Date post: | 05-Jul-2015 |
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Analisi critica dello stato dell’arte sulle biomasse
1.1 Definizione e classificazione delle biomasse
Si definisce biomassa una qualsiasi sostanza di matrice organica,
vegetale o animale, destinata a fini energetici o alla produzione di ammendante
agricolo.
Per semplicità le biomasse idonee alla trasformazione energetica, sia che essa
avvenga utilizzando direttamente la biomassa o previa trasformazione della stessa
in un combustibile solido, liquido o gassoso, possono essere suddivise per
comparto di provenienza nei seguenti settori:
● comparto forestale e agroforestale: residui delle operazioni selvicolturali
o delle attività agroforestali, utilizzazione di boschi cedui, ecc;
● comparto agricolo: residui colturali provenienti dall’attività agricola e
dalle colture dedicate di specie lignocellulosiche, piante oleaginose, per
l’estrazione di oli e la loro trasformazione in biodiesel, piante alcoligene
per la produzione di bioetanolo;
● comparto zootecnico: reflui zootecnici per la produzione di biogas;
● comparto industriale: residui provenienti dalle industrie del legno o dei
prodotti in legno e dell’industria della carta, nonché residui dell’industria
agroalimentare;
● rifiuti urbani: residui delle operazioni di manutenzione del verde
pubblico e frazione umida di rifiuti solidi urbani.
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Si comprende, quindi, che nel termine biomassa sono raggruppati materiali che
possono essere anche molto diversi tra loro per caratteristiche chimiche e fisiche.
Di conseguenza anche le loro utilizzazioni, a fini energetici, possono essere
molteplici.
In linea generale i processi di trasformazione possono essere raggruppati in due
diverse categorie:
processi di conversione biochimica: permettono di ricavare energia attraverso
reazioni chimiche dovute alla presenza di enzimi, funghi e altri micro-
organismi che si formano nella biomassa mantenuta in particolari condizioni;
processi di conversione termochimica: hanno come fondamento l’azione del
calore che permette lo sviluppo delle reazioni chimiche necessarie a
trasformare la materia in energia.
I fattori discriminanti che indirizzano la scelta verso uno dei due processi sono il
rapporto carbonio/azoto (C/N) e il tenore di umidità alla raccolta: quando il
rapporto C/N è inferiore a 30 e il contenuto di umidità supera valori del 30% si
utilizzano generalmente processi biochimici, in caso contrario sono più idonei
processi termochimici.
1.2 Principali applicazioni delle biomasse:
produzione di energia (bioenergia);
sintesi di combustibili (biocombustibili);
sintesi di prodotti (bioprodotti)
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1.3 Bioenergia
La bioenergia è qualsiasi forma di energia utile ottenuta dai
biocombustibili. La biomassa rappresenta la più consistente tra le fonti di energia
rinnovabile, anche se esistono molteplici difficoltà di impiego dovute
all’ampiezza e all’articolazione delle fasi che costituiscono le singole filiere.
Le tecnologie per ottenere energia dai vari tipi di biomasse sono naturalmente
diverse e diversi sono anche i prodotti energetici che si ottengono.
Infine, combustibili liquidi adatti ad essere utilizzati nei motori a benzina o diesel
possono essere ottenuti a partire da particolari specie vegetali.
Processi per la Bioenergia
1.3.1 Cofiring (Co-combustione)
Una immediata opportunità per l'utilizzo massiccio delle biomasse come
fonte per ottenere energia elettrica è data dalla tecnologia della co-combustione
(cofiring). Sin dal 1990 molte verifiche sperimentali hanno dato esito positivo
nella sostituzione di una porzione di carbone con biomassa da utilizzare nella
stessa caldaia dell' impianto preesistente, ciò può essere fatto miscelando la
biomassa con carbone prima che il combustibile venga introdotto nella caldaia o
utilizzando alimentazioni separate per la biomassa e il carbone.
Si può arrivare a sostituire il 20% di carbone con biomasse, riducendo così le
emissioni di protossido d'azoto, di anidride solforosa e di anidride carbonica.
In U.S.A. gli impianti termoelettrici a carbone predisposti per il cofiring hanno
avuto un tempo di ammortamento medio di 8 anni.
Ugualmente il cofiring di gas naturale con biogas o syngas può dare buoni
risultati di efficienza, anche quando applicato a sistemi medio-piccoli.
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1.3.2 Pirolisi
E’ un processo di decomposizione termochimica di materiali organici,
ottenuto fornendo calore, a temperature comprese tra 400 e 800°C, in forte
carenza di ossigeno. I prodotti della pirolisi sono gassosi, liquidi e solidi, in
proporzioni che dipendono dai metodi di pirolisi (pirolisi veloce, lenta,
convenzionale) e dai parametri di reazione. Uno dei maggiori problemi legati alla
produzione di energia basata sui prodotti della pirolisi è la qualità dei medesimi.
