-sibilità d’intervenire sull’alimentazione, con-siderando anche l’Oxidative Status e le inter-ferenze degli stress ossidativi predisponentipatologie, fornisce nuove prospettive nell’a-limentazione, con maggiori contenuti in nu-tricine utili soprattutto per una popolazionedi persone d’età giovane ed avanzata. Da unpunto di vista evoluzionista, un’alimentazio-ne capace di sviluppare e sostenere efficacirisposte immunitarie ed azioni immunomo-dulanti è stata senza dubbio determinanteper il successo della specie umana, in condi-zioni di continuo scambio infettivo. Solo dapoco s’inizia a considerare un’alimentazionemoderna proimmunitaria, in una linea disviluppo evoluzionista.

154

Capitolo II

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 154

Page 154: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Bibliografia

Anderson R., Smith M.J., Joone G.K. et al. Vita-min C and cellular immune function. Ann. NewYork Acad. Sci., 587, 34-48, 1990

Ballarini G. Immunità e nucleotidi alimentari.Obiettivi e Documenti Veterinari, 16 (4), 1-3,1995

Beisel W.R. Historical overview of nutrition andimmunity, with emphasis on vitamin A. J. Nutr.Immun. 4, 1995 (cit. Beisel, 1996)

Beisel W.R. Nutrition and immune function: Over-view. J. Nutr., 126, 2611S-2615S, 1996

Broadhurst C. L. Balanced intakes of natural trigly-cerides for optimum nutrition: an evolutionaryand phytochemical perspective. Med. Hypothe-ses, 49(3), 247-261, 1997

Brock J.H. Iron and immunity. J. Nutr. Immunol.,2, 47-106, 1993

Chandra R.K., Newberne P.M. Nutrition, Immu-nity and Infection Mechanism of Interactions.Plenum Press, New York, 1977

Chavali S., Forse S.A. The role of omega-3 polyun-saturated fatty acids on immune response duringinfection and inflammation. Diet, Nutrition andImmunity (Forse R.A. ed), pp. 179-186, CRCPress, Boca Raton, FL, 1994

Cliff A.A. Nutricine approach to oxidation. FeedMix, 5, (2) 14-17, 1997

Cordain L., Miller J.B., Eaton S.B., Mann N., HoltS.H.A., Speth J.D. Plant-animal subsistence ra-tios and macronutrient energy estimations inworldwide hunter-gatherer diets. AmericanJournal of Clinical Nutrition, 71 (3), 682-692,2000

Eaton S.B., Eaton S. 3rd, Konner M.J. Palaeolithicnutrition revisited: a twelve-year retrospective onits nature and implications. Eur. J. Clin. Nutr.51(4), 207-216, 1997

Eaton S.B., Eaton S.B., Sinclair A. J., Cordain L.,Mann N.J. Dietary intake of long-chain polyun-saturated fatty acids during the palaeolithic. Re-turn of Omega-3-Fatty-Acids into the FoodSupply, 83, 12-23, 1998

Eaton S.B., Konner M. Paleolithic nutrition. Aconsideration of its nature and current implica-tions. N. Engl. J. Med., 312(5), 283-2899,1985

Enwonwu C.O. (Ed.). Functional Significance ofIron Deficiency. Meharry Medical College, Na-shville, Tennesse, 1990

Fernstrom J.D., Wurtman R.J. Science, 178, 4059,1972

Hallberg L., Hulthen L., Garby L. Iron stores inman in relation to diet and iron requirements.European Journal of Clinical Nutrition, 52 (9),623-631, 1998

Hallberg L., Scrimshaw N.S. (Eds.). Iron Defi-ciency and Work Performance = INACG, 1991(cit. Scrimshaw, 1991)

Harris M. Good to Eat. Riddles of Food and Cul-ture. Simon and Schuster, New York 1985 (Tra-duzione italiana. Buono da Mangiare. Enigmidel gusto e consuetudini alimentari. G. Einaudi,Torino, 1990)

Hylands P.J., Poulev A.A. Immunostimulants:maximizing the health and efficiency of animalsthrough plant-derived biolocules (senza data)

Keusch G.T. Malnutrition and the thymus gland.In: Nutrient Modulation of the Immune Re-sponse (Cunningham-Rundles S. ed), pp. 283-299, Marcel Dekker, Inc., New York, N.Y., 1993

Kulkarni A.D., Rudolph F.B., Van Buren Ch. T.The Role of Dietary Sources of Nucleotides inImmune Function: A Review. Symposium: Die-tary Nucleotides: A Recently DemonstratedRequirement for Cellular Development and Im-mune Function. J. Nutr., 124, 1442S- 1446S,1994

Kulkarni A.D., Rudolph F.B., Van Buren Ch. T.The Role of Dietary Sources of Nucleotides inImmune Function: A Review. Symposium: Die-tary Nucleotides: A Recently Demonstrated Re-quirement for Cellular Development and Immu-ne Function. J. Nutr., 124, 1442S-1446S, 1994

Lukasewycz O.A., Prohska J.R. The immune re-sponse in copper deficiency. Ann. New YorkAcad. Sci., 587, 147-159, 1990

Mann N. Dietary lean red meat and human evolu-tion. European Journal of Nutrition, 39 (2), 71-79, 2000

Pollit E., Haas J., Levitsky D.A. (Eds). Internatio-nal Conference on Iron Deficiency and Beha-vioural Development. Am. J. Clin. Nutr., 50 (3),1989

Prasad A.S. Acquired zinc deficiency and immunedysfunction in sickle cell anaemia. In: NutrientModulation of the Immune Response (Cunnin-gham-Rundles S. ed), pp. 393-410, MarcelDekker, Inc., New York, N.Y., 1993

Puhlmann J., Knaus U., Tubar L., et al. Immunolo-gically active metallic ion-containing polysac-charides. Phytochemical, 31, 2617, 1992

Ranjit Kumar Chandra, Sobha Kumari. Nutritionand Immunity: An Overview. Symposium: Die-tary Nucleotides: A Recently Demonstrated Re-

155

Cibo e nutrizione

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 155

Page 155: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

quirement for Cellular Development and Immu-ne Function. J. Nutr., 124, 1433S - 1435S, 1994

Ranjit Kumar Chandra, Sobha Kumari. Nutritionand Immunity: An Overview. Symposium: Die-tary Nucleotides: A Recently Demonstrated Re-quirement for Cellular Development and Immu-ne Function. J. Nutr., 124, 1433S - 1435S, 1994

Ross A.C. Vitamin A status and the antibody re-sponse to bacterial antigens. J. Nutr. Immunol. 4,1995 (cit. Beisel, 1996)

Salimonu L.S. Natural killer activity in protein-ca-lorie malnutrition. In: Nutrient Modulation ofthe Immune Response (Cunningham-RundlesS. ed), pp. 359-368, Marcel Dekker, Inc., NewYork, N.Y., 1993

Scrimshaw N.S. La Carenza di Ferro. Le Scienze,47 (280), 16, 1991

Semba R.D., Muhilal Ward B.J., Griffin D. E. et

alii. Abnormal t-cell subset populations in vita-min A-deficient children. Lancet, 341, 5-8, 1993

Spallholtz J.E., Boylan L.M., Larsen H.S. Advan-ces in understanding selenium’s role in the im-mune system. Ann. New York Acad. Sci., 587,123-139, 1990

Taraszewski R., Jensen G.L. N-6 fatty acids. In.Diet, Nutrition and Immunity (Forse R.A. ed.),pp. 165-167, CRC Press, Boca Raton, FL, 1994

Wagner H., Jurcic K. Immunologische Untersu-chungen von pflanzlichen Kombinationsprapa-raten Arzneim-Forsch, 41, 1072, 1991

Weiss G., Wachter H., Fuchs D. Linkage of cell-mediated immunity to iron metabolism. Immu-nol. Today, 16, 495-500, 1995

Xiao P.G., Xing S. T., Wang L.W. – Immunologicalaspects of Chinese medicinal plants as anti-ageing drugs. J. Ethnopharmacol., 38, 167, 1993

156

Capitolo II

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 156

Page 156: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Probiotica, nutraceutica ed alimenti funzionali: antiche radici di una nuova dimensione dell’alimentazione umana

La recente scoperta dell’importanza dei bat-teri intestinali si collega alle radici stesse del-l’alimentazione umana ed all’uso di alimen-ti prebiotici.Più recente è l ’acquisizione che molti ali-menti hanno attività preventive attraversola nutraceutica (nutrimento = farmaco).Che gli alimenti abbiano specifiche funzionibenefiche era noto anche nel passato e si par-lava delle loro “virtù”, ora di alimenti fun-zionali, che rispondono a necessità biologiche,accolte e sviluppate dalle culture umane.

I batteri buoni in alimentazione umana ed antiche radici dei probioticiI microbi sono attorno e dentro noi. Nel-l’intestino umano il numero di batteri è su-periore a quello delle cellule che compon-gono il nostro corpo. Questo enorme nu-mero e varietà di batteri non deve preoccu-parci eccessivamente. La stragrande mag-gioranza delle specie di microrganismi con iquali siamo a contatto non è cattiva e le po-chissime specie pericolose e causa di malat-tie sono tenute sotto controllo ed attenta-mente studiate. Tra le specie di batteri chepossiamo introdurre con gli alimenti ve nesono anche di buone che favoriscono la sa-lute. I microbi alimentari buoni sono deno-minati probiotici. Quando l’era antibioticasta superando il mezzo secolo, assistiamoallo sviluppo dell’era probiotica, in una li-nea di progresso e soprattutto di saggezzaalimentare che ha radici antichissime.Uno dei più antichi mezzi di conservazione edi miglioramento degli alimenti è la fermen-tazione. Tramite un saggio uso di batteribuoni, le diverse culture umane hanno datoorigine ad alimenti fermentati, ricchi di tra-dizione e praticamente insostituibili come ilpane, il vino e la birra, i latti acidi e gli yo-gurt, i più diversi formaggi, le carni insaccate

e le salse di pesce, oltre ad una lunga serie diconserve vegetali, le più note delle quali sonoi crauti e diversi derivati dalla soia e dal riso. Iprincipali agenti delle trasformazioni fer-mentative degli alimenti tradizionali sono deibatteri che appartengono al grande gruppodei fermenti lattici, così denominati in quan-to producono l’acido lattico. Oggi si è stabili-to che le particolari attività dei fermenti latti-ci non derivano soltanto dalla produzione diacido lattico, ma anche di altri acidi organici,acqua ossigenata e composti aromatici, cheassicurano all’alimento caratteristiche nutri-zionali e gustative particolari ed inimitabili. Ifermenti lattici producono anche specialicomposti di natura proteica (batteriocine) enon proteica, capaci di controllare la floramicrobica degli alimenti, e quindi possonoessere conservati senza alcun rischio sanita-rio. Su questa linea i fermenti lattici sono deimeravigliosi, naturali bioconservanti, alterna-tiva biologica e dolce degli additivi chimici.Da tempo si era anche supposto che la be-nefica azione dei fermenti lattici potessecontinuare, o riattivarsi, anche dopo che era-no stati ingeriti e quindi migliorare o pro-teggere la salute di chi si nutriva di alimenticontenenti fermenti vivi. Questa ipotesi, piùo meno saldamente ancorata al mito, allatradizione od all’empirismo, oggi è statasperimentalmente accertata per alcuni spe-ciali e particolari batteri ed è entrata nel-l’ambito della scienza, con la denominazionedi probiosi o probiotica. La probiotica haaperto una nuova strada ad un’alimentazionenaturale e ad un miglioramento della salutecon metodi dolci.

Importanza di un’alimentazione vivaIl concetto d’alimenti vivi era presente inmolte tradizioni, sia pure in modo inconscio.Con l’industrializzazione della produzione esoprattutto della conservazione e distribu-zione degli alimenti ed il diffondersi di unaidea igienica degli alimenti, aspetto oggi irri-nunciabile, si rischia di perdere il significato

157

Cibo e nutrizione

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 157

Page 157: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

ed il valore degli alimenti vivi. Anche gli ali-menti tradizionalmente vivi sono stati tratta-ti con il calore (pastorizzati) od additivaticon composti chimici antibatterici, ad inizia-re dal vino e dalla birra. Per la paura, giustain taluni casi, d’introdurre batteri pericolosi,si è giunti ad evitare gli alimenti con i batteribuoni. Assieme all’acqua della vasca si è get-tato anche il bambino. Oggi stiamo recupe-rando un equilibrio ed una saggezza alimen-tare che corre sulle seguenti linee.– Abolizione dei rischi alimentari eliminan-

do fin dall’origine i batteri pericolosi.– Riduzione al minimo, fino alla eliminazio-

ne degli additivi chimici.– Recupero delle attività positive dei batteri

alimentari buoni.– Scelta di batteri alimentari buoni capaci di

svolgere attività sanitarie dentro l’intestinoe quindi anche dopo essere stati ingeriti(una caratteristica di alcuni batteri) in am-bito di probiotica.

Dal mito, all’empirismo, alla scienza e comepotenziare l’azione dei probioticiLa ricerca ha dimostrato che nell’ambito deifermenti lattici vi è una grandissima varietàdi batteri, con caratteristiche diverse. Oggi èpossibile individuare e selezionare i batterilattici dotati d’attività probiotiche elevate.Le caratteristiche probiotiche dei batteri so-no oggi ben note e soprattutto dimostrabilicon precise ricerche di laboratorio e speri-mentali, negli animali e nell’uomo, ancheper un uso alternativo agli antibiotici. Unbatterio lattico può essere considerato pro-biotico se possiede le seguenti caratteristi-che:- Esatta individuazione di specie e ceppo.- Resistenza all’acidità gastrica ed all’azione

antibatterica della bile.- Adesione e moltiplicazione a livello inte-

stinale.- I batteri che si moltiplicano nell’intestino

devono aderire alle pareti dell’intestino.- Elaborazione d’acido lattico e di batterio-

cine, che inibiscono i batteri intestinali pa-togeni od indesiderati.

– Presenza d’attività salutistiche e soprattut-to stimolazione dell’immunità generica edi base (aspecifica) e di tipo specifico (im-munità cellulomediata ed umorale). La sti-molazione immunitaria spiega anche comela probiotica aiuti a combattere infezioninon intestinali, generali o localizzate pre-valentemente all ’apparato respiratorio(raffreddori, influenza ecc.).

I probiotici vivi devono essere assunti conl’alimentazione, meglio se a stomaco vuoto.Vi sono inoltre altre attività salutistiche che,sulla base d’elementi epidemiologici, sonostate ipotizzate e che attendono d’essere stu-diate in modo approfondito. Tra queste vi èl’attività anticancerogena, soprattutto per itumori del grosso intestino.La benefica attività dei probiotici può esserepotenziata in diverso modo, ma soprattuttocon un’alimentazione equilibrata e che con-tenga una certa quota d’alimenti prebiotici,in particolare oligofruttosaccaridi che servo-no da substrato (nutrimento) per lo sviluppodei batteri lattici probiotici. I fruttooligosac-caridi sono contenuti in alcuni frutti e so-prattutto nella mela. Questo giustifica l’asso-ciazione di latti fermentati e frutta e/o ver-dure. Anche un’adeguata presenza di vitami-ne idrosolubili (soprattutto del Gruppo B)potenzia lo sviluppo dei probiotici nell’appa-rato digerente. Un altro sistema di potenzia-mento è l’aggiunta nella dieta di lieviti vivi.

Aspetti d’alimentazione darwiniana dei probioticiMolte malattie infettive o parassitarie posso-no essere prevenute tramite vaccinazioni,con iniezioni, che non sono sempre ben tol-lerate e non godono del favore del pubblico.Avere a disposizione un vaccino da sommi-nistrare per via orale è già un vantaggio, masarebbe molto meglio che il vaccino, o qual-che cosa di analogo, fosse incorporato in unalimento di larga diffusione, per una vacci-

158

Capitolo II

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 158

Page 158: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

nazione non inconsapevole, ma spontanea.Tutto questo non è un’utopia ed è già statofatto o inserendo nel pomodoro l’antigenecontro l’epatite, per ottenere una vaccinazio-ne in coloro che si cibano di tali pomodori.Molto più semplice ed efficace pare oggi l’u-so dei batteri lattici portatori di antigeni vac-cinali, soprattutto dopo le ricerche di studio-si inglesi comunicate alla International DairyLactic Acid Bacteria Conference svoltasi aPalmerston (Nuova Zelanda) dal 19 al 23febbraio 1995. Con l’uso delle nuove biotec-nologie di ingegneria genetica in alcuni bat-teri lattici sono stati introdotti gli antigeni dibatteri patogeni, come quello del tetano (omeglio della sua tossina) o di un parassitacome lo Schistosoma mansoni. La sommini-strazione ripetuta del batterio lattico inge-gnerizzata dà una risposta immunitaria sod-disfacente. In popolazioni nelle quali sonodiffuse alcune malattie, sarebbe possibileusare degli yogurt o latti fermentati conte-nenti batteri ingegnerizzati per dare unaprotezione immunitaria a tutta la popolazio-ne che si nutre, anche saltuariamente dell’ali-mento, in questo caso lo yogurt od il latteacido. Questo, inoltre, conserverebbe tutte lesue caratteristiche organolettiche, nutrizio-nali, sanitarie. È comunque ovvio che il con-sumatore dovrebbe essere informato.Oggi il mangiare sano ha assunto un’ulterio-re connotazione salutistica e cioè quella d’a-limentarsi con cibi che favoriscono la salute.Gli alimenti probiotici favorenti la salute so-no la moderna risposta, scientificamentecerta, a questa esigenza. Una risposta chetrova radici in miti ed empirismi e quindi intradizioni in buona parte vere.

Antiche radici della nutraceuticaAlla nutraceutica si è accennato in preceden-za; è necessario approfondire l’argomento.Nutraceutici sono gli alimenti con beneficieffetti salutari. I nutraceutici sono propostiin alternativa ai farmaci e dovrebbero aiutarea superare i problemi degli effetti secondari

indesiderati da farmaci. Nutraceutici sono iprodotti alimentari, naturali o trattati conopportune tecniche dolci, con benefici effet-ti salutari e proposti in alternativa a quellifarmaceutici. Diversi prodotti nutraceuticisono ottenuti con sistemi brevettati, utiliz-zando soprattutto alimenti come il latte el’uovo. Ad esempio polli o mucche ripetuta-mente vaccinate con batteri che nell’uomocausano patologie o disturbi, producono ri-spettivamente uova e latte capaci di contra-stare tali malattie. In questo modo si puòavere un latte salutare che blocca i batteriche nel bambino causano la carie dentale oquelli che nelle persone adulte sono associatiall’ulcera dello stomaco o del duodeno, oprevenire infezioni diverse che partono dal-l’intestino, come salmonellosi, listeriosi ecc.Per essere efficaci, devono essere sommini-strati in continuazione e come alternativa ainormali alimenti. Per diversi motivi si sup-pone che gli alimenti nutraceutici abbianoanche altre proprietà, oltre quelle antinfetti-ve indicate. Ad esempio il latte nutraceutico,per ragioni ancora poco chiare, è anche po-vero di colesterolo, abbassa la pressione arte-riosa ed ha attività antireumatiche. Que-st’ultima caratteristica dipende dalla presen-za di un composto, ancora allo studio, di ti-po antinfiammatorio e simile all’acido ace-tilsalicilico (aspirina), ma che non provocainconvenienti.Nell’ambito della nutraceutica è da conside-rare la grande diffusione nei vegetali dell’aci-do salicilico e suoi derivati in concentrazionivariabili (da 0 a 6 mg per 100 grammi) e pre-senti soprattutto nelle spezie ed erbe aroma-tiche (Swain e coll., 1985), in modo partico-lare nei vegetali coltivati con i sistemi natu-rali dell’agricoltura biologica (Baxter e coll.,2001). Considerando la quantità di vegetaliselvatici nell’alimentazione dell’uomo paleo-litico, è da ritenere che ogni giorno assumerei 50 milligrammi di salicilati, la dose oggi ri-tenuta efficace nella prevenzione di patologiecardiovascolari.

159

Cibo e nutrizione

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 159

Page 159: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Per meglio comprendere la nutraceutica è uti-le ricordare l’esempio del pomodoro: in quan-to ricco di licopene, è oggi considerato unimportante alimento utile alla salute, con an-tiche radici nell’alimentazione umana. È un’i-dea radicata e non errata che i nostri antenatisi nutrissero anche di “bacche e radici”. L’as-sunzione di carotene, in massima parte otte-nuto dalle “bacche”, nell’uomo paleolitico eradi oltre 900 milligrammi di retinolo equiva-lente, (contro gli attuali circa 400 milligram-mi). In modo analogo, nella dieta paleolitica,vi era un’elevata presenza di Vitamina E (cir-ca 30 mg giornalieri, contro gli attuali 7-10milligrammi) e di Vitamina C (600 milli-grammi contro gli attuali 70-100 milligram-mi). Molto elevata era, inoltre, l’introduzionealimentare di molecole antiossidanti.

Nutraceutica, tumori e… pomodoroUn particolare interesse suscitano le pro-prietà degli alimenti di prevenire i tumori.Un’attività da ascrivere sia agli alimenti d’o-rigine animale [latte, carne magra con AcidoLinoleico Coniugato (ALC)] sia agli ali-menti vegetali (ricchi di fibre, carotenoidi,acido ascorbico, folati, vitamina E ed antios-sidanti). Questi ultimi dovrebbero essere as-sunti, secondo le nuove line guida, cinquevolte il giorno. Nulla di nuovo, se si conside-ra che nella dieta paleolitica ed in quella deipopoli raccoglitori - cacciatori, l’assunzioned’alimenti vegetali si può ritenere fosse con-tinua, ben più di cinque volte il dì. Per quan-to concerne gli alimenti vegetali oggi siprendono in esame particolari molecole pre-senti nei frutti, vegetali e cereali, prodotti se-condari del metabolismo del mevalonato(acido mevalonico) e dotati d’attività anti-cancerogena. Si tratta di composti terpenoi-di ed isoprenoidi, che aprono nuove stradealla nutraceutica. Attività nutraceutiche so-no state anche studiate nell’uva (contenentepiocianidine, che passano anche nel vino).Le caratteristiche nutrizionali del pomodo-ro, in buona parte mantenute nei suoi deri-

vati (concentrati, succhi ecc.) non sono di-sprezzabili. Importante è il suo contenuto incaroteni e vitamina A, vitamine B 2 e B 2,vitamina C, vitamina E, acido pantotenicoed acido nicotinico. Particolarmente interes-santi sono le caratteristiche extra-nutrizio-nali del pomodoro e suoi derivati, tra le qualisono da ricordare le seguenti.Attività antibiotiche - La solanina e la lico-persicina diminuiscono fortemente con lacompleta maturazione del frutto, ma la to-matina permane anche nel frutto maturo. Inquest’ultimo sono presenti anche fenoli, me-tilchetoni ed alcaloidi dotati di attività anti-biotica. Questi composti antibiotici possonoregolare la flora microbica digestiva e svol-gere un’attività di tipo “auxinico” (migliora-mento dell’accrescimento corporeo).Acidi organici - Il pomodoro è giustamentenoto come un alimento acido, in quanto ric-co di acidi organici quali il malico ed il citri-co (quasi 500 milligrammi per etto di pro-dotto edule). Questi acidi svolgono una buo-na azione digestiva a livello gastrico e rego-lano in senso favorevole la flora microbicadell’apparato digerente.Fibra alimentare solubile - Il pomodoro ed isuoi derivati sono poveri di fibra alimentareinsolubile, ma ricchi di fibra alimentare so-lubile, che attribuisce al frutto ed ai suoi de-rivati le tipiche caratteristiche fisiche. La fi-bra alimentare solubile del pomodoro ha ca-ratteristiche di “probiotico”, nel senso chefavorisce fermentazioni microbiche utili efavorevoli per un buono stato di salute.Attività antiossidanti – Il pomodoro è riccodi Licopene, un importante antiossidante.Mai come oggi si crede che l’invecchiamen-to e molte malattie degenerative, come purel’irrancidimento degli alimenti, dipendanoda processi di ossidazione, nei quali si gene-rano i temibili “radicali liberi”. Per contra-stare l’ossidazione non basta una protezionedall’ossigeno, ma è sempre più necessarioutilizzare degli antiossidanti. Qui si cade inquello che potrebbe essere un dilemma: su-

160

Capitolo II

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 160

Page 160: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

bire l’azione dell’ossidazione o ricorrere adadditivi antiossidanti chimici? La soluzioneè quella di utilizzare antiossidanti naturali.Gli antiossidanti naturali erano pochi e co-stosi, soltanto perché non erano stati ade-guatamente ricercati. Un’intensa ricerca hainvece dimostrato che in molti sottoprodottialimentari sono presenti antiossidanti effica-ci e poco costosi, che attendono soltanto diessere utilizzati con sistemi moderni. Infatti,già la tradizione aveva indicato l’importanzadella loro azione. Nella dieta mediterranea ilpomodoro nel suo complesso, ivi compresi isemi, è stato subito associato ad altri vegetaliantiossidanti, come il rosmarino, contri-buendo a combattere malattie degenerative.Un ritorno alla tradizione e soprattutto unmaggiore utilizzo degli antiossidanti naturaliè auspicabile.

Nutraceutica e nutrizione darwinianaCome dimostra l’esempio del pomodoro,uno dei più importanti vegetali dotati d’atti-vità antiossidanti, la nostra nutrizione si èevoluta con elevate quantità di fattori nutri-zionali positivi (antiossidanti, antibiotici, or-moni vegetali o fitormoni, prebiotici – con-siderati in singoli capitoli - ecc.). Da unpunto di vista evoluzionista, la nutraceuticaè un nuovo modo di presentare un’antichis-sima realtà e necessità nutrizionale umana.

Alimenti funzionali e auxinici alimentariLa sicurezza, bontà, nutrizionalità, economi-cità ed attività extranutrizionali degli ali-menti non bastano più: oggi agli alimenti sirichiede anche funzionalità. Non è una mo-da od un’ultima invenzione del marketing,ma una tendenza che si è sviluppata manmano che gli alimenti hanno soddisfatto lealtre caratteristiche. Gli Alimenti Funzionali(AF) sono alimenti che, per i loro componentifisiologicamente attivi, hanno effetti in specifi-che aree della salute, di là dal loro semplice ruolonutrizionale di base. I vantaggi sanitari sonoindirizzati ad uno o più obiettivi. Gli AF

contengono ingredienti specifici, che sonooggetto di studio ed i cui effetti sono bendocumentati. Gli AF sono prevalentementevegetali, ma non mancano quelli d’origineanimale. Possono essere naturali od essereprodotti od accresciuti da trattamenti e dal-l’industria alimentare.Alimenti Funzionali Naturali d’origine vege-tale sono ad esempio frutta e verdure, checontengono antiossidanti e fibra. Tra gli ali-menti funzionali d’origine animale sono daannoverare il latte, i latticini e l’uovo.Alimenti Funzionali Artificiali sono quellipreparati dall’uomo, con fermentazioni (adesempio i latti fermentati con attività probio-tiche) o con opportune miscele d’alimentisemplici. In questi alimenti le attività funzio-nali sono individuate e soprattutto concen-trate od utilizzate in modo specifico ed intel-ligente. Tipico è il caso del pane integrale omeglio di pani arricchiti di pacchetti di fibreottenute da cereali diversi. Le fibre alimenta-ri hanno precise attività funzionali indirizza-te ad un regolare funzionamento dell’intesti-no ed alla prevenzione di molti disturbi, daldiabete zuccherino a taluni tipi di tumori.Le attività funzionali alle quali s’indirizza laproduzione d’alimenti sono numerose e ri-guardano le seguenti funzioni nutrizionali.– Prevenzione di disturbi e di malattie

(osteoporosi, controllo del colesterolo nelsangue, riduzione del rischio di tumori e dimalattie cardiovascolari ecc.).

– Stimolazione dell’immunità.– Attività antiossidante ed ergogenica.– Ottenimento d’alimenti con basso livello

calorico, senza perdita delle caratteristichedi palatabilità o d’attività psicosensoriali.

– Produzione d’alimenti bilanciati o che siprestano ad essere utilizzati in una dietaequilibrata.

Gli AF sono stati anche approvati da diversistati. Tra i più noti, in relazione anche allasignficatività della loro azione, vi sono quelliriportati in una tabella, relativa agli USA(Hasler, 2002).

161

Cibo e nutrizione

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 161

Page 161: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Auxinico è un termine un poco astruso, d’o-rigine greca e significa “far crescere”. Neglianni cinquanta del secolo scorso, alimentan-do gli animali con piccole quantità di residuidella produzione d’antibiotici, ci si accorseche gli animali crescevano più rapidamente econ minori quantità d’alimento. Questo fe-

nomeno fu denominato “azione auxinica”.Lo studio dimostrò che i benefici effetti ingran parte derivavano dalle piccole quantitàd’antibiotici (qualche decina di milligrammiper chilogrammo d’alimento) che regolava-no la flora microbica intestinale, come è sta-to indicato a proposito degli antibiotici ali-

162

Capitolo II

Definizioni

Antibiotici = Prodotti elaborati da esseri viventi che inibiscono la moltiplicazione od uccidono i micror-

ganismi (batteri, protozoi, virus e funghi microscopici)

Probiotici = Microrganismi viventi somministrati con gli alimenti che producono effetti favorevoli, mi-

gliorando la flora microbica dell’apparato digerente ed il suo equilibrio. Hanno dimostrato azione pro-

biotica alcuni batteri lattici, lieviti e taluni batteri sporigeni

Prebiotici = Alimenti non digeribili, ma che sono capaci di stimolare la crescita di microrganismi inte-

stinali probiotici. Hanno un’attività prebiotica alcuni oligosaccaridi del fruttosio e del lattosio

Simbiotici = Alimenti che contengono probiotici e prebiotici

Principali azioni dei probiotici lattici nell’uomo1 – Stabilizzazione della flora microbica intestinale

2 – Prevenzione di disturbi da disequilibri intestinali

3 – Aumento delle difese antinfettive intestinali

4 – Aumento delle difese antinfettive generali

Nutraceutici - Confronto tra l’alimentazione paleolitica e quell’americana od occidentaleattuale (Eaton, Eaton III, Konner, 1999)

Nutriente con attività nutraceutiche Alimentazione paleolitica Alimentazione occidentale

Fibra alimentare (grammi giorno) 104 10-20

Ferro (mg giorno) 87,4 10-11

Zinco (mg giorno) 43,4 10-15

Calcio (mg giorno) 1956 750

Sodio (mg giorno) 768 4000

Potassio (mg giorno) 10500 2500

Vitamina A – Retinolo equivalente 2870 800-1000

Carotene – Retinolo equivalente 927 342-429

Vitamina E (mg giorno) 32,8 7-10

Vitamina B 1 (mg giorno) 3,91 1,08-1,75

Vitamina B 2 (mg giorno) 6,49 1,34-2,08

Acido folico 0,357 0,149-0,205

Vitamina C 604 77-109

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 162

Page 162: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

mentari. L’attività auxinica rientra tra le atti-vità degli alimenti funzionali.

Alimenti Biotecnologici Funzionali (ABF)Alimenti funzionali per l’uomo sono ottenu-ti anche con biotecnologie (Alimenti Bio-tecnologici Funzionali - ABF). Le aree d’o-dierno maggiore interesse riguardano gli oli-gosaccaridi (c.d. fibra alimentare solubile), iminerali organici ed i carotenoidi.Oligosaccaridi (c.d. fibra alimentare solubile).Come dimostrano le ampie dimensioni delgrosso intestino, la specie umana è genetica-

mente programmata ad ingerire elevatequantità di fibra alimentare fermentescibile.Anche taluni comportamenti alimentari sicorrelano alla necessità che nell’alimentazio-ne umana vi siano ogni giorno dai quarantaagli ottanta e più grammi, di fibra alimenta-re, in buona parte solubile e fermentabile. Inquest’ultima rientrano gli oligosaccaridi. Tragli oligosaccaridi sono da segnalare il frutta-no (poli-fruttosil-saccarosio o fruttosio-oli-go-saccaride - FOS), diversi fruttani (inuli-na, neoserie dell’inulina, levani lineari e non,neoserie dei levani ecc.), i GOS (galattosio-

163

Cibo e nutrizione

Ingredienti funzionali degli alimenti

VitamineMacroelementi minerali Calcio, magnesio ecc.

Microelementi minerali Ferro, rame, iodio, selenio, cromo ecc.

Fibre alimentari insolubili Crusche, alimenti integrali

Fibre alimentari solubili Betaglucani, pectine, gomme, poligalattosani ecc.

Probiotici Batteri lattici, Lieviti, Batteri anaerobi particolari

Prebiotici Fruttoligosaccaridi, lattulosio, inulina ecc.

Polialcoli Maltitolo, xilitolo, sorbitolo ecc.

Antiossidanti Vitamina A, vitamina C, vitamina E, selenio, fitoelementi,

polifenoli, licopene ecc.

Aminoacidi e oligopeptidiAcidi Grassi Polinsaturi (PUFA) Omega-3, Omega-6, acidi grassi essenziali

Fitoelementi Ginseng, The verde, Guaranà, Isoflavoni ecc.

Funzioni fisiologiche e fisiopatologiche sulle quali agiscono gli alimenti funzionali

Allergie Alimenti ipoallergenici (latte delattosato, alimenti senza glutine ecc.)

Sovrappeso Alimenti leggeri (light)

Carie dentale Alimenti privi di zuccheri cariogeni

Diabete mellito Alimenti a basso contenuto di zuccheri semplici

Ipercolesterolemia Alimenti con basso contenuto di colesterolo e grassi saturi, ricchi di

lecitina, con proteine della soia ecc.

Ipertensione Alimenti poveri di sodio

Invecchiamento Antiossidanti

Immunodepressioni nutrizionali Alimenti ricchi di vitamine di oligoelementi e di acidi nucleici

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 163

Page 163: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

164

Capitolo II

Componenti degli alimenti d’origine animale con attività funzionali (Mestre Prates e Ma-teus, 2002, con modifiche)

Alimento d’origine animale Componente attivo Benefici salutistici

Latte e derivatiLatte e prodotti caseari Calcio Riduzione osteoporosi e del rischio del

cancro del colon

Latti fermentati Probiotici Diversi effetti benefici

Siero di latte Proteine Riduzione del rischio del cancro del

colon

Siero di latte Peptidi Immunostimolazione

PesceOlio di pesce Acidi grassi N-3 Riduzione dei rischi del cancro del colon

e di malattie cardiovascolari

Carne magraCarni di ruminanti Acido linoleico Riduzione del rischio tumorale e

coniugato (ALC) malattie cardiovascolari

UovaUova Sfingolipidi Riduzione del colesterolo nel sangue e

dei rischi tumorali

Uova arricchite con acidi Acidi grassi N-3 Riduzione dei rischi tumorali e di

grassi N-3 malattie cardiovascolari

Carni in genereMuscolo e frattaglie L-carnitina Diversi effetti benefici

Muscolo e frattaglie Coenzima Q 10 Benefici effetti cardiovascolari

Grassi muscolari di struttura Acido alfa-lipoico Antiossidante

Muscolo e frattaglie Colina ed aminoacidi Attività ergogena

ramificati

Muscolo e frattaglie Taurina Benefici effetti cardiovascolari

Principali gruppi di persone in cui intervenire con alimenti funzionali

Bambini Alimenti ricchi di vitamine e di oligoelementi organici (ferro organico)

Donne Oligoelementi organici (ferro organico)

Donne gravide Oligoelementi organici (ferro organico)

Donne in menopausa Calcio biodisponibile

Sportivi Oligoelementi organici (ferro organico)

Anziani Oligoelementi organici (ferro organico), antiossidanti

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 164

Page 164: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

oligo-saccaridi). Nel grosso intestino del-l’uomo, esiste una microflora che fermenta iFOS ed i GOS, con la produzione d’acidiorganici, aminoacidi, vitamine ecc. Gli acidiorganici sono utilizzati dall’organismo comenutrienti, intervengono in senso beneficosulle caratteristiche della flora intestinalestessa e, di conseguenza, sulla salute (attivitàfunzionale positiva). I batteri fermentanti

(bifidobatteri, lattici ecc.) sono probiotici.L’indispensabile substrato fermentato (FOS)è definito prebiotico e dalla somma di sim-biotico più probiotico scaturisce il concettodi simbiotico. I fruttani svolgono importantiattività salutistiche: prevenzione d’alterazio-ni precancerogene intestinali, interferenzasul metabolismo del colesterolo ecc. Inoltresono dolcificanti ipocalorici ed addensanti

165

Cibo e nutrizione

Alimenti funzionali approvati negli USA (Hasler, 2002)

Alimento Componente Beneficio Significatività Dosaggio

funzionale bioattivo sanitario d’azione efficace

Margarine Steroli e Riduzione colesterolo Molto forte Steroli 1,3 g/d

fortificate stanol-esteri vegetali totale e LDL Stanoli 1,7 g/d

Psyllum Fibra solubile Riduzione colesterolo Molto forte 1 g/d

totale e LDL

Soia Proteina Riduzione colesterolo Molto forte 25 g/d

totale e LDL

Avena integrale Beta-glucani Riduzione colesterolo Molto forte 3 g/d

totale e LDL

Pesce grasso (n-3) acidi grassi Riduzione trigliceridi ematici Forte Due volte

Riduzione patologie cardiache la settimana

Aglio Composti solforati Riduzione colesterolo Moderata 600-900 mg/d

organici totale e LDL

The verde Catechine Riduzione certi tipi di tumore Debole Non determinato

o moderata

Spinaci, cavolo Luteina, Riduzione rischio Debole 6 mg/d

e altri vegetali zeaxantina maculopatia degenerativa o moderata

Pomodori Licopene Riduzione del rischio Debole Assunzione

e derivati di tumore alla prostata o moderata giornaliera

Carne d’agnello, CLA Riduzione rischio del cancro Debole Non determinato

tacchino, bovino (Acido della mammella

e latte Linoleico coniugato)

Crucifere Indoli Riduzione di taluni tipi di tumore Debole 3 o più porzioni

(cavoli, ecc.) glucosinolati la settimana

Latticini Probiotici Stimolazione immunità Migliorata Giornaliero

fermentati salute

gastrointestinale

Debole

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 165

Page 165: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

naturali utilizzabili in tecnologia alimentare.Alimenti vegetali ricchi di fibra alimentaresolubile sono importanti alimenti nutraceu-tici o “alimenti disegnati” in relazione alleparticolari necessità nutrizionali umane e aduna corretta attività del grosso intestino.Minerali organici. È un concetto relativa-mente recente che l’attività biologica dei mi-nerali alimentari sia l’espressione dell’ampiavarietà di composti chimici e non del mine-rale di per sé. In altri termini conoscerequanto selenio, ferro, rame, zinco è presentein un alimento od in una dieta, non è impor-tante quanto sapere sotto che forma ognisingolo elemento è presente nell’alimenta-zione. Questo, non solo per quanto riguardala percentuale d’assorbimento e, o le intera-zioni a livello digestivo o metabolico, ma perle attività biologiche dei composti contenen-ti il microelemento. Questi aspetti sono me-glio esaminati nel capitolo delle patologie dacarenza di ferro e dei minerali (microele-menti).Carotenoidi. Sempre maggiore attenzione sista dedicando ai carotenoidi, flavonoidi ecc.presenti nei vegetali ed alle possibilità di as-sicurare la loro presenza nella dieta, in modoparticolare per le loro azioni antiossidanti,considerate in precedenza.

Alimenti funzionali ed alimentazione darwinianaL’alimentazione naturale dell’uomo, primadell’avvento dell’agricoltura e dell’allevamen-to, era ricca di cibi con spiccate attività fun-zionali, in particolare del tipo sopra indicato,dagli antibiotici ai minerali organici, dalla fi-bra alimentare agli antiossidanti e molecolecon attività farmacologica come i salicilati.Parte di queste attività si sono ridotte negliodierni alimenti ottenuti con la selezione e lacoltivazione dei vegetali, ma in modo partico-lare con la conservazione e la raffinazione. Daqui, la necessità, in una concezione evoluzio-nista della nutrizione umana, di ricuperarealimenti con attività funzionali o di sviluppar-

ne di nuovi, con tecnologie adeguate. L’attua-le dibattito sull’entrata e diffusione delle bio-tecnologie nel campo alimentare e sugli ali-menti vegetali transgenici deve tenere contodella globalizzazione del mercato alimentaree non può sottovalutare l’estremo interesse diavere alimenti funzionali biotecnologici: adesempio un riso ricco in betacaroteni precur-sori della vitamina A ed antiossidanti (risodetto anche golden rice) o con il gene dellatransferrina e quindi con un ferro molto bio-disponibile, o d’altri vegetali ricchi di partico-lari acidi grassi insaturi, come gli omega-3.

Bibliografia

AA.VV. Alimenti probiotici: dall’empirismo allascienza. I fermenti lattici. Ist. Naz. Nutr., Roma,1996

AA.VV. Gli antiossidanti del pomodoro e dei suoiderivati industriali e gli effetti potenzialmentebenefici sulla salute umana. Libro Bianco. Ed.Amitom, Avignon, 2000

ADA: Position of the American Dietetic Associa-tion: functional foods. J. Am. Diet. Assoc., 99,1278-285, 1999

Baxter G.I., Graham A.B., Lawrence J.R, Wiles D.Paterson J.R. Salicilic acid in soups preparedfrom organically and non organically grown ve-getables. Eur. J. Nutr. 40 (6) 289-292, 2001

Beecher G.R. Nutrient content of tomatoes and to-mato products. Proc. Soc. Exp. Biol. Med., 218,98-100, 1998

Elson Ch.E., Yu S.G. The chemoprevention of can-cer by mevalonate-derived constituents of fruitsand vegetables. J. Nutr., 124, 607-614, 1994

Fuller R. (ed.). Probiotics. Chapman & Hall, NewYork, 1994

Hasler C.M. Functional foods: benefits, concernsand challenges. A position paper from the Ame-rican Council on Science and Health. J. Nutr.,132, 3772-3781, 2002

Hasler C.M. Functional foods: their role in diseaseprevention and health promotion. Food Technol.72, 57 – 62, 1998

Hasler C.M. The changing face of functional foods.J. Am. Coll. Nutr., 19, 499S-506S, 2000

Leoni C. Il licopene nel pomodoro e nei suoi de-rivati industriali. Effetti benefici per l ’uo-mo. Convegno Nuovi orientamenti nella filieradel pomodoro da industria, Parma 1 dicembre2000

166

Capitolo II

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 166

Page 166: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

167

Cibo e nutrizione

Liviero L., Puglisi P. P., Morazzoni P., BombardelliE. Antimutagenic activity of procyanidins fromVitis vinifera. Fitoterapia, 65, 203-209, 1994

Mann N. Dietary lean red meat and human evolu-tion. Eur. J. Nutrition, 39, 71 – 79, 2000

Mestre Prates J.A., Mateus Ch. M.R.P. Functionalfoods from animal sources and their physiologi-cally active components. Rev. Méd. Vet., 153,155-160, 2002

Plumb G.W., Chambers S.J., Lambert N. et alii.Antioxidant actions of fruit, herb and spice ex-tracts. J. of Food Lipids. 3, 171-188, 1996

Ranieri A., Giuntini D., Lercari R., Soldatini G.F.

Influenza della luce sulle proprietà antiossidantidel frutto di pomodoro. Progress in Nutrition 6(1) 44-49, 2004

Shigeki Kobayashi, Yosghiaki Terashima, HiroshiItoh. Chitin and chitosan, the new functionalfoods. Feed Mix, 3, 4, 32-34, 1995

Sies H., Stahl W. Lycopene: antioxidant and biolo-gical effects and its bioavalability in the human.Proc. Soc. Exp., Biol., Med., 218, 121-124, 1998

Swain A.R., Dutton S.P., Truswell A.S. Salicylatesin foods. J. Am. Diet Ass. 85 (8), 950-960, 1985

Tomatsu H. Health effects of oligosaccharides.Food Technol., 48, 61-65, 1994

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 167

Page 167: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Psicodietetica: importanza di nutrire ilcervello

La specie umana è caratterizzata da unosviluppo cerebrale superiore a quello di tuttele altre specie. Solo recentemente si è dedicataattenzione agli aspetti nutrizionali del cer-vello e la psicodietetica avrà un’importanzastrategica.

