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ANALISI A MOLTI OBIETTIVI PER LA PRODUZIONE DI ENERGIA...

Date post: 18-Feb-2019
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POLITECNICO DI MILANO Facoltà di Ingegneria Corso di Laurea in Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio ANALISI A MOLTI OBIETTIVI PER LA PRODUZIONE DI ENERGIA DA BIOMASSE Relatore: Prof. G.Guariso Tesina di Laurea di: Daniela Benetti 616171 Alberto Colombo 607262 ANNO ACCADEMICO 1998 - 1999
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POLITECNICO DI MILANO

Facoltà di Ingegneria

Corso di Laurea in Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio

ANALISI A MOLTI OBIETTIVI PER LA

PRODUZIONE DI ENERGIA DA BIOMASSE

Relatore:

Prof. G.Guariso

Tesina di Laurea di:

Daniela Benetti 616171

Alberto Colombo 607262

ANNO ACCADEMICO 1998 - 1999

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Indice

I

INDICE

INTRODUZIONE

Capitolo 1

Le FONTI RINNOVABILI di ENERGIA e l’AMBIENTE nello SCENARIOMONDIALE, EUROPEO e NAZIONALE

1.1 La SITUAZIONE ENERGETICA ATTUALE e FUTURA ...............1

1.1.1 Panorama energetico internazionale

1.1.2 Panorama energetico europeo

1.1.3 Il bilancio energetico italiano

1.1.4 Effetti ambientali di cicli energetici

1.1.4.1 Emissioni di gas serra

1.1.5 Scenari tendenziali

1.2 Verso una NUOVA POLITICA ENERGETICA ........................…14

1.2.1 Gli indirizzi di cooperazione internazionale delle Nazioni

Unite

1.2.1.1 Il protocollo di Kyoto

1.2.2 La politica energetica dell’Unione Europea

1.2.3 L’evoluzione della legislazione energetica in Italia

1.2.3.1 La legislazione e pianificazione energetica

1.2.3.2 Tutela ambientale e produzione di energia

1.3 Il SETTORE ENERGETICO delle FONTI RINNOVABILI …...….31

1.3.1 Tipi di fonti

1.3.2 Aspetti positivi e limiti

1.3.3 Il contributo delle fonti rinnovabili in Italia

Capitolo 2

La VALORIZZAZIONE ENERGETICA delle BIOMASSE VEGETALI2.1 RECENTI SVILUPPI e RIFERIMENTI NORMATIVI …………….38

2.2 TIPOLOGIE di BIOMASSE ………………………………………...43

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Indice

II

2.3 PRINCIPALI UTILIZZI e TRATTAMENTI ………………………...44

2.4 BENEFICI e IMPATTI delle BIOMASSE …………………………47

2.5 Le COLTIVAZIONI ENERGETICHE a BREVE ROTAZIONE ….51

2.5.1 Effetti ambientali e sociali

2.5.2 Quadro normativo

Capitolo 3

ASPETTI TECNICI delle COLTIVAZIONI ENERGETICHE3.1 DESCRIZIONE di una COLTIVAZIONE ENERGETICA ………59

3.1.1 Tipo di suolo

3.1.2 Specie e clone

3.1.3 Variabili decisionali

3.2 Il PROGRAMMA di RICERCA dell’ENEL ………………………...70

3.3 FILIERA di PRODUZIONE del PIOPPO ………………………….72

3.3.1 Preparazione del terreno e impianto

3.3.2 Le cure colturali

3.3.3 La raccolta e il trasporto

3.3.4 Essiccazione

3.4 RILIEVO dei TEMPI di LAVORO …………………………………85

3.5 CARATTERISTICHE del PRODOTTO FINITO …………………87

Capitolo 4

Il MODELLO della COLTURA4.1 PRODUTTIVITA’ della COLTURA ………………………………..88

4.2 MODELLO del SISTEMA …………………………………………..91

4.3 DETERMINAZIONE della CONDIZIONE INIZIALE ……………101

4.3.1 Produzione nell’anno dell’impianto dei due cloni

4.3.2 Effetto della ceduazione

4.4 DETERMINAZIONE dei COEFFICIENTI di CRESCITA ………118

4.5 MORTALITA’ delle CEPPAIE …………………………………….122

4.6 ANALISI STATISTICA dei DATI …………………………………123

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Indice

III

4.7 ANALISI ECONOMICA …………………………………………...125

Capitolo 5

Il PROBLEMA di OTTIMIZZAZIONE5.1 Gli OBIETTIVI ..………………………………………………….…138

5.2 ALGORITMO di OTTIMIZZAZIONE ……………………………..144

5.3 METODOLOGIA …………………………………………………..145

5.4 FRONTIERE di PARETO ………………………………………...152

5.5 SCELTA dei PUNTI sulla FRONTIERA …………………………157

5.6 EFFICIENZA ENERGETICA del SISTEMA …………………….159

Capitolo 6

TECNOLOGIE e MODELLIZZAZIONE della GASSIFICAZIONE6.1 Le POTENZIALITA’ ENERGETICHE delle BIOMASSE ……….162

6.1.1 La situazione attuale

6.1.2 Tecnologie

6.1.3 Proprietà delle biomasse come combustibili

6.2 MODELLISTICA della COMBUSTIONE e della

GASSIFICAZIONE ……………………………………………...…174

6.2.1 Struttura di un modello all’equilibrio

6.2.2 Modello all’equilibrio analizzato

6.3 SIMULAZIONI EFFETTUATE e VALUTAZIONE dei

RISULTATI….………………………………………………………183

6.4 ANALISI dell’IMPIANTO di RIFERIMENTO …………….………186

6.5 OCCUPAZIONE di AREE ed EFFICIENZA ENERGETICA ..…193

BIBLIOGRAFIA

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Introduzione

IV

INTRODUZIONE

La coltivazione intensiva di piante legnose ad alta densità di impianto e

breve turno di rotazione (short rotation forestry, SRF) è un nuovo metodo di

produzione di biomassa, che può fornire produzioni superiori a quelle

ottenibili con le tecniche di selvicoltura tradizionale.

Lo scopo di questo lavoro è di realizzare un modello di crescita di un

pioppeto per produzione di biomassa, e di ottimizzare la sua gestione

rispetto alle principali variabili di decisione coinvolte.

Rispetto a un impianto di produzione di energia elettrica di 12 Mwe,

realizzato con gassificazione in aria e ciclo combinato, è possibile

determinare l’estensione delle aree occupate dal pioppeto che deve

alimentarlo.

Ringraziamo il Dott. G.Schenone per averci permesso di consultare le

Relazioni Annuali redatte dall’ENEL-CRAM relative alle sperimentazioni di

coltivazioni a breve rotazione, il Dott. G.Facciotto per la disponibilità e gli utili

consigli e tutti coloro che ci hanno aiutato nella ricerca del materiale.

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Capitolo 1

1

1 Le FONTI RINNOVABILI di ENERGIA e

l’AMBIENTE nello scenario mondiale,

europeo e italiano

1.1 La SITUAZIONE ENERGETICA ATTUALE e FUTURA

L’energia è un fattore essenziale nello sviluppo economico, per le sue

conseguenze ambientali e sociali, per i riflessi sull’occupazione e sulla

concorrenzialità del sistema produttivo.

Nella logica della sostenibilità, per realizzare un nuovo approccio nella

gestione del settore energetico è necessario fornire ai decisori politici

elementi di valutazione e di indirizzo in campo energetico-ambientale che

tengano conto delle forze di mercato, miopi nel lungo periodo, e delle

condizioni attuali e future di sviluppo nei vari paesi.

1.1.1 Il PANORAMA ENERGETICO INTERNAZIONALE

Le riserve disponibili1 di combustibili fossili (petrolio, gas naturale e carbone)

sono gradualmente aumentate negli ultimi vent’anni, raggiungendo i valori

attuali di 600 Gtep2 per il carbone e di circa 140 Gtep per il petrolio e il gas.

La produzione e il consumo mondiale di combustibili sono anch’essi cresciuti

(ved. tab.1.1): tra il 1980 e il 1995 la produzione di carbone è aumentata del

20,6%, quella del petrolio del 5,7% e quella del gas naturale del 41,7%.

1Le riserve sono le quantità di combustibile che si è determinato essere presenti ingiacimenti noti e che sono estraibili a costi che le rendono economicamente interessanti.

21 Mtep = milioni di tonnellate equivalenti di petrolio. Una tonnellata equivalente di petrolio(tep) corrisponde a 107 Kcal o 41,86 GJ. 1Gtep è 1000 Mtep, cioè un miliardo di tonnellate.

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Capitolo 1

2

1980 1995Carbone 1809 2182

Petrolio 3155 3335

Gas naturale 1243 1761

TOTALE 6207 7278

Tab. 1.1 – Produzione mondiale di combustibili fossili in Mtep

Il rapporto tra riserve e produzione annuale, espresso in anni, indica la

durata delle riserve note a una certa data, senza ritrovamenti e rivalutazioni,

se la domanda rimanesse invariata. Anche se non si notano diminuzioni di

questo rapporto negli ultimi decenni (220 anni per il carbone, 60 per il

petrolio e 40 per il gas naturale), questo tipo di risorse non si rinnova in

tempi storici ed è quindi finito. E’ previsto un esaurimento fisico delle risorse,

comunque in tempi tali da permettere lo sviluppo di fonti di energia

alternative.

I combustibili fossili sono tuttora la fonte energetica dominante a livello

mondiale. Il petrolio contribuisce per il 38% al totale del fabbisogno

energetico (in lieve diminuzione). I combustibili solidi, essenzialmente il

carbone, forniscono il 25% del totale (mantenendosi costanti); mentre il gas

naturale, al 20% circa, è la fonte primaria il cui contributo è cresciuto più

rapidamente.

Tra le fonti energetiche non fossili, l’energia nucleare è rimasta al 6,8% del

1990, l’energia idroelettrica è al 2,3%; mentre il contributo della biomassa è

leggermente cresciuto, da circa 7,5% nel 1980 a 8,5% nel 1995.

La domanda mondiale di energia è aumentata del 26% dal 1980 al 1995 (da

7021 Mtep a 8852). Il consumo energetico pro-capite a livello globale è però

rimasto praticamente invariato (1,54 tep per persona), data la notevole

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Capitolo 1

3

crescita della popolazione nel periodo considerato; si notano invece

differenze da regione a regione.

Anche nel caso dell’intensità energetica, definita come il rapporto tra

l’energia consumata in un Paese e il suo prodotto interno lordo (dà una

misura dell’efficienza con cui l’energia viene utilizzata), per un confronto

significativo si deve tenere conto del grado di sviluppo e delle condizioni

contingenti di ogni paese. A livello mondiale, il PIL è cresciuto assai più del

consumo energetico, riducendo il valore dell’intensità energetica.

1.1.2 Il PANORAMA ENERGETICO EUROPEO

La produzione di energia primaria nei Paesi dell’Unione Europea è cresciuta

da 606,3 Mtep nel 1980 a 741,4 Mtep nel 1995. Questo aumento è dovuto

principalmente all’energia nucleare, al petrolio e, in minor misura, al gas

naturale; mentre è fortemente diminuita la produzione di carbone.

Nel 1995 le fonti rinnovabili hanno contribuito per 72 Mtep (Italia: 9,8 Mtep):

un terzo derivante dall’energia idroelettrica ed eolica; mentre il maggior

contributo è fornito dalla biomassa, i valori più elevati sono quelli della

Francia e della Svezia.

L’andamento della produzione e della domanda di energia è descritto in

tabella 1.2.

A livello europeo i consumi energetici totali sono passati da 1241 Mtep nel

1980 -85 a 1367 Mtep nel 1995, con un incremento del 10% circa.

Il consumo energetico pro capite è leggermente salito ad un valore di 3,68

tep/abitante anno nel 1995. In Italia il consumo per abitante dal 1980 al

1995 è cresciuto del 18,3%, rimanendo però assai inferiore alla media

europea.

Complessivamente i valori dell’intensità energetica nei vari Paesi europei

stanno lentamente diminuendo.

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Capitolo 1

4

Produzione Consumo interno lordo

Mtep % Mtep %

Combust. Solidi 137,4 18,5 225,5 16,5

Petrolio 159,2 21,5 572,8 41,9

Gas naturale 166,5 22,5 291,1 21,3

Nucleare 205,4 27,7 211,8 15,5

Idroelettrica e eolica 25,2 3,4 23,2 1,7

Geotermico 2,5 0,3 - -

Altre 45,1 6,1 42,4 3,1

TOTALE 741,4 100 1366,8 100

Tab.1.2 – Produzione di energia ed evoluzione della domanda totale per

fonti primarie in Mtep nel 1995

Il grado di autosufficienza dell’Europa è diminuito leggermente dal 58,5% nel

1985 al 53,5% nel 1995. I Paesi del Nord Europa presentano i valori più alti

di autosufficienza e di esportazioni, mentre l’Italia è tra le posizioni di coda

con il 18,4%.

Lo scenario energetico europeo deve essere analizzato tenendo conto

dell’aspetto economico dell’energia ma anche del ‘fattore umano’, cioè delle

priorità sociali quali l’occupazione, l’educazione, l’emigrazione e il terrorismo;

queste problematiche sono particolarmente emergenti nell’Europa dell’Est e

nel bacino del Mediterraneo. L’equilibrio dell’Europa dipende dalla capacità

di apertura verso i Paesi dell’Est e di risposta alle esigenze di sviluppo dei

Paesi a Sud del Mediterraneo.

In quest’ultime aree, il fabbisogno energetico è in notevole aumento a causa

di un accelerato sviluppo industriale e di un’esplosione demografica; la

soddisfazione di questa domanda richiederebbe investimenti energetici

elevati per il periodo 1996-2010.

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Capitolo 1

5

Per ridurre sensibilmente la spesa energetica stimata per questi Paesi è

fondamentale una politica di implementazione di misure di risparmio

energetico e di uso di tecnologie più razionali, combinate con uno sviluppo

delle energie rinnovabili (soprattutto biomassa, ma anche biotermica, eolica

e solare). Questi interventi realizzati attraverso delle iniziative di

cooperazione permetterebbero un utilizzo ordinato del potenziale delle fonti

rinnovabili con effetti positivi per l’ambiente e la creazione di nuove

opportunità di lavoro.

1.1.3 Il BILANCIO ENERGETICO ITALIANO

Il bilancio sintetico dell’energia in Mtep in Italia nel 1997 è rappresentato in

tabella 1.3.

La produzione nazionale è assai limitata, in un panorama di bassa

autosufficienza interessanti sono i contributi del gas naturale e dell’energia

elettrica.

La dipendenza energetica italiana, in termini di saldo netto tra le importazioni

e le esportazioni di energia, risulta pari a circa 140 Mtep, corrispondenti

all’80% del fabbisogno interno lordo. In particolare, l’Italia importa oltre il

90% dei combustibili solidi, il 94% di petrolio, il 68% di gas naturale, oltre a

circa 34,3 TWh3 di energia elettrica (equivalenti a 8,5 Mtep) corrispondenti a

quasi il 5% della richiesta lorda di energia e al 13% sulla rete elettrica. La

struttura delle provenienze è fortemente sbilanciata verso il Medio Oriente

per il 40% e il Nord Africa per il 44%, aree ad elevato rischio politico.

3 1Twh = 1 miliardo di KWh, equivalente a 0,2478 Mtep

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Capitolo 1

6

Combust.

Solidi

Petrolio Combust.

Gassosi

Energia

Elettrica

TOTALE

Produzione 1,5 5,9 15,8 11,2 34,4

Importazioni 11,5 109,8 31,9 8,7 161,9

Esportazioni 0,1 21,3 - 0,2 21,6

Consumo internolordo

12,9

7,4%

94,4

54%

47,7

27,3%

19,7

11,3%

174,7100%

Tab.1.3 – Bilancio dell’energia in Italia nel 1997

L’energia elettrica merita un’analisi più attenta per la sua influenza nel

settore energetico e per il fatto che la penetrazione elettrica (cioè la frazione

della domanda di energia coperta da elettricità) presenta una forte

correlazione con il grado di sviluppo di un paese.

L’andamento del contributo delle varie fonti alla produzione di elettricità a

livello mondiale, per i Paesi OCSE e dell’Unione Europea confrontata alla

situazione italiana nel 1997 è indicato in tabella 1.4.

Mondo OCSE Unione Europea Italia

% % % Mtep %

Combust.

Solidi

39 40 36 6,1 11

Petrolio 11 8 10 23,9 45

Gas 13 11 8 11,8 22

Rinnovabili 19 17 10 11,2 22

Nucleare 18 24 36 - -

TOTALE 100 100 100 53 100

Tab. 1.4 – Produzione di energia elettrica per fonte nel 1997 in percentuali

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Capitolo 1

7

L’Italia ha una posizione anomala rispetto agli altri Paesi industrializzati, per

l’elevata percentuale di utilizzo del petrolio nella produzione di elettricità, per

una percentuale molto bassa di combustibili solidi e per l’assenza del

nucleare. La quota consistente di rinnovabili è dovuta agli impianti

idroelettrici e geotermoelettrici: l’Italia infatti è uno dei maggiori produttori

idroelettrici a livello europeo e geotermoelettrici a livello mondiale. Anche la

produzione delle cosiddette ‘nuove’ fonti rinnovabili – eolica, fotovoltaica,

biomasse e rifiuti – sta acquistando crescente peso negli ultimi anni,

triplicando dal 1991 al 1996; contribuisce però solo dello 0,2% alla

produzione elettrica complessiva.

La domanda di energia elettrica in Italia è stata nel 1997 di 271,4 TWh con

un incremento del 3,2% rispetto al 1996. L’aumento della domanda elettrica

è stato soddisfatto con una maggiore produzione netta di energia elettrica

(239,3 TWh) e con l’aumento dell’import dall’estero (pari a 38,8 TWh, cioè

8,5 Mtep).

La produzione ENEL si è ridotta a fronte di un notevole incremento

dell’energia acquistata da produttori terzi nazionali, ricavata da fonti

rinnovabili o assimilate (incentivata da CIP 6/92 – ved. paragrafo 1.2.3).

Il fabbisogno complessivo di energia in Italia, espresso in fonti primarie, è

stato nel 1997 pari a 174,7 Mtep, con un incremento dell’1,1% rispetto

all’anno precedente. Il contributo delle varie fonti alla copertura dei

domanda totale del 1997 è riportato in termini di consumo interno lordo in

tabella 1.3.

Il mix delle fonti energetiche rispecchia la situazione europea (confronto con

tab.1.2.1): il ruolo dei combustibili solidi e del petrolio, per motivi ambientali e

di opinione pubblica a livello locale, si è leggermente ridimensionato

nell’ultimo decennio, anche a causa di una forte penetrazione del gas

naturale nella struttura energetica italiana.

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Capitolo 1

8

La forte dipendenza dal petrolio è dovuta soprattutto alla presenza dell’olio

combustibile nel settore termoelettrico.

L’intensità energetica in Italia è tra le più basse nel mondo. Questo valore

corrisponde però più ad una concentrazione della produzione industriale a

settori a bassa intensità energetica e ad alto valore aggiunto (come la

moda), piuttosto che ad un’efficienza elevata e ad un utilizzo delle migliori

tecnologie. Sarebbe più significativo confrontare i consumi per unità di

prodotto: quanti tep o kWh sono necessari per produrre una certa quantità di

prodotto.

1.1.4 EFFETTI AMBIENTALI dei CICLI ENERGETICI

Affinchè il sistema energetico mondiale evolva in modo sostenibile è

necessario che le scelte delle modalità con cui i vari Paesi soddisferanno i

loro bisogni energetici tengano conto delle conseguenze di tipo ambientale e

socio-economico.

Gli elementi critici del processo energetico coinvolgono i livelli locale,

regionale (centinaia o migliaia di chilometri), globale e riguardano:

• l’esauribilità delle fonti energetiche fossili

• le modifiche del clima globale e il riscaldamento terrestre per effetto serra

• l’inquinamento atmosferico generato dai cicli energetici

• la mancanza di equità nella distribuzione e nell’uso delle risorse

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Capitolo 1

9

La conferenza di Kyoto esprime questa consapevolezza collettiva della non

sostenibilità dell’attuale modello di sviluppo (ved. par. 1.2.1.1), in linea con i

principi di equità, di qualità globale della vita, di accesso durevole alle

risorse naturali e di evitare danni irreversibili all’ambiente, proposti da H.

Daly nel 1991 4 .

1.1.4.1 Emissioni di gas serra

La superficie terrestre perde meno calore a causa dei gas serra, in quanto

assorbono parte della radiazione infrarossa dispersa nello spazio re-

irraggiandola in tutte le direzioni, e per portarsi in equilibrio con la radiazione

ricevuta, si stabilizza ad una temperatura più alta. La temperatura media

superficiale globale relativa al 1990 è destinata a crescere di circa 2°C entro

il 2010, mentre si prevede un aumento del livello medio dei mari di circa 50

cm; in figura 1.1 si può notare la stretta correlazione tra deviazione della

temperatura e concentrazione di CO2 nell’atmosfera.

Vari gas prodotti dall’uomo contribuiscono all’effetto serra (anidride

carbonica, metano, ossidi d’azoto, ozono, vari composti clorurati e fluorurati),

ma il più importante (per oltre il 55%) è la CO2, generata in massima parte

dalla combustione dei combustibili fossili, come indicato in figura 1.2.

4 Le condizioni di Daly per uno sviluppo sostenibile con particolare riferimento al settoreenergetico:

- i consumi di risorse rinnovabili non devono superare i relativi tassi dirigenerazione

- i consumi di risorse non rinnovabili non devono superare la velocità di sviluppodei sostituti rinnovabili

- le emissioni di inquinanti non devono superare le capacità di assorbimento(carrying capacity) dell’ambiente

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Capitolo 1

10

Fig.1.1 - Variazione della temperatura globale e della quantità di CO2

nell’atmosfera

Fig.1.2 - Contributo dei principali gas serra al riscaldamento globale negli

anni ’80

Le emissioni globali di CO2 sono state di 5,9 Gt (miliardi di tonnellate –

espresse in quantità di carbonio contenuto) nel 1990, anno di riferimento per

il contenimento futuro di emissioni.

Anidride carbonica (CO2) 55%Clorofluorocarburi (CFCs) 17%Metano (CH4) 15%Altri composti alogenati (CFs) 7%Protossito di azoto (N2O) 6%

6% 7%

15% 55% 17%

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Capitolo 1

11

Una semplice relazione evidenzia le principali dipendenze tra energia e

cambiamenti climatici:

CO2 = EC * EP * PIL * P

dove

- CO2: la quantità di anidride carbonica liberata ogni anno per la

produzione di energia nel mondo (kg/anno)

- EC: emissioni per unità di consumo energetico, cioè l’intensità di

carbonio presente nel tipo di combustibile (kg di CO2/Joule)

- EP: efficienza energetica, rappresenta l’energia per unità di prodotto

(Joule/$)

- PIL: prodotto interno lordo pro capite ($/abitante/anno)

- P: popolazione mondiale

La minimizzazione degli effetti globali dei cicli energetici richiede la riduzione

simultanea dei quattro termini attraverso le seguenti azioni:

privilegiare i combustibili poveri di carbonio e le fonti rinnovabili;

tendenza di difficile attuazione a causa dell’imponente processo di

industrializzazione dei paesi non OCSE, grandi consumatori di

combustibili ad alto tenore di carbonio

incrementare il rendimento dei cicli energetici

aumentare l’efficienza energetica di tutti i cicli produttivi e migliorare il

risparmio energetico

controllare i tassi di crescita senza compromettere la disponibilità delle

risorse per lo sviluppo tecnologico

controllare il fattore demografico che tende a crescere esponenzialmente

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Capitolo 1

12

1.1.5 SCENARI TENDENZIALI

Per comprendere come si evolve il settore energetico a livello globale, è

interessante confrontare le possibili alternative di sviluppo economico,

tecnologico e di sistema, simulando e valutando gli effetti di diverse politiche

energetiche attuabili.

Tra le varie analisi di scenari energetici, lo studio IIASA-WEC (International

Institute for Applied Systems’ Analysis – World Energy Council) si riferisce

all’orizzonte temporale del 2020 e ipotizza diverse alternative di sviluppo,

variando i parametri demografico, economico e dell’intensità energetica:

- scenario A: ad alta crescita economica

- scenario B: intermedio, di riferimento

- scenario C: caratterizzato da forti restrizioni ambientali

SCENARI A B CCrescita economica (% per ab.) 3,8 3,3

Riduzione intensità energetica

(% per ab.)

sostenuta

1,6

elevata

1,9

molto elevata

2,4

Domanda di energia al 2020 (Gtep) 17,2 13,4 11,3

Emissioni di CO2 al 2020 (GtC) 11,5 8,4 6,3

Tab. 1.5 – Scenari energetici simulati a livello mondiale

Come evidenziato in tabella 1.5, in nessuna alternativa di sviluppo

considerata le emissioni di CO2 soddisfano gli impegni assunti nella

Convenzione sui cambiamenti climatici (ved. par.1.2.1.1), che prevedono

una stabilizzazione delle emissioni ai livelli del 1990 (5,9 Gt) e una loro

successiva diminuzione progressiva. Anche nello scenario C, più

ambientalmente compatibile, le emissioni superano i livelli di riferimento; tale

aumento è dovuto ai Paesi in via di sviluppo, in quanto le emissioni dei paesi

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Capitolo 1

13

industrializzati risultano ridotte del 30% circa, mentre negli scenari A e B le

emissioni risultano aumentare rispettivamente del 30 e 7%.

Queste condizioni ambientali sono diretta conseguenza del diverso ruolo

riservato alle varie fonti primarie per la soddisfazione della domanda

energetica in ogni scenario analizzato, come descritto in tabella 1.6.

I contributi del carbone e del petrolio vengono ridotti notevolmente passando

dallo scenario A (con un notevole consumo rispetto al 1990) allo scenario C,

mentre il gas naturale subisce una riduzione più contenuta.

In tutti e tre i casi è previsto un significativo apporto da parte delle fonti

rinnovabili rispetto al 1990, soprattutto per il settore delle nuove rinnovabili,

quali l’utilizzo elettrico delle biomasse, il solare termico, l’eolico e il

fotovoltaico.

1990 2020

A B C

Carbone 2,3 4,9 3 2,1

Petrolio 2,8 4,6 3,8 2,9

Gas naturale 1,7 3,6 3 2,5

Nucleare 0,4 1 0,8 0,7

Idroelettrico 0,5 1 0,9 0,7

Biomasse 0,9 1,3 1,3 1,1

Nuove rinnovabili 0,2 0,8 0,6 1,3

TOTALE 8,8 17,2 13,4 11,3

Tab. 1.6 – Contributo delle diverse fonti primarie per la copertura dei

fabbisogni energetici (espresso in Gtep) negli scenari tendenziali di sviluppo

relativi al 2020

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Capitolo 1

14

1.2 Verso una NUOVA POLITICA ENERGETICA

La maggiore consapevolezza degli effetti ambientali di lungo termine e, in

particolare, delle minacce alla stabilità del clima globale derivanti dall’uso

dell’energia ha portato i governi di molti Paesi industrializzati e anche in via

di sviluppo a riformulare le loro politiche energetiche in considerazione della

sostenibilità dei processi coinvolti.

Questi cambiamenti sono agevolati da un crescente condizionamento

internazionale, dalla partecipazione all’Unione Europea per i Paesi membri,

ma anche da un processo di decentramento in corso (non solo in Italia) che

ha coinvolto i governi regionali e locali.

1.2.1 Gli INDIRIZZI di COOPERAZIONE INTERNAZIONALE delle NAZIONI UNITE

La concezione attuale dei rapporti tra energia, ambiente e sviluppo a livello

globale si è evoluta e concretizzata in quest’ultimo decennio:

1992 Rio de Janeiro – United Nations Conference on Environment and

Development (UNCED): si redige l’Agenda 21, Piano d’Azione per la

realizzazione dello sviluppo sostenibile, che però non contiene un capitolo

dedicato all’energia; ai paesi del’UE è richiesto di interpretare

coerentemente, ma liberamente, i principi sottoscritti attraverso

l’articolazione delle politiche settoriali. Esempi di attuazione sono i

programmi di azione ambientale comunitari e il piano italiano per lo sviluppo

sostenibile. Sono firmate le Convenzioni sul cambiamento climatico, sulla

desertificazione e sulla biodiversità.

1994 Entra in vigore la Convenzione quadro sui cambiamenti climatici, che

implica un’attenta revisione del modello energetico per la questione dei gas

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Capitolo 1

15

serra e prevede periodiche conferenze delle parti (COP) per il

coordinamento delle azioni.

1995 Berlino – I Conferenza delle Parti: stabilisce la necessità di fissare

degli obiettivi precisi per gli anni futuri per la riduzione delle emissioni, in

prevalenza generate dai cicli energetici.

1996 Ginevra – II Conferenza delle Parti: accettazione dei risultati

previsionali in fatto di cambiamenti climatici e scioglimento parziale

dell’opposizione nordamericana in materia di emissioni.

1997 Kyoto – III Conferenza delle Parti: definitiva accettazione dei principi

del mandato di Berlino, impegno di conseguire tali obiettivi con i Paesi delle

economie in transizione.

1997 New York – United Nations General Assembly Special Session

(UNGASS): verifica delle politiche di implementazione dell’Agenda 21; si

notano inerzie e ritardi circa gli impegni di cooperazione allo sviluppo da

parte dei paesi industrializzati.

1998 Buenos Aires – IV Conferenza delle Parti: elaborazione del Piano di

Azione di Buenos Aires; decisioni sui meccanismi di flessibilità

internazionale per attuare il protocollo di Kyoto, sono fissati i temi e i tempi

del negoziato per la determinazione delle regole di un nuovo mercato

globale; proposte sui modi per verificare l’attuazione della convenzione e per

sanzionare le parti in caso di mancato adempimento. Nonostante tutte le

parti riconoscano che gli impegni stabiliti a Kyoto non sono sufficienti per

evitare i cambiamenti climatici, non sono state individuate nuove politiche e

misure di azione coordinata a livello globale.

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Capitolo 1

16

1.2.1.1 Il Protocollo di Kyoto

Il protocollo è un atto esecutivo della III Conferenza delle Parti (1997)

contenente le decisioni sull’attuazione operativa di alcuni impegni definiti

dalla Convenzione UNCED di Rio, nella direzione delle problematiche dei

cambiamenti climatici e dello sviluppo sostenibile. Il protocollo entrerà in

vigore quando sarà ratificato da 55 paesi che contribuivano nel 1990 ad

almeno il 55% delle emissioni di CO2 dei paesi industrializzati.

I paesi industrializzati e ad economia in transizione sono impegnati nella

riduzione complessiva del 5,2% delle emissioni antropogeniche di gas che

alterano l’effetto serra naturale del pianeta entro il 2010, oppure nel periodo

2008-12 (budget period: media di cinque anni successivi).

Per la riduzione delle emissioni dei gas serra quali l’anidride carbonica

(CO2), il metano (CH4), e il protossido di azoto (N2O) si considera, come

anno di riferimento, il 1990. Per gli altri gas, quali i perfluorocarburi (PFC),

gli idrofluorocarburi (HFC) e l’esafluoruro di zolfo (SF6), utilizzati in

sostituzione dei clorofluorocarburi e messi al bando dal protocollo di

Montreal per la difesa della fascia di ozono si fa riferimento alle emissioni del

1995.

Si procede ad una riduzione delle emissioni in modo differenziato per ogni

paese: 8% per l’UE, il7% per gli USA e il 6% per il Giappone. Non è prevista

alcuna riduzione, ma solo stabilizzazione per la Federazione Russa, la

Nuova Zelanda e l’Ucraina. Possono, invece aumentare le loro emissioni

fino all’1% la Norvegia, fino all’8% l’Australia e fino al 10% l’Islanda. Nessun

tipo di limitazione è prevista per i paesi in via di sviluppo, perché un tale

vincolo condizionerebbe il processo di sviluppo socio-economico.

L’attuale andamento delle emissioni provenienti dai paesi industrializzati e

ad economia in transizione avrebbe portato ad una tendenziale crescita

complessiva delle emissioni di circa il 20%; quindi in realtà la riduzione

effettiva delle potenziali emissioni future dovrà essere circa del 25%.

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Capitolo 1

17

Per determinare la riduzione delle ‘emissioni nette’ (in termini di bilancio) si

deve tenere conto non solo dei rilasci dei gas provenienti dalle attività

umane, ma anche degli assorbimenti effettuati dall’atmosfera ad opera di

piante, di alberi e, in generale, dell’accumulo di biomassa attraverso la

crescita della copertura vegetale.

Le opzioni di mitigazione delle emissioni mediante azioni di cambiamento

d’uso dei suoli, di riforestazione e di coltivazione di nuove foreste hanno un

potenziale molto più alto e costi di investimento molto più bassi di quelli

necessari per migliorare l’efficienza dei sistemi energetici e per sviluppare le

fonti rinnovabili.

Ai fini dell’attuazione degli impegni previsti dal protocollo, si richiede ai paesi

firmatari di elaborare politiche ed azioni operative del tipo:

- a carattere generale, per incrementare l’efficienza energetica e la

capacità di assorbimento dei gas serra rilasciati in atmosfera

(riforestazione e afforestazione)

- a carattere politico-economico, per eliminare i fattori di distorsione dei

mercati (incentivi fiscali, sussidi, tassazioni) che favoriscono le emissioni

e incoraggiare riforme politico-economiche

- a carattere settoriale, nel campo dell’agricoltura (uso dei terreni agricoli,

combustione dei residui) e dell’energia, per promuovere sia forme di

gestione sostenibile di produzione agricola sia la ricerca, lo sviluppo e

l’uso delle nuove fonti rinnovabili di energia

- a carattere particolare, con specifica attenzione alle emissioni di gas

serra e metano nel settore dei trasporti e dei rifiuti (discariche, impianti di

trattamento e incenerimento)

Per favorire la cooperazione internazionale, il protocollo introduce nuovi

strumenti attuativi di maggiore flessibilità: la ‘joint implementation’,

attuazione congiunta degli obblighi attraverso iniziative multilaterali

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Capitolo 1

18

finalizzate a specifici progetti, la ‘emission trading’, commercializzazione dei

diritti di emissione tra i paesi e il ‘clean development mechanism’,

collaborazione tra i paesi industrializzati e in via di sviluppo su programmi di

crescita socio-economica e industriale contenendo l’aumento delle emissioni

(triplo rispetto a quello dei paesi industrializzati nel periodo 1990-95).

1.2.2 La POLITICA ENERGETICA dell’UNIONE EUROPEA

Sebbene le problematiche energetiche siano state alla base della nascita

della Comunità Europea, non è ancora ben definita una politica energetica

comunitaria.

Oggi la politica energetica europea si aggiunge alle quindici politiche degli

stati membri, ed è in grado in alcuni casi di esprimere direttive cogenti per

tutti (creazione del Mercato Unico dell’Energia), in alcuni altri di negoziare

delle posizioni comuni (come per gli impegni assunti a Kyoto e per la

rispettiva ripartizione tra gli stati), ma in molti altri casi non riesce ad operare

un vero coordinamento (per le politiche nucleari o le tasse sulle emissioni di

carbonio).

Infatti la mancanza di una base giuridica nel settore energetico indebolisce

l’azione comunitaria.

Ad ogni modo, già da alcuni anni, il processo di integrazione comunitaria ha

creato le condizioni favorevoli ad una riforma delle modalità di intervento

pubblico dei singoli stati membri.

Nei settori dell’energia elettrica e del gas questa posizione di apertura ha

tardato a manifestarsi, in quanto tali settori sono percepiti come ambiti

cruciali di espressione della sovranità nazionale. In diversi paesi europei

sono infatti presenti imprese pubbliche nazionali, integrate verticalmente e

monopolistiche nei confini del proprio territorio nazionale.

Le direttive comunitarie sulla progressiva liberalizzazione dei settori in

questione costituiscono un primo fondamentale passo per la creazione di un

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Capitolo 1

19

mercato europeo anche nei servizi energetici a rete. Si introduce inoltre un

nuovo concetto di economicità che include anche i costi e benefici esterni

connessi alla fornitura dei servizi energetici: tra i costi occorre considerare gli

effetti ambientali dell’uso dell’energia, tra i benefici la ricaduta, in termini di

sicurezza, degli approvvigionamenti e dell’occupazione qualificata.

Gli aspetti ambientali delle politiche energetiche dell’UE sono contenuti nel

Quinto Programma di azione ambientale (5EAP) redatto nel 1992, in

relazione alle strategie energetiche a lungo termine, per assicurare un

impatto ambientale della produzione e del consumo di energia in termini

sostenibili.

La Carta Europea dell’Energia, approvata nel 1997, e il Libro Bianco del ‘97

ripropongono una crescita economica nel rispetto dell’ambiente mediante

una liberalizzazione degli investimenti e degli scambi nel settore energetico.

I principali impegni riguardano il miglioramento dell’efficienza energetica, lo

sviluppo e l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili, la promozione

dell’impiego di combustibili puliti e il ricorso a tecnologie per ridurre

l’inquinamento.

Negli ultimi anni le politiche energetiche nei Paesi Membri dell’Unione

Europea si sono focalizzate su due temi principali:

• risolvere i problemi ambientali connessi all’uso di fonti energetiche di

origine fossile ed in particolare alla riduzione delle emissioni dei gas

serra nei termini definiti dal Protocollo di Kyoto. In ambito europeo, la

Conferenza dei Ministri per l’ambiente di Lussemburgo ha fissato all’8%

per la UE e al 6,5% per l’Italia la quota di riduzione al 2008-12 delle

emissioni di gas serra rispetto al 1990;

• accrescere l’efficienza delle industrie energetiche e rendere più

competitivi i mercati dell’elettricità e del gas attraverso la definizione di

principi e regole comuni, senza danneggiare l’ambiente e sfruttare

eccessivamente le riserve.