Spesso il livello di qualità non risulta essere sufficientemente adeguato per le
applicazioni con turbine a gas e motori diesel.
Indicativamente, facendo riferimento alle taglie degli impianti, si può affermare
che i cicli combinati ad olio pirolitico appaiono i più promettenti, soprattutto in
impianti di grande taglia, mentre motori a ciclo diesel, alimentati con prodotti di
pirolisi, sembrano più adatti ad impianti di piccola potenzialità.
In particolare, a livello sperimentale, si nota che:
con una pirolisi lenta a bassa temperatura e lungo tempo di
permanenza si ha un contenuto di carbone di legna di circa il 30% in
massa con un contenuto energetico di circa il 50%;
la pirolisi estremamente veloce (flash pirolisi) condotta ad una
temperatura relativamente bassa (intorno a 500 °C con un massimo di
650°C) e con un tempo di permanenza molto basso (meno di 1
secondo) fa aumentare i prodotti liquidi fino all’80% in massa;
la pirolisi estremamente veloce (flash pirolisi) condotta a temperature
superiori (sopra i 650°C) fa aumentare i prodotti gassosi fino all’80%
in massa;
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una pirolisi condotta in condizioni convenzionali, ovvero a
temperature moderate (inferiori a 600 °C) dà origine a prodotti
gassosi, liquidi e solidi in proporzioni più o meno costanti.
La produzione di bio-olio consente di avere un combustibile a più alto contenuto
energetico, se comparato con la biomassa di partenza e, una volta stabilizzato,
stoccabile per lungo tempo a temperatura ambiente senza problemi di
degradazione.
1.3.3 Carbonizzazione
La carbonizzazione è, in sostanza, un processo di pirolisi. E' un processo di
tipo termochimico, che consente di attuare la trasformazione delle molecole
strutturate dei prodotti legnosi e cellulosici in carbone (carbone di legna o carbone
vegetale). Questo processo è ottenuto mediante l’eliminazione dell’acqua e delle
sostanze volatili dalla materia vegetale, per azione del calore nelle carbonaie
all’aperto, o in forni a storte chiuse, che offrono una maggior resa in carbone e
vari altri prodotti (alcol, acido acetico, acetone, catrame, ecc.).
Il carbone di legna può essere usato come combustibile o come materia prima per
l'ottenimento di prodotti chimici industriali quali ad esempio i carboni attivi.
1.3.4 Biocombustibili solidi
La combustione è una reazione chimica in cui una sostanza (combustibile)
si combina con l'ossigeno dell'aria (comburente) sviluppando calore. La
combustione presuppone la contemporanea presenza in giuste proporzioni di tre
elementi fondamentali: il combustibile, il comburente e l’innesco. In assenza
anche di uno solo di questi fattori la combustione non ha luogo, mentre se le
proporzioni non sono rispettate, si parla di combustione incompleta.
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L’energia termica recuperata viene utilizzata generalmente per riscaldamento o
per processi produttivi industriali oppure per generare elettricità grazie a cicli a
gas o a vapore.
La combustione di biomassa associata a cicli a vapore Rankine non sempre
consente di ottenere ottimi rendimenti di generazione elettrica. Valori tipici per
impianti di potenza medio – grande (nel caso delle biomasse, ciò significa almeno
dell’ordine dei 10 MW elettrici) si aggirano intorno al 25% come rendimento
elettrico netto, mentre sono nettamente inferiori in caso di impianti di piccola
taglia. La combustione di combustibili poveri, inoltre, presenta alcune
problematiche dovute, sostanzialmente, a bassi valori di PCI , scarsa efficacia del
processo di essiccamento, mancanza di condizioni ottimali di stoccaggio al fine di
diminuire il contenuto di umidità e basso punto di fusione delle ceneri (in
funzione del tipo di biomassa considerata). Tali problematiche possono essere in
parte o del tutto affrontate con sistemi di cippatura, bricchettatura o pellets,
sistemi attualmente in fase di sviluppo e sperimentazione.
Anche alcune tipologie di scarti dell'industria del legno (segatura, polveri )
possono essere utilizzate per produrre combustibili ecologici quali pellet,
bricchetti o cippato
Il pellet si distingue per la bassa umidità (inferiore al 12%) , per la sua elevata
densità nonché per la regolarità del materiale. Il presupposto per l'utilizzo di
questo prodotto è l'impiego di legname vergine, non trattato cioè con corrosivi,
colle o vernici . I pellets sono prodotti con la polvere ottenuta dalla sfibratura dei
residui legnosi, la quale viene pressata da apposite macchine in cilindretti che
possono avere diverse lunghezze e spessori (1,5-2 cm di lunghezza,6-8 mm di
diametro). La compattezza e la maneggevolezza danno a questa tipologia di
combustibile caratteristiche di alto potere calorifico (p.c.i. 4.000-4.500 kcal/kg) e
di affinità ad un combustibile fluido. E' molto indicato quindi, per la sua praticità,
per impianti residenziali di piccola e media taglia.
