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All'alba di un afoso giorno d'estate dell’anno 1007 A.D., mentre il … · 2013-11-04 · mare,...

Date post: 17-Feb-2019
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All'alba di un afoso giorno d'estate dell’anno 1007 A.D., mentre il sole che sorgeva dal mare dissolveva le brume della notte, un Drakkar, uno scuro vascello vichingo, lentamente, tra lo sciabordio dell'acqua sulla sinuosa prora, penetrava silenziosamente nel fiordo del Mount Somes Sound nel cuore della splendida isola di Desert nel Maine. Ritto sulla prua, enorme nella sua alta statura, Thorvald Erikson, il capo vichingo, scrutava con i suoi occhi penetranti l'orizzonte che mano a mano gli si apriva davanti. Era il secondo anno che con la sua nave e con i suoi trenta guerrieri stava esplorando il Vinland, la terra del vino. Quello era il nome che suo fratello Leif aveva dato a quella terra sconosciuta che anni prima aveva costeggiato. D'inverno, nelle loro case di legno, attorno al fuoco in Groenlandia, i vichinghi che occupavano le coste di quel paese, avevano discusso a lungo con Leif che con la sua nave, anni addietro aveva costeggiato quelle terre misteriose ricche di legname e di chissà quante altre ricchezze. Suo fratello Thorvald, poco a poco, affascinato da quei racconti si era convinto che fosse necessario tornare in quelle terre. Per questo sul finire dell’inverno,chiese a Leif di poter utilizzare la sua nave e di cedergli il rifugio che si era costruito per trascorrere la stagione più fredda in quella terra lontana sulla riva di un lago che aveva raggiunto risalendo un grande fiume. Leif accettò di buon grado di dargli la nave, ma non di cedergli la casa di tronchi .Gli avrebbe permesso solo di utilizzarla. Avrebbe voluto lui stesso recarsi ad esplorare il Vinland la terra in cui aveva trovato le viti selvatiche che gli avevano suggerito di
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All'alba di un afoso giorno d'estate dell’anno 1007 A.D., mentre il sole che sorgeva dal mare dissolveva le brume della notte, un Drakkar, uno scuro vascello vichingo, lentamente, tra lo sciabordio dell'acqua sulla sinuosa prora, penetrava silenziosamente nel fiordo del Mount Somes Sound nel cuore della splendida isola di Desert nel Maine. Ritto sulla prua, enorme nella sua alta statura, Thorvald Erikson, il capo vichingo, scrutava con i suoi occhi penetranti l'orizzonte che mano a mano gli si apriva davanti. Era il secondo anno che con la sua nave e con i suoi trenta guerrieri stava esplorando il Vinland, la terra del vino. Quello era il nome che suo fratello Leif aveva dato a quella terra sconosciuta che anni prima aveva costeggiato.

D'inverno, nelle loro case di legno, attorno al fuoco in Groenlandia, i vichinghi che occupavano le coste di quel paese, avevano discusso a lungo con Leif che con la sua nave, anni addietro aveva costeggiato quelle terre misteriose ricche di legname e di chissà quante altre ricchezze. Suo fratello Thorvald, poco a poco, affascinato da quei racconti si era convinto che fosse necessario tornare in quelle terre. Per questo sul finire dell’inverno,chiese a Leif di poter utilizzare la sua nave e di cedergli il rifugio che si era costruito per trascorrere la stagione più fredda in quella terra lontana sulla riva di un lago che aveva raggiunto risalendo un grande fiume. Leif accettò di buon grado di dargli la nave, ma non di cedergli la casa di tronchi .Gli avrebbe permesso solo di utilizzarla. Avrebbe voluto lui stesso recarsi ad esplorare il Vinland la terra in cui aveva trovato le viti selvatiche che gli avevano suggerito di

darle quel nome: la terra del vino. Questo però, non era possibile perché doveva occuparsi, ora che il padre era morto, della fattoria e dei beni di famiglia in Groenlandia. Al suo sarebbe andato il fratello Thorvald. Leif e Thorvald Erikson, come ricorda il loro cognome, erano figli di Erik, non di un Erik qualsiasi ma di Erik il Rosso, il vichingo che intorno all’anno mille aveva fondato la colonia scandinava in Groenlandia.