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Capitolo 1

20

Si è infatti assistito ad una progressiva eliminazione delle politiche

protezionistiche e di sussidio alla produzione di carbone in praticamente tutti

i Paesi produttori, all’introduzione di una carbon tax ed all’applicazione di

sistemi di sussidi per lo sviluppo delle fonti rinnovabili in diversi stati europei.

1.2.3 L’EVOLUZIONE della LEGISLAZIONE in ITALIA

La legislazione energetica ed ambientale-energetica regola la produzione, la

distribuzione e l’utilizzazione dell’energia, con finalità rivolte alla

razionalizzazione, in termini di efficienza, di salvaguardia dell’ambiente e di

mercato, vincolando o incentivando determinati comportamenti dei

destinatari (istituzioni, operatori pubblici e privati, singoli cittadini).

Nell’ordinamento giuridico nazionale si individuano poche norme a carattere

generale sull’energia. Si evidenzia invece una normativa energetica per

settori determinata da esigenze contingenti macroeconomiche e politiche e

non realizzata sulla base di una pianificazione debitamente integrata, con

criteri legati allo sviluppo tecnologico e all’analisi delle diverse realtà

territoriali. Questo rivela la mancanza di una disciplina organica e di un

coordinamento unitario, provocando un eccesso di regolamentazione,

incoerente e frammentaria.

Ad ogni modo l’assetto legislativo relativo al settore energetico risente,

anche se non completamente, di una progressiva integrazione nel sistema

comunitario (mercato dell’energia elettrica e del gas).

Secondo il Trattato di Maastricht, la politica ambientale, strettamente

connessa al settore energetico, è diventata materia di competenza

comunitaria, cui le politiche e misure nazionali devono coordinarsi.

1.2.3.1 La legislazione e pianificazione energetica

I Piani Energetici Nazionali (PEN) elaborati a partire dal 1975 (e a seguire

1977, 1981, 1986 e 1988), rappresentano il tentativo di elaborazione di una

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Capitolo 1

21

politica energetica nazionale attraverso uno strumento programmatorio, ma

non di natura legislativa. Il PEN, infatti, ha valore giuridico differente nei

confronti della Pubblica Amministrazione (efficacia diretta), degli enti

energetici e di ricerca (efficacia mediata), delle Regioni e Autonomie locali

(quadro di riferimento).

Tra le caratteristiche fondamentali del PEN ’88 figura la simultanea

considerazione del risparmio e della diversificazione dell’energia e della

protezione dell’ambiente tra gli obiettivi da raggiungere. Si osservano gli

effetti negativi sull’ecosistema connessi con il ciclo dell’energia, individuando

nell’effetto serra un rischio reale di rottura dell’equilibrio naturale. Si

sottolineano inoltre gli impatti ambientali riferiti all’uso delle diverse fonti

rinnovabili: problemi di impatto paesaggistico e uso del territorio, alterazione

degli habitat e dei cicli idrogeologici, inquinamenti acustici, dell’aria e

dell’acqua.

La Legge n.308/82 contiene le ‘Norme sul contenimento dei consumi

energetici, lo sviluppo delle fonti rinnovabili di energia e l’esercizio delle

centrali elettriche alimentate a combustibili diversi dagli idrocarburi’. Si tratta

di un primo strumento di incentivazione del settore energetico destinato alla

pluralità degli utenti. Comprende alcuni tratti innovativi quali la deroga alla

riserva assoluta di impresa dell’ENEL per la produzione di energia elettrica,

la considerazione di pubblico interesse e utilità dell’utilizzo delle fonti

rinnovabili, l’omologazione degli impianti per l’uso delle fonti rinnovabili e

l’avvio del processo di decentramento e programmazione regionale.

La Legge attuativa n.9/1991 definisce un nuovo quadro operativo dell’attività

in campo energetico, attraverso l’individuazione di una serie di impegni

normativi che fissano termini procedurali e temporali di norme regolamentari

e di direttive di successiva emanazione.

La Deliberazione CIP n.6/92 è uno dei provvedimenti della L.9/91, disciplina

i prezzi incentivati dell’energia elettrica relativi a produzione e cessione di

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Capitolo 1

22

energia per conto dell’ENEL, variabili in base alle diverse tipologie di

impianto e ai rendimenti energetici previsti e definisce i criteri di efficienza

energetica in base ai quali una fonte può essere assimilata alle rinnovabili.

Questo incentivo ha consentito di raggiungere una potenza installata e

connessa alla rete pari a 2550 Mwe, favorendo la produzione, da parte di

privati, di energia elettrica da fonte rinnovabile. L’elevato valore complessivo

delle richieste di agevolazioni ha però determinato la sospensione del

provvedimento.

La liberalizzazione dei mercati è attualmente oggetto di regolazione da parte

dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas istituita dalla Legge n.481/95. La

politica dei prezzi e della privatizzazione del settore energetico è infatti

definita in accordo con gli orientamenti espressi dall’Unione Europea.

La Legge n.10/91 costituisce una formulazione organica di tutta la politica

degli incentivi in materia energetica, coprendo tutti i settori di utilizzazione e

trasformazione dell’energia, tutte le tipologie di impianto e le tecnologie più

avanzate, tutti i possibili operatori. Si è avviata una maggiore

concentrazione degli interventi nel settore del risparmio energetico e delle

fonti rinnovabili, affidando la gestione coordinata degli strumenti di intervento

alle direttive del Comitato Interministeriale per la Programmazione

Economica (CIPE).

Si consolida il ruolo delle Regioni che è previsto elaborino i Piani Energetici

Regionali in coordinamento con gli altri piani di competenza degli stessi enti

pubblici territoriali (regioni, province, comuni). Questi piani devono

contenere il bilancio energetico regionale, l’individuazione dei bacini

energetici territoriali, la localizzazione e realizzazione di impianti di

teleriscaldamento, l’individuazione e destinazione delle risorse finanziarie da

dedicare alla realizzazione di nuovi impianti per la produzione di energia. Si

impone inoltre alle istituzioni competenti di predisporre gli strumenti per la

semplificazione e la razionalizzazione delle procedure amministrative.

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Capitolo 1

23

La Legge n. 59/1997 (‘Bassanini 1’) procede al conferimento alle Regioni e

agli Enti locali di ulteriori funzioni e compiti amministrativi di competenza

statale anche in campo energetico/ambientale, per una migliore conoscenza

dei bisogni delle comunità locali e per un’azione amministrativa più efficiente

e sollecita.

In accordo con le Leggi n.121/97 e n.191/98 (‘Bassanini 2’), si delinea la

costituzione di un nuovo sistema regionale ispirato ai principi di sussidiarietà

ed adeguatezza nell’individuazione delle funzioni da attribuirsi ai diversi enti

locali. La regione assume funzioni programmatorie di indirizzo,

coordinamento e controllo, mentre gli enti sub-regionali svolgono

essenzialmente funzioni gestionali.

Il Decreto Legislativo n. 112/1998 disciplina il conferimento di funzioni agli

Enti locali che, nell’ambito delle azioni di coordinamento e degli indirizzi

previsti dai Piani Energetici Regionali, dovranno: adottare programmi di

intervento per la promozione delle fonti rinnovabili e del risparmio

energetico, autorizzare l’installazione e l’esercizio degli impianti per

produzione di energia, svolgere attività di verifica e controllo sull’uso

razionale di energia e sul rendimento degli impianti.

I PIANI ENERGETICI REGIONALI

L’importanza di detti piani regionali appare particolarmente incisiva e

urgente nel panorama legislativo nazionale e territoriale, se si tiene conto

delle nuove funzioni conferite alle regioni in materia di energia. I contenuti,

definiti dalla L.10/91, sono assai ampi e agevolano l’armonizzazione con gli

altri piani o progetti (a livello di provincia, comune e altro ente locale) per

l’individuazione e lo sviluppo attraverso sovvenzioni di tutte le fonti

rinnovabili, con riferimento particolare a quelle di cui la regione ha vasta

disponibilità. Dalle nuove disposizioni inoltre si evince che i piani regionali

energetici assumono posizione primaria (non più paritaria) rispetto agli altri

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Capitolo 1

24

piani regionali. L’energia proveniente dalle varie fonti rappresenta infatti

un’attività secondaria indispensabile per lo svolgimento di tutte le attività

economiche, sociali e culturali e per l’armonizzazione del sistema socio-

economico favorendone lo sviluppo.

ACCORDO di PROGRAMMA QUADRO per la ‘Riduzione delle emissioni

climalteranti tramite uno sviluppo energetico sostenibile in REGIONE

LOMBARDIA’ stipulato dal Ministero dell’Ambiente, dalla regione Lombardia

e da soggetti privati il 21-01-1999

Il presente Accordo è finalizzato alla realizzazione di interventi per la

riduzione di emissioni nocive al clima (nell’ambito del Piano Regionale di

Qualità dell’Aria - PRQA) in attuazione ai riferimenti normativi specificati

nell’art.1, tra cui:

- il Protocollo di Kyoto relativo alla riduzione dei gas serra

- il Libro bianco della Commissione UE del 1997 propone l’obiettivo di

raddoppiare la quota di energia da fonti rinnovabili dal 6% al 12% entro il

2010, con un contributo delle biomasse del 75% sul totale

- Agenda 2000 per le politiche agricole sostenibili ed il mantenimento

dell’occupazione in agricoltura

- Leggi 9 e 10/91 relative alla liberalizzazione del mercato dell’energia

elettrica ed al finanziamento di fonti di energia assimilate

(cogenerazione)

- Legge 128/98 prevede l’incentivo ed il sostegno all’uso di energie

rinnovabili per la riduzione delle emissioni di CO2

- Reg. CEE 2080/92 relativo all’imboschimento di terreni agrari ed il

miglioramento delle superfici boscate esistenti

Si riconosce la forte dipendenza dell’Italia dalle fonti fossili e dal petrolio e si

evidenziano i vantaggi economici, sociali e ambientali derivanti dall’uso delle

risorse rinnovabili, in particolare delle biomasse. Queste disponibilità

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Capitolo 1

25

energetiche diffuse sul territorio inoltre consentono l’articolazione di politiche

infrastrutturali decentrate e condivise dalle popolazioni residenti

(autogoverno energetico connesso alla gestione del patrimonio territoriale

fruibile). Nell’art.7 si definiscono le categorie di combustibile comprese nel

termine biomassa:

Materiale proveniente da attività di gestione dei boschi

Sottoprodotti legnosi da segherie

Materiale proveniente da impianti legnosi a rapida crescita e turno breve

realizzati su terreni agricoli

Residui agricoli e agroindustriali

Le iniziative promosse, descritte nell’art.4, riguardano in particolare

l’incentivo dell’uso di combustibili rinnovabili nelle zone di produzione e la

realizzazione di impianti energetici alimentati a biomasse legnose derivanti

dalla gestione dei boschi e da colture agrarie no-food ubicate in Lombardia. I

criteri generali e tecnici di realizzazione di questo tipo di impianti, definiti

nell’allegato 1, sottolineano l’importanza di un coordinamento tra soggetti

pubblici e privati, dell’analisi preventiva delle disponibilità di biomassa da

superfici agrarie piantumate con cedui a ciclo breve su terreni limitrofi e della

riduzione degli impatti viari e distributivi dei combustibili legnosi e degli

output energetici. Si prospetta in termini di sviluppo, un inserimento

dell’iniziativa nell’ambito della filiera agro-forestale con particolare attenzione

ai bisogni occupazionali e una valutazione complessiva dei costi sociali

evitati e dei benefici ambientali indiretti.

Per la realizzazione degli obiettivi indicati dall’accordo è favorita la

sperimentazione di modelli territoriali di gestione forestale razionale,

compatibili con la tutela paesaggistica, lo sviluppo turistico e la

multifunzionalità dei boschi, come specificato nell’art.6.

Il costo per gli impianti energetici alimentati a biomassa previsto per il 1999

è di 150 Mld di Lire e per il 2000 di 100 Mld £.

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Capitolo 1

26

Il PIANO ENERGETICO dell’AREA METROPOLITANA di MILANO (PEAM)

Il Piano redatto dalla Provincia di Milano si presenta come uno strumento di

pianificazione all’interno di una precisa politica della sostenibilità, per la

diminuzione dell’inquinamento derivato da fonti fisse e mobili attraverso la

riduzione dei consumi di energia e la diversificazione delle fonti.

I consumi energetici complessivi della Provincia sono stati di circa 11,4

milioni di tep al 1994 con un incremento del 18,5% rispetto al 1985 (pari

all’andamento medio nazionale).

La domanda energetica è soddisfatta dal petrolio e derivati per il 41%, dal

gas naturale per il 26% e dalla produzione di energia elettrica per il 33%,

mentre il contributo delle fonti rinnovabili è praticamente trascurabile.

Il Piano d’Azione proposto prevede degli interventi nel settore delle energie

rinnovabili in modo da poter sfruttare le potenzialità presenti sul territorio.

Sono considerate fonti rinnovabili di energia o assimilate, utilizzabili nell’area

della Provincia, ai sensi della L.10/91: l’energia solare (a Milano si misurano

mediamente 1344 kWh/m2/anno), le risorse idrauliche della pianura irrigua e

del sistema dei Navigli, le fonti geotermiche tecnicamente ed

economicamente raggiungibili, la trasformazione dei rifiuti organici e

inorganici o di prodotti vegetali.

I settori dove si concentrano le maggiori possibilità di sfruttamento sono:

- la cogenerazione e il teleriscaldamento

- il risparmio energetico nel settore civile e dei trasporti, attraverso una

campagna di certificazione e controllo degli impianti termici

- il recupero energetico da rifiuti solidi urbani (RSU) e da biomasse: in

particolare il potenziale derivante dalle biomasse agricole mostra la più

alta concentrazione a sud della provincia, dove si ha la maggior

superficie agricola utilizzata.

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Capitolo 1

27

Fig. 1.3 – Potenzialità da biomasse agricole nella Provincia di Milano

1.2.3.2 Tutela ambientale e produzione di energia

La politica ambientale ed energetica nazionale tendono a incrociarsi e a

divenire complementari per la necessità di minimizzare l’impatto negativo

sull’ambiente derivante dalle attività connesse al ciclo energetico. Come

stabilito anche dalla politica energetica comunitaria, si tende a subordinare

ogni azione in campo energetico all’esigenza di protezione e salvaguardia

dell’ambiente.

La prevalenza dell’interesse ambientale si rinviene anche nel DPR n.53/98

che disciplina i procedimenti relativi alla costruzione e all’esercizio degli

impianti per la produzione di energia elettrica che utilizzano fonti

convenzionali. L’autorizzazione ministeriale richiesta è prevista dal DPR

203/88 per le emissioni in atmosfera, la cui procedura si applica anche agli

impianti che utilizzano fonti rinnovabili o assimilate.

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Capitolo 1

28

L’evoluzione del quadro di riferimento legislativo è determinata dal

recepimento delle numerose direttive comunitarie nell’ordinamento

nazionale. Anche il raggiungimento degli impegni per un’energia sostenibile

assunti dall’Italia in sede sovranazionale (protocollo di Kyoto) influenza il

contesto legislativo del settore, in quanto richiede una serie coordinata di

interventi normativi a livello centrale e regionale, con il concorso di adeguati

strumenti economici di supporto alla riconversione eco-compatibile del

sistema produttivo.

La delibera del Cipe del 19-11-1998, è stata realizzata dal Gruppo di lavoro

interministeriale per l’attuazione del protocollo di Kyoto, sulla base degli

indirizzi della delibera del Cipe del 3-12-97.

Le linee guida per le politiche e misure nazionali di riduzione delle emissioni

di gas serra definiscono il quadro di riferimento per l’elaborazione dei

programmi necessari ad assicurare la coerenza dell’Italia con gli impegni

sottoscritti alla Conferenza di Kyoto (6,5% di riduzione delle emissioni

rispetto al 1990 – ved. par.1.2.2).

In Italia la tendenza alla crescita delle emissioni dei gas serra al 2010 è del

12% circa rispetto al 1990, e del 16-17% limitatamente alla CO2 emessa dal

sistema energetico per combustione, come indicato in tabella 1.7.

Gas serra 1990 2010 tend. 2010 Kyoto

CO2 442,2 512 445

CH4 52,0 48 36

N2O 53,9 51 40

SF6+HFC+PCF 7,0 11 10

Totale 555,1 622 519

Tab.1.7 – Emissioni di gas serra in Italia nel 1990 e possibili evoluzioni al

2010 (in milioni di tonnellate equivalenti di CO2)

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Capitolo 1

29

Tra le azioni nazionali stabilite per la riduzione delle emissioni dei gas serra,

riportate in tabella 1.8, si individuano in particolare l’aumento di efficienza

del sistema elettrico, l’assorbimento delle emissioni di carbonio dalle foreste

e la produzione di energia da fonti rinnovabili.

Azioni nazionali Milioni di tonnellate di CO2

1. Aumento di efficienza del sistema elettrico -20/232. Riduzione dei consumi energetici nel settore

dei trasporti-18/21

3. Produzione di energia da fonti rinnovabili -18/204. Riduzione dei consumi energetici nei settori

industriale / abitativo / terziario-24/29

5. Riduzione delle emissioni nei settori non

energetici-15/19

6. Assorbimento delle emissioni di carbonio dalle

foreste≅ (-0,7)

TOTALE -95/112

Tab. 1.8 – Obiettivi di riduzione delle emissioni dei gas serra da raggiungere

entro il 2008-2012

Il Libro Bianco della Commissione Europea del 1997 ritiene che lo sviluppo

delle fonti rinnovabili sia uno dei settori più promettenti in termini di

innovazione e creazione di nuova occupazione. Significative occasioni di

crescita in Italia sono legate alla possibilità, ancora in gran parte inesplorata,

di utilizzare la fonte geotermica, fotovoltaica e le biomasse (ved. fig.1.4).

All’impiego energetico delle biomasse sono connesse tre azioni positive: la

produzione di energia, l’aumento della superficie forestata e boschiva utile

per l’assorbimento del carbonio e il rafforzamento dei presidi naturali per la

difesa del suolo contro il dissesto idrogeologico.

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Capitolo 1

30

Fig.1.4 – Produzione addizionale di energia elettrica da fonti rinnovabili entro

il 2010 in accordo con il Libro Bianco dell’EU e gli obiettivi del Governo

Italiano

Nel Piano Nazionale per la valorizzazione energetica delle fonti rinnovabili

sono definiti incentivi e finanziamenti per la produzione di energia elettrica

da fonti rinnovabili; infatti spesso i progetti energetici-ambientali non sono di

per sè redditizi pur garantendo vantaggi in termini di minori emissioni di CO2.

La Conferenza Nazionale Energia e Ambiente del 1998 propone un nuovo

approccio alla politica energetica partendo dalla considerazione della

molteplicità degli attori in questo settore. In tale sede è stato sottoscritto il

Patto per l’Energia e l’Ambiente dal governo, dalle istituzioni regionali e

locali, dalle forze economiche e sociali e dagli utenti. Questo documento

individua gli indirizzi e gli obiettivi generali di un costruttivo e innovativo

rapporto tra le parti da realizzarsi attraverso un sistema di accordi volontari,

settoriali o specifici.

Si riconosce l’importanza per tutti i cittadini della disponibilità di energia per

uno sviluppo orientato ai criteri della sostenibilità e nel massimo rispetto dei

05

101520253035404550

Eolica Biomasse Idroelttrica Geotermica Fotovoltaica

%

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Capitolo 1

31

valori ambientali, impegnando ciascuno nel proprio ruolo al raggiungimento

di traguardi ben individuati e verificati.

1.3 Il SETTORE ENERGETICO delle FONTI RINNOVABILI

Si definiscono fonti rinnovabili di energia quelle fonti che - a differenza dei

combustibili fossili e nucleari, destinati ad esaurirsi in un tempo finito -

possono essere considerate virtualmente inesauribili, in quanto hanno tempi

caratteristici di riproduzione paragonabili con quelli del loro consumo.

Esse comprendono l’energia solare, l’energia idraulica, del vento delle

biomasse delle onde e delle correnti. Sono inoltre considerate come tali

l’energia geotermica, presente in alcuni sistemi profondi della crosta

terrestre e i rifiuti, per la loro composizione e perché la loro produzione

inevitabile accompagna le attività dell’uomo.

Opportune tecnologie consentono di convertire la fonte rinnovabile in

energia secondaria utile, che può essere termica, elettrica, meccanica e

chimica.

1.3.1 TIPI di FONTI

Le future inevitabili restrizioni ambientali richiederanno un massiccio

sfruttamento dell’energia solare, in quanto praticamente esente da emissioni

di carbonio. Sarà necessario ricorrere a tutte le tecnologie di impiego, sia

convenzionali, come gli usi termici delle biomasse, l’idroelettrico e il

geotermoelettrico, sia nuove, come gli usi elettrici delle biomasse, il solare

termico e termodinamico, l’eolico e il fotovoltaico.

Poiché l’uso tradizionale delle vecchie fonti rinnovabili si trova vicino alla

saturazione, sia per motivi di disponibilità delle risorse (legna da ardere), sia

per questioni di impatto ambientale (idroelettrico), si può prevedere nel lungo

termine una crescente importanza delle nuove fonti rinnovabili.

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Capitolo 1

32

Inoltre, dal momento che la domanda di energia elettrica è in continua

crescita in tutto il mondo, ci si può attendere in futuro una grande prevalenza

di applicazioni elettriche nella quota di mercato attribuibile alle fonti

rinnovabili. In linea con questa tendenza, dato il più maturo stato della

tecnologia, un significativo contributo per il medio termine dovrebbe

probabilmente venire dai nuovi usi delle biomasse, come specifiche

coltivazioni energetiche, e dal residuo sfruttamento delle risorse

idroelettriche.

1.3.2 ASPETTI POSITIVI e LIMITI

L’impatto sull’ambiente varia significativamente a seconda della fonte e della

tecnologia, ma in ogni caso è nettamente inferiore a quello delle fonti fossili,

in particolare per le emissioni di gas serra.

Attraverso un approccio di analisi del ciclo di vita di ogni tipo di fonte

rinnovabile per la produzione di energia elettrica, si può quantificare la

riduzione netta delle emissioni di CO2 e CH4 bilanciando le emissioni evitate

con la sostituzione ai combustibili fossili e tutte quelle relative alla

produzione e utilizzo delle rinnovabili.

Il metano è un potente gas serra, con un potenziale di riscaldamento globale

(GWP) 21 volte maggiore di quello del CO2 (su un orizzonte temporale di

100 anni).

Per quanto riguarda la discarica e l’inceneritore si considerano le emissioni

generate ed evitate dal recupero di energia dai rifiuti, non si include quindi il

trasporto all’impianto e le perdite di CH4 dalla discarica (che avverrebbero

ugualmente). L’idroelettrica, il fotovoltaico e l’eolico non generano

praticamente emissioni di CO2 durante il loro utilizzo, sono considerate solo

quelle relative alla fase di costruzione dell’impianto. Nel caso delle

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Capitolo 1

33

coltivazioni energetiche l’anidride carbonica rilasciata è nuovamente

assorbita dall’atmosfera.

Fonti rinnovabili Riduzioni

CO2

Riduzioni

CH4

Riduzioni CH4

(in equiv. di CO2)

Riduzioni nette

emissioni

Discarica 365 117 2335 2830

Inceneritore RSU 348 60 1601 2083.5

Eolico 7.8 0 0 852.2

Idroelettr. (piccola scala) 8.6 0 0 851.4

Coltivazioni energetiche 50 0 0 810

Fotovoltaico 135 0 0 725

Tab.1.9 – Riduzione netta delle emissioni di CO2 e CH4 (in g/KWh) per le

fonti rinnovabili nella produzione di energia elettrica

Le fonti rinnovabili rappresentano una risorsa a basso impatto ambientale e

offrono opportunità di sviluppo economico e sociale, attraverso la creazione

di nuovi posti di lavoro e favorendo un più consapevole coinvolgimento del

territorio, oltre alla prevenzione dei fenomeni del dissesto, grazie alla loro

natura diffusa. La forza lavoro richiesta dal sistema energetico basato sulle

fonti rinnovabili risulta infatti, alla luce delle valutazioni preliminari, maggiore

di quella necessaria impiegando combustibili fossili; non ci sono però ancora

delle stime attendibili e generalizzabili sull’entità di tale contributo.

A fronte di queste caratteristiche positive, si devono considerare anche gli

aspetti negativi e i limiti tecnici-economici.

Questo tipo di fonti, soprattutto l’eolico e il solare, sono disponibili in modo

intermittente riducendo il cosiddetto ‘credito di potenza’: possono infatti

ridurre i consumi di combustibile nelle centrali convenzionali, ma non

sostituire completamente una pari potenza convenzionale senza addizionali

sistemi di accumulo. Ad esempio, la connessione diretta di generatori di

potenza elettrica intermittente e casuale a una rete elettrica convenzionale

può portare a rilevanti peggioramenti della stabilità del sistema.

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Capitolo 1

34

Questo fatto si traduce nell’esistenza di un limite tecnico per la quantità di

potenza rinnovabile che può essere allacciata in rete.

Un altro serio limite per la diffusione di tali fonti è costituito dalla bassa

densità per unità di superficie impegnata, questo comporta la necessità di

impegnare rilevanti estensioni di territorio per la produzione di quantità

significative di energia. La disponibilità di adeguate superfici di terreno entra

in conflitto con gli usi agricoli del territorio. Questa limitazione è meno

rilevante per l’eolico e sostanzialmente trascurabile per il fotovoltaico rispetto

al solare; in quanto l’efficienza energetica è molto più alta e per la possibilità

di utilizzare delle zone agricole abbandonate o desertiche.

1.3.3 Il CONTRIBUTO delle FONTI RINNOVABILI in ITALIA

Nel 1996 le fonti rinnovabili hanno contribuito per circa il 17% al

soddisfacimento del fabbisogno energetico mondiale; nell’Unione Europea il

valore scende a circa 6% (ved.tab.1.4). Gran parte di questi contributi è

fornito dalle rinnovabili convenzionali: grande idroelettrico, uso tradizionale

delle biomasse e, in misura minore, geotermia; come illustrato in tabella

1.10.

1995 2010

TWh Mtep % % addizionale

rispetto al 1995

Idroelettrico 288 24,9 36,1 15

Biomassa 477 41,1 59,5 73

Eolico 2 0,2 0,3 3

Solare 3 0,3 0,4 3

Altri 29 2,5 3,7 6

TOTALE 799 69 100 100

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Capitolo 1

35

Tab. 1.10 – Diffusione delle energie rinnovabili in Europa nel 1995 e target al

2010

In Italia, nel 1996, le fonti rinnovabili hanno coperto circa il 7,4% del

fabbisogno nazionale, con una quota di 12,73 Mtep. Il contributo deriva

principalmente dall’idroelettrico, per una piccola quota, dalla geotermia e

dall’uso domestico delle biomasse per la produzione di calore (ved.tab.1.10).

E’ ancora trascurabile il ricorso alle fonti rinnovabili non convenzionali:

fotovoltaico, solare, eolico, uso elettrico delle biomasse, biogas e rifiuti.

Il Libro Verde sulle fonti rinnovabili, curato dall’Enea in accordo con i

Ministeri dell’Industria, dell’Ambiente e dell’Università e della ricerca

scientifica e tecnologica, rappresenta la base di discussione per

l’elaborazione del Libro Bianco Nazionale. In questo documento – in

analogia e attuazione del Libro Bianco comunitario e in linea con le

scadenze previste dal protocollo di Kyoto – vengono individuati obiettivi e

strumenti per un significativo incremento dello sfruttamento delle rinnovabili

in Italia.

Le proposte indicate riguardano i seguenti aspetti:

1. Raddoppiare il contributo delle rinnovabili al 2010, portandolo a 24 Mtep

Considerando che il grande idroelettrico è ormai in saturazione a causa

dell’esaurimento dei siti per impianti di media e grande potenza, si ritiene

possibile, entro il 2010, incrementare la potenza elettrica alimentata a

rinnovabili di 8-9000 MW, mediante l’accordo di sfruttamento di piccolo

idroelettrico, geotermia a bassa entalpia, eolico, cogenerazione da

biomasse, biogas e rifiuti (ved. tab.1.11). Ancora modesto appare il

contributo fotovoltaico, che richiederà tempi più lunghi per conseguire la

maturità tecnico-economica.

L’incremento della produzione energetica da fonti rinnovabili contribuirà

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Capitolo 1

36

per circa un quinto al rispetto degli impegni nazionali di riduzione delle

emissioni di gas serra previsti dal protocollo di Kyoto.

2. Costruire un sistema nazionale di settore articolato e organico

Si dovranno attuare iniziative in grado di rendere le fonti rinnovabili una

rilevante opzione energetica e di cogliere le opportunità offerte dalle

rinnovabili in termini di sicurezza e diversificazione degli

approvvigionamenti, dei benefici ambientali, delle ricadute occupazionali,

dei rapporti con i paesi in via di sviluppo. Si propone inoltre di istituire

una sede di coordinamento e di potenziare il ruolo delle Regioni e degli

enti locali.

3. Promuovere le attività di ricerca e sviluppo

L’esigenza di contenere l’impatto ambientale della produzione energetica

si accentuerà con il tempo, sospingendo verso una riduzione delle

emissioni di gas serra ben superiore a quella stabilita dagli impegni di

Kyoto. Si tratta , dunque, di incrementare l’efficienza di conversione e di

ridurre i costi delle fonti a più elevato potenziale, quali le biomasse e il

solare fotovoltaico, attraverso un potenziamento e una razionalizzazione

della ricerca tecnologica.

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Capitolo 1

37

TECNOLOGIE 1996 1996 2010 2010 1996-2010

MWe Mtep MWe Mtep Increm.

Idroelet.>10MW

Idroelet.≤10MW

Geotermia elettr.

Eolico

Fotovoltaico

Biomasse elet.

Rifiuti elettr.

Totale elettrico

Geotermia term.

Solare termico

Biomasse termico

Rifiuti termico

Totale termicoBiocombustibili

13909

2159

512

69,7

15,8

171,9

80,3

16917,7

7,300

1,950

0,830

0,007

0,003

0,008

0,053

10,223

0,213

0,007

2,150

0,096

2,4660,045

14500

3300

1000

3000

300

2500

1000

25600

7,60

2,98

1,62

1,32

0,06

3,30

0,99

17,87

0,40

0,20

3,50

0,00

4,12,00

450 MW

1150 MW

500 MW

2900 MW

270 MW

2300 MW

930 MW

8500 MW(7,7 Mtep)0,2 Mtep

0,2 Mtep

1,4 Mtep

-

1,8 Mtep2,00 Mtep

Totale rinnovabili 16917,7 12,73 25600 23,97 11,5 Mtep

Fabbisogno naz. 172,80

% rinnovabili 7,37

Tab. 1.11 – Quadro di sintesi della diffusione delle tecnologie rinnovabili

in Italia nel 1996 e degli obiettivi al 2010

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Capitolo 2

38

2 La VALORIZZAZIONE ENERGETICA delle

BIOMASSE

Con il termine generico ‘biomassa’ si intende una vasta tipologia di prodotti

comprendente le coltivazioni energetiche agricole e forestali, i residui agricoli

e forestali, gli scarti agroindustriali e industriali.

La composizione chimica varia a seconda del tipo considerato, ma consiste

fondamentalmente del 25% di lignina e del 75% di carboidrati, quali la

cellulosa e l’emicellulosa.

La biomassa è considerata materiale organico rinnovabile con elevato

potenziale energetico in quanto prodotto attraverso il processo di fotosintesi,

meccanismo di conversione dell’energia solare in energia chimica

immagazzinata. Il processo consiste nella trasformazione di CO2 e H2O in

zuccheri e ossigeno utilizzando l’energia fornita dalla radiazione solare:

CO2 + H2O + energia → [CH2O] + O2

Tra le fonti rinnovabili, le biomasse vantano potenzialità di forte interesse,

grazie ad una combinazione di vantaggi ambientali, economici e sociali

rispetto ad altre forme di produzione di energia, come descritto di seguito.

2.1 RECENTI SVILUPPI e RIFERIMENTI NORMATIVI

L’Unione Europea ha assegnato alle biomasse un ruolo trainante

prevedendo che, entro il 2010, le risorse da biomassa concretamente

sfruttabili a fini energetici potranno fornire un contributo pari al 10% del

totale dei consumi energetici dei Paesi comunitari (con una quota del 73%

del totale dell’energia prodotta da fonti rinnovabili), in accordo con quanto

stabilito nel Libro Bianco della Commissione Europea (ved. par.1.2.3.1 - 2).

La DG XII (Direzione Generale) della CE ha pubblicato inoltre un rapporto,

finanziato nell’ambito del programma di Ricerca e Sviluppo Tecnologico in

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Capitolo 2

39

campo agricolo e agroindustriale (AIR), relativo al potenziale della biomassa

come combustibile per la produzione di energia. Uno degli obiettivi del

rapporto è quello di esaminare i costi dei combustibili fossili in termini di

danno ambientale e i vantaggi della biomassa in relazione all’ambiente, allo

sviluppo sociale e rurale.

Tra le politiche e misure europee nel settore dell’agricoltura e delle foreste,

alcune possono favorire lo sviluppo della filiera delle biomasse e la riduzione

delle emissioni di gas serra:

- Riforma della Politica Comune (promozione di agricoltura benigna,

schemi di aiuto agli investimenti agricoli, produzione di biomasse non

alimentari nei terreni set-aside)

- Ricerca e sviluppo in agricoltura e foreste

- Sviluppo rurale

- Foreste (afforestazione di terreni agricoli, prevenzione degli incendi,

protezione delle foreste dagli inquinanti atmosferici)

Tra i documenti di attuazione a questi indirizzi di azione, che influenzano

anche il settore dell’energia, sono stati redatti il Regolamento 2080/92 e

l’Agenda 2000. Queste direttive contengono dei riferimenti ai tipi di sostegni

alla silvicoltura nelle zone rurali, con particolare attenzione alle coltivazioni

arboree a rapida crescita; le norme e i criteri di finanziamento sono descritti

nel capitolo 3.

Allo stato attuale l’utilizzo delle biomasse in Italia è assai limitato e risulta

pari a circa il 2% del fabbisogno totale di energia (173 Mtep), ma è prevista

una crescita nei prossimi anni fino al 4-5% (ved.par.1.3.3).

In Italia l’interesse nello sviluppo del settore delle biomasse come fonte di

energia e per prodotti chimici e industriali è aumentato in questi ultimi anni.

Questa maggiore attenzione allo sviluppo di una politica ‘bioenergetica’

sostenibile è motivata, oltre che dagli impegni comunitari, anche da una

serie di condizioni socio-economiche: una forte dipendenza energetica

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Capitolo 2

40

dall’estero, un rilevante deficit per i prodotti agricoli e forestali, presenza di

diversi scarti agroindustriali, un surplus di terre agricole, terreni marginali con

rischi idrogeologici e di desertificazione, alta disoccupazione e abbandono

delle zone agricole. I principali obiettivi perseguiti riguardano quindi il

risparmio energetico, lo sviluppo di risorse energetiche nazionali e la

diversificazione delle fonti.

In questo scenario il contributo delle biomasse risulta determinante, in

quanto questo tipo di risorsa è attualmente sfruttata solo per il 25% del reale

quantitativo disponibile, soprattutto nel settore dei residui agricoli e forestali.

I fattori critici per l’utilizzo e lo sviluppo delle biomasse per la produzione di

energia elettrica riguardano l’incertezza delle stime sugli approvvigionamenti

di materia prima, un panorama legislativo poco organico, le complicate

procedure burocratiche, l’opposizione della popolazione, la mancanza di

investitori in questo nuovo settore e quindi l’assenza di tecnologie innovative

ed efficienti.

Il successo e la convenienza economica di questa fonte si può ottenere,

grazie ad un coordinamento delle iniziative normative e di pianificazione,

attraverso l’organizzazione di un sistema integrato di infrastrutture e di

servizi dalla produzione/raccolta della risorsa alla distribuzione dell’energia

agli utenti e attraverso il potenziamento di accordi tra le parti e i settori

coinvolti.

Il sistema di incentivazione per le energie rinnovabili è ancora in fase di

elaborazione; il Cip 6/92 è stato abrogato per inadeguate disponibilità

finanziarie e in quanto si riteneva introducesse distorsioni nel libero mercato

dell’energia (ved.par.1.2.3.1).

In linea con la nuova strategia energetica comunitaria e nazionale, nella

delibera del Cipe del 1997 (ved.par.1.2.3.2) sono indicati gli indirizzi di

azione normativa settoriale energetica in coordinamento con gli altri settori

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Capitolo 2

41

interessati. Si prevede la realizzazione di programmi nazionali per la

valorizzazione delle biomasse agricole e forestali, l’elaborazione di norme

per l’uso delle biomasse e dei biocarburanti, per il miglioramento degli

standard di efficienza energetica (ved. tab.2.1 – 2.2).

Tutti i settori CO2 (Mt/a) Investim. (Mld) Sussidi (Mld)

Rinnovabili (biomasse) 11,6 (3,2) 20500 (7400) 5700 (1800)

Energia 14,3 16180 2500

Industria 28,2 13450 2600

Civile e residenziale 26,0 11200 -1000

Mobilità e trasporti 26,0 60550 4900

Agricoltura e foreste 13,2 20060 14060

Rifiuti 21,1 200 150

TOTALE 140,4 162140 28910

Tab. 2.1 – Quadro riassuntivo degli interventi di mitigazione previsti dalla

Delibera Cipe del 1997, quantificazione del contributo di riduzione,

valutazione dei costi e dei sussidi

Le azioni descritte nella delibera, in attuazione al protocollo di Kyoto, sono

solo delle linee guida nel quadro normativo nazionale; sono necessarie altre

norme che includano azioni per lo sviluppo dei settori non energetici dei

rifiuti, dell’agricoltura e delle foreste (in modo da recepire le direttive europee

descritte precedentemente) e per l’incentivazione di opzioni poco costose e

che offrono molti benefici aggiuntivi (ambiente locale, innovazione,

competitività), come indicato in tabella 2.2.