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Con residui e polveri più grossolane vengono prodotti i bricchetti, tronchetti
pressati, in genere di 30 cm di lunghezza e 7-8 cm di diametro. L'utilizzo è
assimilabile a quello del legno in ciocchi.
I processi per la produzione di pellets e bricchetti non richiedono l'uso di alcun
tipo di collante, poiché la compattazione avviene fisicamente e con l'alta
temperatura generata nel processo.
Cippato deriva dall'inglese Chips ed è costituito da pezzetini di legno ricavati
dagli scarti di segherie che lavorano piante prive di sostanze inquinanti quali
vernici, ecc.
Naturalmente tra i biocombustibili solidi bisogna annoverare i pezzi (o ciocchi) di
legno vero e proprio, il costo è marginalmente superiore, dato che i combustibili
sopradescritti possono essere ricavati da scarti industriali e/o delle lavorazioni
agricole e boschive, comunque in genere i biocombustibili solidi sono competitivi
anche nei confronti del metano, sia per la produzione di calore che per quella di
energia elettrica, applicando i sistemi adeguati.
Uno dei maggiori inconvenienti della combustione dei biocombustibili solidi è
l'alto tenore di emissioni, come il CO, sopratutto nei piccoli impianti residenziali
dove può anche dar luogo ad intossicazioni, dato che tale gas è altamente tossico.
Per ovviare a questi inconvenienti si è attuato il processo di post-combustione, che
consiste proprio nel bruciare il monossido di carbonio presente nei fumi della
combustione primaria, ottenendo così una bassa emissione di materiale
inquinante, con massimo rendimento e sufficiente margine di sicurezza.
I vantaggi di questa nuova tecnologia di post-combustione sono la riduzione dei
gas tossici immessi nell'ambiente, aumento del rendimento termico di circa il
10%, risparmio economico ed energetico.
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1.3.5 Gassificazione
Processo di conversione del carbone e/o della biomassa in composti
gassosi (ossido di carbonio, anidride carbonica, metano, idrogeno e miscele di essi
come il syngas), eseguito per reazione con aria, ossigeno, vapore o loro miscele. Il
gas prodotto può essere impiegato direttamente nell’industria chimica ed elettrica,
o altrimenti convertito in idrocarburi liquidi o solidi tipo cere (Processo Fischer-
Tropsch).
La gassificazione consiste nell'ossidazione incompleta di una sostanza realizzata
in ambiente ad elevata temperatura (900/1000°C) per la produzione di un gas
combustibile detto gas di gasogeno o syngas, gas di sintesi composto da H e CO.
Il gas di gasogeno può essere trasformato in alcool metilico (CH3OH), che può
essere agevolmente utilizzato per l'azionamento di motori e per la produzione di
biogasolio.
Le tecnologie di gassificazione della biomassa sono ritenute promettenti sia
perché nell'immediato possono essere abbinate alle attuali tecnologie di
produzione dell'energia elettrica, in particolare nelle centrali a gas a ciclo
combinato, e sia perché possono essere applicate alle eventuali future centrali
elettriche a fuel-cell, come Molten Carbonate Fuel Cell ( MCFC) e Solid Oxide
Fuel Cell ( SOFC), nelle quali l’alimentazione attraverso gas composti da
idrogeno e carbonio, è particolarmente indicata.
L'ENEA è impegnata, presso il Centro della Trisaia, in attività di ricerca e
dimostrazione sull'utilizzo delle biomasse per la produzione di energia elettrica,
con particolare riferimento allo sviluppo della tecnologia della gassificazione al
fine di ottenere, con efficienza dell'80-85%, un syngas a basso medio potere
calorifico, molto flessibile e con ridotto impatto ambientale. Le macchine che
utilizzano il syngas prodotto vanno dai classici motori alle microturbine e alle
celle a combustibile.
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La gassificazione può contribuire allo smaltimento dei rifiuti solidi urbani e/o
all'utilizzo del combustibile da rifiuti. La gassificazione degli RSU (rifiuti solidi
urbani) ha come prodotto il syngas, che alimenta la turbina a gas dell'impianto a
ciclo combinato, ciò con le seguenti principali finalità:
rimuovere le barriere tuttora esistenti sull'applicazione delle
tecnologie di gassificazione degli RSU;
favorire la diffusione dei cicli combinati a gas che restano una
delle tecnologie più valide per l’ambiente e per la produzione di
elettricità;
ampliare il ricorso alle fonti rinnovabili (il tasso di rinnovabilità
degli RSU è correntemente indicato nel 66%)
evitare il ricorso al conferimento in discarica degli RSU.
