Alma Mater Studiorum – Università di Bologna
FACOLTA’ DI SCIENZE POLITICHE
Corso di laurea in Sviluppo e Cooperazione Internazionale
Elaborato in Sociologia delle Relazioni Internazionali
POLITICHE E IDEOLOGIE DELLA CASA: DISCIPLINARE AMMINISTRANDO UN BISOGNO
Candidato : Relatore:
Marco Filoscia Chiar.mo Prof. Maurizio Ricciardi
Sessione IIIAnno Accademico 2006/2007
INDICE
• Introduzione 3
• 1. Per un’archeologia delle politiche abitative
1.1 Città moderna e crisi 5
1.2 La questione sociale 6
1.3 GeorgesEugène Haussmann 8
1.4 L’habitat ideologico 10
1.5 L’habitat degli igienisti e dei costruttori 12
1.6 Progetto integrativo e stratificazione sociale 14
• 2. Politiche abitative tra crisi della riforma sociale e governo neoliberale: una ricerca di
Pierre Bourdieu
2.1 Crisi della città moderna 16
2.2 Lo stato e la costruzione del mercato 18
2.3 La casa merce anomala 22
2
2.4 La politica della casa: dai grandi complessi residenziali alla casa unifamiliare 23
2.5 Un contratto sotto costrizione 28
INTRODUZIONE
Il discorso sull’abitare coinvolge una molteplicità di saperi: architettura e urbanistica,
sociologia, economia, diritto, medicina e igiene sono alcuni nomi che possiamo dare ai diversi
modi attraverso cui è possibile parlare di casa. Indagare i discorsi e le logiche che rendono
l’abitare oggetto di politica significa doversi confrontare con questa complessità di sguardi,
cercare di tematizzarne le connessioni e i conflitti; e naturalmente, dover scegliere. Questo
lavoro si concentra su alcuni aspetti legati alle politiche della casa, letti in prospettiva storica. Il
suo scopo è approfondire e problematizzare le logiche di fondo che hanno motivato lo stato
moderno a intervenire nell’insediamento abitativo, ipotizzando un utilizzo della casa come
strumento di selezione e disciplinamento del corpo sociale, nello stesso momento in cui
l’intervento si organizzava come risposta al bisogno di abitare, come soluzione di una
problematica sociale. Al tempo stesso, si è cercato d’intravedere come questo utilizzo abbia
trovato connessione con le possibilità offerte dall’abitazione di valorizzazione economica, col
suo pieno inserimento nelle dinamiche di sviluppo capitalistico. In quest’ottica si è rilevata una
grande funzionalità nell’estensione della proprietà come modalità d’accesso al bene casa
rispetto alla riproduzione di dinamiche di gerarchizzazione e stratificazione sociale, sia per le
connotazioni ideologiche che ad essa fanno riferimento che per i meccanismi che ne governano
l’accesso.
La trattazione è scissa in due momenti. Nella prima parte si mette a tema la nascita delle
politiche abitative come corpus organico, in un periodo che abbraccia tutto il XIX secolo, ovvero
nel momento in cui la comparsa della città industriale in Europa poneva con forza il problema
3
della gestione dello spazio urbano. Partendo dai costi sociali dello sviluppo industriale come
causa scatenante, s’indaga in che modo si è concepita e attuata un’azione dello stato sullo spazio
domestico. In questo processo si evidenziano diverse componenti discorsive principali, e diversi
soggetti che le veicolano: in primo luogo i riformatori sociali, ma anche, in una retrospezione
che risale agli inizi del secolo, gli igienisti e i costruttori. In questa fase la trattazione dello
spazio abitativo è strettamente connessa a quella delle dinamiche urbane, così come fuse tra loro
si presentano all’origine le politiche abitative e quelle urbanistiche.
La seconda parte si concentra su un oggetto d’analisi più circoscritto, descrivendo, col
fondamentale ausilio di un testo di Pierre Bourdieu, i passaggi attuativi e alcune conseguenze
sociali di una riforma dell’impianto delle politiche abitative dello stato francese, che nel periodo
dal 1966 al 1977 ratifica una trasformazione sostanziale dell’approccio alla questione della casa,
produce un passaggio da una gestione fortemente centralizzata dell’allocazione delle risorse
abitative ad un’apertura del mercato della casa e del credito immobiliare in cui i soggetti forti di
questo mercato (gli istituti bancari e alcune imprese di costruzione) sono investiti di un ruolo
fondamentale nella definizione e nella strutturazione dell’accesso al bene casa. Proprio anche in
quanto finalizzata a concettualizzare determinate logiche del funzionamento del mercato delle
abitazioni nel suo complesso, questa parte consta anche di una breve tematizzazione generale
delle particolarità della casa come merce, e dell’influenza dello stato nella costruzione del
mercato della casa, sempre con riferimento al lavoro di Bourdieu. Qui la trattazione delle
politiche abitative si distacca da quelle urbanistiche, facendosi più specifica. La descrizione delle
dinamiche contestuali di sviluppo urbano vi trova comunque spazio, ma solamente nel primo
paragrafo, come quadro storico di riferimento.
Nei riferimenti spaziali si è scelto di focalizzare il lavoro su Parigi e sulla Francia. Questa
scelta non è stata programmatica, ma in qualche modo strumentale. Per quanto riguarda la prima
parte, la realtà parigina risulta un laboratorio di esperienze politiche che in seguito trovano
diffusione nelle altre città europee. Per gli argomenti della seconda parte, le vicende dello stato
francese permettono di esemplificare le dinamiche esaminate in maniera più che altrove lineare e
concentrata nel tempo, con la supposizione che i passaggi riscontrati abbiano valore esplicativo
anche rispetto ad altre realtà territoriali.
Le motivazioni che mi hanno spinto a intraprendere questo studio risiedono nella percezione
che la casa, luogo simbolo della persistenza nel tempo, persista anche come luogo di
4
affermazione dei poteri che muovono lo sviluppo, e che proprio abitando le mura domestiche,
costringendo molti individui a sacrificarsi per poterle anche loro abitare, o motivandone altri a
far sacrificare qualcuno, questi poteri riescano a meglio perpetuarsi, trovando fondamenta solide
e stabili attraverso i passaggi di paradigma che lo sviluppo incontra.
1. PER UN’ ARCHEOLOGIA DELLE POLITICHE ABITATIVE
1.1 Città moderna e crisi
La casa come problematica sociale nasce nella modernità, ed è quindi nei processi di
modernizzazione, nei conflitti e nelle ambivalenze che li hanno accompagnati, che vanno
ricercati i temi e le poste in gioco di ogni tipo di politica abitativa. Ma ancora, i valori centrali
della nostra cultura abitativa, l'attuale struttura del rapporto casacittà, l'uso economico dell'
abitazione, sono concetti essenzialmente moderni, ovvero si sono formati con la comparsa della
città industriale .
Parlare di modernità significa parlare di crisi. Molti sono gli autori che hanno visto nel
concetto di crisi il motore dei rivolgimenti sociali e dei sistemi di pensiero che hanno definito la
modernità. Le trasformazioni della città europea a partire dalla metà del XIX secolo
costituiscono uno specchio di questa crisi, una sua proiezione sul territorio. L'enorme processo di
urbanizzazione che accompagna l’ascesa del capitalismo sconvolge la struttura urbana europea,
accresce a dismisura la città e al tempo stesso ne minaccia gli equilibri, e innesca la lunga serie
di rivolgimenti, spostamenti di popolazioni che hanno caratterizzato la città moderna.
Henri Lefèbvre ci consegna una chiave di lettura di questo passaggio: «L'industria (...) deve
produrre agglomerazioni nelle quali il carattere urbano si deteriora»1.
Se si guarda alla città industriale ottocentesca, il deterioramento ha un riferimento chiaro e 1 H. Lefèbvre, Il diritto alla città (1968), trad. it. Padova, Marsilio, 1970, p. 27.
5
inequivocabile: la comparsa degli slum, i «quartieri brutti dove si ammassa la classe operaia»2. In
queste aree urbane , la cui crescita si accompagna ovunque a quella della produzione capitalista,
si determinano concentrazioni di popolazione senza precedenti nella storia europea conosciuta, si
sperimentano nuove forme di deprivazione materiale.
Gli schemi e gli equilibri della città medievale s'infrangono: il punto di rottura, il dato nuovo e
sconvolgente che emerge non è tanto la miseria in sé, quanto come essa si concentra
moltiplicando i suoi effetti in aree specifiche. Scrive Friedrich Engels: «E' vero che spesso la
miseria abita in vicoletti nascosti dietro i palazzi dei ricchi; ma in generale le si è assegnata una
zona a parte, nella quale essa, bandita dalla vista delle classi più fortunate, deve cavarsela da sé,
in un modo qualunque»3.
La Situazione della classe operaia in Inghilterra", del 1844, è il testo in cui l’autore tedesco ci
dà una testimonianza vivida e minuziosa di cosa significhi questa miseria. Il suo viaggio negli
slum di Londra, Manchester, Birmingham e Leeds appare come un'esplorazione dei limiti
dell'umana sopravvivenza: mancanza d'acqua, di cibo, di vestiario, ma anche letteralmente d’aria
e di spazio, sono alcuni aspetti della deprivazione materiale vissuta dall' operaio.