Dalla psicodietetica allo sviluppo del cervelloComportamento e alimentazione sono oggicollegati nella Psicodietetica. Un proverbiocinese recita che l’inizio della saggezza con-siste nel chiamare le cose con il loro giustonome. Con il termine di psicodietetica Che-raskin, Ringsford e Brecher (1974) indicanoi rapporti che esistono tra l’alimentazione(dieta) e la psiche, anche nelle manifestazio-ni di comportamenti. È tuttavia necessarioprecisare che i disturbi del comportamentopossono correlarsi ad alterazioni che hannouna base anatomica o biochimica dimostra-bile, mentre in altri casi modificazioni ana-tomiche o biochimiche non sono state di-mostrate. Le patologie del comportamentoche si correlano a malattie organiche del Si-stema Nervoso Centrale sono inquadratenella neurologia. Le forme che non ricono-scono precise lesioni organiche sono inter-pretate come turbe funzionali di tipo psico-logico. Una distinzione tra neurologia e psi-cologia non è senza significato pratico, per-ché comporta conseguenze di tipo terapeuti-co e profilattico. Attualmente però una di-stinzione tra neurologia e psicologia non èsempre facile, come dimostra il fatto che inuna forma morbosa tipicamente psicologica,quale era considerata l’aggressività, sono sta-te individuate importanti basi neurologiche.Ricerche di anatomia patologica ultrastrut-turale e indagini biochimiche rendono inol-tre sempre più incerto il confine tra l’organi-co ed il funzionale.In questo quadro s’inseriscono i rapporti traalimentazione e turbe del comportamento.

L’argomento si correla anche a due aspettiche vanno assumendo una sempre maggioreimportanza: la qualità degli alimenti ed ilbenessere. Con la conservazione degli ali-menti, loro trattamenti per sanitizzarli ecc.,pur potendosi mantenere le principali carat-teristiche nutrizionali, non sempre sono pre-servate le caratteristiche extranutrizionali,nel senso definito in precedenza, e che sonoestremamente importanti per la qualità deglialimenti stessi. Inoltre, l’alimentazione va ri-velandosi una delle vie attraverso le quali as-sicurare il benessere lo stato di eucenestesi obenessere è correlato non solo alla quantità,ma anche alla qualità degli alimenti.Accennare sia pure sinteticamente alla psi-codietetica assume importanza nell’ambitodella nutrizione evoluzionista. La nutrizione- in proposito si rimanda al capitolo sulla it-tiofagia e sulle azioni extranutrizionali deigrassi - ha certamente giocato un ruolo diprimo piano nello sviluppo del cervelloumano, la cosiddetta encefalizzazione. Unargomento che, solo recentemente, è statoaffrontato da un punto di vista anche nutri-zionale. Una migliore conoscenza della nu-trizione del nostro cervello può meglio indi-rizzarci in una nutrizione evoluzionista fun-zionale al nostro più importante organo.

Fattori extranutrizionali degli alimenti e psicoalimentiNumerose ricerche, già considerate, indica-no che agli alimenti sono da attribuire atti-vità di diverso genere e non poche attivitàextranutrizionali possono interessare il com-portamento e sembrano largamente mediatedai processi di digestione. Nell’uomo ami-noacidi e oligopeptidi biologicamente attivisi generano a livello gastroduodenale a se-guito della digestione delle proteine. In pro-posito si possono citare le già ricordate caso-morfine e le exorfine o sostanze endorfinosi-mili. Flood e coll., (1987) hanno dimostratoche la capacità di memorizzare è tanto mag-giore quanto più gli animali mangiano dopo

168

Capitolo II

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 168

Page 168: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

aver effettuata la prova e sembra che questoeffetto sia mediato dalla colecistokinina.L’alimentazione, in stretta collaborazionecon l’ambiente ed il potenziale genetico, in-fluenza il sistema neuro-ormonale, con con-seguenze funzionali e talvolta anche organi-che. Ne consegue che l’alimentazione da so-la - ad eccezione di alcune situazioni parti-colari, come le grandi carenze - di regolanon porta a gravi turbe. È tuttavia un fattoredi condizionamento che va rivelandosi sem-pre più importante, soprattutto nelle parti-colari condizioni di mantenimento e d’ali-mentazione dell’urbanesimo, con schemi ali-mentari che facilitano o fanno emergere tur-be del comportamento ed alterazioni dellapersonalità.Molti alimenti modificano il comportamen-to dell’uomo. Vi sono anzi diversi alimentiche sono ricercati soltanto per questo: non èaltrimenti giustificabile il successo delle be-vande nervine come caffè, the, mathé, car-cadè e sotto certi aspetti anche della ciocco-lata: cibi che contengono caffeina, theina,teobromina. Lo stesso si può dire per le be-vande artificiali contenenti caffeina. La lun-ga abitudine alimentare ha insegnato comeusare questi alimenti-farmaci, che in dosieccessive o non appropriate, potrebbero pro-durre effetti indesiderati.Buona parte dei composti attivi degli ali-menti che influenzano il comportamentoagiscono sul sistema nervoso e sono statisviluppati dalla selezione naturale nei vege-tali, per difendersi dai parassiti. Tra questiinsetticidi naturali è da comprendere anchela nicotina del tabacco, che però non è unapianta alimentare, anche se largamente usatadall’uomo ed è stata una delle vie che hannoportato all’agricoltura, come è già stato fattonotare. Anche la solanina della patata è uninsetticida e si può affermare che gran partedei vegetali naturali sono dotati di composticon azione antiparassitaria. Si comprendefacilmente come sia la patata sia il pomodo-ro fossero una volta ritenuti tossici ed, infat-

ti, lo erano, almeno a forti dosi e soprattuttoin certe condizioni (ad esempio i germoglidi patata erano molto ricchi di solanina, perdifendersi dai parassiti). Oggi invece, con laselezione, coltiviamo vegetali scarsamentetossici e che possono essere mangiati anchein grandi quantità. Inevitabilmente questivegetali domestici sono divenuti molto sen-sibili ai parassiti e necessitano di trattamenticon fitofarmaci che, peraltro, sono menotossici di quelli naturali e soprattutto, se benusati, diversamente da quelli naturali, posso-no essere assenti al momento del raccolto. Ilnoto cancerologo Ames ritiene che l’inge-stione degli insetticidi naturali (di cui sap-piamo ben poco) sia fino a 10.000 volte su-periore a quella dei residui degli insetticidiartificiali prodotti dall’uomo. Non mancanoinoltre negli alimenti, vegetali e d’origineanimale, composti dotati d’attività calmante,veri e propri farmaci tranquillanti naturali.Tra questi vi sono le casomorfine e le exorfi-ne derivate rispettivamente dalla digestionedella betacaseina del latte e del glutine deicereali. Tra gli alimenti-farmaci che agisco-no sul cervello sono anche da ricordare tuttele bevande alcoliche, presenti in ogni societàumana. Non è inoltre da dimenticare che imediatori chimici che intervengono nel fun-zionamento del Sistema Nervoso sono pro-dotti in modo ottimale dal cervello in benprecise condizioni nutrizionali, che sono al-terate ad esempio da taluni aminoacidi nonconvenzionali presenti in taluni alimenti esoprattutto nei funghi dotati d’attività allu-cinogena.

Nutrizione e patologie neurologicheTurbe del comportamento dovute a malattieorganiche del Sistema Nervoso Centrale so-no di solito la conseguenza di lesioni del te-lencefalo (lobi frontali e laterali) e del dien-cefalo (sistema limbico ed ipotalamo).Da tempo sono note malattie e localizzazio-ni delle lesioni cerebrali per i principali mu-tamenti del comportamento. Da un punto di

169

Cibo e nutrizione

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 169

Page 169: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

vista nutrizionale sono state particolarmentestudiate le carenze vitaminiche che provoca-no turbe di tipo neurologico e comporta-mentale. Di particolare importanza e megliostudiata è l’encefalopatia conseguente a ca-renza di vitamina B l (tiamina) e di altre ca-renze vitaminiche. Una particolare attenzio-ne deve inoltre essere dedicata ai difetti en-zimatici lisosominali (DEL), in quanto so-prattutto nelle forme iniziali e fruste sonoanche condizionati dal tipo d’alimentazione.Si tratta di sindromi collegate a difetti nelcontenuto di enzimi dei lisosomi delle cellu-le nervose (e non solo di queste). La defi-cienza enzimatica turba il normale metabo-lismo dei lipidi, glicoproteine, glicogeno emucopolisaccaridi, con accumulo di metabo-liti che provocano danni ai lisosomi, turbanole funzioni cellulari e più o meno lentamenteportano a morte cellulare. Soprattutto nellefasi iniziali sono importanti le turbe relativealla produzione e metabolizzazione dei me-diatori chimici necessari al normale funzio-namento del S.N.C. Nonostante i difetti en-zimatici siano presenti in tutte le cellule del-l’organismo, i sintomi - almeno inizialmente- sono particolarmente evidenti a livello delsistema nervoso.

Nutrizione e turbe del comportamentoPer lungo tempo si è ritenuto che il SistemaNervoso ed il cervello in particolare, puravendo un diritto di prelievo di ossigeno eglucosio e risentendo di squilibri ionici e dipH del sangue, non avessero particolari esi-genze alimentari. Si concludeva pertantoche, almeno in condizioni normali, il fun-zionamento del S.N.C. fosse largamente, senon totalmente indipendente dalla alimen-tazione. Le ricerche riguardanti i neurotra-smettitori hanno mutato il quadro sopratracciato, in quanto si è visto che questi so-no sintetizzati dalle cellule nervose in di-pendenza della composizione del sangue epertanto del tipo di alimentazione (Wurt-man, 1982; Wurtman e Wurtman, 1977-

1982; Wurtman e Coll., 1980; Fernstrom eWurtman, 1972; e tanti altri). Le molecoleche hanno una sicura o molto probabilefunzione di neurotrasmettitori oggi notesono una ventina. L’alimentazione, accantoal potenziale genetico ed altri stimoli am-bientali, interviene anche sul Sistema Neu-ro-Ormonale. Di particolare interesse sonole attività degli aminoacidi e oligopeptidiche, originati a livello gastroduodenale, re-golano il Sistema Neuro-Ormonale. A que-sto proposito è utile considerare le seguentiattività di aminoacidi e oligopeptidi che,anche in rapporto al tipo di alimentazione,si generano a livello gastroduodenale ed in-fluiscono sul Sistema Nervoso e sul com-portamento.Arginina. È un aminoacido che pervenuto alivello ipotalamico stimola la produzione diSomatotropo (Ormone della Crescita).Quest’ormone, mediante le “somatomedi-ne”, agisce sulla circolazione periferica deidiversi distretti ed influenzerebbe anche l’in-gestione dell’alimento. L’arginina induce laproduzione anche d’altri ormoni (Prolattinaed Insulina) ed effetti analoghi sono stati os-servati anche per altri aminoacidi (leucina efenilalanina) (Davis, 1972; Chew e coll.,1984).Somatostatina. È un oligopeptide che inibi-sce la produzione di Somatotropo.Gastrina; Enterogastrone. Comprende il GIPo Peptide Inibitorio Gastrico ed il VIP oPeptide Vasoattivo Intestinale.Non bisogna inoltre dimenticare (è già statopiù volte ricordato) che nella digestione del-la caseina (e quindi nel corso dell’alimenta-zione lattea) a livello intestinale originanodelle casomorfine, dotate di caratteristicheoppioidi, e che dalla digestione del glutine dicereali a livello duodenale si ha elaborazioned’exorfine capaci di modificare il comporta-mento. L’alimentazione e soprattutto la qua-lità delle proteine, gli equilibri alimentari enutrizionali, nonché la modalità d’introdu-zione degli alimenti (numero e ritmo dei pa-

170

Capitolo II

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 170

Page 170: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

sti ecc.) possono quindi influenzare il Siste-ma Neuro-Ormonale, anche al di fuori dellecaratteristiche plastiche ed energetiche deglialimenti. Per il buon funzionamento cere-brale sono molto importanti i grassi alimen-tari. Oltre ad apportare energia, i grassi han-no altre due principali funzioni alimentari:a) partecipano in modo attivo alla costruzio-ne dell’organismo e soprattutto delle mem-brane cellulari; b) hanno un ruolo essenzialea livello cerebrale, particolarmente nella fasedel suo sviluppo. Una carenza di acidi grassiessenziali provoca gravi alterazioni dell’orga-nismo, fino alla morte. Tutti gli organi sonointeressati ed anche il cervello non fa ecce-zione.Anche il colesterolo non è da sottovalutare.Recenti indagini di un gruppo di ricercatoridel Centro di Ricerca sulla Nutrizione delBambino di Huston, dell’Università di Prai-re (USA) e dell’INRA francese, guidati daP.A. Schoknecht, hanno stabilito che nelgiovane maiale, una specie animale vicinaall’uomo, bassi livelli di colesterolo alimen-tare hanno un’influenza negativa sullo svi-luppo del cervello e sul comportamento. Illatte di donna è più ricco di colesterolo chenon quello di altri animali (in particolare diquello di mucca) e del latte artificiale. Ilbambino inoltre, per il suo grande sviluppocerebrale, che si prolunga fino ai quattro,cinque anni di età, ha necessità di buonequantità di colesterolo alimentare. Attual-mente l’allattamento al seno è stato forte-mente abbreviato, ma è sempre necessarioassicurare al neonato e poi al bambino unasufficiente quantità di colesterolo alimenta-re, indispensabile per un regolare sviluppodel cervello. In base alla necessità di cole-sterolo alimentare del bambino, con tutte ledebite riserve, è stato anche interpretato ilpiù alto Quoziente di Intelligenza nei bam-bini alimentati con latte materno (ricco dicolesterolo), in confronto di quello dei bam-bini alimentati con latte artificiale (poverodi colesterolo).

Anche dopo lo svezzamento il bambino, ilcui cervello non si è ancora completamentesviluppato ed i processi di apprendimentosono ancora in piena attività, necessita diuna alimentazione con cibi che contengonocolesterolo. A questo riguardo è indicata lacarne, in particolare quella magra, che oltread essere un alimento plastico e protettivocontiene adeguate quantità di un colesterolostrutturale (contenuto nella parete delle cel-lule e non nei grassi di deposito) facilmenteassimilabile e particolarmente indicato perun buon sviluppo cerebrale e della intelli-genza del bambino. Particolarmente a ri-schio sono le diete strettamente vegetarianee con poco o niente colesterolo.

Nutrizione cerebrale e alimentazione darwinianaFra le molte variabili che hanno condizio-nato lo sviluppo del cervello umano, unruolo prevalente ha svolto la nutrizione(Rossi e Rossi Prosperi, 2003; ed altri). Icambiamenti fisico-chimici ambientalihanno messo a disposizione degli organi-smi viventi alcune sostanze che, introdottecon l’alimentazione, ne hanno condizionatolo sviluppo evolutivo. Fra queste sostanzedi particolare rilevanza sono stati i lipidi,ed in particolare i glicerofosfolipidi, chehanno permesso, prima la comparsa deimammiferi e più tardi quella degli australo-pitechi, i nostri più antichi progenitori. Daessi, con un lunghissimo processo evoluti-vo, durato milioni d’anni, e sempre grande-mente condizionato dai cambiamenti fisici,chimici e nutrizionali, si è giunti all’uomoattuale, che possiede un cervello con carat-teristiche funzionali e strutturali del tuttoparticolari. Rossi e Rossi Prosperi (2003),affrontando il problema evolutivo del cer-vello umano, sottolineano l’importanza del-la nutrizione ed in particolare degli acidigrassi a lunga catena (AGP-LC) che si for-mano a partire dagli acidi grassi essenziali,affermando che il cervello dell’uomo si è

171

Cibo e nutrizione

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 171

Page 171: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

evoluto e può funzionare in maniera otti-male in rapporto alla presenza, in giuste edadeguate proporzioni, di dure particolariAGP-LC: l’aido arachidonico e l’acido de-coesaenoico (DHA).Quanto noto sui rapporti tra nutrizione epatologia del comportamento non esaurisco-no il problema. Un altro importante aspetto,che non è stato ancora affrontato, è quellodei rapporti tra alimentazione del neonato edel giovane e sviluppo del comportamento.È nota la “dottrina dei periodi critici” e laloro importanza per un corretto comporta-mento dell’adulto, non è però noto se e co-me l’alimentazione interferisca sull’evoluzio-ne dei “periodi critici” e sull’apprendimentodurante tali periodi. Se si considera che nelgiovane la barriera ematoencefalica non hala selettività dell’adulto, si può ritenere chela sintesi dei neurotrasmettitori endocere-brali sia maggiormente influenzata dal tipodi dieta nel giovane, che non nell’adulto. Levariazioni alimentari e nutrizionali dei neo-nati e dei bambini, soprattutto con unosvezzamento precoce e brusco, potrebberoavere una notevole influenza sulla funziona-lità cerebrale e quindi sul comportamento.Già solo quest’ipotesi sottolinea l’importan-za del settore ancora in gran parte inesplora-

to dai rapporti tra alimentazione, nutrizionee comportamento.Un particolare comportamento è quello ag-gressivo. Quanto esposto non è sufficienteper fornire precisi ed inequivocabili dati ap-plicativi e non permette ancora di indicareuna “dieta antiaggressiva” (a parte un’ali-mentazione mista proteica-idrocarbonatacon prevalenza del primo componente). Inmodo analogo è per una “dieta calmante”(forse con l’uso di caseina e glutine), una“dieta appetitogena” (anche se aminoacidi epeptidi derivati dalla carne sono importan-ti), una “dieta iporessica” e così via. Tuttavia,numerosi dati indicano la presenza di fattoriextranutrizionali della dieta capaci di in-fluenzare il comportamento e che derivanoda un’amplissima gamma di settori di ricer-che le più diverse e questo non agevola unaloro raccolta, comparazione e comprensione.L’importanza dell’argomento sottolinea lanecessità di ulteriori approfondimenti. Aquesto fine è però indispensabile superarealcune barriere “concettuali” e soprattuttoquella che vuole isolare il comportamento,inteso prevalentemente come fenomeno psi-cologico, dalle condizioni organiche, o di-menticare come turbe organiche possono in-fluenzare il comportamento.

172

Capitolo II

Carenze nutrizionali e deficit del funzionamento cerebrale (Rossi e Rossi Prosperi, 2003)

Carenze nutrienti Deficit funzionamento cerebrale

AG (alfa-linolenico) e AGP-LC Membrane neuronali poco funzionanti, con scarsi fenomeni di

modulazione, deficit trasmissione neuronale e liberazione

dei neurotrasmettitori

Vitamina B 12 Demielinizzazione fibre nervose

Colesterolo Mancata od insufficiente mielinizzazione assone

Aminoacidi essenziali Diminuita sintesi di neurotrasmettitori

Carboidrati semplici e complessi Diminuito stato di eccitazione del neurone

Ferro Insufficiente sintesi di dopamina, serotonina, catecolamina,

mielina

Zinco Mancata sintesi di composti endogeni neuroattivi

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 172

Page 172: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

173

Bibliografia

Broadhurst C.L. Balanced intakes of natural trigly-cerides for optimum nutrition: an evolutionaryand phytochemical perspective. Med. Hypothe-ses, 49 (3), 247-261, 1997

Cheraskin E., Ringsdorf W.M., Brecher A. Psycho-dietetics, Bantam Books, Toronto, 1974

Concon J.M. Food Toxicology, M. Dekker Inc.,New York et Basel, 1988

Cordain L., Miller J.B., Eaton S.B., Mann N., HoltS.H.A., Speth J.D. Plant-animal subsistence ra-tios and macronutrient energy estimations inworldwide hunter-gatherer diets. American Jour-nal of Clinical Nutrition, 71 (3), 682-692, 2000

Eaton S.B., Eaton S. B. 3rd, Konner M. J. Paleolithicnutrition revisited: a twelve-year retrospective onits nature and implications. Eur. J. Clin. Nutr.51(4), 207-216, 1997

Eaton S.B., Eaton S.B., Sinclair A.J., Cordain L.,Mann N.J. Dietary intake of long-chain polyun-saturated fatty acids during the paleolithic. Re-

turn of Omega-3-Fatty-Acids into the FoodSupply, 83, 12-23, 1998

Eaton S.B., Konner M. Paleolithic nutrition. a con-sideration of its nature and current implications.N. Engl. J. Med., 312(5), 283-2899, 1985

Enwonwu C.O. (Ed.). Functional Significance ofIron Deficiency. Meharry Medical College, Na-shville, Tennesse, 1990

Harris M. Good to Eat. Riddles of Food and Cul-ture. Simon and Schuster, New York 1985 (Tra-duzione italiana. Buono da Mangiare. Enigmidel gusto e consuetudini alimentari. G. Einaudi,Torino, 1990)

Kuhn D.M., Lovenberg W. Psychoactive And Vasoac-tive Substances in Food. In Hatcock (Ed.), 1982

O’Brien B. Cholesterol Metabolism Is AlteredWhen Rats Are Fed Either Beef Tallow as theOnly Dietary Fat or Fat Containing the LipidExtracts of Beef. J. Nutr., 124, 1112-1117, 1994

Rossi A., Rossi Prosperi L. Tappe dello sviluppo ce-rebrale in relazione alla disponibilità dei nutrien-ti a partire dall’australopiteco. Progress in Nutri-tion, 5, 33-40, 2003

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 173

Page 173: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Antialimenti: una sfida alla nostra alimentazione

In una prospettiva darwiniana, gli alimentinon sono un diritto, ma una conquista, spessonon facile e da ottenere superando gli ostacolie le difese messe in atto, in modo particolaredal mondo vegetale.Gli antialimenti sono un’interessante espres-sione della lotta tra la nostra specie che vuolemangiare e le altre specie che non voglionoessere trasformate in cibo. In questo contra-sto, gli interventi culturali, in modo partico-lare i trattamenti termici e fermentativi del-la cucina umana, hanno assunto un ruolodecisivo per il successo anche alimentare dellanostra specie.

Antialimenti, antinutrientiIn molti alimenti sono presenti attività anti-nutritive verso differenti componenti. Questeattività presentano meccanismi fondamentalidi tossicità, che si manifestano attraverso unadiminuita o mancata azione nutrizionale, odun’interferenza sugli equilibri nutrizionali.Anche se frequentemente ignorati o sottova-lutati, in modo particolare in un’alimentazio-ne ricca ed abbondante, gli effetti negativiantinutrizionali sono particolarmente evi-denti in condizioni di malnutrizione, o quan-do la presenza di nutrienti essenziali è al li-mite. In modo analogo avviene quando vi so-no aumentate o particolari richieste nutrizio-nali per condizioni fisiologiche (gravidanza oallattamento, elevata attività atletica ecc.) opatologiche. Le più importanti attività nutri-zionali riguardano le proteine, i minerali e levitamine, di cui si daranno alcuni cenni.

Antinutrienti proteiciSi è rilevato che attività antinutrizionali so-no provocate dagli inibitori degli enzimi di-gestivi (proteasi), dalle lectine, saponine epolifenoli.Inibitori delle proteasi (tripsina, pepsina,chimotripsina ed altri enzimi digestivi) sono

presenti in alimenti d’origine animale (adesempio nelle uova e colostro), ma soprat-tutto nei vegetali, in modo particolare an-giosperme (legumi, patate ecc.). Il significa-to evoluzionista della presenza d’inibitoridelle antiproteasi nel colostro e nel latte ri-guarda la salvaguardia degli anticorpi colo-strali, mentre nei vegetali le antiproteasisvolgono un’efficace protezione contro leazioni dirette e indirette dei parassiti anima-li. Le antiproteasi alimentari diminuisconol’efficacia nutrizionale delle proteine alimen-tari ed interferiscono sull’attività del pan-creas. Le antiproteasi sono inattivate dal ca-lore, anche se trattamenti eccessivi alteranole caratteristiche nutrizionali degli alimenti.Gli usuali trattamenti culinari sono adegua-ti, mentre sono da considerare i rischi colle-gati al “mangiare crudo”.Le lectine sono composti che agglutinano iglobuli rossi del sangue e sono presenti inmodo particolare nei legumi, patate ed altrivegetali, come il ricino (la ricina è forse la piùtossica lectina vegetale conosciuta). Il loro si-gnificato è analogo a quello delle antiproteasi,come anche l’inattivazione da parte del calore.Saponine sono contenute nella soia, arachi-di, the ed altri vegetali alimentari, ma nonpaiono rischiose, se assunte per via orale.

Antinutrienti minerali e vitaminiciSostanze contenute negli alimenti e che in-terferiscono sull’utilizzazione dei mineralisono largamente presenti nei vegetali, inmodo particolare nella frutta e nei cereali.Di particolare significato sono l’acido fitico,gli ossalati, i componenti dei vegetali gozzi-geni e la fibra alimentare.L’acido fitico è presente nei cereali, legumi,semi diversi ed alcuni frutti; la sua azioneantinutrizionale si svolge interferendo sul-l’assorbimento del calcio, magnesio, ferro,zinco ed altri minerali. La fitasi, un enzimadiffuso nei vegetali, riduce l’attività antinu-trizionale dell’acido fitico, ma a sua volta èinattivata dai trattamenti termici. Il lievito,

174

Capitolo II

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 174

Page 174: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

ed in particolare quello acido o “madre”, de-compone l’acido fitico e quindi nel pane,prima lievitato e poi cotto, si svolge un raffi-nato trattamento antifitico.Anche gli ossalati, contenuti in molti vege-tali (spinaci, barbabietola, the ed altri), dimi-nuiscono l’assorbimento dei minerali ali-mentari, in modo particolare del calcio.L’azione gozzigena (antitiroidea) dei vegetali(cavoli ed altre crucifere, leguminose ecc.) sibasa su differenti classi di composti chimici,con diversi meccanismi: glucosinolati, tiocia-nati, cheiroline, glucosidi polifenolici,emoagglutinine e altri composti ancora in-determinati. Il significato biologico nei ve-getali di questi composti è ancora poco noto.La loro attività sulla tiroide si svolge attra-verso meccanismi differenti, tra i quali è dasegnalare l’attività correlata alla disponibilitàdi iodio alimentare e quindi si comprendecome non possa recare danno, in condizioninormali, nelle popolazioni umane che vivo-no in vicinanza del mare o che nella loro ali-mentazione utilizzano sale marino iodato.Anche la fibra alimentare, in modo partico-lare quell’insolubile, interferisce sull’assorbi-mento dei minerali alimentari, in modo si-gnificativo quando questi sono scarsi.Le antivitamine sono quei composti che, at-traverso meccanismi specifici, diminuisconood aboliscono l’effetto di singole vitamine. Ilcalore, che inattiva le vitamine termolabili,non è un’antivitamina, mentre lo è l’ascorba-si, l’enzima che tramite ossidazione specificadistrugge l’acido ascorbico (vitamina C).Soprattutto nei vegetali sono state indivi-duate e studiate antivitamine per le seguentivitamine e fattori vitaminici: vitamina C(acido ascorbico), vitamina A (retinolo e ca-roteni), vitamina E (tocoferoli), vitamina B1 (tiamina), vitamina B 6 (biotina), piridos-sina, vitamina B 12 (cobalamina), vitaminaB 2 (riboflavina), acido pantotenico, acidofolico, colina, vitamina D 2 (colecalciferolo),vitamina K (naftochinoni).Di particolare importanza è da segnalare che

l’ascorbasi, che inattiva la vitamina C, èinattivata dal calore e dai flavonoidi presentinei vegetali stessi. Il calore inattiva anche latiaminasi (antivitamina B 1) presente nelpesce crudo.

Antinutrienti ed alimentazione darwinianaL’esistenza d’attività antinutrizionali deglialimenti può essere spiegata e compresa soloin relazione all’evoluzione ed alla coevoluzio-ne biologica e culturale umana. Una ridottapresenza d’attività antinutrizionale negli ali-menti d’origine animale è a favore della loropiù o meno, ma sempre larga presenza, nel-l’alimentazione degli ominidi. La larga e rile-vante presenza d’attività antinutrizionale neivegetali era stata controllata, in ambito d’e-voluzione animale, in diverso modo, non ul-timo la fermentazione “predigestiva” di questialimenti, in modo particolare nei prestomacidei ruminanti. Una categoria d’animali moltoricca di specie, diffuse a tutte le latitudini, aconferma del successo a loro conferito dal ti-po d’alimentazione, nonostante lo svantaggiodel peso (non è da sottovalutare che il conte-nuto dei prestomaci può essere compreso da10 al 20% del peso corporeo).La specie umana, prima dell’invenzione del-la cucina, aveva superato i rischi degli anti-nutrienti vegetali attraverso una gran biodi-versità alimentare, con l’uso di piccole quan-tità di singoli alimenti e con la loro inter-supplementazione. Parte di questi meccani-smi di difesa è venuta a mancare con l’agri-coltura. Da qui la necessità di modificare glialimenti con trattamenti, singoli, ma soprat-tutto combinati, capaci d’inattivare fattoriantinutrizionali: primo fra tutti il calore, poila fermentazione e, non da ultimo, l’associa-zione della fermentazione con il calore, co-me nel pane, senza dimenticare l’importanzadella ricchezza alimentare. Non è, infatti, dadimenticare quanto già citato: i singoli fatto-ri antinutrizionali assumono un ruolo rile-vante quando esistono condizioni di carenzenutrizionali quantitative.

175

Cibo e nutrizione

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 175

Page 175: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Bibliografia

Ballarini G. Rischi e virtù degli alimenti. Calderini,Bologna, 1989

Concon J.M. Naturally occurring antinutritive sub-stances (p.405-461) in: Concon J. M. Food Toxi-cology – Part A: Principles and concepts – Mar-cel Dekker, Inc, New York and Basel

Gontzea I., Gardev. M. Antinutritive substances infoods – I – Antitriptic activity of some alimen-tary products – Com. Acad. Rep., Pop. Romine,8, 723-727, 1958

Gontzea I., Sutzescu P. Natural Antinutritive Sub-stances in Foodstuffs and Forages. S. Karger, Ba-sel, 1968

176

Capitolo II

Classificazione degli antinutrienti (sec. Gontzea e Sutzescu, 1968)

Tipo A – Antinutrienti proteiciSostanze che interferiscono con la digestione delle proteine o l’assorbimento e l’utilizzazione d’ami-

noacidi od altri nutrienti

Tipo B – Antinutrienti mineraliTutte le sostanze che interferiscono con l’assorbimento o l’utilizzazione metabolica di minerali

Tipo C – AntivitamineSostanze che inattivano o distruggono vitamine, o comunque aumentano il loro fabbisogno organico,

oppure hanno funzione di antimetaboliti vitaminici

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 176

Page 176: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

BIOTECNOLOGIE ALIMENTARI,USO DEGLI ALIMENTI E NUTRIZIONE DARWINIANA

Le fermentazioni sono uno dei primi, prin-cipali e raffinati sistemi di modificazionedegli alimenti e di una cucina antica e tradi-zionale, e sono state determinanti nello svi-luppo delle veterobiotecnologie che hannopermesso all’uomo di conservare gli alimen-ti e di adeguarli alle sue esigenze nutrizio-nali.Tra le diverse tecnologie, quelle d’estrazionedei grassi, sviluppati dalla cultura umana,oggi portano a patologie, prima di tutte obe-sità e sovrappeso con tutte le nefaste conse-guenze.L’attuale mancanza di un’alimentazione rit-mata ed ancor più la scomparsa di stili ali-mentari capaci di modulare i bioritmi umanigeneticamente preparati, sembra essere allabase di turbe nutrizionali e di disturbi fun-zionali.

Enzimi e fermentazioni alimentari:veterobiotecnologie alimentari

La cucina è stata inventata per modificare erendere adatti all’uomo gli alimenti ottenuticon l’agricoltura e l ’allevamento. Le fermen-tazioni sono uno dei primi, principali e raf-finati sistemi di modificazione degli alimen-ti e di una cucina antica e tradizionale. Glienzimi delle fermentazioni sono stati deter-minanti nello sviluppo delle veterobiotecno-logie, che hanno permesso all’uomo di conser-vare gli alimenti e di adeguarli alle sue esi-genze nutrizionali.

Fermentazioni ed enzimi, tradizionali e innovativiGran parte degli alimenti tradizionali vieneottenuta con fermentazioni, che agiscono at-traverso enzimi e prodotti specifici, adesempio l’acido lattico.

Pane, vino, birra, salumi sono soltanto alcunidegli alimenti ottenuti con la fermentazione,eseguita da microrganismi che variano ancheda luogo a luogo. Gran parte della diversitàdi gusto, aroma, aspetto degli alimenti fer-mentati dipende dalle caratteristiche dei mi-crorganismi (batteri, lieviti e funghi micro-scopici) che sono divenuti un tutt’uno con latradizione e che nel corso di secoli si sonodepositate nelle grotte o cantine di matura-zione dei formaggi erborinati (come il gor-gonzola), nei locali di stagionatura di salumidi pregio come il culatello e tanti altri pro-dotti tradizionali.Un’intensa attività di ricerca, antica e mo-derna, ha selezionato i microrganismi piùadatti ad essere utilizzati per ottenere unagran varietà di pane, birra, latti e acidi e for-maggi, salumi, verdure acide. Con la ricercasi è sviluppata la selezione dei microrgani-smi più adatti e già naturalmente presentinegli alimenti, quindi con metodi assoluta-mente naturali. I microrganismi aggiunti perindirizzare la fermentazione degli alimentioggi sono denominati starter. Con l’uso distarter adatti si ottengono alimenti con le ca-ratteristiche di tipicità desiderate. Inoltre,per ogni tipo d’alimento, è possibile mante-nere una certa uniformità tra le diverse par-tite ed aumentare la sicurezza. Molti startersono, infatti, capaci di inibire la presenza dibatteri patogeni o comunque indesiderati.L’individuazione e la produzione di starter èla conseguenza dell’avvento della microbio-logia alimentare, che segna il passaggio tral’empirismo tradizionale e la ricerca scienti-fica alimentare.

Lievito di birraLievito, un alimento antichissimo, ma digrande attualità. Nel papiro d’Ebers, datatoal 3500 a.C., vi sono ricette con “fondo dibirra” raccomandate per conservare la salutee vivere a lungo; oggi sappiamo che tale fon-do è costituito da lieviti, di cui fa parte ilSaccharomyces cerevisiae. I lieviti alimentari

177

Cibo e nutrizione

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 177

Page 177: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

sono funghi microscopici, unicellulari, di di-verse specie, la più nota delle quali è il giàricordato Saccharomyces cerevisiae (lievito dapanificazione o di birra), ma molti altri lievi-ti sono presenti negli alimenti fermentati;tra questi è da ricordare il Saccharomyces fra-gilis contenuto in taluni latti fermentati (ke-fir). Oggi sono stati scoperti pregi di tipoextranutrizionale dei lieviti, precedentemen-te soltanto intuiti. Questi pregi sono presen-ti nel lievito vivo ed in parte rimangono inquello inattivato con particolari sistemi deli-cati. Il lievito, infatti, produce composti chi-mici che svolgono la funzione di messaggeritra i lieviti ed i batteri. Uno di questi mes-saggeri è molto simile al Gonadotropin Re-leasing Hormon (GRH) che nell’uomo re-gola la riproduzione. Attraverso tali messag-geri chimici i lieviti regolano la popolazionedi microbi intestinali e svolgono un’impor-tante azione favorente la nutrizione. Ancheattraverso questa via i lieviti nell’intestinofavoriscono azioni protettive, aumentandol’immunità, la resistenza contro le malattieinfettive intestinali, contrastando batteri pa-togeni indesiderati, svolgendo anche un’a-zione preventiva contro i tumori. Esistonoanche azioni indirette derivanti da un mi-gliore funzionamento degli organi, che sonomeglio nutriti e riforniti d’aminoacidi essen-ziali, vitamine ecc. Nei lieviti si trovano an-che composti dotati d’attività immunosti-molante. Le favorevoli azioni nutrizionali edextranutrizionali giustificano il successo che,in quasi tutte le culture umane, hanno avutogli alimenti fermentati con lieviti.

Lievito di vinoCome dire? Vino e pane, perché pare chel’uomo abbia prima inventato il vino e poi ilpane? Oppure pane e vino, perché solo ilprimo è indispensabile per la vita, tanto chesi sosteneva che pane e vino erano il cibodell’uomo libero e pane ed acqua del carce-rato. O sono distinzioni ininfluenti? Forsenon è così, perché le moderne ricerche di-

mostrano il sottile, ma tenace legame tra vi-no e pane, rappresentato dal lievito acido o“madre”, presente nel miglior pane antico etradizionale e che rischiamo di perdere. Ilpane, un tempo era il prodotto di una lievi-tazione acida, che richiedeva parecchie ore eche forniva un pane che si conservava a lun-go. Questo buon pane tradizionale veniva,ed ancor oggi può venire prodotto, con unafermentazione che utilizza il lievito cosid-detto naturale o lievito acido operata da piùmicrorganismi e soprattutto da un’associazio-ne di lieviti e di batteri, lattici ed acetici. Que-sti ultimi determinano la caratteristica aci-dità alla fermentazione lievitante, con tuttele connesse caratteristiche del pane. Questolievito deriva dal vino.

Origine dei lievitiDa dove derivano i due tipi di lievito, quellodi birra e quello del pane a fermentazioneacida? Il lievito della fermentazione acida, eche di panificazione in panificazione è man-tenuto e riprodotto, deriva dal vino o, me-glio, dalle fermentazioni che trasformano ilmosto in vino. Il lievito di birra, invece, co-stituito soltanto da Saccharomyces cerevisiae,lo stesso che interviene nella fermentazionedella birra (da qui la sua denominazione) èprodotto industrialmente, inizialmente comesottoprodotto della birra, oggi invece in lie-vitifici specializzati.

Altri enzimi alimentariL’uso d’enzimi nella preparazione degli ali-menti è antichissimo, ben prima che si pre-cisasse il concetto d’enzima.Il formaggio è ottenuto con la coagulazionedel latte, operata da un enzima, chimosina,rennina o caglio, ricavato dallo stomaco diun vitello od agnello lattante, anche se era-no usati coagulanti d’origine vegetale. Labirra veniva ed è tuttora prodotta con l’im-piego d’enzimi naturali (maltasi) che tra-sformano l’amido in malto, seguita dallafermentazione alcolica operata dai lieviti.

178

Capitolo II

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 178

Page 178: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

179

Cibo e nutrizione

Negli anni sessanta si diffuse anche presso ilgran pubblico l’uso della papaina, un enzi-ma capace di intenerire la carne. Oggi lebiotecnologie permettono di produrre enzi-mi a basso costo e si prevede che il loro usonelle preparazioni alimentari si andrà sem-pre più estendendo.I principali settori alimentari dove oggi so-no usati enzimi sono: produzione di for-maggio, latti dietetici, derivati del latte, suc-chi di frutta, birra ed altre bevande alcoli-che, produzione di zucchero, prodotti daforno, intenerimento della carne.

Fermentazione ed enzimi ed alimentazionedarwinianaLo sviluppo delle fermentazioni alimentariha avuto lo scopo di adeguare gli alimentidell’agricoltura e dell’allevamento alle carat-teristiche digestive e necessità nutrizionaliumane. Aver abbandonato alcune fermenta-zioni tradizionali ha portato anche all’origi-ne di patologie, trattate in successivi capitolie qui solo accennate.Fermentazione dei cereali. La specie umana,mangiatrice di frutta, bacche e radici, piùche di semi di cereali, può sviluppare un’al-lergia al glutine, con la comparsa della celia-

chia, che era un tempo controllata con la to-statura, la fermentazione e la cottura dei ce-reali. Nella birra vi è una fermentazione coni lieviti, che lasciano intatte proteine, chetuttavia sono eliminate con la filtrazione.Nel pane vi è una parziale inattivazione delglutine da parte dell’acido lattico della fer-mentazione acida, con una successiva inatti-vazione compiuta da una cottura prolungata.Inoltre i cereali antichi erano poveri di gluti-ne, diversamente da quelli moderni.Fermentazione del latte. L’intolleranza al lat-tosio è stata superata dall’uso dei latti fer-mentati e dei formaggi, come considerato inun precedente capitolo. La fermentazionedel latte con la produzione della gran varietàdi prodotti caseari ha rappresentato un im-portante mezzo di sanificazione alimentare,perché l’acido lattico ha una forte attivitàantisettica, senza avere rilevanti conseguenzenulla fisiologia umana. Infatti, l’acido lattico,almeno nella sua forma levogira, è fisiologi-co ed è rapidamente metabolizzato dall’or-ganismo umano.Fermentazione dell ’uva. L’effetto protettivodel vino, soprattutto per le malattie cardio-vascolari, è stato considerato nel capitolo de-dicato alla frutta.

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 179

Page 179: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Grassi: invenzione d’un alimento

Nell’uomo vi è il comportamento fisso di ri-cerca del grasso, in quanto fonte d ’energia,anche se oli e grassi non sono alimenti natu-rali e sono stati sviluppati dalla culturaumana.Oli e grassi sono alimenti culturali, il cui usoeccessivo e squilibrato porta a patologie, pri-ma di tutte obesità e sovrappeso con tutte lenefaste conseguenze.

Grassi e oli, alimenti non naturali, ma soprat-tutto culturaliPuò sembrare impossibile, ma oli e grassinon sono alimenti naturali nel senso che, co-me tali non si trovano in natura. In granparte sono stati sviluppati dalla cultura uma-na. Sono quindi alimenti culturali, inventatidall’uomo, che soltanto qualche migliaiad’anni fa ha imparato ad estrarli, alcuni daivegetali (ad esempio dalle olive) o da taluneparti o produzioni animali (ad esempio lostrutto ed il burro).Nella sua alimentazione naturale e durante il99% della sua presenza sulla terra, l’uomo hacercato ed apprezzato soltanto alimenti con-tenenti quantità più o meno elevate di gras-si, come carni grasse e frutta oleose ad esem-pio olive, noci, mandorle, nocciole ecc., manon i rispettivi oli. L’olio d’oliva era ben no-to nell’area mediterranea fin dall’antichità,quando era usato come medicinale, cosmeti-co o combustibile nelle lampade e meno co-me alimento, se non dai più ricchi. Altri oli,ad esempio quelli di mais, arachide, girasole,vinaccioli, sono entrati nell’alimentazioneumana solo quando l’industria è riuscita adestrarli ed a purificarli.

I grassi strutturaliI grassi, presenti negli alimenti naturali, so-no intimamente connaturati con altri com-ponenti alimentari: sono grassi strutturali eper questo in buon equilibrio con le proteinee gli amidi degli alimenti; questo è una ga-

ranzia contro eventuali eccessi. All’opposto igrassi e gli oli puri, inventati dall’uomo ecreati dall’industria, per il loro alto valoreenergetico (un grammo di grasso, pur essen-dovi diversità nella percentuale che è digeri-ta, apporta in media 8,5 chilocalorie), e perla loro alta disponibilità, oggi ad un prezzospesso basso che ne favorisce un uso eccessi-vo, possono indurne un cattivo impiego eprovocare inconvenienti nutrizionali, dieteti-ci e sanitari anche gravi. Basta ricordare l’o-besità, l’arteriosclerosi e talune malattie car-diovascolari favorite da eccessi di talunigrassi o da alimentazioni con una quantitàeccessiva di grassi. Quanto ora indicato perl’uomo vale anche per gli animali allevati:quando sono alimentati con grassi di sca-dente qualità ed ossidati, l’uomo se li ritrovanel piatto. Alcuni oli e grassi hanno partico-lari doti benefiche e gli antichi sapevano chel’olio d’oliva è un alimento salutare, quasi unfarmaco ed un portatore di bellezza.