La necessità principale per una maggiore efficienza energetica in questi

settori è quella di orientare la ricerca agricola non più all’incremento di

produzione, ma ai processi produttivi, al miglioramento della qualità

ambientale, alla gestione del territorio agro-forestale nei suoi molteplici

aspetti, per l’identificazione delle potenzialità produttive e della vulnerabilità

ambientale di ogni area.

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Capitolo 2

42

Agricoltura e foreste CO2 (Mt/a) Investim. (Mld) Sussidi (Mld)

Coltivazioni energetiche:

biocarburanti

6,0 12000 10000

Coltivazioni energ.: biomasse

per elettrico-calore

5,5 8000 4000

Allevamenti agricoli: riduz.CH4 1,0 60 60

Riforestazione, afforestazione 0,7 n.d. n.d.

TOTALE AGRICOLTURA 13,2 20060 14060

Tab. 2.2 – Azioni previste nel settore agricoltura e foreste dalla Delibera

Cipe del 1997

Questi obiettivi sono raggiungibili con una pianificazione locale in grado di

organizzare interventi mirati al territorio, secondo le strategie e politiche

nazionali e comunitarie. La biomassa è una risorsa distribuita sul territorio la

cui convenienza è fortemente determinata dai costi di trasporto. Le azioni di

pianificazione da parte degli enti locali dovrebbero individuare le aree adatte

alla produzione di biomassa (marginali dal punto di vista agricolo e set-

aside) entro un raggio di alcune decine di km dai centri produttivi e urbani, le

più appropriate tecnologie di trattamento adeguando gli standard produttivi e

i controlli di qualità a quelli europei, e favorire il coinvolgimento e la

partecipazione della popolazione assicurando benefici diretti e indiretti.

Nell’accordo di programma quadro del 21-01-1999 del Piano Energetico

della Regione Lombardia (ved.par.1.2.3.1) si sottolinea l’importanza di una

gestione coordinata delle risorse agroforestali per scopi energetici.

Il Programma Pluriennale Regionale attuativo del Regolamento CEE

2080/92 redatto dalla Regione Lombardia e approvato nei primi mesi del

1999, eroga contributi ai conduttori di terreni agrari per la piantumazione di

specie legnose agrarie e per la manutenzione dei boschi esistenti

(ved.cap.3).

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Capitolo 2

43

2.2 TIPOLOGIE di BIOMASSE

La biomassa ligneo-cellulosica può avere diverse origini:

- residui agricoli, forestali, dell’agro-industria, dell’industria del legno e

della carta

- colture energetiche

I sottoprodotti agricoli e i residui forestali quali paglie, stocchi, sarmenti di

vite, ramaglie di potatura, potrebbero garantire l’autosufficienza energetica di

un gran numero di aziende agricole a costi di gran lunga inferiori rispetto a

quelli derivanti dall’uso dei combustibili fossili. La valorizzazione energetica

dei residui delle utilizzazioni forestali e degli interventi di manutenzione del

bosco può contribuire a migliorare il bilancio economico delle operazioni

selvicolturali, creando nel contempo nuove opportunità per le comunità

montane.

I residui vegetali agroindustriali e industriali sono costituiti da sanse, vinacce,

noccioli, lolla di riso provenienti dall’industria alimentare e da scarti

(corteccia, sfridi, truciolato, ecc.) dell’industria del legno; sono la fonte di

biomassa attualmente più utilizzata per scopi energetici. Sono generalmente

disponibili a basso prezzo, talvolta in grandi quantità; si prestano

particolarmente all’utilizzazione presso le stesse aziende produttrici, quali

riserie, distillerie, segherie, oleifici.

Le colture energetiche sono costituite da piante coltivate espressamente per

uso energetico o per la realizzazione di biocombustibili. Comprendono sia le

produzioni agricole di biomasse non legnose (sorgo da fibra, miscanto,

canna comune, girasole, ecc.) sia le piantagioni forestali di pioppo, acacia,

eucalipto e salice a rapidissimo accrescimento e a turni brevi (2-4 anni),

conosciute a livello mondiale come SRF (Short Rotation Forestry). Sono

ancora poco diffuse e il costo della biomassa così prodotta è più alto rispetto

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Capitolo 2

44

a quello dei residui. Tuttavia le colture energetiche hanno a loro favore un

potenziale produttivo di biomassa superiore rispetto ai residui e la capacità

di adattare meglio l’offerta di mercato alla domanda. Possono inoltre

determinare benefici ambientali contribuendo a ridurre l’erosione dei suolo

agricolo e il dilavamento dei nutrienti, preservando così la qualità delle

acque superficiali e di falda.

Nel caso delle colture erbacee le tecniche di coltivazione e raccolta si

avvalgono di macchine agricole convenzionali opportunamente modificate;

per le piante legnose la meccanizzazione è più complessa e richiede la

costruzione di macchine specifiche, allo studio o in fase di prototipo.

Le colture più promettenti sono quelle perenni, sia erbacee sia legnose, (ad

esempio, canna, miscanto, pioppo). Il costo di produzione della biomassa da

queste piante è inferiore a quello delle colture a ciclo annuale; anche il

bilancio energetico è più favorevole in quanto queste colture sono meno

esigenti in termini di lavorazioni del terreno e interventi di coltivazione.

2.3 PRINCIPALI UTILIZZI e TRATTAMENTI

La biomassa è diversa dagli altri combustibili fossili in quanto è piuttosto

variabile nella pezzatura, forma, composizione chimica, scorie e potere

calorifico.

I combustibili che maggiormente si prestano alla generazione di energia

sono costituiti dai residui che presentano un sufficiente potere calorifico, un

ridotto contenuto di umidità (altrimenti inibisce la combustione con relativa

perdita di energia) ed un elevato rapporto tra i contenuti di carbonio e azoto.

Il modesto contenuto termico della biomassa in confronto a quello dei

combustibili fossili è dovuto al suo contenuto di ossigeno in combinazione

con il carbonio e l’idrogeno, in quanto il materiale è come se fosse già

parzialmente ossidato. Tra le biomasse più adatte all’applicazione

energetica risultano particolarmente idonee il legno e i suoi derivati, i

sottoprodotti colturali di tipo ligno-cellulosico e alcuni scarti agroindustriali.

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Capitolo 2

45

Le biomasse si caratterizzano per la possibilità di stoccaggio (che le

distingue dalle altre fonti rinnovabili) e per la loro flessibilità essendo idonee

ad alimentare diversi comparti utilizzatori; possono essere recuperate e

convertite in energia elettrica, in calore (o entrambe attraverso

cogenerazione) e in prodotti chimici sostitutivi di derivati del petrolio

(biocarburanti).

L’utilizzo di questa fonte di energia rinnovabile come combustibile è legato a

diverse soluzioni tecnologiche ma, comunque, la conversione energetica

delle biomasse deve comportare un processo di combustione:

- direttamente del materiale solido mediante forno a letto fluido o a griglia

per la produzione di calore e/o con produzione di vapore, quindi di

energia elettrica mediante turbine a vapore; per impianti di elevata

capacità un’alimentazione diretta con biomasse è poco idonea e non

conveniente economicamente

- dopo un trattamento fisico del materiale consistente nei processo di

selezione, frantumazione, compattamento e/o essicazione

- successivamente ad una trasformazione intermedia termochimica (pirolisi

e gassificazione), biochimica (biogas, bioetanolo) o chimica (biodiesel,

hydrocracking) del combustibile solido in combustibile liquido o gassoso.

Il processo di pirolisi consiste nella degradazione termica a 300-500°C del

materiale originale in assenza di aria, attraverso l’apporto diretto o indiretto

di calore. Si produce principalmente un liquido (biolio), con un potere

calorifico paragonabile a quello dell’olio, che può essere utilizzato come

combustibile dopo opportuna raffinazione.

Durante la gassificazione si realizza una combustione parziale (ossidazione

incompleta) della biomassa in difetto di ossigeno/aria. Solo una parte del

materiale sottoposto a trattamento brucia, producendo calore sufficiente per

la decomposizione termica di quello restante. I prodotti gassosi finali non

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Capitolo 2

46

sono completamente e posseggono pertanto un loro proprio potere

calorifico. I principali costituenti del gas risultante sono il monossido e

biossido di carbonio, l’idrogeno, il metano e l’azoto, in proporzioni variabili

che dipendono dalle condizioni di processo e se si utilizza ossigeno o aria.

Il gas ottenuto viene depurato e può essere bruciato in caldaie convenzionali

oppure utilizzato in turbine in un ciclo combinato (IGCC) per il

funzionamento di un generatore elettrico o nel caso di cogenerazione.

Le esperienze più consolidate si riferiscono all’impiego di alcoli (metanolo ed

etanolo) sfruttando esclusivamente la presenza di zuccheri elementari o

dell’amido nella biomassa di origine e dei loro esteri (biodiesel) dalla

frazione oleaginosa delle piante; sono utilizzati come combustibili in motori

diesel. Il metanolo (CH3OH) è un idrocarburo liquido e si può ottenere dalla

gassificazione della biomassa in presenza di ossigeno; infatti il gas che si

ottiene è costituito principalmente da H2, CO e CO2, se si depura del

biossido di carbonio si ottiene un gas di sintesi da cui è possibile sintetizzare

qualsiasi idrocarburo. Questa tecnologia non è ancora diffusa, in quanto

coinvolge dei complessi processi chimici ad alte temperature e pressioni in

impianti costosi, ma il prodotto che si ottiene è un valido sostituto del

gasolio.

L’etanolo (C2H5OH) si ottiene dalla fermentazione (processo biologico

anaerobico) in cui gli zuccheri sono convertiti in alcoli dall’azione di

microorganismi; sono utilizzate biomasse zuccherine, quali la barbabietola e

canna da zucchero, il sorgo zuccherino.

Il biodiesel è un prodotto che si ottiene a partire da oli vegetali e, in

patricolare, dagli oli di colza, di girasole e di soia. Chimicamente è un estere

metilico ottenuto facendo reagire l’olio di colza o girasole con il metanolo.

Per 1 kg di biodiesel servono circa 0.1 kg di metanolo ottenendo, in

aggiunta, 0.1 kg di glicerina. Si può quindi affermare che il prodotto è

originato per il 90% da materie prime rinnovabili.

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Capitolo 2

47

L’interconnessione tecnologica tra biomasse e prodotti energetici finali è

rappresentata in figura 2.1.

RISORSE CONVERSIONE COMBUSTIBILI PRODOTTI

FINALI

Residui:

- forestali

- agricoli

- industriali

Fisica:

- produzione di

trucioli

- compattamento

- essicamento

Solidi:

- trucioli

- pellets

- briquettes

- carbone

Coltivazioni

energetiche

arboree ed

erbacee

Termochimica:

- pirolisi

- gassificazione

Combustibili

gassosi

Calore/vapore

Elettricità

Coltivazioni

zuccherine

ed amidacee

Biologica:

- fermentazione

- digestione

Combustibili

liquidi

Trasporti

Coltivazioni

oleaginose

Fisica:

- macinazione

Fig. 2.1 – Tecnologie per l’impiego delle biomasse a scopi energetici

2.4 BENEFICI e IMPATTI delle BIOMASSE

Un maggior uso energetico delle biomasse potrebbe produrre consistenti

benefici ambientali, occupazionali e di politica energetica.

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Capitolo 2

48

Per quanto riguarda i benefici ambientali, le biomasse coltivate in modo

ciclico sono neutre per l’effetto serra poiché il biossido di carbonio (CO2)

rilasciato durante la combustione viene riassorbito dalle piante stesse,

durante la crescita, mediante il processo di fotosintesi. Il basso contenuto di

zolfo e di altri inquinanti permette di eliminare completamente le emissioni di

anidride solforica e solforosa e di contribuire ad alleviare il fenomeno delle

piogge acide. Inoltre le minori temperature di combustione raggiunte rispetto

all’utilizzo di combustibili fossili permette di avere basse emissioni di ossidi di

azoto.

Consistenti benefici ambientali a livello locale possono derivare da

specifiche filiere per l’energia da biomasse. Ad esempio, il recupero dei

residui forestali contribuisce a ridurre il rischio di incendio e a migliorare le

condizioni dei boschi. L’asportazione delle ramaglie di potatura dei frutteti e,

in generale, dei sottoprodotti agricoli in alternativa alla bruciatura sul campo

o all’interramento riduce anch’essa il rischio di incendio, l’inquinamento

dell’aria o la propagazione di agenti patogeni dai frammenti legnosi sparsi

sul terreno, come riportato in tabella 2.3. Lo sviluppo delle colture

energetiche permette di valorizzare i terreni incolti (esclusi dalla produzione

secondo le disposizioni comunitarie), contribuisce a ridurre l’erosione del

suolo agricolo, il rischio idrogeologico e il dilavamento dei nutrienti.

Part SOx NOx HC CO CO2 CH4

Bruciatura

nei campi

2.10 0.58 3.19 3.34 28.76 1398 -

Discarica - - - 1.33 - 1064 98.74

Sfruttamento

Energetico

0.22 0.04 0.90 0.227 4.67 1318 -

Tab. 2.3 – Emissioni prodotte nelle pratiche più diffuse di smaltimento delle

biomasse (kg/ton)

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Capitolo 2

49

I benefici occupazionali derivano dal fatto che le diverse fasi del ciclo

produttivo del combustibile da biomassa, di origine agricola o forestale,

creano posti di lavoro e favoriscono la rivitalizzazione di questi settori

attraverso la creazione di nuovi mercati e nuove opportunità imprenditoriali.

Anche l’industria collegata alle tecnologie di conversione energetica

potrebbe trarre un considerevole beneficio occupazionale.

I benefici per la politica energetica sono dovuti al fatto che l’energia delle

biomasse contribuisce a ridurre la dipendenza dalle importazioni di

combustibili fossili e a diversificare le fonti di approvvigionamento

energetico. Inoltre la sostituzione di combustibili fossili con biomasse

vegetali può fornire un contributo al conseguimento dell’obiettivo di riduzione

delle emissioni in atmosfera di gas serra.

Una produzione di larga scala di colture energetiche deve essere

adeguatamente gestita in modo da evitare effetti ambientali negativi, quali la

riduzione della biodiversità, la perdita di nutrienti per i suoli e il potenziale

incremento di fertilizzanti e pesticidi per le coltivazioni intensive.

Per un migliore inserimento nel sistema agricolo-forestale del territorio è

possibile integrare le colture energetiche con la vegetazione indigena;

questo riduce l’impatto visivo ed evita la diffusione di malattie per le piante di

una stessa specie.

Il riciclo dei residui di combustione nel terreno della coltivazione permette di

mantenere la fertilità del suolo che necessita non solo del carbonio

contenuto nella biomassa, ma anche del potassio, del fosfato, dell’azoto e di

altri componenti delle ceneri e di ridurre l’input di fertilizzanti chimici.

La razionalizzazione delle operazioni di raccolto e delle cure colturali inoltre

permette di minimizzare l’utilizzo di risorse energetiche convenzionali (quali il

combustibile per i macchinari e i fertilizzanti) e ottimizzare il bilancio

energetico.

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Capitolo 2

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2.4.1 LIMITI alle EMISSIONI

Il Decreto n.22/97 (‘Decreto Ronchi’) rappresenta la legislazione base per la

gestione dei rifiuti e include le direttive europee per il materiale riciclabile, i

rifiuti da imballaggi e i rifiuti pericolosi. Gli atti attuativi del decreto hanno

stabilito una serie di restrizioni per l’utilizzo di qualsiasi tipo di rifiuto,

compresi quelli ligno-cellulosici. Sono definiti la taglia minima dell’impianto di

recupero energetico, i limiti di emissione (riportati in tabella 2.4) e l’efficienza

di conversione termica ed elettrica; inoltre sono necessari permessi per la

costruzione e il funzionamento degli impianti, ottenibili attraverso complesse

procedure, come se si trattasse di rifiuti pericolosi.

Inquinanti Limiti di emissione (valori medi giornalieri

espressi in mg/m3)

Particolato 10

CO 50

HCl 10

HF 1

NOx 200

SO2 50

Tab. 2.4 – Limiti di emissioni stabilite dal Decreto Ronchi

Queste norme sono applicate anche alle biomasse di varia origine,

assimilate ai rifiuti urbani ed in alcuni casi (residui trattati dall’industria del

legno) ai rifiuti pericolosi; questa normativa ha quindi rallentato la diffusione

delle tecnologie per il trattamento delle biomasse vegetali, penalizzando

soprattutto gli impianti di piccole e medie dimensioni.

Per questo motivo è stato organizzato un gruppo di lavoro dell’ITABIA

(Italian Biomass Association) in collaborazione con il C.T.I. (Comitato

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Capitolo 2

51

Termotecnico Italiano) e coinvolgendo diversi attori, per elaborare delle

proposte concrete da presentare ai decisori politici. Le principali indicazioni

di modifica delle norme riguardano una classificazione delle biomasse

(distinguendo tra rifiuti vegetali, residui ligno-cellulosici e altri rifiuti), la

dimensione e le caratteristiche degli impianti, i valori delle emissioni distinti

per taglia di impianto, il recupero energetico secondo le migliori tecnologie

disponibili per il trattamento delle biomasse.

2.5 Le COLTIVAZIONI ENERGETICHE a BREVE ROTAZIONE

Le coltivazioni energetiche a breve rotazione (SRF, Short Rotation Forestry)

sono piantagioni di specie arboree caratterizzati da una elevata densità di

impianto, variabile da un minimo di 1000 fino a circa 25000 piante/ha,

condotte secondo criteri agronomici relativamente intensivi e con turni

variabili di taglio solitamente inferiori ai 5 anni e finalizzate alla produzione

energetica.

Le specie ritenute più adatte per le coltivazioni di SRF in Italia, attualmente

in fase di studio, sono le latifoglie a rapido accrescimento: pioppo, salice,

robinia ed eucalipto. La buona capacità di ricrescita dai ceppi tagliati di

queste piante inoltre permette di evitare di ripiantare dopo ogni raccolto e

quindi di risparmiare sui costi di gestione.

Le caratteristiche e il protocollo colturale di queste coltivazioni sono spiegati

dettagliatamente nel capitolo 3.

Queste attività necessitano di un background di esperienze puntuali di

carattere sia sperimentale che pratico-applicativo in grado di fornire

indicazioni precise circa la produttività degli impianti e le migliori

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Capitolo 2

52

combinazioni possibili dei fattori colturali. Sono inoltre favorite da una

efficace azione politica a livello nazionale e di una accurata pianificazione

territoriale per il necessario coordinamento tra domanda ed offerta e per

ottimizzare tutti i diversi aspetti del ciclo produttivo.

Nei paesi in cui sono state già intraprese su larga scala (Svezia con 15000

ha di piantagioni, Brasile, Filippine) il successo economico degli impianti è

apparso strettamente connesso anche alla disponibilità di contributi

finanziari in grado di ridurre i costi di produzione; pertanto, detti incentivi

sono da ritenersi indispensabili per orientare i proprietari verso queste

produzioni non alimentari.

2.5.1 EFFETTI AMBIENTALI e SOCIALI

Su scala globale, le conseguenze ambientali della produzione e dell’utilizzo

di queste colture sono decisamente positive, in quanto la loro diffusione non

incide sul bilancio globale termico e dell’anidride carbonica. Si ha infatti una

riduzione delle emissioni nette di CO2 mediante la parziale sostituzione dei

combustibili fossili con biomassa ligno-cellulosica. Non si ha praticamente

inquinamento dovuto allo zolfo poiché il suo contenuto nella biomassa è

minimo; anche il contenuto di metalli pesanti è trascurabile e la temperatura

di combustione non è abbastanza alta da produrre NOx in quantità rilevanti.

Altri vantaggi riguardano la rinnovabilità della risorsa è la possibilità di riciclo

dei residui.

A livello locale, i cedui possono avere ricadute ambientali di diverso tipo, in

relazione anche alla destinazione dei terreni precedente alla realizzazione

degli impianti.

I benefici ambientali possono essere notevoli qualora i cedui a breve

rotazione siano realizzati su terreni marginali o sostituiscano colture agricole

tradizionali (terreni set-aside), ad alto input tecnologico.

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Capitolo 2

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Si può infatti ottenere una riduzione dell’immissione di prodotti chimici

nell’ambiente e quindi protezione della qualità delle acque, un minor uso di

macchinari agricoli e un miglioramento delle caratteristiche pedologiche

stazionali dovuto ad un aumento della sostanza organica e ad un

miglioramento della struttura dei suoli. Si favorisce la prevenzione del

fenomeno di erosione utilizzando le coltivazioni come barriere di protezione

dal vento e si migliora il microclima.

Inoltre, nelle aree agricole intensive una certa diversificazione colturale può

avere effetti positivi di carattere biologico (diversificazione degli habitat per

gli animali selvatici e biodiversità) ed economico (riduzione dei rischi

colturali).

La presenza di sistemi radicali favorisce un efficiente uso dei nutrienti e i

lunghi periodi vegetativi determinano una minore necessità di azoto e altri

fertilizzanti. Alcune specie vegetali ‘metallofite’ possono essere anche

utilizzate come decontaminanti ambientali dai metalli pesanti attraverso il

processo di fitoestrazione, per cui le piante sono in grado di ‘iperaccumulare’

gli inquinanti nelle parti aeree rimuovendoli dal terreno e dalle acque.

Questo utilizzo delle coltivazioni viene a coniugarsi con la valorizzazione

estetica del paesaggio in ambienti altrimenti difficilmente recuperabili e

fruibili.

Nei terreni marginali le SRF permettono di tenere sotto controllo lo stato di

questi suoli, limitando i fenomeni di degrado e di reintrodurli nel ciclo

produttivo. I terreni marginali infatti sono quelle aree nelle quali la

maggioranza delle aziende agricole non è produttiva; non sono incluse

quindi in una prospettiva di esercizio agricolo intensivo e potrebbero essere

riqualificate con utilizzazioni migliori e più convenienti rispetto a quella

agricola.

Se gli impianti sostituiscono altre colture caratterizzate da minori input

chimici o sono inserite in zone occupate da coltivazione non agricola (es.

aree golenali non coltivate, aree forestali) le conseguenze possono essere

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Capitolo 2

54

negative in relazione ad un generale scadimento della qualità ambientale

locale. Queste situazioni possono, almeno in parte, modificarsi in relazione

alla disponibilità di tecnologie in grado di ridurre gli input chimici necessari

(selezione di varietà resistenti alle principali avversità).

Nelle aree acclivi, cedui con turni molto brevi (inferiori ai 3-4 anni), possono

favorire l’erosione del suolo a causa dei frequenti periodi di scopertura del

terreno.

In generale, si devono considerare alcuni aspetti problematici nella

realizzazione e gestione di queste coltivazioni.

La disponibilità di aree dipende dalla pianificazione e dall’uso esistente ed è

quindi un fattore limitante; queste piantagioni possono produrre

modificazioni dell’assetto territoriale di notevole ampiezza.

Le colture energetiche necessitano infatti di superfici estese (centinaia o

migliaia di ettari) ed accorpate sul territorio in prossimità degli impianti di

trasformazione, per soddisfarne le necessità di approvvigionamento senza

un eccessivo aggravio dei costi di trasporto. Questo può incidere

negativamente sul livello di biodiversità in ambito locale a causa dell’utilizzo

di monocolture e specie non indigene.

Per contrastare una possibile riduzione della complessità biologica e

mitigare l’impatto paesaggistico, gli esperti consigliano di diversificare il più

possibile la composizione specifica degli impianti e di lasciare, all’interno del

comprensorio investito con le piantagioni, nuclei sufficientemente estesi di

vegetazione naturale collegati con corridoi ecologici per consentire lo

spostamento delle specie animali. Per quanto riguarda le vie di accesso ed i

percorsi utilizzati per le operazioni di manutenzione e taglio, è preferibile che

assumano un andamento rispettoso della morfologia locale e, nel caso di

rilievi, non devono essere poste lungo le linee di massima pendenza.

Le piantagioni monocolturali inoltre possono essere particolarmente

soggette a malattie e infestanti.

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Capitolo 2

55

E’ importante che le coltivazioni abbiano dimensioni non eccessive rispetto

al territorio circostante, si ritiene ottimo un rapporto di scala del 5-10%

(Sage, Roberton e Poulson).

Devono essere quindi analizzati sia i fattori ambientali (flora, fauna) sia quelli

antropici (insediamenti, viabilità) e sociali, secondo il criterio della

polivalenza e il principio di sviluppo sostenibile.

A livello sociale, le coltivazioni possono dare un contributo importante

relativo alla creazione di nuovi posti di lavoro, in particolare nelle aree

depresse e soggette ad abbandono. Le SRF richiedono manodopera nella

stagione invernale (quando gli altri tipi di lavoro agricolo sono limitati) e

assicurano così una continuità di impiego durante tutto l’arco dell’anno.

Se attraversate da percorsi sportivi (mountain bike, passeggiate) e didattici

(bird-watching …), le coltivazioni svolgono una funzione ricreativa e possono

essere usufruite dalla popolazione.

I terreni adiacenti a strade trafficate sono molto esposti alle emissioni

derivanti dal flusso automobilistico. La vegetazione che cresce in queste

zone assorbe ed accumula una quantità di sostanze inquinanti (zolfo,

piombo, ecc.) tale da rendere queste piante non adatte all’utilizzo alimentare

(umano o animale). Le coltivazioni ad uso energetico forniscono protezione

dall’inquinamento particellare ed acustico dovuto al traffico, permettendo di

utilizzare al meglio le aree stesse e quelle limitrofe.

2.5.2 QUADRO NORMATIVO

Una normativa specifica nazionale riguardante le coltivazioni energetiche

non esiste ancora, ma a livello di direttive europee (Agenda 2000 e

Regolamento 2080/92) vi sono delle indicazioni sui possibili sviluppi e

incentivi al settore agricolo e della silvicoltura.

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Capitolo 2

56

L’Agenda 2000 è un regolamento CEE sul sostegno allo sviluppo rurale da

parte del Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia e può

riguardare, come indicato nell’art.2:

- il miglioramento delle strutture nelle aziende agricole e delle strutture di

trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli

- la riconversione e il riorientamento dei potenziali di produzione agricola

(set-aside), attraverso l’accantonamento dei seminativi e

l’estensivazione; l’introduzione di nuove tecnologie e il miglioramento

della qualità dei prodotti

- l’incentivazione degli investimenti connessi alla produzione non

alimentare

- uno sviluppo forestale sostenibile

- la diversificazione delle attività al fine di sviluppare attività complementari

o alternative

- il mantenimento e il consolidamento di un tessuto sociale vitale nelle

zone rurali

- lo sviluppo di attività economiche, il mantenimento e la creazione di posti

di lavoro allo scopo di garantire un migliore sfruttamento del potenziale

esistente

Per quanto riguarda gli aiuti al settore forestale, sono particolarmente

interessanti alcune misure indicate nell’articolo 28:

investimenti diretti a migliorare e razionalizzare il raccolto, la

trasformazione e la commercializzazione dei prodotti della silvicoltura

la promozione di nuovi sbocchi per l’uso e la vendita dei prodotti

silvicolturali

Infine nell’articolo 29 si introducono le norme generali per gli incentivi al

settore, specificati poi nel Regolamento CEE n.2080/92. Il sostegno

all’imboschimento delle superfici agricole intrapreso dalle autorità pubbliche

deve coprire unicamente le spese di sistemazione (impianto), anche nel

caso di coltivazioni con specie a rapido accrescimento.

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Capitolo 2

57

Il programma attuativo del Regolamento CEE n.2080/92 recepito da poco

dalla Regione Lombardia riporta gli interventi ammissibili e incentivati sia per

piantumazioni ed imboschimenti di terreni agrari sia per impianti con specie

arboree a rapida crescita.

Su terreni agrari possono essere effettuate piantumazioni di essenze

legnose di latifoglie e conifere finalizzate alla produzione di legname e

biomassa, alla difesa idrogeologica e alla riqualificazione ambientale del

territorio.

Nel caso di piantagioni arboree ceduate a turno brevissimo, la durata

biologica dell’impianto può essere superiore a 20 anni o inferiore a 15 anni;

in entrambi i casi devono essere realizzate su superfici minime ed accorpate

rispettivamente di 0,5 e 1 ha. Il contributo concedibile non può essere

superiore a 4830 Euro per ettaro (nel caso di impianti con latifoglie in

percentuale superiore al 75%) e di 3623 Euro/ha (nel caso di impianti con

essenze resinose superiore al 25%).

Nel caso di piantagioni con turno inferiore a 15 anni l’incentivo è comunque

pari al costo dell’impianto determinato in relazione alle diverse tipologie

d’imboschimento. Inoltre queste ultime coltivazioni non godono dei benefici

relativi ai premi di manutenzione per i primi 5 anni e di mancato reddito,

disponibili per impianti con maggiore durata.

Per la Regione Lombardia questa normativa si inserisce in un quadro di

azioni regionali che regolano la filiera bosco-legno.

A livello regionale infatti si evidenzia una capillare attività di impresa diffusa

su tutto il territorio che interessa oltre la coltivazione del bosco in montagna

anche le attività di arboricoltura a rapida crescita lungo le aste fluviali della

Pianura Padana.

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Capitolo 3

58

3 ASPETTI TECNICI delle COLTIVAZIONI

ENERGETICHE

In questo capitolo vengono presentate le prime esperienze di coltivazioni

legnose a breve turno di rotazione realizzate in Italia. I dati disponibili si

riferiscono alla sperimentazione delle colture a scopo energetico iniziata nel

1994 dall’ENEL, attraverso il centro di ricerca Ambiente e Materiali (CRAM),

e conclusa nel 1998. La sperimentazione ha affrontato per quattro specie

forestali (pioppo, salice, eucalitto e robinia) i vari problemi dell’intera filiera di

produzione: scelta del sito e del clone, coltivazione, meccanizzazione,

raccolta, conservazione e impatto ambientale. Le informazioni più

dettagliate e complete si riferiscono al pioppo, in quanto sono state integrate

con le conoscenze già acquisite in precedenti esperienze realizzate

dall’istituto di sperimentazione sulla pioppicoltura (ISP) di Casale

Monferrato; per questo motivo si è deciso di fare riferimento a questa

specie.

Lo scopo di questo lavoro è quello di utilizzare le conoscenze finora

acquisite per determinare un modello colturale ottimo, per la realizzazione e

la gestione di un pioppeto realizzato a scopo energetico.

Nel capitolo 4 è descritta la costruzione di un modello della crescita delle

pioppelle in funzione delle principali variabili di decisione coinvolte nel

problema, che sono il turno di taglio, l’orizzonte temporale e la densità di

impianto.

Nel capitolo 5 il modello è stato utilizzato per ottimizzare gli obiettivi

produttivi ed economici legati alla realizzazione e alla gestione delle

piantagioni, rispetto alle stesse variabili di decisione adottate nel capitolo 4.

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Capitolo 3

59

Nel capitolo 6 infine sono state valutate le potenzialità energetiche della

materia prima ottenibile con queste tecniche, facendo riferimento a una

particolare tecnologia, quella della gassificazione accoppiata a un ciclo

combinato per la produzione di energia elettrica; la potenzialità di 12 MWe

corrisponde alle caratteristiche del primo impianto in corso di realizzazione

in Italia, che si dovrebbe alimentare con combustibile proveniente da

coltivazione. Ciò consente di determinare le aree occupate dalle coltivazioni

nel caso in cui si adottino le decisioni ottime determinate nel capitolo 5.

Questo calcolo si deve considerare distinto dall’ottimizzazione effettuata,

che considera come variabili di decisione solo quelle riguardanti le

coltivazioni e non quelle dell’impianto. L’elaborazione è stata fatta per poter

verificare il comportamento del sistema complessivo nel caso in cui si fissi la

tecnologia di trasformazione della biomassa in energia.

3.1 DESCRIZIONE di una COLTIVAZIONE ENERGETICA

La selvicoltura a breve rotazione (short-rotation forestry, SRF) è un nuovo

metodo di coltivazione di piante legnose finalizzato alla produzione di

biomassa per uso energetico.

Le piante vengono periodicamente raccolte (ceduate); dopo ogni raccolta le

ceppaie emettono nuovi germogli, dando inizio a un nuovo ciclo produttivo. Il

tempo di rotazione, ossia l'intervallo tra due raccolte successive, è molto

breve (2-4 anni), al fine di poter produrre piante di piccolo diametro (minore

di 10 cm), che meglio si prestano alla raccolta meccanizzata.

Una descrizione più accurata delle attività del ciclo produttivo è realizzata

nel paragrafo 3.2.

Questo schema di coltivazione è stato messo a punto in Svezia ed in quella

nazione ha ormai raggiunto la piena fase commerciale, con circa 15000

ettari di piantagioni realizzate.

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Capitolo 3

60

Il ciclo produttivo descritto è rappresentato in figura 3.1 e può essere così

schematizzato:

…….

impianto ceduazione ceduazione dicioccatura

Le principali variabili di decisione riguardanti questo tipo di coltivazioni sono:

- tipo di suolo adatto (marginale oppure fertile)

- specie e clone da coltivare

- le cure colturali da effettuare

- la densità di impianto

- il turno di taglio (2 o 3 anni)

- orizzonte temporale

In questo paragrafo verranno descritte le principali problematiche legate a

queste decisioni.

3.1.1 TIPO di SUOLO

E’ necessario scegliere terreni di buona fertilità, pianeggianti (per l’uso dei

macchinari), profondi e possibilmente con falda accessibile alle radici delle

piante. Il pioppo in particolare non tollera terreni asfittici, ma si avvantaggia

se la falda è situata intorno a 1-1,5 m di profondità.

I terreni devono avere una tessitura non troppo fine: il contenuto di limo e

argilla non deve superare il 50%. La profondità ideale del terreno è intorno

al metro, la profondità minima non deve mai scendere al di sotto dei 50 cm.

Sono ottimali i terreni con valori di pH compresi tra 5,5 e 7,5; comunque non

si dovrebbe mai scendere sotto 4,5 o salire oltre 8. Terreni acidi infatti

inibiscono la crescita delle radici in profondità provocando problemi di

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Capitolo 3

61

carenza di acqua nei periodi di siccità. E’ opportuno scartare i terreni con

alti contenuti di calcare attivo, quelli salsi e torbosi.

Il contenuto organico dei suoli è un fattore importante in quanto aumenta la

capacità del terreno ad accumulare l’acqua e fornisce l’alimentazione agli

organismi del suolo (batteri, vermi, ecc.), che a loro volta rilasciano nutrienti

utilizzati dalle piante.

La necessità di reperire ampie estensioni di terreni per la coltivazione di

queste colture ha indotto a sperimentare la possibilità di utilizzare anche

terreni marginali, ma con risultati generalmente insoddisfacenti.

Per la scelta del sito è opportuno utilizzare un metodo di classificazione

sistematica dei terreni rispetto alla loro idoneità all’arboricoltura da legno.

La metodologia dell’Attitudine delle Terre ad una specifica coltura (Land

Suitability) per la valutazione delle potenzialità del suolo e per la

classificazione delle risorse agro-forestali è un’applicazione delle tecniche

messe a punto dagli esperti F.A.O. (1976). Il metodo si basa

sull’utilizzazione di strumenti territoriali conoscitivi già disponibili in ambito

regionale; in particolare , per la Regione Lombardia, si possono consultare

le carte pedologiche redatte dall’Ersal (Ente Regionale per lo sviluppo

dell’agricoltura).

Il sistema è suddiviso in 4 livelli gerarchici: ordini, classi e sottoclassi (ved.

tab. 3.1).

Gli ordini sono due, adatto (S) e non adatto (N), ed indicano l’attitudine o

meno di una certa aree ad un uso particolare.

Le classi riflettono il grado di attitudine del territorio per la coltura

considerata; esse vengono numerate progressivamente con numeri arabi,

seguendo, entro i due ordini, un grado decrescente di idoneità.

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Capitolo 3

62

All’interno dell’ordine adatto (S) si distinguono tre classi: molto adatto (S1),

moderatamente adatto (S2) e marginalmente adatto (S3). Nell’ambito

dell’ordine non adatto (N) rientrano due classi: generalmente non adatto

(N1) e permanentemente non adatto (N2).

Le sottoclassi indicano invece il tipo di limitazione per un uso specifico e

vengono simboleggiate con una lettera minuscola che rappresenta la

caratteristica del fattore limitante.

Si può notare che la suddivisione dell’ordine adatto (S) nelle tre classipreviste è effettuata assumendo che anche un solo carattere sfavorevole siasufficiente a porre una limitazione all’interno di ogni area. Nel caso che lalimitazione sia dovuta ad uno o più caratteri chimici, al simbolo dell’ordine edella classe si affianca la lettera “c”; mentre se è dovuta ad uno o piùcaratteri fisici, si pone la lettera “f” .Nel caso in cui concorrano entrambi i caratteri, fisici e chimici, al simbolodell’ordine e della classe si affiancano le lettere “cf”.

Legenda dei simboli della sottoclasse:

f – fattore limitante fisico

c – fattore limitante chimico

cf – fattori limitanti chimici e fisici

Di seguito viene riportata una tabella riassuntiva della classificazione

utilizzata.

ORDINE CLASSE SOTTOCLASSE

S – adatta S1 – molto adatta: indice ≤ 28

S2 – moderatamente adatta: indice 29-42 S2f – S2c – S2cf

S3 – marginalmente adatta: indice 43-56 S3f – S3c – S3cf

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Capitolo 3

63

N – non adatta: N1 – generalmente non adatta N1f – N1c – N1cf

indice ≥ 57 N2 – permanentemente non adatta N2c – N2f – N2cf

Tab. 3.1 – Classificazione F.A.O. dell’attitudine delle terre

Per il tipo di coltura considerato, i parametri dimostratisi determinanti sono laprofondità del suolo, la tessitura, la permeabilità e la pendenza.I caratteri pendenza e drenaggio risultano essere i fattori maggiormentelimitanti, pertanto possono serviti per distinguere le aree non adatte dallealtre. La pendenza costituisce infatti un impedimento alla meccanizzazionenecessaria per la Short Rotation Forestry; inoltre l’acclività facilita l’innescodi fenomeni erosivi.Il drenaggio fortemente rallentato, invece, diminuisce drasticamente lapossibilità di sviluppo vegetale, riducendo la disponibilità di ossigeno per gliapparati radicali. Viceversa un drenaggio troppo rapido riduce la capacitàidrica del suolo fino a condizionare l’equilibrio nei periodi di siccità, congrave danno per alcune specie vegetali.