Con riferimento ad un insediamento urbano della dimensione di 500.000 abitanti è
stato calcolato che l'utilizzo del syngas ottenuto dagli RSU congiuntamente a gas
naturale in una turbina della potenza di circa 100 MW (invece che i normali
motori a combustione interna, come proposto dalle tecnologie correnti) consente
di innalzare le rese di conversione in elettricità dal 35% al 52%, mentre i costi di
produzione sarebbero pari a 0,045 €/kWh. (Fonte: Legambiente)
1.3.5 Biogas da digestori anaerobici
La digestione anaerobica è un processo di conversione di tipo biochimico
che avviene in assenza di ossigeno e consiste nella demolizione, ad opera di
micro-organismi, di sostanze organiche complesse (lipidi, protidi, glucidi)
contenute nei vegetali e nei sottoprodotti di origine animale.
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Il processo genera biogas costituito abitualmente per il 50÷70% circa da metano e
per la restante parte da CO2 ed altri componenti.
Il potere calorifico del gas ottenuto varia a seconda del contenuto di metano. Un
valore medio può essere posto pari a circa 23.000 kJ/Nm3 . Il biogas così prodotto
viene trattato, accumulato e può essere utilizzato come combustibile per
alimentare caldaie a gas accoppiate a turbine per la produzione di energia elettrica
o in centrali a ciclo combinato o in motori a combustione interna.
I sottoprodotti di tale processo biochimico (Figura 1) sono ottimi fertilizzanti
poiché parte dell'azoto, che sarebbe potuto andare perduto sotto forma di
ammoniaca, si trova in una forma fissata e quindi direttamente utilizzabile dalle
piante.
Dal trattamento delle acque reflue provenienti dal processo si ottengono anche
ammoniaca e nitrati utilizzati per la produzione di fertilizzanti e fanghi organici
adoperati da aziende di compostaggio per ottenere ancora sostanze fertilizzanti.
Il biogas può inoltre essere ottenuto dalle discariche dei rifiuti urbani. Una
discarica completamente isolata mediante impermeabilizzazione naturale o con
teli sintetici diviene un "contenitore di accumulo" del biogas che si produce in
seguito al processo di decomposizione della sostanza organica contenuta nei
rifiuti. I principali composti prodotti sono metano ed anidride carbonica.
Per evitare dispersioni nel sottosuolo e nell’aria (con relativo rischio di
esplosioni), diffusione di odori molesti e danni alla vegetazione, il biogas viene
raccolto mediante un’apposita rete di captazione. Il sistema di estrazione è
costituito da una serie di pozzi verticali, dai quali si dipartono a raggiera delle
tubazioni fessurate, disposte orizzontalmente, che raggiungono tutto il corpo della
discarica; la pressione, alla quale sono sottoposti i gas all’interno del corpo della
discarica, ne permette la raccolta e l’asportazione.
Il sistema di aspirazione del biogas può essere di tipo naturale o forzato.
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Il biogas raccolto può essere convogliato tramite un collettore principale ad una
centrale a gas per la produzione di energia elettrica e teleriscaldamento, il metano
contenuto nel biogas sarebbe altrimenti destinato a disperdersi in atmosfera, e
questo potrebbe essere dannoso dato che il metano è un gas ad effetto serra 7
volte più attivo dell'anidride carbonica.
Fig. 1: Schema a blocchi della filiera
Residui industriali o
municipali di base organica
Residui industriali
RSU
Reflui di impianti di
depurazione
Residui di aziende
zootecniche
Bovini
Suini
Pollami
Impianti Centralizzati per la
produzione di biogas
Omogeneizzazione
Digestione anaerobica
Riduzione degli odori
Migliori condizioni
igienico- sanitarie
Concimi
Migliore qualità
nutrizionale per le piante
Riduzione del consumo di
fertilizzanti di origine
minerale
Riduzione di
inquinamento delle acque
Biogas
Riscaldamento e/o
produzione di energia
elettrica
Fonte rinnovabile di
energia
Fonte neutrale per il
bilancio di CO2
Riduzione
dell’inquinamento
dell’aria
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1.3.6 Digestori aerobici
La digestione aerobica è un processo biochimico di degradazione delle
sostanze organiche per opera di micro-organismi, il cui sviluppo è condizionato
dalla presenza di ossigeno. Questi batteri convertono sostanze complesse in altre
più semplici, liberando CO2 e H2O e producendo un elevato riscaldamento del
substrato, in modo proporzionale alla loro attività metabolica. Quindi la
fermentazione aerobica è una potenziale fonte di energia termica, sfruttabile
sopratutto in ambienti agro-zootecnici.