Tanti oli e grassiDal 1800 si è iniziato a comprendere lacomplessità dei grassi o lipidi, che non diffe-riscono tanto per l’energia, quanto per il tipodi molecole di cui sono costituiti.Una classificazione chimica molto semplicedistingue i grassi in saturi (non reagisconobene con l’ossigeno) ed insaturi e polinsaturi(si ossidano facilmente). La pura classifica-zione chimica è insufficiente, da quando èstato scoperto che molti acidi grassi alimen-tari sono modificati ed elaborati dall’organi-smo, anche in rapporto al tipo di dieta, stiledi vita ecc. Ad esempio nell’uomo, l’acidostearico, di cui è ricco il grasso bovino, è tra-sformato in acido oleico tipico dell’olio d’o-liva. Con uno stile di vita attiva sono mag-giormente utilizzati gli acidi grassi saturi edil colesterolo. Importante è avere stabilitoche i grassi non hanno soltanto una funzioneenergetica, ma anche insostituibili funzioniplastiche o costruttive dell’organismo. Perquesto motivo alcuni acidi grassi, come già

180

Capitolo II

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 180

Page 180: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

indicato, devono essere necessariamente in-trodotti con l’alimentazione (Acidi GrassiEssenziali - AGE), come l’acido linoleico el’alfa-linolenico e probabilmente gli acidiarachidonico e cervonico.Per una corretta dieta sono importanti le si-gnificative differenze che esistono tra i gras-si estratti da animali e vegetali e quelli strut-turati presenti nelle carni, latte o diversi se-mi oleaginosi (olive, noci, soia, arachideecc.) o granaglie (mais ecc.). Negli alimentigrassi od oleaginosi, a parte la citata coesi-stenza equilibrata con proteine ed amidi, ladigeribilità dei grassi è diversa e calibratacon l’attività digestiva. Molto diverso è l’ef-fetto di un olio che arriva tal quale, anche semescolato agli alimenti, nello stomaco, oche invece per l’azione digestiva dello sto-maco viene lentamente e gradualmente libe-rato da carni, olive o noci che lo contengonoin forma strutturata e che arriva come gras-so od olio libero a livello intestinale, dovetrova gli enzimi adatti per una sua digestio-ne. Negli alimenti grassi, e molto meno neigrassi ed oli da questi derivati sono presentialtri nutrienti come i fosfolipidi, le lecitine,il colesterolo, che in opportuna quantità de-ve essere presente nella dieta, alcune vitami-ne liposolubili (soprattutto E ed A), fitor-moni ecc.

Rischi e virtù dei grassiTutti i grassi al tempo stesso sono buoni ecattivi. O, meglio, sono ben o mal usati. Ungrasso è spesso cattivo in quanto mal usatoperché in eccesso rispetto al fabbisognoenergetico.Nell’uomo paleolitico e nell’uomo agricolto-re era difficile avere un eccesso di grassi. Iltipo di vita attiva, con forte lavoro muscola-re, ammetteva una sostanziosa quantità d’a-cidi grassi saturi, senza alcun significativoinconveniente. Con un’alimentazione ingran prevalenza basata su grassi strutturaliera difficile avere squilibri da eccessi di gras-si. Da quando abbiamo a disposizione i

grassi e gli oli puri, e non più strutturati, ilproblema non è soltanto quello della quan-tità, ma anche della qualità. Con la conser-vazione i grassi vanno incontro all’ossidazio-ne (irrancidimento) da cui originano perico-losi perossidi. Di pari passo nei grassi, sonodistrutti gli antiossidanti naturali, ad iniziaredalla vitamina E. Una dieta che contenga“grassi sbagliati” e non adatti allo stile di vi-ta, causa patologie metaboliche che oggipreoccupano. I “grassi sbagliati” provocanoalterazioni delle membrane cellulari, che di-vengono fragili e sensibili alle aggressioni.Inoltre, per la paura dei grassi e riducendolidrasticamente nell’alimentazione, oggi ri-schiamo una carenza di grassi, dimenticandoche alcuni sono necessari per la vita, la salu-te, l’equilibrio psicofisico e per la bellezzadel corpo. Una carenza di grassi nella dieta,nei paesi sottosviluppati avviene per man-canza d’alimenti e, nei paesi industrializzati,per l’uso di cibi troppo purificati o di dietesquilibrate ed uniformi. Per un buono statodi salute ogni giorno un uomo adulto deveassumere almeno dieci grammi d’acido lino-leico, due grammi d’acido alfa-linolenico equantità ancora non ben definite d’acidoarachidonico e d’acido cervonico. Rischianouna carenza di acidi grassi essenziali coloroche seguono una dieta, carnivorana, vegeta-riana o vegana, con poco olio o grasso, o sol-tanto di un unico tipo, e soprattutto coloroche non privilegiano alimenti animali e ve-getali contenenti grassi strutturati. Le carnimagre contengono acidi grassi essenziali ditipo insaturo molto utili per una corretta ali-mentazione e in questi ultimi tempi vi è sta-ta anche un’evoluzione favorevole di moltecarni, tra le quali quella di maiale, per quan-to riguarda l’acido oleico e l’acido linoleico.Anche degli acidi grassi insaturi non bisognaabusare, ed un’alimentazione ricca d’acido li-noleico favorisce la formazione di calcoli bi-liari ed altri disturbi. Anche per i grassi valeil concetto dell’equilibrio alimentare e del estmodus in rebus.

181

Cibo e nutrizione

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 181

Page 181: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Quando i grassi diventano un pericoloI grassi possono diventare pericolosi in di-verse condizioni: presenza di composti chi-mici indesiderati, cattiva conservazione eduso non corretto. Soprattutto oggi è neces-saria una strategia alimentare dei grassi.Quale grasso usare nella alimentazione? Aparte le spinte pubblicitarie, in base alle qua-li ogni categoria di produttori vorrebbe chefosse utilizzato soltanto o prevalentemente ilsuo grasso od olio (strutto, olio di oliva o dimais ecc.), vi sono alcune regole che devonoessere seguite per una sana alimentazione.1 - In una dieta equilibrata sono da privile-

giare i grassi strutturali, di tipo animale evegetale.

2 - Limitare l’uso dei grassi accumulati negliorgani d’animali, in particolare nelle frat-taglie (ad esempio fegato, rognoni ecc.).

3 - I grassi od oli, anche se genuini e natura-li, devono essere aggiunti alla dieta inquantità opportune e non eccessive, inte-grando quelli strutturali senza sostituirli.

4 - Privilegiare un uso crudo degli oli edusare preferibilmente quelli ricchi di aci-di grassi insaturi ed essenziali.

Grassi e nutrizione darwinianaUn’irresistibile voglia di grasso è profonda-mente iscritta nel comportamento alimenta-re dell’uomo. Nella sua alimentazione natu-rale e durante il 99% della sua presenza sullaterra, l’uomo ha cercato ed apprezzato ognialimento contenente quantità più o menoelevate di grassi. Come sta insegnando lanutrizione evoluzionista, quest’impellentevoglia di grasso, che ancora oggi tormentatutti coloro che vogliono o debbono calare dipeso o sono a dieta, dipende dallo stile di vi-ta sviluppato dall’uomo nell’ultimo milioned’anni. Egli era un grande corridore che apiccolo trotto, con brevi spunti veloci, per-correva venti, venticinque e fino a quarantachilometri il giorno, con una grande neces-sità d’energia, che solamente il grasso potevafornire. Ancor oggi il grasso deve fornire da

un quarto ad un terzo dell’energia alimenta-re. La voglia di grasso trova un preciso rife-rimento ed un potenziamento nell’imprin-ting alimentare. Il colostro prima ed il lattepoi, di cui si nutre il neonato, sono il princi-pale alimento umano nei primi tre, quattroanni di vita. Entrambi gli alimenti sono ric-chi di grassi. Soprattutto nel passato il gras-so alimentare era di tipo animale. Solo re-centemente il grasso vegetale è comparsonell’alimentazione umana. In un’analisi evo-luzionista darwiniana, i grassi della carne so-no stati esaminati da Eaton e coll. (1998)che hanno studiato l’introduzione alimenta-re d’acidi grassi polinsaturi a lunga catenanella dieta paleolitica umana. Broadhurst(1997) ha considerato l’uso alimentare bi-lanciato dei trigliceridi naturali sotto la pro-spettiva nutrizionale ed evoluzionista. Inquest’ultima prospettiva, gli alimenti natura-li contengono una gran varietà di grassistrutturali, di tipo polinsaturo, monoinsaturoe saturo e quindi è difficile giustificare un’a-limentazione che non contenga un’equilibra-ta miscela di trigliceridi e di fosfolipidi.Nessun grasso naturale è intrinsecamentebuono o cattivo, ma può diventarlo la loroproporzione od associazione. Da un puntodi vista evoluzionista bisogna raccomandareuna grande varietà di grassi, sotto il profilodella loro struttura, grado di saturazione,lunghezza delle catene. Gran parte delle pa-tologie connesse allo squilibrio tra grassi po-linsaturi del tipo n-3/ n/6 sono dovuti all’u-so dei cereali in alimentazione umana e deglianimali produttori d’alimenti per l’uomo,mentre i processi di raffinazione degli ali-menti n’amplificano le conseguenze. Altret-tanto importanti sono i processi di lavora-zione e di raffinazione, in quanto numerosicomposti fitochimici naturali; presenti neglioli non raffinati e vegetali oleosi, svolgonoun’importante protezione contro la perossi-dazione dei grassi e malattie croniche.La voglia di grasso, soprattutto quello ani-male, anche se ricco d’acidi grassi saturi e di

182

Capitolo II

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 182

Page 182: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

183

Cibo e nutrizione

colesterolo, è adeguato ad uno stile di vitamolto attiva, e gli acidi grassi saturi ed il co-lesterolo sono preferibilmente mobilizzati edutilizzati nel lavoro muscolare. Una riduzio-ne di questi componenti è necessaria per stilidi vita di tipo sedentario.

Bibliografia

Eaton S.B. What did our late palaeolithic (preagri-cultural) ancestors eat? Nutr. Rev., 48, 227-230,1990

Eaton S.B., Konner M., Shostak M. The paleolithicPrescription: A Program of Diet and Exerciseand Design of Living. Harper & Row, NewYork, 1988

Eaton S.B., Eaton S.B. III, Konner, M.J. Paleoliticnutrition revisited, 1999. In Trevathan et alii,1999 (prec. cit.)

McCully K.S. Dalla “paleodieta” all’alimentazionemoderna. Alimentazione e prevenzione, 1, fasc.2, p.73, 2001

McCully K. S. The significance of wheat in theDakota territory, human evolution, civilization,and degenerative diseases. Perspective in Biologyand Medicine, 44, 52-61, 2001

Grassi nell’alimentazione paleolitica ed in quell’americana od occidentale attuale (da Ea-ton, Eaton III, Konner, 1999)

Nutriente Alimentazione paleolitica Alimentazione occidentale

Energia (Kcal) 3000 2000 - 2500 (3000)

Proteine (grammi giorno) 200 – 250 100 – 200

Grassi (% energia alimentare) Meno del 10% Più del 30 – 40%

Colesterolo (mg giorno) 500 Più di 1000

Carboidrati semplici Scarsi o assenti Abbondanti

Fibra alimentare (grammi giorno) 104 10-20

Grassi nell’alimentazione dell’uomo del paleolitico e dell’uomo attuale (da McKully,2001)

Nutriente Paleolitico Attuale

Proteine animali (a) 33% 12 – 14%

Grassi (a) 20 – 25% > 30%

Grassi saturi (a) 6% 14%

Fibre (grammi giorno) 100 10 – 20

a) Percentuale delle calorie

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 183

Page 183: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Bioritmi alimentari: mangiare secondo natura

La vita e l ’alimentazione si sono evolute inrapporto al ritmo del giorno e delle stagioni,che un tempo guidavano le migrazioni e poihanno determinato le attività agricole e l ’al-levamento del bestiame.L’attuale mancanza di un’alimentazioneritmata ed ancor più la scomparsa di stilialimentari capaci di modulare i bioritmiumani geneticamente preparati, sembra esse-re alla base di turbe nutrizionali e di distur-bi funzionali.

CronodieteticaUn aspetto della diversificazione alimentareconcerne il rapporto che esiste tra i cibi ed iritmi biologici (o bioritmi), che modulanogran parte delle attività umane, compresal’alimentazione, la nutrizione e soprattutto ilmetabolismo. Un insieme di rapporti nonancora completamente definiti, ad iniziaredall’identificazione del primum movens.Prevalente è l’opinione che sono i bioritmi adeterminare le attività alimentari, ma recen-temente ed in conformità a lunghe osserva-zioni eseguite su persone sottoposte ad ali-mentazione parenterale, sta avanzando l’ideache è invece l’alimentazione uno dei princi-pali induttori, modulatori e sincronizzatoridei bioritmi. Questo spiega come l’aumentodel numero dei pasti, fino alla snackerizza-zione dell’alimentazione avvenuta nella se-conda metà del ventesimo secolo, abbia fa-vorito una maggiore statura della popolazio-ne umana, incrementando la produzione delsomatotropo, l’ormone della crescita, che èdi tipo pulsatile. Indubbia è in ogni modol’importanza di un corretto inserimento diun’alimentazione nei tempi giusti, e quindidi una cronodietetica.“Ci sta come i cavoli a merenda” significauna cosa fuori posto. Già, ma perché i cavolinon vanno bene per la merenda nel pomerig-gio? Accettare questo, e vedremo che è giu-

sto, vuol sostenere che per ogni alimento esi-ste un tempo giusto ed un tempo sbagliato equindi anche una cronodietetica (da crono otempo e dietetica o alimentazione) secondo laquale un’alimentazione corretta non può tra-scurare il tempo: ora della giornata e stagio-ne. È facile riconoscere che il nostro organi-smo non è lo stesso il mattino e la sera, inprimavera od in autunno. Su questa base so-no state studiate le differenze che vi sononelle costanti fisiologiche (cronofisiologia), lemalattie e le intossicazioni (cronopatologia ecronotossicologia), le terapie (cronofarmaco-logia) ed è facile intuire che una buon’ali-mentazione debba tenere presente questedifferenze, attraverso la cronodietetica.L’uomo primitivo ed i suoi antenati, perqualche milione d’anni e come gli animaliselvatici, cercavano gli alimenti di cui si ci-bavano secondo impulsi interni e quindi di-versamente il mattino dalla sera e nelle sin-gole stagioni, a parte che anche con questevariavano gli alimenti disponibili. Con l’av-vento della vita sedentaria ed un’alimenta-zione basata sull’agricoltura e l’allevamento,si è consolidata una serie di regole, nel loroinsieme inquadrate in una cronodieteticatradizionale. Una precisa scansione dei cibinelle diverse stagioni ed ore del giorno, oggitrova chiare basi scientifiche riguardanti l’at-tività del Sistema Ormonale e del SistemaNervoso Autonomo. Per quel che riguarda iritmi giornalieri e la distribuzione nelle ven-tiquattro ore degli alimenti (cronodietetica)sono da ricordare le seguenti particolarità.I ritmi biologici sui quali si basa la cronodie-tetica hanno una certa variabilità, che derivada caratteri costituzionali in buona parte ge-netici, ma anche acquisiti. Come spieghere-mo meglio tra un attimo, con maggiore ominore intensità ogni persona appartiene al-le allodole (tipo mattutino) od ai gufi (tiponotturno). Le “persone allodole” si sveglianopresto e la sera sono quasi esaurite. Hannoun bioritmo anticipato e di mattino la loroattività digestiva - alimentare si avvicina già

184

Capitolo II

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 184

Page 184: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

185

Cibo e nutrizione

a quella del mezzogiorno e pertanto possonofare una prima colazione sostenuta. Alla serainvece devono fare una cena leggera. Le“persone gufi” il mattino si svegliano tardi,mentre la sera non andrebbero mai a letto.Hanno un bioritmo posticipato, con attivitàdigestive - alimentari spostate. Al mattino ladigestione e l’utilizzazione degli alimenti èsimile a quelle della notte. La prima colazio-ne deve essere leggera e soprattutto stimo-lante: un solo caffè od un cappuccino conbrioche. Alla sera la cena può essere piùconsistente. Per una vita migliore ed una sa-na alimentazione, ognuno dovrebbe ricono-scere a che tipo appartiene, anche per adat-tare al meglio la sua dieta, in una cronodie-tetica individuale. L’effetto dei singoli ali-menti è in rapporto agli equilibri neuro-or-monali dei diversi periodi della giornata. Diconseguenza varia la digeribilità, la “pesan-tezza degli alimenti” e le conseguenze meta-boliche.La pesantezza degli alimenti cresce quandola durata della digestione aumenta, ancheperché non sono presi nell’ora nella quale, incondizioni di completa normalità, vi è lamassima efficienza digestiva. Soprattutto al-la sera molti cibi sono pesanti perché è l’or-ganismo che ha una minore capacità digesti-va e sono pertanto da evitare o da assumerein quantità limitate. Secondo il bioritmo esi-stono anche ore “ingrassanti” e “dimagranti”.Le ore ingrassanti sono quelle della secondametà della giornata (sera, notte) quando pre-domina l’attività anabolizzante dell’ormonesomatotropo ed è bassa l’attività catabolicadegli ormoni glicocorticoidi. In questo mo-mento della giornata l’organismo ha mag-giore tendenza a trasformare gli alimenti ingrasso ed a depositarlo. Bisogna quindi evi-tare amidi e grassi, se non si vuole ingrassa-re. In queste ore, non è bene mangiare ali-menti con attività antitiroidea (ad esempio icavoli), che deprimerebbero ulteriormenteuna già bassa azione della tiroide: per questoniente cavoli a merenda. Le ore dimagranti,

durante le quali si ha una minore tendenza adepositare l’energia come grasso soprattuttosottocutaneo, sono quelle della prima metàdella giornata: dal mattino fino all’inizio delpomeriggio. Chi è a dieta deve, soprattutto amezzogiorno non deve abusare dei grassi.Questi, infatti, hanno sempre una digestionelenta di quattro ed anche sei ore e quindi,anche se ingeriti tra le tredici e le quattordi-ci, arrivano facilmente alle ore della sera, in-grassanti. Quanto esposto, non deve far di-menticare l’importanza della dieta nel suocomplesso. Una distribuzione modulata de-gli alimenti nell’arco della giornata può in-dubbiamente favorire l’utilizzazione di unabuona dieta e contribuire ad un elevato be-nessere, ma non può correggere errori diete-tici globali. La cronodietetica deve essereinoltre utilizzata per gli aspetti positivi ecioè per migliorare la nutrizione, non per gliaspetti negativi. Un’alterata distribuzionedegli amidi a rapida digestione ed una loroconcentrazione nel pomeriggio, quando vi èuna minore attività insulinica, può ad esem-pio favorire un diabete della sera. La crono-dietetica, pur seguendo schemi generali, su-bisce importanti modulazioni, che ciascunodeve imparare a riconoscere, per giungere adapplicazioni personali. Pur non escludendoche, attraverso l’abitudine, anche i bioritmipossano modificarsi e spostarsi, non bisognadimenticare i danni che vi sono nel nutrirsinelle ore che non coincidono con quelle del-l’orologio interno e che quindi sono da con-siderare vere e proprie “ore sbagliate”.

La vita regolata dal tempo, dal ciclo solare e lunareLe migrazioni umane erano regolate dallestagioni. Non molto sappiamo di queste mi-grazioni antichissime, alcune delle qualihanno lasciato tracce nelle transumanze del-le greggi. Molto di più sappiamo dei ritmidelle attività agricole e, di conseguenza, diquelli dell’alimentazione tradizionale. Se viera un’alimentazione stagionale, non dipen-

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 185

Page 185: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

deva soltanto dal clima, ma anche dallo stiledi vita che variava con le stagioni.Qual è l’attuale situazione? Non è tanto ilproblema (ma è poi vero?) che le stagioni sia-no cambiate e non sono più quelle di una vol-ta. Il problema vero è che ora viviamo quasiallo stesso modo d’inverno o d’estate. Stili divita uniformi richiedono un’alimentazioneuniforme, facendo scomparire la necessità diun’alimentazione stagionale. O almeno cosìpotrebbe sembrare. Una vita sempre ugualeed un’alimentazione uniforme, a parte la noia,rischiano di produrre inconvenienti. Un siapure minino errore alimentare può lentamen-te accumularsi e dare origine ad inconvenien-ti. Questo non avviene con un’alimentazionecontinuamente variata, nella quale eccessi esquilibri momentanei si equilibrano con quel-li precedenti o successivi. In modo analogo, icontinui cambiamenti inducono l’organismoa reagire e ad adattarsi in una specie di ginna-stica alimentare, utile e salutare.

Linee d’alimentazione stagionale modernaNessuno oggi si sognerebbe di consigliare

un’alimentazione come quella dei costruttoridi cattedrali o come quella dei contadini cheall’inizio di questo secolo lavoravano sodonei campi. Un’alimentazione che era riccad’energia, senza provocare pericolosi deposi-ti, ad esempio di colesterolo. L’alimentazio-ne deve essere equilibrata per quanto riguar-da la quantità d’energia (calorie), in rapportoal proprio peso reale ed a quello che si vuoleraggiungere. Ogni stagione deve quindi ave-re il suo tipo d’alimentazione. Ogni alimen-tazione, inoltre, esige una cucina e ritmi ali-mentari adeguati.

Bibliografia

Connor Johnson B. Nutrient intake as a time signalfor circadian rhythm. J. Nutr. 122, 1753-1759,1992

Natali G., Casale R., Cialente M. et alii. La crono-biologia in medicina, oggi. Rec. Progr. in Med.,72, 577-581, 1982

Violante A., Fantoli U., Palombi M. et alii. Principidi cronobiologia e prospettive d’applicazione aiproblemi di nutrizione – Rec. Progr. in Med.,65, 449-466, 1978

186

Capitolo II

Parte II-Cibo e nutrizione 22-06-2005 11:16 Pagina 186

Page 186: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Patologia alimentare darwiniana

La medicina si occupa delle malattie e soloqualche utopista può ancora credere che lemalattie siano la conseguenza soltanto dellaciviltà, come è pura utopia credere che le ma-lattie scomparirebbero se si tornasse allo statonaturale o selvatico. Perché esiste la malat-tia? È una realtà ineliminabile? Non sonoqueste domande irrazionali, ma possonoavere una risposta se ripetiamo ciò che disseil famoso genetista Theodosius Dobzhansky:“Nulla in biologia ha senso se non alla lucedell’evoluzione”.La medicina darwiniana od evoluzionista siinterroga sul perché l’organismo umano e lanostra società siano strutturati in modo taleda presentare fenomeni che sono o riteniamomorbosi. Il pensiero darwiniano offre la pos-sibilità di studiare le patologie in un contestopiù ampio. Inoltre è solo una medicina evo-luzionista che può affrontare in modo perti-

nente le patologie create od incentivate dal-l’uomo, con l’alimentazione o con i suoi stilidi vita.

Alla radice della rivoluzione biologicaNel magico ventennio che va dal 1859 al1879 furono gettati i semi che, germogliatiin tempi diversi, hanno rivoluzionato la bio-logia, la medicina e tutta la nostra vita, masopra tutto la nostra visione e comprensionedel mondo. È per opera Charles RobertDarwin (1809-1882), Louis Pasteur (1822-1895) e Claude Bernard (1813-1878) cheprende avvio una rivoluzione biologica, ini-zialmente misconosciuta, poi lenta e che og-gi si sta sviluppando con un ritmo acceleratoe quasi drammatico. Nel 1859 Ch. Darwinpubblicando On the origin of species cambiatutte le prospettive della biologia e, successi-vamente (1868), con lo studio sulle variazio-ni degli animali e delle piante in domestica-

187

C a p i t o l o I I I

Cibo e malattie: argomenti di patologiaalimentare darwiniana

Perché il cibo può farci male? Com’è possibile che le cose che piacciono sono anche vietate, fanno maleod ingrassano, come ha affermato Oscar Wilde? Di fronte ai rischi da cibi si è diffuso il dubbio, oggila certezza, che una parte delle risposte sono in noi, anzi nei nostri geni. Il cibo è uno dei tramiti delnon facile ed ancora poco conosciuto rapporto tra l’ambiente ed i nostri geni ed importanti sono letrasformazioni dei cibi attraverso la cucina, inventata anche per renderli adatti ad una genetica co-struita per stili di vita ancestrali e diversi dagli odierni.È anche nel nostro passato genetico che dobbiamo cercare l’origine di molti mali alimentari, in quel-la che è stata denominata Patologia Alimentare Darwiniana od Evoluzionista.Molto della patologia alimentare, ma anche della nostra alimentazione e nutrizione, sarà da rive-dere. Alcuni capitoli sono già ben delineati, altri iniziano ad abbozzarsi.

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 187

Page 187: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

zione, apre nuove prospettive all’agricolturaed allevamento del bestiame. L. Pasteur trail 1877 ed il 1878 (ricerche sul carbonchioematico del bestiame e sulla sepsi puerperaledell’uomo) apre insospettati, nuovi orizzontisulle malattie infettive degli animali e del-l’uomo. Cl. Bernard pubblicando l’Introduc-tion à l ’étude de la médecine éxperimentale(1865) e La science éxperimentale (1878) ri-voluziona la medicina, introducendo il me-todo sperimentale. I tre “pensieri”, darwinia-no, pasteuriano e bernardiano, hanno cam-biato radicalmente il volto della biologia edella medicina, anche attraverso successivefiliazioni. Non vi sarebbe stata infatti unagenetica senza un precedente abbattimentodella idea della fissità delle specie. Senzal’introduzione del metodo sperimentale nonsi sarebbe sviluppata la biologia molecolare.Nella medicina non vi sarebbe stato uno svi-luppo certo e progressivo e non soltanto unacontinua e sterile diatriba su teorie o sistemimedici.Oggi stiamo assistendo ad una sempre piùstretta interazione tra i pensieri darwiniano,pasteuriano e bernardiano, una interazioneche sta dando una accelerazione alla rivolu-zione biologica in atto e che fa sorgere nuo-ve discipline ed al tempo stesso modifica,spesso in modo radicale, discipline già con-solidate. È il caso della Patologia Nutrizio-nale Darwiniana od Evoluzionista.

Malattie alimentari ed evoluzione biologicaLa medicina si occupa delle malattie e soloqualche utopista può ancora credere che lemalattie siano la conseguenza soltanto dellaciviltà, come è pura utopia credere che lemalattie scomparirebbero se si tornasse allostato naturale o selvatico. Perché esiste lamalattia? È una realtà ineliminabile? Nonsono queste domande irrazionali, ma posso-no avere una risposta se teniamo a mente ciòche disse il famoso genetista TheodosiusDobzhansky: “Nulla in biologia ha senso senon alla luce dell’evoluzione”.

La biologia darwiniana è divenuta la basescientifica di tutta la biologia ed è sorpren-dente costatare come solo recentemente, sal-vo qualche eccezione e tentativo, la biologiadarwiniana od evoluzionista cominci ad es-sere considerata anche la base della medici-na. Lo studio dei problemi medici, sviluppa-ti nel contesto della biologia darwiniana,prende il nome di medicina o patologiadarwiniana.Gran parte della ricerca medica è stata econtinua ad essere rivolta alla ricerca dellecause delle malattie, ai sistemi di una lorodiagnosi, cura e prevenzione. Questa ricercaè stata e viene sviluppata in base al pensieropasteuriano (per le cause infettive), mentreper le altre cause e condizioni vi è stata l’ap-plicazione del metodo sperimentale, quindisecondo il pensiero bernardiano, completatodal metodo clinico. Gli indubbi successi chesono stati e vengono ottenuti riguardano sial’individuo (clinica individuale) che i gruppidi individui (clinica delle popolazioni). Pro-prio in conseguenza dei successi che sonostati ottenuti, di fronte ad un proliferare dinuove malattie, alcune volte prevedibili, co-me le malattie della civilizzazione od indu-strializzazione, ed altre imprevedibili, comele nuove infezioni o le infezioni dell’avveni-re, peraltro già preconizzate, oggi divienesempre più inquietante l’interrogativo delperché esista ancora la malattia e sopra tuttoperché la medicina tradizionale non sia riu-scita a sconfiggerla.Tradizionalmente la medicina affronta i pro-blemi prendendoli come questioni contin-genti e studiando i meccanismi fisiologici epatologici, come se fossero sempre esistiticome tali. La medicina darwiniana od evolu-zionista si interroga invece sul perché l’orga-nismo umano e la società umana siano strut-turati in modo tale da presentare fenomeniche sono o riteniamo morbosi. Il pensierodarwiniano offre la possibilità di studiare lepatologie in un contesto più ampio. Inoltre èsolo una medicina evoluzionista che può af-

188

Capitolo III

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 188

Page 188: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

frontare in modo pertinente le patologiecreate od incentivate dall’uomo, anche conl’alimentazione od i suoi stili di vita.

Categorie di malattie e medicina darwinianaMalattie, patologie, sintomi morbosi o rite-nuti tali, considerati dalla medicina evolu-zionista, possono essere riuniti in un relati-vamente piccolo numero di categorie, consi-derando anche le ragioni evolutive dell’esi-stenza di imperfezioni organiche o, meglio,di una loro non corretta correlazione con lecondizioni ambientali.In primo luogo vi sono condizioni conside-rate spiacevoli, se non negative, come il do-lore, la febbre, la tosse, il vomito che non sipossono considerare vere e proprie malattieo difetti dell’organismo, anzi sono elementipositivi ed assolutamente necessari. Infatticostituiscono sofisticati e specializzati mec-canismi di difesa, sviluppati e mantenutidall’evoluzione secondo il principio dell ’al-larme. Un buon sistema di allarme, quindidi difesa, deve inoltre dare un segnale forte,che deve scattare già di fronte ad un perico-lo di basso livello. Per questo il dolore cau-sato da una frattura ossea deve essere inten-so, per indurre la persona a rimanere immo-bile e permettere un consolidamento ed unaguarigione. Il principio dell’allarme spessosi associa a meccanismi di difesa, come è adesempio il caso della febbre, che per questosono stati selezionati e non possono venireeliminati. È inoltre interessante rilevare co-me un esame comparato, in chiave evolu-zionista permette di meglio comprendere ilsignificato dei singoli segnali e, ad esempio,come il vomito serve ad espellere un ali-mento incongruo, permettendo di superareparte dei rischi tossici alimentari. Altrettan-to importante è la conoscenza di come lafebbre (che non è soltanto ipertermia, anchese questa, negli animali omeotermi, ne èuna delle manifestazioni principali, ma noncostante) si sia evoluta ad iniziare dagli ani-mali così detti eterotermi, e di come inter-

venga come meccanismo di difesa.In secondo luogo il contatto di un indivi-duo, di una famiglia o di una popolazionecon organismi più o meno estranei, sianoquesti un virus, un batterio od un parassita,è una costante nel mondo naturale, soggettaalla selezione di entrambe i partner del con-tatto, che tendono a sviluppare specifici espesso sofisticati sistemi: prima di sopravvi-venza, poi di convivenza. Attraverso una in-terpretazione darwiniana è possibile render-si conto, e quindi valutare in modo corretto,come il rapporto tra l’uomo e altri organi-smi passi dalla simbiosi al commensalismo,poi al parassitismo più o meno innocuo, fi-no alla patologia conclamata. In modo ana-logo ed attraverso la conoscenza delle muta-zioni e loro selezioni, ci si può rendere con-to delle variazioni di virulenza degli agentiinfettivi.Alcune circostanze ambientali, ivi compresal’alimentazione, sono invece relativamenterecenti nella storia della nostra specie, percui la selezione darwiniana non ha avuto lapossibilità d’intervenire. Altrettanto intensee rapide sono state le modificazioni chel’uomo ha portato negli alimenti, da quandoha iniziato a produrli con le tecniche agri-cole e d’allevamento, e con la selezione deivegetali e degli animali.La nostra specie è il risultato di una serie dicompromessi fra i benefici ed i costi di uncarattere genetico, intrinseco od estrinseco.Classico è l’esempio del compromesso che viè tra immunità organica della madre e im-munità trasmessa al neonato, compromessoche è stato rotto dalla anormale riduzionedel periodo d’allattamento al seno.Un approccio medico darwiniano od evolu-zionista, in ambito di metodo sperimentale,porta a nuove prospettive, in particolare pergli aspetti clinici. Senza indicare tutte le ap-plicazioni e relativi dettagli, sono utili le se-guenti puntualizzazioni.Nell’ambito della specie umana, non esisteuna tipologia d’individuo normale, ma solo

189

Cibo e malattie

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 189

Page 189: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

una biodiversità che ruota attorno ad un cer-to equilibrio, risultato di un lunghissimoprocesso evolutivo governato dalla selezionenaturale. Obiettivo della medicina è di non al-terare l ’equilibrio ottenuto, mentre la clinicadeve anche tenere presente le peculiarità dei sin-goli individui.Ogni popolazione umana è un insieme dicompromessi, quasi sempre delicati e rag-giunti con un lungo processo di selezionein condizioni diverse. Gli interventi devonotenere sempre conto dei compromessi raggiunticercando nuovi equilibri in relazione sia dellagenetica che dell ’ambiente, in questo compren-dendo anche l ’alimentazione.Fine della vita e quindi della selezione na-turale è la sopravvivenza della informazionegenetica (“egoismo del gene”). Con i nuovistili di vita, l ’uomo tende a sostituire il pro-prio “egoismo” all ’”egoismo del gene”, sconvol-gendo delicati equilibri ottenuti da una lungaselezione naturale.Alcuni geni che causano malattia, possonoanche portare benefici. Nota è ad esempionell ’uomo la maggiore resistenza all ’infezionemalarica indotta dal gene della talassiemia.Alcuni geni possono causare malattie soloin seguito all’interazione con nuovi fattoriambientali o alimentari. In quest ’ambitorientrano molte delle “malattie condizionate”dalla alimentazione, ambiente e stili di vita.La selezione naturale riguarda condizioniche possono essere trasmesse con la ripro-duzione, quindi non quelle che potrebberomanifestarsi oltre questo periodo. In questoambito rientra ad esempio la longevità, se nonassociata ad altri caratteri, come sembra esserequello di una persistente normalità nel tempodel sistema immunitario.Le malattie non sono una conseguenza ob-bligata della selezione naturale, ma moltipunti deboli che rendono vulnerabili allemalattie lo sono. Non è quindi da ritenerepossibile la scomparsa delle malattie per unaresistenza genetica, anche se è interessante lapossibilità di elevate capacità di immunizza-

zione verso agenti patogeni infettivi, ancheattraverso l ’alimentazione e di mantenerli ef-ficienti nel tempo (terza e quarta età).La selezione naturale tende a creare mecca-nismi di difesa, secondo il principio dell’al-larme, manifestazioni utili per la specie mache, in taluni casi, portano a sofferenzeinutili per l’individuo. È il caso di molte rea-zioni dolorifiche, di alcuni sintomi di febbreecc.La scomparsa di obiettivi ai quali erano in-dirizzati meccanismi di difesa specifici, de-rivati dalla selezione naturale, può portare anuove patologie. È il caso delle difese antipa-rassitarie, incentrate sulla produzione di im-munoglobuline di tipo E e di leucociti polinu-cleati eosinofili, che in animali senza parassitisi indirizzano ad antigeni corpuscolati o ali-mentari, dando origine ad allergie.La virulenza di un patogeno è una caratte-ristica che può aumentare o diminuire, conuna velocità che è sempre superiore a quelladegli organismi ospiti. I sintomi di un’infe-zione possono risultare utili al patogeno,all’ospite od a nessuno dei due. La malattiaè un evento inevitabile in relazione al modoin cui gli organismi sono plasmati dall’evo-luzione. Le epidemie moderne, come quelledel passato, sono probabilmente causatedallo squilibrio fra la costituzione fisiologi-ca degli organismi e le caratteristiche del-l’ambiente di vita. La resistenza dei micror-ganismi ai farmaci antimicrobici, e sopratutto agli antibiotici, in particolare la mul-tiresistenza, sono espressioni di una sele-zione naturale di fronte ad una nuova, ele-vata concentrazione di molecole già presen-ti in natura od a queste simili. La comparsae lo sviluppo di nuove infezioni è quindi ine-vitabile.Per ciascuna malattia è necessario trovareuna spiegazione evolutiva sul perché la no-stra specie è recettiva o resistente. Solo at-traverso una interpretazione evoluzionisticadelle patologie e dei fenomeni morbosi è possi-bile ipotizzare ciò che utile o non utile alla

190

Capitolo III

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 190

Page 190: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

specie (collettività) ed all ’individuo, quindiintervenire nella profilassi (specie, collettività)e nella terapia (individuo).

Specifiche raccomandazioni cliniche (anchedi tipo alimentare) si devono basare su studiclinici specie-specifici. La selezione mantiene

191

Cibo e malattie

Malattie dovute ad errori alimentari. Relazione sullo stato dei lavori nel campo della nu-trizione in Europa (luglio 2003)

Malattie Fattori di rischio alimentare

Ipertensione arteriosa Insufficiente consumo di frutta e verduraEccessivo consumo d’alcoleEccessivo consumo di sale

Malattie cerebro- e cardio-vascolari Insufficiente consumo di frutta e verduraEccessivo consumo di acidi grassi saturiConsumo insufficiente di alimenti ricchi di fibre

Cancri (soprattutto colon, seno, Consumo insufficiente di frutta e verduraprostata e stomaco) Eccessivo consumo di alcole

Eccessivo consumo di saleConsumo insufficiente di alimenti ricchi di fibreScarsa attività fisica e sovrappeso

Obesità Eccessiva assunzione di calorieScarsa attività fisica

Diabete tipo 2 (non insulinodipendente) ObesitàInsufficiente attività fisica

Osteoporosi Insufficiente consumo di calcioInsufficiente introduzione o produzione di vitamina DScarsa attività fisica

Carie dentale Consumo frequente di carboidrati fermentabili e alimenti o bevande zuccherate

Erosione dentale Consumo di cibi, frutta o bevande acide

Malattie da carenza di iodio Consumo inadeguato di pesce o di alimenti iodati

Nascite premature e basso peso alla Assunzione inadeguata di sostanze nutrienti connascita l’alimentazione

Anemia da carenza di ferro Assunzione di ferro carente od assenteScarso consumo di frutta, verdura e carne

Difetti di sviluppo del tubo neurale Insufficiente assunzione di acido folico (folato)(spina bifida) Consumo insufficiente di frutta e verdura

Ridotta resistenza alle infezioni Consumo insufficiente di frutta e verduraInsufficiente assunzione di micronutrientiInadeguato allattamento al seno

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 191

Page 191: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

una variabilità genetica, per cui le reazioni del-le diverse linee genetiche ed individui possonoessere differenti. Le attività cliniche, dalla dia-gnosi alla terapia, senza dimenticare la dieteti-ca, devono tenere conto di questa variabilità ebiodiversità.Bloccare le difese comporta costi e benefici.Le difese evolutive ed i difetti fisiologici so-no due manifestazioni fondamentalmente di-verse della malattia. Le difese evolutive sonoselezionate dal “gene egoista” a vantaggio dellasua sopravvivenza, che non sempre coincide conil vantaggio cercato dall’uomo.Gli approcci basati solo sulla teoria non han-no base scientifica e possono causare danni(dall’inefficacia al danno vero e proprio).

Bibliografia

Grmek M.D. Le malattie all’alba della civiltà occi-dentale. Il Mulino, Bologna, 1985.

Grmek M. D. Préliminaires d’une étude historiquedes maladies. Ann. E.S.C. 24, 1437, 1969.

Lappe M. Evolutionary Medicine. Rethinking theOrigins of Disease. Sierra Club Books, SanFrancisco USA, 1994

McNeill W.H. Plagues and Peoples. Garden City,Anchor Books, New York, 1976

Nesse R.M., Williams G.C. Why We Get Sick:The New Science of Darwinian Medicine. TimeBooks, New York, 1994 (Trad. italiana. Perché ciammaliamo. Einaudi, Torino, 1999)

Trevathan W.R., Smith E.O., McKenna J.J. (Eds.).Evolutionary Medicine. Oxford UniversityPress, New York, Oxford, 1999

192

Capitolo III

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 192

Page 192: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

MALATTIE DA CIBI PERICOLOSI EDALIMENTAZIONE DARWINIANA

Non sono rare le persone od intere popola-zioni che non accettano alcuni cibi, graditiinvece da altri, un fenomeno che non èesclusivo della specie umana: le avversionialimentari hanno radici profonde che il pen-siero darwiniano aiuta a comprendere.Non tutti i cibi sono adatti e non è solo col-pa loro, ma dell’organismo che non ha la ca-pacità di digerirli. Anche per questo l’uomoha sviluppato la cottura e la fermentazionedei cibi.Oggi le allergie, soprattutto alimentari sonoall’ordine del giorno, anche per un alteratorapporto tra genetica e cibo.L’agricoltura ha sviluppato cereali che, in in-dividui geneticamente predisposti, provoca-no disturbi, il più importante dei quali è laceliachia, che ha un’interpretazione geneticache rivaluta la cucina tradizionale, nata as-sieme all’agricoltura.

Avversioni alimentari: quando un cibo nonpiace

De gustibus non est disputandum. Sui gu-sti non si discute, ma non sono rare le personeod intere popolazioni che non accettano alcu-ni cibi, graditi invece da altri, un fenomenoche non è esclusivo della specie umana. Leavversioni alimentari non sono soltanto ma-nifestazioni estetiche, ma hanno radiciprofonde che l ’alimentazione darwinianaaiuta a comprendere.

Avversioni alimentari e l ’insegnamento socialedei topi & C.Precise osservazioni indicano che le diversecolonie di topi, ratti, ma anche di gatti ed’altre specie di mammiferi con una buonasocialità, hanno alimentazioni diverse e so-prattutto escludono alcuni cibi. L’avversionealimentare per cibi specifici non è un feno-

meno solo umano, ma preumano e già pre-sente negli animali. Il motivo è il vantaggioche comporta, soprattutto sulla sicurezza delcibo. Quando un animale, dopo aver assag-giato un cibo nuovo, non si sente bene, haun ricordo che lo porta ad evitarlo una se-conda volta. In talune specie animali, adesempio nei ratti, l’individuo che non è statobene segnala il suo malessere agli altri e l’av-versione alimentare tende a divenire più omeno collettiva, stabile e trasmissibile.Nelle avversioni alimentari, uno o più ali-menti, peraltro sani e perfettamente norma-li, suscitano reazioni di rigetto. Vi sono duegrandi categorie d’avversioni alimentari: conuna base organica e con un’origine culturale.Entrambe le forme, ma soprattutto le prime,sono caratterizzate da un sintomo: la nausea,alla quale, nelle forme più gravi ed intense, siassocia il vomito. La nausea ed il vomito so-no due importanti meccanismi di difesa: lanausea impedisce di assumere cibi non rite-nuti idonei, il vomito espelle dall’organismocibi non adatti.

Avversioni alimentari organicheTra le più note avversioni alimentari su baseorganica vi sono quelle connesse a malattiedello stomaco o dell’intestino, di tipo transi-torio (ad esempio un’infezione influenzale) edi tipo cronico, queste ultime anche da ma-lattie diverse al di fuori dello stomaco ed in-testino (fegato ecc.). In tutti questi casi l’or-ganismo si difende da alimenti che non sonoadatti alle sue condizioni, come cerca altricibi adatti, attraverso il meccanismo delle fa-mi specifiche o delle voglie alimentari. Uncaso particolare nel quale avversioni alimen-tari con nausea e vomito si associano a famispecifiche (voglie alimentari), è l’inizio dellagravidanza, quando l’organismo tende a pro-teggere la fase più delicata dello sviluppoembrionale ed a fornire al prodotto del con-cepimento nutrienti specifici. L’assunzionedi un determinato cibo in concomitanza diuna malattia gastrointestinale, spesso acuta,

193

Cibo e malattie

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 193

Page 193: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

può anche far collegare quel cibo alla malat-tia stessa. Se questo collegamento è memo-rizzato, può dare avvio ad un’avversione ali-mentare individuale di tipo culturale, nelgiovane anche attraverso un imprinting ali-mentare.

Avversioni alimentari culturaliSi è già accennato come un disturbo indivi-duale possa dare avvio ad un’avversione ali-mentare, tale da indurre nausea al solo odoredi quell’alimento o vomito se è accidental-mente ingerito. Tutto questo avviene senzache il cibo abbia alcunché d’anormale, anziad altre persone sia molto gradito. In modoanalogo, la prolungata e totale esclusionedall’alimentazione d’alcuni cibi, soprattuttose avviene per motivi culturali e religiosi (re-ligioni fideistiche o laiche - ad esempio car-ni d’animali considerati impuri, carne di ca-vallo o di cane ecc.) ed in larghi strati se nonin tutta una popolazione, può condurre adun’avversione che si manifesta anche connausea e perfino con il vomito, se acciden-talmente uno di questi alimenti fosse man-giato. È in quest’ambito che è stata coniatala frase “buono da pensare, buono da man-giare”.