Il genitore non era certamente un tipo tranquillo: in Norvegia, durante una lite, aveva ucciso un uomo e la dura legge vichinga lo aveva esiliato. Di quei tempi, sullo scadere del primo millennio, una terra in cui un vichingo esiliato poteva emigrare era l'Islanda. A quell’epoca, già da un paio di secoli, gli scandinavi avevano iniziato la colonizzazione della grande isola vulcanica. L’Islanda non era una terra troppo ospitale, le risorse naturali erano limitate e il clima rigido permetteva di abitare solo le coste. In particolare, non essendoci foreste, mancava il legname, il materiale più importante assieme al ferro per la tecnologia vichinga. In compenso non essendo la società troppo organizzata e strutturata, la vita era libera, senza eccessivi vincoli sociali. Era insomma una terra come si dice di frontiera in cui si poteva anche fare fortuna. Ogni individuo difendeva fino al sangue il proprio onore in quanto chi non sapeva difenderlo efficacemente dimostrava di non essere in grado neanche di difendere i propri beni. Anche in Islanda l’indole facilmente incendiabile di Erik lo mise nei guai e nella condizione di doversene andare. Messo in mare il suo vascello si mise alla ricerca con un pugno di schiavi e di servi di una terra sconosciuta che a volte si poteva intravvedere dall'alto delle scure montagne islandesi guardando verso ovest. Quello che cercava era una terra in cui poter fondare una sua propria colonia e in cui nessuno potesse indicargli che cosa fare o cosa non fare. Dopo una difficoltosa navigazione in quell’oceano agitato giunse finalmente alla meta. Si trovò di fronte ad una terra ricoperta quasi interamente dai ghiacci. Gli enormi ed immensi ghiacciai dell’interno arrivavano fino al mare. Certo non era quello che sperava ma, da buon avventuriero fece come si dice buon viso a cattivo gioco e chiamò quella terra disperata Greenland: terra verde.

Non lo fece tanto per burla quanto per mascherare la realtà agli occhi degli sprovveduti coloni che Erik voleva lo seguissero nella nuova colonia. I vichinghi erano gente dura, rotta ad ogni avversità e per questo riuscirono a stabilire per qualche secolo degli insediamenti stabili lungo le coste della Groenlandia occidentale dove il clima non era eccezionalmente rigido. Ben presto Iniziarono gli scambi commerciali abbastanza regolari con l'Islanda e la penisola scandinava . La navigazione a quel tempo era regolata sì dagli uomini, ma spesso anche dalle condizioni del mare. Accadde che una nave vichinga da carico che trasportava in Groenlandia delle merci, durante una burrasca in balia dei venti e delle correnti, venne trascinata a sud ovest della sua meta fino al arrivare fin sulle coste del Nord America.

Passata la furia della tempesta la nave volse la prora verso la Groenlandia. Al loro arrivo i mercanti riferirono della loro scoperta. Nella colonia vichinga scarseggiava il legname e anche le altre risorse naturali non erano abbondanti. La possibilità di esplorare nuove terre dove gli alberi fossero facilmente reperibili spinse il maggiore dei figli di Erik, Leif a progettare l'esplorazione di quella terra misteriosa. Preso il mare, Leif con il suo scuro vascello, seguendo le indicazioni dei mercanti travolti dalla tempesta, ben presto giunse alla nuova terra. Subito iniziò l’esplorazione del territorio. I vichinghi erano gente di mare e il modo che preferivano per inoltrarsi nell’entroterra era quello di risalire il corso dei fiumi. Mentre l’estate, la stagione propizia alle esplorazioni, stava terminando, risalendo un corso d’acqua raggiunsero un lago sulle cui sponde Leif stabilì di passare l’inverno. La nave venne tirata a secco e protetta dalle intemperie della stagione invernale che si stava avvicinando. Mentre un gruppo di uomini pensava al vascello, un altro si occupò di costruire una casa utilizzando per la struttura dei tronchi di albero che poi furono ricoperti di terra. Gli uomini mandati a perlustrare i dintorni tornarono portando uva selvatica. Leif ne riempì la stiva della nave . Caricò anche tronchi d’albero che in Groenlandia gli avrebbero fruttato molto denaro. Come sopraggiunse di nuovo l’estate, i vichinghi rimessa in mare la nave ritornarono alle loro fattorie in Groenlandia. In questo viaggio esplorativo, Leif e i suoi uomini non incontrarono nessun essere umano, quelle terre sembravano essere completamente disabitate

Ora, era il tempo di Thorvald che con lo stesso dakkar continuò le esplorazioni del fratello Leif per tutto il periodo estivo. Quando sopraggiunse l'inverno Thorvald e i suoi compagni tirarono la nave a riva riparandola dalle intemperie e vissero di pesca abitando nella casa di tronchi d'albero costruita dal fratello sulle rive del lago.