I caratteri del suolo presi in considerazione per definire l’attitudine dei suoliall’arboricoltura e riportati sulle carte pedologiche, geoambientali e di uso delsuolo sono distinti in chimici, fisici e morfologico-territoriali.

Caratteri chimici:

• pH

• CaCO3 totale

• sostanza organica

• capacità di scambio cationico

• saturazione basica

Caratteri fisici:

• tessitura

• profondità

• volume di suolo esplorabile dalle radici

• acqua disponibile

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Capitolo 3

64

• drenaggio

Caratteri morfologico-territoriali:

• pendenza

• erosione

• inondabilità

In particolare la metodologia di valutazione dei suoli all’arboricoltura da

legno è basata sull’indice di potenzialità proposto da Bartelli (1977), che

rappresenta la sommatoria delle valutazioni numeriche di alcuni caratteri del

suolo e della stazione, attribuite secondo determinati criteri di valutazione.

(ved. tab.3.2)

Il principio di questa valutazione numerica prevede per ciascun carattere

l’assegnazione del valore 1 nel caso del migliore e del valore 10 nel caso

peggiore. Non tutti i caratteri, però rappresentano escursioni e intervalli di

valutazioni identici. Secondo l’autore del metodo, la valutazione deve

essere adattata alle diverse condizioni, sulla base delle esperienze di

campagna e dei risultati sperimentali per ogni tipo di coltura.

La classificazione è infatti stata modificata per adattarsi alle esigenze di

questo studio sulla arboricoltura da legno intensiva (a ciclo breve) o SRF

secondo le caratteristiche dei suoli descritte sopra e in base alla disponibilità

dei dati ricavabili dalle carte pedologiche realizzate utilizzando la

classificazione dei suoli Soil Taxonomy.

Caratteri Criteri Valutazione

Profondità delsuolo:

- molto profondo >150 cm.- profondo 100-150- moderatamente profondo 50-100- poco profondo 25-50- molto poco profondo <25

1268

10Tessitura:

- suoli franchi

franca F franco limosa FL limosa L franco sabbiosa FS

1111

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Capitolo 3

65

- suoli sabbiosi

- suoli argillosi

franco argillosa FA franco sabbiosa argillosa FSA franco limosa argillosa FLA

sabbiosa S sabbioso franca SF

limoso argillosa LA argillosa A

111

88

88

Permeabilità: - molto rapida - rapida- moderatamente rapida – moderata- moderatamente lenta – lenta- molto lenta

816

10Capacità idricadisponibile (Awc):

- molto alta >200 mm.- alta 150-200- media 100-150- bassa 50-100- molto bassa < 50

1248

10Drenaggio: - ben drenato – moderatamente ben drenato

- imperfettamente o talvolta poco drenato- poco drenato – talvolta eccessivam. drenato- molto poco drenato – eccessivam. drenato

136

10Contenuto in Ca: > 3 meq / 100 g

2 – 31 – 2< 1

146

10pH: - basico

- neutro- acido

61

10Pendenza: 0 – 20 %

20 – 50> 50

13

10Erosione: - nessuna – debole – moderata

- severa15

Rischio di inondabilità: - basso- alto- molto alto

15

10Tab. 3.2 –Criteri e valutazione delle potenzialità del suolo (Bartelli 1977)

Una volta assegnato a ciascun carattere il peso che i rilievi sperimentali

suggeriscono, la classificazione delle diverse unità pedologiche viene

eseguita confrontando gli indici di potenzialità con quelli qui di seguito

riportati (ved. anche tab. 3.1):

suoli molto adatti all’arboricoltura da legno specializzata (S1): indice ≤

28;

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Capitolo 3

66

suoli discretamente adatti all’arboricoltura da legno, con gestione di tipo

tradizionale intensivo (S2): indice 29-42;

suoli marginalmente adatti all’arboricoltura da legno, e più indicati invece

a una selvicoltura di tipo naturalistico (S3): indice 43-56;

suoli non adatti all’arboricoltura da legno, la cui gestione selvicolturale

non può essere indirizzata a fini produttivi (N); più opportuno adottare

specie arbustive o alberi in grado di assicurare in breve tempo una

sufficiente copertura del terreno, soprattutto lungo le pendici:

indice ≥ 57.

Sommando i punteggi relativi ad ogni parametro considerato, si ottiene una

valutazione attitudinale sintetica dell’unità territoriale presa in esame. I

risultati ottenuti si possono riportare su cartografia in modo da fornire

all’utente una carta di orientamento pedologico all’arboricoltura da legno a

rapido accrescimento. Con opportune elaborazioni su GIS, sovrapponendo

questi dati ad altre carte che indicano fattori quali i vincoli ambientali, le zone

urbanizzate, ecc., si possono determinare indicativamente le zone più

favorevoli a questo tipo di coltivazione da un punto di vista produttivo,

ambientale e sociale.

3.1.2 SPECIE e CLONE

Per ottenere una produzione di biomassa legnosa economicamente

sostenibile è necessario coltivare specie che abbiano un rapido

accrescimento, che siano facilmente propagabili per via vegetativa

(attraverso talee) e ricaccino con facilità dopo ogni ceduazione.

Tra i generi ad alto rendimento sono stati selezionati le seguenti:

Pioppo (cloni: Lux, Luisa Avanzo, BL Costanzo, Cima e Villafranca)

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Capitolo 3

67

Eucalitti ( cloni: E. Camaldulensis, E. Bicostata)

Salici

Robinie

Gli esperimenti considerati per questo studio (descritti nel paragrafo 3.1.1)

sono riferiti al pioppo; i dati disponibili infatti sono completi solo per questa

specie. Nelle zone fluviali di pianura i pioppi hanno un’importanza primaria.

La spiccata eliofilia e un’elevata plasticità consento loro di affermarsi anche

su suoli poveri e di colonizzare aree scoperte lungo le sponde dei fiumi. Per

quanto legati ad ambienti caratterizzati da ampia disponibilità idrica, i pioppi

non sopportano sommersioni prolungate. Fenomeni di propagazione

vegetativa in natura sono evidenti in fase giovanile: alberi caduti, rami

spezzati, radici, emettono con grande facilità radici avventizie se

parzialmente ricoperti di terra; frequenti sono quindi i polloni radicali.

Le specie di pioppo spontanee in Italia sono il pioppo nero (P.nigra), il

pioppo bianco (P.alba) e il pioppo tremulo (P.tremula); mentre i tipi più

comunemente coltivati sono cloni che derivano da incroci tra il pioppo nero

europeo e il pioppo nero americano (P.deltoides), denominati pioppi ibridi

euroamericani (P. x Euramericana).

Tra i cloni di pioppo attualmente disponibili in Italia, iscritti al Registro

Nazionale dei Cloni Forestali (RNCF), quelli che possono essere utilizzati

per le coltivazioni energetiche sono praticamente quattro: Populus deltoides

clone Lux, Populus x euramericana cloni Luisa Avanzo e BL Costanzo, P.

alba clone Villafranca.

I dati completi disponibili delle sperimentazioni considerate riguardano i cloni

Lux e L.Avanzo.

Il clone Lux resiste alle principali malattie fogliari, risulta sensibile solo al

virus del Mosaico del Pioppo. Si adatta a terreni sciolti e sopporta entro certi

limiti la siccità estiva, ma non tollera la sommersione prolungata del terreno.

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Capitolo 3

68

Necessita di una scelta accurata delle talee e di attenzione in fase di messa

a dimora in quanto può avere difficoltà di attecchimento.

Sono sconsigliate le zone soggette a forti venti; nei primi anni del turno non

va forzato con irrigazioni e concimazioni eccessive per evitare la curvatura o

la rottura delle piante.

Il legno è relativamente pesante e la densità basale è di 0,37 g/cm3, definita

come il rapporto tra il peso fresco del legno senz’acqua e il volume del legno

allo stato fresco.

Il Luisa Avanzo è un clone molto produttivo ma sensibile alle Ruggini, alle

Macchie Brune e al ‘Discosporium populeum’. Si adatta a diversi tipi di

terreni, anche a suoli pesanti e può tollerare entro certi limiti la

sommersione. La resistenza al vento è superiore a quella del Lux.

L’attecchimento delle pioppelle è ottimo se ben idratate. Anche per questo

clone la densità basale di 0,34 g/cm3 è elevata.

3.1.3 VARIABILI GESTIONALI

DENSITA’ di IMPIANTO

La scelta della densità di impianto è il parametro più cruciale; l'elevato costo

di impianto fa si che fenomeni di interferenza interspecifica producano rese

troppo basse, col risultato di vanificare lo sforzo dell'investimento iniziale.

La densità infatti influenza i costi di impianto, la crescita delle piante, la

rotazione ottimale e le dimensioni dei fusti al momento del taglio.

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Capitolo 3

69

La densità si determina a seconda della spaziatura scelta (distanza) tra le

file di piante. Con spaziature alte aumenta la quantità di foglie, rami e

corteccia, mentre diminuisce la frazione di legno del fusto.

Nella produzione tradizionale dei pioppi si adottano spaziature tra le piante

piuttosto elevate (4 x 4 e 6 x 6 m), mentre per le coltivazioni energetiche si

utilizzano spaziature inferiori ottenendo densità comprese tra 1000 e 25000

piante/ha.

Per queste colture le talee possono essere disposte su file singole o binate.

La distanza minima possibile per il passaggio dei macchinari sia tra le file

singole che tra le bine (una bina = due file vicine) è di 1,60 cm. La

spaziatura è quindi definita come distanza tra le file x distanza tra le piante

di ogni fila (per le file singole) e come distanza tra le bine x distanza tra le

file di una bina x distanza tra le piante sulle singole file (per le file binate).

L’impianto a file binate, utilizzato in alcune delle sperimentazioni

considerate, presenta indubbi vantaggi tecnici ed economici in quanto

permette di raggiungere facilmente alte densità per ettaro, rende possibile il

passaggio di mezzi meccanici complessi (cippatrici semoventi) nelle interfile

e facilita l’esecuzione delle operazioni colturali più onerose facendo

risparmiare sensibilmente sui costi della manodopera e delle macchine.

Infatti, con l’impiego di macchine operatrici appropriate, si può migliorare la

produttività del lavoro, rispetto agli impianti a file singole, poiché ad ogni

passaggio è possibile interessare due file alla volta.

TURNO di ROTAZIONE

Il turno di taglio deve essere scelto in modo da ottenere le più alte rese e i

costi più bassi possibili.

La lunghezza ottima del ciclo dipende dalla specie e dalla densità iniziale.

Per densità basse sono migliori turni di taglio più lunghi rispetto a densità

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Capitolo 3

70

maggiori, in quanto la crescita risente in misura minore della mortalità

dovuta alla competizione tra le piante.

ORIZZONTE TEMPORALE

Si tratta della lunghezza complessiva del ciclo produttivo ed è influenzato in

modo determinante dalla resistenza delle ceppaie alla ceduazione, e quindi

dal numero di tagli eseguiti.

3.2 Il PROGRAMMA di RICERCA dell’ENEL

L’esperienza sulle coltivazioni a breve rotazione (SRF) in Italia è ancora

scarsa e limitata, l’ENEL –CRAM (Centro Ricerca Ambiente e Materiali) ha

pertanto promosso uno specifico programma di ricerca e sperimentazione il

cui obiettivo primario è lo sviluppo di una opportuna metodologia per la

produzione su grande scala di combustibile legnoso per alimentare impianti

termoelettrici.

Le sperimentazioni hanno interessato diverse specie, selezionate sulla base

della crescita e della produttività negli stadi giovanili, e alla capacità di

ricaccio dopo ceduazione: pioppo (cinque specie e ibridi appartenenti al

genere Populus), salice (Salix Alba), robinia pseudo-acacia, eucalitto

(E.camaldulensis e E.globulus). Le sperimentazioni più complete riguardano

i due cloni Lux e L.Avanzo.

La densità di impianto è elevata, fino a 10-15000 piante/ha. Per l’impianto si

utilizzano delle talee ricavate da getti di un anno (barbatelle) con diametri di

circa 10 mm; questi fusti vengono tagliati in modo da ottenere talee di

lunghezza compresa tra 25 e 50 cm, successivamente interrate con una

trapiantatrice per talee.

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Capitolo 3

71

Le sperimentazioni sono state realizzate negli anni compresi tra il 1994 e il

1998, come illustrato nella tabella seguente. Ogni anno le parcelle sono

state in parte ceduate in modo da poter determinare l’andamento delle

crescite dei cedui e delle piante intere.

Densità Lux L.Avanzo Spaziatura

5700 1994 1994 2,5 x 0,7

7100 1994 1994 2 x 0,7

10000 1995 2 x 0,5

6000 - 18000 1995

10000 1996 1995 2 x 0,5

5000 - 20000 1996 1996

A queste si devono aggiungere le prove di SRF effettuate dall’ISP (Istituto

Sperimentale per la Pioppicoltura) a Casale Monferrato e a Spello nei primi

anni ’90. In particolare sono state usate le sperimentazioni alla densità di

3300 talee/ha, proseguite per 6 anni, che hanno interessato i cloni Lux e

L.Avanzo esaminati in questo studio.

3.3 FILIERA di PRODUZIONE del PIOPPO

Le operazioni effettuate sono rappresentate in tabella 3.3 e verranno ora

illustrate e giustificate in dettaglio:

Fasi del ciclo

produttivo

Operazioni svolte Attività

Preparazione del

terreno

Aratura Passaggio con aratro

trivomere

Erpicatura Due passaggi con erpice a

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Capitolo 3

72

disco

Concimazione di fondo Passaggio con spandiconcime

Impianto Messa a dimora talee Immersione in acqua delle

talee

Impianto

Cure Colturali Diserbo Spandimento

Rifornimento

Fresatura sulla fila Passaggio con la fresa

irrigazione Installazione impianto

Aspersione acqua

Smontaggio impianto

Trattamenti insetticidi Aspersione con barra

Concimazione in copertura Concimazione

Rifornimento

Raccolta Taglio Passaggio con la macchina

Raccolta Formazione dei cumuli a

bordocampo

Essiccazione Formazione del carico Cippatura

Carico dei container

Ripristino Dicioccatura Passaggio con fresa

Tab. 3.3 - Fasi di lavorazione di una coltura a breve turno di rotazione

3.3.1 PREPARAZIONE del TERRENO e IMPIANTO

La preparazione del terreno è molto importante per il successo della

coltivazione. La sua esecuzione assorbe una quantità elevata dei costi totali

da eseguire sulla piantagione.

L’aratura viene eseguita a fine estate utilizzando un aratro reversibile

trivomere (profondità di lavoro 30 cm.), abbinato a un trattore in grado di

erogare una potenza nominale di 80 KW e di operare con una velocità di

avanzamento di 4,8 Km/h e con una larghezza di lavoro di 1,27m. La tabella

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Capitolo 3

73

3.4 mette in evidenza i tempi di lavoro rilevati per lo svolgimento di questa

operazione che consente di raggiungere una capacità operativa di 1,98

h/ha.

L’erpicatura e l’affossatura sono lavori di affinamento del terreno che

possono essere effettuati appena prima della messa a dimora;

contemporaneamente vengono eseguiti anche i lavori di concimazione di

fondo, in modo che l’erpicatura e l’affossatura permettano l’interramento dei

concimi fosfatici e potassici; fosforo e potassio hanno infatti scarsa mobilità

nel terreno.

L’erpicatura viene eseguita con due passaggi, al fine di raggiungere un

ottimale grado di amminutamento del terreno, è impiegato un erpice rotante

a denti verticali abbinato a un trattore di 80 Kw. La velocità di avanzamento

è di 5,8 Km/h. I tempi di raccolta della tabella 3.2 mostrano una capacità di

raccolta di 1,29 h/ha. Tra un passaggio e l’altro può avvenire la

concimazione di fondo.

L’affossatura è eseguita con una motrice in grado di erogare una potenza di

100 CV (Agrifull 100) accoppiato con un affossatore della larghezza di 1m. i

tempi di lavoro effettivi e accessori sono rispettivamente di 0,74 h/ha e 0,37

h/ha.

La concimazione di fondo viene effettuata solo durante il primo anno tra i

due passaggi dell’erpicatore, distribuendo i concimi fosfatici e potassici. La

distribuzione dei concimi azotati produrrebbe infatti un aumento della vigoria

delle infestanti.

L’operazione viene effettuata usando uno spandiconcime centrifugo dotato

di tramoggia abbinato ad un trattore di 51 KW. (Si è ipotizzata la distanza di

1 Km tra il cantiere e il centro aziendale di rifornimento).

La velocità di avanzamento è di 7,9 Km/h, che tenendo conto dei tempi di

rifornimento e di trasferimento risulta in grado di raggiungere una capacità

operativa di 1,3 h/ha.

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Capitolo 3

74

La messa a dimora delle talee avviene con una macchina trapiantatrice,

simile a quella generalmente utilizzata in vivaio. Per il suo trascinamento è

sufficiente l’impiego di trattori di media potenza nominale (70 CV). E’

costituita da un cingolo metallico costituito da 42 maglie. All’interno di ogni

maglia è fissato un cilindro del diametro di 5 cm nel quale scorre un pistone

caratterizzato da una corsa di 23 cm. Quando la maglia si trova nella parte

superiore il pistone scorre verso il basso per peso proprio permettendo

all’addetto di introdurre la talea nel cilindro.

Nel corso del rotolamento, il pistone si sposta progressivamente verso il

basso per effetto di uno scivolo collegato al telaio conficcando la talea nel

terreno. Il cantiere risulta composto da cinque unità lavorative: una alla

guida del trattore, due sulla macchina trapiantatrice e due a bordo campo

che provvedono al riempimento dei vassoi e al rifornimento della macchina

trapiantatrice.

La velocità di avanzamento della macchina trapiantatrice è risultata essere

di 0,5 Km/h e una capacità di lavoro operativa di 8,81 h/ha.

3.3.2 LE CURE COLTURALI

Il diserbo si esegue con interventi di tipo chimico e meccanico. Per

eseguire l’operazione di diserbo chimico si utilizza una botte da diserbo con

irroratrice dotata di una barra di 9 m. Anche in questo caso si usa una

macchina di media potenza (80 CV). I tempi di lavoro sono stati di 2 h per

una superficie di 10092 m2 di superficie.

Il tempo richiesto è dunque di 1,98 h/ha. Il diserbo è da considerare in pre

emergenza poiché viene effettuato una sola volta dopo l’impianto delle talee

e dopo ogni ceduazione. Il diserbo è stato effettuato con pendimetalin +

linuron e metolaclor alle dosi di 0,8 Kg/ha + 0,5 Kg/ha + 1,7 Kg/ha.

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Capitolo 3

75

L’operazione di diserbo meccanico si intende sulla fila o nell’interfila.

L’operazione lungo la fila richiede un tempo di 5,1 h/ha con una sola unita

operativa, cioè con un solo addetto, utilizzando un trattore con la potenza di

50 CV che trascina una fresa con una larghezza di 1,7 m. L’operazione

nell’interfila ha una durata più breve, pari a 2,22 h/ha e viene eseguita da un

trattore di bassa potenza di 35 CV che trascina una fresa. In totale vengono

eseguiti due trattamenti interfila e un trattamento sulla fila. Il trattamento

viene ripetuto dopo ogni ceduazione.

Gli Interventi insetticidi sono dovuti all’alta densità di impianto e al

risultante microclima molto umido che si crea all’interno delle piantagioni

SRF, sono condizioni favorevoli allo sviluppo di parassiti come l’afide

lanigero del pioppo e le cocciniglie che sono in grado di compromettere la

vitalità dei giovani ricacci. Gli ambienti umidi sono anche favorevoli ad alcuni

defogliatori come Phyllodecta vitellinae e a malattie fogliari come le ruggini

(Melampspora) e la bronzatura (Marssonina brunnea), che possono

provocare importanti perdite di produzione. Le frequenti ceduazioni

favoriscono l’insediamento sulle ceppaie di consistenti popolazioni di insetti

corticicoli e xilofagi tra i quali il più importante è il punteruolo del pioppo

(Cryptorhynchus lapathi). Con il passare degli anni, la piantagione

ripetutamente sottoposta a ceduazione può subire fenomeni di stress che

possono predisporre le piante ad attacchi di parassiti fungini corticali, quali

Phomopsis spp, Cytospora spp. e, in modo particolare Discosporium

Populeum. I teneri ricacci delle ceppaie costituiscono il cibo favorito della

Chrisomela populi, le cui defogliazioni possono avere pesanti ripercussioni

in relazione alla delicata fase vegetativa della pianta.

Il controllo fitosanitario dei parassiti nelle piantagioni presenta problemi di

ordine economico, ambientale e tecnico. Infatti l’alta densità ostacola il

movimento dei mezzi e la distribuzione dei prodotti antiparassitari sui fusti e

sulle chiome. Inoltre è problematico raggiungere i parassiti xilofagi che

vivono all’interno delle ceppaie. Per questo motivo occorre evitare siti di

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Capitolo 3

76

impianto con condizioni pedoclimatiche sfavorevoli o prossime a sorgenti

naturali di infestazione quali possono essere pioppeti o saliceti abbandonati.

Con adeguate cure colturali le piante vengono mantenute in condizioni di

vigoria, condizione che in molti casi è sufficiente a limitare le conseguenze

degli attacchi. Il Cryptorhynchus lapathi è l’unico insetto che è consigliabile

controllare innanzitutto utilizzando effettuando un’attenta sorveglianza in

modo da poter intervenire tempestivamente con un trattamento chimico in

caso di necessità, dato che l’insetto ha una capacità di spostamento di un

centinaio di metri all’anno, il trattamento può essere circoscritto alla sola

zona infetta e alle zone limitrofe. Nell’esperimento di Coltano non sono mai

stati effettuati trattamenti di controllo su questo tipo di insetto. La mancanza

di qualsiasi trattamento ha generato la presenza del tarlo vespa e la

presenza di ruggine. L’osservazione fondamentale però è che la densità

influenza in modo positivo le infezioni, per cui ci si può aspettare che a

densità più elevate si rendano necessarie piccole operazioni di disinfezione

da effettuarsi con gli stessi mezzi utilizzati per i trattamenti erbicidi. Si

considera che vengano effettuati solo in caso di necessità.

Interventi irrigui: negli esperimenti eseguiti a Coltano non si sono verificate

differenze fra la realizzazione di piantagioni in regime irriguo e non irriguo; in

ogni caso un intervento di soccorso potrebbe rendersi necessario dopo la

messa a dimora, in questo caso viene eseguito con il metodo a pioggia. Non

deve quindi considerarsi come una cura colturale vera e propria ma come

un’operazione che consente l’attecchimento delle talee. Viene eseguita con

una motopompa della potenza di 75 Kw per la messa in pressione

dell’acqua e un carro bobina che alimenta, per mezzo di un tubo flessibile,

un irrigatore mobile. Nei terreni dove la falda è accessibile alle radici del

pioppo non si rendono necessari interventi di irrigazione.

Nelle parcelle dove è stata effettuata ha richiesto un tempo di 7 h/ha tre

delle quali necessarie per l’installazione dell’impianto.

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Capitolo 3

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La concimazione in copertura viene eseguita tutti gli anni dopo ogni

ceduazione distribuendo urea (46% di azoto) in copertura, in quantità di

circa 50 kg/ha/anno; quest’operazione si ripete ad ogni taglio in modo che i

quantitativi di azoto siano limitati e non subentri una percolazione in falda.

3.3.3 La RACCOLTA e il TRASPORTO

La raccolta della biomassa può essere effettuata ogni 2, 3, 4 anni a

seconda della densità di impianto e della fertilità della stazione. Il limite

massimo dimensionale delle piante o dei polloni per poter utilizzare le

cippatrici semoventi attualmente disponibili è di 10 cm da terra.

Il periodo di raccolta corrisponde al periodo di riposo vegetativo, infatti una

raccolta dopo la germogliazione può causare un indebolimento della vitalità

delle ceppaie. Nel periodo invernale in Italia i suoli sono normalmente umidi

o molto umidi, raramente gelati e l’utilizzo dei prototipi esistenti piuttosto

pesanti, realizzati per le condizioni climatiche del nord Europa (terreni

gelati), possono incontrare difficoltà perché affondando nel terreno possono

modificarne la struttura e rovinarne le ceppaie.

I principali metodi di raccolta che sono stati messi a punto nel nord Europa

dove le coltivazioni a rapido accrescimento vengono effettuate ormai da

molti anni vengono brevemente descritte. Accanto a queste viene anche

descritto il prototipo messo a punto dalla ditta Berni in Italia.

Tutte le macchine si distinguono in due categorie, quelle che effettuano il

semplice taglio della pianta e la legatura del materiale raccolto e quelle che

eseguono anche la cippatura della materia prima. La scelta di una o

dell’altra modalità di raccolta dipende da come si intende eseguire

l’essiccazione della biomassa e dai pesi massimi delle macchine che

possono calpestare il terreno senza provocare eccessivo compattamento,

danneggiando gli apparati radicali.

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Capitolo 3

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• Autosoft 7700: è una macchina prodotta in Australia dove viene

prodotta per la raccolta della canna da zucchero e successivamente

adeguata alla raccolta delle colture legnose a rapido accrescimento. La

macchina ha un apparato frontale di 0,9 m ed è in grado di raccogliere

file binate ed è regolata in altezza idraulicamente. Le caratteristiche della

macchina sono di avere elevata potenza (motore Caterpillar di 176 Kw) e

una massa notevole (12,5 ton). La macchina è munita di due coclee

elevatrici e spartitrici che convogliano le piante verso l’apparato di taglio

costituito da due seghe circolari di 750 mm. Il prodotto passa poi

attraverso due lame montate longitudinalmente, che trinciano le piante in

pezzi di dimensioni tra i 4 e i 6 cm detti “chunk”. Il prodotto viene

scaricato su un carro che procede affiancato alla raccoglitrice da un

tappeto elevatore che può essere orientato a destra o a sinistra della

raccoglitrice. La velocità di raccolta è di 3-4 Km/ora e una capacità di

lavoro tra 0,4 e 0,6 ha/h.

• Pulvtech: è una raccoglitrice trainata da un trattore, monta però un

trattore proprio che alimenta con trasmissione idraulica gli apparati di

raccolta e cippatura. La macchina raccoglie file binate, trincia il prodotto

e lo scarica su un carro trainato posteriormente.

• MBB Biber: La macchina è cingolata in gomma, larga 1,81 m con una

massa di 4,3 ton. Monta un motore da 51,4 KW che alimenta tutti gli

organi della macchina eccetto la cippatrice fornita di motore proprio.

L’apparato di taglio è posto sulla sinistra della macchina, tra i cingoli, ed

è costituito da due lame circolari di 300 mm di diametro che effettuano il

taglio delle piante su una singola fila. Successivamente una coppia di di

catene di 2 m trasportano ed elevano le piante fino ad un’altezza di 1,05

m da terra, mantenendole in posizione verticale. Le piante vengono

convogliate in questo modo verso l’apparato cippatore costruito dalla

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Capitolo 3

79

ditta Jensen e munito di una doccia di scarico che procede lateralmente

alla raccoglitrice.

• Mahcksler: è in grado di raccogliere una fila alla volta e scarica il

prodotto di dimensioni di circa 100 mm su un carro ribaltabile

lateralmente della capacità di 5 t, trainato dal trattore stesso. L’organo di

taglio è costituito da una lama a spirale terminante in coltello verticale

che agisce contro un incudine.

• Claas Jaguar 695: la testata è in grado di raccogliere file binate a 0,75 m

di distanza. L’organo di taglio è costituito da due lame circolari di 700 mm

di diametro e 5 mm di spessore contro rotanti. Il prodotto tagliato è

forzato a passare all’interno della testata da tamburi rotanti dalla parte

basale e viene quindi sospinto verso l’apparato trinciante costituito da

coltelli mobili fissati su un tamburo rotante e da un controcoltello fisso. La

velocità effettiva di avanzamento è di 5,6 Km/h, il rendimento di impiego è

di 0,84 rispetto al tempo operativo. La macchina è ovviamente

accompagnata da un carro che raccoglie lateralmente il prodotto cippato.

• Bender 125 Kw: questa macchina è portata anteriormente da una

trattrice JCB Fastrac, equipaggiata con un container ribaltabile con la

capacità di 13 m3. La macchina raccoglie due file binate a distanza di

0,75 m di distanza. La caratteristica fondamentale è che le piante

vengono forzate ad entrare all’altezza di 1,5 m e non dalla parte basale.

• Loughry (Inghilterra): la macchina è trainata da una trattrice di almeno

80 KW, dalla quale deriva il moto degli organi di raccolta. Dopo aver

attraversato l’apparato di taglio, viene convogliato ad una tramoggia a

forma di v collocata posteriormrnte. Una volta riempita la tramoggia, il

prodotto viene legato in fasci e successivamente scaricato a terra.

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Capitolo 3

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• Nicholson: è trainata da un trattore di almeno 80KW. Le piante vengono

afferrate, tagliate alla base e poi trasportate verso la camera di legatura

dove vengono formati e legati i fasci.

• Prototipo Ditta Berni: è montato in posizione posteriore-laterale ad un

trattore che deve essere di almeno 77 kW di potenza; l’apparato di

raccolta è nella parte laterale, costituito da un organo tastatore che ha la

funzione di posizionare la macchina sulla fila delle piante da raccogliere,

un organo di taglio costituito da una sega circolare di 500 mm di diametro

e 4 mm di spessore e un organo di trasporto lungo 2,2 metri posto

superiormente alla macchina e costituito da una coppia di cinghie

gommate controrotanti. Le cinghie sono spinte una contro l’altra da otto

coppie di rulli per parte grazie a delle molle d’acciaio ed hanno la

funzione di afferrare la pianta, una volta tagliata dall’apparato di taglio, e

trasportarla in posizione eretta verso la parte posteriore della macchina

dove cadrà su un carro trainato dalla macchina stessa.

La caratteristica delle macchine raccoglitrici è quella di scaricare le piante

tagliate e rilegate in fasci direttamente sul suolo, col risultato di dover

intraprendere costose operazioni di raccolta successive utilizzando

macchine forestali munite di braccio idraulico. Il prototipo della ditta Berni ha

il pregio di accumulare le piante su un carro posteriore che può essere

periodicamente svuotato, che però provoca un aumento dei tempi accessori.

Si è considerato che il modello colturale preveda la raccolta con una

macchina che esegue solo il taglio, e che il cantiere comprenda anche un

trattore munito di rimorchio ribaltabile a due assi e elevatore a forca che

trasporta le piante intere nel punto dove avviene l’essiccazione e forma i

cumuli.

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Capitolo 3

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In tabella 3.5 sono mostrati i tempi di taglio e raccolta misurati a Casale

Monferrato utilizzando la macchina della ditta Berni e un trattore con la

potenza di 80 kW.

Dicioccatura: e’ una operazione necessaria per ripristinare le condizioni

colturali preesistenti la coltivazione del pioppo. Per l’esecuzione di tale

operazione si usa un erpice rotante a denti orizzontali con una larghezza di

lavoro di 1,5 m abbinato a un trattore di potenza nominale di 80 kW che

procede con una velocità di circa 1 km/h. Il tempo operativo di questo

cantiere, gestito da un unica persona è di 4,9 h/ha.

3.3.4 ESSICCAZIONE

Se si effettua la cippatura del materiale durante la raccolta si devono

realizzare dei cumuli di materiale granulare con altezza di 3,5 m. Altezze

superiori non sono consentite dalle attrezzature normalmente utilizzate nelle

aziende agricole. La lunghezza del cumulo è di 15 m e la larghezza è di 9 m,

mentre la distanza fra due cumuli adiacenti non può essere inferiore ai 6 m.

Sperimentazioni eseguite dal C.T.I. (Comitato Termotecnico Italiano) hanno

individuato i tempi e le modalità migliori che consentono di effettuare

l’esecuzione dell’operazione di essiccazione.

Quattro alternative sono state messe a confronto, in presenza o meno di

copertura e di apparato di ventilazione. L’aerazione viene ottenuta

utilizzando tubi in PE del diametro di 0,3 m fessurati trasversalmente

mediante motosega, interessando un arco di circa 120° e distesi con un

interasse di 1m. La copertura è invece ottenuta con un film opaco di colore

bianco in PVC zavorrato con pneumatici di scarto.

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Capitolo 3

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ALT.1 Cumulo non ventilato scoperto

ALT.2 Cumulo non ventilato coperto

ALT.3 Cumulo ventilato scoperto

ALT.4 Cumulo ventilato coperto

Tab. 3.4 - Alternative di essiccazione del cippato di pioppo.

Le sperimentazioni sono state eseguite in modo da poter rilevare, su base

trimestrale, la perdita di sostanza secca e il procedere dell’essiccazione

mediante il rilievo delle temperature interne dei cumuli. L’andamento

registrato ha indicato un contributo poco significativo sulla velocità di

essiccazione della copertura nella tesi ventilata.

Rispetto ai cumuli non ventilati la copertura ha avuto effetto addirittura

negativo, rallentando notevolmente l’essiccazione rispetto alla tesi scoperta.

La rimozione finale dei cumuli, avvenuta dopo 10 mesi di essiccazione ha

consentito un’analisi dettagliata delle perdite di sostanza secca (s.s.) e di

distribuzione dell’umidità.

Umidità iniziale(%)

Umidità finale(%)

∆∆∆∆s.s.

(%)

Alt.1 58,2 62,1 12,7

Alt.2 58,2 61 22,6

Alt.3 58,2 60,5 12,3

Alt.4 58,2 55,3 12,3

Tab. 3.5 - Rendimenti di essiccazione

Come si osserva tutte le tesi ad eccezione dell’ultima al termine della

sperimentazione presentavano un valore di umidità superiore a quello

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Capitolo 3

83

iniziale. Ciò è dovuto al fatto che circa il 50 % del cumulo ha abbassato il

suo tenore di umidità mentre la rimanente parte (porzioni esterne e a

contatto con il terreno) lo ha incrementato.

In termini di massa volumica apparente, i cumuli sono da considerare

standard, in quanto, rapportando massa e volume si ottiene un valore di

circa 325 Kg/m3 per il tal quale e di 130 kg/m3 per la sostanza secca.

Bisogna sottolineare che l’essiccazione del cippato non è da scartare a priori

in seguito ai risultati di questi esperimenti perché se attuati sotto tettoia e

con pavimentazione che eviti l’imbibimento degli strati a contatto col terreno

determinano una diminuzione dell’umidità entro valori accettabili entro 1,5

mesi come indicato dall’andamento delle temperature registrate per gli

stessi cumuli esaminati in questi esperimenti prima che si verificassero

piogge tali da determinare un recupero del tenore di umidità.

In alternativa al metodo appena descritto è possibile effettuare cumuli di

piante intere. I cumuli hanno dimensioni di 15m di lunghezza, 7 di larghezza

e 3,5 di altezza. In questo caso le perdite di sostanza secca e di umidità

sono risultati essere:

Umidità iniziale

(%)

Umidità finale

(%) ∆s.s.

(%)

61 19 21,6

Tab. 3.6 - Efficienza di essiccazione di cumuli di piante intere

I valori elevati di perdita di sostanza secca ottenuti sono dovuti alla

lunghezza della prova (1 anno e due mesi), ma i valori di temperatura

registrati indicano che valori medi di umidità attorno al 20% sono ottenibili in

intervalli di tempo più brevi (4 mesi), con perdite di sostanza secca del 10 %.

Miglioramenti significativi si potrebbero ottenere sollevando da terra il

cumulo delle piante in modo da evitare l’imbibizione dello strato a contatto

con il terreno. Tale sollevamento potrebbe essere costituito dalle stesse

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Capitolo 3

84

piante lasciate in loco e consente di ottenere valori di umidità attorno al 15

%. I tempi di lavoro dell’operazione di cippatura non sono stati rilevati, di

conseguenza si è considerato il tempo necessario per eseguire la raccolta e

la cippatura in campo con una falciatrinciacaricatrice (modello bender 125).

Nel seguito del lavoro questo stesso dato è stato usato per valutare i costi

economici ed energetici delle operazioni di raccolta e cippatura, nell’ipotesi

che eseguirli contemporaneamente o in due fasi distinte comporti gli stessi

costi. Nella tabella 3.7 sono riportate tutte le operazioni colturali eseguite e i

tempi di realizzazione.

OPERAZIONI 1° ANNO

(n° di operazioni)

ANNO della CEDUAZIONE

(n° di operazioni)

Aratura 1

Erpicatura 2 2

Concimazione di fondo 1

Concimazione in copertura 1 1

Diserbo chimico 1 1

Diserbo meccanico 2 2

Impianto 1

Raccolta 1

Trattamenti insetticidi 1 1

Taglio 1

Raccolta 1

Essiccazione 1

Dicioccatura 1 (Alla fine del ciclo)

Tab. 3.7 – Modello colturale adottato

3.4 RILIEVO dei TEMPI di LAVORO

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Capitolo 3

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Come già detto di tutte le operazioni svolte durante la coltivazione sono stati

rilevati i tempi di esecuzione e il numero di persone che gestiscono il

cantiere. I tempi determinati sono il tempo effettivo e quello accessorio la cui

somma è il tempo operativo di cantiere, che è il parametro utilizzato per

valutarne la capacità operativa. I risultati che si sono ottenuti sono riportati in

tabella 3.8.

Tempo effettivo (Te) = tempo macchina

Tempo accessorio (Ta) = tempo necessario per lo scarico, il carico, le

voltate, i tempi morti e le manutenzioni; in genere i tempi morti vengono

scorporati dal tempo accessorio ma nel nostro caso erano rilevati in

un’unica grandezza.