1.3.7 Sistemi Small modular
I piccoli sistemi modulari, alimentati con le più svariate tipologie di
biomassa, potrebbero potenzialmente soddisfare il fabbisogno energetico di oltre
2,5 miliardi di persone attualmente sprovviste di energia elettrica, ciò per il fatto
che queste popolazioni vivono in aree con abbondante disponibilità di biomassa
destinabile all'ottenimento di combustibili bioenergetici.
Piccoli sistemi modulari da 5 kW a 5 MW potrebbero rappresentare soluzioni
ottimali per piccole comunità o interi villaggi.
Questi sistemi possono inoltre avere un potenziale mercato anche nei paesi
industrializzati: hanno costi di produzione e di gestione molto competitivi e grazie
alla loro modularità e taglia permettono di avere una fonte di energia elettrica e di
calore in prossimità dei luoghi di utilizzo.
Uno dei sistemi “small modular” prevede l'utilizzo di microturbine per
cogenerazione integrate in un gassificatore di materiale legnoso. Il prototipo della
potenza di 30 kW ha un costo di scala potrebbe essere inferiore ai 500 €/kW, per
la produzione di elettricità, mentre l'efficienza globale si aggira intorno al 25-
30%.
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1.4 Biocombustibili
I biocombustibili sono prodotti derivati dalla biomassa che, oltre a prestarsi
per produrre calore e/o energia elettrica, possono essere usati per autotrazione, sia
miscelati con i carburanti da combustibili fossili e sia utilizzati puri.
Si suddividono in:
bioetanolo
biometanolo
biodiesel
olio vegetale
biogas
bioidrogeno
1.4.1 Bioetanolo
La fermentazione alcoolica è un processo di tipo micro-aerofilo che opera
la trasformazione dei glucidi contenuti nelle produzioni vegetali in bio-etanolo
(alcool etilico).
Il prodotto è utilizzabile nei motori a combustione interna normalmente di tipo
“dual fuel”.
L’iniziale ampia disponibilità ed il basso costo degli idrocarburi avevano impedito
di affermare in modo molto rapido l’uso di dei biocarburanti come combustibili
ma, dopo lo shock petrolifero del 1973 sono stati studiati numerosi prodotti per
sostituire il carburante delle automobili (benzina e gasolio).
Oggi, tra questi prodotti alternativi, quello che mostra il miglior compromesso tra
prezzo, disponibilità e prestazioni è il bioetanolo che in alcuni paesi del
Sudamerica viene utilizzato puro in normali motori a combustione interna
opportunamente tarati.
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Nell' immediato il bio-etanolo potrebbe essere utilizzato additivato alla benzina
fino al completo sfruttamento delle risorse agricole disponibili senza dover
lasciare improduttive le vaste aree.
I residui di lavorazione e produzione del bioetanolo sono sostanze azotate e
minerali, quindi fertilizzanti, che possono essere immessi nei terreni di coltura.
Le materie prime (Figura 2) per la produzione di bioetanolo possono essere
racchiuse nelle seguenti classi:
residui di coltivazioni agricole;
residui di coltivazioni forestali;
eccedenze agricole temporanee ed occasionali;
residui di lavorazione delle industrie agrarie e agro - alimentari;
coltivazioni ad hoc;
rifiuti urbani.
Per quanto riguarda le coltivazioni ad hoc, quelle più sperimentate e diffuse sono
la canna da zucchero (si veda l'esperienza Brasiliana), il grano, il mais.
Ci sono poi altre colture; quali la bietola, il sorgo zuccherino, il topinambur ed
altre, che rimangono ancora in fase sperimentale.
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Figura 2: Schema a blocchi della filiera del bioetanolo
Esempi di applicazioni del bioetanolo
1) Un progetto innovativo ad opera di una società canadese è stato
applicato ad un impianto in fase di costruzione in Nuova Scozia.
Questo impianto, definito "bioraffineria", è basato su una tecnologia
avanzata del frazionamento a vapore (steam fractionation),
frazionamento sequenziale della biomassa con autoidrolisi.
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La produzione del bioetanolo si ottiene da materiale lignocellulosico,
quindi meno pregiato di quello che attualmente viene utilizzato per
ottenere bioetanolo.
Ciò comporta un minor costo del prodotto finito potendo utilizzare
sia colture ad hoc a basso costo e sia biomassa derivante dagli scarti
agro-industriali, forestali, ecc.