L'estate successiva venne avviata un'altra campagna esplorativa seguendo questa volta la costa a nord. La navigazione in mari sconosciuti non è mai semplice. Doppiando un capo, incontrarono una tempesta che sbatté il loro vascello verso la riva. La nave strisciò su di un banco di sabbia rovinandosi. I vichinghi furono costretti a tirarla a riva, inclinarla su di un fianco e constatare che la chiglia si era rovinata nell'impatto con la sabbia. Se si fosse trattato di rocce il vascello sarebbe stato irrimediabilmente perduto. Dovettero accamparsi su quella riva, costruire dei ricoveri di fortuna, abbattere degli alberi e trarne delle tavole per riparare la chiglia, dopo aver tolto a colpi di scalpello la parte rovinata. Lavorando sodo dal sorgere al tramontare del sole, impiegarono per condurre a termine il lavoro, più di un mese. Quando ripresero il mare l'estate era avanzata. Questa volta scelsero di navigare più a largo per evitare altri banchi di sabbia. L’esplorazione pian piano avanzava lungo la frastagliata costa del Maine, finché quella mattina, all'approssimarsi dell'alba, scorsero, lungo la costa sinuosa, l'imbocco di un vero e proprio fiordo. Attesero la luce piena prima di avventurarsi in quel braccio di mare sconosciuto.

Thorvald dopo l’incidente accaduto sul banco di sabbia era divenuto molto prudente. Se avessero perso il vascello sarebbero stati irrimediabilmente perduti. Quando il sole abbastanza alto, illuminò chiaramente l’imbocco del fiordo, iniziarono a solcare lentamente quelle acque scure. Alte montagne sormontavano il mare da ambo i lati del fiordo. Il vascello vichingo lentamente penetrò nel braccio di mare. Per tutto il giorno risalirono il grande fiordo. All’approssimarsi della sera, appena trovarono un approdo adatto fermarono la nave in prossimità di un enorme scoglio che affiorava dall’acqua. Rapido un vichingo saltò sulla roccia e con uno scalpello e

la mazza vi praticò in pochi minuti una bocca di rancio in cui, dopo aver infisso un piolo, legò strettamente la fune che legava la poppa del vascello. A prua calarono un pesante ancorotto e la nave fu ferma. Non accesero fuochi né scesero a terra. Consumato un rapido pasto a base di merluzzo seccato al sole, si coricarono sulle tavole e sul vascello scese il silenzio. Solo un guerriero rimase di guardia pronto all’occorrenza a sciogliere con uno strattone la fune che legava la nave allo scoglio in prossimità della riva. La notte trascorse tranquilla. All'alba l'esplorazione riprese. Mano a mano che penetravano nel fiordo si rendevano conto che il posto era veramente incantevole. Alte montagne ricoperte di foreste incorniciavano sui due lati la lingua di mare che si incuneava profondamente nell'entroterra. Sulla sinistra ad un tratto, verso il mezzogiorno, scorsero un promontorio sormontato da un’altura al di là delle alte montagne. Il promontorio dava l’idea di essere proprio la cima di una di queste montagne franata a valle. Attorno al promontorio enormi macigni di granito si inabissavano nelle acque profonde. Ecco il luogo adatto all’approdo. L’altura era un buon punto di osservazione per farsi un’idea di quel territorio. Ormeggiato il vascello, calarono una passerella e scesero a terra. Fu in quel momento che Thorval pensò che quella terra gli piaceva e che avrebbe voluto costruire in quel luogo la sua casa. Il legname era abbondante. Era sufficiente tagliare gli alberi, lasciarli seccare e far rotolare i tronchi lungo il pendio fino alla nave. In Groenlandia quegli alberi avrebbero reso bene e lui si sarebbe ben presto arricchito, cosa molto importante per un vichingo. Il cammino verso nord era impedito dall’inerpicarsi della costa in un dirupo praticamente quasi verticale.

L'unica strada per avanzare nell'entroterra era quella di dirigersi a sud dove la cornice degli scogli, dopo un breve tratto, si allargava in una ampia spiaggia ghiaiosa. Avanzando dalla spiaggia verso l'entroterra individuarono un'ampia spianata dove sarebbe stato agevole costruire una palizzata a difesa di una fattoria. Ben presto aggirarono il promontorio e dal lato opposto al mare poterono salire in alto sull’altura ed osservare il territorio attorno. Ed ecco in lontananza su di una minuscola spiaggia tre monticelli scuri che interpretarono come capanne di indigeni. La scoperta galvanizzò gli animi quegli uomini rudi: la presenza di indigeni avrebbe comportato che occupazione di quelle terre non sarebbe stata pacifica: avrebbero dovuto combattere. Rapidamente tornarono alla nave e incominciarono a navigare verso nord nella direzione in cui avevano intravvisto le capanne. Aggirato e superato il promontorio, lentamente scivolando sull'acqua, si avvicinarono alla piccola spiaggia. Mano a mano che si avvicinavano, la scena assumeva un carattere più preciso: non si trattava di capanne bensì di canoe. Sotto quelle canoe di corteccia di betulle c’era una decina di indiani sdraiati, in apparenza addormentati.