Operazione Tempo

accessorio

(h/ha)

T effettivo

(h/ha)

T operativo

(h/ha)

n. operatori T uomo

(h/ha)

Aratura 0,5 1,48 1,98 1 1,98

Erpicatura 0,19 1,1 1,29 1 1,29

Affossatura 0,37 0,74 1,11 1 1,11

Concimazione di fondo 0,19 1,11 1,3 2 2,6

Messa a dimora 0,37 4,44

4

4,81

4

3

2

14,43

8

Diserbo 0,37 1,11 1,98 1 1,98

Diserbo interfila 2,22 2,22 1 2,22

Trattamenti insetticidi 0,37 1,11 1,98 1 1,98

Concimazione di

copertura

0,25

0,25

0,6

0,75

0,85

1,1

1

1

0,85

1,1

Taglio

(se effettuato con

raccolta di piante intere)

0,52 0,78 1,3 2 2,6

Formazione dei cumuli 2,87 2,63 5,5 1 5,5

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Capitolo 3

86

Cippatura 0,56 0,94 1,5 3 4,5

Dicioccatura 0,1 4,8 4,9 1 4,9

** si tratta dei valori di cippatura e raccolta cumulati

Tab. 3.8 - Tempi di lavoro registrati

3.5 CARATTERISTICHE del PRODOTTO FINITO

Il prodotto finito è caratterizzato dalla distribuzione nelle classi diametriche

delle particelle raccolte, dalla quantità di sostanza secca presente e dal

potere calorifico inferiore.

• Distribuzione nelle classi diametriche

Distribuzione percentuale nelle classidiametriche

8,2

45,840

5,3

Mat. Fine (0-5 mm) Chip piccolo (5-25 mm)

Chip medio (25-50 mm) Chip largo (50-75 mm)

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Capitolo 3

87

• Il potere calorifico inferiore del materiale cippato è stato determinato

dopo l’essiccazione in cumuli interi e del materiale alla raccolta. La

materia secca è definita come la percentuale in massa dopo la

permanenza in stufa a 105 °C per un punto sufficiente a stabilizzare la

massa.

LHV (MJ/kg di s.s.) Massa volumica tal quale (kg/m3) s.s. %

17,24 (17,2-17,34) 150,2 80-85%

Tab. 3.9 – Caratteristiche del prodotto finito

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Capitolo 4

88

4 Il MODELLO della COLTURA

4.1 PRODUTTIVITA’ della COLTURAIl metodo generalmente seguito per la determinazione della produttività di

una coltura arborea è quello delle tavole alsometriche, che riportano i metri

cubi di materiale prodotto per ettaro in funzione del tempo. Queste tavole

sono costruite a partire da piante campione, rappresentative della fertilità

dell'area e della coltura che si sta esaminando, devono dunque essere

prelevate da aree che rappresentano la fertilità media della zona e devono

essere sufficientemente rappresentative di tutte le classi diametriche

presenti. Il campionamento deve essere ripetuto per ciascuna delle età a cui

si vogliono calcolare i volumi, generalmente con un intervallo variabile dai

due ai cinque anni. I volumi sono calcolati molto semplicemente

moltiplicando il volume della pianta media del campione per il numero di

piante presenti.

La scelta di stimare la produzione volumetrica piuttosto che quella massica

è dovuta al fatto che il prezzo di vendita varia con le dimensioni del

materiale prodotto. Per questo motivo la produzione è spesso suddivisa in

tre assortimenti mercantili, tronchi (diametro maggiore o uguale a 22 cm.),

tronchetti (con diametri compresi fra i 12 e i 22 cm.) e cimale (con diametri

inferiori ai 12 cm.).

Le curve alsometriche hanno un tipico andamento ad "S", che volge

inizialmente la convessità verso l'asse delle ascisse per divenire, dopo il

punto di flesso, concava rispetto allo stesso asse.

Sulla curva alsometrica si eseguono le seguenti elaborazioni:

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Capitolo 4

89

### calcolo dell'incremento corrente, definito come l'aumento di volume fra

due anni consecutivi;

### calcolo dell'incremento medio, definito come il volume complessivo

diviso il numero di anni trascorsi;

### calcolo dell'incremento percentuale, definito come il rapporto tra

incremento corrente e incremento totale.

Le curve alsometriche seguono le leggi dell'auxonomia:

### l'incremento corrente culmina sempre prima dell'incremento medio;

### quando l'incremento medio è crescente, massimo o decrescente,

l'incremento corrente risulta, rispettivamente, maggiore uguale o minore

dell'incremento medio;

### l'incremento percentuale è sempre decrescente e presenta concavità

rivolta verso l'alto.

Il turno di taglio si stabilisce nell'anno in cui l'incremento medio raggiunge il

suo valore massimo, attendere ulteriormente significherebbe solo avere

delle perdite rispetto alla massima produttività potenziale (ottima).

Anche per le coltivazioni arboree ad uso energetico si può usare la

metodologia descritta per la selvicoltura tradizionale, sostituendo al volume

le tonnellate di sostanza secca raccolta. I rilevamenti vengono inoltre

effettuati annualmente a causa del brevissimo ciclo di taglio cui sono

sottoposte le piantagioni, infatti l’incremento medio raggiunge il massimo in

un numero limitato di anni (2-4anni).

La saturazione così rapida delle crescite è da attribuire alla reciproca

interferenza fra le piante, poste a distanze molto ravvicinate. Nella

selvicoltura tradizionale, dove i sesti d'impianto sono molto ampi (4 x 4, 5 x

5), questi problemi non si presentano e la curva alsometrica si può ritenere

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Capitolo 4

90

quella di crescita fisiologica della pianta in quella località. Nelle figure

seguenti 4.1 e 4.2 sono riportate alcune produttività rilevate a Coltano.

Fig. 4.1 – Crescita fino al terzo anno di età di due cloni per la densità di

5700 talee/ha

Fig. 4.2 – Crescita fino al terzo anno di età di due cloni per la densità di

7100 talee/ha

Curve alsom etriche - densità 5700

0

5

10

15

20

25

30

0 1 2 3 4

anni

Lux L.Avanzo

Curve alsom etriche - densità 7100

0

5

10

15

20

25

30

0 0,5 1 1,5 2 2,5 3 3,5

anni

Lux L.Avanzo

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Capitolo 4

91

Il metodo classico dell’auxonomia poc’anzi descritto, considera come unica

variabile di decisione il turno di taglio che deve essere stabilito in modo da

massimizzare le produzioni ottenibili.

Nel caso delle coltivazioni energetiche esiste anche un’altra grandezza

fondamentale che deve essere fissata, la densità di impianto iniziale.

Questa variabile infatti determina gli effetti competitivi tra le pioppelle e può

fare in modo che a fronte di un aumento dell’investimento per i costi di

impianto, non corrisponda una crescita adeguata della produttività.

Per questo motivo si è deciso di affrontare il problema usando due obiettivi,

la produttività ottenibile e i costi di investimento e gestione della coltivazione,

da ottimizzare rispetto alle variabili di decisione.

La formulazione degli obiettivi è contenuta nel capitolo 5, mentre nei

paragrafi successivi viene elaborato un semplice modello per la descrizione

del sistema, necessario per affrontare il problema in questo modo.

4.2 MODELLO del SISTEMA

Il sistema viene descritto con un’unica variabile di stato, la quantità di

biomassa secca presente, che evolve seguendo un modello tempo discreto

non lineare. La scelta di considerare la biomassa secca piuttosto che quella

verde non è dovuta a motivi concettuali, ma al fatto che tutti i dati rilevati

sono espressi in funzione di questa variabile.

Xt+1 = xt + xt * g (t, xt ) (4.1)

xt = quantità di biomassa secca presente

g (t, xt) = coefficiente di crescita

t = età della piantagione

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Capitolo 4

92

Questa rappresentazione è approssimata, perchè volendo descrivere il

sistema con esattezza si dovrebbe determinare il tasso di crescita in

funzione dell'età e della densità di impianto iniziale d, ottenendo le curve di

crescita nel tempo, tradizionalmente considerate con i metodi

dell'auxonomia:

xt+1 = xt + xt * g (t, d)

xt = quantità di biomassa secca presente

g (t, d) = coefficiente di crescita

d = densità di impianto

t = età della piantagione

Il problema non è affrontabile in questo modo poichè non sono disponibili

dati sufficienti, per questo motivo si ricorre ad una descrizione semplificata

del sistema in cui l'accrescimento viene determinato in funzione della

biomassa presente e dell'età della pianta.

La scelta dell'età è ovvia poichè da questa dipende la capacità di sviluppo

delle pioppelle, mentre l’introduzione della biomassa per ettaro viene fatta

per comprendere nel sistema gli effetti competitivi. E' intuitivo infatti che, a

parità di età, tanta più biomassa per ettaro è presente nella piantagione

tanto più elevati sono i fenomeni di interferenza reciproca fra gli individui.

Un'ulteriore semplificazione viene introdotta considerando separabile la

funzione g(t, xt) in modo da poter scrivere:

xt+1 = xt + xt * g (t) * g (xt) (4.2)

g(t) = coefficiente di crescita generazionale

g(xt) = coefficiente di crescita competitivo

L'ipotesi fondamentale di questo modello è di trascurare la mutua

dipendenza della densità e dell'età sull'accrescimento della pianta, e di

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Capitolo 4

93

considerarli invece agenti separatamente. L'assunzione riguardante il

comportamento delle piante che si formula in questo modo è quella di

considerare i fenomeni di competizione indipendenti dall'età e funzione solo

della quantità di biomassa presente per ogni ettaro di piantagione. Questa

assunzione è supportata da una serie di osservazioni sperimentali effettuate

in passato su vivai di pioppo e ripetuti in questa circostanza, e dal fatto che

la crescita prosegue per un numero breve di anni in cui il comportamento

della pianta si può considerare paragonabile.

La prima dimostrazione della validità di queste assunzioni si ha dalle prove

effettuate in regime irriguo: somministrando volumi di acqua sufficienti per

mantenere durante tutto il periodo vegetativo l'umidità del terreno su valori

idonei per la crescita delle piante (intorno al 60-70% della capacità di

campo), anziché effettuare una sola irrigazione all’inizio del periodo

vegetativo, non si sono evitati gli effetti negativi dovuti all'alta densità.

Non si può dunque interpretare questo tipo di competizione soltanto in

termini di concorrenza idrica e/o nutrizionale, ma si deve portare l'attenzione

sul fatto che si tratta di piante costrette a vivere in condizioni di spazio e di

luce inadeguate ad un loro armonico sviluppo. La limitata disponibilità di

questi ultimi fattori vitali non può essere compensata da abbondanza di

acqua e di elementi nutritivi.

Avendo eliminato la competizione idrica e nutrizionale non si sono ottenuti

aumenti statisticamente significativi della produttività, dunque i fattori

determinanti per generare la competizione sono lo spazio e la luce. La

carenza di questi due fattori è ben rappresentata dalla quantità di biomassa

presente.

Per quanto riguarda la competizione per i nutrienti si può fare riferimento

all'analisi fogliare effettuata sulle piante a diverse età. Il risultato è espresso

nella tabella 4.1.

Si deve notare che il fabbisogno di nutrienti è espresso per unità di sostanza

secca presente e che la differenza fra due anni consecutivi non è marcata.

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Capitolo 4

94

Dunque se esiste competizione per i nutrienti si può affermare che è ben

rappresentata dalla densità di biomassa indipendentemente dall'età della

pianta.

Anni N2 (Kg/tss) P2O5 (Kg/tss) K2O (Kg/tss)

1 6,9 3,1 5,2

2 5,6 2,1 4,2

3 4,7 2 3,9

4 4,1 1,7 3,6

Tab. 4.1 - Richiesta di nutrienti nel tempo

Il fatto di confrontare due anni consecutivi e non la variazione complessiva

sui quattro anni non deve stupire: nell’intervallo di impianto considerato

(2500-20000 piante /ettaro), non succede mai che la biomassa presente

all’anno t+1 per la densità più bassa sia inferiore a quella presente all’anno t

per la densità più elevata. Questo significa che aumentando la densità di

impianto si riesce ad anticipare la quantità ottenibile di un anno al massimo.

Si tenga conto però che questo tipo di competizione viene mitigato dalla

concimazione iniziale che è una delle cure colturali fondamentali eseguite

prima dell'impianto.

L'ultima verifica indiretta possibile è legata al rapporto di snellezza che è il

rapporto fra l'altezza e il diametro della pioppella, e che nelle rilevazioni di

vivaio è considerato il miglior parametro per definire la competizione.

Quando la pianta si trova a crescere in condizioni non adeguate, presenta

uno sviluppo insufficiente del diametro che determina un aumento del

rapporto H/D. Anche l’altezza totale tende a diminuire ma in misura molto

minore, probabilmente per la tendenza degli individui a crescere il più

possibile in cerca di luce.

Questo parametro è stato determinato in vivaio in funzione della densità di

impianto facendo uso delle rilevazioni che seguono.

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Capitolo 4

95

Per il clone Luisa Avanzo si dispone di una prima serie di prove che va

dalle 4545 alle 15000 talee per ettaro di densità iniziale, sperimentate in

stazioni di diversa fertilità situate in differenti località italiane, Casale

Monferrato, Giarole (Alessandria), Sarmato (Piacenza), Palazzolo (Udine),

Casalotti (Roma). Una seconda serie di prove è stata effettuata a Casale

Monferrato con densità comprese fra le 14500 e le 25000 talee per ettaro su

un terreno molto fertile.

Le densità sperimentate e i sesti d'impianto corrispondenti sono indicati

nella tabella 4.2.

densità sesto d'impianto

(larghezza fila x distanza sulla fila)

Serie 1 4545 2,20 x 1

5050 2,20 x 0,9

5700 2,20 x 0,8

6500 2,20 x 0,7

7600 2,20 x 0,6

9090 2,20 x 0,5

11000 2,20 x 0,4

15000 2,20 x 0,3

Serie2 densità sesto d'impianto

(larghezza fila x distanza sulla fila x

distanza tra le bine)14492 1,1 x 0,8 x 0,6

16667 1,1 x 0,6 x 0,6

21738 1,1 x 0,4 x 0,8

25000 1,1 x 0,4 x 0,6

Tab. 4.2 - Sperimentazioni effettuate in vivaio

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Capitolo 4

96

Le piantagioni sono state seguite per due anni consecutivi. I risultati di

queste prove sono presentati nelle figure 4.3, 4.4, 4.6 e 4.7, in cui sono

riportate le grandezze rilevate.

Fig. 4.3 - Diametri a 10 cm dal suolo al termine del primo anno di vita

Fig. 4.4 - Altezze totali nel primo anno di vita

H per diverse stazioni e diverse densità

1

2

3

4

5

0 5000 10000 15000 20000 25000 30000

Densità

media

Casale

Giarole

Sarmato

Palazzolo

Casalotti

D 10 in diverse stazioni e per diverse densità

1

1,5

2

2,5

3

3,5

0 5000 10000 15000 20000 25000 30000

Densità (talee/ha)

media

Casale

Giarole

Sarmato

Palazzolo

Casalotti

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Capitolo 4

97

La figura 4.5 mostra una prima elaborazione effettuata su questi dati, il

calcolo del rapporto di snellezza per la stazione più fertile, quella di Casale,

per una delle meno fertili, Giarole e per la media dei dati di tutte le stazioni.

Fig. 4.5 - Rapporto di snellezza per il primo anno del clone Luisa Avanzo

L’osservazione fondamentale riguardante questa prima elaborazione è che

la competizione nel primo anno di vita è fortemente influenzata dalla fertilità

della stazione.

Nella coltivazione di Casale Monferrato, dove gli accrescimenti sono i più

grandi in assoluto, i rapporti di snellezza si mantengono notevolmente al di

sotto della media mentre in quella di Giarole, rappresentativa delle stazioni

meno fertili, i valori sono sempre superiori a quelli della media.

Il secondo anno della coltivazione è caratterizzato da una grandezza

differente rispetto al primo, il diametro a 130 cm da terra. Il suo andamento

è riportato in figura 4.6 e mostra una dipendenza ancora più netta con la

densità. Anche l’altezza delle piante mostra una dipendenza maggiore con

la densità (fig.4.7).

Rapporto di snellezza - 1°anno

0,9

1,1

1,3

1,5

1,7

1,9

0 5000 10000 15000 20000

D ensità (talee/ha)

media

Casale

Giarole

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Capitolo 4

98

I dati riportati, esattamente come nel primo anno di vita, si riferiscono alle

medie su campioni statisticamente significativi, in cui si è osservato un

aumento della frequenza nelle classi diametriche più elevate al diminuire

della densità.

Fig.4.6 - Diametro a 130 cm dal suolo per il 2° anno del clone Luisa Avanzo

Fig.4.7 - Altezza totale al termine del 2° anno di vita del clone Luisa Avanzo

D 130 in diverse stazioni e per diverse densità

22,53

3,54

4,55

5,56

6,57

0 5000 10000 15000 20000

Densità (talee/ha)

media

Casale

Giarole

Sarmato

Palazzolo

Casalotti

H per diverse stazioni e densità

44,55

5,56

6,57

7,58

8,59

0 5000 10000 15000 20000

Densità

media

Casale

Giarole

Sarmato

Palazzolo

Casalotti

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Capitolo 4

99

Fig. 4.8 - Rapporto di snellezza al secondo anno del clone L.Avanzo

Dal confronto delle figure 4.5 e 4.8 si nota che la stazione di Casale, che il

primo anno ha un valore del rapporto di snellezza molto inferiore rispetto

alle altre stazioni, nel secondo anno si attesta a valori paragonabili a quelli

medi.

Questo significa che nonostante la quantità di biomassa sia maggiore per

via della più alta fertilità, le piantagioni più fertili hanno subito maggiore

competizione durante il secondo anno per via della maggiore quantità di

biomassa presente. Ancora una volta si conferma che l’elemento

fondamentale che determina la competizione è la quantità di biomassa

presente.

L'applicazione del modello descritto è possibile solo se si dispone delle

condizioni iniziali del sistema, cioè della quantità di biomassa prodotta il

primo anno in funzione della densità d'impianto e dei coefficienti di crescita

R apporto di snellezza - 2°anno

0,9

1,1

1,3

1,5

1,7

1,9

0 5000 10000 15000 20000

D ensità (talee/ha)

media

Casale

Giarole

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Capitolo 4

100

generazionale e competitivo che abbiamo appena definito, la loro

determinazione e i loro andamenti sono descritti nei paragrafi successivi.

4.3 DETERMINAZIONE della CONDIZIONE INIZIALE

La condizione iniziale è espressa dal peso fresco individuale in funzione

della densità per le piante di un anno, ed è diversa a seconda che ci si trovi

nell'anno dell'impianto delle talee o nell'anno che segue una ceduazione. Il

comportamento delle piante ceduate è infatti molto diverso poichè da

ciascun apparato radicale vengono emessi più polloni (fusti) che competono

fra loro oltre che con i polloni delle ceppaie a loro vicine.

4.3.1 PRODUZIONE nell’ANNO dell’IMPIANTO dei DUE CLONI

La condizione iniziale per l'anno dell'impianto si determina dai rilevamenti

effettuati in vivaio, che non sono altro che coltivazioni in cui si raggiungono

densità molto elevate al fine di produrre fusti di uno o due anni di età che,

tagliati in tronchetti di circa 20 cm di lunghezza, forniscono le talee

necessarie per iniziare una nuova coltivazione.

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Capitolo 4

101

Clone Luisa Avanzo

Per il clone Luisa Avanzo si dispone delle prove effettuate in stazioni di

diversa fertilità situate in differenti località italiane, Casale Monferrato,

Giarole (Alessandria), Sarmato (Piacenza), Palazzolo (Udine), Casalotti

(Roma) descritte nel paragrafo 4.1.

I risultati di queste prove sono presentati nelle figure 4.3 e 4.4 in cui sono

riportate le due grandezze rilevate, il diametro a 10 cm da terra e l'altezza

totale il primo anno.

In entrambe le prove gli accrescimenti diametrici al diminuire delle densità

sono significativi, sia per intervalli sulla fila molto stretti (da 30 a 40 cm, da

40 a 50 cm, da 50 a 60 cm), ma anche per intervalli relativamente molto

larghi (da 60 a 70 cm, da 70 a 80 cm, da 80 a 90 cm e perfino da 90 a 100

cm), con variazioni percentuali dell'ordine del 20-25% tra le densità più

distanti sperimentate (fig.4.3). Non sono state saggiate spaziature superiori

a 100 cm (densità inferiori alle 4545 talee/ettaro), ma dall'andamento delle

curve ci si può aspettare un ulteriore incremento del diametro, in particolare

con cloni molto vigorosi come ad esempio il Luisa Avanzo.

Le altezze risultano disperse intorno ad un valore medio indipendentemente

dalla densità (fig.4.4).

La fertilità influisce fortemente sull'accrescimento della pioppella e sulla

dipendenza dalla densità, infatti le linee rilevate sono poste a quote differenti

a seconda della stazione considerata e presentano inclinazioni maggiori

nelle stazioni più fertili. Le stazioni di Casale e Casalotti si possono

considerare di alta fertilità; le altre stazioni sono di bassa fertilità, la

produttività è nettamente inferiore e la dipendenza da densità scarsa. La

stazione di Coltano si colloca a cavallo della linea media sia per quanto

riguarda i diametri che le altezze.

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Capitolo 4

102

Sulla base di questa osservazione il metodo seguito è quello di applicare un

procedimento di regressione sui dati medi delle diverse stazioni, in modo da

determinare l'equazione della curva media e di traslarla successivamente

alla quota corrispondente alla fertilità della nostra stazione, che come è

detto è situata in provincia di Pisa.

• Determinazione della dipendenza da densità: si può ottenere dai dati

medi della prima serie e dai dati della seconda serie (fig.4.3). La

seconda serie è stata rapportata alla fertilità media della prima

moltiplicando per un "coefficiente di fertilità f" dato dal rapporto fra il

diametro medio rilevato alla densità di 15000 talee/ha e il diametro

misurato a 14500 talee/ha nella seconda serie di dati.

Per i diametri, il tipo di curva che sembra adattarsi meglio ai dati è una

potenza decrescente con la densità; mentre per le altezze si considera il

valore medio dei rilevamenti effettuati a Coltano, in quanto si notano

delle differenze non significative in funzione della densità. Il

procedimento di regressione applicato ai dati fornisce la relazione:

D d100 223716 308= −, * , con R2 = 0,9722 (4.3)

I dati misurati e interpolati sono mostrati in figura 4.9 e 4.10.

Il comportamento per valori più bassi della densità dovrebbe tendere ad

una saturazione, mentre per valori più alti dovrebbe tendere lentamente

a un valore limite approssimandosi al numero massimo di piante che si

possono porre una vicina all'altra. Al diminuire della densità infatti gli

effetti competitivi diminuiscono e si tende alle dimensioni fisiologiche

della pianta; per densità più elevate iniziano fenomeni di mortalità delle

talee e degli astoni che fanno in modo che le piante rimaste si trovino a

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Capitolo 4

103

una spaziatura maggiore di quella prevista e la loro dimensione non

decresce mai al di sotto di un certo valore.

Per questo motivo l'andamento del diametro con la densità viene fatto

saturare per valori inferiori alle 1000 talee/ha e per densità superiori alle

25000 tallee/ha. La scelta del limite inferiore è dovuta al raggiungimento

del limite fisiologico in terreni di media fertilità (2,8 cm.).

Il limite superiore corrisponde al valore massimo mai sperimentato nelle

prove a nostra disposizione (vedi serie 2).

In figura 4.9 è rappresentato l'andamento del diametro in funzione della

densità, ottenuto interpolando i dati sperimentali e imponendo la

saturazione.

Fig. 4.9 - Diametri medi misurati e loro interpolazione, con dati di Coltano

relativi al primo anno

D10 interpolato

11,21,41,61,82

2,22,42,62,83

0 5000 10000 15000 20000 25000 30000

D ensità (talee/ha)

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Capitolo 4

104

Come si può vedere, la saturazione della curva per densità elevate è giàben rappresentata dall'equazione interpolante, mentre per basse densitàdeve essere inserita la seguente modifica:

D10 = min [16,308 d(-0,2237) ; 2,8]

Fig. 4.10 – Altezze medie misurate e dati di Coltano del primo anno

• Determinazione della fertilità: nota la dipendenza da densità, si ottiene

traslando la curva dei diametri di fig.4.9 alla quota delle rilevazioni

effettuate a Coltano alle densità di 5700 talee/ettaro e 7100 talee/ettaro.

Si ottiene l’equazione:

D d100 223716 308 0 1125= −−, * ,, (4.4)

• Stima del peso fresco: per calcolare il peso fresco di ogni pioppella si

deve conoscere quello che viene generalmente definito il modello della

pianta, che si può considerare lo strumento fondamentale per prendere

Altezze m edie

2

2,2

2,4

2,6

2,8

3

3,2

3,4

0 5000 10000 15000 20000

Densità

H sperim H Coltano

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Capitolo 4

105

decisioni riguardanti l'utilizzo della biomassa da coltivazione a scopo

energetico.

I modelli più sofisticati mettono in relazione la distribuzione della

biomassa nelle diverse componenti della pianta (fusto, chioma, rami,

radici e ceppo), con delle variabili indipendenti facilmente osservabili,

quali le dimensioni del fusto a 130 cm dal suolo o l'altezza complessiva

della pianta. Queste grandezze si riferiscono alle dimensioni del fusto,

della chioma o complessive di un appezzamento di terreno e possono

essere così raggruppate:

1. dimensioni del fusto:

diametro a petto d'uomo

altezza totale dell'albero

volume del fusto

età dell'albero

2. dimensioni della chioma:

lunghezza della chioma

diametro del fusto alla base della corona

area della superficie della corona

3. indicatore dell'appezzamento

età

densità

tipo di suolo

Il diametro a petto d'uomo è la più appropriata variabile indipendente per

predire la biomassa verde o secca mediante una relazione di tipo

esponenziale

P.F. = b1 Db2

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Capitolo 4

106

D = diametro a petto d'uomo (130 cm)

P.F. = peso fresco della pianta

Un valore di b2 usato frequentemente è 2.0, che presuppone la biomassa

proporzionale all'area basale dell'albero. La varianza dei dati attorno al valor

medio aumenta con il diametro, il modello può essere linearizzato con una

trasformazione logaritmica che determina anche una riduzione della

varianza, producendo una relazione del tipo:

log P.F. = b0 + b1 log D;

Altre formule sono state proposte e testate con successo per la stima della

biomassa delle diverse componenti della pianta (chioma, fusto) e includono

una componente formata dalla somma del diametro e di una costante.

Un'altra grandezza del fusto usata per predire la biomassa della pianta o

delle sue componenti è l'altezza totale o l'altezza a un dato diametro di

cima, tuttavia il diametro a petto d'uomo generalmente interpola meglio le

differenze da albero ad albero.

Utilizzando l'altezza unitamente al diametro si possono ottenere piccoli

miglioramenti della predizione della biomassa fresca: per esempio, la

migliore correlazione per i dati di dodici specie di alberi è stata ottenuta in

Quebec utilizzando la formula:

log P.F. = b0 + b1 log D + b2 log H

Per le pioppelle di Coltano di un anno è disponibile una formula di questo

tipo in cui le grandezze selezionate, misurate su un campione significativo di

300 piante, sono l'altezza e il diametro a 10 cm da terra, mentre i coefficienti

b1 e b2 sono uno doppio dell'altro.

log P.F. = b0 + b1 log (D102 H) (4.5)

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Capitolo 4

107

P.F. = peso fresco di ogni pianta (Kg);

D10 = diametro a dieci cm da terra (cm);

H = altezza totale della pianta (cm);

b0 = 2,188

b1 = 1,7

Come si osserva dalla figura 4.11, il peso fresco di ogni pioppella è molto

diverso al variare della densità, nell'intervallo sperimentato (4000 - 25000

talee/ettaro) è più che dimezzato, evidenziando la competizione delle piante

per lo spazio in piena luce e in parte per i fertilizzanti e l’acqua. Presenta un

andamento decrescente con la densità e concavità rivolta verso l'alto,

stando ad indicare una maggiore influenza della densità per valori bassi

delle talee impiantate.

Fig. 4.11 - Peso fresco stimato per le pioppelle di un anno del clone Luisa

Avanzo

Peso fresco individuale stim ato

0

0,2

0,4

0,6

0,8

1

1,2

1,4

1,6

1,8

0 5000 10000 15000 20000 25000 30000

D ensità (talee/ettaro)

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Capitolo 4

108

• Stima della sostanza secca: si ottiene dal peso fresco tenendo conto

del numero di piante presenti, della sopravvivenza e dell'umidità

contenuta nel legno (fig.4.12).

s s P F U Sop d. . . .*( ) * *= −1 (4.6)

P.F.= peso fresco di ogni pianta (Kg);

U = umidità del legno (0,54 );

Sop = sopravvivenza delle talee (0,971);

d = densità di impianto (talee/ha);

Si può osservare nella curva il primo tratto lineare in cui non ci sono

effetti di densità e il secondo tratto con la concavità rivolta verso il basso.

La curva è sempre crescente perché non si sono manifestati fenomeni di

mortalità differenti fra le diverse densità. Questo stesso fatto non si

verifica negli anni seguenti il primo o negli anni dopo una ceduazione. In

questi casi la mortalità si manifesta in modo evidente sulla curva di

crescita e sulla condizione iniziale delle piante ceduate come viene

spiegato nei paragrafi successivi.

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Capitolo 4

109

Fig. 4.12 - Sostanza secca stimata alla fine del primo anno

Clone Lux

In questo caso la costruzione della curva della sostanza secca in funzione

della densità di impianto è più semplice da ottenere, si dispone infatti di

rilevazioni dirette effettuate su coltivazioni appositamente realizzate per lo

studio della competizione fra le piante.

Queste osservazioni sono disponibili per il primo anno di vita dopo l'impianto

e dopo la ceduazione, avvenuta negli stessi appezzamenti l'anno seguente.

La piantagione è stata costituita alla fine di Marzo del 1996 a Coltano (PI),

presso la tenuta gestita dalla cooperativa Le Rene. I fattori studiati sono il

sesto d'impianto, a file singole e binate, con larghezza tra file singole e bine

di 2 m e tra le due file della bina di 0,75 m, e la densità d'impianto (5000,

7576, 10000, 15152, 20000 talee/ha).

Il sesto d'impianto è stato assegnato alla parcella e la densità alla sub-

parcella avente le superficie di 180 m2. Come materiale d'impianto sono

state utilizzate talee del clone di Populus Deltoides 'Lux' di lunghezza di 20

Sostanza secca ottenibile il prim o anno.

0

1

2

3

4

5

6

7

0 5000 10000 15000 20000 25000 30000

D ensita (talee/ettaro)

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Capitolo 4

110

cm e diametro compreso tra 15 e 25 mm. Prima della messa a dimora le

talee sono state immerse in acqua per almeno due giorni al fine di favorire la

formazione delle radici.

Dopo la messa a dimora è stato effettuato il diserbo il cui effetto è durato

fino all'inizio di giugno.

I dati rilevati sono l'attecchimento e la produzione di sostanza secca, e sono

riportati in tabella 4.3 dove si evidenzia una saturazione della produzione al

crescere del numero di talee. Passando da 5000 a 20000 talee per ettaro,

quadruplicando quindi il numero di individui presenti, la produzione passa da

3,25 tonnellate ettaro a sole 7,34 tonnellate ettaro. La diminuzione della

produzione non è dovuta ad una più elevata mortalità delle ceppaie, che si

mantiene inalterata tra il 15 e il 20 %, quanto alla presenza di molte piante

dominate.

Negli appezzamenti più densi l'altezza media degli individui e i diametri sono

molto inferiori a quelli delle piante dominanti, determinando la diminuzione

della produzione prima descritta.

Per il clone Luisa Avanzo si è ottenuta una variazione del peso fresco con la

potenza della densità, di conseguenza anche per il Lux i punti sperimentali

sono stati interpolati con una legge di quel tipo ottenendo la curva di figura

4.13, la cui equazione è:

s.s. = 0,0319*d0,5517 con R2 = 0,9242 (4.7)

L'impianto è stato ceduato alla fine (Dicembre) del 1996.

Densità (talee/ha) s.s. (t/ha)

5000 3,25

5700 3,91

7100 4,79

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Capitolo 4

111

7500 4,30

10000 4,59

15000 6,83

20000 7,34

Tab. 4.3 - Quantità di biomassa per il clone Lux nell’anno dell’impianto

Fig.4.13 - Interpolazione dei dati sulla sostanza secca ottenuti il primo anno

4.3.2 EFFETTO della CEDUAZIONE

Sostanza secca prodotta il primo anno

0

1

2

3

4

5

6

7

8

0 5000 10000 15000 20000 25000

D ensità (talee/ha)

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Capitolo 4

112

Clone Lux:

Lo studio delle piante ceduate è stato possibile proseguendo le osservazioni

sulla piantagione effettuata nel 1996 a Coltano.

Nel 1997, prima della ripresa vegetativa è stato fatto un diserbo e una

concimazione, mentre nel corso della stagione vegetativa si è resa

necessaria un’irrigazione effettuata con il metodo a pioggia.

Le grandezze rilevate sono le sopravvivenze delle ceppaie, il numero di

polloni vivi e la loro altezza totale; su un campione per spaziatura sono stati

rilevati anche i diametri a 10 e a 130 cm da terra e il peso dei polloni. Nel

corso dell'anno si è avuta una lieve diminuzione della sopravvivenza delle

ceppaie, del 3% rispetto all'anno precedente in modo generalizzato in tutte

le parcelle. Le differenze tra le tesi per questo parametro non sono

significative, mentre il numero di polloni vivi per ceppaia con altezza

superiore ai 150 cm è influenzato in modo statisticamente significativo dalla

densità d'impianto: si passa da 4,3 polloni per ceppaia nelle parcelle con

5000 piante/ha a 2,9 polloni per ceppaia nelle parcelle con densità di 20000

piante/ha.

La sostanza secca prodotta è influenzata in modo statisticamente

significativo dalla densità d'impianto: si passa da 6 t/ha alla densità di 5000

piante/ha a 16,8 t/ha alla densità di 20000 piante/ha.

A queste prove si aggiungono i dati rilevati a 5700 e 7100 talee/ha negli

impianti del 1994 a Coltano, nel complesso si ottengono i risultati della

tabella 4.4.

La curva di crescita è ottenuta interpolando le sostanze secche rilevate in

funzione degli individui vivi sopravvissuti per ettaro. Questa scelta è dovuta

al fatto che la stessa curva deve essere utilizzata anche nei cicli produttivi

seguenti il primo, non avendo a disposizione alcun dato ad essi relativo.

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Capitolo 4

113

L’unica rilevazione fatta per i cicli successivi è quella della mortalità delle

ceppaie in seguito al taglio, sinteticamente descritta nel paragrafo

successivo.

Quest’ultimo dato è però importantissimo se si ipotizza che la produzione

nel primo anno di vita di una piantagione ceduata sia funzione solo delle

piante vive rimaste e non del passo a cui ci si trova. Sapendo il numero

reale di individui rimasti, si conosce infatti la reale densità di quel ciclo e

dalla curva interpolata si può determinare la sostanza secca che si può

ottenere. Per questo l’interpolazione dei dati rilevati è effettuata in funzione

dei sopravvissuti. La formula interpolante ottenuta è:

Sop = ceppaie sopravvissute (4.8)

Il tipo di formula utilizzato è tale da saturare rapidamente con il numero di

ceppaie vive presenti, in accordo a quanto osservato in tabella 4.4. I dati

riportati mostrano infatti come la competizione fra gli individui sia molto più

spinta a causa del numero molto più elevato di individui presenti. Ciascuna

ceppaia infatti emette più polloni, determinando una densità reale molto

superiore a quella iniziale. Queste condizioni estreme generano una

diminuzione dei polloni vivi per ceppaia che nel complesso provoca una

saturazione della quantità ottenibile di biomassa secca. In ogni caso, alle

densità analizzate, questo effetto non è così spinto da determinare una

diminuzione della materia prima prodotta come si può vedere dalla fig. 4.14.

Clone Luisa Avanzo

)1(1000/*35,4

)1000/*0711,0 SopeSopss

+=

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Capitolo 4

114

Gli esperimenti sui cedui del clone Luisa Avanzo sono stati compiuti in parte

a Casale Monferrato e in parte a Coltano.

In provincia di Pisa sono state saggiate le densità di 5700 e 7100 con la

rilevazione completa del numero di polloni vivi maggiori e minori di 150 cm,

le sopravvivenze e le sostanze secche ottenute. Per gli esperimenti di

Casale si dispone solo della produzione ottenuta alle densità di 14500,

16700, 21700 e 25000 talee per ettaro. Le produzioni sono paragonabili

perché realizzate in regime non irriguo nella stazione più fertile di Casale

Monferrato.

La formula interpolante scelta è una potenza del numero degli individui vivi

presenti, determinata su un campione statisticamente significativo di polloni

rilevato a Coltano; per i cloni Euroamericani si può infatti osservare una

minore sensibilità alle densità più elevate.

ss = 0,0445 * Sop0,59 R2 = 0,92 (4.9)

Dall'analisi dei dati ottenuti per i due cloni si conclude che la densità ha un

effetto determinante sull'accrescimento delle pioppelle ceduate, in quanto

determina in modo statisticamente significativo il numero di polloni vivi con

altezza superiore ai 150 cm e la produzione di sostanza secca complessiva.

La densità non influisce in modo significativo sull'accrescimento in altezza

dei polloni sia dominati che dominanti e sulla sopravvivenza delle ceppaie.

L'influenza della densità è inoltre più marcata per i cloni più vigorosi, come

già messo in evidenza in precedenti esperienze in vivaio; in particolare in

una seconda serie di prove realizzate a Casale Monferrato, con densità

variabili da 9090 a 15150 è stata confermata la correlazione negativa tra

accrescimento diametrico dei polloni e la densità. Questa conoscenza

acquisita in passato permette di affermare che la densità influisce in modo

statisticamente significativo anche sulla crescita diametrica dei polloni,

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Capitolo 4

115

grandezza che non è stata rilevata in questa serie di esperimenti, in cui si è

preferito rilevare una grandezza aggregata, la produzione di sostanza secca

per ettaro, che tiene conto di tutte le caratteristiche della piantagione, le

sopravvivenze, il numero medio di polloni e le loro dimensioni. Un'ultima

serie di prove, realizzata sempre a Casale Monferrato, ha identificato la

densità di 10410 piante/ha come l'impianto che garantisce un compromesso

ottimo tra i costi fissi legati alla realizzazione di un vivaio e i proventi che ci si

può attendere.