1.2 La questione sociale
La condizione operaia e le sue pericolose implicazioni turbano l'occhio dell' osservatore
esterno. La grande e disparata produzione scientifica e letteraria che comincia a svilupparsi dai
primi decenni del secolo attorno a questo tema testimonia lo sgomento provato dalle classi
elevate, e in particolare fra gli uomini di stato. Numerose e diverse voci si levano a indicare la
necessità di combattere "il pauperismo": ne parlano legislatori, riformatori sociali, filantropi,
medici e igienisti. Una polifonia che indica l' emergere di una pluralità di approcci alla questione,
ma al tempo stesso una prospettiva dominante: migliorare le condizioni di vita nei quartieri
significa fare ordine nella città, normalizzare una realtà che appare minacciosamente confusa,
rendere gestibile il sociale urbano.
Significative in proposito le parole di Luigi Luzzatti, padre del movimento in favore dell'
2 F. Engels, La situazione della classe operaia in Inghilterra (1844), trad. it. Roma, Editori riuniti, 1978, p. 24.3 Ibidem, p. 35.
6
edilizia sociale in Italia, e della stessa legge che dell'edilizia sociale sancisce la nascita a livello
nazionale: «Il pauperismo distruggerà la nostra civiltà se la nostra civiltà non riesce ad estinguere
gradatamente il pauperismo. Le esplosioni selvagge della Comune di Parigi e certe recenti
sommosse del lavoro in Inghilterra, in Belgio, negli Stati Uniti d'America hanno avvertito che
ogni nazione contiene i suoi barbari minaccianti di continuo la pace e la prosperità, e non
potendo espellerli con la forza, perché sono sangue del suo sangue e ossa delle sue ossa, è uopo
ammansirli e temperarli. Come gli antichi barbari furono convertiti da una religione d'amore,
così si cercano dappertutto gli influssi salutari di nuove fedi sociali che acquietino i barbari nuovi
e mutino le collere dei ciclopi del lavoro in feconde attitudini di cooperazione sociale»4
La questione operaia si trova così al centro della produzione di un discorso, viene prodotta
discorsivamente come “questione sociale”, ovvero come somma di problemi isolabili e specifici,
privati delle loro connessioni causali, della loro natura politica. «Povertà, sanità, educazione,
igiene, disoccupazione e così via, vennero concettualizzati come “problemi sociali” i quali, a
loro volta, chiamavano ad un sapere scientifico particolareggiato sulla società e sulla
popolazione e ad una pianificazione sociale estensiva connessa ad un intervento sulla vita
quotidiana»5.
La produzione di saperi specifici che scompongono e reificano la città comporta il
dispiegamento su di essa dell' intervento dello stato, volto a razionalizzarla per meglio
amministrarla. Questo processo d' investitura, che vedrà il suo più completo dispiegamento nel
corso del XX secolo, si produce in maniera tutt'altro che lineare; la pluralità di voci segnalata
sopra rispecchia una pluralità di processi e prospettive politiche che, attraverso intrecci e
ridefinizioni, danno forma alla riforma sociale e alla pianificazione come strumenti del potere
statuale. E proprio distinguendo schematicamente riforma sociale e pianificazione possiamo
dipanare due differenti linee genetiche (il termine “riforma sociale” in questo frangente è
specificamente iscritto dentro l’orizzonte del conflitto tra lavoro e capitale, più avanti si userà lo
stesso termine con un’accezione più ampia).
L'ipotesi di riforma sociale emerge in seno al movimento operaio come strategia opposta alla
rivoluzione, come possibilità di emancipazione della classe su un terreno non antagonista, ma
interno all' ordine giuridico. La Germania bismarckiana è teatro delle principali elaborazioni
4 Citato in A. Tosi (a cura di), Ideologie della casa. Contenuti e significati del discorso sull’abitare, Milano, Franco Angeli, 1980, p. 93.5 A. Escobar, Pianificazione, in W. Sachs (a cura di), Dizionario dello sviluppo (1992), trad. it. Torino, Ega, 2004, p. 187.
7
teoriche di quest'ipotesi. I socialisti tedeschi (principalmente con il contributo di Karl Kautsky)
elaborano una strategia che, pur non rinunciando formalmente all’ipotesi rivoluzionaria ma
relegandola in un futuro imprecisato, si basa su un graduale processo di modificazione degli
assetti economici e democratizzazione dello Stato attraverso l'estensione del diritto di voto.
Contemporaneamente ma da un'altra prospettiva, è lo stesso cancelliere Bismarck ad attuare un
programma di riforme sociali specificamente indirizzato a mediare il conflitto industriale. Il
concetto di riforma sociale trova inoltre attuazione nelle diverse forme di organizzazione
sindacale che, a partire dai cartisti inglesi e poi anche nell' Europa continentale, agiscono per
migliorare la condizione dei lavoratori attraverso un'opera continua di contrattazione6.
Le origini della pianificazione urbana invece possono essere ricondotte all'emergere, a partire
dal XVIII secolo, di politiche sanitarie e di gestione della popolazione, con le quali «si cominciò
a concepire la città come un oggetto, da analizzare scientificamente e trasformare tenendo d'
occhio due principali criteri: il traffico e l'igiene»7. Un importante contributo a questa
tematizzazione viene dalle ricerche di Anne Thalamy e Jean Marie Alliaume raccolte in
Politiques de l' habitat 18001850, che individuano in Parigi il campo di sperimentazione di
questa presa in conto da parte dello stato dei problemi attribuiti alla popolazione. In particolare,
il discorso degli igienisti parigini va ad insistere sulle connessioni tra gruppo sociale e
probabilità di diffusione delle malattie, e postula una corrispondenza tra condizioni igieniche e
condotta morale, per cui scarsa igiene diviene segno di comportamento antisociale. Le
condizioni igieniche vengono ad essere argomento centrale di una chiamata in causa
dell'amministrazione cittadina ad intervenire nell'organizzazione dello spazio urbano, a estendere
i propri strumenti conoscitivi e di controllo su tutta una serie di “funzioni vitali” della
popolazione.
Al di là delle possibili distinzioni tra riforma sociale e pianificazione (Arturo Escobar
distingue ” pianificazione urbana” e “pianificazione sociale”, gli altri autori qui considerati usano
indifferentemente il termine “riforma”) questi due elementi confluiscono in un unico progetto di
modernizzazione, che a partire dalla fine del XIX secolo prende corpo in maniera organica nelle
città europee. Nel suo divenire storico il "progetto moderno" rimane denso di contraddizioni, che
possono sinteticamente essere ricondotte a una sostanziale ambivalenza di fondo: estensione di
6 M. Ricciardi, Rivoluzione, Bologna, Il Mulino, 2001, pp. 159162.7 A. Escobar, Pianificazione, cit., pp. 187188.
8
una razionalizzazione organizzativa che «se da un lato consente un miglioramento sensibile delle
condizioni di vita, dall’ altro tende a subordinare alle proprie logiche la cultura, l’ esperienza, la
vita quotidiana degli abitanti»8
1.3 GeorgesEugène Haussmann
«Di fronte alle esplosive implicazioni delle condizioni abitative e alla sperimentata
pericolosità delle concentrazioni operaie, la “questione sociale” tende ad identificarsi con quella
urbanaabitativa: i riformatori sociali cercano una soluzione nello stesso tempo urbanistica e
sociale alla questione operaia, la politica della casa è vista nello stesso tempo come rimedio alla
crisi sociale e a quella degli alloggi»9. La casa e la città sono quindi i riferimenti principali su cui
si struttura l’intervento di riforma.
Henri Lefèbvre vede in questo processo l'affermazione di una vera e propria strategia di classe
da parte della borghesia, tesa a «riorganizzare la città distruggendone l' urbanità e scongiurando
il pericolo di una democrazia urbana»10.
E, in effetti, i primi interventi rispondono proprio a esigenze di mero controllo fisico, di
matrice puramente repressiva. La riorganizzazione del centro di Parigi operata dal barone
Haussman costituisce l' esempio più celebre il caso limite di questo tipo di pianificazione. La
strategia si traduce qui in una massiccia distruzione di quartieri popolari, espulsione di coloro
che li abitavano, e ricostruzione delle stesse zone in forme radicalmente diverse. «Il barone
Haussman sostituisce con lunghe avenues le vie tortuose ma vive, con quartieri imborghesiti i
quartieri sporchi ma animati. Se apre dei boulevards, se dispone ordinatamente degli spazi vuoti,
non è per la bellezza delle prospettive. E' per “sistemare Parigi con le mitragliatrici” (Benjamin
Péret). Il celebre barone non lo nasconde»11.
La funzionalità di questa riorganizzazione rispetto ai suoi stessi scopi mostrerà presto i suoi
limiti: «uno dei significati della Comune di Parigi (1871) fu il ritorno in forza verso il centro
8 A. Tosi, Abitanti. Le nuove strategie dell’azione abitativa, Bologna, Il Mulino, 1994, p. 20.9 A. Tosi (a cura di) , Ideologie della casa, cit., p. 13.10 H. Lefèbvre, Il diritto alla città, cit., p. 34.11 Ibidem, p. 34.
9
urbano degli operai respinti verso i sobborghi e le periferie, la loro riconquista della città»12.
Questo tipo di strategia dovrà esser presto abbandonata; l'intervento dovrà arricchirsi di
contributi e sensibilità diverse, più profonde.