Il vascello lentamente si avvicinava alla riva mentre gli indiani continuavano a dormire all'ombra delle loro canoe. Il basso pescaggio della nave vichinga, appena mezzo metro, permise ai vichinghi di arrivare fin quasi sulla riva. Quando lo schianto del legno sulla ruvida sabbia ridestò gli ignari selvaggi con un balzo i vichinghi li circondarono. Per loro non ci fu via di scampo. Rapide le pesanti spade calarano su quegli sventurati e le asce da battaglia fecero scempio di quei corpi. I

rudi e violenti vichinghi, fieri e convinti della loro superiorità non potevano avere pietà degli Skralingjar, letteralmente urlatori. Solo uno degli indiani,il più giovane Akenabis riusci a salvarsi e fuggire. Colpito di striscio alla testa da un colpo d'ascia, cadde tramortito a terra. Dopo pochi istanti rinvenne e, mentre i vichinghi finivano a colpi d’ascia i compagni, con una scatto disperato riuscì a spingere in acqua una delle canoe di corteccia e vogando disperatamente si allontanò dalla spiaggia.

Questo è il primo incontro documentato tra europei e nativi americani. I guerrieri vichinghi sicuri della loro forza non si preoccuparono più di tanto dell’indiano sopravissuto e lasciato un ragazzo di guardia mangiarono un pasto frugale e si coricarono per riposare durante le ore più calde di quella afosa giornata estiva.

Dopo qualche ora il silenzio della spiaggia fu bruscamente interrotto dalle grida di allerta della vedetta. Prontamente tutti gli uomini balzarono in piedi volgendo lo sguardo nella direzione che la sentinella indicava con il braccio teso. L'azzurro mare del fiordo era costellato dalle scure macchie di un numero sterminato di canoe che dirigevano risolutamente verso di loro. Con un balzo senza bisogno di alcun ordine, raccolte le armi, i vichinghi le caricarono sulla loro nave, quindi sciolto l’ormeggio, con la forza dei remi la sospinsero in acque più profonde. Quando furono a largo disposero gli scudi lungo le murate del vascello e si prepararono alla battaglia.

Nel frattempo le canoe degli Indiani Abenakis li avevano ormai raggiunti. Una pioggia di frecce cominciò piovere verso i vichinghi ma gli scudi dietro ai quali si nascondevano li difendevano efficacemente. Quando qualche canoa si avvicinava troppo per tentare di abbordare il vascello vichingo da dietro gli scudi i guerrieri con le loro lunghe lance avevano facilmente ragione degli assalitori trafiggendoli e gettandoli in mare. Terminate le frecce e vista l’impossibilità di salire sulla nave, gli Abenakis si ritirarono. Parecchi di loro avevano pagato con la vita l’attacco alla nave vichinga. Allora Thorvald, non appena le canoe scomparvero dietro ad un’ansa del fiordo, chiese ai suoi uomini chi fosse caduto e chi ferito. Tutti e trentacinque risposero che erano sani e salvi. Solo lui, Thorvald, era stato ferito. Una freccia si era

infilata tra la murata della nave e la linea degli scudi e lo aveva colpito sotto l'ascella. Il capo vichingo si rese conto di essere sul punto di morire. A quel tempo non si poteva sopravvivere ad una ferita di quel tipo. La freccia aveva sicuramente forato il polmone. Cosciente della morte imminente comunicò ai suoi uomini le sue ultime disposizioni. Ordinò di essere seppellito sotto a quella terra in cui aveva sognato di costruire la sua fattoria e di vivere arricchendosi e di tornare a casa narrando la sua vicenda al fratello. Gli uomini gli obbedirono, volsero il vascello e navigarono verso l'uscita del fiordo. Lo seppellirono nella spianata vicina al loro primo approdo in una fossa profonda perché né gli animali né gli indiani potessero trovarlo e fare scempio del suo corpo. Gli posero sopra lo scudo di legno di pioppo, la spada e l’elmo di ferro, beni molto preziosi, li riportarono con loro in Groenlandia per darli a Leif. Sarebbero serviti a qualche altro capo vichingo. Poi fecero vela verso nord, verso la Groenlandia.

Successive spedizioni vichinghe cercarono senza successo di trovare la tomba di Thorvald . Anche i tentativi di creare nel Vinland una colonia vichinga permanente fallirono a causa dei continui attacchi degli Abenakis. I vichinghi costretti a dover continuamente combattere per difendere le loro fattorie abbandonarono definitivamente quelle terre. Nel tempo si perse la memoria storica di queste vicende che furono tramandate per via orale nelle saghe nordiche ricordate a memoria e raccontate la sera attorno al fuoco.


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