I sottoprodotti di produzione sono fertilizzanti, materiali polimerici
biodegradabili e altri prodotti utili nell'industria chimica con alcuna
emissione nell’ambiente di inquinanti alla fine del ciclo produttivo.
2) Una società di Palermo sta ingegnerizzando un sistema simile che
dovrebbe portare alla realizzazione di un impianto pilota in Malaysia,
sfruttando i rifiuti dell’olio di palma prodotto in quella regione.
Il costo dell'impianto è di 35 milioni di dollari e produrrà 80.000 m^3
di etanolo all'anno con un ritorno dell’ investimento previsto in circa 2
anni.
3) Negli USA sono stati effettuati alcuni interessanti studi sulle
potenzialità del bioetanolo tra le quali:
minor costo della benzina se additivata con bioetanolo;
maggior profitto per i coltivatori delle colture adatte ad ottenere
bioetanolo, riduzione del deficit commerciale, 13.000 nuovi posti
di lavoro.
L'ultimo studio sul bilancio energetico nella produzione del bioetanolo segnala un
attivo del 34%, tenendo presente che si basa sull'odierna tecnologia e non prende
in considerazione le innovazioni che sicuramente ci saranno nei prossimi anni.
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Nonostante questi considerevoli vantaggi sulla potenzialità del bioetanolo, tuttora
le sovvenzioni date all'industria petrolifera sono maggiori di quelle concesse
all'industria del bioetanolo.
Vari studi hanno portato ad affermare che, quando i carburanti sono additivati con
bioetanolo producono un inquinamento minore dell'aria e la non contaminazione
dei terreni e delle falde freatiche nel caso di sversamento incidentale del
bioetanolo nell'ambiente.
1.4.2 Biometanolo
Il metanolo è un liquido mobile che bolle a 67 °C, miscibile in acqua e in
numerosi solventi. Industrialmente viene impiegato come solvente per la
produzione di eteri metilici degli acidi organici e inorganici. Per ossidazione con
aria in presenza di rame o argento dà la formaldeide.
Il metanolo, o alcool metilico, di formula CH3OH, in natura si trova sotto forma
di:
estere salicilato nell'essenza di fiori di arancio;
etere con numerosi fenoli (eugenolo, vanillina, ecc.).
L'alcool metilico in passato veniva ottenuto industrialmente per distillazione secca
del legno. Il distillato, detto acido pirolegnoso, contiene il 3-5% di alcool metilico
la cui separazione è molto laboriosa. Attualmente tutto l'alcool metilico si ottiene
per idrogenazione dell'ossido di carbonio Bisogna operare a 350-400 °C e a circa
200 atm. in presenza di ossido di cromo e ossido di zinco.
L’utilizzazione del Biometanolo pone alcune limitazioni legate essenzialmente ai
problemi connessi con il suo immagazzinamento e trasporto, causa il basso
contenuto energetico per unità di volume. Ciò fa sì che risulti eccessivamente
costoso il trasporto su lunghe distanze.
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Tali inconvenienti possono essere superati trasformando il gas in alcool metilico
allo stato liquido che può essere agevolmente utilizzato per l’azionamento di
motori.
Il metanolo, può essere successivamente raffinato per ottenere benzina sintetica
che può essere paragonata alle benzine tradizionali, oppure impiegato nella
produzione del biodiesel.
Dopo la crisi energetica, la necessità di sostituire il petrolio con combustibili
alternativi ha risvegliato notevoli interessi verso l'uso energetico dell'alcool
metilico, specie nel settore dei trasporti dove può essere usato puro o mescolato
alla benzina, senza porre eccessivi problemi di riprogettazione dei motori, oppure
nelle centrali termiche o con tecnologie avanzate (ad esempio nelle pile a
combustibile, in sostituzione dell'idrogeno).
Fino agli anni Settanta tutto il metanolo commercializzato nel mondo è stato
ricavato da sintesi (CO+H2) o da gas naturale. Dopo la crisi energetica, vi è stata
una notevole ripresa d'interesse per la produzione di metanolo a partire dalla
biomassa.
Il processo per la produzione di metanolo rappresenta una fase successiva, per
esempio, al trattamento delle sostanze di rifiuto per via biologica.
In un altro tipo di trattamento, per esempio del gas d'acqua, miscela di CO, CO2 e
H2 a partire da carbone e acqua, il gas è raffreddato, depurato dagli inerti e dai
componenti dello zolfo e introdotto in un reattore intermedio per aumentare il
rapporto fra idrogeno e ossido di carbonio, mediante la reazione H2O+CO
H2+CO2.
Il prodotto risultante è infine immesso in un convertitore dove, in presenza di
catalizzatori, avviene la reazione esotermica principale CO + 2H2 CH3OH.