Lux Densità Sop p P H Hdom S.S.

5000 0,79 1,7 4,3 249 309 6,44

5700 0,82 9,3

7100 0,8 11,9

7500 0,78 1,0 4,0 268 343 10,08

10000 0,85 0,9 3,7 259 322 13,16

15000 0,77 1,2 3,3 244 296 13,32

20000 0,74 0,8 2,9 264 317 15

media 78,8 0,95 256,7 256,7 317,2 11,3

TEST F Densità 0,1 n.s. 0,9 n.s. 5,8 ** 0,5 n.s. 0,6 n.s. 9 **

L. Avanzo5700 0,94 2,9 5,8 297 7,2

7100 0,96 3,2 5,2 262 6,16

14500 0,8 12,33

16700 0,8 12,64

21700 0,8 13,14

25000 0,8 13,75

Tab.4.4 - Rilevazioni sui polloni dei due cloni (** significatività α ≤ 0,01)

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Capitolo 4

116

Fig. 4.14 - Produzione di sostanza secca nel primo anno seguente una

ceduazione del clone Lux

Fig. 4.15 - Produzione di sostanza secca nel primo anno seguente una

ceduazione del clone L. Avanzo

Produzione delle piante ceduate - Lux

0

2

4

6

8

10

12

14

16

18

0 5000 10000 15000 20000

Sopravvissuti

Produzione delle piante ceduate - L.Avanzo

02468

1012141618

0 5000 10000 15000 20000 25000Sopravvissuti

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Capitolo 4

117

4.4 DETERMINAZIONE dei COEFFICIENTI di CRESCITA

Coefficiente di crescita generazionale

Per quanto riguarda la dipendenza della crescita dall'età, si dispone di curve

di crescita registrate per un numero di anni elevato (8 anni), in impianti

tradizionali in cui si possono escludere fenomeni di interferenza per

vicinanza. Le spaziature utilizzate normalmente sono infatti dell'ordine dei

metri, raggiungendo in questo caso il valore 6m x 6m per il clone Lux.

Facendo uso del primo tratto della curva, cioè dell'arco di tempo di nostro

interesse (3-4 anni), è dunque possibile conoscere la crescita della

piantagione in assenza di fenomeni di interferenza.

Il parametro da inserire nel modello, chiamato tasso generazionale di

crescita, è definito come :

(4.10)

xt = biomassa presente all’anno t.

Per determinarlo si è fatto uso dei dati di crescita relativi a 2 cloni diversi, il

Dvina e il Neva, che hanno caratteristiche produttive simili al Lux e al Luisa

Avanzo. Il Dvina come il Lux appartiene alla specie Populus Deltoides,

mentre Neva è un Populus x Euramericana come L. Avanzo.

Alcune importanti considerazioni si possono fare rispetto ai due cloni

analizzati: il Luisa Avanzo ha continuità nella crescita fra il secondo e il

quarto anno superiore a quella del Lux, mentre negli anni successivi hanno

incrementi paragonabili. Si deve considerare però che i Deltoidi sono molto

più produttivi nell’anno dell’impianto come è già stato mostrato nelle

condizioni iniziali.

t

tt

xxxtg

−= +1)(

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Capitolo 4

118

Fig. 4.16 - Tassi di crescita in assenza di densità

Coefficiente di crescita competitivo

La dipendenza da densità può essere determinata disponendo dei dati

rilevati per le piantagioni di Coltano da cui si può esprimere il tasso di

crescita delle piante in funzione della biomassa presente per ettaro. Questa

dipendenza è espressa come percentuale del tasso di crescita fisiologico di

ogni età in funzione della sostanza secca presente, in accordo con quanto

detto nel primo paragrafo rispetto alla struttura del modello.

(4.11)

xt = biomassa presente al tempo t

g(t) = coefficiente di crescita generazionale definito nel punto precedente

Per poter determinare questa funzione i dati rilevati a Coltano devono

essere depurati della componente sovrapposta legata all'età della pianta. I

dati vengono quindi divisi per il coefficiente di crescita generazionale

Tassi fisiologici

0

0,5

1

1,5

2

2,5

3

3,5

0 1 2 3 4 5

anni

Lux

L.Avanzo

)(1*)( 1

tgxxxxg

t

ttt

−= +

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Capitolo 4

119

descritto nel punto precedente e successivamente interpolati rispetto alla

sostanza secca presente. L'andamento che si ottiene è indicato in figura 17

e 18 per i due cloni.

Fig. 4.17 - Tasso di crescita competitivo per L.Avanzo

Fig. 4.18 - Tasso di crescita competitivo del Lux

Le interpolazioni ottenute si possono considerare buone se si pensa che

sono riferite a coltivazioni effettuate con densità di impianto molto diverse.

I punti che più si discostano sono quelli delle piantagioni ceduate che sono

molti più bassi degli altri e indicano una capacità di crescita inferiore dei

Lux - tasso com petitivo

y = -0,2941Ln(x) + 1,1613

R2 = 0,8018

0

0,2

0,4

0,6

0,8

1

1,2

0 5 10 15 20 25 30 35 40

sostanza secca xt (t/ha)

L. Avanzo - tasso com petitivo

y = -0,2569Ln(x) + 1,0762

R2 = 0,7178

0

0,2

0,4

0,6

0,8

1

1,2

0 10 20 30 40 50

sostanza secca xt (t/ha)

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Capitolo 4

120

polloni. L’allineamento ottenuto conferma che l’ipotesi di considerare la

competizione indipendente dall’età è verificata con buona approssimazione.

Le differenze fra i due cloni è evidente confrontando le figure 4.17-4.18. Il

Lux è molto più sensibile alle elevate densità e infatti la curva di crescita

competitiva tende più rapidamente ad abbassarsi.

Questo comportamento conferma le esperienze fatte in vivaio e può essere

dovuto alla forma geometrica del Lux, che lo porta a competere

maggiormente per la luce di quanto non faccia il Luisa Avanzo.

Questa sottolineatura non è solo descrittiva del comportamento dei due

cloni, ma è fondamentale nel comprendere il risultato dell’ottimizzazione

nella scelta del turno di taglio. Il Luisa Avanzo fornisce continuamente turni

di taglio più lunghi proprio per la sua capacità di mantenere elevata la

produttività anche negli anni più avanzati e risultando così superiore al Lux

allo scopo di produrre biomassa per uso energetico.

La differenza nel comportamento evidenziata è alla base della scelta dei

cloni da mettere a confronto, e proprio per questo motivo sono stati scelti

dall’I.S.P. per essere confrontati nella tenuta di Coltano.

4.5 MORTALITA’ delle CEPPAIE

L’ultimo elemento necessario per costruire il modello del sistema è quello

della mortalità delle ceppaie. I fenomeni più rilevanti riguardanti la mortalità

si verificano a causa dell’attecchimento poiché, con le cure colturali di

riferimento, le sopravvivenze durante tutto il periodo vegetativo sono

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Capitolo 4

121

elevatissime e in alcuni casi unitarie. Si riportano come esempi gli

attecchimenti e le sopravvivenze rilevati a Coltano negli impianti del 1994.

anni1994 1995 1996 1997

densità specie5700 Lux 0,85 0,85 0,8 0,8

L.avanzo 0,97 0,97 0,90 0,90

7100 Lux 0,85 0,84 0,84 0,8L.Avanzo 0,98 0,98 0,94 0,94

Tab. 4.5 - Sopravvivenze rilevate a Coltano.

La ceduazione provoca la morte di molte ceppaie, in parte per motivi

fisiologici, in parte a causa del passaggio dei mezzi di raccolta che

provocano la rottura e il danneggiamento delle stesse ceppaie.

Questo effetto è stato studiato in piantagioni del clone I214, adottando

rotazioni annuali o multiannuali, ceduando ogni anno tra la fine di Febbraio e

i primi giorni di Marzo a 5 cm dal livello del suolo. Il tasso di mortalità delle

ceppaie cresce progressivamente fino a raggiungere 84% alla fine del

decimo anno. Questo è un valore molto elevato, da attribuire ai valori elevati

di densità e ai frequenti tagli.

La fertilità del terreno non influisce sulla sopravvivenza come è stato messo

in evidenza in un esperimento simile svoltosi su un terreno privo di qualsiasi

fertilizzazione e impoverito dalla coltivazione di Sorgo da fibra nei due anni

precedenti.

I risultati ottenuti sono indicati in tabella 4.6, dove la mortalità è espressa in

percentuale rispetto al numero di talee iniziale.

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Capitolo 4

122

anni 1 2 3 4 5 6 7 8 9Mortalità 14,30 28,60 39,25 50,05 57,19 71,46 76,79 82,14 84,11

Tab. 4.6 – Mortalità causata da ceduazione annuale.

Nella simulazione i valori sono stati abbassati per includere l’effetto dovuto

al passaggio dei mezzi di raccolta.

4.6 ANALISI STATISTICA dei DATI

Nel corso del capitolo si è spesso affermato che i dati disponibili sono

statisticamente rilevanti. Questa affermazione è possibile perché le

rilevazioni sono sottoposte a un test statistico usualmente impiegato in

ambito agricolo per verificare se diversi possibili trattamenti influenzano o

meno il raccolto.

I diversi trattamenti corrispondono a diverse popolazioni, quando si verifica

che non esiste differenza fra le popolazioni, si dimostra che non esiste

effetto di trattamento. Il caso brevemente illustrato si verifica nel caso delle

colture energetiche quando si vuole mettere a confronto la densità, il clone

utilizzato e il sesto d'impianto.

La modalità prescelta è quella di eseguire il test sulla media che si basa sul

seguente principio.

Si suppone di avere K campioni casuali di n osservazioni ciascuno, estratti

da ciascuna delle popolazioni che si desidera confrontare. Si assume che la

distribuzione di partenza delle popolazioni sia di tipo normale con media µ e

varianza σ2. Lo scopo è quello di verificare l'ipotesi nulla, cioè che le medie

delle popolazioni siano le stesse in alternativa all'ipotesi che non tutte siano

uguali.

H0 = ipotesi nulla : n1=n2=n3=.....=nk;

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Capitolo 4

123

Si definisce un test di rapporto di verosimiglianza generalizzato definito dalla

seguente relazione:

rn x x k

x x n k

jj

k

i j ji

n

j

k=− −

− −

=

==

∑∑

* ( ) / ( )

( ) / ( )

_ _

,

1

2

2

11

1

Si dimostra che se l'ipotesi H0 è vera la variabile r è distribuita come una F

di Fischer con k-1 e n-k gradi di libertà. Di conseguenza si accetta l'ipotesi

se r ≥ αc dove c è definito in modo tale che :

P[r ≥c /H0] =α

α è l'ampiezza del test e viene posto uguale a 0,5 se si desidera una bassa

significatività e 0,01 se si desidera ottenere elevata significatività.

4.7 ANALISI ECONOMICA

COSTI di PRODUZIONE

Per l’analisi economica delle coltivazioni a breve rotazione di pioppo si

considerano i costi di produzione della biomassa legnosa relativi alle attività

dell’intero ciclo produttivo (orizzonte temporale di T anni), descritte nel

paragrafo 3.2.

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Capitolo 4

124

I costi sono stimati sulla base delle esperienze al momento disponibili in

Italia, acquisite prevalentemente presso i campi sperimentali realizzati

dall’ENEL e dall’Istituto per la Pioppicoltura in Piemonte e Toscana. Questa

valutazione è stata realizzata considerando le tariffe di conto-terzisti sul

mercato agricolo, cioè il costo dell’operatore (20000 £/h) e della macchina

per conto terzi.

Le macchine utilizzate sono infatti disponibili sul mercato e comunemente

utilizzate in campo agricolo. Nel caso della macchina raccoglitrice invece il

costo orario è stato stimato in 100000 £/h da chi ha realizzato le

sperimentazioni, ipotizzando 500 h annue di utilizzo. Questo genere di

macchina infatti è realizzata appositamente per questo tipo di colture ed è in

fase prototipale.

Dati i tempi operativi di ogni attività sono stati valutati i costi complessivi

tenendo conto dei costi della manodopera e dell’affitto della macchina.

Si ipotizza un ciclo di rotazione biennale, triennale o quadriennale (con

ceduazione rispettivamente ogni 2, 3 o 4 anni) in quanto il limite

dimensionale massimo delle piante e dei polloni per poter utilizzare la falcia-

trincia-caricatrice è di 10 cm di diametro rilevato a 10 cm da terra

(raggiungibile a 2, 3 o 4 anni a seconda della densità d’impianto e della

fertilità della stazione).

La decisione relativa al turno di rotazione influenza il numero e quindi i costi

delle cure colturali, mentre i costi di acquisto delle talee dipendono

ovviamente dalla densità della coltivazione.

Il costo di trapianto invece non dipende dal numero di talee da impiantare in

quanto la macchina procede con velocità praticamente uguali impostando i

meccanismi della macchina su distanze di impianto diverse, come spiegato

nel paragrafo 3.2; si impiegano così tempi uguali per ettaro su campi con

densità diverse.

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Capitolo 4

125

Per quanto riguarda i costi di raccolta e cippatura, sono state realizzate delle

prove di raccolta di pioppi a Coltano con un prototipo di falcia-trincia-

caricatrice (BERNI prodotto dalla ditta svedese Salix Maskiner AB) su due

campi con densità di 5700 e 7800 talee/ha. Sono stati rilevati i tempi

operativi e la produzione raccolta, quindi è stata determinata la produttività

netta della macchina espressa in termini di tonnellate di sostanza secca

raccolta per ora di lavoro.

I dati disponibili per i due esperimenti sono riportati in tabella 4.7.

Parametri Unità di misura 5700 7800

Produzione raccolta tss/ha 1,941 2,660

Tempo operativo (To) h/ha 0,68 0,74

Capacità di lavoro operativa ha/h 1,47 1,35

Produttività della macchina Tss/h 2,8 3,6

Tab. 4.7 – Tempi di lavoro e produttività della falcia-trincia-caricatrice per

densità diverse.

Si può notare quindi che i tempi di raccolta per ettaro variano in funzione

della quantità di sostanza secca raccolta, aumentando con il crescere della

densità a causa della minore velocità di avanzamento e delle maggiori

dimensioni dei fusti.

Si ipotizza che le capacità operative, definite come l’inverso dei tempi

operativi, abbiano un andamento lineare decrescente con la sostanza secca

presente al momento del taglio. I costi di taglio sono quindi dipendenti dalla

produzione totale di biomassa nell’anno del taglio e, indirettamente, dalla

densità.

Per quanto riguarda la fertilizzazione, la valutazione della necessità di

concime delle piante è realizzata tramite l’analisi fogliare; i dati sono relativi

a sperimentazioni vivaistiche.

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Capitolo 4

126

La quantità di nutrienti assorbiti e rimossi dal suolo per pioppeti tradizionali è

correlata all’età e alle dimensioni della pianta alla raccolta. Si nota infatti una

forte dipendenza dalla percentuale di corteccia variabile a seconda delle

dimensioni dei fusti che, a loro volta, sono funzione della densità e della

rotazione adottata.

D’altra parte nei primi 3-4 anni della coltivazione, i diametri relativi a diverse

densità variano del 20-30%; quindi lo spessore della corteccia, la struttura e

le dimensioni complessive delle piante non variano in modo da influenzare

significativamente le esigenze nutritive per tonnellata di sostanza secca.

I quantitativi di nutrienti sono considerati solo funzione del turno di rotazione.

Per determinare le necessità complessive, si deve considerare la quantità di

sostanza secca al momento del taglio, dipendente dalla densità.

I dati disponibili (tab.4.8) sono relativi a quantitativi di nutrienti contenuti in

una tonnellata di biomassa secca per diversi turni di rotazione. Gli esperti

ritengono inoltre ragionevole aspettarsi che, per rotazioni di 5-6 anni, le

quantità di nutrienti rimosse siano intermedie tra quelle relative agli anni

sperimentati. Per coltivazioni di quest’età quindi una tonnellata di sostanza

secca dovrebbe contenere circa 3.5 kg di N2, 1.5 di P2O5, 3.5 di K2O e 6.5 di

CaO.

Nutrienti (kg/tss)

Turno di rotazione N2 P2O5 K2O CaO

1 6,9 3,1 5,2 9

2 5,6 2,1 4,2 7,5

5-6 3,5 1,5 3,5 6,5

13 1,6 0,7 2,4 5,7

Tab. 4.8 – Nutrienti in funzione del turno di rotazione

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Capitolo 4

127

Le regressioni logaritmiche realizzate per la determinazione dei nutrienti in

funzione degli anni soddisfano queste previsioni, rappresentate nelle figure

4.19, 4.20 e 4.21.

In generale, la scelta di periodi più lunghi tra due ceduazioni successive

comporta un minor controllo delle infestanti, minori costi di raccolta, più

produzione, inferiore mortalità dei polloni e meno esigenze nutritive, per una

certa densità.

Fig. 4.19 - Quantitativi di N2 necessari in funzione del turno di taglio

Fig. 4.20 – Quantitativi di P2O5 necessari in funzione del turno di taglio

Quantità di P2O5

y = -0,8965Ln(x) + 2,9403

R2 = 0,9735

0

0,5

1

1,5

2

2,5

3

3,5

0 2 4 6 8 10 12 14

anni

Quantità di N2

y = -2,0811Ln(x) + 6,9601

R2 = 0,9993

01

23

45

67

8

0 2 4 6 8 10 12 14

anni

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Capitolo 4

128

Fig. 4.21 – Quantitativi di K2O necessari in funzione del turno di taglio

All’impianto si opera solo una concimazione potassica e fosfatica (in media

circa 60 kg/ha/anno) in quanto al 1° anno l’azoto favorisce le infestanti, con

attenzione al fatto che il quantitativo di fertilizzante a base di P e K deve

‘coprire’ l’intero ciclo di vita della coltivazione (T anni). E’ possibile distribuire

il quantitativo di fertilizzante P2O5 e K2O necessario complessivamente alla

coltura esclusivamente nell’anno dell’impianto in quanto il potassio e il

fosforo sono elementi poco mobili nel terreno, al contrario dell’azoto, e

quindi non c’è pericolo di dispersione in falda. Questi fertilizzanti possono

essere interrati con i lavori di preparazione del terreno (concimazione di

fondo). In alcune coltivazioni sperimentate si utilizza un concime complesso

8-24-24 (% N-P2O5-K2O per 100 Kg di concime), quindi con un basso

quantitativo di azoto, ma si devono operare più erpicature aumentando i

costi senza particolari benefici per la coltura.

Negli anni del primo ciclo di crescita, le piante infatti asportano l’azoto già

presente nel suolo. Dopo ogni ceduazione invece si distribuisce l’urea (46%

di azoto) in copertura, circa 50 kg/ha/anno; quest’operazione si ripete ad

ogni taglio in modo che i quantitativi di azoto siano limitati e non subentri

una percolazione in falda.

Quantità di K2O

y = -1,0645Ln(x) + 5,0894

R2 = 0,9908

0

1

2

3

4

5

6

0 2 4 6 8 10 12 14

anni

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Capitolo 4

129

I dati utilizzati sono validi per una definizione approssimativa dei fertilizzanti

necessari a coltivazioni a breve rotazione (SRF). La quantità di nutrienti

rimossi dal suolo può variare anche in funzione della fertilità del suolo e

delle richieste del clone considerato; non si è ritenuto opportuno inserire

questo aspetto nello studio, data la mancanza di dati per esplicitare queste

dipendenze e comunque la scarsa significatività delle variazioni sui costi.

Anche se diversi studi hanno dimostrato che l’influenza della fertilizzazione è

notevole per coltivazioni a breve rotazione rispetto a cicli di taglio più lunghi;

è anche vero che un eccessivo apporto di nutrienti, oltre le reali necessità,

non favorisce ulteriormente la crescita.

L’utilizzo di concimi chimici è abbastanza ridotto, considerando la possibilità

di recuperare K e Ca dalle ceneri, quali residui di combustione delle

biomasse stesse. Si può inoltre osservare il basso impatto dei fertilizzanti

confrontando le asportazioni medie annue calcolate per SRF (60 kg/ha/anno

di P2O5 + K2O e 50 kg/ha/anno di N) con i valori indicativi delle colture

arboree da frutto (200 kg/ha/anno di P2O5 + K2O e 122 kg/ha/anno di N).

A fine ciclo la piantagione viene estirpata e il terreno ripristinato.

I costi relativi alla preparazione del terreno, al diserbo e al ripristino finale

sono ‘fissi’ per ettaro.

Viene infine considerato un costo annuo del terreno (beneficio fondiario) di

400000 £/ha, variabile a seconda della produttività del sito.

Tutti i costi considerati e riportati in tabella 4.9 sono riferiti ad 1 ha di

piantagione. I costi attualizzati (per anni successivi al 1°) sono stati valutati

considerando un tasso di sconto R pari a 0.03, relativo al rendimento

fondiario.

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Capitolo 4

130

ATTIVITA’ Quantità per ettaro Prezzi per ettaro

h

Uomo Macch.

Mater. Manod

K£/ha

Macch

K£/ha

Materiale

K£/kg

PREPARAZIONE del

TERRENO

1. Assolcatura 1,11 1,11 28 81

2. Aratura 1,98 1,98 50 101

3. Discatura –

erpicatura 2,58 2,58 65 214

IMPIANTO

4. Acquisto talee n°talee 0,2

k£/talea

5. Trapianto 22,43 4,81 562 240

CURE COLTURALI

6. Diserbo meccanico 4,44 4,44 111 266

7. Diserbo chimico 1,98 1,98 6 kg 50 134 30

8. Controllo

fitosanitario 1,2 1,2 30 60

Fertilizzazione:

9’ e 9’’. Concimazione

di fondo 2,6 1,33

kg/tss di

(P,K)i,d,t 65 66 0,42

9’’’ e 9’’’’. Concimaz.

di copertura 1,95 0,98

kg/tss di

(N)i,d,t 49 49 0,47

RACCOLTA

10. Raccolta -

cippatura hd/ha hd/ha 25 * hd 100*hd

11. Ripristino finale 4,9 4,9 123 294

12. BENEFICIO

FONDIARIO

Tab.4.9 – Tempi lavorativi e materiali di ogni attività per ettaro con relativi

costi

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Capitolo 4

131

ATTIVITA’ ANNO

1 Anno precedente

al taglio

Anno del

taglio

… T

PRERAZ. TERRENO

1. Assolcatura 109

2. Aratura 151

3. Discatura - erpicatura 279

IMPIANTO

4. Acquisto talee …

5. Trapianto 802

CURE COLTURALI

6. Diserbo meccanico 377 377

7. Diserbo chimico 364 364

8. Controllo fitosanitario 150

Fertilizzazione:

9’ e 9’’. 1° anno … + 131

9’’’ e 9’’’’. Altri anni … + 98

RACCOLTA

10. Raccolta - cippatura … …

11. Ripristino finale 417

12. BENEFICIO

FONDIARIO

400 400 400 400 400

Tab. 4.10 - Costi (migliaia di lire) per 1 ha di piantagione suddivisi per tipo di

attività e anno

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Capitolo 4

132

COSTI COMPLESSIVI:

Il totale dei costi di produzione si può esprimere come la sommatoria dei

costi di ogni singola attività, opportunamente attualizzati a seconda dell’anno

in cui l’attività viene realizzata, per tutto il ciclo produttivo (sull’orizzonte

temporale T):

CTOT (i,d,k) = ∑ (C1, C2, C3, C4 * d, C5, C6ATT, C7ATT, C8ATT,

C9’ * (kg di P2O5+K2O)/tSS * tSS/ha + C9’’,

(C9’’’ * (kg di N)/tSS * tSS/ha) ATT + C9’’’’ATT,

(C10 * tss /ha) ATT, C11ATT, C12ATT)

dove Cn: costo dell’n-esima attività per ettaro - prezzi unitari del materiale

e della macchina per la raccolta (per n = 4, 9’, 9’’’, 10) -

riportati in tabella 4.9 e 4.10

i: clone

d: densità – n°talee/ettaro

t: turno di 1, 2, 3 o 4 anni

kg di P2O5 e K2O: quantitativo di nutrienti necessario in funzione di i,

d e t

kg di N: quantità di azoto in funzione di i, d e t

tSS/ha: produzione in funzione di i, d e t

Costi attualizzati:

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Capitolo 4

133

I costi sono riportati all’anno 0 (1°anno di coltura) e sono espressi in termini

di VAN (valore netto attualizzato) tramite la seguente formula:

Cn(a)

Cn ATT(0) = dove R = 0,03

(1 + R)a a: anno

Le attività che vengono espletate in anni successivi all’anno di impianto

riguardano le cure colturali (diserbo e fertilizzazione) e la raccolta e

dipendono da quando e quante volte si decide di ceduare (ved. tab.4.6).

I costi corrispondenti quindi sono attualizzati rispetto al primo anno a

seconda della lunghezza t (variabile di decisione) del ciclo produttivo.

Vengono di seguito riportate le formule per attualizzare i costi di tali attività

su un orizzonte temporale T.

Costi Attività

(T/t )-1 1

C6ATT = C6 * [1 + ∑ ] 6. Diserbo meccanico

a =1 (1 + R)a*t

(T/t )-1 1

C7ATT = C7 * [1 + ∑ ] 7. Diserbo chimico

a =1 (1 + R)a*t

(T/t )-1 1

C8ATT = C8 * [ ∑ ] 8. Controllo fitosanitario

a =1 (1 + R)(a*t-1)

(T/t )-1 1

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Capitolo 4

134

C9’’’ATT = C9’’’TOT * [ ∑ ] 9’’’. Fertilizzante

a =1 (1 + R)a*t

(T/t )-1 1

C9’’’’ATT = C9’’’’TOT * [ ∑ ] 9’’’’. Fertilizzazione

a =1 (1 + R)a*t (costo macchina)

T/t 1

C10ATT = C10TOT * [ ∑ ] 10. Raccolta-cippatura

a =1 (1 + R)(a*t-1)

1

C11ATT = C11 * [ ] 11. Ripristino finale

(1 + R)(T-1)

T-1 1

C12ATT = C12 * [ ∑ ] 12. Beneficio fondiario

a =0 (1 + R)a

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Capitolo 5

137

5 Il PROBLEMA di OTTIMIZZAZIONE

Nel capitolo precedente si è visto come la crescita delle piante dipende da

una serie di variabili di decisione facilmente controllabili, quali il turno di

taglio, la densità di impianto e l’orizzonte temporale.

In questo capitolo si è ottimizzata la scelta di queste variabili rispetto a due

obiettivi, quello economico e quello produttivo, ottenendo un possibile

modello colturale da adottare nelle coltivazioni energetiche da pioppo.

Gli obiettivi scelti sono quelli più adatti in un problema di questo tipo dove si

vuole conoscere la potenzialità di una risorsa rispetto allo sforzo che si deve

sostenere per ottenerla, e la loro definizione è contenuta nel paragrafo 3.1.

L’obiettivo produttivo viene espresso come la quantità di sostanza secca

ottenibile, che è direttamente collegata all’energia prodotta attraverso il suo

potere calorifico inferiore, mentre il costo è l’onere da sostenere per

l’impianto e la gestione del pioppeto.

Nel capitolo 6 viene descritta una possibile tecnologia per lo sfruttamento

del prodotto ai fini di produrre energia elettrica, consentendo di quantificare

in modo più corretto il quantitativo di energia effettivamente producibile da

un ettaro di piantagione. La tecnologia individuata è quella che si ritiene più

adatta per la produzione di elettricità da questa fonte, e prevede l’uso di un

gassificatore accoppiato a un ciclo combinato.

L’analisi a molti obiettivi che si è eseguita consente di ottenere una frontiera

di Pareto, che permette di porre in relazione gli effetti che le decisioni hanno

sugli obiettivi del problema presi separatamente e non mediante un unico

indice di merito (per esempio il profitto). L’operazione è stata ripetuta per

ciascun clone considerato.

5.1 Gli OBIETTIVI

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Capitolo 5

138

Obiettivo produttivo

L'obiettivo produttivo può essere espresso in questa forma:

T

xgtgxdxp

k

j

t

i

ji

ji

j∑∑=

=+

= 1

1

00 )(*)(*)(

(5.1)

xi+1 j = xi

j + xij * g(t) *g(xi

j)

t = lunghezza di un turno;

k = n° di turni;

T = orizzonte temporale;

x0j (d) = è la condizione iniziale determinata nel capitolo precedente e

introduce la dipendenza della produttività dalla densità di impianto d. Anche

l'effetto della ceduazione è espresso da questa variabile che infatti dipende

dall'indice j, cioè dal ciclo produttivo in cui ci si trova. Si ricorda che la

dipendenza dalla ceduazione è determinata dalla mortalità delle ceppaie.

g(t)*g(xt) = è il coefficiente di crescita, introduce la dipendenza della

produttività dal turno di taglio.

La produttività è espressa in termini di produzione media annuale, cioè della

produzione totale diviso il numero di anni di durata della piantagione.

Se si esclude il primo ciclo di lunghezza diversa, l’obiettivo è equivalente alla

media delle produttività di ogni ciclo. La scelta della media impedisce di

prendere come decisioni ottime quelle che comportano basse realizzazioni

produttive nei turni più alti. Questa situazione si verifica se anziché utilizzare

l’obiettivo medio si introduce la produzione complessiva e l’obiettivo

economico. La produzione è infatti decrescente ad ogni passo che segue

una ceduazione, a causa della mortalità delle ceppaie. Formulazioni diverse

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Capitolo 5

139

di questo obiettivo sono possibili facendo ipotesi particolari riguardanti il

comportamento del sistema.

1. Se l'orizzonte temporale T fosse fissato e la ceduazione ininfluente sulla

produttività, la massimizzazione di questo obiettivo si otterrebbe con il

metodo classico dell'auxonomia, poichè l'obiettivo produttivo sarebbe la

produttività su un turno. Si dovrebbe però ipotizzare che il primo ciclo

produttivo abbia una differenza trascurabile rispetto agli altri e che

l'imprenditore agricolo sia obbligato per qualche vincolo esistente a

rimpiazzare la coltivazione dopo un certo numero di anni, circostanza

questa che non si è riscontrata in pratica. Il vincolo di durata non

dovrebbe essere troppo lungo, infatti anche la mortalità delle ceppaie

deve potersi considerare trascurabile per poter considerare tutti i cicli

produttivi uguali. Si è deciso di scartare questa formulazione perché

troppo distante dal modello della coltura descritto nel capitolo

precedente.

2. Se si fissa l'orizzonte temporale e si considera l'influenza della

ceduazione, l'obiettivo produttivo cambia e diviene la produzione

complessiva sull'intero arco di tempo. Questa formulazione appare più

corrispondente alla realtà di quanto non lo siano le altre, poichè avvicina

l'obiettivo al comportamento reale del sistema, l'unica ipotesi da

verificare è la possibilità che esista a priori un limite temporale cui

l'imprenditore agricolo deve attenersi. Questa circostanza non si è

riscontrata in pratica, ma potrebbe dipendere dal tipo di contratto che il

contadino firma con il committente. Anche le sovvenzioni garantite dal

Regolamento 2080/92 della Comunità Europea non impone un limite

temporale all’uso del suolo, ma soltanto alla lunghezza del turno di taglio

che non può eccedere i 15 anni.

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Capitolo 5

140

3. Se non si fissa l'orizzonte temporale e si considera l'influenza della

ceduazione sulla produttività, si ottiene la formulazione più completa

dell'obiettivo produttivo, che diventa la produzione media sull'orizzonte

temporale considerato. Si tiene conto in questo modo sia del

deperimento della risorsa durante l’orizzonte temporale che della

variazione rispetto al turno di taglio. La sua espressione matematica è

data dalla formula 5.1.

Obiettivo economico

Il secondo obiettivo è quello dei costi. I costi di produzione in parte sono

indipendenti dall'investimento (costi fissi) ma in parte (costi variabili) sono

strettamente dipendenti dal numero di piante prodotte per ettaro. Tra i costi

fissi vanno considerati tutti quelli riguardanti l'unità di superficie (beneficio

fondiario, preparazione del terreno, ripristino);

Tra i costi variabili si annoverano invece quelli relativi alla singola pianta

(acquisto e impianto delle talee, concimazione, lavorazioni, irrigazioni,

diserbo, trattamenti antiparassitari e raccolta).

Come già detto nel capitolo 4, i costi devono essere attualizzati con un tasso

d'interesse del 3% (pari al rendimento fondiario), perchè l'orizzonte

temporale previsto è considerevolmente lungo. L'operazione di

attualizzazione consente di riportare tutti i costi al valore attuale, cioè

all'istante di realizzazione della coltivazione (VAC = valore attualizzato del

costo), ma non tiene conto del fatto che questo valore deve essere ripartito

su un numero di anni pari all'orizzonte temporale.

La grandezza che consente di considerare anche la ripartizione negli anni è

il costo medio annuale (CAM), ottenuto dividendo il CAV per l’orizzonte

temporale.

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Capitolo 5

141

L’obiettivo scelto, che deve essere massimizzato rispetto alle variabili di

decisione è proprio il costo medio annuo così calcolato.

∑= +

=T

aa

a

idtTC

TCAM

1 )1(),,(1 (5.2)

Ca = costo in ogni anno

CAM = costo medio annuo

A proposito dei costi medi unitari si possono fare le seguenti considerazioni

che permettono di capire la struttura del problema.

Il costo medio unitario fisso, cioè per unità di materia prima prodotta,

aumenta al diminuire della densità perchè è proporzionale alla superficie

investita per talea; si deve notare però che non aumenta proporzionalmente

alla densità perchè la produzione individuale aumenta al diminuire della

densità. Inoltre è fortemente dipendente dalla lunghezza dell’orizzonte

considerato.

Costo fisso = C(T,d)

Il costo unitario variabile, cioè per unità di materia prima prodotta, aumenta

con la densità in modo più che proporzionale; questo tipo di costo è infatti

proporzionale al numero di individui messi a dimora, che però producono

una quantità individuale di sostanza secca che diminuisce con la densità.

Questi costi introducono inoltre la dipendenza dal turno di taglio.

Costo unitario = C(T,t,d)

Le considerazioni fatte sul costo unitario ci consentono di capire come si

prende la decisione ottima rispetto al costo.

Tra tutte le decisioni che consentono di mantenere la produttività media a un

livello stabilito, la decisione ottima deve essere presa in modo da avere un

costo ottimo, cioè che bilanci l'effetto dei costi unitari fissi e variabili.

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Capitolo 5

142

Per valori bassi della produttività i costi unitari variabili hanno peso ridotto

rispetto a quelli fissi: per questo motivo si deve tendere a prendere valori

elevati dell'orizzonte temporale, in modo da riuscire a bilanciare i costi unitari

fissi che come si è visto sono funzione solo di questa variabile. Il turno di

taglio tende ad essere lungo perchè per valori bassi della densità cui ci

troviamo non si risente dell'effetto di saturazione nella crescita.

Per valori elevati della produttività i costi unitari variabili hanno peso

determinante rispetto a quelli fissi, di conseguenza la tendenza è quella di

assumere il turno di taglio più lungo possibile in modo da avere minori spese

legate al taglio e alla concimazione e l'orizzonte temporale più breve. La

soluzione è però fortemente influenzata dalla densità, parametro che agisce

in modo determinante sull'ammontare dei costi variabili unitari. La soluzione

migliore dovrebbe essere quella di abbassare il più possibile la densità,

compatibilmente con la necessità di mantenere la produttività ai livelli

desiderati.

Il costo medio annuo può essere formulato in due modi differenti:

1. si considera il costo medio unitario.

Costo medio unitario = costo medio unitario fisso + costo medio unitario

variabile.

Questo modo di procedere include nell'obiettivo economico la variazione di

produttività propria del sistema espressa dal primo obiettivo, perchè i costi

sono divisi per la produzione ottenuta. Questo modo di procedere è adatto

se si utilizza il metodo dei vincoli per la generazione della frontiera di Pareto.

2. si considera il costo medio totale:

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Capitolo 5

143

In questo caso il costo è espresso come la somma di costi fissi e costi

variabili totali e consente la generazione di una frontiera di Pareto

utilizzando il metodo dei pesi

La formulazione definitiva del problema diventa:

max [α1* O1 - α2* O2](k,t1,t2,d)

O1= T

xgtgxdxxgtgxdxk

j

t

i

ji

ji

ji

t

ll ∑ ∑∑

=

=

=+++

2

1

020

11

1

0

110

21

)(*)(*)()(*)(*)(

O2 = ( ∑= +

T

aa

a

rdtTC

T 1 )1(),,(1 )

xi+1 j = xi

j + xij * g(t) *g(xi

j)

t 1= lunghezza del primo turno

t2 = lunghezza del secondo turno

k = n° di turni;

T = orizzonte temporale;

a = anno considerato;

soggetta ai vincoli:

t1 ≤ 4t2 ≤ 4k ≤ 71000 ≤ d ≤ 20000

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Capitolo 5

144

Il vincolo sul turno di taglio è posto pari a quattro per evitare la crescita del

diametro basale oltre i 10 cm.

Il numero massimo di tagli massimo è 7 perché oltre questo valore si

verificano mortalità troppo elevate delle ceppaie. Al settimo turno si attesta

al 8% delle ceppaie iniziali per il Luisa Avanzo e al 10% per il Lux.

Il vincolo sulla densità si impone sulla base delle considerazioni fatte nel

quarto capitolo sulla validità delle curve iniziali e delle curve di crescita. In

particolare la dipendenza della diminuzione diametrica dalla densità non è

più valida al di fuori di questi limiti.

5.2 ALGORITMO di OTTIMIZZAZIONE

Gli algoritmi risolutivi disponibili su supporto informatico per l’ottimizzazione

di un sistema non lineare sono l’algoritmo di Newton e dei gradienti

coniugati.