Ma nelle intenzioni haussmaniane possiamo riconoscere in nuce delle istanze di fondo che
tenderanno continuamente a riemergere nella storia dello sviluppo urbano: quella della
gentrificazione del centro cittadino (o "riqualificazione" nella dicitura più recente), ovvero l'
espulsione da esso dei suoi abitanti per aprirlo all'insediamento delle classi medioborghesi, e
con ciò a nuove funzioni politiche ed economiche; quello intimamente connesso della
disurbanizzazione, ovvero l'impulso alla mobilità verso la periferia, che spesso si è tradotto nella
collocazione (più o meno forzata) di determinati gruppi sociali in quartieri appositamente
costruiti ai margini della città. Nella progettazione dei grandi boulevards si misura per la prima
volta su larga scala la possibilità di governare l’insediamento urbano, di decidere lo spostamento
e il reinsediamento delle popolazioni all’interno della città.
E inoltre questo passaggio è tappa fondamentale verso la formulazione, che si compirà nei
decenni successivi, della disciplina urbanistica come sapere specifico di carattere normativo,
componente fondamentale dell’ intervento statale sul tessuto urbano. «L’urbanistica come
ideologia formula tutti i problemi della società come riguardanti problemi di spazio e trasferisce
in termini spaziali quanto proviene dalla storia e dalla coscienza»13.
1.4 L' habitat ideologico
Il passaggio successivo è l'emergere ,verso la fine del secolo, di un progetto integrativo molto
più complesso e di ampio respiro, atto di nascita delle politiche abitative vere e proprie: la
concezione dell'habitat. Rifacendosi a Lefèbvre, Antonio Tosi insiste sulla natura tutta
ideologica del concetto, lo identifica in primo luogo come creazione di un sistema di valori
12 Ibidem, p. 35.13 Ibidem, p. 62.
10
incentrato sulla privacy. «Fino ad allora, abitare significava partecipare a una vita sociale, a una
comunità, villaggio o città (...) Alla fine del secolo XIX, i notabili isolano una funzione, la
separano da quell’insieme estremamente complesso che era e che resta la Città, e nel progettarla
manifestano e significano la società alla quale forniscono un’ideologia e una pratica»14.
Una riduzione, dunque: dall’abitare come esperienza complessa e relazionale che ingloba e
mescola molteplici funzioni, al se loger, l’abitare come momento privato, proiettato all’interno
delle mura domestiche e separato dal mondo circostante. «La casa diventa essenzialmente luogo
della riproduzione e del consumo. L'abitare si costituisce come esperienza ”separata” e
valorizzata»15.
Su questa linea di demarcazione se ne afferma un'altra, di cruciale importanza politica:
quella tra tempo di lavoro e tempo di riposo (o di consumo). La valorizzazione del privato viene
elaborata sostanzialmente in contrapposizione al momento lavorativo, in una strategia che mira a
«coinvolgere gli operai (individui e famiglie) in una gerarchia ben distinta da quella che regna
nella fabbrica, quella della proprietà e dei proprietari, delle case e dei quartieri. Volevano
conferire loro un’altra funzione, un altro statuto, altri ruoli che non quelli connessi con la
condizione di produttori salariati. Cercavano così di fornire loro una vita quotidiana migliore di
quella lavorativa. Così immaginarono con l’habitat l’accesso alla proprietà»16.
Nella sua analisi Tosi sottolinea una centralità dell'ideologia, ovvero individua un discorso di
fondo del "conservatorismo europeo di fine 800", universale e trasferibile in contesti diversi, che
mira costituire l'abitare come luogo d'organizzazione del consenso. Il discorso preconizza un
grande progetto integrativo: il consolidamento di una classe media tendenzialmente
conservatrice, attraverso la diffusione di modelli unitari di consumo e di status (la casa di
proprietà in primis), che possano fungere da catalizzatori dei desideri delle classi proletarie,
neutralizzando le spinte eversive delle loro aspirazioni. Punto fondamentale è l' esplicita
duplicità del modello: la logica unitaria presuppone la compresenza di una logica selettiva, nella
misura in cui un sistema di valori comuni incentrati sulla promozione sociale costituisce anche
un sistema di valori di stratificazione.
Nel discorso assumono molta importanza considerazioni di carattere morale, all’insegna del
determinismo ambientale, che si giocano sulla distinzione tra casa unifamiliare e alloggio
14 Ibidem, pp. 3536.15 A. Tosi, Abitanti, cit., p. 14.16 H. Lefèbvre, Il diritto alla città, cit., p. 36.
11
collettivo, imputando a quest’ultimo una disdicevole promiscuità, foriera di disordine sociale.
Per contro, vengono esaltate le virtù positivamente rassicuranti della casa unifamiliare
localizzata nel suburbio, e della parcellizzazione del tessuto urbano sottesa a questo modello. La
valorizzazione della vita suburbana inoltre chiama in causa tutta una serie di suggestioni che
investono l’opposizione cittàcampagna: è da questo investimento nell’ immaginario che
prendono forma le moderne nozioni di intimità e comfort. Più in generale, attorno alla tematica
domestica si afferma e riproduce «la tendenza abbastanza tipica delle classi dirigenti arretrate a
disconoscere il conflitto sociale nelle sue dimensioni strutturali e a ridurlo – con un
atteggiamento psicologico persecutivo – a pura e semplice devianza morale»17.
I primi passi per una traduzione pratica del discorso sono visibili nella creazione degli istituti
per l'edilizia sociale, tra la fine del XIX secolo e l'inizio del XX in Francia e in Italia. Fin da
subito emerge lo scarto fra la logica ideale e la sua agibilità materiale. I riformatori si trovano a
dover fare i conti con la crescita urbana costante e il conseguente consumo di suolo, nonché con
le strutture, da tempo consolidate, della rendita fondiaria e immobiliare. Il loro intervento si trova
quindi ristretto entro margini non oltrepassabili, dovendo modellarsi sulle ragioni dei regimi di
suolo esistenti e sulle esigenze funzionali dello sviluppo urbano. Principale vittima di questi
vincoli sarà proprio il modello della casa unifamiliare, che finisce per essere soppiantato
dall'affermazione dell'alloggio collettivo, in nome della razionalità urbanistica e architettonica. Il
dibattito sulle tipologie comunque tenderà a protrarsi (come vedremo) fino a tempi molto recenti,
sebbene al tempo stesso il modello culturale dell'habitat si dimostrerà correlabile con qualunque
tipologia.
Occorre quindi, giunti a questo punto, problematizzare il rapporto tra azioni strategiche e
risultati, e distinguere tra gli impieghi immediati dell’habitat nella formulazione delle politiche e
il generale influsso di questo concetto nella cultura abitativa moderna. Se la prima relazione è
labile o comunque complessa, in quanto ogni provvedimento in materia di abitazioni risente di
molteplici contingenze ed è oggetto di contrattazione tra gruppi d’interesse, la seconda appare
ben più incisiva, se vista in prospettiva ampia. La riduzione dell’abitazione a spazio distinto e
destinato essenzialmente alla riproduzione, ma anche processi quali la differenziazione interna
della casa (spazi specifici per specifiche funzioni), o la complessificazione dei processi di
produzione edilizia che realizza una sempre maggiore distanza tra abitanti e costruttori, tutti
17 A. Tosi (a cura di), Ideologie della casa, cit., p. 8889.12
questi tratti strutturali dell’abitare nella città moderna trovano nel concetto di habitat una chiave
interpretativa unificante, a prescindere dall’individuazione dei precisi atti politici che li
sostengono.
Riguardo alle ipotesi integrative portanti, l’autore osserva come esse tendano a realizzarsi
lungo tutto l’arco di sviluppo della città industriale e postindustriale, pur con «modalità ben più
complesse del discorso originario»18. L’ elaborazione ideologica produce un’ incidenza effettiva,
quindi, ma più come intuizione che come disegno complessivo: gli ideologi individuano una
modalità di concepire il funzionamento politico della casa e ne suggeriscono possibilità e
opportunità. «In effetti è in questa direzione che deve essere individuato il significato reale della
“strategia”: nella chiara intuizione da parte degli ideologi originari di quelli che sarebbero stati i
meccanismi essenziali dell’ integrazione – in particolare delle potenzialità integrative connesse
ad una valorizzazione della quotidianità e del consumo»19.
1.5 L' habitat degli igienisti e dei costruttori
Le ricerche di Anne Thalamy e Jean Marie Alliaume ci impongono una digressione,
riportandoci a un altro panorama in cui l'habitat fa la sua comparsa.
A Parigi, già nel corso del XVIII secolo, il desiderio degli amministratori cittadini di fare
ordine in una città confusa e multiforme dà luogo alle prime regole di spazializzazione. Si tratta
in primo luogo di normative specifiche volte a regolare lo spazio pubblico, quello della strada e
della piazza, nell' intento di "liberarlo" delle propaggini domestiche che lo ingombrano per
meglio favorire la circolazione dell'aria e delle persone; prescrizioni riguardo l'allineamento
degli edifici e le attività commerciali ambulanti, per fare due esempi. La logica è l'eliminazione
degli spazi ibridi, la demarcazione fisica tra interno ed esterno, e l'affermazione della piena
sovranità dei poteri pubblici su quest'ultimo. «En effet, c'est avec l'affirmation d'un espace public
uniforme et homogène, patiemment mise en place par les règlements de voirie, affirmation qui
s'effectue aux dépens de la multiplicité et de la diversité des territoires privés des habitants, que
18 Ibidem, p. 34.19 Ibidem, p. 34.
13
l'idée d'habitat prend forme»20.