Prevenzione delle avversioni alimentariPrima d’intervenire sulle avversioni alimen-tari bisogna fare una precisa diagnosi e di-stinguere il tipo d’avversione: se organica oculturale. Nel primo caso bisogna distingue-re la malattia dai sintomi (nausea, vomitoecc.) dovuti a malattie organiche. In que-st’ultimo caso è il medico che deve curare lamalattia ed, entro certi limiti, rispettare ilsintomo (nausea e vomito). Nell’avversionealimentare delle gravide, solo in casi partico-lari si devono usare farmaci, ricordando ilben noto incidente della talidomide: è invecepiù importante valutare l’alimentazione ecorreggere eventuali carenze di vegetali, vi-tamine ecc. Nelle avversioni alimentari cul-turali individuali da esperienze negative av-

verse, dopo aver valutato i rischi ed i benefi-ci, è possibile intervenire con un’adeguatapsicoterapia ed un’opportuna educazionealimentare. Nelle avversioni alimentari col-lettive di tipo culturale, è necessario valutarela reale situazione sociale ed, in genere, nonè necessario intervenire, anzi sotto il profiloumano sarebbe dannoso farlo. Le avversionialimentari dovute a specifiche molecole con-tenute negli alimenti (ad esempio la caffei-na, che non è gradita a coloro nei quali pro-voca insonnia) sono considerate nel capitolodedicato alle azioni farmacologiche degli ali-menti.

Avversioni alimentari e patologia alimentaredarwinianaL’evoluzione biologica prima e culturale poisono interessanti e per molti aspetti indi-spensabili chiavi di comprensione dei feno-meni considerati in questo capitolo. Già al-l’inizio sono state indicate le basi biologichedel fenomeno. Da un punto di vista praticosono necessari due brevi considerazioni, sen-za dimenticare che vi sono più o meno stret-te relazione con le intolleranze. Quando vi èun’intolleranza è, infatti, facile si sviluppianche un’avversione e viceversa, per il feno-meno della mancata induzione enzimatica.Da un punto di vista generale, l’introduzionein una popolazione di un nuovo cibo deveessere fatta sempre con cautela, soprattuttose è usato crudo o poco cotto. Da un puntodi vista individuale, se vi è un’avversione ver-so un cibo, si può decidere di eliminarlo dal-la dieta, oppure tentare di superare il proble-ma con diversi interventi, sia biologici sia,soprattutto, psicologici. In ogni caso è ne-cessario risalire alla causa.

Bibliografia

Anonimo. Allergie e intolleranze alimentari. Ali-mentazione e Prevenzione, 1, 69-70, 2001

Capron A., Dessaint J.P. Chemical Immunology,June 1990

194

Capitolo III

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 194

Page 194: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Harris M., Ross E. Food and Evolution: Toward aTheory of Human Food Habits. Temple Univer-sity Press, Philadelphia, USA, 1987

Lappe M. Evolutionary Medicine. Rethinking theOrigins of Disease. Sierra Club Books, SanFrancisco USA, 1994

McNeill W.H. Plagues and Peoples. Garden City,Anchor Books, New York, 1976

Nesse R.M., Williams G.C. Why We Get Sick:

The New Science of Darwinian Medicine. TimeBooks, New York, 1994 (Trad. italiana. Perché ciammaliamo - Einaudi, Torino, 1999)

Profet M. The function of allergy: immunologicaldefence against toxin. Quarterly Review of Bio-logy, 66, 23 - 1991

Trevathan W.R., Smith E.O., McKenna J.J. (Eds.).Evolutionary Medicine. Oxford UniversityPress, New York, Oxford, 1999

195

Cibo e malattie

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 195

Page 195: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Intolleranze alimentari: quando si rompeun equilibrio tra geni e cibo

Non tutti i cibi sono adatti, ma oggi ci si staaccorgendo che non è solo colpa loro, ma an-che dell’organismo che non ha la capacità didigerirli. Per questo l’uomo, quando con l’a-gricoltura ha sviluppato la produzione di ta-luni alimenti, ha inventato la cucina con lacottura e le fermentazione dei cibi.

Enzimi sulla via del ciboSalvo alcuni casi particolari, il cibo non è undono, ma deve essere conquistato. L’erbanon cresce per essere mangiata dalla gazzellae questa non si è sviluppata per essere cibodel leone. Anzi ogni specie si difende pernon diventare preda e cibo di un’altra. Sullastessa linea, ogni specie ed ogni individuodevono sviluppare sistemi specifici per supe-rare le difese di chi non “vuole” diventare ci-bo, e deve trasformare il cibo in nutriente.Per questo tutti i cibi devono essere digeriti,attraverso una serie d’interventi di diversotipo ed in particolare con l’uso d’enzimi di-gestivi. Si calcola che l’organismo umano siadotato di circa duemila enzimi digestivi, aiquali si devono aggiungere gli enzimi deibatteri presenti nel suo intestino. Con questienzimi gran parte del cibo è scisso nei suoielementi fondamentali (aminoacidi, zuccherisemplici, acidi grassi e glicerina, acidi grassivolatili ecc.) che sono assimilabili ed utiliz-zati dall’organismo. Il corredo enzimaticodigestivo è l’espressione di una lunghissimastoria biologica di selezione e d’adattamentotra la genetica e l’alimentazione, con la fina-lità di adeguare la prima alla seconda. Lastoria biologica si è sviluppata con la sele-zione naturale, ma anche con modulazionilocali. Se una popolazione si è sviluppata inun’area nella quale era abbondante un certotipo di vegetali, è risuscita a selezionare en-zimi adatti a digerire tali alimenti. Nell’am-bito della specie umana vi sono quindi delleinevitabili variazioni, che si manifestano so-

prattutto quando in una popolazione è in-trodotto un alimento al quale non era abi-tuata. È il caso della soia, un cibo che le po-polazioni asiatiche hanno sviluppato nel cor-so dei millenni e che risulta nuovo per le po-polazioni umane occidentali. L’opposto è av-venuto per il latte. Sulla base dei due esempicitati, si può comprendere come le popola-zioni occidentali possano manifestare un’in-tolleranza alla soia e quelle asiatiche al latte.La mancanza di un enzima e quindi l’intol-leranza per un alimento, almeno in un qua-dro più ampio, non è sempre dannosa, comedimostra il caso del favismo, esaminato inun altro capitolo. Il problema è complesso,in quanto il meccanismo genetico si comple-ta con quello dell’induzione enzimatica. Valea dire che un certo tipo d’alimento può ma-nifestare la capacità di far esprimere o dimantenere nel tempo la produzione di unenzima digestivo. L’uomo, diversamente da-gli animali, è riuscito ad ampliare la sua ali-mentazione non soltanto modificando la suabiologia (selezione naturale), ma modifican-do il cibo, con l’intervento culturale della cu-cina ed utilizzando la cottura e la fermenta-zione degli alimenti.

Digestione ed intolleranze alimentariNon bisogna confondere le intolleranze ali-mentari con le allergie alimentari (oltre esa-minate). Tuttavia è stata una migliore cono-scenza delle seconde che ha portato all’indi-viduazione ed alla migliore comprensionedelle prime. Di conseguenza i casi d’intolle-ranza alimentare sono aumentati di frequen-za e gravità, in modo quasi spettacolare. Unasituazione che può avere una corretta inter-pretazione solo in un quadro d’alimentazio-ne evoluzionista. Infatti, dipende dalla man-cata correlazione tra l’alimento da una parte,e le capacità e possibilità digestive dall’altrache, in buona parte, sono o possono esseredeterminate dal patrimonio genetico.Oltre alle allergie alimentari propriamentedette, dobbiamo distinguere diverse catego-

196

Capitolo III

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 196

Page 196: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

rie di fenomeni: intolleranze alimentari, av-versioni alimentari (esaminate nel precedentecapitolo) ed azioni farmacologiche di tipo ista-minico d’alcuni alimenti.Le intolleranze alimentari sono dovute adun’insufficiente digestione degli alimenti,eventuale successiva loro fermentazione, conaccelerato transito nell’apparato digestivo edespulsione di feci in quantità anormale espesso alterate. Gli alimenti, per trasformarsiin nutrienti e quindi essere correttamenteutilizzati, sono sottoposti ad una serie diprocessi: a) meccanici (masticazione ecc.), b)chimici da parte degli acidi e degli alcali del-lo stomaco ed intestino, c) ma soprattutto daparte d’enzimi, che scindono gli alimenticomplessi in molecole molto semplici (glu-cosio, aminoacidi, acidi grassi e glicerolo,ecc.). Se uno o più alimenti non sono digeri-ti, già nel primo tratto dell’intestino (intesti-no tenue), ma soprattutto nel secondo trattodell’apparato digerente (grosso intestino)possono andare incontro a fermentazione daparte dei batteri intestinali. In conseguenzaall’anomala presenza d’alimenti non digeritie fermentati dai batteri intestinali, possonoconseguire alterazioni nella normale floramicrobica intestinale. La fermentazione delcibo indigerito da parte dei batteri intestina-li, porta alla liberazione di prodotti interme-di “tossici” (istamina, bradichinina, prosta-glandine, peptidi intestinali vasoattivi, am-mine biogene quali putrescina, cadaverina,oltre a composti di derivazione aminoacidicaquali l’indacano ecc.).Gli enzimi digestivi permettono all’uomo dinutrirsi di molti cibi, ma non di tutti. Adesempio l’uomo non può digerire la chitinapresente nei funghi e negli insetti, la lignina,la cellulosa e molti composti vegetali deglizuccheri. Vi sono inoltre degli enzimi dige-stivi che durante la vita permangono attra-verso il meccanismo dell’induzione enzimati-ca soltanto se, per il tipo d’alimentazione,sono utilizzati, altrimenti sono perduti.Questo è ad esempio il caso della lattasi, en-

zima che permette di digerire il lattosio,zucchero specifico del latte. La perdita dellacapacità di produrre enzimi digestivi specifi-ci può avvenire anche in seguito a malattieintestinali.

Intolleranze alimentari da carenze enzimaticheSono particolarmente interessanti alcune in-tolleranze alimentari per mancanza d’enzimidigestivi specifici e tra queste l’intolleranzaal latte (lattosio), al glutine ed a taluni zuc-cheri complessi.Intolleranza al latte - Nonostante tutte le sueimportanti attività, nella specie umana, co-me in altre specie, esiste un’intolleranza allatte, in particolare al lattosio, che dipendeda un’insufficiente quantità o dall’assenzanell’intestino di un enzima, la lattasi. Il latte,quale alimento, è stato esaminato nel prece-dente Capitolo II. Per quanto riguarda l’in-tolleranza al latte qui è utile ricordare comela lattasi, un enzima intestinale, scinde il lat-tosio del latte in glucosio e galattosio: duezuccheri semplici, che possono essere assor-biti dall’intestino. Se questo non avviene, illattosio richiama acqua ed aumenta il conte-nuto intestinale; inoltre è fermentato daibatteri del grosso intestino, con la produzio-ne d’acido lattico, molto irritante. Ne conse-guono gonfiori intestinali ed una diarrea aci-da, tipica dell’intolleranza. Come si era giàdetto, l’enzima lattasi è, di norma, presentenell’intestino del feto (a partire dalla venti-treesima settimana) ed ha la sua massimaconcentrazione nel neonato e nel bambinoallattato. Successivamente, a partire dal sestomese di vita, l’enzima diminuisce per rag-giungere, nell’adulto, valori di circa un deci-mo dell’attività enzimatica del neonato, po-tendo anche scomparire completamente.Quando manca la lattasi si ha intolleranza allatte che contiene lattosio (non ai latticini,che ne sono privi). L’intolleranza al lattosiopuò essere primaria o secondaria.Nella intolleranza primaria, l’assenza dellalattasi in ogni fase della vita (anche fetale e

197

Cibo e malattie

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 197

Page 197: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

neonatale) ha un’origine genetica ed è moltorara. Un rapido declino post-neonatale dellalattasi ed una sua completa scomparsa haun’origine genetica, che sembra collegata adue alleli, posti sul cromosoma 2. L’allele èrecessivo e gli omozigoti sono privi di latta-si. Per questo, in una popolazione, esiste unabuona correlazione tra la frequenza dell’alle-le e la percentuale di persone intolleranti allatte. Alcuni ricercatori suggeriscono anchel’esistenza di due fenotipi, per la carenza to-tale o parziale della lattasi negli adulti: as-senza dell’enzima lattasi o sua espressione amosaico (Maiuri e Raia, 1991; Maiuri eRossi, 1994). Nell’adulto, la mancanza dilattasi su base genetica, è denominata alacta-sia, e non può essere “ricuperata” con una“rieducazione” alimentare, sfruttando il mec-canismo dell’induzione enzimatica. L’alacta-sia ha un’incidenza molto diversa nelle po-polazioni umane: si passa dal 3% in Svezia eDanimarca, al 100% in Giappone e moltearee dell’Asia e Africa. In Italia, con diffe-renze tra settentrione e meridione, l’alactasiaè presente nel 40% della popolazione. Que-ste diverse percentuali sono da interpretaresecondo l’evoluzione della nostra specie. Lagenetica che corrisponde all’alactasia, con il100% d’intolleranza al latte nell’età adulta, èda ritenere “primitiva”. Invece la variante“persistenza della lattasi”, che determina latolleranza al latte, è da ritenere conseguenzadella selezione di una mutazione. Questa se-lezione sarebbe stata possibile od agevolatadall’alimentazione con latti fermentati, neiquali i batteri lattici, ed in particolare loStreptococcus termophilus, elaborano l’enzimamancante. Nella intolleranza secondaria, laperdita dell’enzima lattasi è secondaria a pa-tologie intestinali di diverso tipo e l’enzimapuò essere “ricuperato” con opportuna riedu-cazione alimentare.Intolleranza al glutine. Il glutine è una pro-teina contenuta nel frumento ed altre grami-nacee, quindi nel pane e nella pasta ed intutti gli altri alimenti preparati con farina di

grano. Nelle persone intolleranti al glutinecompare il Morbo Celiaco o Celiachia, con-siderato in un successivo capitolo.Intolleranza a taluni zuccheri complessi. Inmolte frutta sono presenti zuccheri comples-si, ad esempio il sorbitolo, che non sono di-geriti per mancanza d’enzimi specifici e per-tanto, come avviene per il lattosio del latte,arrivati nel grosso intestino sono fermentati,dando origine a prodotti di fermentazioneche, per essere eliminati, causano motilitàintestinali e modica diarrea. È il caso adesempio delle prugne che possono servire,nelle persone intolleranti ai loro zuccheri, dalassativo.

Prevenzione delle intolleranze alimentari e patologia alimentare darwninianaNon esiste un sicuro ed efficace trattamentospecifico delle intolleranze alimentari da ca-renze enzimatiche. Dopo una precisa dia-gnosi è possibile tentare una rieducazioneattraverso la somministrazione continua dipiccole quantità dell’alimento, sperando nel-la ripresa di produzione dell’enzima attra-verso il meccanismo della citata induzioneenzimatica. Una volta individuata la malat-tia, il sistema migliore è di sostituire l’ali-mento o gli alimenti incriminati con altritollerati. Ad esempio il latte può essere so-stituito con latte delattosato, latte fermenta-to, formaggi. Il glutine può essere evitato so-stituendo gli alimenti preparati con farine dicereali, con riso, patate ecc.L’evoluzione biologica e culturale sono un’in-teressante e per molti aspetti indispensabilechiave di comprensione dei fenomeni consi-derati in questo capitolo. Per quanto riguardale intolleranze enzimatiche, già all’inizio sonostate considerate le basi biologiche del feno-meno. Da un punto di vista pratico sono ne-cessarie alcune considerazioni. In un quadrogenerale, l’introduzione in una popolazionedi un nuovo cibo, deve essere fatta semprecon cautela, soprattutto se è usato crudo opoco cotto. Molti indizi fanno ritenere che la

198

Capitolo III

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 198

Page 198: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

cucina, come cottura degli alimenti o lorofermentazione, sia stata inventata dall’uma-nità per evitare od attenuare le intolleranzealimentari. Infatti, i trattamenti con il caloreed i processi fermentativi (ad esempio la lie-vitazione del pane, la produzione di latti aci-di, la stagionatura dei formaggi e delle carni)comporta una modificazione del cibo chepuò renderlo tollerabile. Da un punto di vistaindividuale, se vi è un’accertata intolleranzaverso un cibo, si può decidere di eliminarlodalla dieta, oppure di tentare di superare ilproblema con diversi interventi. Si possonocompiere trattamenti sul cibo (cottura, fer-mentazione ecc.) e per questo la soia bollitaed il latte fermentato sono tollerati rispetti-vamente dai popoli occidentali ed orientali.Si può anche tentare la citata strada di unarieducazione enzimatica, attraverso il mecca-nismo dell’induzione enzimatica. Non rara-mente il sistema funziona.

Bibliografia

Anonimo. Allergie e intolleranze alimentari. Ali-mentazione e Prevenzione, 1, 69-70, 2001

Anonimo. Allergie, trovato il gene dell’intolleranzaal latte. La Repubblica, 15 gennaio 2002 (p. 24)

Capron A., Dessaint J.P.Chemical Immunology,giugno 1990

Harris M., Ross E. Food and Evolution: Toward aTheory of Human Food Habits. Temple Univer-sity Press, Philadelphia, USA,1987

Johnson J.D., Simoons F.J., Hurwitz R. et alii.Lactose malabsorption among the Pima indiansof Arizona. Gastroenterol., 73, 1299-1304,1977

Johnson J.D., Simoons F.J., Hurwitz R. et alii. Lac-tose malabsorption among adult Indians of theGreat Basin and American Southwest. Am. J.Clin. Nutr., 31, 381-387, 1978

Lappe M. Evolutionary Medicine. Rethinking theOrigins of Disease. Sierra Club Books, SanFrancisco USA, 1994

McNeill W.H. Plagues and Peoples. Garden City,Anchor Books, New York, 1976

Nesse R.M., Williams G.C. Why We Get Sick:The New Science of Darwinian Medicine. TimeBooks, New York, 1994 (Trad. italiana. Perché ciammaliamo - Einaudi, Torino, 1999)

Profet M. The funcion of allergy: immunologicaldefense against toxin. Quarterly Review of Bio-logy, 66, 23 – 1991

Saragosa A. Digerire il latte: una questione di geni.L’intolleranza al lattosio viene dalla preistoria.Le Scienze, 2002 (p. 27)

Trevathan W.R., Smith E.O., McKenna J.J. (Eds.).Evolutionary Medicine. Oxford UniversityPress, New York, Oxford

199

Cibo e malattie

Differenze tra allergia ed intolleranza al latte

Latte Allergia Intolleranza

Fattore scatenante Proteine Lattosio

Sintomi Respiratori

Cutanei

Gastrointestinali Gastrointestinali

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 199

Page 199: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Allergie alimentari: conseguenze dellascomparsa dei parassiti

Un tempo rare e sconosciute, le allergie, so-prattutto quelle alimentari, sono oggi all’ordi-ne del giorno. L’aumento delle allergie sembratrovare una duplice origine: genetica umanache non si trova più a contrastare il naturaleambiente parassitario e cambiamenti nel mo-do di trattare i cibi. Nelle allergie alimentari,il rapporto tra genetica e cibo assume aspettievolutivi particolarmente interessanti, anchein una prospettiva di prevenzione.

Allergia, insidie di una denominazione genericaLe reazioni avverse agli alimenti possono es-sere classificate in eventi tossici ed eventinon tossici. Nella prima categoria sono in-cluse le reazioni che coinvolgono tutta la po-polazione, ad esempio l’avvelenamento dafunghi. Nella seconda sono raggruppatieventi che riguardano parte della popolazio-ne, i cosiddetti gruppi a rischio. Le allergierientrano tra gli eventi non tossici che colpi-scono un sempre più ampio gruppo a ri-schio. È indubbio che assistiamo ad un in-cremento, o per lo meno dedichiamo unamaggiore attenzione alle allergie alimentari.Non è certamente un caso, quindi, che giànel 1995 l’Unione Europea aveva deciso dimonitorare gli alimenti, gli ingredienti e gliadditivi che più frequentemente possonoprovocare allergie, finanziando l’EuropeanFood Intollerance Databanks Project, in altreparole l’istituzione di una banca dati in ognipaese europeo.

Le allergie, “invenzione” recenteLe allergie e l’anafilassi sono l’espressione diprocessi immunitari nei quali una sostanzaha il ruolo d’antigene, verso il quale l’organi-smo elabora degli anticorpi. Dalla reazionetra l’antigene e gli anticorpi derivano reazio-ni avverse.Quando sono iniziate le allergie umane? Unadomanda a prima vista impropria, se non

sconcertante, ma non tanto. Nel 1873, nellaprima descrizione della febbre da fieno, unadelle più comuni malattie allergiche - comeriferisce Bonini (2001) - il medico britanni-co Charles Blackley scriveva: “La febbre dafieno deve essere considerata una malattiadell’aristocrazia. Non vi è dubbio, infatti,che se la malattia non è del tutto confinataalle classi superiori della società, essa è benrara, se non del tutto sconosciuta, tra gli in-colti. Il Dr. Phoebus e altri riferiscono di ca-si che si sono verificati nella classe lavoratri-ce. Nella mia esperienza, non ne ho mai vi-sto uno, e neppure sono venuto a conoscen-za.” Bisogna quindi ritenere che la febbre dafieno, una malattia allergica da pollini, ana-logamente ad altre allergie, sia andata incon-tro in quest ’ultimo secolo ad unapatomorfosi, assumendo un carattere epide-mico in ogni strato sociale, gruppo etnico efascia d’età. I dati epidemiologici e socioeco-nomici mettono in evidenza una stretta cor-relazione tra la prevalenza delle allergie e lostato di benessere e l’alto livello igienico diuna popolazione. Nell’Unione Europea studiepidemiologici indicano che asma, rinite econgiuntivite allergica colpiscono dal 15 al30 per cento della popolazione. In Scozia leallergie negli scolari sono quadruplicate dal1964 al 1989, ed in Svizzera l’incrementonegli ultimi 66 anni è stato di circa 12 volte.Oggi negli USA circa il 20% della popola-zione è allergico e la percentuale è aumenta-ta del 75% dal 1890 al 1994.

Le allergie alimentariL’allergia alimentare è una reazione avversaagli alimenti, mediata dal sistema immunita-rio. Nelle intolleranze alimentari, alle quali èdedicato un altro capitolo, sono coinvoltimeccanismi patogenetici diversi dall’allergia(carenze enzimatiche, recettoriali ecc.). L’al-lergia alimentare è un fenomeno abbastanzacomplesso, che riconosce anche una predi-sposizione familiare, e quindi una condizionegenetica. I soggetti che hanno parenti allergi-

200

Capitolo III

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 200

Page 200: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

ci, non necessariamente agli alimenti, hannouna maggiore probabilità di sviluppare un’al-lergia alimentare. La prevalenza dell’allergiaalimentare nella popolazione generale èmolto variabile e si stima che si aggiri attor-no all’1-2%, ma nei bambini raggiunge il 7-8%. Secondo altre stime le persone allergi-che agli alimenti sarebbero circa il 10% dellapopolazione; sommando anche i casi subcli-nici si arriva ad una percentuale ben più alta.Nel gran capitolo dell’alimentazione e nutri-zione, le allergie alimentari sono inoltre incontinuo aumento, come frequenza e gra-vità. Nei casi conclamati, dopo aver mangia-to l’alimento incriminato, i sintomi più fre-quenti sono il vomito, la diarrea, l’orticaria,l’asma, i gonfiori, i crampi, i pruriti sullapelle. Nei casi meno gravi e certamente piùfrequenti i sintomi sono attenuati, transitoriod occasionali, non sempre di facile indivi-duazione.

Aumento della frequenza delle allergie alimentariL’indubbio aumento della frequenza delle al-lergie alimentari si ritiene dovuto ai seguentifattori, singoli od associati.1 - Maggiore attenzione al problema e mi-

glioramento delle tecniche diagnostiche,non solo dell’allergia, ma anche delle so-stanze allergizzanti.

2 - Modificazioni nel sistema immunitario.3 - Cambiamenti nello stile di vita.4 - Diminuita o scomparsa delle infezioni

dai parassiti, soprattutto intestinali.5 - Tendenza sempre più spiccata verso

un’alimentazione cruda o poco cotta.6 - Uso sempre più diffuso d’alimenti con

caratteristiche allergizzanti: tipico l’e-sempio dei crostacei e di molluschi, inparticolare di quelli esotici (oloturie,ecc.) una volta cibi limitati a pochissimepersone.

7 - Introduzione nell’alimentazione di massadi cibi esotici (ad es. il kiwi).

8 - Sviluppo d’interazioni tra allergie respi-

ratorie da pollini vegetali ed allergie ali-mentari da vegetali delle stesse famiglie.

Allergie e patologia alimentare darwinianaL’aumento delle allergie, soprattutto alimen-tari, deve essere considerato in una prospet-tiva evoluzionista. L’allergia, in una prospet-tiva evoluzionista, è da considerare parte diun importante meccanismo di difesa versoinfezioni, soprattutto parassitarie, ma ancheda tossine, perché è una reazione di “rigetto”e di “espulsione” d’agenti estranei e, quindi,potenzialmente dannosi. Classica, al riguar-do, è la pubblicazione di Profet (1991) Thefuncion of allergy: immunological defenseagainst toxin. Per quanto riguarda le allergiealimentari e come complemento a quantosopra detto, bisogna fare le seguenti osserva-zioni.Modificazioni nel sistema immunitario. Unacorrelazione inversa tra allergie e malattieinfettive ha portato all’ipotesi dell’igiene, se-condo la quale il miglioramento degli stan-dard igienici comporterebbe una minoreesposizione a patogeni, anche opportunisti,necessari per la maturazione del sistema im-munitario. L’equazione “meno infezioni, piùallergie” è una formula utile, ma semplicisti-ca ed ovviamente deve essere approfonditaed integrata.Modificazione nello stile di vita. È possibileche nei paesi sviluppati le allergie siano laconseguenza di un mutamento nell’esposi-zione agli antigeni e pertanto le allergie, perdirla con George Mille Beard, potrebberoessere il prezzo del benessere e della cultura:contropartita di una fine organizzazione del-la società e di una vita trascorsa al chiuso e,aggiungiamo, di una protezione da infezionied infestioni naturali.Diminuzione o scomparsa delle infezioni daparassiti, soprattutto intestinali. È forse que-sta la condizione oggi di maggiore impor-tanza nelle popolazioni umane dei paesi svi-luppati. Una razionale e soddisfacente spie-gazione del dilagare delle allergie si può ave-

201

Cibo e malattie

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 201

Page 201: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

re considerando il fenomeno in un’otticaevoluzionista e sulla base di ricerche non piùrecenti, ma pur sempre valide e spesso sotta-ciute, perché non sembrano gradite. In mo-do molto schematico – gli schemi non sono laverità, ma aiutano a conoscerla – oggi il dila-gare delle allergie, in un ambito di MedicinaEvoluzionista deve essere interpretato comesegue. Nel corso dell ’evoluzione, con lacomparsa degli organismi pluricellulari, si èsviluppato il parassitismo. Mentre all’inizioe nell’ambito vegetale, il rapporto tra ospitee parassita è stato regolato con mezzi mec-canici e chimici, in ambito animale è statasviluppata una regolazione che si basa preva-lentemente, non esclusivamente, su reazionidi tipo immunitario. In questa linea, gli ani-mali vertebrati hanno dato vita ad uno spe-cifico sistema immunitario di regolazionedel rapporto tra l’ospite ed il parassita. Que-sto sistema tra l’altro, si caratterizza con im-munoglobuline specifiche (IgE) e con celluleparticolari (polinucleati eosinofili). Le rea-zioni anafilattiche ed allergiche sono stateconservate dall’evoluzione, perché utili alladifesa antiparassitaria, con reciproco vantag-gio per la sopravvivenza di entrambi i part-ner. Improvvisamente, da un punto di vistabiologico, in alcune specie vi è stata una for-tissima riduzione, se non la scomparsa deiparassiti: questo è avvenuto nell’uomo deipaesi industrializzati. Il sistema immunitariooggi non trova più i naturali bersagli (paras-siti), verso i quali indirizzare la propria atti-vità e di conseguenza la dirige verso qualsia-si altra sostanza estranea, soprattutto se hacaratteristiche morfologiche simili ai paras-siti. Evocative, ad esempio, sono le immaginitra loro simili delle uova dei parassiti e deipollini vegetali. Considerando le allergie ditipo alimentare è da rilevare che si sviluppa-no sopra tutto in individui che non hannopiù parassiti nell’intestino, quindi privi d’o-spiti che, da un punto di vista biologico edevoluzionista, sono da ritenere assolutamen-te “naturali”, anche se indesiderati. Questo

spiega anche come un tempo le allergie fos-sero quasi sconosciute e che si siano manife-state prima nell’aristocrazia e nelle classi su-periori, con maggiori livelli igienici, comeprima segnalato. Dobbiamo tornare ai pa-rassiti? Certamente no, ma l’interpretazioneevoluzionista del rapporto tra il sistema im-munitario, i parassiti e le allergie insegna al-meno due cose. La prima, è che sarà ben dif-ficile, nell’uomo senza parassiti, eliminaretutti gli allergeni. Il problema, infatti, nonsta in questi, ma nel sistema immunitario ri-masto privo dei suoi naturali bersagli e chequindi s’indirizza a bersagli similari. La se-conda, è che un approccio soltanto farmaco-logico del problema non è sufficiente ed èauspicabile, almeno per le allergie alimenta-ri, una migliore conoscenza dei processi di-gestivi e del trattamento degli alimenti. Nonè, infatti, da dimenticare che per la soia edaltri semi oleaginosi le allergie sono correla-te al sistema di trattamento: non compaiononell’alimento sottoposto ad intenso tratta-mento termico umido, mentre sono tipichedi una blanda tostatura. In modo analogo, itrattamenti fermentativi che si basano sull’a-cido lattico hanno una buon’attività inatti-vante sugli allergeni naturali. Oltre che adalimenti anallergici, probabilmente biso-gnerà rivolgere l’attenzione ad alimenti im-munostimolanti, che tengano occupato il si-stema immunitario, soprattutto quello cheproduce IgE ed eosinofili.Alimentazione cruda o poco cotta. I processi dicottura intensa e completa e le fermentazio-ni prolungate basate sull’acido lattico inatti-vano gli antigeni, che possono sensibilizzareo scatenare le allergie alimentari.Uso sempre più diffuso d’alimenti con caratteri-stiche allergizzanti. Tutto fa ritenere che ali-menti di per sé allergizzanti fossero esorciz-zati in vari metodi, attraverso riti oggi per-duti. Questi alimenti erano usati, per quan-tità e soprattutto modificazione delle qua-lità, in modo da essere tollerati. Oltre allagià citata cottura, vi è l’esempio della diffu-

202

Capitolo III

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 202

Page 202: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

sione dei crostacei e di molluschi anche eso-tici (oloturie ecc.), una volta cibo limitato apochissime persone. Lo stesso è avvenutocon l’introduzione di nuovi cibi vegetali, adesempio il kiwi.Interazioni tra allergie respiratorie da pollinivegetali ed allergie alimentari da vegetali dellestesse famiglie. Una sensibilizzazione per ina-lazione con un polline di un certo albero dafrutto, può indurre una reazione allergica daintroduzione alimentare del frutto della stes-sa specie o di specie affine.

Allergie alimentari nella prospettiva darwinianaNumerosissimi sono gli alimenti che in sin-gole persone possono dare allergie. Nel suc-cessivo capitolo è considerata l’allergia alglutine dei cereali, causa della celiachia. Leallergie alimentari, analogamente ad altrespesso collegate, sono disturbi nei quali lacomponente genetica ha una notevole im-portanza: a livello di genetica umana e diqualità genetica degli alimenti. Sotto l’aspet-to evoluzionista altrettanto importante è l’a-nomala scomparsa dei parassiti, una compo-nente biologica da ritenere assolutamentenaturale, anche se sgradita dalla nostra cul-tura. Inoltre, oggi nella cucina assistiamo al-la riduzione, se non alla scomparsa, di molti

trattamenti capaci d’inattivare l’attività aller-gizzante di molti alimenti.

Bibliografia

Anonimo. Allergie e intolleranze alimentari. Ali-mentazione e Prevenzione, 1, 69-70, 2001

Ballarini G. Rischi e Virtù degli Alimenti. Calderi-ni, Bologna, 1989

Barnes K.C., Armelagos G.J., Morreale St. Darwi-nian medicine and the emergence of allergy. inTrevatan et alii (1999)

Bonini S. A proposito di allergie. Le Scienze, n.399, novembre 2001, pag.72-77

Bundy D.A.P., Medley G.F. Epidemiology and po-pulation dynamics of helmint infection. Moqbel(1992), pag. 17-37

Capron A., Dessaint J.P. Chemical Immunology.June 1990

Cockburn T.A. Infectious disease in ancient popu-lations. Current Anthropology. 12, 45-62, 1971

Croll N.A., Cross J. H. Human Ecology and Infec-tious Disease. Academic Press, New York, 1983

Finn R. Lancet, n. 340, 1453-55, 1992Grove D.I. What is the relationship between asth-

ma and worms? Allergy, 37, 139-148, 1982Harris M., Ross E. Food and Evolution: Toward a

Theory of Human Food Habits. Temple Univer-sity Press, Philadelphia, USA, 1987

Hoprins J.M. Journ. Of the Royal College of Physi-cians (London), 24, 159-160, 1999

Hurtado A.M., Arena De Hurtado I., Sapien R.,Hill K. The evolutionary ecology of childhoodasthma. In Trevathan e coll. (1999), pag. 101- 134

203

Cibo e malattie

Alimenti potenzialmente allergizzanti che secondo gli esperti dell’unione europea do-vrebbero essere obbligatoriamente indicati nelle etichette degli alimenti

Cereali contenenti glutine e prodotti a base di cereali contenenti glutine

Crostacei e prodotti a base di crostacei

Uova e prodotti a base d’uova

Pesce e prodotti a base di pesce

Arachidi e prodotti a base d’arachidi

Soia e prodotti a base di soia

Latte e prodotti a base di latte (compreso il lattosio)

Noci e prodotti a base di noci

Semi di sesamo e prodotti a base di semi di sesamo

Solfito in concentrazioni di almeno 10 mg/kg (Causa d’intolleranza, più che d’allergia)

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 203

Page 203: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Lappe M. Evolutionary Medicine. Rethinking theOrigins of Disease. Sierra Club Books, SanFrancisco USA, 1994

Lynch N.R. Influence of socio-economic level onhelminthic infection and allergic reactivity intropical countries. Moqbel (1992) p. 52-62

Marsh D.G., Meyers D.A., Bias W.B. The epide-miology and genetics of atopic allergy. New En-gland Journ. of Medicine, 305, 1551-1559, 1980

Masters M., Barret-Connor E. Parasites and asth-ma. Predictive or protective? Epidemiology Re-views, 7, 49-58, 1985

McNeill W.H. Plagues and Peoples. Garden City,Anchor Books, New York, 1976

Moqbel R. (Ed.). Allergy and Immunity to Hel-mints. Taylor & Francis, London, 1992

Nesse R.M., Williams G.C. Why We Get Sick:The New Science of Darwinian Medicine. TimeBooks, New York, 1994 (Trad. italiana. Perché ciammaliamo. Einaudi, Torino, 1999)

Oehling A. (Ed.). Advances in Allergology and Im-munology. Pergamon Press, Oxford, 1980

Pritchard D.I. Parasites and allergic disease: a re-view of the field and experimental evidence for a“cause-and-effect ” relationship. in Moqbel(1992), pag. 38-62

Profet M. The function of allergy: immunologicaldefence against toxin. Quarterly Review of Bio-logy, 66, 23-1991

Restani P. Allergie alimentari. Alimentazione e Pre-venzione, 1, 23-24, 2001

Restani P. Vegetali geneticamente modificati(GMO) e allergia. Alimentazione e Prevenzione- 1, 164-166, 2001

Sampson H.A., Metcalfe D.D. Food Allergies.Journal. of the Amer. Med. Ass. 268, 2840-2844, 1992

Seed J.R. Immunoecology: origins of an idea. Jour-nal. of Parasitol. 79, 470-471, 1993

Trevathan W.R., Smith E.O., McKenna J.J. (Eds.).Evolutionary Medicine. Oxford UniversityPress, New York, Oxford, 1999

Turner K.J. The conflicting role of parasitic infec-tions in modulating the prevalence of asthma.Papua and New Guinea Med. J. 21, 86-104,1978

Turner K.J. Is the prevalence of allergy related toparasitic disease? In Oehling (1980), pag. 279-287

Van Dellen R.G., Thompson J.H. Absence of inte-stinal parasites in asthma. New Engl. Journal. ofMedicine, 285, 146-148, 1971

204

Capitolo III

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 204

Page 204: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Celiachia: intolleranza al glutine dei cereali

L’agricoltura ha sviluppato la coltivazionedi cereali, anche di quelli definiti tossici che,in individui geneticamente predisposti, pro-vocano disturbi, il più importante dei quali èla celiachia.La celiachia e le sue complicanze hannoun’interpretazione genetica che rivaluta lacucina tradizionale, nata prima od assiemeall’agricoltura.

CeliachiaLa celiachia è un’intolleranza permanente alglutine o, meglio, ad una specifica classe diproteine (le prolammine) contenute in alcu-ni cereali cosiddetti tossici e si manifesta inindividui geneticamente predisposti. I prin-cipali cereali tossici sono il frumento o gra-no, la segale e l’orzo. Le rispettive prolam-mine sono la gliadina, la secalina e l’ordeina.L’intolleranza è stata rilevata anche per l’a-vena.Gli ammalati di celiachia (celiaci), in seguitoall’esposizione anche di piccole quantità diprolammine, sviluppano un danno più o me-no marcato alla mucosa dell’intestino tenue,con disturbi a volta gravi (diarrea, dolori ad-dominali ecc.) e conseguente alterazionedell’assorbimento dei nutrienti, con tutte lesue nefaste conseguenze (anemia, ritardatoaccrescimento o calo di peso, osteoporosiecc.). I celiaci sono anche esposti a possibilicomplicanze: sviluppo di malattie autoim-muni, ileite ulcerativa, neoplasie dell’intesti-no tenue. Diversamente dalle altre intolle-ranze alimentari, la celiachia ha un decorsotendenzialmente cronico.Prima del 1970 i sintomi più frequenti delmorbo celiaco erano diarrea, ritardo dellacrescita, distensione addominale e vomito.Negli anni successivi si è verificato un incre-mento di forme atipiche, silenti e latenti.Questo è avvenuto per la disponibilità di te-st sierologici con elevata specificità diagno-

stica e ad una migliore conoscenza della ma-lattia da parte dei medici.La prevalenza del morbo celiaco in Italia è,in questo periodo, di circa un caso su 180persone, pari a circa lo 0,55% della popola-zione. Una percentuale solo apparentementebassa, in quanto in Italia oltre 300.000 per-sone ne sono colpite. La celiachia è oggiconsiderata uno dei principali problemi disalute pubblica, anche perché l’80% degli in-dividui affetti da questa malattia non ne èconsapevole.Se le prolammine sono la causa prima dellaceliachia, non bisogna sottovalutare il ruoloche hanno la genetica, taluni fattori ambien-tali e l’allergia.Genetica - L’elevato tasso di concordanza tragemelli omozigoti (più del 90%) e la preva-lenza del morbo celiaco in parenti di primogrado di pazienti affetti da tale patologia (10- 14%), testimoniano del ruolo chiave deifattori genetici nell’insorgenza della patolo-gia.Fattori ambientali - Nonostante il ruolo delfattore tossico su di una genetica recettiva,bisogna tenere conto d’alcuni fattori am-bientali, protettivi o aggravanti. Tra i fattoriprotettivi vi è un prolungato allattamento alseno. Tra i fattori aggravanti è indubbio chela protratta esposizione alle prolammine èassociata ad un aumentato rischio di svilup-pare malattie autoimmuni e tumori.Allergia - Nella celiachia, oltre alla compo-nente tossica primaria delle prolammine sul-l’intestino, è presente una componente aller-gica. Con ogni probabilità, le lesioni tossicheinducono un assorbimento del glutine o disue frazioni, che provocano la sensibilizza-zione allergica, soprattutto in individui pre-disposti.

Celiachia ieri, oggi e domaniNel passato la celiachia era una malattia sco-nosciuta e certamente poco frequente. Illungo periodo d’allattamento (fino ai quat-tro anni nell’antichità, ma fino ad un anno

205

Cibo e malattie

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 205

Page 205: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

ancora in tempi a noi vicini) era un fattoreprotettivo. L’elevata mortalità infantile, nellaquale erano compresi gran parte dei bambinicon intolleranza al glutine, non permetteva ildiffondersi della predisposizione genetica.Non bisogna dimenticare che un tempo i ce-reali erano usati solo dopo lunghe fermenta-zioni acide o prolungate cotture, che più omeno completamente inattivano se non l’at-tività tossica, almeno quella allergenica delglutine.Ora la malattia è in aumento, in quanto so-no venuti a mancare o sono diminuiti i fat-tori protettivi indicati e perché si è sviluppa-ta l’abitudine di mangiare cereali con elevatepercentuali di glutine poco cotti e soprattut-to pasta di grano duro (ricco di glutine) aldente. Si è anche considerato il ruolo delletecniche di produzione della pasta, passandodalle trafile di bronzo a quelle di teflon inquanto cambia anche la temperatura diestrusione ed il tempo di successivo essicca-mento e quindi le modificazioni del glutine.La drastica riduzione della mortalità infanti-le e soprattutto di quella da disturbi intesti-nali, favorisce la persistenza e la diffusionedell’intolleranza genetica al glutine. Accantoa questa è da ricordare l’aumento delle aller-gie alimentari per la scomparsa delle parassi-tosi intestinali, come considerato nel prece-dente capitolo sulle allergie alimentari.La celiachia è quindi da considerare una ma-lattia in progressiva espansione e da ritenereuna malattia del domani.

Aspetti darwiniani della celiachiaSappiamo ormai molto chiaramente che laceliachia è la conseguenza di fattori geneticie di fattori ambientali (glutine ed altre pro-teine di orzo e segale). Del fatto che la celia-chia non sia dovuta ad un unico gene, ma apiù geni diversi siamo certi, mentre non èancora completamente spiegato perché lamalattia si sviluppi in età e circostanze di-verse da soggetto a soggetto.Un esame della celiachia in chiave di patolo-

gia alimentare darwiniana permette di rile-vare quanto segue.La diffusione dell’agricoltura dei cereali ed illoro uso alimentare si è accompagnato aduna serie di condizioni che rendevano rara edifficile la comparsa della malattia. Le gra-naglie primitive avevano limitati contenuti inglutine. La selezione di frumento ricco diglutine e soprattutto del grano duro, è relati-vamente recente. Lo sviluppo dell’agricolturacerealicola si è accompagnato a quello deltrattamento delle granaglie e cioè di una cu-cina. I grani, infatti, erano mangiati soprat-tutto dopo essere stati tostati o fermentatiper la produzione della birra, del pane o dipuls lungamente bollite. Nella birra inoltremanca la quota proteica (glutine). Per la pa-nificazione si usava il lievito acido nel qualesono presenti lieviti e lattobacilli. Questa lie-vitazione, basata sulla protratta azione dell’a-cido lattico, un buon denaturante delle pro-teine, inattiva le attività allergeniche e forsetossiche delle prolammine del glutine.Quando il pane era utilizzato senza lievito(pane azzimo) la cottura era spinta ed ese-guita su forme sottili, come ancor oggi lapizza, gallette e la carta da musica sarda: inquesto modo anche la parte interna è sogget-ta a cottura. Le puls, da cui il nostro terminedi polenta, erano minestroni con granaglie dicereali e di leguminose sottoposte a lungabollitura, che attenuava le attività allergeni-che del glutine. La pasta di grano duro, pococotta (al dente) è un’invenzione molto recen-te. I bambini erano allattati a lungo, come siè già accennato, ed i cereali entravano nell’a-limentazione umana solo ad una certa età.Infine, una genetica sensibile all’azione tossi-ca dei cereali, come già ricordato, era siste-maticamente eliminata con la mortalità in-fantile, che riguardava in modo particolare ibambini con patologie intestinali.

Come comportarsi di fronte alla celiachia?Quando la celiachia si è instaurata è neces-sario attuare una dieta priva di glutine. In

206

Capitolo III

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 206

Page 206: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

quanto problema sanitario emergente, sottoil profilo preventivo sarebbe utile ripensarela nostra alimentazione e soprattutto ritar-dare l’introduzione dei cereali nella nutrizio-ne infantile, privilegiando cereali con pocoglutine, ben fermentati (lievitazione acida) eben cotti.Nel campo della celiachia la ricerca si stamovendo su due fronti principali.Agire sui cereali attraverso l’ingegneria ge-netica per modificare il glutine, in modo darenderlo incapace d’indurre e scatenare la ri-sposta immunologica del celiaco (quale saràla reazione dell’opinione pubblica europea alfrumento ed alla pasta OGM?).Fornire al celiaco enzimi, come l’endopepti-dasi, necessari per digerire completamente ilglutine e togliergli ogni attività, sia sensibi-lizzante, sia scatenante la reazione allergica.