L’algoritmo utilizzato per la determinazione delle condizioni ottime del

sistema è quello di Newton.

Il tempo massimo a disposizione del processo risolutivo può essere fissato;

è stato scelto un valore di 100 secondi adeguato per la maggior parte dei

problemi non complessi. Il tempo dipende anche dal numero di iterazioni,

stabilito intorno ai valori di 100 -150, sufficienti per determinare la soluzione.

Il valore definito per l’approssimazione è di 10-6 e controlla la precisione

delle soluzioni determinando se il valore impostato per il vincolo soddisfa un

obiettivo o un limite superiore o inferiore. Più alta è la precisione richiesta,

maggiore sarà il tempo necessario per raggiungere la soluzione.

La tolleranza è la percentuale per la quale la soluzione che soddisfa i vincoli

interi può differire dal valore ottimale ed essere considerata comunque

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Capitolo 5

145

accettabile, una maggiore tolleranza tende a velocizzare il processo

risolutivo; in questo caso si è ritenuto accettabile un valore dell’1%.

Quando la variazione relativa del valore dell’obiettivo è minore del numero

specificato per la convergenza, per le ultime cinque iterazioni, il processo si

arresta. Il valore fissato è di 0,0001; più piccolo è il valore di convergenza,

maggiore sarà il tempo necessario per raggiungere una soluzione.

5.3 METODOLOGIA

Il problema è stato impostato esplicitando gli obiettivi di produzione e dei

costi in funzione delle variabili decisionali: la lunghezza del turno di taglio t

(da 1 a 4 anni), il numero di tagli k (al massimo 6) e la densità d. Anche

l’orizzonte temporale T della coltura, dato da Σk k*t + t0 (lunghezza del

1°ciclo), risulta ottimizzato dall’algoritmo.

Le variabili taglio e orizzonte vengono espresse in forma in modo da poter

selezionare automaticamente i corrispondenti valori delle funzioni per ogni

passo di implementazione, secondo il metodo esposto di seguito.

L’algoritmo risolutivo può quindi scegliere se fornire il valore 1 o 0 alla

variabile per ottimizzare le funzioni obiettivo.

La schematizzazione è stata realizzata, per entrambi i cloni, suddividendo i

vari cicli di crescita per determinare la produzione complessiva al termine di

ogni ciclo e specificando i relativi costi.

VARIABILI DECISIONALI:

La variabile decisionale orizzonte temporale è espressa in forma binaria

attraverso 7 variabili:

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Capitolo 5

146

k1 k2 k3 k4 k5 k6 k7

0 0 0 0 0 0 0

1 1 1 1 1 1 1

Ogni ciclo è quindi caratterizzato dalle variabili binarie kc (dove c: numero di

ciclo, da 1 a 7) che valgono 1 se il ciclo viene considerato, 0 in caso

contrario.

La variabile decisionale turno di taglio è espressa in forma binaria attraverso

4 variabili:

x1 x2 x3 x4

0 0 0 0

1 1 1 1

Anche in questo caso le variabili valgono 0 o 1 a seconda che il taglio venga

effettuato oppure no.

Il primo ciclo è comunque realizzato (k1=1) e può avere durata diversa

rispetto a quella dei cicli successivi (dopo ceduazione).

I vincoli imposti alle variabili binarie permettono di soddisfare la successione

cronologica degli eventi, quindi di evitare di conteggiare anni o cicli

successivi a uno precedente inesistente:

kc+1 ≤ kc

xt+1 ≤ xt

Il valore delle variabili decisionali k (numero di cicli) e t (lunghezza del ciclo)

è determinato sommando le singole variabili binarie kc di ogni ciclo e xt di

ogni anno del ciclo.

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Capitolo 5

147

La densità d è una variabile intera; si ipotizza di non considerare densità

inferiori a 1000 p/ha e superiore a 20000 p/ha perché le curve di crescita

mantengano la loro validità.

Quindi il vincolo per la scelta del numero di talee da impiantare il primo anno

è: 1000 ≤ d ≤ 20000

Ad ogni ciclo, dopo la ceduazione, il numero di ceppaie presenti è

determinato tramite la funzione di mortalità descritta nel paragrafo 4.5.

OBIETTIVO PRODUTTIVITA’:

La funzione produttività sull’intero ciclo di vita della coltivazione è calcolata

sommando le produzioni totali di tutti i cicli considerati e dividendo per

l’orizzonte temporale differente a seconda dei valori delle variabili k e t.

(5.3)

Ciascun addendo viene selezionato solo se le variabili binarie corrispondenti

kc e xt sono uguali a 1.

OBIETTIVO COSTO:

I costi sono stati valutati per ogni anno di ciascun ciclo considerando tutte le

attività relative alla coltivazione e selezionandole a seconda del valore delle

variabili binarie kc e xt che permettono di stabilire quanti cicli sono stati scelti

e la loro durata.

∑ ∑

∑ ∑

= =

= =

+= 7

1

4

11

7

1

4

1

)*(

*),,(*

c ttc

c ttc

xxk

xktdpkP

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Capitolo 5

148

Per quanto riguarda i costi di preparazione del terreno e di impianto (Ca per

a=1,2,3,4,5) vengono conteggiati solo nel primo anno del primo ciclo e

dipendono in parte dalla densità iniziale (ved.formula 5.5).

Il diserbo meccanico e chimico (C6 e C7) vengono realizzati al primo anno di

ogni ciclo, subito dopo la messa a dimora delle talee e dopo ogni

ceduazione; per i cicli successivi al primo si tiene conto della possibilità della

scelta o meno di un ciclo moltiplicando i costi relativi a queste operazioni per

la variabile binaria kc (ved. formule 5.5 - 5.6).

Le cure colturali comprendono anche il controllo fitosanitario (C8) nell’anno

del taglio per evitare l’insediamento sulle ceppaie di consistenti popolazioni

di insetti in questo momento delicato della crescita. In un ciclo qualsiasi c è

possibile dover conteggiare questo costo in un certo anno t solo se la

variabile binaria dell’anno successivo xt+1 è nulla e quella attuale xt è uguale

a 1, quindi se si è nell’anno del taglio, moltiplicando sempre per kc (=1 se il

ciclo è selezionato). Ovviamente si deve tagliare e quindi eseguire la

disinfestazione nell’ultimo anno se non è già stata valutata questa

operazione negli anni precedenti (ved. formule 5.5 - 5.6 - 5.7 - 5.8).

Si deve fare un discorso a parte per la fertilizzazione (C9), in quanto il

quantitativo di fertilizzante per tonnellata di sostanza secca per ogni ciclo

dipende dall’anno del taglio. Per ottenere il fertilizzante complessivo si deve

moltiplicare questo valore valutato in corrispondenza dell’anno considerato

per la produzione totale del ciclo (ved. formule 5.5 - 5.6).

Per il fertilizzante a base di fosforo P2O5 e potassio K2O si sommano i

contributi derivanti da tutti i cicli produttivi e si considera questo costo

applicato al primo anno del primo ciclo, in quanto la distribuzione di questo

concime è realizzata con i lavori di preparazione del terreno.

Per quanto riguarda l’azoto N, si procede ad una distribuzione frazionata in

copertura dopo ogni ceduazione, quindi si valuta il fertilizzante totale

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Capitolo 5

149

necessario per ogni ciclo e si inserisce il costo corrispondente nel primo

anno del ciclo stesso.

Non è necessario moltiplicare per le variabili binarie xt e kc in quanto la

dipendenza dei costi dalle variabili decisionali t e k è già compresa nel

termine di produzione.

I costi relativi all’operazione di taglio (C10) dipendono dal sostanza secca

presente per ettaro, variabile a seconda della densità e del ciclo in cui si

considera, come descritto nel paragrafo 4.7. Il numero di operazioni di

raccolta e di cippatura del materiale sono funzioni anche delle variabili

decisionali dell’orizzonte temporale e del numero di cicli; il ragionamento

applicato è analogo a quello relativo al controllo fitosanitario (ved. formule

5.5 - 5.6 - 5.7).

Al termine del ciclo produttivo della coltivazione, si devono valutare i costi di

ripristino finale (C11) : la piantagione viene estirpata e il terreno ripristinato.

Si considera questo costo in un dato anno t di un ciclo c solo se la variabile

binaria del ciclo successivo kc+1 è nulla e quella attuale kc è uguale a 1

(quindi se si è nell’ultimo ciclo), contemporaneamente la variabile binaria

dell’anno successivo xt+1 deve essere nulla e quella attuale xt uguale a 1 (se

si è nell’anno del taglio). Ovviamente si deve tagliare nell’ultimo anno e/o

nell’ultimo ciclo se non è già stata considerata questa operazione negli anni

e/o cicli precedenti (ved. formule 5.5 – 5.6 – 5.7).

Infine per ogni anno di utilizzo del terreno si deve considerare il beneficio

fondiario (C12) , moltiplicando per kc e per xc in modo da non conteggiare il

costo relativo agli anni non selezionati durante la procedura risolutiva.

L’attualizzazione dei costi totali sull’orizzonte temporale T è descritta nel

paragrafo 4.1.4; nell’impostazione del problema per la procedura risolutiva,

per valutare a quale anno corrispondono i costi calcolati si deve tenere

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Capitolo 5

150

conto di quanto sono lunghi i cicli precedenti e incrementare del numero di

anni t a cui corrisponde il costo considerato in quel ciclo.

Per determinare il costo complessivo per anno sull’orizzonte temporale T si

divide il costo totale, dato dalla somma dei costi attualizzati, per l’orizzonte

temporale stesso (ved. formula 5.4).

CTOT = C’(t=1,k=1) + C’’(t=1,k>1) + C’’’(t>1,k) + C’’’’(t=4,k) (5.4)

dove

5C’(t=1,k=1) = ∑ Ca(d) + C6 + C7 + C9 + C8*(xt+1 –1) + C10(tss/ha)*(xt+1 –1) +

a=1

+ C11*(kc+1 –1)*(xt+1 –1) + C12*kc (5.5)

7C’’(t=1,k>1) = ∑ [(C6 + C7 + C9)*kc + C8*(xt+1 –1)*kc + C10(tss/ha)*(xt+1 –1)*kc +

k=2

1+ C11*(kc+1 –1)*(xt+1 –1)*kc + C12*kc] * -------- (5.6)

(1 + 0.03) (∑x(t)*k(c-1) + 1)

3 7C’’’(t>1,k) = ∑ ∑ [C8*(xt+1 –1)*xt*kc + C10(d)*(xt+1 –1)*xt*kc +

t=2 k=1

1+ C11*(kc+1 –1)*(xt+1 –1)*xt*kc + C12*kc] * --------

(5.7) (1 + 0.03) (∑x(t)*k(c-1) + 1)

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Capitolo 5

151

7C’’’’(t=4,k) = ∑ [C8*xt*kc + C10(d)*xt*kc + C11*(kc+1 –1)*xt*kc +

k=1

1+ C12*kc] * -------- (5.8)

(1 + 0.03) (∑x(t)*k(c-1) + 1)

5.4 FRONTIERE di PARETO

Le frontiere ottenute hanno un andamento corrispondente a quello previsto.

Per valori bassi della densità, la decisione ottima consiste nell’adozione di

turni lunghi e orizzonti temporali elevati; il turno di taglio individuato per

entrambi i cloni è il più lungo possibile (4 anni) e il ciclo produttivo è di 24

anni, prossimo al vincolo imposto di 28 anni. In corrispondenza di tali valori,

si ha un numero complessivo di cicli pari a 6, valore elevato non atteso a

causa dell’incidenza delle mortalità. Questo comportamento è dovuto al

contributo dei costi fissi unitari.

Per valori più elevati delle densità si nota una diminuzione della lunghezza

dei turni successivi al primo e dell’orizzonte temporale, a causa del maggior

peso dei costi variabili unitari.

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Capitolo 5

152

Clone Lux

Per questo clone la scelta del turno di 4 anni per tutti i cicli e dell’orizzonte di

24 anni si verifica per densità comprese tra 1000 e 15000 talee/ha. In

corrispondenza le produttività variano tra 5 e 10,6 t/ha, mentre i costi medi

passano da 480000 a 730000 £/anno. Fino a 10000 talee/ha la frontiera è

debolmente inclinata in quanto i costi aumentano poco al crescere della

produttività.

La densità scelta dagli sperimentatori e ritenuta ottimale è di 10300 talee/ha

(con file binate 2 x 0.75 x 0.7m), proprio in corrispondenza dell’incurvarsi

della frontiera. Se ne deduce che il criterio decisionale è quello di dare

importanza maggiore ai costi che non alla produttività, in quanto si

prevedono prezzi di mercato bassi, intorno alle 100000 £/t per la biomassa

secca in azienda (escluso quindi il trasporto).

Il turno di 4 anni è dovuto ai bassi effetti competitivi di queste densità.

Per densità più elevate (16000 –20000 talee/ha) diminuiscono il turno di

taglio e l’orizzonte; il taglio è di 4 anni per il primo ciclo e di 3 per i

successivi, mentre l’orizzonte è di 19 anni. Le produttività variano da 11,85 a

12,31 t/ha e i costi da 900000 a 980000 £/anno, l’inclinazione della frontiera

aumenta.

Alla densità di 20000 talee/ha è anche possibile adottare un turno di 3 anni

nel primo ciclo e di 2 nei successivi per un orizzonte di 13 anni, ottenendo

una produzione media di 14,5 t/ha a fronte di una spesa di 1480000 £/anno.

Quest’ultima soluzione determina un incremento elevato dei costi rispetto

agli aumenti di produttività che si ottengono, di conseguenza è stata usata

come limite nella determinazione della frontiera di Pareto.

I risultati dell’ottimizzazione per il clone Lux sono riportati in tabella 5.1 e la

frontiera di Pareto è rappresentata in figura 5.1.

Densità Turno Passo T Produttività Costi

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Capitolo 5

153

t/ha £/anno (x1000)1000 4 - 4 1 + 5 24 5,04 4842104 6,59 5084102 8,07 5446202 8,96 5797986 9,46 6089538 9,79 632

10911 10,03 65411745 10,15 66612504 10,25 67813250 10,34 68915784 10,59 72816089 4 - 3 1 + 5 19 11,86 90117791 12,08 93519456 12,26 96820000 12,31 97820000 3 - 2 1 + 5 13 14,49 1480

Tab. 5.1 – Decisioni ottime e valori degli obiettivi per il clone Lux

Fig. 5.1 – Frontiera di Pareto per il clone Lux

FR O N TIER A di PAR ETO - Lux

0

200

400

600

800

1000

1200

1400

1600

0 2 4 6 8 10 12 14 16

Produttività (t/ha)

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Capitolo 5

154

Clone L. Avanzo

Anche per il L. Avanzo si ottiene un turno di 4 anni per tutti i cicli e un

orizzonte di 24 anni per densità variabili tra 1000 e 13000 talee/ha. Le

produttività aumentano partendo da un valore di 4,97 fino a 11,63 t/ha,

mentre i costi corrispondenti variano tra 483000 a 688000 £/anno.

Incrementando la densità fino a circa 17500 talee/ha, la scelta del turno

rimane invariata, mentre diminuisce il numero di cicli selezionati e di

conseguenza l’orizzonte temporale si riduce a 20 anni. Si può notare inoltre

che al cambio dell’orizzonte può risultare conveniente diminuire la densità,

infatti il valore ottimo è di circa 12200 talee/ha. Le produttività determinate

risultano comprese tra 12,2 e 13 t/ha, con una variazione dei costi tra

734000 e 820000 £/anno.

Anche in questo caso l’inclinazione della frontiera inizia ad essere evidente

intorno alla densità di 11000 talee/ha, per aumentare poi con il crescere

della densità.

Per le densità comprese tra le 17800 e 20000 talee/ha, diminuiscono

ulteriormente il turno di taglio a 3 anni per il primo passo e a 4 per i cicli

successivi; si riduce anche il numero di cicli selezionati determinando un

orizzonte temporale di 16 anni. Le produzioni medie sono comprese tra

14,7 e 15 t/ha, corrispondentemente anche i costi presentano un certo

incremento tra 1100000 e 1160000 £/anno.

I risultati dell’ottimizzazione per il clone L. Avanzo sono riportati in tabella

5.2 e la frontiera di Pareto è rappresentata in figura 5.2.

Densità Turno Passo T Produttivitàt/ha

Costi£/anno (x1000)

1000 4 - 4 1 + 5 24 4,97 483

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Capitolo 5

155

2571 7,34 5175242 9,24 5648187 10,44 612

10782 11,15 65212240 11,46 67513104 11,63 68812232 4 - 4 1 + 5 20 12,16 73413184 12,34 75015564 12,71 79216289 12,81 80417080 12,91 81717280 12,93 82017859 4 - 3 1 + 4 16 14,78 110817942 14,79 111018459 14,88 112319362 15,03 114620000 15,12 1163

Tab. 5.2 – Decisioni ottime e valori degli obiettivi per il clone L. Avanzo

Fig. 5.2 – Frontiera di Pareto per il clone Lux

Confronto tra le frontiere di Pareto dei due cloni

FRONTIERA di PARETO - L.Avanzo

0

200

400

600

800

1000

1200

1400

0 2 4 6 8 10 12 14 16

Produttività (t/ha)

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Capitolo 5

156

Si può notare che la frontiera di Pareto relativa al clone Lux risulta dominata

da quella del L. Avanzo, soprattutto per le densità elevate in quanto il Lux

risente maggiormente dell’effetto di competizione tra le piante presentando

una diminuzione della produzione media. La scelta di turni lunghi e di un

ciclo produttivo prolungato non è in grado di compensare l’aumento dei costi

unitari. La differenza dei costi medi infatti, a pari produttività, è di circa

200000 £/anno dove le frontiere presentano la maggior inclinazione.

Alle basse densità, per le quali il Lux è più produttivo, le due frontiere sono

praticamente sovrapposte; in entrambi i casi un leggero aumento dei costi

permette di ottenere una crescita notevole della produttività.

Si osserva che esistono delle discontinuità nelle frontiere dovute al cambio

del turno di taglio e dell’orizzonte temporale, in corrispondenza di tali

variazioni si ha un “salto” nelle prestazioni del sistema.

Fig. 5.3 – Confronto tra le frontiere dei due cloni

5.5 SCELTA dei PUNTI sulla FRONTIERA

FRONTIERA di PARETO - L.Avanzo e Lux

0

200

400

600

800

1000

1200

1400

1600

0 2 4 6 8 10 12 14 16

Produttività (t/ha)

L. Avanzo Lux

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Capitolo 5

157

La decisione fatta dagli sperimentatori è di adottare una densità in cui la

frontiera di Pareto inizia ad incurvarsi. Il motivo di questa scelta è giustificato

dall’osservazione che a densità più elevate iniziano fenomeni di mortalità

delle piante poiché queste densità sono mal sopportate dal pioppo. Si

avrebbero quindi aumenti di costo non bilanciati da un adeguato

miglioramento della produttività. Il criterio seguito appare sbilanciato verso i

costi, e potrebbe adattarsi alla decisione dell’imprenditore agricolo, che

dovrebbe fronteggiare un prezzo di vendita previsto molto basso (circa 100

£/Kg). Avendo a disposizione estensioni di terreno elevate prossime

all’impianto, a causa del set-aside comunitario, può essere presa la

decisione di destinarli a queste coltivazioni, a patto di avere costi unitari

bassi.

Nell’ottica di decidere rispetto alla produzione energetica, il criterio di scelta

di un punto sulla frontiera di Pareto può essere quello di considerare

l’insieme delle soluzioni dove cambiano le variabile discrete “turno di taglio”

e “orizzonte temporale”, adottando un principio simile a quello della

massima curvatura. Le soluzioni così individuate corrispondono infatti a

punti di discontinuità rispetto agli obiettivi scelti, poiché la frontiera è

strutturata per insiemi distanziati fra loro. Si selezionano così i punti dove si

hanno dei “salti” nella prestazione del sistema, e si valuterà poi l’opportunità

di passare da un livello all’altro. Con questa operazione si scelgono tre

valori della variabile continua densità della coltivazione, uno per ogni

possibile turno di taglio e corrispondenti all’estremo superiore di ogni

insieme individuato. I punti così selezionati sono:

Produttivitàt/ha

Costi£/anno (x1000)

Densità Turno Passo T

11,63 688 13104 4 - 4 1 + 5 2412,93 820 17280 4 - 4 1 + 5 2015,12 1163 20000 4 - 3 1 + 4 16

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Capitolo 5

158

Tab. 5.3 – Punti selezionati rispetto alla densità per il clone L.Avanzo

Produttivitàt/ha

Costi£/anno (x1000)

Densità Turno Passo T

10,6 727 15784 4 - 4 1 + 5 2412,31 978 20000 4 - 3 1 + 5 1914,49 1480 20000 3 - 2 1 + 5 13

Tab. 5.4 – Punti selezionati rispetto alla densità per il clone Lux

Per poter scegliere fra i punti selezionati ci si può affidare alla realizzazione

di un obiettivo diverso, che è l’effettiva efficienza energetica del sistema

produttivo. A seconda delle decisioni prese si determinano infatti dei

consumi legati alle attività necessarie per ottenere il prodotto, all’uso di

pesticidi e alle ore di lavoro degli automezzi in campo.

Riassumendo, sono state scelti tre valori della densità per ogni clone, con

un criterio simile a quello della massima curvatura, individuando i punti di

discontinuità della frontiera. La scelta di uno di questi, e quindi di un

particolare turno di taglio, può essere effettuata confrontandone l’efficienza

energetica dei punti individuati.

5.6 EFFICIENZA ENERGETICA del SISTEMA

Rispetto ai 3 punti selezionati secondo le modalità indicate nel paragrafo 5.5

e riportati in tabella 5.3, è possibile determinare un valore dell’efficienza

energetica del sistema, considerando i consumi energetici relativi alle attività

di realizzazione e di conduzione della coltivazione e il contenuto di energia

della materia prima prodotta. L’efficienza energetica può divenire un criterio

di confronto fra i punti selezionati.

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Capitolo 5

159

Per determinare il dispendio energetico di ciascuna attività coinvolta nella

coltivazioni si è fatto ricorso alle rilevazioni effettuate dal C.T.I (Comitato

Termotecnico Italiano) su piantagioni sperimentali realizzate a Casale

Monferrato.

Durante la campagna sperimentale sono stati rilevati i consumi di

carburante degli automezzi coinvolti nelle fasi colturali e i tempi operativi

realizzati. I mezzi impiegati e le tecniche di coltivazione sono molto simili a

quelli descritti nel Cap. 3, che si riferiscono agli esperimenti di Coltano (il

gruppo di ricerca era lo stesso). Per questo motivo si è ipotizzato che si

realizzino gli stessi valori di consumi orari (gasolio e lubrificante dei mezzi

impiegati) in entrambi i casi.

Conoscendo i tempi operativi realizzati a Coltano, riportati in tabella 3.5, si

ottengono i consumi per ettaro riportati in tabella 5.5.

Come già detto l’elaborazione è attendibile poiché è stato seguito lo stesso

modello colturale e utilizzate macchine analoghe, ad esclusione di piccole

eccezioni ritenute trascurabili.

Per il calcolo del consumo di olio lubrificante si è ipotizzato che sia pari allo

0,5% del consumo di gasolio (CTI).

Attività Motrici operatrici Pot.Nom.(kW)

Consumi tot.(kg/ha)Gasolio Olio Materiale

Aratura M.M.+ Aratro trivomere 80 27,31 0,14Erpicatura M.M.+ Erpice 80 8,28 0,04Concimazionedi fondo

M.M.+ Spandiconcime 51 2,03 0,01 444 kg difertiliz.

Concimazionedi copertura

M.M.+ Spandiconcime 51 3,74 0,02 218 kg diurea

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Capitolo 5

160

Impianto M.M.+ Trapiantatrice 51 19,2 0,096 5700talee/ha

Diserbomeccanico

M.M.+ Erpice a dischi 51 3,3 0,02

Diserbochimico

M.M.+ Irroratrice 51 0,97 0,048 6,5 kg. dierbicida

Raccolta Falcia-trincia-caricatrice 228 95,3 0,47Dicioccatura M.M.+ Fresatrice 80 51,1 0,25

Tab 5.5 – Consumi determinati dalle rilevazioni temporali di Coltano

Le ipotesi che si sono dovute formulare per adattare le osservazioni di

Casale sono le seguenti:

• Nel modello colturale considerato l’operazione di cippatura viene

eseguita dopo l’essiccazione in campo delle piante intere, mentre a

Casale sono stati rilevati i consumi di una macchina raccoglitrice che

effettua la cippatura in campo al momento della raccolta. Si è ipotizzato

che il consumo energetico dell’operazione di cippatura eseguita in

campo sia lo stesso di quello necessario per cippare le piante essiccate.

• L’operazione di impianto delle talee non viene energeticamente

aggravata dall’aumento della densità per via delle caratteristiche della

macchina piantatalee, in grado di procedere alla stessa velocità

indipendentemente dal numero di talee da impiantare. Infatti si agisce su

dei blocchi che determinano la distanza minima sulla fila fra le talee

impiantate.

• Il consumo energetico delle operazioni di preparazione del terreno si

considerano indipendenti dalla densità di impianto, ad eccezione della

quantità di fertilizzanti. Come già visto, infatti, la quantità di fertilizzanti da

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Capitolo 5

161

utilizzare dipende strettamente dalla materia prima che si vuole ottenere

per ettaro e quindi dalla densità e dal turno adottato.

• L’operazione di raccolta procede a una velocità diversa a seconda della

dimensione del diametro delle piante, che dipende dalla densità e dal

turno di taglio; inoltre i consumi aumentano con la quantità di materiale

raccolto, a causa del trasporto più frequente a bordo campo e della

maggiore quantità di materiale da cippare. Purtroppo mancano

rilevamenti del tempo di lavoro della trinciafalciacaricatrice su tutte le

densità considerate, e per questo motivo si sono ipotizzati andamenti

lineari dei tempi (e quindi dei consumi) con il materiale raccolto.

Dopo aver calcolato i consumi di ogni operazione, conoscendo i contenuti

energetici primari dei vari materiali impiegati (ved.tab.5.6, fonte C.T.I), è

stato possibile determinare i consumi energetici di ciascuna delle attività

eseguite per le alternative esaminate, rappresentate nelle figure 5.4-5.5-5.6.

Per contenuto energetico primario si intende l’energia consumata per

ottenere l’unità di massa del materiale consumato. Questo valore viene

ottenuto moltiplicando il consumo di risorse per il loro contenuto energetico.

I consumi energetici totali, diretti e indiretti, relativi alle operazioni colturali

per il clone Luisa Avanzo nei tre casi considerati sono riportati in figura 5.7.

Materiale Contenuto di energia primaria (MJ/kg)

Gasolio 51,5

Olio lubrificante 83,7

Urea 73,3

P2O5 13,4

K2O 9,2

Fitofarmaci 82

Talee 0.054 MJ/talea

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Capitolo 5

162

Tab. 5.6 – Contenuto di energia primaria dei fattori di produzione.

Fig. 5.4 – Consumi energetici annuali di ogni attività per l’alternativa ‘Luisa

Avanzo 1’

Consum i energetici annuali per Lav1

52 16 4 35 36 75 11

1260

97

651

30131

3121

0

500

1000

1500

2000

2500

attività

diretti indiretti

Consum i energetici annuali per Lav2

62 19 5 34 44 75 11

1399

116

724

47131

3310

0

500

1000

1500

2000

2500

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Capitolo 5

163

Fig.5.5 – Consumi energ. annuali di ogni attività per l’alternativa ‘L.Avanzo 2’

Fig 5.6 – Consumi energ. annuali di ogni attività per l’alternativa ‘L.Avanzo 3’

Consum i energetici annuali per Lav3

78 24 6 43 55 93

2044

145

847

68 14163

4151

0

500

1000

1500

2000

2500

attività

diretti indiretti

Consumi energetici complessivi

0

1000

2000

3000

4000

5000

6000

7000

8000

9000

LAV1 LAV2 LAV3

indiretti

diretti

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Capitolo 5

164

Fig 5.7 – Consumi energetici totali annuali per ettaro per tutte le attività

produttive, divisi in diretti e indiretti, per i tre casi studiati

Dopo aver determinato il consumo energetico complessivo per ettaro

(ingresso di energia al sistema), è possibile calcolare l’efficienza energetica

(output/input) del sistema produttivo, considerando un contenuto energetico

della biomassa prodotta (LHV) pari a 17,7 MJ/kg. Si determina inoltre il

quantitativo di energia prodotta per anno con un bilancio energetico tra

energia in uscita e in ingresso.

I risultati per le alternative considerate sono riportati in tabella 5.7.

Luisa Avanzo 1 Luisa Avanzo 2 Luisa Avanzo 3

Consumi totali 5518 MJ/ha 5974 MJ/ha 7728 MJ/ha

Contenuto

energ.biomassa/ha 174973 MJ/ha 194700 MJ/ha 228330 MJ/ha

Efficienza 31 31,6 28,5

Bilancio energetico 169,3 GJ/ha 188,5 GJ/ha 220,32 GJ/ha

Tab. 5.7 – Efficienza del sistema produttivo e bilancio energetico per le

alternative considerate del clone L.Avanzo

Dalle elaborazioni effettuate si può notare che l’efficienza di sistema migliore

è quella relativa al caso del Luisa Avanzo 2, pari a 31,6.

Le produzioni ottenute con il terzo punto sono caratterizzate da una netta

diminuzione dell’efficienza rispetto agli altri due casi, dovuto all’eccessivo

sforzo che si deve sostenere su un orizzonte breve.

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Capitolo 5

165

Da un punto di vista energetico appare non conveniente adottare uno

schema produttivo corrispondente a orizzonti molto corti con turni più brevi

(Luisa Avanzo 3), in quanto l’aumento della produttività è ottenuto con un

aggravio energetico (in termini di efficienza) ed economico notevolmente

superiore agli altri due punti.

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Capitolo 6

166

6 TECNOLOGIE e MODELLIZZAZIONE

della GASSIFICAZIONE

Dopo aver valutato le potenzialità produttive di un pioppeto a breve turno di

taglio nel caso in cui si prendano decisioni ottime, si è eseguita una

valutazione delle potenzialità di utilizzo di questa risorsa. Quest’ultimo

risultato è ottenibile solo facendo delle ipotesi sul particolare tipo di

installazione da realizzare, per questo si è deciso di fare riferimento ad un

impianto per la produzione di energia elettrica di 12 MW. Questa potenza

corrisponde a quella della prima realizzazione in Italia che dovrebbe essere

alimentata con colture energetiche, in corso di realizzazione a Cascina

(Pisa).

Le caratteristiche dell’impianto di riferimento sono state fornite dal Professor

Manfrida dell’Universita di Firenze.

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Capitolo 6

167

6.1 Le POTENZIALITA’ ENERGETICHE delle

BIOMASSE

6.1.1 La SITUAZIONE ATTUALE

In Italia esistono attualmente più di 20 installazioni in funzione, tutte di

compagnie private, che producono una quantità totale di 17 MWe. La

soluzione generalmente adottata è quella della cogenerazione.

Molte installazioni usano come carburanti i residui provenienti da processi di

distillazione, dalla produzione di olio e dal trattamento del legno. Impianti

che usano solo biomassa ottenuta all’esterno sono molto rari; questa

applicazione è limitata alla lolla di riso che ha il vantaggio di essere

localizzata nell’area di produzione, di avere costi favorevoli e un mercato

interessante per le ceneri.

Chiaramente esistono installazioni che usano biomassa per produrre

energia termica soltanto; in Italia ne esistono 40-50 con una capacità

termica di 12-14 MWth.

Un esempio rilevante è quello degli Stati Uniti dove l’uso di biomasse è più

diffuso: dal 1973 ad oggi si è avuto un notevole aumento nell’uso di

bioenergia negli U.S.A. soprattutto per quanto riguarda l’uso degli scarti del

legno, tanto che nell’industria di carta e legno si è arrivati ad un auto

sostentamento del 70%.

Questo aumento si è avuto a seguito della Federal Tax Policies che

garantiva ai piccoli produttori di elettricità un prezzo di acquisto favorevole

per la potenza venduta alle utilities (servizio pubblico).

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Capitolo 6

168

Negli U.S.A esistono 1000 impianti alimentati a legno con dimensioni pari a

10-25 MWe. Un terzo di questi produce elettricità da vendere, generalmente

con cogenerazione di vapore.

Con il finire degli incentivi della Federal Tax, molti impianti rischiano la

chiusura se non si aumenta il rendimento.

6.1.2 TECNOLOGIE

1) Combustione: ossidazione della biomassa con eccesso d’aria e utilizzo

diretto dei fumi in una caldaia a ciclo Rankine. Viene prodotta solo elettricità

in un ciclo a vapore a condensazione, elettricità più calore in un ciclo con

estrazione (cogenerazione).

2) Gassificazione: parziale ossidazione della biomassa in condizioni sub-

stechiometriche in genere in presenza di vapore che fornisce l’energia per

trasformare anche la biomassa rimanente in gas e vapore organico. Il gas è

utilizzato o direttamente in caldaia o in turbina.

3) Pirolisi: riscaldamento indiretto mediante una fonte di calore esterna. Il

prodotto primario del processo è vapore condensabile.

4) Gassificazione indiretta: riscaldamento indiretto in presenza di vapore

con produzione di gas.

COMBUSTIONE

• Pile burners: è costituito da una camera a combustione a due stadi

seguita da una caldaia collocata al di sopra della camera di seconda

combustione. Le ceneri sono rimosse isolando la camera di combustione

dalla caldaia e scaricandole manualmente dalle grate. Il sistema ha bassa

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Capitolo 6

169

efficienza e funzionamento ciclico a causa dello svuotamento della grata

dalle ceneri.

• Stoker Grate: è dotato di griglia mobile che permette di raccogliere in

modo continuo le ceneri eliminando il problema del funzionamento ciclico.

Inoltre il fuel è sparso uniformemente con uno stoker pneumatico

migliorando l’efficienza di combustione. L’aria è insufflata da sotto le grate

mobili e funge da raffreddamento. Il quantitativo d’aria insufflata

determina infatti la massima temperatura raggiungibile dalla griglia e

l’umidità ammissibile nell’alimentazione.

• Bubbling fluid bed : esiste un gas che passa attraverso un letto costituito

da materiale granulare libero di fluire. La velocità del gas è tale che le

particelle solide sono ampiamente separate e circolano liberamente nel

letto. Il letto fluido appare come un liquido bollente e ha le proprietà di un

fluido. Nella combustione a letto fluido l’aria funge contemporaneamente

da gas bollente e da comburente. In pratica un letto fluido è un recipiente

con dimensioni tali che la velocità superficiale del gas mantiene il letto in

condizioni fluidizzate sul fondo del recipiente, con una variazione della

sezione trasversale sopra il letto che abbassa la velocità superficiale del

gas al di sotto della velocità di fluidizzazione. La biomassa è introdotta o

attraverso uno scivolo di alimentazione nell’alto del letto o attraverso una

trivella nel letto. L’introduzione nel letto assicura un tempo di residenza

per la frazione fine che in caso contrario sarebbe trattenuta nel gas

fluidizzante e non bruciata nel letto. Il letto è generalmente preriscaldato

usando un bruciatore esterno alimentato a gas naturale, propano o olio. Il

gas preriscaldato è usato per portare il letto alla temperatura di ignizione.

A questo punto la biomassa viene introdotta lentamente per portare il

letto alla temperatura desiderata (790°C - 870°C). La temperatura del

letto è determinata dalle due esigenze opposte di garantire la

combustione completa e di non superare la temperatura di fusione delle

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Capitolo 6

170

ceneri della biomassa combusta. Appena introdotta nel letto la frazione

organica volatilizza per via pirolitica e viene parzialmente combusta dalla

temperatura presente nel letto mediante una reazione esotermica. Il

calore prodotto mantiene il letto a temperatura elevata e volatilizza altra

biomassa. La combustione è completata nella parte superiore dall’aria

aggiuntiva. La scelta del letto fluido è giustificata dall’ottima miscelazione

che garantisce e dall’ottimale trasferimento di calore, che generano

condizioni uniformi all’interno del letto.

GASSIFICAZIONE

La gassificazione prevede la conversione e la volatilizzazione della

biomassa in un ambiente che comprende aria e vapore per produrre un gas

con proprietà calorifiche intermedie. Gli organici presenti reagiscono con

l’ossigeno dell’aria e la reazione esotermica produce calore necessario per

devolatilizzare la biomassa e convertire il residuo carbonioso. I gas prodotti

hanno un potere calorifico secco di 4,9 - 5,9 MJ/m3.

Oltre al tipo di agente gassificante, ciò che determina l’efficienza del sistema

di gassificazione è la pressione. Una pressione elevata è auspicabile perchè

permette di alimentare direttamente il ciclo di una turbina a gas: questa

condizione di funzionamento genera però la presenza di char e tar. Questi

devono essere eliminati senza scendere al di sotto della temperatura di

rugiada dei tar e per questo si utilizza un sistema di pulizia dei fumi ad

elevata temperatura.

Il primo elemento di questo sistema di pulizia dei fumi è un sistema catalitico

o termico di scissione dei tar (catalitico = 825 °C, termico = 871 °C - 982

°C). A valle del tar cracker il gas viene raffreddato parzialmente (538 °C -

649°C), quindi i prodotti passano in un filtro a ceramica per rimuovere i

solidi. La configurazione alternativa è a bassa pressione per la produzione

dei gas con successiva pressurizzazione. Anche in questo caso è

necessario un tar cracker che fornisca una quantità di tar tale che la

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Capitolo 6

171

pressurizzazione alla pressione desiderata non provochi condensazione. Il

tipo di reattore può essere: letto fisso, letto fluido bollente, letto fluido con

ricircolo.