Su questa dinamica viene a convergere, come già ricordato, il discorso igienista. Jean Marie
Alliaume indaga la rete di determinazioni in cui è iscritto. A partire dalla fine del XVIII secolo,
gli igienisti operano un distacco dal sapere medico vero e proprio, non essendo quest'ultimo
spendibile nella promozione di riforme sociali (dando per scontata l’accezione ampia di questo
termine in questo contesto), per il fatto che non si occupa di correlazioni tra malattia e contesto
sociale . Si rende necessario un ribaltamento epistemologico: «à la place de la maladie sa
fréquence et sa propagation différentielle, ainsi que le thème de la mortalité. A la place du climat
et de la situation géographique, le Peuple, la classe (Soldats, Paysans, Juifs, etc.). A la place de
l'air (humide, sec, etc.) et de la proximité des marais, le mode de vie. A la place de l'étiologie, la
prédisposition. On substitue en outre à l'injonction de soigner des corps, le désir de réformer des
classes»21. Il concetto di predisposizione è al centro del dispositivo tematico che conferisce
all'igienismo lo statuto di scienza sociale. Costituisce inoltre la base per una serie di
determinazioni che legano condizioni igieniche e condotta morale: ciò che determina
l'insalubrité è l'atteggiamento di noncuranza (insouciance) dell'individuo di fronte ad essa. In un
passaggio successivo, il ruolo delle attitudini individuali si estende fino a investire l'insieme delle
condizioni d' indigenza. Oggetto del giudizio morale diventano anche le predisposizioni
individuali nei confronti del lavoro, del denaro, della casa: comincia a farsi strada la distinzione
tra la povertà, umile e coraggiosa, e la miseria, deprecabile e frutto di depravazione.
In conclusione del suo lavoro, l’autore precisa che sui medesimi meccanismi andrà in seguito
a formarsi un ventaglio ampio di discorsi riformatori diversi e confliggenti, e aggiunge che non
vi sarebbe nessun rapporto diretto tra i discorsi e le politiche concrete contemporaneamente
messe in campo. Ai fini di questa elaborazione, ciò che rileva è il contributo degli igienisti nel
processo di costituzione del concetto moderno di abitare, e nel consolidarsi di alcuni meccanismi
discorsivi (soprattutto la distinzione tra povertà e miseria morale) che si ipotizza abbiano svolto
almeno in seguito un ruolo importante nel determinare le politiche abitative.
Agli appelli di risanamento dello spazio urbano si accompagnano nuove problematiche, legate
al ruolo economico dell' habitat. «Si la violente intrusion de l’argent dans le domaine immobilier
20 A. Thalamy, Réflexions sur la notion d’habitat aux XVIII et XIX siècle, in Aa Vv, Politiques de l’habitat 18001850, Paris, Corda, 1977, p. 10.21 J.M. Aillaume, Anatomie des discours de réforme, in Aa Vv, Politiques de l’habitat 18001850, cit., p. 163.
14
n’est pas un événement du XIXe, ce dernier parait toutefois porteur d’éléments nouveaux»22.
Anne Thalamy rileva nei primi sporadici interventi urbanistici d’inizio secolo e nelle
argomentazioni che li accompagnano la comparsa di preoccupazioni legate all’ economia di
spazio, che trovano concordanza con quelle legate all’ igiene e all’ amministrazione dello spazio
urbano. «Confusion de la salubrité et du profit au service du double interet du spéculateur et de
l’administration, qui sera la constante de tous nos textes tenant un discours de rentabilité
financière sur l‘ habitat»23. Le esigenze della rendita influenzano le tecniche architettoniche
motivando i costruttori di ricercare la migliore densification possibile degli alloggi. Oppure
motivano (insieme alle condizioni igieniche e all’accrescimento della popolazione) gli interventi
di urbanizzazione dell’ immediata campagna, così come le prime risistemazioni delle parti
centrali della città.
Procedure architettoniche, finanziarie, amministrative e igieniste, si mescolano, si appoggiano
l’una all’altra, si contaminano e trovano modo di esprimersi attraverso l’habitat, in questa nuova
categoria di spazio che contribuiscono a formare.
Queste convergenze, queste necessità emergono da tutta una letteratura di trattati specifici di
architettura, inchieste demografiche, rapporti del Conseil de salubrité, spesso specificamente
indirizzate a orientare l’operato dell’amministrazione cittadina.
«Sans pouvoir encore évoquer une “science” de l’habitat, on touche déjà du doigt une analyse
qui chiffre les besoins et les possibilités, qui, d’un mot, affirme l’existence d’ un marché de
l’habitat»24.
1.6 Progetto integrativo e stratificazione sociale
Al di là del complesso rapporto tra elaborazione discorsiva e interventi puntuali di
pianificazione urbana, un elemento sostanziale si delinea sullo sfondo di tutte le dinamiche fin
qui esaminate di determinazione delle politiche abitative: la complementarità tra processi
integrativi e processi emarginativi. Una duplicità che richiama da vicino quella doppia finalità,
22 A. Thalamy, Réflexions sur la notion d’habitat aux XVIII et XIX siècle, in Aa Vv, Politiques de l’habitat 18001850, cit., p. 38.23 Ibidem, pp. 3940.24 Ibidem, p. 40.
15
trattamento del problema abitativo come problematica sociale e al tempo stesso perseguimento
del controllo diretto sul territorio, che abbiamo visto essere la cifra costitutiva dell’intervento
dello stato sulla città e sulla casa, esito delle stesse contingenze storiche che lo hanno prodotto.
Si è già accennato al ruolo politico assegnato alla proprietà come modalità d’ accesso al bene
casa. Oggetto di valorizzazione da parte dei riformatori, essa viene identificata direttamente
come fattore di stabilizzazione dell’ ordine sociale, sia in quanto valore che inclina alla
conservazione del proprio status, sia in quanto istituzione di una gerarchia distinta da quella di
fabbrica. Al tempo stesso, il perseguimento di un modello unitario basato sulla proprietà si fa
efficace strumento per la selezione del corpo sociale, nella misura in cui si presta a determinare
un meccanismo di differenziazione tra coloro cui è permesso di accedervi e coloro che ne restano
esclusi.
Logica di stratificazione che è inscritta nel quadro complessivo delle politiche abitative, come
effetto sistematico, come ben dimostrano gli effetti sull’edilizia residenziale italiana della Legge
Luzzatti (1904) e dei suoi successivi regolamenti d’attuazione, che sanciscono la nascita
dell’edilizia popolare pubblica in Italia. Scrive in proposito Lodo Meneghetti: <<D’ora in avanti
l’intervento pubblico, entro un’apparente unificazione dei diritti definita dal tetto qualitativo
della tipologia sovvenzionata, appare differenziato secondo il tipo di istituzione e tende a
selezionare i gruppi sociali fra quelli che possono permettersi l’onere di un mutuo finalizzato alla
proprietà dell’alloggio e gli altri che possono pagare solo un canone modico>>.
La selezione dei destinatari, la demarcazione tra soggetti integrabili e non, o tra soggetti
differentemente integrabili, gioca un ruolo fondamentale nella determinazione delle politiche
sociali in generale. «Nel campo abitativo questo sdoppiamento si esprime nella duplicità delle
strategie d’intervento: una strategia integrativa, che dà luogo ad una vera e propria politica della
casa; una strategia di controllo della marginalità, che si traduce in politiche di tipo regolativi
assistenziale»25.
Logica di stratificazione, infine, in cui inevitabilmente risuona l’eco di quelle argomentazioni
incentrate sulla morale atte a scomporre le cause politiche delle problematiche abitative, e a
differenziare al loro interno i soggetti che ne sono portatori.
25 A. Tosi, Abitanti, cit., p. 149. 16
2. POLITICHE ABITATIVE TRA CRISI DELLA RIFORMA SOCIALE E
GOVERNO NEOLIBERALE: UNA RICERCA DI PIERRE BOURDIEU
2.1 Crisi della città moderna
Nel capitolo precedente abbiamo tratteggiato alcuni aspetti del grande processo nel quale lo
stato moderno ha assunto funzioni di regolazione dell'insediamento abitativo, nel quadro di
un'estensione dell'impatto dei suoi poteri su molteplici aspetti della vita quotidiana, con la
conseguente integrazione di questi ultimi in un sistema di definizione razionaleburocratico.
Sono sporadicamente apparsi alcuni tratti del consolidamento di un mercato delle abitazioni,
fattore determinante delle politiche pubbliche, e da esse determinato.
17
In questo capitolo si tenterà d'interrogare più a fondo questo rapporto, tra strutturazione del
mercato e politiche abitative, e le sue conseguenze in fatto di rapporti sociali, esaminandolo in
un preciso passaggio storico, tra la fine degli anni sessanta e l'inizio degli anni ottanta del XX
secolo. Questa collocazione, e i nodi problematici che in essa affiorano, non sono avulsi dalle
precedenti analisi. Si tratta di un momento che segna l'apice e l'inizio di una profonda crisi dei
grandi progetti integrativi di riforma sociale che hanno accompagnato la nascita delle politiche
dell'habitat. Al tempo stesso, gli effetti della crisi, e i tentativi di governarla, ripropongono con
nuova forza e nuova centralità alcune tematizzazioni peculiari del discorso originario, prima fra
tutte quella relativa alla proprietà della casa.