In questo passaggio circa l'80% del valore energetico del gas iniziale viene
trasferito al metanolo.
Il rendimento del processo di liquefazione per gli impianti attualmente
commercializzati, con gassificatori ad aria e del tipo a letto fisso, è del 35÷38%.
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Tuttavia la notevole attività di ricerca e sviluppo sul processo di gassificazione
con ossigeno a letto fluido, condotta sia in Germania sia negli USA, ha messo a
punto processi con rendimenti superiori al 50%.
Un impianto americano, che utilizza tali processi, produce 428 t/d di metanolo
partendo da 910 t/d di materiale lignocellulosico.
La coltivazione di colture adeguate, con alto valore lignocellulosico,
permetterebbe di supplire all'attuale domanda di petrolio e gas utilizzando meno
del 10% del terreno disponibile per tali colture.
Alcune specie vegetali non abbisognano di terreni particolarmente fertili, non
richiedono diserbanti e hanno bisogno di modeste quantità d'acqua.
1.4.3 Biodiesel
Il Biodiesel è un prodotto naturale utilizzabile come carburante in
autotrazione e come combustibile nel riscaldamento, con le caratteristiche indicate
rispettivamente nelle norme UNI 10946 ed UNI 10947.
Il biodiesel ha le seguenti caratteristiche:
è rinnovabile, in quanto ottenuto dalla coltivazione di piante
oleaginose di ampia diffusione;
è biodegradabile, cioè se disperso si dissolve nell’arco di pochi giorni,
mentre gli scarti dei consueti carburanti permangono molto a lungo;
garantisce un rendimento energetico pari a quello dei carburanti e dei
combustibili minerali ed ha un’ottima affidabilità nelle prestazioni dei
veicoli e degli impianti di riscaldamento.
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Processo di transesterificazione
Il biodiesel si ottiene dalla spremitura di semi oleoginosi di colza, soia,
girasole, ecc… attraverso una reazione di transesterificazione, che determina la
sostituzione dei componenti alcolici d’origine (glicerolo) con alcool metilico
(metanolo).
Il processo di transesterificazione (o esterificazione), che ha come risultato più
evidente la rottura della molecola del trigliceride in tre molecole più piccole e
quindi meno viscose (Fig.3).
Fig.3: Schema del processo di transesterificazione
Come si può osservare la reazione di esterificazione, da un punto di vista chimico,
è semplice. La reazione può essere catalizzata da basi (alcali), acidi o enzimi.
Le basi includono NaOH, KOH, carbonati e metossidi di sodio ed etossido di
potassio; gli acidi comprendono acido solforico, acido fosforico, acido solfososo e
acido idroclorico, mentre le lipasi (enzimi) possono essere utilizzate come
biocatalizzatori.
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Esistono tre processi per ottenere il biodiesel da trigliceridi:
1. transesterificazione con catalizzatore basico dell’olio mediante alcoli;
2. transesterificazione diretta con catalizzatore acido dell’olio con alcoli;
3. conversione dell’olio in acidi grassi e dopo in esteri basici con catalisi
acida.
In genere la transesterificazione con catalizzatore basico è molto più rapida
rispetto a quella con catalizzatore acido e molto più spesso utilizzata
commercialmente per i seguenti motivi:
- bassa temperatura (massimo 65°C) e bassa pressione (atmosferica);
- elevati livelli di conversione (98%) ed un ragionevole tempo di reazione;
- diretta conversione in metilesteri (biodiesel) senza fasi intermedie;
- comuni materiali di costruzione.
Il materiale utilizzato deve essere sostanzialmente anidro, perchè la presenza di
acqua innesca una reazione di saponificazione e la presenza di saponi abbassa la
resa della reazione (produzione degli esteri) e rende difficile la separazione degli
esteri dalla glicerina ed il lavaggio con acqua finale. Inoltre la stessa
transesterificazione con catalizzatore basico richiede un contenuto molto basso di
acidi grassi liberi nel materiale di base (oli e/o grassi).
Dovranno essere sottoposte a trattamenti aggiuntivi (pre-trattamento) le seguenti
materie prime:
- olii grezzi con contenuto in acidi grassi liberi superiori 2,5% (FFA);
- grassi animali generalmente solidi e idratati, con acidità che può andare da 2 a
6% (FFA);
- olii esausti da frittura possono arrivare anche a un 15% di acidità (FFA).
Le tecnologie di processo utilizzate commercialmente per la produzione di
biodiesel da materiale (trigliceridi) con alto-basso contenuto di acidi grassi liberi
possono essere differenti in dipendenza dalla dimensione degli impianti.
Esistono differenti tecnologie di processo a seconda della temperatura utilizzata.