Bibliografia

Ascher H., Krantz I., Rydberg L., Nordin P., Kri-stiansson B. Influence of infant feeding and glu-ten intake on celiac disease. Archives of Diseasein Childhood, 76 (2), 113-117, 1997

Auricchio S., Mazzacca G., Tosi R. et alii. Celiacdisease as a familial condition: identification ofasymptomatic celiac patients within family grou-ps. Gastroenter. Intern., 1, 25-31, 1988

Auricchio S., Troncone R., Maurano F. Celiac disea-se in the year 2000. Italian Journal of Gastroen-terology and hepatology, 31 (8), 773-780, 1999

Cataldo F., Caruso C., Maltese I., Lio D., MarinoV., Albeggiani A. HLA e celiachia: studio sualcune famiglie siciliane con malattia celiaca.Pediatr. Med. Chir. Jul-Aug; 12 (4), 343-6,1990

Catassi C. Il villaggio globale della celiachia. Re-centi Prog. Med. Jul-Aug; 92(7-8): 446-50, 2001

Catassi C., Fabiani E. The spectrum of celiac disea-se in children. Baillieres Clinical Gastroentero-logy, 11 (3), 485-507, 1997

Catassi C., Ratsch I.M., Fabiani E. et alii. Celiacdisease in the year 2000: exploring the iceberg.Lancet, 343, 200-203, 1994

Champenois Y. Rao M.A. Walker L.P. Influence ofgluten on the viscoelastic properties of starch pa-stes and gels. Journal of the Science of Food andAgriculture. 78 (1), 119-126, 1998

Cole S.G., Kagnoff M.F. Celiac disease. Ann. Rev.Nutr., 5, 241-246, 1985

Collin P. New diagnostic findings in celiac disease.Annals of Medicine, 31 (6), 399-405, 1999

Cronin C.C., Shanahan F. Why is celiac disease socommon in Ireland?. Perspectives in Biology andMedicine. 44 (3), 342-352, 2001

De Vincenzi M., Silano M., D’Archivio M. e alii.Registro delle complicanze della malattia celiaca.Progress in Nutrition, 3 (4), 6-12, 2001

Gorman C. Against the grain. Time. 2001 Feb 26;157(8): 77

Holopainen P., Mustalahti K., Uimari P., Collin P.,Maki M., Partanen J. Candidate gene regionsand genetic heterogeneity in gluten sensitivity.GUT, 48 (5), 696-701, 2001

Kaukinen K., Turjanmaa K., Maki M., Partanen J.,Venalainen R., Reunala T., Collin P. Intoleranceto cereals is not specific for celiac disease. Scan-dinavian Journal of Gastroenterology, 35 (9),942-946,2000

King A.L., Ciclitira P.J. Celiac disease: Strongly he-ritable, oligogenic, but genetically complex. Mo-lecular Genetics and Metabolism, 71 (1-2), 70-75, 2000

Matuz J., Poka R., Boldizsar I., Szerdahelyi E.,Hajos G. Structure and potential allergenic cha-racter of cereal proteins. II. Potential allergens incereal samples. Research Communications, 28(4), 433-442, 2000

Mitt K., Uibo O. Low cereal intake in Estonian in-fants: the possible explanation for the low fre-quency of celiac disease in Estonia. Europ.Journ. of Clin. Nutr., 52 (2), 85-88, 1998

Mittelmann A., Neto J.F.B., De Carvalho F.I., Le-mos M.C.I., Da Conceicao L.D.H. Inheritanceof wheat traits related to bread-making quality.Pesquisa Agropecuaria Brasileira, 35 (5), 975-983, 2000

Momigliano Richiardi P., Casari G., Gasparini P.,Tosi R., Mantovani V., De Virgiliis S., IaconoG., D’Alfonso A., Selinger Leneman H., Le-mainque A., Serre J.L., Clerget Darpoux F. Exi-stence of a genetic risk factor on chromosome 5qin Italian Celiac Disease families. Ann. of Hu-man Genetics, 65, Part 1, 35-41, 2001

Ragasits I., Kismanyoky T. Effects of organic andinorganic fertilization on wheat quality. Noveny-termeles 49 (5), 527-532, 2000

Schuppan D., Hahn E.G. Gluten and the gut. Les-son for immune regulation. Science, 297, 2218-2220, 2002

Shan L. et al. Structural basis for gluten intoleran-

207

Cibo e malattie

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 207

Page 207: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

ce in celiac sprue. Science, 297, 2275-2279,2002

Silano M., De Vincenzi M. Bioactive antinutritio-nal peptides derived from cereal prolamins: AReview. Nahrung Food, 43 (3), 175-184, 1999

Sollid L.M. Genetics of the immune response togluten in celiac disease. Digestive Diseases, 16(6) 345-347, 1999

Srinivasan U., Jones E., Weir D.G., Feighery C.Lactase enzyme, detected immunohistochemi-cally, is lost in active celiac disease, but unaffec-ted by oats challenge. Journal of Gastroentero-logy, 94 (10), 2936-2941, 1999

Susi M., Holopainen P., Mustalahti K., Maki M.,Partanen J. Candidate gene region 15q26 andgenetic susceptibility to celiac disease in Finnishfamilies. Scand. J. Gastroenterol., 36 (4), 372-374, 2001

Vader W. et al. The gluten response in childrenwith Celiac disease in directed toward multiplegliadina and glutenin peptides. Gastroentero-logy, 122, 1729-1737, 2002

Van de Wal et al. Coeliac disease: in takes three totango?. Gut, 46, 734-737, 2000

Van Gossum M., Mascart F., Rickaert F., CoddenT., Colonius V. Les intolérances au lactose et augluten: quand faut-il y penser? Rev. Med. Brux.2000 Sep; 21(4): A303-8

Varjonen E., Vainio E., Kalimo K. Antigliadin IgE.Indicator of wheat allergy in atopic dermatitis -Allergy; 55 (4), 386-391, 2000

Varjonen E., Vainio E., Kalimo K.T I. Life threate-ning, recurrent anaphylaxis caused by allergy togliadin and exercise. Clin. and Exper. Allergy, 27(2), 162-166, 1997

Volta U. Malattia celiaca. Recenti acquisizioni supatogenesi, diagnostica e presentazione clinica.Recenti Prog. Med. Jan; 90(1): 37-44, 1999

Yiannakou J.Y., Brett P.M., Morris M.A., CurtisD., Mathew C., Vaughan R., Rosen Bronson S.,Ciclitira P.J. Family linkage study of the T-cellreceptor genes in celiac disease. Italian Journal ofGastroenterology and Hepatology, 31 (3), 198-201, 1999

208

Capitolo III

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 208

Page 208: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

CIBO CHE FA MALE E PATOLOGIAALIMENTARE DARWINIANA

Molti alimenti vegetali hanno caratteristicheinquietanti che nel corso dell’evoluzione so-no state controllate. Le tossine prodotte dafunghi microscopici (micotossine) sono unadelle più pericolose conseguenze della con-servazione degli alimenti che l’uomo ha svi-luppato con l’agricoltura.Tra gli alimenti vegetali, le leguminose sonoricche di principi attivi dotati d’azioni far-macologiche e non raramente tossiche, con-trollate dalla cucina. Le fave hanno dimo-strato una marcata ambivalenza d’aspetti po-sitivi e negativi, dando anche origine allamalattia nota come favismo che è interpre-tabile soltanto nell’ambito di un’interpreta-zione darwiniana della patologia.Molte infezioni che sono trasmesse dai cibi(foodborne diseases) erano di limitato signifi-cato in condizioni di vita selvatica. Versoqueste, l’evoluzione non ha potuto sviluppa-re significativi sistemi di controllo.

Veleni alimentari. Sola dosis facit venenum

Molti alimenti, soprattutto vegetali, esami-nati dettagliatamente e con rigore scientifico,mostrano caratteristiche inquietanti. Nelcorso dell ’evoluzione alimentare i rischi daalimenti naturali sono stati controllati, allostesso modo in cui la cucina è intervenuta suirischi da alimenti ottenuti dall’agricoltura.

Naturalmente tossici Quasi tutta l’antica farmacologia ricavava lemedicine dai vegetali ed ancor oggi moltesono quelle estratte o che derivano da pian-te. Innumerevoli sono i principi attivi nellepiante selvatiche che le culture umane usanonella loro alimentazione e che sono statescelte per la coltivazione. I principi attivi ve-getali tendono a diminuire nella coltivazionee quando ci lamentiamo che la frutta colti-

vata sa di poco è perché contiene scarsequantità di composti chimici capaci di sti-molare le nostre papille gustative, l’apparatodigerente ed anche l’intero organismo. An-che alcune pratiche di trattamento degli ali-menti come le fermentazioni (con le qualisono prodotti pane, vino e aceto, birra, yo-gurt e formaggi, salumi e salami ecc.), pro-ducono composti diversi, dotati di più o me-no spiccate attività farmacologiche.Molti in Italia apprezzano i funghi, pur sa-pendo che ve ne sono di mortali; lo stessoavviene nell’estremo oriente dove il consumodel pesce è molto diffuso, anche se ve ne so-no alcuni velenosissimi. Tutto sta a distin-guere tra il buono ed il pericoloso! Anche icomuni alimenti contengono dei compostiche ad alte dosi, non raggiungibili in unanormale alimentazione, possono indurre fe-nomeni tossici e tra gli altri si devono ricor-dare i seguenti.Tossici vegetali. Oltre ai numerosi veleni deifunghi, in molti vegetali sono presenti com-posti fenolici, tannini, eterosidi che svilup-pano acido cianidrico, aminoacidi tossiciecc.Tossici animali. Sono tossiche le carni d’uc-celli che hanno mangiato cicuta, taluni pesci,molluschi che hanno assorbito tossine da al-ghe ecc.Composti dotati d’attività cardiovascolari sonocontenute nei vegetali (ad es. banana) ed inalimenti fermentati (vini e formaggi).Emoagglutinine vegetali hanno attività anti-nutrizionali e anche lesive dell’immunità.Saponine vegetali ostacolano l’assorbimentointestinale di diversi nutrienti, ma anche delcolesterolo e pertanto oggi sono anche utili.Micotossine derivate da ammuffimenti deglialimenti sono considerate nel successivo ca-pitolo.Nitrosamine sono contenute, anche in eleva-te quantità, in taluni legumi ed ortaggi.Nel loro complesso i composti presentati co-me tossici, in quanto esaminati come se fos-sero farmaci e somministrati a dosi elevatis-

209

Cibo e malattie

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 209

Page 209: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

sime e spesso non per via alimentare, in granparte sono ancora da analizzare in dettaglio.Comunque per diversi problemi che potreb-bero essere sollevati dai tossici alimentari, visono precise normative protettive: ad esem-pio limiti massimi di nitriti utilizzabili nellapreparazione d’alimenti, controllo dei pesci edei molluschi, modalità di produzione deglialimenti affumicati ecc. Gran parte degli in-convenienti sono evitati, se si seguono le tra-dizioni alimentari ed il proverbio mangia co-me parli è in proposito molto importante,come il principio che è la dose che fa il velenoe per questo piccole assunzioni non continuesono da ritenere accettabili.

Minerali buoni e cattiviI legami tra terra, acqua, pianta, animale euomo sono molto stretti e noi mangiamoquello che viene dalla terra o dall’acqua, coni vantaggi ed i rischi connessi. Questi ultimisono di solito maggiori per gli alimenti ve-getali che non d’origine animale, perché, disolito, l’animale è un filtro protettivo. Aquesto riguardo vi sono delle eccezioni, co-me quella del mercurio che si concentra nelfiltro animale (soprattutto pesce), che si tra-sforma in un rischio.Se la buona terra produce alimenti buoni,non mancano esempi di cibi pericolosi pro-dotti da una terra che contiene minerali ineccesso o ne è carente. Di solito, conseguen-ze sanitarie si hanno soltanto in chi si cibacontinuamente ed esclusivamente con talivegetali. Questo non avveniva nell’uomo mi-gratore, ma con l’agricoltura il pericolo ècomparso nelle popolazioni stanziali che sialimentavano continuamente con i prodottidi una stessa terra. Analogo rischio oggi siriscontra in molti paesi in via di sviluppo odin chi, ritirandosi in campagna, ha una com-pleta autonomia alimentare. Lo stesso avvie-ne in chi si ciba solo di pesci raccolti in ununico fiume o lago, come accadde nei pesca-tori del villaggio giapponese di Minamata,che mangiavano grandi quantità di pescato

di una baia inquinata da mercurio. Quandol’alimentazione si basa su cibi prodotti inluoghi diversi e su terreni con differentecomposizione, come oggi è norma con laglobalizzazione alimentare, le carenze e glieccessi si compensano e solo eccezionalmen-te vi è un rischio sanitario apprezzabile.

Il veleno del secolo Tra le paure alimentari, un posto di primopiano oggi ha quella dei tumori e si cercaper quanto possibile di mangiare sano. Ne-gli alimenti sono contenuti composti cance-rogeni e anticancerogeni: per fortuna i se-condi si trovano in maggioranza e se cosìnon fosse la nostra specie sarebbe da temposcomparsa.I più importanti anticancerogeni presentinegli alimenti sono gli antiossidanti (idroso-lubili: vitamina C; liposolubili: vitamina E) etaluni caroteni. Da qui l’importanza d’ali-menti vegetali nella dieta equilibrata, ancheper il loro apporto di fibra alimentare, cheregola il transito intestinale, e le fermenta-zioni batteriche digestive che intervengonosui composti cancerogeni.Negli alimenti e soprattutto in quelli vegeta-li sono presenti dei cancerogeni che tuttavia,in una dieta equilibrata, non destano ecces-siva preoccupazione. Molti composti cance-rogeni naturali sono presenti in talune spezieusate in piccolissime quantità e, nella dietadegli italiani, solo saltuariamente (ad esem-pio la noce moscata). Talvolta i cancerogenivegetali possono arrivare all’uomo attraversoil latte: è il caso delle mucche che pascolanoin zone di collina o montagna dove sonopresenti felci (questo non avviene nelle muc-che allevate in stalla con foraggi coltivati).Alcuni cancerogeni si sviluppano in vegetalicoltivati in terreni con carenze di molibdenood eccessi d’arsenico.Molto rischiosi sono gli alimenti ammuffiti(vedi successivamente a proposito di mico-tossine) una volta frequenti a causa dei catti-vi sistemi di conservazione. La relativa dimi-

210

Capitolo III

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 210

Page 210: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

nuzione in questi ultimi anni di tumori dellostomaco deriva anche dal controllo dellemuffe negli alimenti.Oggi invece destano preoccupazioni i cance-rogeni prodotti dall’uomo e che possono ar-rivare negli alimenti. Per questo si è fatta e sicontinua a svolgere una vasta ricerca per sta-bilire il rischio cancerogeno di tutto quantoviene a contatto degli alimenti (dai farmaciusati sulle piante e sugli animali, agli imbal-laggi per alimenti) e di mano in mano che siscoprono composti rischiosi, sono eliminati.Vi sono infine cancerogeni che si formano

negli alimenti durante la loro produzione ocottura. Un’attenzione particolare oggi su-scitano il vino e le carni alla griglia. Durantele fermentazioni dell’uva si ha l’estrazione,dai graspi e bucce, del tannino, che ha un’at-tività cancerogena che è potenziata dall’alco-le. Il rischio cancro è maggiore per i vini ric-chi di tannino e ad alta gradazione, ai qualisono imputati tumori soprattutto del primotratto dell’apparato digerente e del fegato.Nelle carni cotte alle griglia per abbrustoli-mento si formano benzopireni e benzoan-traceni cancerogeni.

211

Cibo e malattie

Composizione dei terreni e rischi alimentari

Minerale Concentrazione nei terreni Conseguenze sanitarie in chi mangia i vegetali

Argento Eccesso Carenza Vitamina E

Arsenico Eccesso Tumori del fegato

Cadmio Eccesso Malattie cardiache

Fluoro Eccesso Fluorosi

Fosforo Carenza Sindromi da estrogeni

Iodio Carenza Gozzo. Insufficienza tiroidea

Mercurio Eccesso Intossicazione da mercurio

Molibdeno Carenza Tumori

Piombo Eccesso Saturnismo. Anemia

Selenio Eccesso Intossicazione. Cirrosi epatica

Selenio Carenza Carenza Vitamina E

Antienzimi negli alimenti

Enzimi inibiti Alimenti

Tripsina e chimotripsina Soia, fagioli e altre leguminose

(enzimi che digeriscono le proteine) Frumento e altre graminacee

Patate, melanzana, pomodoro

Aglio e cipolla

Fragole

Colostro e latte

Uovo crudo

Amilasi (enzimi che digeriscono gli amidi) Fagioli, banane non mature

Colinesterasi (enzimi che interferiscono sul Patate, broccoli, melanzana, asparago

Sistema Nervoso) lampone, mela, arancia

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 211

Page 211: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Il rischio cucinaLa cucina è stata la grande invenzione cheha permesso alla nostra specie di utilizzare leproduzioni agricole e zootecniche. Nonmancano tuttavia dei rischi. Veleni diversi sipossono formare negli alimenti durante laconservazione degli alimenti, ma anche nelcorso delle preparazioni alimentari. Sonoparticolarmente da evitare i seguenti.– Ammuffimenti. Molte muffe producono e

diffondono negli alimenti, tossine con di-verse attività: diminuzione ed anche aboli-zione delle difese antinfettive, modifica-zione della circolazione del sangue, indu-zione d’effetti estrogeni, produzione di tu-mori e cancri.

– Carbonizzazione degli alimenti, in partico-lare delle carni e delle verdure (cotturaspinta alla griglia!) perché si generanocomposti cancerogeni.

– Alte temperature, come quelle della frittura,durante la quale si formano composti tos-sici (ad es. acroleine).

– Invecchiamento delle preparazioni alimen-tari. Ad esempio nel minestrone di verdu-ra, in particolare se contiene carote, piùvolte riscaldato, si formano nitrosamine.

– Cattiva conservazione. L’irrancidimento siaccompagna con la formazione di perossi-di tossici e di radicali liberi, oggi ritenutipericolosi agenti o coagenti di tumori.

– Contaminazioni soprattutto microbiologi-che, con produzione di tossine batteriche,che oggi sono la causa più frequente ditossinfezioni alimentari.

Vivere di veleni e patologia alimentare darwinianaIl fatto che oggi, attraverso sofisticati e sen-sibilissimi sistemi d’analisi, possiamo identi-ficare anche minime quantità di compostichimici, facendo trovare tutto dappertutto,fa credere che viviamo in una mondo avvele-nato. Che oggi siano presenti composti chi-mici nuovi è indubbio, ma è anche vero chemolti di quelli antichi e tradizionali sonoscomparsi o sono molto diminuiti. In com-plesso e dopo un sereno bilancio della situa-zione, si deve riconoscere che in complessoed in media, la situazione tossicologica deglialimenti e nei paesi industrializzati è sostan-zialmente migliorata. Altrimenti non si po-trebbe avere un allungamento significativodella vita media. Questo non significa chenon esistano sacche o punti critici, e che nonsi debba ulteriormente migliorare.Non dobbiamo aver paura della gran partedei microbi che ci circondano, soprattuttoquando hanno limitate concentrazioni, per-

212

Capitolo III

Complessanti dei minerali

Composto Nutrienti “bloccati” Alimenti

Acido fitico Calcio Soia e arachidi

Zinco Frumento e graminacee

Enzimi digestivi Riso, agrumi, noci e pistacchio

Acido ossalico Calcio Spinaci, barbabietola, banana

The, caffè, cacao

Principali anticancerogeni naturali

Anticancerogeni vegetali

Flavonoidi – Quercitina

Composti fenolici - Ac. caffeinico e ferulico

Caroteni (provitamina A)

Antiossidanti

Acido ascorbico (vit. C)

Tocoferoli (vit. E)

Vari

Cisteina – Metilgliossale

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 212

Page 212: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

ché il nostro organismo si difende efficace-mente, utilizzando un sistema immunitarioche ha una storia biologica d’alcune centi-naia di milioni d’anni. In modo analogo gliorganismi viventi, fin dalla loro comparsasulla terra, hanno sviluppato e ci hanno tra-mandato un sistema antitossico altamenteefficace, soprattutto per le piccole dosi.È quindi possibile vivere in un mondo nelquale sono presenti piccole o piccolissimequantità di composti chimici, che a grandidosi possono essere dannosi.Non è infine da dimenticare che moltissimidei composti chimici attivi presenti neglialimenti a piccole dosi svolgono un’azione

favorevole. Da qui l’opportunità di evitare irischi delle grandi dosi, ed utilizzare i bene-fici delle piccole dosi, attraverso un’alimen-tazione che rispetti le seguenti regole.* Costituita da molti alimenti e quindi mi-

sta.* Composta da alimenti di diversa prove-

nienza.* Equilibrata nei suoi componenti.* Variata nel corso del giorno, mese ed an-no.* Basata su alimenti freschi.* Rispettosa delle tradizioni.* Consona alla nostra genetica e soprattutto

ben equilibrata ad uno stile di vita attiva.

213

Cibo e malattie

Cancerogeni alimentari

Composto cancerogeno Alimento

Alcaloidi della pirrolidina Latte di mucche allevate su pascoli con grande presenza di felce

Cicasina Noce di cicade

Safrolo Zafferano, cannella, noce moscata ecc.

Allile Mostarda

Estragolo Basilico, finocchio

Sesamolo Sesamo

Tannini Vegetali in generale

Aflatossina (micotossina) Arachidi ammuffite

Patulina (micotossina) Mele ammuffite

Benzopireni e benzoantraceni Carni e verdure alla griglia

Carni affumicate

Granaglie tostate od essiccate al fuoco

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 213

Page 213: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Micotossine: invenzione agricola di ieri edoggi

Le tossine prodotte da funghi microscopici(micotossine) sono una delle più pericoloseconseguenze provocate dall’uomo con l’agri-coltura e la conservazione degli alimenti.

Un avvelenamento tanto subdolo quanto micidialeIn Europa, tra il 1200 e la fine del 1700 vifurono devastanti epidemie. Tra il 1500 ed il1700 in Europa, ma anche nell’America Set-tentrionale, si sviluppò una sconvolgente cac-cia alle streghe. Recenti studi fanno risalire leepidemie ed i fenomeni di stregoneria adun’intossicazione alimentare collettiva da mi-cotossine, veleni prodotti da funghi micro-scopici, che si sviluppano soprattutto, manon solo, sui cereali.Le micotossine conosciute sono molto nu-merose e altrettanto diverse sono le loroazioni dannose sugli organismi, umani edanimali. Ad esempio l’ergotina, agendo sullepiccole arterie, provoca alterazioni nella cir-colazione del sangue ed è causa d’allucina-zioni e visioni, ma anche d’insensibilità dellapelle, come pure alterazioni delle estremitàdegli arti. La muffa che produce l’ergotina(nota con il nome scientifico di Clavicepspurpurea) elabora anche l’LSD (Lysergic AcidDiethylamide) ed altri alcaloidi simili all’L-SD che sono potentissimi allucinogeni. Lamicotossina denominata zearalenone haun’elevata attività estrogena, altera i cicli ri-produttivi femminili, produce sterilità nelladonna e nel maschio. Le aflatossine sono deipotenti cancerogeni. Vi sono inoltre mico-tossine (ad esempio la T-2) che provocanouna forte diminuzione dei globuli bianchidel sangue, con una rilevante riduzione delledifese contro le malattie infettive e quindi,se non provocano infezioni, sicuramente fa-cilitano molte malattie infettive, in partico-lare quelle da batteri.

Micotossine ed epidemie infettiveGrandi epidemie infettive hanno sconvoltol’Europa tra il 1200 e la fine del 1700. Com-parse non si sa come, e scomparse primadella nascita della medicina scientifica e del-la igiene, queste epidemie hanno avuto sem-pre un’origine oscura. Pur potendosi sospet-tare abbastanza precisamente il microbo incausa (ad esempio la Pasteurella pestis per lapeste, il virus del vaiolo e così via) nonostan-te molte ipotesi era ed è sempre stato oscuroperché, ad un certo momento, tali microrga-nismi certamente preesistenti, quasi improv-visamente fossero divenuti così patogeni. Siè arrivati ad ipotizzare un genio epidemico:una frase che non dice nulla. Tuttavia si eravisto che queste epidemie si correlavano adun aumento della popolazione e soprattuttoa carestie.Il quadro sopra tratteggiato e la comparsa dicarestie ed epidemie in Europa, diviene an-cor più interessante, se si considera il clima esoprattutto l’agricoltura europea del periodo.A grandi linee si ebbe uno sviluppo della ce-realicoltura che si diffuse dal sud (area medi-terranea) al nord, con progressiva sostituzio-ne del frumento con l’orzo e soprattutto conla segale. Contemporaneamente il climaandò cambiando, con una diminuzione dellatemperatura media, che portò quasi ad unapiccola glaciazione. Mentre il frumento, conle sue varietà, è abbastanza resistente agli at-tacchi dei funghi microscopici, l’orzo ed an-cor più la segale ne sono fortemente attacca-ti. L’attacco da parte dei funghi aumenta conl’umidità ed oggi è stato accertato che ilfreddo provoca nei funghi anche un’elevataproduzione di tossine. Per questo un’estatepiovosa ed umida favorisce gli ammuffimen-ti dei cereali ed un autunno freddo provocauna forte produzione di micotossine da par-te delle muffe.Un clima più o meno freddo non è favorevo-le per una buona produzione cerealicola edin una società che ha un’alimentazione fon-data sui cereali è intuibile che insorga una

214

Capitolo III

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 214

Page 214: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

carestia. D’altra parte, quando manca l’ali-mento, non si può scegliere di mangiare sol-tanto la parte migliore del raccolto, ma èutilizzata anche quella peggiore e tossica.Alla carestia seguono quindi i gravissimidanni sopra indicati e soprattutto compareuna riduzione dei poteri di difesa contro leinfezioni, con l’esplosione d’epidemie. Nel-l’Europa centro - settentrionale, fino a circal’anno mille la cerealicoltura era molto ri-dotta e la scarsa popolazione ivi esistente sinutriva largamente di carne, in gran parteselvatica, in quantità di oltre cento chilo-grammi per persona e per anno. Con il 1200si ebbe una progressiva espansione dell’agri-coltura ed in particolare della cerealicoltura,con il contestuale aumento della popolazio-ne, ma con tutte le tragiche conseguenze chene derivarono dal peggioramento climatico edallo sviluppo delle muffe produttrici di mi-cotossine.

Dalla Russia moderna all’antico EgittoAnalisi analoghe a quelle ora ricordate sonostate eseguite anche per epidemie alimentaricomparse in tempi a noi più vicini. Adesempio, in Russia fino al 1945 si sono veri-ficate numerose e gravi epidemie d’ATA(Aleuchia Tossica Alimentare), caratterizza-ta da forte diminuzione dei globuli bianchinel sangue ed aumentata recettività alle ma-lattie da batteri. Le epidemie erano provoca-te da micotossine ed in queste occasioni sisono potute esaminare in dettaglio gli effettidelle temperature ambientali sullo sviluppodelle muffe e gli effetti dei loro veleni sullepopolazioni umane.Considerando sotto la nuova prospettivadelle micotossine alimentari altre patologiedel passato, la citata caccia alle streghe è sta-ta riferita ad ergotismo (intossicazione dasegale cornuta). È anche sempre più eviden-te che la pellagra, che devastò nell’ottocentoe nei primi del novecento molte zone dell’I-talia Settentrionale, non fu causata soltantodalle carenze di un’alimentazione unilatera-

le, a base esclusiva o prevalente di mais, maanche dal cattivo stato di conservazione diquest’ultimo. Le micotossicosi da mais am-muffito sono oggi ben note, anche per le ac-curate ricerche che sono state eseguite suglianimali degli allevamenti zootecnici, neiquali hanno provocato, anche recentemente,non piccoli danni.Andando nel lontanissimo passato biblico, èprobabile che la decima piaga, che colpì l’E-gitto ed è descritta nel testo sacro, fosse pro-vocata da micotossine sviluppatesi sulle gra-naglie dopo un periodo climatico avverso.Anche in questo caso, si possono individuarerapporti con una probabile carestia e sintomiche potrebbero essere riferiti ad una riduzio-ne delle difese antinfettive, nonché una par-ticolare disposizione a subire gli effetti tossi-ci da parte dei giovani maschi, soprattuttodelle famiglie abbienti: una disposizione le-gata al sesso, od una maggiore quantità digranaglie (ammuffite) a loro disposizione?

Micotossine e micotossicosi oggiDa almeno cinquanta anni micotossine emicotossicosi sono oggetto di grande atten-zione e di ricerca scientifica e pratica, so-prattutto nei paesi industrializzati. Sono sta-ti messi a punto sistemi d’analisi, precisi esensibili, e sono stati individuati ed applicatimezzi di prevenzione controllo efficaci, inparticolare per quelle micotossine (aflatossi-ne ed ocratossine) che sono ritenute cance-rogene.Attualmente, nei paesi industrializzati si èmolto attenti alla qualità degli alimenti ed inparticolare s’interviene per evitare che lemuffe alterino le granaglie e gli altri alimentivegetali. Questo si ottiene con adeguati si-stemi di coltivazione, eventuali trattamenticon fitofarmaci ed in un futuro anche conl’ingegneria genetica, buone tecniche di rac-colta, ma soprattutto con un precoce ed effi-cace essiccamento delle granaglie ed una lo-ro adeguata conservazione. Lo stesso nonavviene in molti paesi in via di sviluppo, dai

215

Cibo e malattie

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 215

Page 215: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

quali ci possono arrivare granaglie più o me-no inquinate da micotossine. Di conseguen-za, nei riguardi di quelle più pericolose mi-cotossine, come l’aflatossina e l’ocratossina,sono eseguite sistematiche indagini di con-trollo.Anche per le micotossine siamo entrati inuna fase igienica basata su solide basi scien-tifiche, le stesse che - sia pure con alcuneincertezze - ci permettono di interpretare

un passato che fino ad oggi ci poteva appa-rire oscuro. Appunto come il citato fenome-no delle streghe, stregoni e stregoneria.

Micotossine e patologia alimentare darwinianaLa nostra specie si è evoluta con un’alimen-tazione fresca e non con cibi conservati. Lastessa agricoltura è iniziata e si è sviluppatain ambienti caldi ed asciutti, non favorevoli

216

Capitolo III

Principali muffe produttrici di micotossine

Genere Numero di specie produttrici

Alternaria Varie

Aspergillus Oltre 20

Cladosporium Almeno 2

Claviceps Almeno 2

Fusarium Almeno 7

Mucor 1

Penicillum Almeno 15

Phytomyces 1

Trichoderma 1

Principali micotossine e loro effetti sull’organismo

Micotossina Fungo produttore Alimenti principalmente Effetto patogeno

contaminati

Aflatossine Aspergillus flavus Arachidi, semi oleosi, mais, Cancerogeno

Aspergillus parasiticus cereali, latte e derivati Epatotossico

Immunosoppessore

Nefrotossico

Ocratossina A Aspergillus ochraceus Mais, orzo, altri cereali Nefrotossico

Teratogeno

Immunosoppressore

Cancerogeno

Fumonisina B1 Fusarium moniliforme Mais, orzo, altri cereali Nefrotossico

Cancerogeno

Citotossico

Tricoteceni Fusarium sporotrichoides Mais, orzo, altri cereali Immunosoppressori

Dermatotossico

Emorragico

Zearalenone Fusarium graminearum Mais, orzo, altri cereali Estrogenosimile

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 216

Page 216: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

alle muffe. Anche i primi e più semplici si-stemi di conservazione degli alimenti (essic-camento, salagione) ostacolavano lo svilup-po fungino.Tutto fa ritenere che l’uomo abbia iniziato a

subire l’azione delle muffe alimentari con losviluppo dell’agricoltura e la conservazionedegli alimenti vegetali, creando patologie edin questo modo confermando l’idea di un’a-gricoltura causa di malattie.

217

Cibo e malattie

Micotossicosi più importanti: aflatossicosi e ocratossicosi

Micotossina Muffa Tossicosi Specie Organi Alimenti

produttrice colpita bersaglio più colpiti

Aflatossine Aspergillus flavus Epatite Uomo Fegato Arachidi

B1, B2, G1, Aspergillus Cirrosi epatica Volatili Cervello Cereali

G2, M1, M2 parasiticus Epatomi Maiale Rene Noci di cocco

Sindrome di Reyer Bovino Alimenti d’origine

Encefalopatia di Coniglio animale

Udorn

Ocratossina Penicillum Nefrotossicosi Maiali Rene Orzo

verrucosum Aborti (?) Bovini Grano

Aspergillus Tumori (?) Uomo Mais

ochraceus

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 217

Page 217: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Fave e favismo: antico legame tra cibo emalattie

Le leguminose assieme alle graminacee e sindall ’origine dell ’agricoltura, per le loro im-portanti caratteristiche nutrizionali positive,fanno parte dei “pacchetti vegetali”. Le legu-minose sono ricche di principi attivi dotatid ’azioni farmacologiche e, non raramente,tossiche, che fin dalla preistoria erano con-trollate dalla cucina. Tra le leguminose, findall’antichità le fave hanno dimostrato unamarcata ambivalenza d ’aspetti positivi enegativi, dando anche origine alla malattianota come favismo. Le ambivalenze della fa-va e le sue relazioni con la malaria sono in-terpretabili solo nell’ambito di una patologiaalimentare darwiniana.

Leguminose e favismoMolti sono gli aspetti nutrizionali positividelle leguminose che, ricche di proteine etalvolta anche di grassi, assieme ad una o piùgraminacee sono entrate a far parte dei pac-chetti vegetali che hanno caratterizzato tuttele agricolture. Altrettanto diffusi sono gliaspetti negativi delle leguminose che, da unpunto di vista evoluzionista sono spesso dariportare alla difesa dai parassiti. Come ri-cordato nel capitolo delle leguminose, diver-se di queste sono causa di malattie alimenta-ri umane e, tra queste, soprattutto il latiri-smo (da Lathyrus sativus) ed il favismo (daVicia faba). In modo particolare il favismo èstato studiato sotto la prospettiva della nu-trizione evoluzionista, divenendo per taluniaspetti un esempio paradigmatico.

Favismo, malattia tossica su base geneticaIl favismo è una malattia soprattutto acuta,con distruzione dei globuli rossi del sangue(emolisi), causata dall’ingestione di fave (Vi-cia faba) in individui geneticamente predi-sposti. Se non è curata, la malattia acutaporta a morte il 10% dei casi. Sono noti an-che casi d’intolleranza alla fava per inalazio-

ne o per contatto cutaneo, tanto che vi sonopersone che possono avere effetti negativianche a cento metri di distanza da un campodi fave in fiore o entrando in un negozio chevende fave (da qui l’obbligo di segnalarne lapresenza, con un cartello, come avviene inmolti comuni dell’Italia centro - meridiona-le).La storia di questa malattia è stata recente-mente scritta da Grmeck (1985), che ha benprecisato il ruolo avuto dai medici italiani etra questi Minà la Grua (1856). Importanteè stata l’osservazione che alcuni individui,che non sopportavano le fave, avevano ancheun’intolleranza al chinino, farmaco usatocontro la malaria.I principi attivi della fava sono dei forti ossi-danti: un aglicone pirimidinico, denominatodivicina, metabolita della vicina, la convicinae l’isouramile. In linea di massima i semi difava contengono 6,7 grammi di vicina e con-vicina per 100 grammi di sostanza secca.Per manifestare il favismo è necessaria unapredisposizoine genetica. Questa si manife-sta nei globuli rossi, nei quali manca un enzi-ma, noto come glucosio-6-fosfato-deidroge-nasi (G6PD) e che provoca una loro ridottaresistenza ai perossidi tossici ed ai radicali li-beri. Mentre le persone normali non risento-no dell’attività ossidante della fava, in quelleche non hanno il citato enzima, gli ossidantidella fava distruggono i globuli rossi e provo-cano il favismo.La malattia è abbastanza diffusa nell’area me-diterranea e nel medio oriente, nelle popola-zioni bianche ed in quelle nere e nelle perso-ne che, anche da tempi remoti, provengonoda popolazioni dell’area geografica sopra in-dicata e nella quale, fin dai tempi preistorici estorici, era endemica la malaria (paludismo),in particolare da Plasmodium falciparum, per imotivi che vedremo tra un attimo.La malattia è stata intensamente studiata neisuoi diversi aspetti (Grmek, 1985) e moltointeressanti sono i rapporti tra la carenza ge-netica d’enzima G6PD, malaria e favismo.

218

Capitolo III

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 218

Page 218: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Origine ed evoluzione della malariaTutto fa ritenere che la malaria umana, o pa-ludismo, provocata da diverse specie di pla-smodi, derivi da quella delle scimmie a suavolta proveniente, molto prima, da quelladegli uccelli (plasmodiosi). Le plasmodiosisono infezioni causate da protozoi che vivo-no dentro i globuli rossi del sangue e sonotrasmesse da diverse specie d’insetti emato-fagi (succhiatori di sangue). Nell’insetto ilplasmodio compie un particolare ciclo, ne-cessario per la sua riproduzione. Sotto l’a-spetto evolutivo, si deve ritenere che le pla-smodiosi degli uccelli siano molto antiche eche, in tempi successivi, si siano adattati acerte specie di mammiferi, in particolare iprimati. Quest’adattamento sarebbe avvenu-to nell’area asiatica, dove sarebbe iniziata lamalaria delle scimmie.In tempi relativamente recenti i plasmodidella malaria delle scimmie si sarebbero adat-tati all’uomo, dando origine alla malaria uma-na o paludismo. Questo sarebbe avvenutonell’Asia meridionale, dove vi erano anche lecondizioni favorevoli allo sviluppo degli in-setti ematofagi, necessari per la trasmissionedella malattia. Nell’area mediterranea la ma-laria sarebbe stata introdotta dall’India con leguerre persiane e non bisogna dimenticareche alla malaria è stata attribuita la morted’Alessandro Magno, che si era spinto fin aiconfini dell’India, dove si sarebbe infettato.Lo sviluppo della malaria umana è statosenza dubbio favorito dall’agricoltura, so-prattutto nelle aree basse e pianeggianti, ric-che d’acqua od irrigate, dove vi erano condi-zioni favorevoli alla moltiplicazione d’insettitrasmettitori della malattia, in particolareanofeli. All’arrivo della malaria, ad esempio,è stato attribuito il decadimento di città e dipopolazioni d’aree basse, ad esempio Sibarie la sua piana.

Malaria e genetica dei globuli rossiI globuli rossi delle persone con deficit del-l’enzima G6PD, o con altre alterazioni ge-

netiche che provocano l’anemia falciforme omediterranea, non sono adatti per un buonsviluppo dei plasmodi della malaria. Di con-seguenza, le persone con alterazioni geneti-che dei globuli rossi anche per carenza del-l’enzima G6PD, sono più resistenti delle al-tre all’infezione malarica, come dimostranodiverse ricerche anche sperimentali (Grmek,1985; Golenser e collaboratori, 1988).È comprensibile come una mutazione gene-tica che produce una maggiore sensibilitàdei globuli rossi agli ossidanti ed ai radicaliliberi - causa di fenomeni negativi - sia sfa-vorevole e sia rapidamente eliminata dallaselezione naturale. Infatti, le persone che nesono colpite, se non muoiono in giovane età,hanno una vita più breve. Se invece la muta-zione genetica, come indicato, protegge dal-l’infezione malarica, le persone che ne sonocolpite ne hanno, tutto sommato, un vantag-gio, che nel corso delle generazioni porta almantenimento ed alla diffusione dell’altera-zione genetica nella popolazione, a patto chela malaria rimanga presente.

Globuli rossi e principi attivi della favaDa qualche tempo diversi autori hanno con-siderato i rapporti tra alterazioni genetichedei globuli rossi e malaria, in relazione alconsumo alimentare di fave. La situazione èstata chiarita da diverse ricerche, e tra questequelle di Golenser e coll. (1988). In partico-lare, si è visto che nei globuli rossi carentid’enzima G6PD, l’attività ossidante deiprincipi attivi della fava svolgono un’azioneinibitrice su alcune fasi dello sviluppo deiparassiti malarici, molto più intensa di quel-la che si ha nei globuli rossi normali. In ter-mini semplici, la fava ha un’azione di farma-co antimalarico che è particolarmente inten-sa nelle persone con globuli rossi con man-canza dell’enzima G6PD. È molto probabileche lo stesso avvenga per altre alterazionigenetiche dei globuli rossi. In una zona dimalaria endemica, quindi, non è soltantoutile la modificazione genetica sopra indica-

219

Cibo e malattie

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 219

Page 219: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

ta, ma anche un’alimentazione che, almeno acerti livelli, contenga la fava con i suoi prin-cipi attivi.

Cucina della favaLa quantità di principi attivi della fava (vici-na e convicina) varia con le varietà ed i siste-mi di coltivazione, ma soprattutto con i trat-tamenti in cucina: la cottura in ambienteacido od alcalino inattiva tali principi, comedimostrano le recenti ricerche d’Abd-Allahe collaboratori (1988). La cucina è da ritene-re importante per l’attività della fava nel suoruolo di controllo della malaria, soprattuttoin persone geneticamente predisposte, per-ché può distruggerne i principi attivi. L’usodella fava, assieme ad altre leguminose, neiminestroni o nella puls degli antichi romaniè del tutto sicuro. Come riporta Grmek(1985), nella preparazione della fava esisteuna gran varietà di ricette, che riducono ilrischio per i favici e che compaiono nel Me-diterraneo orientale e vi si diffondono nelcorso della storia.

Fava, favismo e patologia alimentare darwinianaNell’area mediterranea la coltivazione ed ilconsumo della fava coincidono con un mo-dello d’evoluzione complesso, nel quale inte-ragiscono fattori biologici e culturali. Findall’antichità nella fava si potevano ricono-scere caratteristiche nutrizionali buone (ap-porto proteico) ed attività antimalarica. Lacultura umana ha introdotto modificazionitramite le tecniche agronomiche ed i tratta-menti di detossicazione della cucina. In que-sto quadro la presenza della fava entrava inun delicato ed utile equilibrio.Con l’eliminazione della malaria, anche ivantaggi della fava si sono fortemente ridot-ti, mentre sono rimasti gli inconvenienti delfavismo. Forse anche per questo nell’areamediterranea si è avuta una regressione nel-l’uso alimentare della fava, a vantaggio d’al-tre leguminose.

Soprattutto per la fava, bisogna ritenere chele pratiche alimentari (scelta degli alimenti,loro combinazione, modo di prepararli com-preso il sistema di cottura, tabù e permissio-ni ecc.) abbiano avuto notevoli implicazionidi tipo genericamente intese come sanitarie.Questo rivoluziona molte nostre concezionitroppo schematiche, come quella di valutareun alimento soltanto attraverso le calorie, leproteine, i grassi e così via. Ad esempio le ri-cette culinarie privilegiano l’uso di legumisecchi, successivamente cotti in modo pro-lungato, mentre l’uso di quelli crudi, limita-to, era riservato alle fasi vegetative precoci,meno ricche di principi attivi.Nel quadro ora tracciato, come già è statoindicato da Ballarini (1989), accanto al ruolonutritivo della fava ed a quello d’equilibriodella malaria, in una dieta moderna è orapossibile prevedere un suo ruolo anticoleste-rolemico e di diminuzione dei trigliceridi nelsangue, come per altre leguminose.