La crisi che investe il capitalismo europeo (e mondiale) intorno agli anni settanta è insieme
produttiva e politica, riguarda il progetto di modernizzazione nel suo insieme, ne fa vacillare (se
non crollare) la logica interna, la visione lineare e progressiva dello sviluppo della città, la fede
nelle possibilità illimitate di estensione del progetto moderno. Al riguardo, alcuni autori parlano
di «città senza il principio speranza», per mostrare nelle attuali dinamiche di urbanizzazione la
scomparsa della fiducia nel progresso sociale, il venir meno di quell'«opera di assorbimento
sociale dentro l'organizzazione urbana» che fu carattere saliente della città industriale di prima
generazione26.
Quella crisi che abbiamo visto essere soggiacente alle strutture sociali della modernità,
contraddizione interna che minacciandone la stabilità ne permetteva altresì l'evoluzione e il
continuo riadattamento, si fa ora manifesta, ne inceppa irrimediabilmente i meccanismi.
Esplodono grandi movimenti sociali in cui si affermano soggetti parziali (le donne, i neri,
l'operaio massa) che scardinano l'universalità del progetto integrativo, smembrando la figura
unitaria del cittadinolavoratore che esso aveva veicolato. Contemporaneamente, entra in crisi
produttiva il modello fordista che aveva accompagnato e permesso la massima estensione di quel
progetto. Si creano le premesse di una imponente riorganizzazione produttiva della macchina
capitalistica, e parallelamente di una riorganizzazione dell' intervento sociale dello stato.
La spinta integrativa dei grandi progetti di pianificazione e riforma sociale
fatica a modularsi nelle nuove dinamiche di sviluppo urbano, e incontra forti
opposizioni in seno alla stessa classe dirigente; è la funzionalità stessa del
piano ad essere messa in discussione, nel momento in cui le dinamiche
26 A. Mazzette E. Sgroi, La metropoli consumata, Milano, Franco Angeli, 2007, p. 23.18
emergenti del capitalismo mondiale si muovono verso una sempre maggiore
flessibilizzazione e delocalizzazione dell’attività produttiva, per cui «l’industria
non ha più bisogno di grandi dimensioni e perciò neppure di un bacino di manodopera
concentrato dentro le aree urbane»27. Il progetto moderno vede infrangersi il suo
impulso a totalizzare la razionalizzazione dello sviluppo urbano. Il controllo
dello spazio, le politiche di gestione della popolazione si rivelano certamente
ancora necessarie per lo stato moderno, ma più come intervento residuale
che come progetto universale. Il concetto di riforma sociale si vede
ampiamente ridimensionato, spesso percepito come ostacolo alle dinamiche
di crescita economica e accumulazione del capitale, o per contro rivendicato
come conquista sociale da difendere per le classi subalterne.
Nelle città europee, viene meno l’urgenza della pianificazione del
territorio, e le politiche sociali vengono ad assumere i caratteri di
«specialismo» e «selettività», ovvero si configurano come «programmi speciali di carattere
reintegrativo al posto di politiche generali per famiglie a basso reddito»28. I destinatari sono
gruppi specifici piuttosto che l’insieme degli individui appartenenti alle classi subalterne.
In questo quadro, la questione urbana-abitativa perde la sua centralità
all’interno dello stesso intervento sociale dello stato. Col venir meno
dell’intervento pubblico, il mercato acquisisce legittimazione come soggetto
principale che definisce e risolve le problematiche della casa. Ma lungi dallo
scomparire, le logiche politiche di controllo e selezione del corpo sociale
finiscono per riprodursi anche attraverso nuovi attori, solo apparentemente
impolitici.
2.2 Lo stato e la costruzione del mercato
«Il campo economico si costruisce innanzitutto nel quadro dello stato nazionale, con il quale
27 Ibidem, p. 16.28 A. Tosi, Abitanti, cit., p. 143.
19
esso forma in qualche modo un tutt'uno. Lo stato contribuisce in effetti in misura preponderante
all'unificazione dello spazio economico (e anche evidentemente dello spazio culturale e
simbolico), unificazione che contribuisce a sua volta alla formazione dello stato».29 E' da questa
visione storica che Pierre Bourdieu prende le mosse nella sua analisi del mercato delle abitazioni;
da questo parallelismo, o dipendenza tra strutturazione dello stato e del mercato come
meccanismi d'allocazione di risorse e come vettori di socialità, visione di cui l'autore non tace la
determinante influenza del lavoro di Karl Polanyi. Il suo oggetto d’analisi è specifico, il mercato
delle case unifamiliari in proprietà nella Francia dei primi anni ottanta (principalmente nel
dipartimento del Vald’Oise), esplorato attraverso una complessa e puntigliosa ricerca sul campo,
con una lettura e ricostruzione in presa diretta dei comportamenti dei produttori, dei venditori e
degli acquirenti di case, e dei burocrati e uomini politici che di questo settore si occupano. Ma
malgrado la sua estrema contingenza storica e geografica, questo lavoro ci permette di cogliere
alcune dinamiche fondamentali degli sviluppi delle politiche abitative, e delle dinamiche
politiche e sociali associate alla casa; la nostra ipotesi è che il passaggio qui esaminato abbia
valore in qualche modo paradigmatico, e che quindi i suoi risvolti politici siano correlabili a
differenti e più ampi contesti.
L'intento dichiarato dell’autore è quello di togliere terreno alla visione astorica della scienza
economica, di sottrarre i temi della produzione e della commercializzazione di case unifamiliari
dall'universo asettico e falsamente neutro dei linguaggi e delle strutture analitiche dell’economia
neoclassica, per calarli nella rete complessa delle pratiche e delle strutture sociali che li
determinano, ricostruire maglia per maglia questa rete, tenendo conto che l'aspetto economico
del comprare o vendere una casa non è appunto che un aspetto di un insieme di pratiche. «Le
scelte economiche che riguardano la casa (...) dipendono, da una parte, dalle disposizioni
economiche (costruite socialmente) degli agenti, in particolare dai loro gusti, e dai mezzi
economici che possono avere a loro disposizione, e, d'altra parte, dallo stato dell'offerta di
abitazioni. Ma i due termini della relazione canonica, che la teoria neoclassica tratta come dati
incondizionati, dipendono a loro volta, in maniera più o meno diretta, da tutto un insieme di
condizioni economiche e sociali prodotte dalla "politica della casa".»30
In questo passaggio l'autore schematizza gli strumenti principali della sua analisi, gli assi
29 P. Bourdieu, Le strutture sociali dell'economia (2000), trad. it. Trieste, Asterios, 2004, p. 253.30 Ibidem, p.33.
20
portanti su cui si costruisce il mercato. In primo luogo lo spazio dei compratori, di chi accede al
mercato per soddisfare il proprio bisogno di abitare, complessivamente segnato da tutto un
insieme di fattori sociali propri di ciascun agente, la cui determinazione è sia storica che
soggettiva, quali il capitale economico, il capitale culturale, la struttura complessiva del capitale,
attraverso i quali si possono “misurare” per ogni gruppo sociale le differenti propensioni verso
l’uno o l’altro comportamento abitativo, prima fra tutte la discriminante dell’accesso alla casa in
proprietà oppure in affitto, secondo un metodo che va oltre la mera disponibilità di risorse
finanziarie. In secondo luogo la composizione dell’offerta, ovvero la struttura del campo di
produzione: « i rapporti oggettivi che si instaurano tra i vari costruttori posti in concorrenza per
la conquista di parti di tale mercato costituiscono un campo di forze la cui struttura in un
determinato momento si trova all’origine delle lotte miranti a conservarlo o a trasformarlo.»31 Da
ultimo (ma ovviamente non per ordine d’importanza) l’impatto delle politiche della casa, di cui
ancora una volta è opportuno rimarcare il rapporto processuale e non lineare tra l’ideazione e le
varie fasi dell’attuazione.
«Vi sono senza dubbio pochi mercati che, come quello della casa, siano non solo controllati,
ma veramente costruiti dallo stato, e specialmente proprio attraverso le agevolazioni concesse ai
privati, che variano per volume e per modalità d’attribuzione, favorendo di più o di meno questa
o quella categoria sociale, e, in tal modo, questo o quel settore di costruttori.»32 Determinante
quindi l’intervento dello stato nella strutturazione del mercato. Ma più che di relazione univoca,
si potrebbe parlare di campo d’interazione reciproca: gli agenti del mercato, le imprese di
costruzione e quelle di commercializzazione penetrano coi loro interessi nei meccanismi e nei
discorsi politici che generano l’intervento pubblico, che a sua volta influisce nelle dinamiche
economiche della produzione di case. Se quindi le politiche abitative esercitano indubbiamente
una grande influenza nelle dinamiche del mercato della casa, altrettanto indubbio è che chi le
concepisce non è entità avulsa dalle strutture sociali di cui quel mercato è espressione. Il rapporto
tra necessità amministrative (con le loro diverse possibili finalità politiche), e necessità
speculative diviene via via più complesso man mano che aumenta la rilevanza del ruolo
economico dell’habitat all’interno degli sviluppi delle società capitalistiche (di quella francese in
questo caso), ma rimane una sorta di tensione dialettica, di oscillazione tra convergenza e
31 Ibidem, p.60.32 Ibidem, p.109.
21
antagonismo nel rapporto tra costruttori e amministratori. Tensione dialettica che può essere
indagata, sviscerata in tutte le sue componenti in ogni preciso passaggio storico: «è in effetti nei
rapporti di forza e di lotta fra, da una parte, agenti e istituzioni burocratiche investiti di poteri
differenti, spesso rivali e portatori d’interessi specifici e talvolta antagonisti e, dall’altra,
istituzioni o agenti (gruppi di pressione, lobby, ecc.) i quali intervengono per far trionfare i propri
interessi o quelli dei loro mandanti, che si definiscono sulla base d’antagonismi o alleanze
interessate e habitus affini, i regolamenti che reggono il settore immobiliare»33.