6.1.3 PROPRIETA’ delle BIOMASSE come COMBUSTIBILI

I combustibili indicati con il termine biomassa possono essere così

classificati:

• Erbosi e paglia

• Nocciuoli, gusci, buccia (di cereali) o combustibili legnosi di provenienza

agricola

• Legno

Questi combustibili sono usati in genere in piccoli impianti (50 MW net

output) alimentati con materiale locale. Generalmente si usa legna nei limiti

stabiliti da queste esigenze:

• disponibilità;

• costo;

• convenzioni;

• i problemi collegati alla combustione (scorie, corrosione, ecc.) nella

caldaia.

I problemi di combustione in caldaia sono dovuti alle specie inorganiche

formate dalla combustione di biomassa, che si depositano in una serie di

forme differenti sulle superfici. Le scorie contenenti silicio frequentemente si

formano nella zona ad elevata temperatura del forno dove gli alcali

reagiscono con il silicio o lo zolfo per formare vetri fusi. Le masse di scorie

possono formarsi e accumularsi sulle grate o sui muri, specialmente sui muri

refrattari con elevata temperatura superficiale. Le scorie possono avere

struttura rocciosa, a nastro, a capello o altra forma. Si possono formare

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Capitolo 6

172

anche agglomerati, composti di sabbia (mezzo fluidificante) e ceneri legate

per fusione.

L’agglomerazione è un problema comune nei combustori a letto fluidizzato,

dove le reazioni nel letto possono formare aggregati di ceneri e di mezzo

fluidificante.

Le scorie si formano su tutte le superfici con trasferimento di calore, ma

specialmente sui tubi posti nella caldaia attraversati dal flusso convettivo;

anche i separatori di particelle come i cicloni, localizzati all’uscita del forno,

sono soggetti a sporcamento.

I meccanismi di formazione delle scorie sulle pareti della caldaia includono:

• la condensazione di vapori inorganici;

• la compressione inerziale;

• lo stricking (appiccicamento);

• la reazione per via chimica;

Gli effetti indesiderati delle scorie sono:

• il ritardo nel trasferimento di calore nei tubi della caldaia;

• i depositi possono crescere fino al punto di impedire il flusso;

• i depositi sulle grate possono condurre allo spegnimento;

• corrosione;

Gli elementi:

• silicio;

• potassio;

• calcio;

• cloro;

• zolfo;

sono i principali elementi coinvolti nello sporcamento delle superfici .

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Capitolo 6

173

La tabella riportata mostra le analisi elementari effettuate su alcuni

combustibili.

Paglia di

frumento

Lolla di

riso

Gusci di

mandorle

Noccioli di

olive

Pioppo

Analisi elementare

(% su s.s.)

Carbonio C 44,92 38,83 49,30 52,80 50,18

Idrogeno H 5,46 4,75 5,97 6,69 6,06

Ossigeno O 41,77 35,47 40,63 38,25 40,43

Azoto N 0,44 0,52 0,76 0,45 0,60

Zolfo S 0,16 0,05 0,04 0,05 0,02

Cloro Cl 0,23 0,12 < 0,01 0,04 0,01

Ceneri 7,02 20,26 3,29 1,72 2,70

Composizione

elementare delle

ceneri (%)

SiO2 55,32 91,42 8,71 30,82 5,90

Al2O3 1,88 0,78 2,72 8,84 0,84

Fe2O3 0,73 0,14 2,30 6,58 1,40

CaO 6,14 3,21 10,50 14,66 49,92

MgO 1,06 < 0,01 3,19 4,24 18,40

Na2O 1,71 0,21 1,60 27,80 0,13

K2O 25,60 3,71 48,70 4,40 9,64

P2O5 1,26 0,43 4,46 2,46 1,34

Tab. 6.1 – Composizione di alcuni tipi di biomasse

Si nota il basso contenuto di composti inorganici che caratterizza la

biomassa legnosa rispetto a quella degli scarti agricoli.

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Capitolo 6

174

6.2 MODELLISTICA della COMBUSTIONE e della GASSIFICAZIONE

La maggior parte degli articoli trovati in letteratura esegue un’analisi di tipo

statico del fenomeno della combustione, mirata soprattutto a stabilire come

le componenti presenti nel combustibile si suddividono fra le emissioni

liquide, gassose e solide.

Solo pochi articoli fanno una descrizione di tipo dinamico del problema,

basandosi sui bilanci di massa ed energia della materia coinvolta. Questo

tipo di approccio è molto complesso perchè non può prescindere

dall’aspetto fluidodinamico del problema, indispensabile per poter svolgere il

bilancio energetico. In ciascun punto del dominio e in ogni istante di tempo

si realizzano infatti delle condizioni determinate non solo dalle reazioni che

si svolgono all’interno della materia in combustione, ma anche dalla velocità

che questa possiede.

E’ infatti intuitivo comprendere che, a parità di condizioni, una massa

gassosa veloce (tempo di residenza minore) raggiunge un grado di

combustione minore di una massa gassosa lenta. La ricostruzione dei campi

di velocità e’ operazione assai complessa, perchè necessita la formulazione

di ipotesi riguardanti il tipo di moto che si instaura nella camera di

combustione, e la scrittura di equazioni differenziali alle derivate parziali di

difficile integrazione.

Un ulteriore problema consiste nella taratura e validazione del modello.

Probabilmente per questo motivo tutti i modelli trovati tentano una

descrizione del fenomeno il più vicino possibile alla realtà fisica e non

mediante modelli concettuali o empirici da tarare.

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Capitolo 6

175

Questo tipo di approccio, se da un lato evita di dover compiere l’operazione

di taratura, dall’altro impone una sofisticata ricerca bibliografica del valore

numerico dei parametri fisici contenuti nel modello.

Il problema viene di solito aggirato eseguendo una semplice operazione di

validazione sui dati di temperatura della camera di combustione, in genere

disponibili grazie alla presenza di termocoppie sulle pareti della camera di

combustione stessa.

6.2.1 STRUTTURA di un MODELLO all’EQUILIBRIO

La combustione della biomassa in appositi reattori avviene con il seguente

meccanismo: inizialmente evapora l’acqua contenuta nel combustibile, poi la

parte organica volatilizza a causa dell’elevata temperatura e viene

parzialmente combusta per via pirolitica (in difetto di ossigeno) con una

reazione esotermica. Il calore prodotto mantiene la temperatura del letto e

volatilizza dell’altra biomassa che alimenta il processo. La combustione si

ultima nella parte superiore del reattore grazie all’aria aggiuntiva (980°C).

Le reazioni coinvolte sono:

Cs + O2 = CO2 (1)

Cs + ½ O2 = CO (2)

H2 + ½ O2 = H2O (3)

½ N2 + ½ O2 = NO (4)

S + O2 = SO2 (5)

NO + ½ O2 = NO2 (6)

SO2 + ½ O2 = SO3 (7)

La reazione (1) e (5) sono in fase eterogenea e coinvolgono il combustibile

carbonizzato in seguito alla evaporazione della parte volatile.

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Capitolo 6

176

Le reazioni (6) e (7) sono caratterizzate da un valore basso della costante di

equilibrio soprattutto alle alte temperature che si verificano durante la

combustione; a temperature elevate il rapporto [NO2 / NO] è trascurabile.

Per le reazioni poc’anzi scritte si suppone il raggiungimento della condizione

di equilibrio (si tratta infatti di un equilibrium model) caratterizzato dai valori

delle costanti K.

KCO 2 = XCO 2 / XO2 (1)

KCO = [XCO 2 / n] / [n / XO 2]1/2 (2)

⇒ KCO / KCO 2 = XCO 2 / XCO [n / XO2]1/2

Questi due equilibri, come già detto, sono in fase eterogenea e quindi nella

definizione della costante di equilibrio non compare la concentrazione della

frazione solida che si suppone costante.

Per gli altri 5 equilibri (gas ideali) si suppongono valide le relazioni:

KH2 O = XH2 O / XH2 [n / XO2]1/2 (3)

KNO = XNO / (XO2 XN2)1/2 (4)

KSO2 = XSO2 / XO2 (5)

KNO 2 = XNO 2 / XNO [n / XO2]1/2 (6)

KSO3 = XSO3 / XSO2 [n / XO2]1/2 (7)

Le incognite del modello sono: XCO2 , XCO , XH2 , XH2O , XN2 , XNO , XNO2 , XO2 ,

XSO2 , XSO3 , n, dove n è il numero totale di moli nel flusso di gas.

Le equazioni disponibili sono:

• 6 equazioni che definiscono le costanti di equilibrio;

• 5 equazioni che definiscono il bilancio di massa del processo;

Le 5 equazioni di bilancio si basano sulla conoscenza della composizione

sperimentale del combustibile e sul tipo di prodotti di reazione.

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Capitolo 6

177

La struttura del modello è generalizzabile aumentando gli ingressi a diverse

alimentazioni e a diverse possibili reazioni.

Il modello per la gassificazione utilizzato nelle simulazioni ha questa stessa

struttura ed è descritto nel prossimo paragrafo.

6.2.2 Il MODELLO all’EQUILIBRIO ANALIZZATO per la GASSIFICAZIONE

Il gassificatore viene descritto come un sistema che include diversi blocchi,

quali un reattore e degli scambiatori di calore, rappresentato in fig.6.1.

uscita del gassificatore

scambiatore vapore di calore

biomassa gas di sintesi prodotto acqua

aria / ossigeno

Fig. 6.1 – Schema per la modellizzazione del gassificatore

Il modello di calcolo prevede la simulazione del caso non adiabatico, cioè

con cessione di calore verso l’esterno e del gassificatore adiabatico che

può utilizzare una parte del calore di reazione per produrre vapore in modo

rigenerativo all’interno del gassificatore stesso.

Il codice di calcolo è realizzato in linguaggio Fortran ed è stato ottenuto

adattando un programma esistente che simula la gassificazione del

carbome (Manfrida e Bidini, 1990); per il funzionamento con biomassa sono

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Capitolo 6

178

state introdotte specie chimiche aggiuntive (Manfrida e Ruggiero, 1998). I

risultati sono stati confrontati dagli stessi autori con dati pubblicati sulla

gassificazione di biomasse di natura diversa (da colture energetiche a RDF).

In genere si è verificata una buona rispondenza ai dati sperimentali, in

particolare, relativamente alla stima del potere calorifico e per tipologie di

gassificatori a letto fluidizzato o trascinato, che meglio corrispondono ad un

reattore chimico omogeneo.

Il modello all’equilibrio permette di determinare la composizione del gas in

uscita dalla gassificazione della biomassa, la relazione tra tale composizione

e quella della biomassa di origine, l’influenza delle portate dei diversi

reagenti e le caratteristiche energetiche del gas prodotto.

Si trattano equilibri chimici in fase gassosa a pressione costante (come sono

ipotizzabili nei gassificatori) secondo uno schema ‘black-box. Il modello

zero-dimensionale assume il comportamento di gas perfetto per i reagenti e

per i prodotti.

Si suppone inoltre il tempo di residenza sufficientemente lungo rispetto

all’intervallo necessario per completare le reazioni, in questo modo la

modellizzazione all’equilibrio risulta appropriata.

Come per tutti i modelli all’equilibrio, si prendono in considerazione la

conservazione delle specie chimiche (C, O, H, N, S), descritta da un insieme

di equazioni non lineari, e l’equilibrio delle reazioni, corrispondente alla

minimizzazione dell’energia libera di reazione.

L’analisi dei processi di produzione del gas sintetico da biomassa non si

realizza mediante l’applicazione di semplici calcoli stechiometrici, in quanto

risulta determinante l’influenza degli equilibri chimici simultanei.

Le temperature a cui avvengono le reazioni di gassificazione sono alquanto

elevate (superiori spesso a 1000°C), e le condizioni riducenti favoriscono la

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Capitolo 6

179

formazione di specie normalmente classificate come prodotti di combustione

incompleta (CO, idrocarburi incombusti CnHm). Lo scopo finale è quello di

ottenere un gas costituito essenzialmente da H2, CO e idrocarburi gassosi.

Un altro fattore determinante della composizione del gas è costituito dalla

cinetica delle reazioni. Alcune reazioni (ad esempio l’ossidazione di CO in

CO2) sono estremamente lente, mentre altre (come la formazione di H2O da

H2) risultano più rapide e possono influenzare la composizione del gas. La

carenza di ossigeno tipica di tutte le reazioni di gassificazione rallenta

fortemente la formazione di specie completamente ossidate.

VARIABILI in INGRESSO

Le variabili di ingresso per la simulazione di un gassificatore sono

essenzialmente le seguenti:

• Portata in massa dei reagenti (kg/s): aria/ossigeno puro, acqua/vapore e

biomassa; la portata degli agenti ossidanti, aria e ossigeno, sono

alternative

• Composizione della biomassa da analizzare: si richiede l’analisi

elementare con riferimento alla biomassa priva di sostanza inerti, cioè la

percentuale in massa di carbonio fisso C, di ossigeno O2, dell’umidità

H2O, dell’azoto N2, dell’idrogeno H2 e dello zolfo S.

• I parametri operativi del gassificatore:

- temperatura di reazione (K)

- pressione di reazione (atm): intervallo di 1-25 atm

- temperatura di ingresso acqua/vapore (K)

- calore da scambiare con l’esterno (Kcal) nel caso non adiabatico

VARIABILI in USCITA

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Capitolo 6

180

Gli output della simulazione con questo modello riguardano i seguenti

aspetti:

Composizione in massa del gas prodotto

Rendimento energetico

Cold gas efficiency: rapporto tra energia entrante ed uscente in

condizioni standard

Potere calorifico inferiore (PCI) del gas depurato

Calore scambiato

REAZIONI CHIMICHE

Si ipotizza che i 5 reagenti considerati (C, O2, N2, H2, S) diano luogo alle

seguenti 19 specie chimiche prodotte: CO2, H2O, CO, OH, H, O, CH4, N,

NO, SO2, SO, COS, H2S, NH3, C4H4, C6H6, HCN, C2H4, C2H6.

L’analisi è stata limitata alle specie precedenti poichè comprendono i

normali prodotti della combustione completa, le specie chimiche riportate in

letteratura come componenti dei gas sintetici prodotti dalla gassificazione

del biomassa e alcune specie chimiche importanti dal punto di vista

ambientale.

Dalle simulazioni effettuate si nota la presenza degli idrocarburi e di altri

prodotti in percentuali molto ridotte con valori dell’ordine di 10-4 – 10-5, per

questo sono stati riportati i dati relativi alla composizione in uscita (% in

massa) del gas depurato costituito da CO2, H2O, CO, CH4, N2 e H2.

Le reazioni di formazione delle 19 specie analizzate a partire dai 5 reagenti

indicati sono le seguenti (completate dai calori di reazione in kcal/mole a

298K):

C(s) + O2 ↔ CO2 – 94,054 kcal/mole

H2 + ½ O2 ↔ H2O – 57,798 kcal/mole

C(s) + ½ O2 ↔ CO – 26,417 kcal/mole

½ O2 + ½ H2 ↔ OH + 9,33 kcal/mole

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Capitolo 6

181

½ H2 ↔ H + 52,102 kcal/mole

½ O2 ↔ O +59,559 kcal/mole

C(s) +2 H2 ↔ CH4 – 17,89 kcal/mole

½ N2 ↔ N + 112,965 kcal/mole

½ N2 + ½ O2 ↔ NO + 21,58 kcal/mole

S + O2 ↔ SO2 – 70,947 kcal/mole

S + ½ O2 ↔ SO + 0,519 kcal/mole

C + ½ O2 + S ↔ COS – 33,08 kcal/mole

H2 + S ↔ H2S – 4,615 kcal/mole

½ N2 + 1,5 H2 ↔ NH3 – 11,04 kcal/mole

4C + 2 H2 ↔ C4H4 + 19,8 kcal/mole

6 C + 3 H2 ↔ C6H6 + 19,8 kcal/mole

½ H2 + ½ N2 + C ↔ HCN + 135,143 kcal/mole

2 C + 2 H2 ↔ C2H4 + 12,496 kcal/mole

2 C + 3 H2 ↔ C2H6 + 11,012 kcal/mole

E’ necessario considerare la presenza tra i prodotti di reagenti residui che

portano a 24 il numero complessivo di specie da considerare nei prodotti

(‘prodotti’ in senso stretto e ‘reagenti nei prodotti’).

Il bilancio delle masse impone che si debba conservare, tra prodotti e

reagenti, il numero di moli di ciascuno dei 5 elementi considerati come

reagenti.

ASPETTI ENERGETICI

Avendo calcolato la composizione all’equilibrio alla temperatura data di

reazione, è possibile calcolare l’energia sviluppatasi nella reazione

complessiva. Si suppone per semplicità che i reagenti entrino nel sistema

nelle condizioni di riferimento (298.16 K), la loro entalpia molare standard di

formazione è perciò nulla.

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Capitolo 6

182

Si determina inoltre il rendimento energetico del gassificatore che, nei due

casi, è dato da:

rnon-adiabatico = (EU + Q + q)/EI

radiabatico = (EU + Q)/(EI-q)

dove

EU: energia del gas depurato

Q: calore di reazione q: calore ceduto all’esterno (caso adiabatico) o

rigenerativamente (caso non adiabatico)

EI: energia in ingresso

La cold-gas efficiency si esprime come il rapporto tra energia uscente ed

entrante in condizioni standard.

Il potere calorifico è stimato per il gas depurato utilizzando i calori di

formazione JANAF.

6.3 SIMULAZIONI EFFETTUATE e VALUTAZIONE deiRISULTATI

Nelle simulazioni realizzate si è considerato il caso del gassificatore non

adiabatico senza immissione di vapore, perché l’umidità contenuta

nell’alimentazione è già sufficientemente elevata (15-20%), e alla pressione

di 15 bar.

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Capitolo 6

183

Le simulazioni effettuate sono inoltre a composizione fissata poiché lo scopo

è di determinare le prestazioni del gassificatore nel caso in cui il

combustibile sia costituito da cippato di pioppo.

La composizione (percentuale in massa) su base secca adottata è la

seguente, tratta dalla pubblicazione “Combustion properties of biomass”:

Umidità C H2 O2 N2 S

15 % 0.4118 0.0497 0.3713 0.0171 0.0001

20 % 0.3876 0.0468 0.3495 0.016 0.0001

Tab. 6.2 – Composizione della biomassa percentuale in massa

Si sono impostati valori sperimentali di temperatura T e rapporto equivalente

f (definito come il rapporto tra il peso dell’ossidante e quello del combustibile

usato diviso per lo stesso rapporto in condizioni stechiometriche) trovati in

letteratura. Sapendo che quando la gassificazione con aria avviene ad

elevata temperatura (circa 900°C) esiste un fenomeno di tar cracking e il

contenuto di tar è più basso, si sono scelti valori di f = 0,3. Se la

gassificazione avviene a T < 850°C, il contenuto in tar è elevato e il rapporto

equivalente f va aumentato a 0,4.

Valori di f superiori a 0,45 generano un gas non utilizzabile, mentre valori

minori di 0,18 producono quantità eccessive di tar.

Le temperature imposte sono basse rispetto a quelle usate nella

gassificazione del carbone (> 1100°C). Ciò è dovuto all’elevato contenuto di

sostanze volatili e all’alta reattività della biomassa.

Per questi valori di pressione e di temperatura si possono escludere

fenomeni rilevanti di fusione delle ceneri (<1100°C, Joule II Program).

La portata di biomassa in ingresso è pari a 1 kg/s.

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Capitolo 6

184

Come già detto le uscite che si ottengono dal modello sono la composizione

del gas in termini percentuali in massa, il valore del potere calorifico e il

rendimento energetico del sistema.

Tenendo conto di quanto detto sul comportamento del sistema le

simulazioni effettuate sono:

T=1050 K T=1125 K T=1200 K

f 1 f 2 f 1 f 2 f 1 f 2

p=15 atm 0,35 0,4 0,3 0,35 0,25 0,3

L’altro parametro che è stato fatto variare è l’umidità del combustibile. Il

valore di U% è stato fatto variare tra il 15% e il 20%, che sono i valori tipici

contenuti nel cippato di pioppo dopo essiccazione in campo.

E’ stato anche utilizzato ossigeno come agente gassificante, anche se per

impianti di piccola e media scala, quale quello in esame, l’unità di

separazione dell’aria per produrre ossigeno non è economicamente

conveniente.

Il risultato ottenuto è che si ha una debole dipendenza dall’umidità negli

intervalli considerati e una grande influenza di parametri quali la temperatura

(fra le escursioni massime simulate) e il rapporto equivalente f. Le

simulazioni effettuate vengono di seguito descritte a seconda del parametro

variato.

SIMULAZIONE con variazioni rispetto al rapporto equivalente f

Per tutte le temperature e le umidità considerate si riscontrano variazioni

notevoli per il potere calorifico modificando il valore del rapporto equivalente

f. In tutti i casi analizzati la differenza tra i valori a f diverse è più rilevante

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Capitolo 6

185

quando l’agente ossidante è l’aria. Il PCI varia del 15% diminuendo

all’aumentare del rapporto equivalente.

Per dare un’idea dell’ordine di grandezza dei risultati ottenuti si riportano i

valori del PCI relativi alla temperatura intermedia di 1125 K e all’umidità del

15%:

PCI (f=0,3, aria)=4708 KJ/Kg

PCI (f=0,35, aria)=3975 KJ/Kg

I valori che si ottengono per l’ossigeno sono molto più alti e variano da 8446

a 8915 KJ/kg.

Le portate del gas in uscita subiscono variazioni lievi con f, ovviamente

crescendo con l’aumentare del rapporto.

Il rendimento energetico diminuisce al diminuire di f: infatti, nonostante

l’aumento del potere calorifico, si ha una diminuzione dei valori di portata di

gas che si ottengono.

Una rappresentazione delle variazioni di PCI in funzione del rapporto

equivalente è riportata nella seguente figura:

Variazione del PCI in funzione di f

01000200030004000500060007000

0 0,1 0,2 0,3 0,4 0,5

f

PCI (

KJ/K

g)

aria(T=1050K) aria(T=1200K)

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Capitolo 6

186

Fig. 6.2 – Andamento del potere calorifico in funzione di f, fissata l’umidità al

15% e per le due temperature estreme

SIMULAZIONE con variazioni rispetto all’agente ossidante

A parità di tutti gli altri parametri considerati, passando da aria ad ossigeno,

si ha un aumento del potere calorifico ma una diminuzione della portata del

gas e dell’efficienza energetica. La composizione del gas inoltre è

caratterizzata da una quantità inferiore di N2 e da valori leggermente

superiori per gli altri elementi. Alcuni valori di queste simulazioni sono

riportati in tabella 6.3.

fissate T=1050 K e U=15%

R=0,35 R=0,4 R=0,3 R=0,35CO2 0,2165 0,2199 0,419769 0,416178H2O 0,0828 0,0838 0,152901 0,152712CO 0,1486 0,13 0,29336 0,283575CH4 0,0057 0,00343 0,030792 0,028141N2 0,5188 0,5406 0,012749 0,013937H2 0,01193 0,0104 0,025284 0,024599et 0,9 0,9123 0,835 0,8372pcio 3572,9 3025,7 7895,43 7469,782fgs 2,7719 3,049 1,2252 1,284

Aria Ossigeno

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Capitolo 6

187

Tab. 6.3 – Simulazione con umidità al 15% e T=1050K

SIMULAZIONE con variazioni rispetto alla temperatura

La temperatura influenza il potere calorifico solo per variazioni elevate,

passando dai 1050 a 1200 K che è la massima escursione possibile si

hanno variazioni dell’ordine del 15%. Variazioni significative del rendimento

energetico (+5%) si ottengono aumentando la temperatura dal valore

minimo a quello massimo. I valori simulati sono riportati in tabella 6.4; una

rappresentazione delle variazioni del PCI è data in figura 6.3.

Tab. 6.4 – Variazioni della composizione del gas rispetto alla temperatura

con umidità al 20%

SIMULAZIONE con variazioni rispetto all’umidità

L’effetto dell’umidità è quello di variare la composizione del gas e di essere

quasi ininfluente sul valore del potere calorifico inferiore per entrambi gli

agenti ossidanti.

In ogni caso i valori ottenuti mostrano come si tratti di un gas con basso

valore del potere calorifico.

fissata U = 20%

R=0,35 R=0,4 R=0,3 R=0,35 R=0,25 R=0,3 R=0,25 R=0,3CO2 0,22367 0,22592 0,426844 0,422501 0,15256 0,16423 0,187487 0,191154H2O 0,09394 0,09453 0,173052 0,172144 0,08422 0,08857 0,113368 0,115113CO 0,14197 0,124 0,275029 0,266343 0,28576 0,24308 0,511686 0,492686CH4 0,00547 0,00328 0,028786 0,026414 0,0016 0,00081 0,011232 0,009749N2 0,5085 0,53078 0,01222 0,013343 0,44847 0,48165 0,009578 0,010957H2 0,01252 0,01089 0,027184 0,026449 0,02028 0,01685 0,046181 0,044291et 0,9046 0,9147 0,8492 0,8508 0,9497 0,9536 0,9059 0,9096pcio 3601 3048 7557,24 7173,627 5949 4999 9376 8901fgs 2,6348 2,8927 1,1944 1,2473 2,1765 2,4246 1,1624 1,2183

Aria OssigenoT=1050 K T=1200 K

Aria Ossigeno

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Capitolo 6

188

Il valore massimo del rendimento energetico è pari a 0,95 con una portata di

2,55 Kg/s e si ottiene usando l’aria come ingresso ad un valore di f di 0,3

con umidità del 15% e temperatura massima di 1200 K.

Per innalzare il PCI a scapito del rendimento energetico conviene

mantenersi su valori elevati di temperatura e abbassare, nei limiti consentiti,

il rapporto equivalente.

Le simulazioni effettuate permettono di determinare delle linee di tendenza

della composizione del gas e delle caratteristiche energetiche in funzione

dei parametri, ma non sono utilizzate per formulare una decisione

riguardante le condizioni di processo.

6.4 ANALISI dell’IMPIANTO di RIFERIMENTO

L’impianto di conversione della biomassa per la produzione di energia cui

facciamo riferimento è basato sulla tecnologia IGCC (Integrated

Gassification Combined Cycle), ormai affermata in tutto il mondo, che

prevede la gassificazione del combustibile solido con aria oppure ossigeno

e l’eventuale aggiunta di vapore, con formazione di gas, a potere calorifico

variabile a seconda dell’agente ossidante, da espandere in turbine

appositamente progettate e recupero del calore del gas in uscita con ciclo a

vapore combinato.

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Capitolo 6

189

Fig. 6.3 –Schema dell’impianto di gassificazione e conversione della

biomassa

La gassificazione avviene in un gassificatore a letto fluido in pressione. Tale

tecnologia è stata largamente sviluppata negli ultimi anni e molti sistemi

sono presenti sul mercato. In Europa ci sono almeno 4 compagnie che

forniscono gassificatori e sono Ahlstrom, Gotaverken, Lurgi, TPS.

L’agente ossidante può essere sia aria che ossigeno; all’uscita del letto

fluido il gas incontra un primo stadio in cui le particelle fini (sabbia) del letto

che viene trascinato sono rimosse da un separatore meccanico o ciclone. In

genere si prevede un secondo stadio con un ciclone che provvede a

un’ulteriore pulizia. Quindi il gas in uscita avrà un basso contenuto di polveri

soprattutto di piccole dimensioni.

La delicata palettatura delle turbine richiede un’ulteriore filtrazione del gas,

effettuata a caldo, che comporta il notevole vantaggio di poter utilizzare in

modo completo anche il calore sensibile del biogas stesso.

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Capitolo 6

190

La possibilità di operare in questo modo deriva dalla scelta di non

comprimere il biogas prima di inserirlo in camera di combustione. Infatti uno

dei problemi di una TAG che lavori con bassi valori del potere calorifico è

proprio quello di dover utilizzare volumi elevati di combustibile. Di

conseguenza si pone il problema di comprimere questi volumi prima

dell’inserimento in camera di combustione. Questo sottrae una notevole

potenza alla Tag e richiede che il gas venga raffreddato per ottenere un

efficienza accettabile del compressore. L’unico vantaggio è di poter lavorare

con filtrazione a freddo del gas, che è un procedimento più conosciuto.

La filtrazione a caldo consente di sfruttare la pressione che il gas possiede

all’uscita del gassificatore e di inserirlo direttamente in camera di

combustione, determinando l’abbassamento del rapporto di compressione

della turbina. Il gas in uscita dal filtro a caldo viene convogliato nella camera

di combustione dove si combina con l’aria proveniente dal compressore.

Successivamente questa miscela raggiunge la turbina dove avviene

l’espansione con produzione di energia elettrica tramite un alternatore. Una

parte della potenza sviluppata dalla turbina viene utilizzata dal compressore

dell’aria comburente.

Dopo la fase di espansione si incontra la parte di impianto che recupera il

calore in una caldaia con produzione di vapore che in un ciclo combinato

espande in turbina, con produzione di energia elettrica.

I fumi in uscita dall’economizzatore raggiungono il camino senza essere

ulteriormente trattati, poiché si ipotizza che la formazione di NOx in camera

di combustione sia pari a 70 ppm, e che non sia quindi necessario alcun

trattamento aggiuntivo per rientrare nei limiti di legge. Si fa anche l’ipotesi

che l’emissione di CO2 sia nulla poiché la stessa quantità viene riassorbita

dalle piante per la ricrescita.

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Capitolo 6

191

Il calcolo della turbina a gas con ciclo a vapore che recupera il calore dei

fumi è stato fatto presso l’Università di Firenze (Manfrida et al.)

Le condizioni generali di esercizio ipotizzate per l’impianto sono:

Pressione uscita gassificatore 15 bar

Temperatura biogas uscita gassificatore 800 °C

Pressione del biogas dopo il filtro 13,5 bar

Temperatura di biogas all’uscita del filtro 700 °C

Rapporto di compressione TAG 12

Temperatura max Tag 1077 °C

Pressione vapore in uscita dal surriscaldatore 70 bar

AT approach in uscita dal surriscaldatore 30 °C

Pressione in uscita economizzatore 1,013 bar

Pressione vapore uscita dalla TV 0,1 bar

Temperatura vapore uscita surriscaldatore 532 °C

Lo stesso impianto è stato simulato in differenti condizioni di alimentazione

(umidità) e di agente gassificatore (aria o ossigeno), secondo le seguenti 4

ipotesi di funzionamento.

Umidità (%) Ossidante Temperatura (K) Pressione (bar)

15 Aria 1050 15

20 Aria 1050 15

15 Ossigeno 1050 15

20 Ossigeno 1050 15

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Capitolo 6

192

Le differenze maggiori, già messe in evidenza nel paragrafo precedente, si

ottengono a seconda dell’agente ossidante.

Fissata la potenza da produrre a 12 MW elettrici, i risultati ottenuti con la

simulazione descritta forniscono i seguenti risultati:

Umidità e

ossidante

Compressore TG TV Pompa Potenza

totale

15% aria 1220,4 1558,8 726,4 -4,331 2281

15% oss 2875,7 2837,4 1502,8 -8,950 4331

20% aria 1174,8 1523,4 712,5 -4,241 2232

20% oss 2715,4 2713,1 1442,5 -8,578 4147

Tab. 6.5 – Potenza in KW sviluppate e assorbite nei vari componenti del

ciclo combinato per 1 kg/s di biogas

In corrispondenza di queste possibili alternative, con il modello descritto nel

paragrafo 6.2 e utilizzato per le simulazioni descritte precedentemente, si

determinano le portate di biomassa in ingresso e del biogas.

Umidità e

ossidante

Portata di

biomassa

Portata di biogas Potenza elettrica

(MW)

15% aria 1,85 5,3 12

15% oss 1,99 2,77 12

20% aria 1,95 5,38 12

20% oss 2,11 2,89 12

Tab. 6.6 – Portate di biomassa e di biogas (kg/s) a potenza fissata

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Capitolo 6

193

Si osserva che, in corrispondenza dell’alternativa migliore per l’impianto

(15% ossigeno), si hanno portate di biomassa elevate in ingresso ad

indicare la bassa efficienza di funzionamento del gassificatore.

6.5 OCCUPAZIONE di AREE ed EFFICIENZA ENERGETICA

Il caso di gassificazione con aria al 20% di umidità corrisponde alle

caratteristiche più probabili per un impianto di questa taglia, non essendo

economicamente conveniente utilizzare ossigeno come agente gassificante.

Con questa ipotesi è possibile stabilire quale sia l’occupazione di aree

necessarie per alimentare l’installazione, nel caso in cui si adottino le

decisioni ottime relative alla coltivazione e che consentono di posizionarsi

sulla frontiera di Pareto.

Se il tempo effettivo di esercizio è di 7200 ore l’anno, si determina la

relazione tra i costi ottenuti da una gestione ottimale di una coltivazione

energetica e le relative aree occupate, rappresentato in figura 6.4.

Frontiera di Pareto - costi-aree

0

2000

4000

6000

8000

10000

12000

200 400 600 800 1000 1200 1400

Aree occupate (ha)

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Capitolo 6

194

Fig. 6.4 – Frontiera di Pareto in termini di aree occupate

L’operazione fatta è semplicemente una trasformazione di scala della

frontiera di Pareto originale, ma ha il pregio di mettere in evidenza una

differenza fondamentale fra le decisioni possibili dopo aver integrato il

sistema a monte e a valle, la necessità di reperire ampie estensioni di

terreni di media fertilità.

Nonostante quanto detto sulla politica comunitaria di set-aside, questo

potrebbe essere il più grande fattore limitante per la realizzazione delle

colture energetiche.

L’esigenza di reperire spazi più grandi determina anche una efficienza

energetica più bassa dell’intero sistema a causa dei consumi legati al

trasporto di ingenti quantità di materiale per distanze elevate. Si è cercato di

valutare l’efficienza del sistema in modo approssimativo ipotizzando una

legge di variazione della distanza media da percorrere con la necessità di

area da utilizzare.

L’elaborazione è stata fatta rispetto ai tre punti individuati sulla frontiera di

Pareto del clone Luisa Avanzo nel capitolo precedente, riportati in tabella

6.6. Il clone Lux non è stato analizzato perché come visto è dominato

rispetto a tutte le soluzioni.

Luisa Avanzo1 Luisa Avanzo 2 Luisa Avanzo 311,63 t/ha 12,93 t/ha 15,12 t/ha

688 £/annox1000) 820 £/anno(x1000) 1163 £/anno(x1000)4-4 T=24 anni 4-4 T=20 anni 4-3 T=16 anniD=13104 D=17280 D=200004435 ha 3989 ha 3411 ha

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Capitolo 6

195

Tab 6.6 - Punti selezionati sulla frontiera di Pareto

La legge di variazione della distanza media da percorrere con la domanda di

area è ottenuta ipotizzando una distribuzione uniforme delle coltivazioni in

un’area circolare attorno alla centrale. Con il termine distribuzione uniforme

si intende che la percentuale di superficie coltivata rispetto a quella totale

(coefficiente di copertura) è costante allontanandosi dalla centrale.

All’aumentare della distanza percorsa, l’area intercettata aumenta con il

quadrato della distanza stessa. Di conseguenza, se la distribuzione delle

coltivazioni è uniforme, la probabilità di intercettare una coltivazione

energetica aumenta con il quadrato della distanza.

Ciò implica che, fissata l’area necessaria, la distanza media da percorrere

vari con la radice quadrata dell’area. Di conseguenza la legge di variazione

ipotizzata è:

dmedia = α *√ Aoccupata

Si deve sottolineare che questo tipo di analisi è molto approssimativo,

poiché è più probabile che gli spazi necessari si dispongano a macchia di

leopardo, cioè addensate in grandi estensioni localizzate a distanze anche

molto elevate dalla centrale.

Il tipo di analisi condotta è inoltre fortemente dipendente dal valore assunto

per il coefficiente di copertura. Il valore di questo rapporto può essere fissato

a 0,1 (10% delle aree occupate da coltivazione) sia per la difficoltà a

reperire aree idonee in quantità sufficiente sia per limitare l’impatto

paesaggistico. Le distanze medie ottenute sono :

L. Avanzo 1 L. Avanzo 2 L. Avanzo 37,9 7,5 6,9

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Capitolo 6

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Per il trasporto del cippato di biomassa su lunghe distanze si ipotizza di

utilizzare camion a rimorchio ribaltabili della capienza di 25 – 50 ton

normalmente utilizzati per i cereali. Il consumo ipotizzato, imponendo un

carico medio del 50 % è di 1,17 MJ / t km.

Le elevate distanze da percorrere possono influire sulle efficienze

energetiche delle coltivazioni per cui si è ritenuto opportuno ricalcolarla

considerando anche questo fattore. In questo caso l’efficienza è calcolata

considerando l’unità di superficie inserita in una coltivazione di area estesa.

Egenerata

Efficienza =

Eingresso + Etrasporto

Ricorrendo nuovamente al contenuto energetico primario del gasolio (HHV

51,5 MJ) si ottengono:

L. Avanzo 1 L. Avanzo 2 L. Avanzo 315,6 16,2 15,97

Tab. 6.7 – Efficienze energetiche di sistema

Come si osserva l’efficienza del terzo punto diventa maggiore di quella del

primo per la minore distanza da percorrere.

In conclusione è possibile affermare che la costituzione di un impianto di

piccole dimensioni (12 MW) implica una notevole occupazione di aree. Ciò

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Capitolo 6

197

determina distanze elevate da percorrere, con aumento dei costi, degli

impatti ambientali e diminuzione dell’efficienza energetica.

Il modello colturale individuato risulta comunque valido, per le elevate

produttività che è in grado di assicurare e per il costo relativamente basso

della sua realizzazione. Ulteriori meccanizzazioni del processo produttivo,

che consentono la diminuzione dei costi colturali, soprattutto quelli

dell’impianto, verranno sicuramente raggiunti in futuro. E’ attualmente in

studio la possibilità di adottare un processo speditivo di suddivisione degli

astoni in talee, che dovrebbe consentire notevole risparmio sulla

manodopera.

Questo tipo di coltivazione risulta attuabile per l’alimentazione di un impianto

di produzione di energia elettrica se utilizzato unitamente a scarti di origine

forestale e comunque con caratteristiche pregiate e paragonabili a quelle del

pioppo.


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