Bibliografia

Allison A.C. Malaria and glucose-6-phosphatedehydrogenase deficiency. Nature, 147,609,1986

Arese P., Mannuzzu L., Turrini F. Pathophysiologyof favism – Folia Haematol. Int. Mag. Klin.Morphol. Blutforsch., 116 (5), 745-752, 1989

Ballarini G. Rischi e virtù degli alimenti. Calderini,Bologna, 1989

Bienzle U. et alii. Glucose-6 phosphate dehydroge-nase and malaria. Lancet, 1, 107-110, 1972

Carcassi U.E. The interaction between beta-thalas-semia, G6PD deficiency and favism. Ann N. Y.Acad. Sci. 232, 297-305, 1974

Eaton S.B., Eaton S. B. Palaeolithic vs. moderndiets-selected pathophysiological implications.Eur. J. Nutr. 39(2), 67-70, 2000

Fischer T., Pescarmona G. P., Bosia A. Naitana A.,Turrini F., Arese P. Mechanisms of red cell clea-rance in favism. Biomed. Biochim. Acta., 42(11-12), 253-257, 1983

Fraser G.R. et alii. Thalassemia, abnormal haemo-globins and glucose-6-phosphate dehydrogenasedeficiency in the Arta area of Greece. Ann. N.Y. Acad. Sci., 119, 415-435, 1964

220

Capitolo III

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 220

Page 220: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Golenser J., Miller J., Spira D. T., Kosower N.S.,Vande-Waa J.A., Jensen J.B. Inhibition of theintraerythrocytic development of Plasmodiumfalciparum in glucose-6-phosphate dehydroge-nase deficient erythrocytes is enhanced by oxi-dants and by crisis form factor. Trop-Med-Para-sitol., 39(4), 273-276, 1988

Grmek M.D. Le malattie all’alba della civiltà occi-dentale. Il Mulino, Bologna,1985

Grmek M.D. Leggenda e realtà della nocività dellefave. in Grmeck, 1985

Kitayaporn D., Charoenlarp P., PattaraarechachaiJ., Pholpoti T. G6PD deficiency and fava beanconsumption do not produce haemolysis inThailand. Southeast. Asian J. Trop. Med. Pu-blic. Health. 22(2), 176-182, 1991

Liener I.E. Naturally occurring toxicants in foodsand their significance in the human diet. Arch.Toxicol. Suppl., 6153-6166, 1983

Minà La Grua A. Sopra l’itterizia endemica e su lemalattie ordinarie dei contadini di Castelbuono.1856

221

Cibo e malattie

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 221

Page 221: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Infezioni alimentari: dalle infezioni dellacaccia a quelle dell’allevamento

Molte infezioni sono trasmesse dai cibi(foodborne diseases), soprattutto da quellid ’origine animale. L’allevamento, con laconcentrazione degli animali, è all’origine dimolte infezioni, che erano di limitato signi-ficato negli animali selvatici e verso le qualil’evoluzione non aveva sviluppato significa-tivi sistemi di controllo.

Infezioni alimentari d’origine animale negliuomini cacciatoriSi è visto come l’uomo ed i suoi antenatiavessero un’alimentazione che comprendevaparti ed organi d’animali, in senso lato carni.La possibilità di una trasmissione d’infezionidagli animali all’uomo, anche attraverso glialimenti, era controllata da una serie di mec-canismi, sviluppati dalla selezione naturale.Tra questi sono da ricordare i seguenti.Precisando quanto visto a proposito dellacarnivorità umana, per ogni infezione esisteuna recettività di specie, vale a dire che, co-me regola, le singole specie sono recettive adinfezioni diverse. In quest’ambito vale anchela “regola” (le virgolette sono quasi d’obbli-go) che gli animali predatori sono divenutiscarsamente sensibili alle infezioni degli ani-mali predati attraverso differenti meccani-smi: selezione genetica e, o sviluppo d’im-munità specifica fin dalle prime fasi della vi-ta, ad esempio attraverso la protezione delcolostro, nei mammiferi.In condizioni naturali non vi sono, o sonoeccezionali, i grandi assembramenti ed affol-lamenti d’animali, che favoriscono i passaggiinfettivi e la virulentazione degli agenti in-fettanti. In linea di massima, la trasmissioned’infezioni e, o parassiti avviene in modo in-diretto e quindi anche controllato. Un’espo-sizione infettiva controllata agevola processiimmunitari e favorisce la presenza degliagenti infettanti, ma non la malattia.Nella vita degli uomini cacciatori e raccogli-

tori i diretti rapporti con gli animali eranomolto limitati e di solito indiretti. Non viera coabitazione e soprattutto non vi era unasignificativa esposizione attraverso le deie-zioni.Le infezioni alimentari negli uomini caccia-tori erano da ritenere limitate, soprattuttoquando s’iniziò ad usare il fuoco, probabil-mente un milione d’anni fa. In modo analo-go è da ritenere agissero le fermentazionicon il processo ancor oggi usato della frolla-tura. Un procedimento, quest’ultimo, che haorigini preumane, come testimoniano i com-portamenti d’animali carnivori, che lascianofermentare parti di prede, ad esempio le os-sa, fino a quando sono fermentate ed ema-nano aromi particolari.

Infezioni alimentari d’origine animale negliagricoltoriNella prima parte è stato discusso come l’al-levamento e l’agricoltura abbiano favorito ladiffusione d’infezioni e di malattie, attraver-so la concimazione organica, gli stretti con-tatti tra uomini ed animali in spazi ristretti.Il problema delle infezioni alimentari è mol-to complesso e può essere precisato come se-gue.1 - La concentrazione di molti animali della

stessa specie o di specie affini facilitasuccessivi e rapidi passaggi degli agentiinfettivi da un animale ad un altro ed unaumento del loro potere patogeno (viru-lentazione).

2 - Gli stress d’allevamento ed una nutrizio-ne inadeguata diminuiscono le resistenzeorganiche e permettono l’insorgere d’in-fezioni da microrganismi opportunisti.

3 - Negli allevamenti vengono a mancare osi riducono i meccanismi di controllodella trasmissione d’infezioni da parte divettori (parassiti), che in condizioni na-turali mantengono bassa la quantità d’in-fezione trasmessa.

4 - Con l’evoluzione naturale ed attraversodiversi meccanismi, in ogni specie ani-

222

Capitolo III

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 222

Page 222: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

male si sviluppa un equilibrio con le in-fezioni. Con l’allevamento si crea unacontestuale presenza, in una stessa co-munità d’animali di differenti specie econ patrimoni infettivi diversi, che facili-ta il passaggio d’infezioni tra gli animali,ma soprattutto tra questi e l’uomo. Daqui l’origine di molte zoonosi (infezionicomuni agli animali ed all’uomo) e dimalattie che si trasmettono con gli ali-menti.

5 - La coesistenza in ambiti di luogo e tem-po ristretti d’infezioni diverse, permetteibridazioni tra i microrganismi e la for-mazione di nuove varianti genetiche,quindi di nuove infezioni.

6 - La concentrazione d’animali e uomini,nella famiglia allargata dell’allevamentodivenuto rapidamente stanziale, compor-tano una concentrazione fecale inusuale,con trasmissioni infettive attraverso l’ac-qua inquinata dalle deiezioni animali edumane, ulteriormente aumentata dallaconcimazione ed irrigazione. Da qui latrasmissione oro - fecale delle infezioni,soprattutto di quelle intestinali, moltedelle quali sono oggi inquadrate tra lefoodborne diseases.

7 - Da non dimenticare che nelle città, an-corché primitive e di dimensioni limitate,vi erano condizioni di promiscuità trauomini e animali e d’affollamento uma-no, associati a cattive condizioni igieni-che (fecalizzazione ecc.) quanto mai fa-

vorevoli alla creazione e diffusione d’in-fezioni, e soprattutto di foodborne diseases.

Controllo delle infezioni alimentariLe moderne conoscenze sulle infezioni ali-mentari e soprattutto di quelle eventualmen-te presenti negli alimenti d’origine animale(carni, latte, uova, pesce, miele) permettonod’avere cibi sicuri e questo avviene attraversola coordinata applicazione delle seguenti mi-sure. 1) Controllo delle infezioni negli ani-mali, attraverso misure d’igiene attiva e pas-siva e interventi in veterinaria d’eradicazio-ne, vaccinazione, terapia ecc. 2) Controllodegli alimenti d’origine animale e loro trat-tamento con adeguati sistemi. 3) Metodi diconservazione privi di rischi. 4) Interventi dicucina che inattivano gli agenti infettivi.

Bibliografia

Archer D.L., Young F.E. Contemporary issues: di-seases with a food vector. Clin. Microbiol. Rev.,1, 377-398, 1988

Bunning V.K. Immunopathogenic aspects of food-borne microbial disease. Food Microbiol., 11,89-95, 1994

Bunning V.K., Lindsay J.A., Archer D.L. Chronichealt effects of foodborne microbial disease.World Health Sta. Quart., 50, 51-56, 1997

Foegeding P.M. Foodborne pathogens: risks andconsequences. Council for Agricultural Scienceand Technology. Task Force Report, 1221,1994

Graff J. Agriculture is bad for you. Time, April 23,2001 (p. 59)

223

Cibo e malattie

Microrganismi intestinali umani

Mille miliardi – Microrganismi presenti per ogni grammo di contenuto intestinale umano

500-1000 – Specie batteriche presenti nell’intestino umano. 50% sono strettamente anaerobie e non

possono vivere fuori dall’intestino animale od a contatto con l’ossigeno

Due- quattro milioni i geni presenti nei batteri intestinali (microbioma). 40.000 i geni umani

300 le generazioni dei batteri intestinali che si succedono in una decina di giorni: pari al numero di

generazioni della nostra specie dal neolitico ad oggi

100-200 i geni d’origine batterica che sono stati incorporati nel genoma umano (sec. Francis Collin)

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 223

Page 223: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

MALATTIE DA CIBI BUONI ED ALIMENTAZIONE DARWINIANA

La disponibilità di alimenti buoni non metteal riparo da effetti negativi, in particolare segli alimenti sono assunti in quantità noncongrue con la genetica umana. È il caso –tra i più evidenti – della obesità e del so-vrappeso, della ipercolesterolemia e del ti-more che un cronico eccesso di sale nelladieta provochi ipertensione.L’aumento del peso corporeo della popola-zione umana riguarda sia i paesi sviluppatisia quelli in via di sviluppo ed accanto allafame è una malnutrizione da considerare co-me una vera e propria “epidemia”, causa dimolte patologie metaboliche. Importante èla componente genetica dell’aumento delpeso corporeo e che riguarda gli aspetti me-tabolici e comportamentali.Il colesterolo è indispensabile per la vita de-gli animali, uomo compreso, che lo producenella misura in cui non lo trova negli ali-menti. In gran parte ingiustamente incrimi-nato quale causa di malattie cardiovascolari,in una concezione evoluzionista i rischi chesono stati attribuiti al colesterolo assumonoun ruolo secondario rispetto allo stile di vita.La ricerca del sale è più antica dell’uomo edè stata aumentata dall’agricoltura: un eccessodi sale, in relazione alla genetica umana,sembra essere all’origine di patologie.

Obesità e sovrappeso: una moderna epidemia su di un’ancestrale base genetica

L’aumento del peso corporeo della popolazio-ne umana riguarda sia i paesi sviluppati siaquelli in via di sviluppo ed accanto alla fameè una malnutrizione da considerare comeuna vera e propria “epidemia”, causa di mol-te patologie metaboliche. Importante è lacomponente genetica dell ’aumento del pesocorporeo e riguarda gli aspetti metabolici equelli comportamentali.

Obesità, sovrappeso tra stili di vita ed entrateenergeticheNella popolazione italiana, soprattutto inquesti ultimi dieci anni, il numero di perso-ne sovrappeso ed obese è andato progressi-vamente aumentando. Già nel 1994, sonostate rilevate dall’ISTAT e nelle persone dipiù di 18 anni, prevalenze d’obesità (IMC -Indice Massa Corporea >30) del 7,5% (uo-mini) e del 7% (donne) per un evidentesquilibrio tra stile di vita (uscite energeti-che) e alimentazione (entrate energetiche).Nel 2002 tra gli adulti sono obesi circaquattro milioni d’italiani (9%) ed in sovrap-peso più di sedici milioni (33,4%), per untotale di un 42,3%. L’epidemia obesità col-pisce anche ed in modo particolare i bambi-ni ed i giovani, è in pieno sviluppo e tende acrescere in modo quasi drammatico, del25% a triennio.L’epidemia obesità è conseguenza del com-binarsi di tre condizioni: a) riduzione dell’at-tività fisica (camminare, lavoro manualeecc.); b) riduzione dell’energia per mantene-re la temperatura corporea in ambienti fred-di; c) eccesso energetico nell’alimentazioneche deve essere messo in relazione all’attivitàfisica e secondo precisi obiettivi.Considerando l’attività fisica, diverse e re-centi indagini dimostrano che la media dellapopolazione italiana percorre ogni giorno daun chilometro e mezzo a due chilometri emezzo, con un’attività fisica che si può calco-lare compresa al massimo in un’ora. La no-stra genetica è invece quella dei nostri ante-nati, che percorrevano venti, trenta e perfinoquaranta chilometri il giorno e nelle genera-zioni precedenti vi era una media di sei, settee più ore il giorno d’attività fisica lavorativa.Considerando le entrate energetiche risulta uneccesso di grasso, soprattutto d’origine ani-male, e di zuccheri semplici con una carenzadi carboidrati complessi (comprendenti la fi-bra alimentare insolubile, ma soprattutto so-lubile). L’aumento delle entrate energeticheè la conseguenza dei seguenti fattori: a) am-

224

Capitolo III

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 224

Page 224: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

pia disponibilità e basso prezzo degli ali-menti energetici (grasso, zuccheri, farinaceiecc.); b) presenza nell’uomo di comporta-menti alimentari che spingono alla ricercad’alimenti energetici: “voglia di grasso” e“voglia di dolce” (zuccheri).

L’attuale questione alimentareLa situazione alimentare europea ed italianaè caratterizzata da un’abbondante disponibi-lità alimentare e da una remota eventualitàdi carestie e di fame. Il problema è piuttostodi una produzione eccedente e pone di fron-te a tutta una serie di nuovi problemi, chenel loro insieme caratterizzano l’attualeQuestione Alimentare. La produzione ali-mentare in Europa oggi comporta problemidi qualità piuttosto che di quantità, che ten-dono ad essere affrontati e risolti anche at-traverso un nuovo modo di produrre checomprende sia il prodotto biologico sia dilotta integrata. La produzione alimentareoggi deve tenere conto non solo degli aspettieconomici della politica agraria e di trasfor-mazione degli alimenti, ma anche degli aspettirelativi alla salute pubblica. Come fin dal1990 ha fatto rilevare W.P.T. James (1990) ènecessario avviare una Politica Nutrizionaleche integri e superi l’importante Politica Ali-mentare. Il Piano Sanitario Nazionale 1998-2000 italiano si presentò con lo slogan Unpatto di solidarietà per la salute, proponendoanche Un patto con il mondo della comunica-zione. Nell’ambito di questo piano, per laprima volta ed in modo organico fu affron-tato in Italia il problema di una Politica Nu-trizionale, inserita nell’obiettivo di promuo-vere comportamenti e stili di vita per la salu-te. Nell’ambito delle Linee Guida per unasana alimentazione italiana, gli obiettivi so-no di promuovere modelli alimentari medi-terranei basati principalmente su cibi d’ori-gine vegetale ed indirizzare l’alimentazionedella popolazione italiana, in modo che siadegui tendenzialmente agli standard nutri-zionali ottimali raccomandati dagli organi-

smi scientifici. In questi orientamenti ed an-che sulla base dei dati contenuti nel PianoSanitario 1998-2000, ma non solo, sono sta-ti presi in considerazione Sicurezza degli Ali-menti, Questione Energetica, Questione Protei-ca, Questione Alcolica, Questione Sale. Di par-ticolare importanza è quanto concerne laQuestione Energetica.

Obiettivi per contrastare l ’epidemia sovrappesoLe tendenze ed i traguardi atti a promuove-re comportamenti e stili di vita per la saluterelativi al problema energetico sono i se-guenti.1) Aumento dell’attività fisica, che in media

ed in linea di massima per una personaadulta e sana, non dovrebbe essere infe-riore ad un’ora il giorno di marcia rapida(almeno cinque chilometri).

2) Riduzione dell’energia alimentare, privi-legiando alimenti a basso contenuto ener-getico, alto contenuto di fibra e riducen-do quelli purificati (zucchero, olio e gras-si).

Con maggiore dettaglio sono indicati i se-guenti obiettivi:a) Ridurre l’energia derivante dai grassi a

non più del 30% dell’apporto caloricoquotidiano.

b) Ridurre l’energia derivante dai grassi sa-turi a meno del 10% dell’apporto caloricoquotidiano.

c) Aumentare l’energia derivante dai carboi-drati a meno de 55% dell’apporto caloricoquotidiano.

d) Ridurre la quota d’energia derivante dallozucchero a meno del 10% dell’apportocalorico quotidiano.

Da un punto di vista applicativo è quindinecessario contenere l’uso dei grassi di con-dimento ed impiegare alimenti complessi(d’origine animale, ma anche vegetale) a li-mitato contenuto lipidico. Oggi il mercatooffre ad esempio carni non solo a basso con-tenuto lipidico (3-5%) e questo, inoltre, hauna forte prevalenza d’acidi grassi insaturi.

225

Cibo e malattie

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 225

Page 225: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Genetica della ricerca energeticaUn’irresistibile voglia di grasso è profonda-mente iscritta nel comportamento alimenta-re dell’uomo, che ne aveva bisogno per il suostile di vita di grande corridore. Ancor oggiil grasso deve fornire da un quarto ad un ter-zo dell’energia alimentare. Soprattutto nelpassato il grasso alimentare era di tipo ani-male e solo recentemente il grasso vegetale ècomparso nell ’alimentazione umana. Laqualità dei grassi alimentari d’origine ani-male è stata modificata dalla domesticazionee di recente è stata adeguata alle necessitànutrizionali umane. La ricerca “genetica” dienergia ed in particolare di cibi energetici,come il grasso e l’alcole, trova riscontro inuna recente segnalazione fatta dal CNRS –Istituto Pasteur di Lille e dall’Imperial Col-lege di Londra in base ad uno studio effet-tuato sui francesi: 575 obesi e 646 non obesi.Una grave anomalia del gene GAD2 (situa-to nel cromosoma 10) aumenta il rischiod’obesità grave, agendo sul comportamento ali-mentare e sulla produzione d’insulina, trami-te un enzima che agisce sulla produzione delGABA, un messaggero chimico che a suavolta stimola l’appetito a livello del cervello(ipotalamo), oltre che ad intervenire nelladipendenza dell’alcole.Come dimostrano molte ricerche eseguiteanche sugli animali, esiste anche una geneti-ca che favorisce la deposizione di grasso, so-prattutto sottocutaneo. Questa genetica è fa-vorevole, in condizioni di limitata disponibi-lità energetica alimentare, soprattutto nelledonne, nelle quali la fertilità è collegata aduna certa quantità di grasso sottocutaneo. Laselezione di linee genetiche umane è stataanche favorita dalla scelta sessuale, in quantoil maschio prediligeva femmine dalle forme“rotonde”, che garantivano un buono stato disalute e la possibilità d’allevare una prole ab-bondante.È stato giustamente affermato che l’obesitàè una malattia cronica d’origine multifatto-riale, alla cui base c’è una forte impronta ge-

netica. Mentre per alcune specie animali èabbastanza nota l’ereditarietà del carattereobesità, per la nostra specie si pensa che al-meno cinquanta geni siano deputati al con-trollo dei comportamenti alimentari. La sin-drome obesità, quindi, è probabilmente lacombinazione di una serie di situazioni ge-netiche che predispongono l’individuo adingerire più energia e soprattutto a deposi-tarla sotto forma di grasso.Come sta insegnando la nutrizione evolu-zionista, quest’impellente voglia di grassoche ancora oggi tormenta tutti coloro chevogliono o debbono calare di peso o sono adieta, dipende dallo stile di vita sviluppatodall’uomo nell’ultimo milione d’anni.

Grassi, zuccheri semplici e alimentazionedarwinianaCome considerato a proposito dei grassi ali-mentari, i grassi purificati sono da conside-rare alimenti innaturali e come tali fonti dirischi nutrizionali. In modo analogo è avve-nuto per gli zuccheri semplici e per gli ami-di. Un tempo, l’unico zucchero semplice(glucosio) l’uomo lo trovava nel miele, unalimento scarso e riservato ai ricchi. Anchegli amidi erano scarsi nell’alimentazione del-l’uomo paleolitico. Con l’avvento dell’agri-coltura, gli amidi sono divenuti sempre piùabbondanti nell’alimentazione umana e ser-vivano a sostenere un’intensa attività fisica ele classi contadine non erano soggette a so-vrappeso ed obesità. Con l’arrivo di zuccherisemplici vegetali (zucchero di canna, di bar-babietola, da fermentazione degli amidi oisoglucosio) e la già più volte citata riduzio-ne dell’attività fisica, è scoppiata l’epidemiasovrappeso ed obesità, anche nei paesi in viadi sviluppo.

Sovrappeso, obesità ed alimentazione darwinianaNell’arco dei millenni il genere umano, co-me i suoi antenati, ha selezionato un corredogenetico capace di resistere alle carestie ed

226

Capitolo III

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 226

Page 226: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

alla carenza: chi aveva un metabolismo ri-sparmioso sopravviveva, gli altri morivano.Inoltre i maschi preferivano le femmine conforme rotondeggianti, soprattutto nei glutei,segno di riserve di grasso, necessarie per unfelice sviluppo riproduttivo. Questa geneticaè inadatta all’abbondanza di cibo altamentecalorico, come l’attuale.Sovrappeso ed obesità si sono diffusi, comeuna vera e propria epidemia, nei paesi delmondo industrializzato ed in quelli in via disviluppo, indipendentemente dagli interven-ti d’educazione alimentare. Nell’evoluzionedell’epidemia un ruolo importante ha lacomponente genetica. Significativo nell’UEè il caso della popolazione greca, nella qualevi è la maggiore percentuale di persone so-vrappeso od obese. Certamente in questopaese un ancestrale e lunghissimo periodo difame aveva selezionato linee genetiche conuna genetica di forte ricerca alimentare espiccata attitudine a depositare grasso.In relazione all’obesità bisogna considerare

anche il diabete di tipo 2, con resistenza al-l’insulina. La resistenza all’insulina è deter-minata da fattori fisiologici (età ecc.), patolo-gici (obesità) e genetici. L’aumento della in-sulina nel sangue (iperinsulinemia) è una ri-sposta metabolica compensatoria alla resi-stenza all’insulina, con lo scopo di mantenereuna normale tolleranza al glucosio. Recente-mente ed in particolare da diversi ricercatori(Colagiuri e Brand Miller, 2002) il fenome-no è stato interpretato in modo evoluzioni-sta, postulando una “carnivore connection”.Secondo questa interpretazione, nella evolu-zione della resistenza all’insulina e nellacomparsa dell’iperinsulinemia, avrebberoavuto un ruolo critico la quantità di proteinee carboidrati nella dieta ed il cambiamentodell’indice glicemico dei carboidrati. Durantele passate ere glaciali, quando l’uomo avevadovuto ricorrere ad una dieta ricca di protei-ne e povera di carboidrati, la resistenza all’in-sulina aveva dei vantaggi per la sopravviven-za e la riproduzione. Successivamente, con

227

Cibo e malattie

Percentuale di sovrappeso ed obesità degli italiani e degli europei. I dati non raggiungo-no il 100% in quanto non sono state riportate due categorie di sottopeso (Eurobarome-tro, 2000)

Normali Sovrappeso ObesiUomini Donne Uomini Donne Uomini Donne

EU (15 stati) 69,5 64,6 19,5 14.4 6,1 6,9Austria 69,8 66,0 20,4 15,6 5,9 6,0Belgio 69,2 66,3 16,1 9,8 6,5 8,3Danimarca 74,6 65,5 16,9 9,5 5,5 6,8Finlandia 68,8 64,2 18,3 17,6 8,6 8,2Francia 72,9 59,7 16,5 10,4 4,6 4,4Germania 69,1 71,1 23,2 15,1 5,4 3,8Grecia 61,0 55,7 26,7 17,8 8,7 13,0Irlanda 74,5 69,3 15,6 10,5 4,4 6,0Italia 75,3 61,8 15,4 13,4 4,3 5,4Lussemburgo 62,6 58,9 22,6 12,2 8,5 7,1Olanda 74,9 68,2 14,4 14,4 2,9 6,8Portogallo 70,7 61,7 16,7 21,2 7,9 9,4Regno Unito 65,6 62,0 21,4 17,8 8,1 10,1Spagna 63,0 62,1 24,2 15,7 7,8 6,2Svezia 68,1 68,7 22,2 13,8 4,9 3,8

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 227

Page 227: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

l’avvento dell’agricoltura, la dieta mutò, di-venendo povera di proteine ed abbondantedi carboidrati, molti dei quali complessi econ basso indice glicemico, con il conse-guente solo modesto aumento della insuli-na nel sangue. La rivoluzione industrialeha aumentato la quantità di cereali ed hafortemente e ulteriormente mutato la qua-lità dei carboidrati nella dieta. Le farine

dei cereali, per non parlare degli zuccheri,aumentano la glicemia dopo il pasto didue, tre volte rispetto ad un pasto costitui-to cibi preparati con farina integrale o congranaglie intere bollite. Ne è derivata unadiffusa iperinsulinemia. Questa combina-zione tra resistenza all’insulina ed iperin-sulinemia è la comune base di molte mo-derne malattie (obesità, diabete di tipo

228

Capitolo III

Obesità in Italia – Ministero della Salute, 2002 e 2004

Italiani obesi ed in sovrappesoObesi quattro milioni - In sovrappeso 16 milioni

Distribuzione territorialeObesi – Nord 8%; Sud 11%;, Isole 9,6%Sovrappeso – Nord 31%; Sud 38%; Isole 35%

Spesa sanitaria della popolazione con obesità e sovrappesoRicoveri ospedalieri 64%Esami diagnostici 12%Spese per farmaci 7%Spese per visite 6%

Bambini obesi ed in sovrappeso (2004)Obesi 10% - Sovrappeso 36%

Spesa annua stimata per malattie legate all’obesità: 22 miliardi di euro (2004)

Bambini e adolescenti con eccesso di peso in Italia 1999 – 2000 (Brescianini et al., 2002)

Totali Maschi Femmine

Anni 6 – 9 33,6% 34,6%Anni 10 – 13 30,9% 19,8%Anni 14 - 17 17,3% 10,5%Totali 26,9% 21,2

Energia alimentare nella popolazione italiana. Situazione ed obiettivi

Situazione Obiettivo

Grassi totali 35,7% 30%Grassi Origine Animale 13,0% 10%Carboidrati totali 48,4% 55%Zuccheri semplici 12,6% 10%Proteine 15,9% 15%Totali 100,0 100

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 228

Page 228: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

due, diabesità ecc.). Nell’ultimo mezzo se-colo, la diffusione di fast food a basso prez-zo ha esposto la popolazione dei paesi in-dustrializzati ad un eccesso di alimentienergetici e con alto indice glicemico, met-tendo in evidenza – soprattutto nell’etàmatura – la naturale resistenza all’insulinaereditata dai nostri antenati che erano so-pravvissuti alle glaciazioni.L’insuccesso dell’educazione nutrizionalenel controllo dell’epidemia sovrappeso èdipeso dall’aver semplificato troppo il pro-blema, riducendolo al solo contenimentodell ’energia alimentare, senza tenere in

sufficiente conto, almeno nella comunicazio-ne alla popolazione, della qualità energeticadegli alimenti (eccessi d’amidi e zuccherisemplici, grassi semplici) e soprattutto del-lo stile di vita (innaturale sedentarietà).

Bibliografia

Brescianini S., Gargiulo L., Gianicolo E. Eccessodi peso nell’infanzia e nell’adolescenza. Conve-gno ISTAT, settembre 2002

Colagiuri S., Brand Miller J. The “carnivore con-nection”. Evolutionari aspects of insuline resi-stance. Europ. J. Clin. Nutr., 56, suppl 1, S30-35, 2002

229

Cibo e malattie

Percentuali di obesità e sovrappeso nel mondo (2002)

Paese Uomini DonneSovrappeso Obesi Sovrappeso Obese

(IMC 25-29,9) (IMC >30) (IMC 25-29,9) (IMC >30)

Italia 41 9,5 26 9,9

EuropaFrancia 49 12 30 17Germania - 18 - 20Grecia 45 29 41 28Inghilterra 44,5 21 33,8 21,6Irlanda 46 20 33 16Islanda 54 19 39 15Jugoslavia - 36 - 40Scozia 25 20 32 22Spagna 56 10 43 14Svizzera 33 6 17 5

AmericaUsa 35 26 35 26

Asia e AustraliaAustralia 45,2 18,5 28,8 18,2Filippine 12,7 1,7 15,2 3,4Giappone 24,3 1,9 20,2 2,9Malesia 24 5 18 8

IMC – Indice Massa Corporea (Peso in kg diviso per altezza in metri al quadrato)

Normopeso – 21 – 25

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 229

Page 229: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Colesterolo: dalla paura alla necessità

Il colesterolo è indispensabile per la vita deglianimali, uomo compreso, che lo produce nellamisura in cui non lo trova negli alimenti. Ingran parte ingiustamente incriminato qualecausa di malattie cardiovascolari, in unaconcezione evoluzionista i rischi che sono sta-ti attribuiti al colesterolo assumono un ruolosecondario rispetto allo stile di vita.

La questione colesteroloLa questione colesterolo sta rapidamentecambiando, soprattutto per il ruolo che hanell’alimentazione.L’organismo umano, ogni giorno, ha bisognodi una certa quantità di colesterolo, che perle persone adulte è stimata in circa 2.500milligrammi. Il fabbisogno di colesterolo èperò variabile ed aumenta durante l’accresci-mento, con l’attività fisica ecc. Nelle personesane vi sono meccanismi d’adeguamento aibisogni e di controllo. Il colesterolo è quindipresente nel sangue anche di persone chesono strettamente vegetariane e la cui ali-mentazione n’è priva. Inoltre, se nell’alimen-tazione vi è molto colesterolo, ogni personasana ne fabbrica poco e solo nella misura percoprire le sue necessità. All’opposto, unapersona sana ne produce molto se l’alimen-tazione è povera di colesterolo. Questi mec-canismi di controllo dipendono anche dallagenetica individuale e giustificano particola-ri situazioni familiari. Come norma pruden-ziale, si è stimato che il colesterolo presentenell’alimentazione non dovrebbe superare itrecento milligrammi, lasciando fare all’or-ganismo per la restante quantità necessaria.Tuttavia, in una persona sana questo quanti-tativo può essere anche largamente superatosenza danni, perché vi sono i già citati mec-canismi di controllo ed in una dieta equili-brata e corretta dovrebbero essere presentialimenti che naturalmente sono dotati d’at-tività anticolesterolo.Per la citata esistenza di meccanismi d’auto-

regolazione del colesterolo nel sangue e d’a-limenti anticolesterolo, non bisogna stupirsise molte persone od intere popolazionistanno benissimo anche con quantità ali-mentari di colesterolo molto superiori aquelle ritenute regolari. In taluni casi si èparlato di paradossi, come quello francese,di una popolazione che ha una dieta conquantità di colesterolo medio - alti, mentrela media di colesterolo nel sangue si man-tiene normale.

Gli alimenti anti-colesteroloLa ricerca scientifica, dopo aver determinatola quantità di colesterolo nei diversi cibi e lesue modificazioni durante i processi di cot-tura, sta individuando nei diversi alimentiinteressanti attività anti-colesterolo, che so-no in parte alla base dei “paradossi del cole-sterolo”.Ricercando le origini di questi paradossi, ol-tre ai citati meccanismi di regolazione delcolesterolo, si è stabilito quanto segue. Nontutto il colesterolo presente nella dieta è uti-lizzato, perché alcuni alimenti ne ostacolanol’assorbimento (attività anticolesterolo indi-retta). Altri alimenti hanno attività anticole-sterolo dirette e tra questi è da ricordare lacarne magra (come quella della selvaggina,presente nella dieta umana paleolitica) ed ilvino. Pertanto, più che il colesterolo presentein questo o quell’alimento, è importante ladieta nel suo insieme, come questa è costi-tuita e se contiene alimenti con attività anti-colesterolo.

Colesterolo e grassiInteressanti ricerche stanno cambiando lenostre idee sul ruolo dei grassi. Si riteneva, eancor oggi molti ritengono, che gli acidigrassi saturi siano cattivi e quelli insaturibuoni. Questa distinzione ha diverse ecce-zioni e la più importante quella dell’acidostearico (saturo e quindi cattivo), che l’orga-nismo umano trasforma in acido oleico (in-saturo e pertanto buono). Per questo, i grassi

230

Capitolo III

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 230

Page 230: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

presenti nella carne magra, prevalentementeinsaturi e perché l’acido stearico è trasfor-mato in oleico, non sono da ritenere cattivi econtroindicati, ma anzi sono favorevoli peruna buona nutrizione.Le ricerche eseguite presso il Dipartimentodi Biochimica e Biofisica della Facoltà diNutrizione della Stazione Sperimentaled’Agricoltura del Texas (U.S.A.), guidate daBarbara C. O’Brien, tendono a fare un’altradistinzione tra gli acidi grassi polari e nonpolari. Gli acidi grassi polari, facilmente so-lubili e metabolizzabili, sono buoni ed ab-bassano il colesterolo. Gli acidi grassi polarisi trovano soprattutto nelle cellule, in parti-colare nella loro membrana, e sono una ca-ratteristica delle carni magre. Gli acidi grassinon polari, invece, soprattutto se di tipo sa-turo, tendono ad innalzare il colesterolo. Gliacidi grassi non polari sono concentrati so-prattutto nei grassi di deposito, ad esempionel sego dei ruminanti e nel lardo dei suini,che oggi hanno un ruolo ridotto nella nutri-zione umana.A causa del diverso contenuto in acidi grassipolari o non polari vi sono delle diete che,indipendentemente dal loro contenuto incolesterolo, non provocano un suo innalza-mento nel sangue, anzi lo abbassano.

Carne magra e vegetali anticolesteroloAttività anticolesterolo della carne magra. Èqui da ricordare quanto già detto per la car-ne magra, che assume un rilevante ruolo d’a-limento anticolesterolo attraverso una dietaequilibrata e corretta, con una giusta quan-tità d’energia, fibra alimentare ecc. Nellecarni magre sono contenuti lecitine e fosfoli-pidi, che hanno potenti attività anticoleste-rolo. Nella dieta, le lecitine e composti ana-loghi portano alla produzione di colesteroloHDL e quindi favorevole. In una dieta equi-librata le lecitine dovrebbero avere un rap-porto di almeno 10:1 con il colesterolo. Nel-le carni magre questo rapporto è ancora piùfavorevole perché si situa a circa 14:1

Vegetali anticolesterolo. Come è stato già det-to, da qualche tempo è noto che alcuni ali-menti, ad esempio la soia come altre legu-minose, hanno la preziosa caratteristica diabbassare il colesterolo del sangue. La stes-sa, importante caratteristica, di tanto in tan-to è scoperta anche in altri alimenti, soprat-tutto vegetali. In questi casi si arriva a gri-dare al miracolo od al paradosso. Uno diquesti ultimi è il ricordato paradosso fran-cese. Perché molti alimenti vegetali hannola caratteristica di tenere basso il colesterolodel sangue, dimostrando di avere una vera epropria attività anti-colesterolica? Perché ilvino rosso ha un’attività anti-colesterolicamolto più spiccata del vino bianco? Do-mande non inutili, perché la preziosa carat-teristica anti-colesterolica dei vegetali po-trebbe essere persa, se non si facesse un’ade-guata selezione dei vegetali destinati allanutrizione umana. Oggi ci si è resi contoche l’attività anti-colesterolica è molto im-portante per i vegetali ed è interpretabilesoltanto in un quadro evoluzionista. Infatti,il colesterolo è indispensabile per lo svilup-po delle larve degli insetti (che sono anima-li) e che parassitano i vegetali. Un’attivitàanticolesterolica è stata sviluppata e selezio-nata dalle piante, nel corso di centinaia dimilioni d’anni, per difendersi dai parassiti.Attività anticolesterolica del vino. Da ripro-porre è qui l’esempio dell’uva. L’uva selvaticae quasi tutta l’uva coltivata, quest’ultima finoa poco tempo fa, avevano la buccia grossa enera, che conteneva composti colorati (inparticolare polifenoli) dotati d’intensa azio-ne anticolesterolica ed era una protezionedagli insetti parassiti. Le uve nere, con mag-giore attività antiparassitaria e quindi anti-colesterolica, erano la conseguenza della se-lezione naturale. Si comprende come il vinorosso abbia un’attività anticolesterolica, ri-dotta per i vini bianchi, anche se ottenuti dauve nere, perché la vinificazione in biancoelimina i preziosi composti anticolesterolicidella buccia. Oggi, peraltro, si ritiene che il

231

Cibo e malattie

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 231

Page 231: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

resveratrolo, una delle molecole con attivitàanti-colesterolo, sia prodotto anche da alcu-ne muffe presenti sugli acini dell’uva e que-sto è da interpretare come una coevoluzionetra l’uva, la muffa ed i parassiti.Attività anticolesterolica delle leguminose. Unabuon’attività anticolesterolica è attribuita al-le leguminose (vedi), anche per la presenzain queste di saponine. Nel corso di milionid’anni si sono selezionate le varietà dotate dimaggiori azioni anti-colesteroliche e quindidi difesa contro gli insetti. Di recente allaselezione naturale si è sostituita quella artifi-ciale e si sono sviluppate nuove varietà di le-guminose molto produttive, senza prestareattenzione alle loro attività anti-colesteroli-che. Anzi, queste sono diminuite, come di-mostra il fatto che le nuove varietà sono piùsensibili ai parassiti, appunto per la riduzio-ne dell’azione anti-colesterolica. Di conse-guenza si sono resi necessari trattamenti an-tiparassitari con i più diversi composti chi-mici. A parte i rischi dei composti chimiciutilizzati in agricoltura, oggi vi è il rischio diun’ulteriore riduzione del naturale potereanticolesterolico dei vegetali coltivati.Attività anticolesterolica della cicoria. Recen-temente è stata segnalata l’attività anti-cole-sterolica della cicoria. Meehye Kim e HyungKyung Shin (1998), hanno dimostrato che laradice della cicoria, inserita nella dieta anchein piccole dosi, aumenta nel sangue il cole-sterolo HDL o colesterolo buono, in genera-le diminuisce il colesterolo LDL o cattivo, esempre vi è un significativo miglioramentodel rapporto HDL/LDL. Nel sangue com-paiono anche altre caratteristiche ritenutepositive, ma sopra tutto aumenta l’elimina-zione del colesterolo con le feci e la bile.Tutto fa ritenere che i benefici effetti dellacicoria sul metabolismo del colesterolo (e deigrassi) siano dovuti all’inulina, oggi classifi-cata tra le fibre alimentari solubili (vedi), cheè anche il principale componente della radi-ce della pianta.Colesterolo ed alimentazione darwiniana. Il

controllo del colesterolo ematico, nell’uomoha una genetica che si è evoluta in relazionead uno stile di vita caratterizzato da una si-gnificativa attività muscolare e da una dietarelativamente scarsa di grassi d’origine ani-male e ricca di vegetali con attività anticole-sterolica. Anche se oggi il “problema coleste-rolo” si è in parte ridimensionato, da unpunto di vista evoluzionista il controllo del-l’ipercolesterolemia deve essere svolto agen-do sia sullo stile di vita, sia sulla dieta nelsuo complesso.

Bibliografia

Ballarini G. Attività “extraproteiche” degli ami-noacidi e peptidi in patologia bovina. QuaderniASSALZOO, 1986

Broadhurst C.L. Balanced intakes of natural tri-glycerides for optimum nutrition: an evolutio-nary and phytochemical perspective. Med. Hy-potheses, 49(3), 247-261, 1997

Cheraskin E., Ringsdorf W.M., Brecher A. Psy-chodietetics, Bantam Books, Toronto, 1974

Cordain L., Miller J. B., Eaton S. B., Mann N.,Holt S. H. A., Speth J. D. Plant-animal subsi-stence ratios and macronutrient energy estima-tions in worldwide hunter-gatherer diets.American Journal of Clinical Nutrition, 71 (3),682-692, 2000

Davis K.L., Hollister L.E., Berger P.A., VentoA.L. Psychopharmacol. Bull., 14,56, 1978

Davis S.L. Endocrinology, 91, 205, 1972Eaton S. B., Eaton S. B. 3rd, Konner M. J. Palaeo-

lithic nutrition revisited: a twelve-year retro-spective on its nature and implications. Eur. J.Clin. Nutr. 51(4), 207-216, 1997

Eaton S. B., Eaton S. B., Sinclair A. J., CordainL., Mann N. J. Dietary intake of long-chainpolyunsaturated fatty acids during the palaeo-lithic. Return of Omega-3-Fatty-Acids intothe Food Supply, 83, 12-23, 1998

Eaton S., B., Konner M. Palaeolithic nutrition. Aconsideration of its nature and current implica-tions. N. Engl. J. Med., 312(5), 283-2899,1985

Harris M. Good to Eat. Riddles of Food and Cul-ture. Simon and Schuster, New York 1985(Traduzione italiana. Buono da Mangiare.Enigmi del gusto e consuetudini alimentari. G.Einaudi, Torino, 1990)

232

Capitolo III

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 232

Page 232: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Mann N. Dietary lean red meat and human evo-lution. European Journal of Nutrition, 39 (2),71-79, 2000

Meehye Kim e Hyung Kyung Shin. J. Nutr., 128,1731-1736, 1998

O’Brien B. Cholesterol Metabolism Is AlteredWhen Rats Are Fed Either Beef Tallow as theOnly Dietary Fat or Fat Containing the Lipid

Extracts of Beef. J. Nutr., 124, 1112-1117,1994

Schoknecht P.A. e coll. J. Nutr., 124, 305-314,1994

Steward J. M. e coll. La carne di maiale con altocontenuto d’acidi grassi polinsaturi abbassa ilcolesterolo LDL nelle donne. Am. J. Clin. Nu-tr., 74, 179-187, 2001

233

Cibo e malattie

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 233

Page 233: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Ipertensione:sale, un appetitogeno necessario

La ricerca del sale è più antica dell’uomo ed èstata aumentata dall’agricoltura. Un eccessodi sale, in relazione alla genetica umana,sembra essere all’origine di patologie.

Sale, alimento ancestraleÈ già stato ricordato che popolazioni amaz-zoniche, dopo aver cremato i propri morti, sicibavano delle loro ossa calcinate, dalle qualitraevano forza e vigore. Senza dubbio, rite-nevano, che lo spirito vitale del defunto pas-sasse ed agisse in loro. Più semplicemente,con le ossa i parenti assumevano sali mine-rali, ma soprattutto il cloruro di sodio o salemarino, detto anche sale da cucina o, piùsemplicemente sale, scarso nella loro ali-mentazione prevalentemente vegetariana, interritori lontani dal mare e fortemente dila-vati dalle piogge tropicali e subtropicali. Ilsale, assunto con le ossa, dava benessere.Als o sal, radice di “sale”, soprattutto quellomarino, è strettamente collegato al terminesalus e cioè salute. Infatti una grave carenzadi sale, cloruro di sodio, può indurre intensidisturbi e perfino la morte. La necessità disale, è così forte da essere stato oggetto diuna tassazione specifica. Senza sale si muoree con poco sale compare debolezza, calal’appetito, aumenta la sete. Il sale non è sol-tanto un condimento od un appetitogeno,ma un alimento essenziale, tanto ricercatoda essere usato come moneta o da dare, ailavoratori della terra, uno specifico “salario”destinato al suo acquisto. Per questo il saleed in particolare il sodio, uno dei suoi duecostituenti, non solo è presente nel latte, mase ve sono sia pur minime eccedenze, sonostoccate nelle ossa, per essere utilizzate nelmomento del bisogno.Il sale è stato conosciuto ed utilizzato dallavita fin dai suoi albori, quando iniziò nelmare primordiale. L’attuale composizionedel liquido del sangue, infatti, si ritiene ri-

produca quella del mare, quando i primi an-fibi iniziarono la conquista della terra ferma.Gli animali sono diversamente avidi di sale.L’uomo, che ha un’elevata sudorazione, habisogno di relativamente elevate quantità disale. Nell’uomo la necessità di sale alimenta-re dipende dalla dieta, ed in particolare dallamisura in cui l’uomo è carnivoro o vegetaria-no, e dall’intensità della sudorazione. In pro-posito vi sono casi estremi: scarsa necessitàdi sale nelle popolazioni prevalentementecarnivore e che vivono in ambiente freddo,come gli eschimesi; elevate necessità in po-polazioni vegetariane di paesi caldi, come lepopolazioni agricole africane. L’importanzadel sale ha portato l’evoluzione biologica asviluppare comportamenti di ricerca del salee meccanismi biologici di regolazione e dirisparmio.