Oggetto finale di questo percorso è definire la doppia costruzione sociale della domanda e
dell’offerta, ossia il modo in cui i bisogni abitativi di una popolazione, o più precisamente di
alcuni gruppi sociali integrabili in un modello di produzione e commercializzazione, finiscono
per essere definiti all’interno dei meccanismi e delle logiche dell’industria di case, tenendo conto
che la definizione degli uni e degli altri (i bisogni abitativi e i meccanismi e le logiche
dell’industria) sono oggetto di rappresentazione politica e intervento amministrativo. Nel settore
della casa unifamiliare (che costituisce, lo ricordiamo, un prodotto particolare rispetto al totale
delle abitazioni) l’aggiustamento si attua principalmente per effetto di un’omologia tra lo spazio
differenziato dell’offerta e quello della domanda, ovvero «per il fatto che le caratteristiche sociali
dei compratori e quelle delle imprese, quindi dei prodotti, del personale, in particolare dei
venditori è all’origine di tutta una serie di effetti strategici essenzialmente non voluti e quasi
inconsci» (p. 9495) E’ nell’interazione tra venditore e acquirente che l’aggiustamento si compie,
nella consonanza tra i rispettivi habitus, ma al tempo stesso l’interazione porta con sé e attualizza
la struttura del rapporto economico e dei rapporti di forza tra i due soggetti.
Ma è impossibile non scorgere alla base di questo processo, come condizione fondante, una
fondamentale cesura, una selezione della domanda solvibile, efficacemente espressa in questa
osservazione di J. Ion: «le posizioni rispettive della domanda e dell’offerta sul mercato della casa
permettono a quest’ultima di controllare la formazione della domanda e di non integrarne che ciò
che corrisponde alla redditività del capitale investito»34.
33 Ibidem, p.112.34 Ibidem, p.133.
22
2.3 La casa merce anomala
Nell’analizzare la casa come merce occorre considerare le molteplici rappresentazioni di cui
essa è oggetto, che la rendono strettamente dipendente da dinamiche altre rispetto a quelle
meramente economiche. Diversi sono i discorsi e i percorsi dell’immaginario che potremmo
imbastire attorno al concetto di casa, molti i richiami e le implicazioni che la parola “casa”
evoca; proveremo a concettualizzarne alcuni, particolarmente influenti sulle dinamiche che ci
accingiamo ad analizzare.
Innanzitutto, la casa è il luogo della riproduzione: i bisogni e le scelte in materia di
abitazione sono strettamente connessi a ciò che riguarda la sfera riproduttiva. «Le strategie
economiche sono integrate in un complesso sistema di strategie della riproduzione, e quindi
gravide di tutta la storia che esse mirano a perpetuare, ossia l’unità domestica, esito essa stessa
d’un lavoro di costruzione collettiva, imputabile ancora una volta, in misura essenziale, allo
stato»35. La casa intrattiene una forte relazione con la famiglia, col gruppo sociale che decide di
abitarla; è espressione di un progetto riproduttivo, e il suo uso e la sua storia dipendono
fortemente dalle trasformazioni interne a ciascuna singola struttura familiare, così come dalla
storia delle strutture familiari e dei rapporti fra i sessi nel loro complesso. La definizione dei
bisogni abitativi e le strategie per il loro soddisfacimento, prima fra tutte la scelta tra proprietà e
affitto, non possono essere compresi se non dentro questo quadro.
Il particolare legame tra casa e “casata” si presta ad essere oggetto di tutta una serie di
discorsi che danno forma a un patrimonio di mitologie connesse all’intimità e all’unità familiare,
discorsi che abbiamo visto all’opera già nel XIX secolo come produzione ideologica da parte dei
riformatori di stato, e che continueranno ad aver pregnanza assumendo nuova funzionalità nella
comunicazione pubblicitaria. L’esaltazione del privatoabitativo, delle nozioni di comfort e
intimità, e di tutto il sistema di significazioni che alcuni autori descrivono come “mito della
villetta” si presenta come linea di continuità, come costante che dai primi discorsi di riforma
ottocenteschi si trasmette sin nelle strategie di mercato dei produttori di case unifamiliari
suburbane. In conclusione della sua ricerca sulle strategie della pubblicità immobiliare nel campo
dell’edilizia per classi medioalte nella regione parigina, C. Soucy afferma: «L’ingegnosità dei
35 Ibidem, p. 34.23
promotori, l’imponente mitologia sviluppata dalla pubblicità hanno in definitiva come oggetto
essenziale, promettendo un’esistenza privata liberata dalle costrizioni materiali, di far
dimenticare a questa clientela – nell’istante decisivo dell’acquisto – le continue pesanti
costrizioni imposte ai cittadini dall’anarchia pubblica entro cui opera ancora lo sviluppo
urbano»36. La mitologia (nel senso che Roland Barthes conferisce a questo termine: «il mito
organizza un mondo senza contraddizioni perché senza profondità, un mondo dispiegato
nell’evidenza, che istituisce una chiarezza felice: le cose sembrano significare da sole. In questo è
tutta l’ambiguità del mito: la sua chiarezza è euforica»37) si costruisce soprattutto per via di una
rappresentazione acritica dell’ambito familiare, visto come luogo idilliaco scevro da qualsiasi
conflitto. (Chiaramente questa mitizzazione della famiglia, asse discorsivo portante del dominio
patriarcale, non comincia con la modernità e non si limita a discorsi sulla casa).
La casa è inoltre un prodotto che riveste una forte carica simbolica, in quanto «esprime o
tradisce l’essere sociale del proprietario»38, e la sua collocazione o la sua fattura assumono
importanza man mano che si sale nella gerarchia sociale in quanto rilevatori dello status. Ion
radicalizza gli effetti di questo investimento e delle sue funzionalità economiche: «L’innovazione
del costruttore si esaurisce nei soli elementi di abbellimento dell’alloggio e il pubblico si
compiace in un consumo di simboli ove scompare completamente l’atto di abitare come pratica
sociale creatrice. L’alloggio non è più un bene d’uso ma un bene di scambio su cui è stato
artificialmente applicato un insieme di segni»39.
Tra spazio e logica di produzione della casa s’instaura un legame doppio: da una parte, in
quanto patrimonio immobile, l’abitazione non può essere scambiata o usata se non nel luogo in
cui è stata prodotta; dall’altra la modalità con cui è prodotta «rientra nella logica delle tradizioni
locali, attraverso le norme architettoniche e tecniche imposte dai regolamenti amministrativi, e
soprattutto attraverso le propensioni dei possibili acquirenti per gli stili regionali», propensioni
che come vedremo cominceranno a giocare un ruolo determinante nelle riorganizzazioni
produttive del mercato.
Ma una più profonda e decisiva distinzione può essere impiegata all’interno dello stesso
ruolo economico dell’habitat nello sviluppo capitalistico, come suggeriscono Riccardo Bedrone e
36 C. Soucy, La mitologia dell’abitare: contenuti e significati della pubblicità immobiliare, in A. Tosi , Ideologie della casa, Milano, Franco Angeli, 1980, p. 152.37 R. Barthes, Miti d’oggi (1957), trad. it. Torino, Einaudi, 1994.38 P. Bourdieu, Le strutture sociali dell’economia, cit., p. 37.39 Ibidem, p. 146.
24
Riccardo Roscelli nella loro analisi del settore edilizio italiano. La casa è una merce che
comporta un alto valore d’uso, in quanto «bene socialmente necessario», e quindi in termini di
mercato un bene la cui domanda è potenzialmente illimitata. «La mancata assimilazione della
casa a “bene socialmente necessario” ha limitato le scelte di utilizzo del settore ad una duplice
contraddittoria possibilità: casa come bene capitale o casa come bene di consumo»40. In
particolare è la prima di queste due rappresentazioni a rivelare tutta la sua utilità, fornendo una
chiave di lettura (pur controversa dal punto di vista analitico) dell’integrazione del segmento
produttivo dell’edilizia residenziale all’interno dello sviluppo capitalistico: il ruolo chiave di
questo settore sta nella sua doppia funzione, una di accumulazione primaria di capitale per il
reinvestimento produttivo attraverso la rendita, l’altra di sbocco produttivo nei periodi di
recessione (utilizzo anticiclico) grazie alla sua scarsa elasticità rispetto alle importazioni e alla
sua alta capacità d’assorbimento della manodopera.
2.4 La politica della casa: dai grandi complessi residenziali alla casa unifamiliare
Nel decennio che porta alla formulazione della legge Barre (1977) si produce un radicale
mutamento nelle politiche abitative della Repubblica francese, una riorganizzazione complessiva
di cui Bourdieu rintraccia i passaggi politicoburocratici.
Nell’intento di mitigare l’affollamento urbano conseguente al rapido processo di
urbanizzazione del secondo dopoguerra, a partire dal secondo piano economico nazionale
(195054), e soprattutto dalla fine degli anni cinquanta, era stato intrapreso un vasto programma
di edificazione su larga scala ai margini delle città. I nuovi quartieri destinati a raccogliere il
proletariato urbano vennero chiamati Zup, Zones à urbanisation prioritaire, e si caratterizzarono
per l’uso generoso delle tipologie e delle tecniche costruttive dell’edilizia di massa: i grands
ensembles, insediamenti a blocchi anche di 5000 unità abitative, fecero la loro comparsa come
nuovi scabrosi elementi del paesaggio urbano41. Questo massiccio sforzo costruttivo s’incentrava
su una particolare forma di edilizia sociale, identificata dalla figura delle Hlm (Habitation à
loyer modéré), «des habitations collectives ou individuelles, urbaines ou rurales, répondant aux
40 R. Bedrone ,R. Roscelli, Ciclo edilizio e ciclo produttivo, in R. Roscelli (a cura di), Edili senza lavoro operai senza casa, Torino, Einaudi, 1975, p. 22.41 Anna R. Minnelli, La politica per la casa, Bologna, Il mulino, 2004, p. 67.
25
caractéristiques techniques et de prix de revient déterminées par décision administrative et
destinées aux personnes et aux familles de ressources modestes»42. (Definizione presa
dall'articolo L. 4111 del Code de la Construction et de l'Habitation). Gli enti preposti
all’edificazione o alla ristrutturazione delle abitazioni potevano (e possono) essere sia uffici
pubblici che società private («società anonime», cioè società di capitale) sovvenzionate in via
indiretta dallo stato; il complesso degli istituti coinvolti nel progetto, comprendente anche società
cooperative fornitrici di servizi e la Società di credito immobiliare di Francia, era organizzato in
un “movimento delle Hlm”, organo di coordinamento e di rappresentanza in seno alle istituzioni.
Principale strumento normativo a sostegno di questo modello era l’aide à la pierre (aiuto al
mattone), «aiuto finanziario pubblico concesso all’investimento di un committente, sotto forma
di un prestito a tassi molto vantaggiosi. Istituito dalla legge del 3 settembre 1947, questo sistema
d’attribuzione è stato completato, nel 1948, da alcune limitate misure, chiamate allocation
logement (assegni per l’abitazione), d’aiuto finanziario alle persone al fine di alleggerire le
mensilità di un credito contratto per l’acquisto dell’abitazione»43 Si tratta di due strumenti diversi
per approccio: l’aiuto al mattone è destinato al costruttore affinché accetti di vendere o affittare
un’abitazione ad un prezzo sociale stabilito dall’amministrazione pubblica, va ad incidere quindi
sull’offerta di abitazioni, mentre l’assegno per l’abitazione è finalizzato a sostenere la domanda,
o meglio a produrla incoraggiando la solvibilità dei compratori. Quest’ultimo rimane almeno in
una prima fase del tutto residuale rispetto all’aiuto al mattone, vero asse portante dell’intervento.
Molte e di diversa matrice sono le critiche che questo “modello forte” ha suscitato. Alcune
vertono sul perpetuarsi di dinamiche di differenziazione e di emarginazione all’interno delle
stesse forme di edilizia sociale, attraverso meccanismi d’assegnazione che escludono determinate
categorie di soggetti, secondo criteri di reddito (le Hlm presuppongono comunque un certo
livello di solvibilità), ma anche secondo criteri non specificamente economici, (come la distanza
dalla famigliatipo o la condizione d’irregolarità giuridica). Antonio Tosi colloca questi effetti in
una più generale «inefficacia sociale delle politiche», esito della sostanziale ambivalenza
costitutiva di cui il progetto integrativo è espressione, inefficacia che si esplica nello
«scivolamento verso l’alto dei dispositivi inizialmente previsti per i più sfavoriti»44. Oltre che
nelle condizioni d’accesso, la logica emarginativa trova corrispondenza diretta anche nelle
42 Livre IV du Code de la Construction et de l’habitation, in www.legifrance.gouv.fr. 43 P. Bourdieu, Le strutture sociali dell’economia, cit., p. 114.44 A. Tosi, Abitanti, cit., p. 147.
26
tipologie architettoniche utilizzate e nella loro distanza dai bisogni degli abitanti, nella
conformazione fisica e nella natura di spazio urbano che si è andato costruendo tramite
quest’intervento, che realizza un modello di città esplicitamente fondato sulla segregazione
spaziale delle classi subalterne, intuibile già a livello sensoriale nell’estetica dell’edilizia monstre
dei grands ensembles.
Altre riflessioni e ripensamenti emergono all’interno delle istituzioni di rappresentanza
politica, dove si fa strada una visione “liberista” volta a ridimensionare l’apparato di edilizia
sociale per favorire un’apertura del bene casa alle dinamiche del mercato, spostando la
regolazione statale verso un più residuale sostegno alla domanda di abitazioni in proprietà.
Scrive Anna Minnelli «il supporto politico per questo tipo di edilizia [quella delle Zup] si esaurì
nell’arco di una decina d’anni, e già nel 1972 l’esperienza venne abbandonata (...) Negli anni ’70
le scelte di policy virarono così verso la costruzione di case unifamiliari, da assegnare in
proprietà alle classi mediobasse, e verso il risanamento e il recupero di vecchie abitazioni
cittadine da offrire in affitto»45
La ricostruzione cronologica del passaggio ci porta a riconoscere come prima tappa
fondamentale, nel 1966, l’avvio del mercato ipotecario che inaugura per le banche la facoltà
d’offrire crediti a lungo termine. Seguita da una lunga serie di atti normativi volti a sviluppare il
credito immobiliare, facilitarne l’estensione attraverso la sovvenzione pubblica, mettere terreni
edificabili a disposizione dei costruttori, questa disposizione sancisce l’apertura dell’edilizia
residenziale ad un massiccio finanziamento delle banche private, legittimando quest’ultime come
nuovo attore nella gestione delle problematiche abitative. «Mentre nel 1962 le banche non
riservavano che il 21,7% dei crediti all’abitazione, la percentuale aumentava nel 1972 al 65,1%,
mentre al contrario la percentuale del settore pubblico crollava dal 59,7% al 29,7% e quella dei
mutuatari di carattere non finanziario scendeva dal 18,5% nel 1962 al 5,2 % nel 1972.»46
Contemporaneamente si sviluppano rapidamente le imprese specializzate nella costruzione
su catalogo, cresce un segmento produttivo che fino ad allora poteva essere considerato
marginale (fra le decine d’imprese analizzate nella ricerca, soltanto una annovera più di due
decenni d’attività). I dirigenti di queste imprese cominciano a organizzarsi in gruppi di pressione
nel tentativo di esercitare la propria influenza sulle decisioni politiche, sia a livello locale che
45 A. Minnelli, La politica per la casa, cit., pp. 6768.46 P. Bourdieu, Le strutture sociali dell’economia, cit., p. 113.
27
nazionale; nel 1961 era nato il Smi (sindacato dei costruttori di case unifamiliari) e nel 1962 il
Cdmindi (comitato interprofessionale della casa unifamiliare).
Gli interessi di questi gruppi di costruttori e di quelli dei banchieri trovano corrispondenza in
alcuni ambienti burocratici e ministeriali, e precisamente nel Ministero delle Finanze, nella
precisa volontà di chi ne fa parte di alleggerire l’impegno finanziario dello stato. L’aiuto al
mattone, fondamento di tutto il sistema delle politiche, diventa oggetto di deplorazione da parte
dei segmenti “innovatori” della classe burocratica, che per contro insistono per un potenziamento
dei sussidi personali alla proprietà. In difesa del modello “tradizionale” di edilizia pubblica si
schierano invece in maniera più o meno decisa le varie articolazioni del Ministero delle
infrastrutture, il movimento delle Hlm e i vari enti legati all’edilizia popolare, in una disputa
politica che è anche e soprattutto difesa dei rispettivi interessi burocratici. Le diverse prese di
posizione si articolano su un continuum tra due poli: da una parte, la continuazione dell’aiuto al
mattone, dall’altra la sua completa eliminazione in favore degli aiuti alla persona.
Per dirimere la controversia e formulare una riforma organica dell’intero impianto delle
politiche abitative, nel 1975 il governo decide la formazione della “Commissione nazionale sulla
riforma dell’abitazione” (detta “commissione Barre”), composta da dieci funzionari,
rappresentanti dei vari organi pubblici e privati legittimati ad intervenire. Ed è proprio per
risolvere il problema della legittimazione che si sceglie lo strumento della commissione.
«Quest’invenzione organizzativa tipicamente burocratica permette alla burocrazia di trascendere i
propri limiti e di entrare apparentemente in discussione con l’esterno senza smettere di
perseguire i propri fini e di obbedire alle proprie regole di trasformazione. Dissimulata e
legittimata al tempo stesso dalla parziale universalizzazione assicuratale dal radicamento in un
soggetto collettivo, la minoranza attiva diventa una sorta di gruppo di pressione legittimo,
conosciuto e riconosciuto pubblicamente, investito di una missione, di un mandato»47. La
minoranza attiva di cui si parla è la corrente liberale, composta da funzionari pubblici e
rappresentanti di corporazioni private, portatrice d’interessi particolari, ma al tempo stesso punto
di fusione delle strategie di tutta una classe dirigente, le esigenze di valorizzazione del capitale
finanziario e quelle politica di un’integrazione di determinate fasce della classe operaia dentro un
universo di consumo da classe media, attraverso l’istituto della proprietà della casa.