Voglia di saleÈ noto che le capre sono avide di sale. Lecapre sono animali erbivori un tempo larga-mente usati per la produzione del latte, checontiene molto sodio, ricavato dal cloruro disodio. Le capre, ma anche altri animali erbi-vori soprattutto da latte, sono dotate di unistinto per la ricerca del sale, fino a raggiun-gere il livello di una “fame specifica”. In que-ste condizioni gli animali leccano gli affiora-menti di sale e lambiscono il proprio e l’al-trui mantello, sul quale si ferma il sale delsudore. Vi sono specie di ruminanti selvatici,come gli gnu, che nelle loro migrazioni an-nuali passano in luoghi aridi dove vi sono af-fioramenti salini, leccando i quali si ricarica-no per il resto dell’anno, depositando il salenelle loro ossa. La ricerca del sale spinge ibovini allevati allo stato brado nell’Americacentrale a cibarsi delle ossa dei loro compa-gni morti, in una sorta di cannibalismo che,in animali erbivori, è comprensibile solo se siconsidera l’importanza del sale nell’alimen-tazione.La voglia o fame di sale è un comportamen-to, selezionato nel corso di milioni d’anni,

234

Capitolo III

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 234

Page 234: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

che si trova anche nell ’uomo. La specieumana, che si è evoluta in Africa, soprattut-to nelle parti centrali, lungo l’attuale Valledel Rift, non aveva forse bisogno di moltosale, almeno fino a quando era onnivora, vi-veva nella foresta, vicino ad acque probabil-mente salmastre. Il passaggio alla savana cal-da ed asciutta, e lo sviluppo della cacciad’inseguimento, con lunghe e prolungatecorse e con elevata sudorazione, ha compor-tato un maggior bisogno di sale. Si sono cosìselezionate linee genetiche umane che me-glio erano capaci di trattenere o risparmiareil sale. In linea di massima sono più atte atrattenere il sale le popolazioni umane che sisono sviluppate nelle aree continentali, so-prattutto se calde (la già citata Amazzonia, ilcentro dell’Africa, le steppe asiatiche ecc.),mentre vi è una minore tendenza in quelleche abitano le coste marine, ad esempio delMediterraneo. Qui è bene premettere chetrattenere il sale significa anche mantenereacqua nell’organismo e, quindi, aumentare ilvolume del sangue, con la conseguenza dimantenere in giusto grado anche la sua pres-sione.Il mantenimento del sale nell’organismo ècosì importante che ha indotto a selezionaremeccanismi specifici. Un breve eccesso disale, peraltro raro in condizioni biologicheumane normali, è rapidamente corretto conun aumento della sua eliminazione (aumen-to della sete e dell’urinazione). Vi sono ani-mali, come gli uccelli marini, che ai lati degliocchi hanno delle particolari ghiandole delsale, con le quali eliminano il sale introdottoin eccesso con l’alimentazione (pesce ed ac-qua di mare). Si spiega così come questi ani-mali possano vivere senza acqua dolce, maanche perché l’uomo abbia lacrime salate: unantichissimo retaggio di un nostro progeni-tore, più o meno marino.Tornando all’uomo, la presenza del sale è re-golata da un complesso e delicato equilibrio.A questo partecipano diversi ormoni, ad ini-ziare da quelli della ghiandola surrenale (che

elabora i mineralcorticoidi destinati a rego-lare l’acqua ed i sali, soprattutto cloruro disodio, nell’organismo) e gli ormoni dell’ipo-fisi che regolano la quantità d’urina e la sete(ormone antidiuretico). Importante è ancheil rene, che mantiene nell’organismo le giu-ste quantità d’acqua e di cloruro di sodio.Da non sottovalutare, infine, l’eliminazionedi sale attraverso la pelle e con il sudore e,nella donna che allatta, con il latte. Si è tut-tavia visto che l’attività dei meccanismi diregolazione del sale non è uguale in tutte lepopolazioni, il che ha non piccole conse-guenze, anche sanitarie.

Le tre “rivoluzioni saline”Fino a 10.000 anni fa le popolazioni umanedi cacciatori e raccoglitori avevano una dietacon circa 800 milligrammi di sodio il giorno(circa 2 grammi di sale). Una quantità di so-dio assolutamente normale, che oggi dai ri-cercatori è stimata tra i 500 e 2400 milli-grammi di sodio, corrispondente a 1,25-6grammi di sale il giorno. Inoltre il sodio erain equilibrio con il potassio. L’uomo era ed èancora più o meno geneticamente adatto aquesta quantità di sale nella dieta. L’uomoha però dovuto affrontare tre “rivoluzioni sa-line”.La prima “rivoluzione salina” ha coinciso conl’avvento dell’agricoltura ed è stata caratte-rizzata dai seguenti elementi. Innanzi tuttovi è stato un significativo aumento dellaquota alimentare vegetale, scarsa di sodio ericca di potassio. Molto spesso vi è stata an-che l’estensione delle popolazioni umane inaree continentali lontane dal mare e poveredi sale. La lavorazione dei campi, per guada-gnarsi il pane con il “sudore della fronte” edovviamente di tutto il resto del corpo, nonsolo ha fatto aumentare la “voglia di sale”,ma ha anche privilegiato alcune le linee geneti-che capaci di trattenere il sale meglio di altre.Una seconda “rivoluzione salina” vi è stataquando il sale è divenuto facilmente dispo-nibile per tutti ed è stato sempre più utiliz-

235

Cibo e malattie

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 235

Page 235: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

zato nella conservazione degli alimenti, perquesto il suo consumo è aumentato, sia purecontenuto dalle tasse. La tassa sul sale, cheoltretutto era oggetto di monopolio, in Italiaè rimasta fin alla seconda metà del secoloventesimo.Recentemente vi è stata una terza “rivoluzio-ne salina”, quando il sale è divenuto disponi-bile a prezzi irrisori rispetto al reddito. So-prattutto in popolazioni nelle quali la “nor-male” genetica spingeva alla sua ricerca, vi èstata un’elevazione dei consumi, che hannosfruttato il suo elevato potere appetitizzante.Molti sono gli alimenti industriali, anchedolci, che contengono sale. Oggi, l’alimenta-zione giornaliera di ogni persona dei paesiindustrializzati contiene circa 10 grammi disale da cucina, ma non sono rare quantitàancora superiori e che raggiungono i dodici,quattordici ed anche diciotto grammi ilgiorno.Nell’alimentazione umana, da una carenzasalina, si è passati ad un eccesso di sodio edin particolare di cloruro di sodio. Dal paleo-litico ad oggi, in larga media, il sodio nell’a-limentazione umana è aumentato di 7,35volte, mentre nello stesso periodo la geneticaumana non è sostanzialmente cambiata e lavita, inoltre, si è allungata di oltre due volte.

Ipertensione geneticaProbabilmente, fino a 10.000 anni fa l’au-mento anormale della pressione del sanguenelle arterie (ipertensione), con tutte le suemalefiche conseguenze (infarto, ictus ecc.)non esisteva od era rarissima. Non solo per-ché la vita media era breve, di soli venticin-que, trenta anni, con punte eccezionali dicinquanta anni o poco più, ma perché vi eraanche un giusto equilibrio tra genetica, stiledi vita ed alimentazione, con particolare ri-guardo alla quantità di sale nella dieta. Se laquantità di sale nella dieta, od anche solouna sua elevata presenza, sia un fattore di ri-schio per l’ipertensione arteriosa è ancoradiscusso. Vi sono indagini epidemiologiche

che lo fanno ritenere probabile, e non è uncaso che tra gli obiettivi di una corretta nu-trizione vi sia anche quello di contenere l’u-so del sale.Da un punto di vista della patologia alimen-tare darwiniana è interessante rilevare che lacostituzione genetica ha indubbiamente unruolo epidemiologico riguardo all’iperten-sione arteriosa. Almeno a questo riguardo, lamaggiore diffusione dell’ipertensione nellapopolazione nera americana, rispetto a quel-la bianca, può essere interpretato in questosenso. Popolazioni che si erano selezionatenella direzione di risparmiare sale, comequelle africane del centro Africa, di frontead una larga disponibilità di sale come nel-l’attuale situazione nordamericana, sarebbe-ro più predisposte all’ipertensione di popo-lazioni, ad esempio d’origine mediterranea,che si erano evolute in condizioni di largadisponibilità salina. (Ad esempio in Sicilianon esisteva il monopolio del sale).

Eccessi cronici di saleTutto fa ritenere che la nostra genetica, purcon una certa gamma di diversità, e tenden-zialmente indirizzata ad un risparmio di sa-le, abbia anche la capacità d fronteggiare unsuo eccesso. Probabilmente nella nostra sto-ria naturale, depositata nei nostri geni, restaancora traccia di quando era necessario eli-minare il sale ed il riferimento che è statofatto della salinità delle lacrime è interessan-te. Comunque il rene è il grande eliminatoredi sale, coadiuvato, è bene ripetere, dalla pel-le. Il dubbio che rimane è se i sistemi di eli-minazione di un eccesso di sale possonofunzionare non solo per la durata biologicamedia della vita umana (trenta, al massimocinquanta anni), ma per periodi doppi, qualisono gli odierni, di settanta, ottanta e piùanni. Del sale si è parlato bene fin dalla not-te dei tempi, ma recentemente e da quandoil prezzo del sale è divenuto irrisorio e la vitaumana si è allungata, si è incominciato a te-mere per un suo eccesso nella dieta. Sul sale

236

Capitolo III

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 236

Page 236: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

nella dieta si è infatti costruito un “sillogi-smo” od un “teorema” alimentare che puòessere così sintetizzato: a) un eccesso di salenella dieta tende ad aumentare la pressionedel sangue nelle arterie; b) una pressione altafavorisce la comparsa di incidenti cardiova-scolari; c) di conseguenza molto sale nelladieta provoca ictus, infarti ed altri problemicircolatori. Su questo sillogismo o teorema sivorrebbe anche impostare una campagna dieducazione alimentare per una dieta scarsadi sale.Meno sale nella dieta significa, automatica-mente e per tutti, più salute? Oggi vi sonodubbi. Non solo perché si andrebbe controad un’opinione antichissima (ma oggi lecondizioni di vita sono diverse di quelle diun tempo) e perché la dieta mediterranea,sviluppata in paesi costieri di un mare parti-colarmente salato e dove non vi erano limi-tazioni di uso (in Sicilia il sale non era og-getto di tassazione, tanto che si era sviluppa-to un contrabbando verso l’Italia continenta-le), ma perché recenti indagini non dimo-strano un rischio chiaramente apprezzabile,almeno per consumi di sale non eccessivi.Aldermann M. H. e collaboratori (1998)hanno pubblicato uno studio che, iniziatotra il 1970 ed il 1975, è stato completato conun riesame compiuto nel 1992, e nel qualesono state interessate circa 20.000 personedi età compresa tra i 25 ed i 75 anni, 11.500delle quali sono state sottoposte ad una va-lutazione medica. I risultati dello studio nonmostrano alcuna correlazione positiva tra con-sumo di sale (da 11 a 2,5 grammi il giorno) emortalità cardiovascolare o per altre cause. Siosserva, addirittura, che le persone che consu-mano circa 11 grammi di sale di cucina il gior-no tendono ad avere un rischio di morte, percause cardiovascolari o per qualunque altra cau-sa, inferiore del 20% circa rispetto alle personecon i consumi più bassi (circa 2,5 grammi ilgiorno).In una popolazione normale e sulla base deirecenti studi, non è quindi necessario ridurre

la quantità di sale nella normale alimenta-zione, anzi potrebbe essere dannoso, datoche in coloro che consumano poco sale (cir-ca 2,5 grammi di sale da cucina il giorno) viè un maggiore rischio di morte per causecardiovascolari o di ogni altro tipo. Unaconclusione che non avrebbe stupito i nostriantenati che collegavano il “sale” alla “salu-te”. Diversa è ovviamente la situazione dipersone con malattie o disturbi per i qualidevono seguire diete speciali. Una notiziaquindi confortante per chi aveva dubbi dipoter continuare ad alimentarsi con pastacotta in acqua salata, insalate, vegetali in sa-lamoia, carni e pesce conservati con il sale.Oggi, inoltre, le carni conservate e soprat-tutto quelle di maiale (salumi) contengonoquantità sempre minori di sale e quindi noncostituiscono un rischio, anzi sono un bene-ficio, per la salute pubblica.

Cucina, gastronomia e patologia alimentaredarwinianaUna cucina senza sale? Certamente no, an-che perché il sale è indispensabile. Una cuci-na con una giusta dose di sale però sì: unaquantità di sale inferiore a quella alla qualeoggi ci siamo abituati. Il sale è un potenteappetitogeno ed, inoltre, invita a bere. Que-sto spiega come molti snacks siano salati odolci e salati al tempo stesso. Infatti i duegusti possono coesistere ed essere apprezza-ti. Anche la moderna gastronomia è attentaal sale. Un’elevata presenza di sale, infatti,può coprire altri sapori meno marcati e deli-cati. Al sale, inoltre, ci si abitua ed, entrocerti limiti, dà assuefazione. Un eccesso disale appiattisce molti gusti ed uniforma lecucine, togliendo loro le specificità e quindiva contro la tradizione. Una cucina del sale(salvo usarlo come “contenitore” per cuocereil pesce, ad esempio) non è certamente “ga-stronomica”Qual era la cucina di un tempo? Certamenterisparmiosa di sale e si avvicinava all’alimen-tazione paleolitica ed alla prima cucina neo-

237

Cibo e malattie

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 237

Page 237: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

litica ed, infine, ai fabbisogni nutrizionalidell’uomo, quali gli derivano dalla sua gene-tica. Una cucina che, inoltre, utilizzava altriappetitogeni, quelli delle erbe aromatiche:sia alimenti vegetali e sia condimenti, cheerano usati in una grandissima varietà. Unagran varietà che assicurava la biodiversitàalimentare necessaria all’uomo e le “molecolestrategiche” necessarie alla sua salute, traqueste soprattutto i già citati Phytochemicals.Oggi la gastronomia tende a recuperare i va-lori del passato, ma soprattutto esaltare i sa-pori genuini degli alimenti, evitando l’ap-piattimento ed uniformazione del gusto chederiva da un eccesso di sale. Una cucina conpoco sale, ed una gastronomia che valorizzagli aromi naturali degli alimenti, sono altempo stesso buone e salutari, ma soprattut-to si collegano ad una genetica umana che siè evoluta con una non elevata disponibilitàdi sale (sodio) e con una più o meno elevatacapacità di risparmiarlo.

Bibliografia

Aldermann M.H. e coll. The Lancet, 351, 781-785,1998

Baker E.H., Ireson N.J., Carney C., Markandu-

ND, MacGregor G.A. Transepithelial sodiumabsorption is increased in people of African ori-gin. Hypertension. Jul 2001; 38 (1), 76-80

Bella J.N., Palmieri V., Liu J.E., Kitzman D.W.,Oberman A., Hunt S.C., Hopkins P.N., Rao-D.C., Arnett D.K., Devereux R.B. Relationshipbetween left ventricular diastolic relaxation andsystolic function in hypertension. The Hyper-tension Genetic Epidemiology Network (Hy-perGEN) Study. Hypertension. Sep 2001; 38(3), 424-428

Devereux R.B., Bella J.N., Palmieri V., ObermanA., Kitzman D.W., Hopkins P.N., Rao D.C.,Morgan D., Paranicas M., Fishman D., ArnettD.K. Left ventricular systolic dysfunction in abiracial sample of hypertensive adults. The Hy-perGEN study. Hypertension. Sep 2001; 38 (3),417-423

Dominiczak A.F., Negrin D.C., Clark J.S., BrosnanM.J., McBride M.W., Alexander M.Y. Genesand hypertension. From gene mapping in expe-rimental models to vascular gene transfer strate-gies. Hypertension. Jan 2000; 35 (1) Part 2 Sup-pl. S, 164-172

Groziak S.M., Miller-G.D. Natural bioactive sub-stances in milk and colostrum: effects on thearterial blood pressure system. British JournalofNutrition. Nov 2000; 84 Suppl. 1, S119-S125

Lalouel J.M., Rohrwasser A. Development of gene-tic hypotheses in essential hypertension. Journalof Human Genetics. 2001; 46 (6), 299-306

Lee W.K., Padmanabhan S., Dominiczak A.F. Ge-

238

Capitolo III

Sodio e potassio - Confronto tra l’alimentazione paleolitica e quell’americana attuale(Eaton, Eaton III, Konner, 1999)

Parametro Sodio Potassio

Media in 236 alimenti vegetali presenti nella dieta dei 13,5 448

cacciatori-raccoglitori milligrammi/100g (0-352) (5,1-1665)

Media in 85 alimenti animali presenti nella dieta dei 59 317

cacciatori-raccoglitori milligrammi/100g (D.S. 23,6) (D.S. 43,3)

Consumo giornaliero Paleolitico milligrammi/giorno 768 10500

Dosaggio raccomandato USA milligrammi giorno 500-2400 3500

Consumo giornaliero USA milligrammi/giorno 4000 2500

Concentrazione nell’alimentazione paleolitica (milligrammi/1000 Kcal) 256 3500

Concentrazione nell’alimentazione americana (milligrammi/1000 Kcal) 1882 1177

Rapporto Paleolitico:Americano 0,136 2,97

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 238

Page 238: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

netics of hypertension: from experimental mo-dels to clinical applications. Journal of HumanHypertension. Oct-Nov 2000; 14 (10-11), 631-647

Mac Gregor G.A. Nutrition and blood pressure.Nutr. Metab. Cardiovasc. Dis., 9, 6-15, 1999

Matsubara M. Genetic determination of human es-sential hypertension. Tohoku. Journal of Experi-mental Medicine. Sep 2000; 192 (1), 19-33

Poch E., Gonzalez D., Giner V., Bragulat E., CocaA., de la Sierra A. Molecular basis of salt sensiti-vity in human hypertension. Evaluation of re-nin-angiotensin-aldosterone system gene poly-

morphisms. Hypertension. Nov 2001; 38 (5),1204-1209

Rapp J.P. Genetic analysis of inherited hypertensionin the rat. Physiological-Reviews. Jan 2000; 80(1), 135-172

Satoh T., Owada S., Ishida M. Recent aspects inthe genetic renal mechanisms involved in hyper-tension. Internal-Medicine. Dec 1999; 38 (12),919-926

Sculati O. Sale: troppo, poco… quanto? – Eurocar-ni, fasc, 4, p. 112-113, 2002

Weinberger M.H. Salt and blood pressure. CurrentOpinion in Cardiology. Jul 2000;15 (4), 254-257

239

Cibo e malattie

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 239

Page 239: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

MALATTIE DA ASSENZE NUTRIZIO-NALI E PATOLOGIA ALIMENTAREDARWINIANA

La moderna alimentazione sta mettendo inluce il ruolo e l’importanza di carenze ali-mentari, che un tempo erano in buona parteevitate con la grande biodiversità alimentaredella nostra specie. Oggi siamo particolar-mente interessati alle carenze di calcio, ma-gnesio, ferro ed altri oligominerali o oligoe-lementi, fibra alimentare, vitamine ed anchefitoestrogeni.Per il calcio esistono delicati sistemi di con-trollo ed una chiara base genetica di ricercaattraverso una fame specifica, che induce an-che a mangiare la terra (geofagia), ed i nostriantenati avevano un’alimentazione ricca diminerali, ai quali avevano adeguato la lorogenetica. Nei paesi industrializzati la dietacorrente è scarsa di calcio e, sempre più, dimagnesio.La diffusa e grave carenza di ferro provocaimportanti menomazioni psicofisiche nellepopolazioni umane ed è la conseguenza del-l’aver dimenticato l’alimentazione proteicacarnea determinata dai nostri geni.Una ventina di minerali sono necessari perla vita e la salute, ed importante è la formasotto la quale sono presenti negli alimenti.La purificazione degli alimenti spesso li pri-va dei preziosi minerali ed espone l’uomomoderno ai rischi di nuove carenze nutrizio-nali, sconosciute nel paleolitico.Nell’uomo gli alimenti sono fermentati nelgrosso intestino, dando origine a nutrientiimportanti per la salute, e diverse malattiedella civiltà sono collegate ad insufficientifermentazioni intestinali.Molte vitamine sono indispensabili per unabuona salute e non mancavano nell’alimen-tazione umana atavica, ma i mutati ambientie stili di vita, l’agricoltura e l’industrializza-zione alimentare oggi favoriscono le carenzevitaminiche.

Osteoporosi: calcio e magnesio, grandi minerali necessari per la vita

Il calcio ed il magnesio sono i principali co-stituenti delle ossa, hanno molte funzioni in-dispensabili per la vita e devono essere pre-senti nella dieta. Per il calcio esistono delicatisistemi di controllo ed una chiara base gene-tica di ricerca attraverso una fame specificache induce anche a mangiare la terra (geofa-gia). Altrettanto non pare avvenire per ilmagnesio. I nostri antenati avevano un’ali-mentazione ricca di minerali, ai quali ave-vano adeguato la loro genetica. Nei paesi in-dustrializzati la dieta corrente è carente dicalcio e, sempre più, di magnesio.

Importanza del calcio alimentare e sua presenzanella dieta paleoliticaNei paesi industrializzati circa una donnaanziana su sei subisce la frattura del femorecon gravi conseguenze. Molte donne sonocolpite dal cancro del seno. Sempre più nu-merosi uomini e donne vanno incontro adipertensione arteriosa ed, in misura minore, acancro del grosso intestino. Se si considera lasomma di dolore e sofferenza, ma anche ildanno economico diretto ed indiretto (ospe-dalizzazione, medicinali ecc.) dell’ora ricor-date malattie, una prevenzione globale, so-prattutto se poco costosa, è assolutamenteindispensabile. Il fattore che accomuna lemalattie sopra citate, nell’insorgenza ma so-prattutto nella prevenzione, è la marcata eprolungata carenza di calcio nell’alimenta-zione. Per questo si parla di “Fattore Calcio”.La carenza di calcio nell’alimentazione uma-na è un fenomeno recentissimo, almeno daun punto di vista biologico. Il calcio era ab-bondante nella dieta dei nostri antenati. Glistudi antropologici dimostrano che nel Pa-leolitico (35.000-10.000 anni fa), ma anchedopo la diffusione dell’agricoltura, nell’ali-mentazione umana l’elevata quota di vegeta-

240

Capitolo III

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 240

Page 240: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

li ricchi di calcio forniva una quantità di mi-nerali cinque volte superiore a quell’odierna.Inoltre la vita all’aria aperta forniva un’eleva-ta quantità di Vitamina D (prodotta dai rag-gi ultravioletti del sole sulla pelle) che age-vola l’assorbimento del calcio da parte del-l’intestino. Infine nella donna vi è un mecca-nismo ormonale che tende ad accumularecalcio nelle ossa in vista della gravidanza(calcificazione delle ossa del feto) e soprat-tutto della produzione di latte (ricco di cal-cio), ma questi meccanismi si riducono conla menopausa, perché biologicamente inutili.Non è da sottovalutare che, come recente-mente hanno visto Sebastian e coll. (2002),la dieta paleolitica comportava una limitataacidosi metabolica, che è invece oggi au-mentata almeno di due volte, il che compor-ta alterazioni nell’assorbimento ed elimina-zione del calcio alimentare.

Moderna carenza di calcioNei paesi industrializzati l’alimentazione sibasa su vegetali scarsamente dotati di calcio.Inoltre, la moderna dieta contiene alte quan-tità di proteine e soprattutto di fosforo equesto facilita l’eliminazione del calcio at-traverso le urine. Vi è anche una maggioreacidosi metabolica che comporta un maggiorfabbisogno di calcio. Anche l’azione dei rag-gi solari è oggi limitata da una vita che sisvolge prevalentemente in ambienti chiusi edalla protezione con filtri protettivi contro iraggi ultravioletti del sole. Limitate sono lequantità di latte e latticini, alimenti che pos-sono fornire la necessaria quantità di calcio.Anche l’acqua è sempre più frequentementedecalcificata e si è diffusa l’abitudine di bereacque oligominerali. La gran disponibilità dicalcio nella dieta umana durante un milioned’anni ha impedito che si sviluppassero mec-canismi di risparmio del calcio, come inveceè avvenuto per altri minerali, ad esempio ilsodio. Di conseguenza il calcio è continua-mente perduto attraverso le urine, feci e su-dore, anche quando è scarso nella dieta. Gli

unici meccanismi adattativi riguardano ilmantenimento della sua costante concentra-zione nel sangue (calcemia), non il suo de-posito nelle ossa, scarsamente utile con un’a-limentazione nella quale il calcio era abbon-dante. Una dieta prolungata con una quan-tità insufficiente di calcio, soprattutto nellecondizioni ormonali che accompagnano eseguono la menopausa, porta inevitabilmen-te ad una riduzione della massa ossea equindi ad un’aumentata fragilità soprattuttoin alcuni punti critici, come la parte alta delfemore sulla quale grava tutto il peso corpo-reo. Il calcio alimentare e soprattutto alcunesue forme presenti nei vegetali, ad esempio ilfitato di calcio, interviene nell’inattivazionedi cancerogeni intestinali e contrasta valida-mente il cancro del grosso intestino. Nume-rose sono le osservazioni e gli studi che di-mostrano come un adeguato apporto ali-mentare di calcio previene l’ipertensione ar-teriosa associata alla gravidanza ed all’etàmatura. Più recenti ed ancora incomplete,ma non per questo trascurabili, sono le os-servazioni che correlano una buona quantitàdi vitamina D (e calcio) con la prevenzionedel tumore del seno. Oggi dobbiamo essereconvinti dell’estrema importanza di una die-ta ricca di calcio per una buona salute e perprevenire gravi malattie. Per questo bisognaassolutamente sfatare l’idea che un eccessodi calcio nella alimentazione possa provocaredei danni. Infatti, l’organismo umano da al-meno un milione d’anni si è abituato a nonassorbire o ad eliminare il calcio che fosse ineccesso nella dieta. Una dieta calcificantedeve contenere alimenti ricchi di calcio e divitamina A e D, limitando alimenti che con-trastano l’utilizzazione del calcio o ne favo-riscono l’eliminazione. Una dieta correttaper il calcio (almeno due o tre volte quellopresente oggi nell’alimentazione dei paesiindustrializzati) ha un’azione di tipo preven-tivo e dovrebbe essere seguita per tutta la vi-ta. Ovviamente, la stessa dieta è di buon aiu-to ad eventuali interventi curativi, ad esem-

241

Cibo e malattie

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 241

Page 241: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

pio con ormoni (per la decalcificazione os-sea), farmaci antipertensivi (per l’ipertensio-ne arteriosa) e antiossidanti (per la preven-zione di forme tumorali).

Non solo calcio: importanza del magnesioCrampi muscolari dolorosi e improvvisi so-prattutto notturni, ipereccitabilità e nervosi-smo sono disturbi per i quali si lamentanomolte persone, soprattutto donne dopo lamenopausa, che seguono una dieta per man-tenere la linea. I disturbi sono più frequentinelle persone che hanno disturbi intestinali(diarrea) anche lievi. I disturbi ora citati nonsono facilmente spiegabili, anche perché gliesami del sangue sono in sostanza normali. Ètuttavia molto probabile si tratti di una ca-renza o subcarenza di magnesio. Una carenzadi magnesio era nel passato molto rara se noneccezionale, tanto da essere ritenuta pratica-mente impossibile. Oggi, invece, molte cosesono cambiate e le subcarenze di magnesio sistanno diffondendo. Quando il magnesio ècarente, diminuisce anche la capacità dell’or-ganismo nel regolare la calcemia (quantità dicalcio nel sangue), con una serie di conse-guenze che possono riguardare la contrazionedei muscoli, il controllo della pressione arte-riosa e l’attività dei farmaci antipertensivi. Laquantità giornaliera di magnesio che una per-sona adulta deve introdurre con l’alimenta-zione, è di 500-600 milligrammi. La carenzadi magnesio deriva di solito da un’insufficien-te introduzione con gli alimenti.Il magnesio è presente in alimenti che unavolta costituivano la base della dieta, dai ve-getali più diversi alle granaglie (frumentoecc.) intere. Mezzo chilogrammo di pane in-tegrale fornisce circa 500 milligrammi dimagnesio, sufficiente per coprire l’80% dellenecessità di una persona adulta normale, edue etti di spaghetti forniscono circa il 20%del fabbisogno di magnesio. Altri vegetalisono ricchi di magnesio (finocchi, piselli epatate), mentre la maggior parte degli altrivegetali hanno 10-20 milligrammi per etto e

quindi non contribuiscono molto a coprire ilfabbisogno giornaliero.In una moderna dieta ipocalorica od anchenormocalorica è facile che la quantità di ma-gnesio sia d’alcune centinaia di milligrammie non si arrivi ai 500-600 milligrammi checostituiscono la quota di sicurezza. Se questadieta è seguita per lunghi periodi, è facile unasubcarenza cronica di magnesio, che mantie-ne la sua normale concentrazione nel sangue,ma cala soprattutto nei muscoli e nel cervel-lo. In caso di subcarenza di magnesio è suffi-ciente che vi sia un aumento della sua elimi-nazione, ad esempio per un disturbo intesti-nale (diarrea), perché la carenza divenga ma-nifesta. La diagnosi di subcarenza di magne-sio, la forma più diffusa, non è aiutata dagliesami del sangue. Infatti, nel sangue il ma-gnesio rimane normale, mentre diminuiscenei muscoli (crampi, improvvisi e dolorosi, avolte senza alcun apparente motivo) e nelcervello (ipereccitabilità e nervosismo altri-menti inspiegabile). La diminuzione del ma-gnesio a livello di ghiandole endocrine (para-tiroidi) provoca turbe nella regolazione dellacalcemia (quantità di calcio nel sangue). Ilsospetto di subcarenza di magnesio può tro-vare una conferma in un trattamento ex iu-vantibus e cioè dall’esito di una dieta partico-larmente ricca di magnesio o di una sommi-nistrazione di magnesio in forma ben assor-bibile (molti sali di magnesio, come l’ossidood il solfato sono scarsamente assorbiti e perla loro azione purgativa possono aggravare lasituazione). Non bisogna però attendersi deirisultati immediati: per la scomparsa dei sin-tomi (crampi e nervosismo) è, infatti, neces-sario che il magnesio ritorni a livello normalenei muscoli e nel sistema nervoso ed è sem-pre necessario un certo periodo di tempo.

Calcio, magnesio e patologia alimentare darwi-nianaDurante l’evoluzione sono stati sviluppatisistemi di assunzione del calcio e del ma-gnesio, anche in rapporto alla dieta naturale

242

Capitolo III

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 242

Page 242: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

umana ed agli stili di vita della specie, conun periodo di riproduzione contenuto dalsecondo al terzo decennio di vita. In modoanalogo sono stati sviluppati anche compor-tamenti atti ad introdurre il calcio nella die-ta, ad iniziare dalla ricerca di terra alimen-tare o geofagia. Nelle società industrializza-te si sono invece create condizioni che por-tano ad un’insufficiente introduzione ali-mentare dei due minerali, mentre l’allunga-mento della vita, ben al di là del periodo ri-produttivo, nella donna ha creato la nuovacondizione dell’osteoporosi, che non trovariscontro nell’antichità umana ed in altrespecie di mammiferi.

Bibliografia

Arsenio L., Cioni F., Strata A., Gatti D. Il ruolodella nutrizione nella prevenzione e nel tratta-mento dell’osteoporosi. Progress in Nutrition, 6,n. 2, 83-96, 2004

Nordin D.E.C. (ed). Calcium in Human Biology.Soringer Verlag, London, 1988

Heaney R.P., Barger M.J. Low calcium intake: Theculprit in many human diseases. Feedstuffs, July11, 14-16, 1994

Sebastian A., Frassetto L.A., Sellmeyer D.E. et alii.Estimation of the net acid load of the diet of an-cestral preagricultural Homo sapiens and theirhominid ancestors. Am. J. Clin. Nutr., 76, 1308-1316, 2002

243

Cibo e malattie

Calcio – Confronto tra l’alimentazione paleolitica e quell’americana attuale (da Eaton,Eaton III, Konner, 1999)

Parametro Calcio

Media in 236 alimenti vegetali nei cacciatori – raccoglitori 103

Milligrammi/100 g (1-650)

Media in 85 alimenti animali nei cacciatori – raccoglitori 22,7(*)

Milligrammi/100 g (D.S. 30,9)

Introduzione media giornaliera Paleolitico 1956

Milligrammi/giorno

Introduzione media giornaliera raccomandata USA 800-1200

Milligrammi giorno

Introduzione media giornaliera USA 750

Milligrammi/giorno

Concentrazione nell’alimentazione paleolitica 653

Milligrammi/1000 Kcal

Concentrazione nell’alimentazione americana 392

Milligrammi/1000 Kcal)

Rapporto – Paleolitico: Americano attuale 1:1,67

(*) Compreso frattaglie, pelle, piccole ossa, midollo osseo, insetti, crostacei

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 243

Page 243: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Ferro: una carenza mondiale

La diffusa e grave carenza di ferro provocaimportanti menomazioni psicofisiche nellepopolazioni umane ed è la conseguenza del-l ’aver dimenticato l ’alimentazione proteicacarnea determinata dai nostri geni.

Carenza nutrizionale di ferro, problema mondialeJohn Beard e Rebecca Stoltzfus (2000) han-no recentemente affermato che la carenza diferro colpisce dal 20 al 50% della popolazio-ne mondiale, costituendo la più comune de-ficienza nutrizionale nelle popolazioni deipaesi industrializzati e dei paesi sottosvilup-pati. La carenza di ferro è oggi considerataun’emergenza nutrizionale mondiale. Questacarenza, oltre all’anemia evidente nei casigravi, in quelli moderati provoca una serie didanni organici e psicologici, soprattutto nel-la fase di sviluppo. Nel bambino è stato di-mostrato un ritardo dell’accrescimento cor-poreo, un più basso sviluppo mentale conminore quoziente d’intelligenza (IQ), unminor rendimento scolastico e d’attività digioco attivo, la minore resistenza alla faticafino alla letargia. Nell’adulto, oltre alla mi-nore attività cerebrale e la scarsa resistenzaalla fatica fisica ed al lavoro, è stata dimo-strata la diminuzione della capacità lavorati-va per operazioni ripetitive. Nella donna si èvista la comparsa di parto prima del terminenaturale, il basso peso del bambino alla na-scita, l’aumento della mortalità materna, pe-rinatale, neonatale e giovanile. Sono stateinoltre stabilite relazioni tra la carenza diferro, una minore resistenza alle infezioni eduna riduzione delle attività ormonali.

Il ferro nella vitaIl ferro è un minerale che in piccole quantitàè indispensabile per la vita. Si trova soprat-tutto nel sangue e nei muscoli, ma è necessa-rio a tutti gli organi perché è presente in nu-merosi enzimi essenziali per la vita. Il ferro

ha molte funzioni biologiche e questo spiegagli effetti ampi e diversificati della sua ca-renza. Il ferro è introdotto nell’organismoattraverso la dieta, con meccanismi d’assor-bimento intestinale che sono sufficiente-mente noti. Oggi è sempre più evidente l’im-portanza che ha, per l’assorbimento del ferro, laforma sotto la quale è presente nell’alimento. Ilferro eminico contenuto negli alimenti d’o-rigine animale è molto più assorbibile diquello non eminico degli alimenti vegetali.Per questo, il semplice contenuto di ferro deisingoli alimenti non deve trarre in inganno,a causa della molto diversa disponibilità ali-mentare del metallo.L’alimentazione di una buona parte dellapopolazione umana nei paesi industriali edin quelli in via di sviluppo non è adeguataalle necessità biologiche determinate dallagenetica. Da qui la citata diffusione della ca-renza di ferro e la scarsa efficienza di unasupplementazione con ferro in forma inor-ganica. A questo proposito oggi è ben evi-dente quanto segue.Nei vegetali vi sono quantità di ferro discre-te, ma scarsamente utilizzabili. Nei semi dileguminose secchi (ad es. farina di soia) sonocontenuti 80-90 mg di ferro per Kg, con unassorbimento però soltanto di circa il 7%(circa 7-8 milligrammi). In molti altri ali-menti vegetali non solo la quantità di ferropresente è inferiore (nel mais ad esempio 5mg/Kg), ma è anche bassa la percentualed’assorbimento, non raramente dell’ordinedell’1,5-3% del ferro presente. Ad esempiola quantità di ferro assorbito da un chilo-grammo di mais è di circa 75 microgrammi.Negli alimenti carnei la quantità di ferro èpiù elevata, com’è anche la percentuale d’as-sorbimento, che può arrivare ed anche supe-rare il 20%. Analogamente ai prodotti carneisi comporta il latte, nel quale le limitatequantità di ferro (circa 50 microgrammi perlitro, nel latte di vacca) sono assorbite in ele-vata percentuale, perché legate alla lattofer-rina. Considerando il latte come sostanza

244

Capitolo III

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 244

Page 244: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

secca e l’elevata percentuale d’assorbimentodel ferro, si costata che questo alimento puòfornire molto più ferro dei vegetali comune-mente usati in alimentazione umana. Vedianche ulteriori precisazioni nel successivocapitolo sugli oligoelementi.La composizione della dieta determina laquantità di ferro assorbita e sono state iden-tificate condizioni che facilitano od ostaco-lano l’assorbimento del ferro.

Carenza di ferro o carenza di carne?Popolazioni umane con diete prevalente-mente o completamente vegetali, anche seintegrate con sali inorganici di ferro, hannocarenze di ferro, più o meno manifeste e dinotevole importanza pratica. La sideropenia(carenza alimentare di ferro), un tempo va-lutata quasi esclusivamente come causa d’a-nemia, oggi assume aspetti più ampi ed im-portanti per i rapporti dimostrati con le di-fese antinfettive e le attività neuro-ormonali.Un corretto controllo della sideropenia hastrette relazioni con la salute psicofisica ed ilbenessere. La soluzione non è quella di for-nire ferro come minerale o sale mineraleinorganico, ma di adeguare la dieta alla bio-logia umana, in particolare per quanto ri-guarda l’apporto carneo o d’alimenti d’origi-ne animale, in una misura di 1,5-2 grammidi proteina per chilogrammo di peso corpo-reo. Un apporto proteico che è stato calcola-to essere stato quello dei nostri antenatineolitici, dei quali abbiamo ancora in noi igeni. Avevano quindi ragione i vecchi medi-ci che per l’anemia o come “ricostituente”,più che ai farmaci credevano in una… buonabistecca.La carne contiene diversi oligoelementi omicrominerali oltre il ferro: rame, zinco,cromo e selenio. Questi oligoelementi sonopresenti sotto forma organica, che assicurauna buona biodisponibilità ed al tempo stes-so un’elevatissima tollerabilità. Ne derivanoelevate azioni biometaboliche ed un’ottimaattività nutrizionale, che non si riscontra per

gli stessi elementi contenuti nei vegetali etanto meno aggiunti all’alimentazione sottoforma inorganica. Recenti indagini indicanoche in una dieta mista, con presenza di car-ne e vegetali, la prima aumenta l’assorbi-mento del ferro dei vegetali. Indagini e con-siderazioni sulla validità di una dieta corret-ta per prevenire le carenze di ferro sono sta-te recentemente sviluppate da diversi autori,tra i quali bisogna ricordare Hallberg e coll.(1998), e portano a concludere che la pre-senza di carne nella dieta è indispensabileper controllare le carenze di ferro marginali,di notevole importanza sull’immunità ed ilcomportamento.Ferro della carne e immunità. Da qualchetempo noto che in presenza di carenza diferro (sideropenia), anche in grado non ele-vato e prima ancora che compaia anemia, leinfezioni sono più frequenti e gravi, anche seeccessi di ferro facilitano le infezioni. Un’ali-mentazione con carne apporta ferro ben as-sorbibile ed utilizzabile, ma evita ogni possi-bile eccesso di ferro con le sue dannose con-seguenze.Carenza di ferro e comportamento. Nell’uomosono stati documentati rapporti tra carenzadi ferro e diminuzione delle capacità cogni-tive, ma soltanto recentemente sono statechiarite le cause. Anche sulla base di studiprecedenti, nel 1982 Pollit e Leibel dimo-strarono che turbe del comportamento condeficit cognitivi e dell’apprendimento si ma-nifestavano nei bambini con lieve carenza diferro, tale da non provocare anemia; questirisultati furono successivamente confermatida diversi altri ricercatori (Scrimshaw,1991). Una possibile spiegazione neurochi-mica potrebbe derivare dal fatto che nel cer-vello il ferro interviene sul numero di ricet-tori per la dopamina di tipo D2, il che indu-ce a ritenere che il ferro sia importante per ilnormale sviluppo e funzionamento dei neu-roni dopaminergici e che carenze precocipossano produrre danni permanenti. La di-stribuzione del ferro nel cervello rispecchia

245

Cibo e malattie

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 245

Page 245: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

quella dei neuroni che liberano il neurotra-smettitore GABA (acido gamma - amino -butirrico). Il ferro si trova anche nella mo-noaminossidasi, un enzima fondamentaleper la produzione di un gran numero di neu-rotrasmettitori, fra cui la serotonina, la nora-drenalina e l’adrenalina, oltre alla dopamina.

Carne nella dieta infantile e comportamento.Un importante aspetto che non è stato an-cora sufficientemetne affrontato è quello deirapporti tra alimentazione del giovane e svi-luppo del comportamento. È nota la dottri-na dei periodi critici e la loro importanzaper un corretto comportamento dell’adulto,non è però ben noto se e come l’alimenta-zione interferisca sull’evoluzione dei periodicritici e sull’apprendimento durante tali pe-riodi. Se si considera che nel bambino labarriera ematoencefalica non ha la selettivitàdell’adulto, si può ritenere che la sintesi deineurotrasmettitori endocerebrali sia mag-giormente influenzata dal tipo di dieta nelbambino che non nell’adulto. Le variazionialimentari e nutrizionali dei giovanissimi,soprattutto con uno svezzamento precoce ebrusco, potrebbero avere una notevole in-fluenza sulla funzionalità cerebrale e quindisul comportamento anche successivo. Giàsolo quest’ipotesi sottolinea l’importanza delferro nel settore ancora in gran parte ine-splorato dai rapporti tra alimentazione, nu-trizione e comportamento.

Ferro della carne e patologia alimentare darwinianaCom’è stato ricordato nel capitolo sulla car-ne, Mann (2000), con un articolo dal titoloDietary lean red meat and human evolution,afferma che si è raggiunta l’evidenza scienti-fica che la carne magra e nell’ambito dellostile di vita dei paesi occidentali non costi-tuisce un fattore di rischio sanitario, in par-ticolare per le malattie cardiovascolari, men-tre esiste un rischio per un eccessivo uso ali-mentare di grassi, in particolari di quelli sa-

turi, spesso associati alla carne degli animaliprodotti dai moderni sistemi d’allevamento.Le ricerche di Mann confermano quantonoto da qualche tempo, vale a dire che dietecon elevate quantità di carne rossa magraapportano significative quantità di ferro,zinco e di vitamina B 12. La storia alimen-tare dell’uomo e dei preumani dimostra cheper un periodo almeno di due milioni i no-stri antenati hanno mangiato quantitativicrescenti di carne. Durante questo periodo,durante il quale ha agito la selezione natura-le, vi è stato un adattamento della geneticaad un’alimentazione ricca di carne. Si tratta-va di carne derivata da animali selvatici, po-vera di grassi e soprattutto di quelli saturi ericca d’acidi grassi polinsaturi (PUFA), riccainoltre di oligoelementi sotto forma organi-ca, in particolare di ferro.

Bibliografia

Ballarini G. Ferro e alimentazione, Scienza e Vita,gennaio 1985, p. 102

Beard J., Stoltzfus R. (Eds.). Iron-Deficiency Ane-mia: Reexamining the Nature and Magnitude ofthe Public Health Problem. The Journal of Nutri-tion, 131, 2S-II, pag. 563S-701S, 2000

Chandra R.K., Newberne P.M. Nutrition, Immu-nity and Infection Mechanisme of Interactions.Plenum Press, New York, 1977

Concon J.M. Food Toxicology, M. Dekker Inc.,New York et Basel, 1988

Davis K.L., Hollister L.E., Berger P.A., Vento A.L.Psychopharmacol. Bull., 14,56, 1978

Davis S.L. Endocrinology, 91, 205, 1972Eaton S. B., Eaton S. B. 3rd, Konner M.J. Palaeo-

lithic nutrition revisited: a twelve-year retrospec-tive on its nature and implications. Eur. J. Clin.Nutr. 51(4), 207-216, 1997

Eaton S.B., Eaton S.B., Sinclair A.J., Cordain L.,Mann N.J. Dietary intake of long-chain polyun-saturated fatty acids during the palaeolithic. Re-turn of Omega-3-Fatty-Acids into-the FoodSupply, 83, 12-23, 1998

Eaton S.B., Konner M. Paleolithic nutrition. Aconsideration of its nature and current implica-tions. N. Engl. J. Med., 312(5), 283-2899, 1985

246

Capitolo III

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 246

Page 246: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Enwonwu C.O. (a cura di). Functional Significanceof Iron Deficiency. Meharry Medical College,Nashville, Tennessee, 1990.

Fernstrom J.D., Wurtman R.J. Science, 178, 4059,1972

Hallberg L., Hulthen L., Garby L. Iron stores inman in relation to diet and iron requirements.European Journal of Clinical Nutrition, 52 (9),623-631, 1998

Hallberg L., Scrimshaw N.S. (a cura di). Iron Defi-ciency and Work Performance. INACG 1893(cit. Scrimshaw, 1991).

Hallberg L., Scrimshaw N.S. (Eds). Iron Defi-ciency and Work Performance. INACG, 1991(cit. Scrimshaw, 1991)

Harris M. Good to Eat. Riddles of Food and Cul-ture. Simon and Schuster, New York 1985 (Tra-duzione italiana. Buono da Mangiare. Enigmidel gusto e consuetudini alimentari. G. Einaudi,Torino, 1990)

Mann N. Dietary lean red meat and human evolu-tion. European Journal of Nutrition, 39 (2), 71-79, 2000

Pollit E., Haas J. Levitsky D.A. (a cura di). Inter-national Conference on Iron Deficiency andBehavioural Development. Am. J. Clin. Nutr.50, fasc.3 (suppl.), 1989.

Pollit E., Haas J., Levitsky D.A. (Eds). Internatio-nal Conference on Iron Deficiency and Beha-vioural Development. Am. J. Clin. Nutr., 50 (3),1989

Pollit E., Leiberl R.L. Iron Deficiency: Brain Bio-chemistry and Behaviour. Raven Press, 1982

Ranjit Kumar Chandra, Sobha Kumari. Nutritionand Immunity: An Overvierw. Symposium:Dietary Nucleotides: A Recently DemonstratedRequirement for Cellular Development and Im-mune Function. J. Nutr., 124, 1433S. 1435S,1994

Scrimshaw N.S. La Carenza di Ferro. Le Scienze,47 (280), 16, 1991

Wurtman R.J. Le Science, n.166, p.54, 1982Wurtman R.J., Hefti F., Melamed E. Pharmacol.

Rew., 32, fasc.4, 1980Wurtman R.J., Wurtman J. J. (Eds.). Nutrition and

the Brain. Raven Press, 1977-1982

247

Cibo e malattie

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 247

Page 247: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Oligoelementi alimentari: importanzadelle piccole quantità

Una ventina di minerali sono necessari perla vita e la salute: importante è la forma sot-to la quale sono presenti negli alimenti. Lapurificazione degli alimenti spesso li privadei preziosi minerali ed espone l ’uomo mo-derno ai rischi di nuove carenze nutrizionalisconosciute a quello paleolitico.

Oligoelementi mineraliOligoelementi o microelementi sono definitiquei minerali, circa una ventina, che in mi-nime quantità sono necessari per la vita e lasalute. La scoperta delle funzioni nutrizio-nali di alcuni oligoelementi, come il ferro, èrelativamente antica, mentre per altri oligoe-lementi è più recente. D’ogni oligoelementosi sono individuate specifiche funzioni spe-cifiche metaboliche, spesso correlate ad atti-vità enzimatiche. È stato anche visto che leconcentrazioni degli oligoelementi nei di-versi organi varia e come una loro carenzapossa determinare numerose ed importantiattività, anche di tipo extranutrizionale. Lepiù importanti attività extranutrizionali de-gli oligoelementi in generale, nella maggiorparte dei casi e sia pure con notevoli diffe-renze caso da caso, sono dipendenti o riferi-bili a 1) funzioni enzimatiche; 2) funzionineuro-ormonali ed ormonali (ad esempioper lo iodio); 3) funzioni immunitarie, aspe-cifiche e specifiche; 4) funzioni antitossiche,aspecifiche (antiossidanti) o specifiche.Le funzioni enzimatiche inoltre si svolgonoquasi costantemente in associazione tra loroe condizionano anche gli effetti neuro-or-monali ed ormonali, i più importanti deiquali sono quelli che coinvolgono l’ipotala-mo e l’asse ipotalamo-ipofisi. Ben noti, aquesto riguardo e com’esempio, sono gli ef-fetti che lo zinco esercita sull’accrescimentoe l’anabolismo e, sempre per lo zinco, sononote le funzioni immunitarie che si attuanoprevalentemente a livello di difesa immuni-

taria aspecifica (attività fagocitaria cellulare)e specifica (difesa immunitaria cellulomedia-ta). Molto importante è la presenza dello io-dio nell’alimentazione: la sua scarsità o man-canza provoca gravi patologie connesse adun’ipofunzionalità tiroidea: dal “gozzo” al“cretinismo”.Secondo Dobson (1998) il 30% della popo-lazione mondiale è oggi a rischio di patolo-gie da carenza di iodio, 750 milioni soffronodi gozzo, 43 milioni di persone hanno turbenervose e 5,7 milioni soffrono di cretinismoda carenza di iodio.

Minerali organiciÈ un concetto relativamente recente che l’at-tività biologica del selenio è un’espressionedel selenio in un’ampia varietà di compostichimici e non del minerale di per sé. Quantosta avvenendo per il selenio è un’importanteavvisaglia di una vera e propria rivoluzionealimentare e può essere sintetizzata nell’afo-risma secondo il quale le attività nutrizionalidei microelementi dipendono dal compostochimico di cui fanno parte, non dall’elemen-to per sé. In altri termini conoscere quantoselenio, ferro, rame, zinco, iodio e così via èpresente in un alimento od in una dieta, nonè importante quanto sapere sotto che formaogni singolo elemento è presente nell’ali-mentazione. Questo, non solo per quanto ri-guarda la percentuale di assorbimento e, o leinterazioni a livello digestivo o metabolico,ma per le attività biologiche dei composticontenenti il microelemento. Tipico in pro-posito quanto avviene per il ferro.Dettagliando quanto detto nel precedentecapitolo, è noto che nel sangue vi è del ferroe che questo è contenuto nel pigmento rossochiamato emoglobina, che serve al trasportodell’ossigeno. È altrettanto evidente che perla funzione del sangue non è tanto impor-tante il ferro di per sé, ma l’emoglobina checontiene ferro, tanto che se l’emoglobina èalterata, come avviene in talune malattie ge-netiche, vi sono disfunzioni e patologie, no-

248

Capitolo III

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 248

Page 248: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

nostante la presenza di ferro. Altrettanto in-teressante è che il ferro presente negli ali-menti viene assorbito in relazione alla suaforma chimica. Ad esempio mentre la per-centuale di ferro contenuta negli alimentivegetali (riso, spinacio, fagioli neri, mais, lat-tuga e frumento) varia da 2 a 4 milligrammiper etto e l’assorbimento è dell’1-2,5% nelriso, spinaci e fagioli neri, del 4-4,5% nelmais e nella lattuga e del 5% nel frumento,vi è un assorbimento di circa il 15% e più delferro contenuto nella carne, dove il ferro èlegato a molecole organiche. La scarsa per-centuale d’assorbimento del ferro d’originevegetale spiega la già considerata diffusionedella carenza di ferro nelle popolazioni uma-ne. In modo analogo al ferro si comportano

altri micronutrienti minerali, ed in particola-re cromo, zinco, iodio e selenio.Le moderne conoscenze rivoluzionano lapratica dell’integrazione microminerale deglialimenti in nutrizione umana ed al tempostesso spiegano molti insuccessi e certi suc-cessi, ma anche alcuni abbagli e strumenta-lizzazioni, più o meno lecite. La rivalutazio-ne dei composti organici minerali, vere eproprie molecole strategiche minerali, se dauna parte conferma il ruolo alimentare dellecarni e soprattutto delle frattaglie, apre nuo-ve prospettive di ottenere vegetali contenen-ti molecole contenenti minerali (ferro, zinco,selenio, cromo, iodio) più facilmente e com-pletamente assorbibili e sopra tutto dotati diparticolari attività nutraceutiche. Per il sele-

249

Cibo e malattie

Caratteristiche alimentari delle popolazioni di cacciatori – raccoglitori (Cordain L., MillerJ. B. Eaton S. B., Mann N. et al. - 2000)

Società studiate Alimenti Animali Alimenti vegetali

Quantità % Energia % Qualità % Energia %

Totale società 45-65 35-55

73% delle società studiate >50 56-65 <50 35-44

14 % delle società studiate <50 54-35 >50 56-65

Oligoelementi. Confronto tra l’alimentazione paleolitica e quell’americana attuale(Eaton, Eaton III, Konner, 1999)

Parametro Ferro Zinco

Media in 236 alimenti vegetali nei cacciatori-raccoglitori 2,90 91

(milligrammi/100 g)

Media in 85 alimenti animali nei cacciatori-raccoglitori

(milligrammi/100 g) 22 4,15

Consumo giornaliero Paleolitico (milligrammi/giorno) 87,4 43,4

Dosaggio raccomandato USA (milligrammi giorno) 10-15 12–15

Consumo giornaliero USA (milligrammi/giorno) 10-11 10–11

Concentrazione nella alimentazione paleolitica (milligrammi/1000 Kcal) 28,5 14,5

Concentrazione nella alimentazione americana (milligrammi/1000 Kcal) 4,9 5,3

Rapporto Paleolitico:Americano 5,82:1 2,74:1

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 249

Page 249: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

nio si è iniziato ad identificare la serie dicomposti metallo-organici dotati di signifi-cativa attività anticancerogena, sia a livellodi cancerogenesi genotossica sia di crescitadelle neoplasie, quindi con importanti atti-vità profilattiche e curative, mentre il seleniodi per sé od in forma inorganica non ha al-cuna di queste importanti attività!Produrre vegetali contenenti micromineralicon elevato assorbimento ed in molecole or-ganiche, dotate di particolari attività biolo-giche rientra nelle concrete possibilità delle

biotecnologie. Un esempio concreto è quellodi un riso transgenico contenente il genedella ferritina ottenuto da tessuti animali eche permette un elevato assorbimento delferro. In modo analogo, è possibile ottenerevegetali transgenici con bassi quantitativid’acido fitico, un inibitore dell’assorbimentodel ferro alimentare. La prospettiva di avereun’alimentazione vegetale ricca di ferro alta-mente assorbibile apre nuovi orizzonti ai co-siddetti alimenti funzionali e dà nuovo re-spiro alla nutraceutica.

250

Capitolo III

Nuove dimensioni cliniche degli oligoelementi

1 – Dalle sindromi generali di carenze o d’eccessi si è passati allo studio di sindromi organospecifiche

e di sindromi metaboliche, soprattutto in particolari periodi critici, come ad esempio quelli della

crescita, dell’attività riproduttiva e della vecchiaia.

2 – Dalla ricerca degli effetti e risultati nutrizionali degli oligoelementi minerali, si sta passando allo

studio dei loro effetti extra-nutrizionali, soprattutto neuro-ormonali ed immunitari, senza trascura-

re le loro azioni di tipo metabolico a livello locale, di singoli organi.

3 – Dall’interesse per le carenze primarie, da errori alimentari o da alterazioni nell’assorbimento ga-

strointestinale, anche per malattie a questo livello, parassitosi, ecc., si sta passando a quello per le

carenze condizionate (o carenze secondarie) presenti soprattutto negli organismi in rapido accre-

scimento o con elevate prestazioni, ad esempio di tipo atletico.

4 – Man mano che si sono approfondite le conoscenze, ci si è resi conto dell’importanza delle intera-

zioni tra i diversi oligoelementi, e dallo studio delle turbe da singoli oligoelementi si è passati allo

studio - peraltro non facile - di quelle da due o più oligoelementi (carenze o squilibri multipli).

5 – Di pari passo all’aumento delle conoscenze si è passati da uno studio delle manifestazioni imme-

diate o acute, a quelle a lungo termine o croniche.

6 - In conseguenza delle nuove conoscenze si è passati da una semplice prevenzione in ambito nutri-

zionale ad interventi di tipo anche terapeutico, con l’utilizzo di composti contenenti oligoelementi

dotati d’alta e rapida biodisponibilità.

Principali caratteristiche degli oligoelementi inseriti in molecole organiche mono- o poli-aminoacidiche

1 – Assorbimento digestivo in percentuale elevata

2 – Assorbimento digestivo, che non viene interferito da macroelementi od altri oligoelementi

Attività più alta rispetto alle comuni molecole inorganiche (solfati, carbonati ecc.)

3 – Concentrazione dell’oligoelemento in distretti organici (organi o settori d’organo) correlati al tipo

di molecola aminoacidica “vettrice”

4 – Induzione d’attività d’organo, in relazione alla concentrazione dell’oligoelemento

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 250

Page 250: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Oligoelementi minerali e patologia alimentare darwiniana

Come risulta da recenti indagini, le popola-zioni umane paleolitiche avevano una nutri-zione ricca di ferro e di zinco, in quantitàmolto superiori alle attuali, rispettivamentedi 5,8 e di 2,7 volte. Si trattava inoltre diminerali che erano presenti in alimenti vege-tali, ma soprattutto animali e quindi sottoforma organica ampiamente biodisponibileed altamente attiva.Molto interessante è il caso dello iodio, par-ticolarmente importante per un normale fun-zionamento della tiroide. Tale oligoelementoè presente nell’acqua di mare, in tutti i viven-ti marini (vegetali e animali) e nel sale mari-no. La nostra specie si è evoluta vicino al ma-re e non pare abbia sviluppato particolari si-stemi di risparmio dello iodio, se non quelliconnessi al sale (cloruro di sodio) (DeBraekeleer M. e coll., 1998). L’uomo caccia-tore, raccoglitore e migratore, almeno unavolta l’anno si riforniva di alimenti ricchi disale e di iodio. Quando l’uomo si è fermatoin aree lontane dal mare, non facendo uso disale marino (ad esempio in alcune valli alpi-ne) ha creato le condizioni per una carenzaiodica, con le sue nefaste conseguenze. Dob-son (1998) ha avvicinato le caratteristiche so-matiche dell’uomo di Neandertal a quelle chesi hanno con la carenza di iodio alimentare.

Le recenti conoscenze rivalutano in modoeccezionale le molecole organiche contenentioligoelementi e quindi aprono la strada allacosiddetta integrazione biologica, sostituendo-la alla ora normale integrazione inorganica.

Bibliografia

Boyd Eaton S., Eaton III S.B., Konner M.J. Pa-leolithic nutrition revised. In Trevatan e coll.1999

Bray T.M., Bettger W.J. The physiological role ofzinc as an antioxidant. Free Radical Biol. Med.,8, 281, 1990

De Braekeleer M., Mayer G., Chaventre A. Gene-tic factors in iodine deficiency disorders: A ge-neral review. Collegium Antropologicum, 22 (1)9-15, 1998.

Dobson J.E. The iodine factors in health and evolu-tion. Geographical Review, 88 (1) 1-28, 1998.

Ganther H.E. Pathways of selenium metabolismincluding respiratory excretory products. J. Am.Coll. Toxicol, 5, 1-5, 1986

Gutteridge J.M., Hallwell B. Antioxidants in Nu-trition, Health and Disease. Oxford UniversityPress, Oxford U.K., 1994

Ip C. Lessons from Basic Research in Selenium andCancer Prevention. J. Nutr., 128, 1845-1854,1998

Madsen F.C., Rompala R.E., Miller J.K. Effect ofdisease on metabolism of essential trace ele-ments: A role fior dietary coordination com-plexes. Feed Management, 41 (7), 20, 1990

Trevathan W. R., Smith E. O., McKenna J. J. Evo-lutionary Medicine. Oxford Univ Press, NewYork, 1999

251

Cibo e malattie

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 251

Page 251: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Carenza di fibra alimentare. Malattie delgrosso intestino d’origine alimentare: pa-tologie della civiltà

Nell ’uomo gli alimenti sono fermentati nelgrosso intestino, dando origine a nutrientiimportanti per la salute. Diverse malattiedella civiltà sono collegate ad insufficientifermentazioni intestinali.

Fermentazioni intestinaliI vegetali fanno parte della nostra alimenta-zione e lo testimoniano la conformazionedell’apparato digerente, numerose necessitànutrizionali e molti comportamenti alimen-tari. Il ruolo della fibra alimentare per unacorretta nutrizione è stato esaminato in uncapitolo della precedente parte. È inoltre daprecisare che un’alimentazione con insuffi-ciente presenza di vegetali comporta disturbie malattie diverse, considerate in singoli ca-pitoli, ma soprattutto disturbi riguardanti ilgrosso intestino, che si è evoluto per fer-mentare la fibra alimentare ad opera di unaflora microbica, alla quale è anche da attri-buire la formazione di gas intestinali.

Gas intestinaliUna persona adulta e sana ogni giorno pro-duce da mezzo litro, ad un litro e mezzo di

gas intestinali. Una parte dei gas intestinalideriva dall’aria ingerita (aerofagia). Solo l’a-zoto dell’aria passa nell’intestino, non l’ossi-geno e l’eventuale anidride carbonica che in-vece sono assorbiti ed eliminati attraversol’aria espirata. Le fermentazioni produconouna quantità variabile d’idrogeno, metano eidrogeno solforato. I primi sono sostanzial-mente inodori, mentre l’ultimo dà ai gas illoro sgradevole, caratteristico odore. Buonaparte dell’idrogeno, una quota d’anidridecarbonica e tutti gli acidi grassi volatili (aci-do acetico, propionico e butirrico) sono as-sorbiti. I primi sono eliminati con la respira-zione, gli ultimi sono bruciati fornendoenergia. La qualità dei gas intestinali in-fluenzata dalla familiarità. I figli di due geni-tori che producono molto metano, ne pro-durranno quasi certamente anche loro (pro-babilità del 90%). Se un genitore producemetano e l’altro no, circa metà dei figli loproduce e l’altra metà no. La quantità ed inparte la qualità dei gas intestinali è influen-zata dall’alimentazione. I gas intestinali deri-vano in gran parte dalla fermentazione dellafibra vegetale solubile, abbondante nei legu-mi (ad iniziare dai classici fagioli), cruschellodi cereali e cereali integrali, cipolle, cavoli,pectina e xilani contenuti in molta frutta odaggiunta come addensante nelle marmellate.

252

Capitolo III

Vero e falso sui gas intestinali

È vero che* Una alimentazione vegetariana aumenta i gas intestinali

* Mangiare in fretta fa introdurre aria, una parte della quale va a formare gas intestinali

* Una parte dei gas intestinali viene assorbita ed eliminata con l’aria espirata

* I legumi, ma anche le cipolle ed i cavoli, producono notevoli quantità di gas intestinali

* Il caffè ed il the diminuiscono la produzione di gas intestinali

È falso che* I gas intestinali, assorbiti ed espirati, rendono l’alito cattivo. Infatti, viene espirato soprattutto l’idro-

geno ed una parte d’azoto, gas inodori

* I gas intestinali siano sempre dannosi. Infatti, contribuiscono a mantenere soffice il contenuto inte-

stinale

* I gas intestinali sono segno di malattia. Anzi sono un segno di una alimentazione con sufficienti

quantità di fibra fermentescibile e quindi “buona”

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 252

Page 252: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Vi sono alimenti, ad esempio il caffè od ilthe, che riducono la fermentazione della fi-bra solubile e la quantità dei gas intestinali.Diversi farmaci e soprattutto taluni antibio-tici, che alterano le fermentazioni intestinali,possono aumentare o diminuire i gas intesti-nali e la loro composizione, quindi anche illoro odore. Disturbi digestivi che fanno arri-vare nel grosso intestino cibo indigerito au-mentano il materiale che fermenta nel grossointestino ed incrementano la quantità di gas.

Malattie da “intestino vuoto” e patologia alimentare darwinianaLe fermentazioni degli alimenti sviluppatedai microrganismi nel grosso intestino pro-ducono i già citati acidi grassi volatili (aceti-

co, propionico e butirrico) ricchi d’energia,che viene resa disponibile lentamente e privad’azione diabetogena. Le stesse fermenta-zioni producono importanti vitamine. Da unpunto di vista funzionale la presenza di fibrae le fermentazioni contribuiscono a regolarei movimenti intestinali, evitando la stiti-chezza e tutte le sue conseguenze: dai di-sturbi della circolazione (emorroidi e venevaricose) alla predisposizione ai tumori delcolon, dalla colite spastica o colon irritabilealla facilitazione di malattie metaboliche(diabete, diabesità ed obesità) e via dicendo.Una sufficiente e regolare presenza alimen-tare di fibra alimentare, insolubile e solubile,è una necessità nutrizionale che deriva dallanostra costituzione genetica.

253

Cibo e malattie

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 253

Page 253: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Vitamine: carenze provocate dall’uomo

Vitamine o “amine necessarie per la vita” so-no indispensabili anche per una buona salutee non mancavano nell’alimentazione umanaatavica. Con i mutati ambienti e stili di vi-ta, l’agricoltura e l ’industrializzazione ali-mentare sono comparsi ed aumentati i rischidi carenze vitaminiche.

Il rischio delle carenze vitaminicheGran parte delle vitamine che ci sono neces-sarie ce le procuriamo con gli alimenti vege-tali ed animali; altre vitamine sono prodottedai batteri intestinali e la Vitamina D puòderivare dall’azione dei raggi solari sulla pel-le, come esaminato in un successivo capitolo.Tutto fa ritenere che nell’uomo preistoriconon vi fossero rischi di carenze vitaminiche,che sono comparse con l’agricoltura, per lariduzione della biodiversità alimentare e laconservazione degli alimenti. In tempi re-centi si è aggiunta l’eccessiva raffinazionedegli alimenti. La prima avitaminosi studia-ta nell’uomo, il beriberi provocato da man-canza di vitamina B 1, era la conseguenzadell’uso di riso raffinato con la brillatura.Anche la pellagra, nella quale bisogna rico-noscere una componente carenziale di vita-mina PP, è da riportare ad un’alimentazioneeccessivamente semplificata ed unilaterale,basata quasi completamente sul mais. Esem-pi che danno ragione all’idea che “tutte lemalattie derivano dall’agricoltura”. Recente-mente si è visto che ambiente e stili di vitahanno importanza negli equilibri vitaminici,sotto l’influenza anche del colore della pellee del tipo d’alimentazione.

Ipovitaminosi da ambiente e stili di vitaCom’è indicato a proposito della vitaminaD, in tutto il mondo, la pigmentazione uma-na si è evoluta in modo che la pelle sia abba-stanza chiara da permettere ai raggi solari diprodurre sufficienti quantità di vitamina D,ma sufficientemente scura da impedire la di-

struzione dei folati introdotti con l’alimenta-zione. Diverse ricerche dimostrano che lepersone con la pelle chiara, che erano stateesposte ad un’intensa luce solare simulata,mostravano, nel sangue, livelli anormalmen-te bassi di vitamine del gruppo B ed in par-ticolare d’acido folico (folati). Queste ricer-che sono state completate con la dimostra-zione che, nel siero di sangue esposto alla lu-ce, si ha una perdita anche della metà dei fo-lati. I folati sono necessari per la riproduzio-ne delle cellule. Una carenza di folati è allabase di molti disturbi, che vanno dalla dimi-nuita quantità di spermatozoi (con ipoferti-lità) alla comparsa di malformazioni del fe-to, in particolare della spina bifida. Carenzadi folati si ha soprattutto quando si combi-nano tre condizioni: 1) basse quantità di fo-lati alimentari; 2) elevata irradiazione solaresulla pelle; 3) ridotta protezione della pelleper basse quantità di melanina (pelle chiara).Una carenza di folati non si aveva nelle po-polazioni africane (pelle scura e vegetali nel-l’alimentazione di tutto l’anno), ma si puòavere nelle popolazioni a pelle bianca che siespongono al sole e che hanno un’alimenta-zione scarsa di vegetali freschi. È quest’ulti-mo il caso della popolazione bianca austra-liana, neozelandese ed anche mediterraneacon pochi vegetali nell ’alimentazione, oquando questi sono cotti (distruzione di unaparte dei folati).

Ipovitaminosi agricole ed industrialiCon l’agricoltura e l’urbanizzazione il ri-schio vitaminico era di una mancanza di vi-tamine per un’alimentazione unilaterale. Orail rischio non è scomparso perché le neces-sità di vitamine sono aumentate per il tipodi vita (aumento degli inquinamenti ecc.) edil suo allungamento (gli anziani, come ibambini, hanno bisogno di maggiori quan-tità di vitamine). Inoltre le vitamine neglialimenti vegetali sono diminuite a causa diun loro minore contenuto nelle varietà colti-vate, distruzioni negli alimenti conservati,

254

Capitolo III

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 254

Page 254: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

presenza di fattori antivitaminici non di-strutti dal calore. I fattori antivitaminici de-gli alimenti sono in gran parte distrutti conil calore e questo, almeno in parte, giustifical’uso tradizionale di mangiare molte verduresoltanto cotte. Oggi, con la tendenza dimangiare crudo, e contrariamente a quantosi potrebbe pensare, l’effettivo apporto vita-minico alimentare può diminuire. A questoriguardo sono rischiose le leguminose, tra lequali vi è la fava mangiata cruda. Lo stessovale per i pesci ed i molluschi, per i quali sidiffonde la moda giapponese di mangiarlicrudi. Anche il pane e le paste poco cottepossono contenere antivitamine del gruppoB. Il caffè contiene un’antivitamina, ma inuna dieta normale alcuni caffè al giorno nonspostano sostanzialmente l’apporto di vita-mine del gruppo B, in parte prodotte (maanche distrutte) dai batteri intestinali. Re-centemente è stato rilevato che nelle verduresurgelate vi è un contenuto di vitamina Csuperiore a quello delle verdure fresche. Inqueste ultime, nelle ore e giorni che passanotra la raccolta ed il consumo, l’enzima ascor-basi distrugge una parte della vitamina C,una distruzione che non avviene nelle verdu-re surgelate che, appena raccolte, sono scot-tate, con l’inattivazione dell’ascorbasi chedegrada la vitamina C.

Dalle carenze alle ipervitaminosiDa un secolo sono state studiate le malattieda mancanza o carenza di vitamine (avita-minosi o disvitaminosi). Meno note sono lemalattie da eccesso di vitamine (ipervitami-nosi) e la più nota è l’ipervitaminosi A, rile-vata in casi particolari per errate sommini-strazioni di vitamine o per alimentazioniparticolari, estremamente ricche di fegato.Oggi stiamo assistendo ad un nuovo com-portamento e soprattutto alla diffusione del-la moda di un sempre più largo uso d’inte-gratori alimentari vitaminici. L’abuso d’inte-gratori vitaminici, che spesso contengonouna o più vitamine in gran quantità (cosid-

dette megadosi) pone due problemi princi-pali: a) se l’uso degli integratori vitaminicisia realmente necessario od utile; b) se l’ec-cessiva presenza degli stessi, sia come dosag-gi sia come tempi di somministrazione, pos-sa costituire un rischio per la salute, provo-cando ipervitaminosi o disvitaminosi (squili-bri vitaminici) minori, subdole e poco evi-denti, ma non per questo, nel tempo, menogravi. Le persone sane, se consumano unadieta normale e variata ed a base d’alimentifreschi, non necessitano d’alcuna integrazio-ne vitaminica. Alcuni gruppi di popolazionipossono tuttavia necessitare d’aggiunta di vi-tamine, in quantità nutrizionali ed in misurada compensare un’alimentazione carente ocondizioni parafisiologiche o subcliniche diun rapido accrescimento, un allattamentoelevato e prolungato, stati postinfettivi, tur-be nutrizionali della terza età e cosi via. Se lasupplementazione vitaminica può essere unatteggiamento corretto in precise condizioni,in questi casi bisogna utilizzare dosaggi fi-siologici e non le megadosi alle quali sempresi tende, secondo i concetti che “le vitaminenon fanno male”, “se una certa dose fa bene,una dose doppia far ancora meglio” e cosivia. Le megadosi vanno sempre considerateun trattamento farmacologico e non un’inte-grazione alimentare e pertanto dovrebberoessere tolte dal libero ed indiscriminato usoed utilizzate soltanto sotto un preciso con-trollo medico.

Vitamine e patologia alimentare darwinianaIl rapporto tra il colore della pelle, le migra-zioni umane e le vitamine è stato esaminatoda diversi ricercatori. Per i già citati folati,questo rapporto è stato analizzato da Ja-blonski e Chaplin (2002). Quantità di raggisolari, in particolare la qualità e quantità diradiazioni ultraviolette, il colore della pelle equindi l’efficacia del naturale “filtro” solarecostituito dalla melanina (carattere determi-nato geneticamente), la presenza di folati eacido folico e di vitamina D preformata nel-

255

Cibo e malattie

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 255

Page 255: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

l’alimentazione, il tipo di cucina che può di-struggere le vitamine, devono essere in uncorretto equilibrio, non sempre facile da rag-giungere. Ogni società umana, nel tempo, hacercato di raggiungere un equilibrio e questoè avvenuto – vi sono molti importanti indizial riguardo – attraverso il successo riprodut-tivo. Per quanto riguarda gli aspetti ripro-duttivi, vi sono alcune importanti diversitàtra femmina e maschio. Nella donna è mol-to importante una sufficiente quantità divitamina D e quindi la donna, di norma, hauna pelle più chiara, che permette unamaggiore azione dei raggi solari, non dan-nosi con un’alimentazione ricca di folati. Sei folati sono insufficienti, potrebbero com-parire malformazioni fetali. Nel maschio

sono significativamente importanti i folati,che determinano un elevato numero dispermatozoi e quindi un successo riprodut-tivo. Da qui l’opportunità di una miglioreprotezione dai raggi solari, con una pellepiù scura.Nel passato vi è stata una particolare atten-zione alla carenza di vitamina D (oltre con-siderata), con tutte le sue conseguenze (ra-chitismo, infertilità, osteoporosi ecc.). Oggibisogna prestare attenzione anche ai folati,con un’alimentazione che deve avvicinarsi aquella naturale dell’uomo (alimentazionepaleolitica), nella quale la vitamina B1 e ilfolato erano rispettivamente 2,5 e 1,5 voltesuperiori alle attuali, ma soprattutto deriva-vano da verdure fresche e non cotte, quindi

256

Capitolo III

Vitamine liposolubili (A, E). Confronto tra l’alimentazione paleolitica e quell’americanaattuale (da Eaton, Eaton III, Konner, 1999)

Parametro Carotene Vitamina A (*) Vitamina E

(R. E. *) (R. E. *)

Media in 236 alimenti vegetali nei 0,328 (0-6,55) 1,08 (0-8,41 1,93

cacciatori-raccoglitori (milligrammi/100 g) R.E. - 54,6 R.E. – 180 (0,007–9,08)

(0 1090) (0-1400)

Media in 85 alimenti animali nei == 0,461 (**) ==

cacciatori-raccoglitori (milligrammi/100g) (**) (D.S. 0,368)

Assunzione giornaliera nel Paleolitico 5,56 17,2 32,8

(milligrammi/giorno) R.E. - 927 R.E. – 2870

Dosaggio raccomandato USA == 4,80 – 6,00 8–10

(milligrammi giorno) R.E. – 1170-429

Assunzione giornaliera USA 2,05-2,57 7,02-8,48 7-10

(milligrammi/giorno) R.E. – 342 429 R.E. – 800-1000

Concentrazione nell’alimentazione 1,85 5,74 10,9

paleolitica (milligrammi/1000 Kcal) R.E. - 309 R.A. – 353

Concentrazione nella alimentazione 1,09 2,12 3,5

americana (milligrammi/1000 Kcal) R.E. - 182 R.E. – 353

Rapporto tra alimentazione Paleolitico: == 2,71 3,11

Americana

(*) Retinolo Equivalente

(**) Compresi frattaglie, pelle, piccole ossa e midollo osseo, crostacei.

D. S. – Deviazione Standard

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 256

Page 256: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

257

Cibo e malattie

Vitamine idrosolubili (Riboflavina, Folato, Tiamina. Ascorbato). Confronto tra l’alimenta-zione paleolitica e quell’americana attuale (Eaton, Eaton III, Konner, 1999)

Parametro Riboflavina Folato Tiamina Ascorbato

(B 2) (B 1) (C)

Media in 236 alimenti vegetali nei

cacciatori-raccoglitori (milligrammi/100 g) 0,168 0,0180 0,115 33,0

Media in 85 alimenti animali nei

cacciatori-raccoglitori (**) 0,399 0,00567 0,215 4,79

(milligrammi/100) g

Assunzione giornaliera Paleolitico 6,49 0,357 3,91 604

(milligrammi/giorno)

Dosaggio raccomandato USA 1,3–1,7 0,18–0,20 1,1–1,5 60

(milligrammi giorno)

Assunzione giornaliera USA 1,34–2,08 0,149–0,205 1,08–1,75 77–109

(milligrammi/giorno)

Concentrazione nella alimentazione 2,16 0,119 1,30 201

paleolitica (milligrammi/1000 Kcal)

Concentrazione nella alimentazione 0,6 0,08 0,51 24

americana (milligrammi/1000 Kcal)

Rapporto Paleolitico:Americano 3,60 1,49 2,55 8,38

(**) Compresi frattaglie, pelle, piccole ossa e midollo osseo, crostacei

Antivitamine negli alimenti

Vitamina Antivitamina Alimenti

Vitamina A Citrale Arancia

Vitamina B 1 Tiaminasi Pesci (carpe, aringhe, acciughe ecc.)

Vitamina B 1 Ac. cinnamico Molluschi, mirtilli

Vitamina B 1 Pirocatechine Caffè, funghi

Vitamina B 1 Tiaminasi batteriche Batteri dell’apparato digerente

Vitamina B 2 Frutti esotici (ackee)

Vitamina B 6 Linatina ecc., agaritina Farina di lino, cereali, funghi

Niacitina (vit. PP) Antiniacina Mais

Biotina Avidina Bianco d’uovo

Acido ascorbico (vit. C) Ascorbasi Cavoli, Cetrioli, mele, lattuga, pesche, carote, pomodori, banane

Vitamina D Non identificata Vegetali, fegato di maiale

Vitamina E Ac. grassi polinsaturi Fagioli

Vitamina K Dicumarolo Fagioli

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 257

Page 257: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

senza alcuna perdita vitaminica. Bisognaanche prestare una particolare attenzionealle antivitamine della dieta.

Bibliografia vitamine

Jablonski N.G., Chaplin G. The Evolution of

Human Skin Coloration. Journ. Human Evo-lution, 39, 1 luglio 2000

Jablonski N.G., Chaplin G. Il colore della pelle.Le Scienze, n. 412, 58-67, 2002

Rao D.S., Raghuramulu N. Is vitamin D redun-dand in an aquatic habitat? J. Nutr. Sci. Vita-min (Tokio), 45, 1-8, 1999

258

Capitolo III

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 258

Page 258: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Vitamina D: la vitamina che non era unavitamina

Le diversità esterne tra gli uomini sono do-vute ad un’infima percentuali di geni. Coloredella pelle, occhi e capelli, caratteristiche so-matiche esterne dipendono solo dallo 0,01%del genoma umano. Tuttavia, alcune di questecaratteristiche, come il colore della pelle, hannouna non trascurabile influenza sulla nutri-zione e sulla salute umana, ad esempio la sin-tesi di quella che è nota come vitamina D.

La vitamina D non è una vitaminaAnche sotto l’aspetto evoluzionista, la vita-mina D o calciferolo, non è una vitamina, maun metabolita che l’uomo produce nella pel-le, sotto l’azione dei raggi ultravioletti delsole partendo dal colesterolo. L’uomo con lasua evoluzione culturale ha però trasformatoil calciferolo in una vitamina che, in misuradiversa caso da caso, dev’essere ottenuta dal-l’alimentazione. Il colore della pelle deter-minato dai geni e l’alimentazione sono stret-tamente collegati per quanto riguarda la vi-tamina D e dei folati, come si è visto nel ca-pitolo precedente. La storia naturale dellavitamina D è un esempio molto significativodei rapporti che vi sono tra geni e cibo.L’uomo è geneticamente capace di produrreil colesterolo che gli è necessario. I raggi so-lari che colpiscono la pelle trasformano ilcolesterolo in vitamina D 3, che può esseredepositata nei grassi e nei muscoli. La vita-mina D, attraverso diverse trasformazioni ecomplessi meccanismi, interviene nell’assor-bimento del calcio alimentare, la sua fissa-zione nelle ossa ed, in certe condizioni, par-tecipa alla produzione d’ormoni della ripro-duzione ecc. La mancanza o carenza di vita-mina D provoca, tra l’altro, il rachitismo. Lavitamina D, non è quindi una vitamina, maquasi un ormone. Vitamina D 3 si trova an-che negli alimenti d’origine animale e so-prattutto nel fegato, nei grassi e nella carne(muscolo). Nei vegetali è presente la vitami-

na D 2, che non può essere sintetizzata dal-l’uomo. Prodotta dall’organismo od intro-dotta con gli alimenti, la vitamina D è indi-spensabile per la vita.Anche se raccoglie un’eredità genetica moltoantica, la nostra specie si rese palese in Afri-ca in aree scarse o prive d’alberi ed assolate.In questa fase l’uomo aveva già perduto lafolta copertura di pelo dei suoi antenati e glirimanevano solo i capelli, che proteggevanoil cervello dagli intensi raggi solari, ed i ciuf-fi di peli ascellari e pubici che erano utilizza-ti per l’emanazione di ferormoni e richiamisessuali odorosi. La perdita del mantello pe-loso diede il vantaggio di un’efficiente elimi-nazione del calore in una specie, come quel-l’umana, che aveva sviluppato la tecnica del-la caccia ad inseguimento. Per evitare i dannidei raggi solari, in modo speciale quelli ul-travioletti, la pelle era divenuta scura, per lapresenza del pigmento denominato melani-na. Il colore di una pelle non più protetta daun mantello peloso, nell’uomo divenne unpunto di delicato equilibrio, anche per quan-to riguarda i folati, come si è visto nel prece-dente capitolo. Raggi solari, troppo intensi,sono dannosi e possono favorire la comparsadi tumori della pelle. Recenti dati epidemio-logici e fisiologici ( Jablonski e Chaplin,2002) indicano anche che la distribuzione suscala mondiale del colore della pelle umanaè dovuta alla selezione naturale, che agisceper regolare gli effetti della radiazione ultra-violetta solare su alcune sostanze nutritiveindispensabili al successo riproduttivo e, traqueste, soprattutto l’acido folico ed i folati(vedi il precedente capitolo sulle Vitamine).Una certa quantità di raggi ultravioletti èperò necessaria per la produzione del calci-ferolo (Vitamina D). Nell’uomo africano,attraverso la selezione naturale si era rag-giunto un delicato equilibrio tra un’irradia-zione solare intensa ed il colore della pelle.Un colore sufficientemente scuro per un’ef-ficace protezione dai danni delle radiazioniultraviolette e per una buona quantità di fo-

259

Cibo e malattie

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 259

Page 259: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

lati assicurati da un’alimentazione ricca diqueste vitamine, ed al tempo stesso suffi-ciente per la produzione della vitamina D(continuiamo a chiamarla così) necessariaalla riproduzione ed alla vita. Il delicatoequilibrio si è rotto quando la specie umanaha iniziato a migrare fuori dell’Africa.

Colore della pelle, vitamina D e migrazioniQuando l’uomo si spostò in terre settentrio-nali, ricevette una minore quantità di raggisolari. L’uomo aveva imparato a proteggersidal freddo in caverne e capanne e, nei mesipiù freddi, a coprirsi con pellicce. Inevitabil-mente fu prodotta una minore quantità divitamina D e questo produsse effetti nefasti:rachitismo, minore fertilità ecc. Per fortunala specie umana, come tutte le altre specie, èsoggetta a mutazioni genetiche e, tra queste,anche quelle che regolano il colore della pel-le. I mutanti a pelle chiara, che sotto il soleafricano erano sfavoriti perché troppo espo-sti alle radiazioni solari, erano invece avvan-taggiati nelle terre dove il sole era meno in-tenso e le estati brevi. Solo le popolazioniumane con pelle chiara poterono conquistarele terre dell’Europa continentale e poi set-tentrionale, fino al bianco latte della pelledelle attuali popolazioni dei paesi baltici. Ladonna, di norma, ha la pelle più chiara del-l’uomo. Questo è stato interpretato come laconseguenza anche di una maggiore neces-sità di vitamina D nella femmina, per la fer-tilità, gravidanza ed allattamento ( Jablonskie Chaplin, 2002). Il processo d’imbianchi-mento della pelle, dall’equatore verso il polo,non riguarda soltanto la popolazione umana,ma anche altre specie. Ad esempio i maialiafricani sono neri, quelli inglesi bianchi, conuna fase di passaggio che, ad esempio, tro-viamo in Italia, nella razza cinta senese, inparte bianca ed in parte nera.

Colore della pelle ed alimentazioneIl solo sbiancamento della pelle non era suf-ficiente per la produzione di vitamina D, in

popolazioni come gli eschimesi, che mo-stravano soltanto la pelle del viso ai raggisolari, peraltro tenui e per brevi periodi del-l’anno. Queste popolazioni poterono so-pravvivere solo cambiando alimentazione edintroducendo la vitamina D con un’oppor-tuna dieta contenente fegato, grassi e mu-scoli di pesce o d’animali terrestri. Nel seco-lo XIX, in Europa, vi fu la gran rivoluzioneindustriale. Le popolazioni andarono adabitare in città, dove il sole era scarso e losmog fermava i suoi raggi. L’alimentazionesubì cambiamenti ed il burro (d’origine ani-male e con vitamina D) fu sostituito daigrassi vegetali, privi di vitamina D. La con-seguenza fu che l’80% dei bambini delleclassi più povere fu colpito da rachitismo,mentre si diffusero altre patologie da caren-za di vitamina D: osteomalacia, ipofertilitàecc. L’epidemia fu controllata con un’oppor-tuna igiene di vita ed un’adeguata alimenta-zione. Gli anziani oggi ricordano ancora lecolonie elioterapiche della prima metà delsecolo XX ed il puzzolente olio di fegato dimerluzzo, ricco di vitamina D, usato comericostituente. Non è inoltre da sottovalutareche quanto è avvenuto nell’uomo si è ripe-tuto negli animali domestici, che nei paesiindustriali sono spesso allevati in stalle, equindi non godono dei benefici effetti deiraggi solari, con il rischio di dare anche ali-menti, soprattutto latte, con poca o assentevitamina D. In questo caso il problema èstato risolto fornendo agli animali alimentiintegrati con vitamina D.

Vitamina D e patologia alimentare darwinianaAlcune conclusioni s’impongono da quantoesposto e da quanto viene indicato anche peraltre vitamine, come l’acido folico ed i folati.La prima conclusione è che in biologia ed inalimentazione, spesso, le cose sono moltopiù complesse di quanto non possa sembrareo di quanto ci hanno abituato idee semplici-stiche, anche tradizionali. Ad esempio che lavitamina D sia e sia sempre stata una vita-

260

Capitolo III

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 260

Page 260: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

mina. Una seconda conclusione, quasi ovvia,è che stretti rapporti esistono tra ambientedi vita, genetica ed alimentazione. La terzaconclusione riguarda l’importanza dell’ali-mentazione nel regolare il rapporto della co-stituzione genetica con l’ambiente. Senzaadeguare la sua alimentazione, infatti, l’uo-mo non avrebbe potuto diffondersi su tuttoil pianeta. Infine, un non corretto rapportotra genetica, ambiente e alimentazione puòessere causa di malattie.

Bibliografia

Blake E. Why skin comes in colors. CaliforniaWild, 53, n.1, inverno 2000

Jablonski N.G., Chaplin G. Il colore della pelle. LeScienze, n. 412, 58-67, 2002

Jablonski N.G., Chaplin G. The Evolution of Hu-man Skin Coloration. Journ. Human Evolution,39, 1 luglio 2000

Kirchweger G. The biology of skin color: black andwhite. Discover, 22, n. 2, febbraio 2001

261

Cibo e malattie

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 261

Page 261: alimentazionee patologia alimentaredarwiniana

Parte III-Cibo e malattie 22-06-2005 11:26 Pagina 262


Recommended