Del resto, le resistenze alla riforma del finanziamento dell’edilizia finiscono per rivelarsi nei
47 Ibidem, p. 139.28
fatti più blande di quanto s’annunciavano. Le giornate dell’Hlm per la formulazione del Libro
bianco, presentato come risposta alle velleità di liberalizzazione del settore e pubblicato in
concomitanza con l’inizio dei lavori della commissione Barre, si risolvono in un parziale
riconoscimento della necessità di rivedere la struttura degli aiuti. Si evidenzia un meccanismo
discorsivo per cui l’ufficializzazione delle diverse posizioni, operata dai dirigenti delle
organizzazioni coinvolte (principalmente il movimento delle Hlm e il Ministero delle finanze),
serve a spianare la strada a una soluzione di apparente compromesso: una riforma in cui l’aiuto al
mattone non viene abolito, ma ampiamente ridimensionato, mentre gli aiuti alla persona sotto
forma di sovvenzioni al credito per l’acquisto divengono l’elemento portante dell’intervento
pubblico. Si delinea così un rapporto di «complementarità nell’antagonismo» tra le diverse
anime della classe dirigente, che permette di conciliare le trasformazioni della politica della casa
con la salvaguardia degli interessi particolari.
La legge Barre porta a compimento «una politica neoliberale, ben studiata per riconciliare
coloro che, secondo una vecchia tradizione, vedono nell’accesso alla proprietà una maniera per
rendere i nuovi proprietari partecipi dell’ordine costituito, garantendo a ciascuno “il diritto
individuale all’acquisizione di un patrimonio minimo”, come scrive Valery Giscard d’Estaing in
Démocratie française, e coloro che pur denunciando talvolta la politica e la mitologia della
villetta non propongono alcuna misura volta a superare le solite alternative fra l’abitazione
individuale e l’abitazione collettiva assistita dagli enti nazionali o locali, e confusamente
associata al collettivismo.»48
Le dinamiche sociali che s’instaurano anche per effetto di tali scelte politiche vedono un
progressivo estendersi in tutto il territorio francese dell’accesso alla proprietà rispetto alla
locazione in affitto. Sfuma la demarcazione tra gli strati sociali che prediligono la proprietà e
quelli più propensi all’affitto, cresce soprattutto l’acquisto a credito fra i settori salariati delle
classi medie e gli strati superiori della classe operaia, seppur in maniera differenziata rispetto a
una serie di variabili quali l’età e il capitale culturale.
Un importante strumento di diffusione di queste pratiche di accesso alla casa è la
«personalizzazione del credito, innovazione nell’ambito delle tecniche bancarie che istituisce una
nuova specie di garanzia, quella rappresentata soprattutto dal reddito permanente, cioè l’insieme
48 Ibidem, p. 110.29
dei redditi suscettibili d’essere percepiti nel corso di una vita (o sul lungo periodo)»49. Questa
possibilità di accedere al credito sulla base della certezza di un salario, senza bisogno di garanzie
patrimoniali, si rivela indubbiamente fondamentale per l’integrazione di nuovi gruppi sociali
nell’universo della casa unifamiliare.
2.5 Un contratto sotto costrizione
«Come entravi da loro e li vedevi ti domandavi cosa avevano tutti e
due. Ebbene, quel che avevano gli Henrouille di così poco naturale, è di
non aver mai speso in cinquant’anni uno solo dei loro soldi senza averlo
rimpianto. E’ con la carne e con lo spirito che avevano comperato la
casa, come la lumaca. Solo che lei, la lumaca, lo fa senza saperlo»
LouisFerdinand Céline.
L’interazione diretta tra l’acquirente e il consulente immobiliare, e l’atto d’acquisto della
casa che ne consegue, racchiudono e al tempo stesso rendono effettivo il complesso dei rapporti
di forza che regge il mercato della casa, e fungono da fenomeno rivelatore delle logiche connesse
alle strategie politiche sopra esaminate.
«Non vi è praticamente niente di ciò che definisce l’economia della casa – a partire dai
regolamenti amministrativi o dalle misure legislative che orientano la politica del credito
immobiliare, fino alla concorrenza fra i costruttori o le banche che li sostengono, passando per i
rapporti oggettivi tra le autorità regionali o municipali e le diverse autorità amministrative
incaricate di applicare la regolamentazione nell’ambito dell’edilizia – che non entri in gioco
negli scambi tra i venditori di case e i clienti, ma rivelandovisi, o tradendosi, sotto una forma
irriconoscibile»50. Tutto l’universo di strategie economiche e di controllo politico connesse alla
casa si concentra nell’atto d’acquisto e nella conseguente contrazione del mutuo ipotecario, si
49 Ibidem, p. 182.50 Ibidem, p. 170.
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fissa in quel momento per poi ripercuotersi lungo tutto il periodo in cui si compie l’estinzione del
debito.
Nella sua ricerca sul campo Bourdieu individua una struttura del discorso che rimane
costante (pur naturalmente con alcune minime variabili) ogni volta che un individuo si rivolge ad
un agente immobiliare per esplorare le possibilità d’acquisto di una casa su catalogo.
Configurandosi inizialmente come una ricerca di quali possano essere le alternative migliori per
la soddisfazione di un bisogno da parte del cliente, il rapporto finisce presto o tardi per rivelarsi
un’imposizione da parte del venditore delle condizioni d’accesso al prestito ipotecario, ovvero
nell’instaurazione di un rapporto di dipendenza nei confronti della banca erogatrice, del quale
l’impresa di costruzione e vendita costituisce un tramite cointeressato. Il consulente indaga quali
garanzie di solvibilità possono essere offerte, identifica in che modo e fino a che punto
l’acquirente può essere funzionale alle strategie finanziarie degli organismi che rappresenta, e
sulla base di queste informazioni traccia una bozza di un piano di credito personalizzato. Il piano
viene presentato come «un verdetto, (...) una perentoria enunciazione di doveri»51, le cui regole,
le cui determinazioni giuridiche rimangono a chi compra sostanzialmente oscure. «Al di là del
primo contatto con gli addetti al pubblico, tutte le fasi del procedimento amministrativo, studio,
realizzazione, erogazione, poi gestione, avvengono al di fuori della presenza dei clienti, e il
personale della banca si rivolge a essi solo se la domanda è incompleta»52. L’oggetto della
negoziazione si sposta dal prodotto casa al mutuo, quindi su un terreno in cui gli spazi di
manovra per l’acquirente sono molto limitati.
La particolare figura del venditore incorpora e veicola gli interessi dell’impresa di
appartenenza e dell’istituto di credito cui fa riferimento, ma incorpora anche in qualche modo lo
stato stesso, facendosi esecutore delle norme giuridiche della transazione immobiliare. In effetti è
proprio la padronanza del linguaggio burocratico e la conoscenza delle norme che gli
conferiscono in parte una certa autorità sul cliente, una possibilità di manipolare il vocabolario
tecnico in modo da selezionare le informazioni sul prodotto o nascondere parte delle
conseguenze implicite nella firma del contratto. Per contro, il venditore deve anche essere in
grado di rassicurare il suo interlocutore, di fugare le ansie che accompagnano una scelta così
importante e al tempo stesso angosciosa quale può essere l’acquisto di una casa a credito, deve
51 Ibidem, p. 187.52 Ibidem, p. 184.
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quindi cimentarsi nell’utilizzo di una doppia strategia linguistica: l’utilizzo del linguaggio neutro
della burocrazia bancaria e al tempo stesso il tentativo d’instaurare un rapporto verbale in
qualche misura confidenziale, o apparentemente tale, rassicurante, che diventa tanto più
praticabile quanto più è forte la vicinanza tra i due interlocutori, per estrazione sociale e per
habitus.
Ma al di là della natura mistificatoria delle tecniche discorsive usate per la vendita, è nella
logica stessa dell’acquisto a credito che si situa una sostanziale ambivalenza di fondo: contratto
per anticipare la soddisfazione di un bisogno che altrimenti dovrebbe essere rimandato nel
tempo, il mutuo finisce per costruire un castello di costrizioni che non possono essere eluse, per
differire in un momento lontano (l’estinzione del debito, la dissoluzione della minaccia
dell’ipoteca) la soddisfazione piena del bisogno, ovvero il raggiungimento di una sicurezza, data
dalla proprietà di una casa come solida base intergenerazionale, che è certamente una delle
motivazioni essenziali che spingono gli individui a voler acquistare una casa. «La casa
unifamiliare (...) tende a poco a poco a diventare il termine di fissazione di tutti gli
investimenti»53, la protrazione nel tempo degli obblighi sottesi al contratto costringe a
concentrare gli sforzi economici sul pagamento delle rate.
La parziale sostituzione del sistema bancario all’intervento diretto dello stato nella gestione
delle problematiche abitative introduce nuove modalità e nuovi linguaggi nel rapporto tra
bisogno di abitare e risposta istituzionale, ma lascia intatta la logica di disciplinamento che fu
finalità primaria della concezione dell’habitat, rafforzandone l’intreccio con le necessità
economiche di valorizzazione del capitale finanziario.
53 Ibidem, p.211.32