25
1. Il processo a medio - alta temperatura, utilizzato per grandi impianti, prevede:
a) un pre-trattamento di raffinazione dell'olio: per migliorare le rese e aumentare
l'efficienza del processo seguente, è opportuno eliminare le lecitine ed eventuali
acidi grassi liberi ed ottenere una materia prima con caratteristiche costanti;
b) la miscelazione dell'alcool con il catalizzatore (quasi sempre KOH) in ambiente
controllato e sicuro in quanto la reazione libera una notevole quantità di energia;
c) la miscelazione dell'olio con il mix alcool/catalizzatore. Normalmente si opera
con il doppio (1:6) del rapporto stechiometrico che vuole, per ogni mole di olio,
tre moli di alcol (1:3). L'utilizzazione di metanolo richiede di adottare, come
previsto dalla legislazione, opportuni accorgimenti di sicurezza che incidono
sensibilmente sui costi. Tale operazione può avvenire in continuo (richiede alti
costi, impianti di taglia superiore a 20-25.000 t/a, tecnologie di punta) oppure in
batch (discontinuo) utilizzando agitatori. La miscela viene fatta reagire a 70 °C
per un'ora. L'ambiente di reazione è corrosivo, per cui tutta l'impiantistica deve
essere realizzata in acciaio inossidabile e in materiale plastico;
d) la purificazione del metilestere per eliminare le tracce della fase idrofila
(glicerolo, eccesso di metanolo, catalizzatore). Normalmente si eseguono semplici
lavaggi con acqua del prodotto che successivamente viene fatto decantare o viene
centrifugato.
e) il recupero dell'alcool in eccesso per mezzo di un procedimento di evaporazione
sottovuoto (stripping) e la sua reimmissione nel ciclo. Tale operazione si esegue
sia sul prodotto (metilestere) che sulla fase acquosa contenente glicerolo.
f) la raffinazione della glicerina ottenuta in funzione dei differenti utilizzi.
2. Il processo a temperatura ambiente è utilizzato per piccoli impianti (1000-
3000 t/a).
Richiede poca energia e, quindi, è relativamente economico; può essere utilizzato
per esterificare oli grezzi o oli esausti di frittura, ma in tal caso si devono dosare i
reagenti (soprattutto il catalizzatore) in funzione della composizione, molto
variabile, della materia prima e si deve usare l'accortezza di non miscelare stock
differenti.
26
Il processo prevede:
a) l'analisi dello stock da trattare per poter individuare le giuste quantità di
reagenti;
b) la miscelazione dell'alcool con il catalizzatore (normalmente NaOH o KOH) in
ambiente controllato. Poiché il catalizzatore alcalino reagisce con gli acidi della
miscela e crea dei saponi si osserva un certo consumo di tale reagente.
c) la miscelazione dell'olio con il mix alcool/catalizzatore in un primo tank (Batch
1).Normalmente si opera con il doppio (1:6) del rapporto stechiometrico che
vuole, per ogni mole di olio, tre moli di alcol (1:3). Tale miscela viene a reagire e
fatta decantare e successivamente la frazione idrofila viene allontanata dal fondo
del tank. L'intero processo dura 8 ore circa a 20 °C;
d) il travaso della fase idrofobica contenente il metilestere in un altro tank (Batch
2) nel quale si ripete il processo di miscelazione con l'alcool e il catalizzatore al
fine di raggiungere un buon livello qualitativo del prodotto finale. I processi più
semplici riducono al minimo, sino a quasi annullarlo, l'impiego di acqua (che
implica sempre problemi di smaltimento) per il lavaggio del prodotto.
e) la neutralizzazione del catalizzatore con acido fosforico con conseguente
produzione di fosfato di potassio (utilizzabile come fertilizzante).
f) il recupero dell'alcool in eccesso per mezzo di un procedimento di evaporazione
sottovuoto (stripping) e la sua reimmissione nel ciclo.
3. Il processo continuo ad alta temperatura e alta pressione.
Il processo di esterificazione è normalmente discontinuo, ma per impianti con
elevata capacità si può utilizzare un processo in continuo caratterizzato da elevate
pressioni e temperature di reazione, dall'uso di catalizzatore acido e quindi dalla
possibilità di utilizzare oli con acidità fino al 4%; altro vantaggio è la produzione
di glicerina che non richiede successiva raffinazione. Il processo continuo
prevede:
a) la riduzione del contenuto di fosforo fino a 25-50 ppm;
b) la miscelazione dell'olio con metanolo (purezza del 99,5%) in quantità pari al
13,5% dell'olio trattato e con il catalizzatore in quantità pari allo 0,15;
27
c) il riscaldamento a 200 °C e la pressurizzazione a 5 MPa della miscela in un
reattore;
d) il recupero del metanolo in eccesso per evaporazione e stripping;
e) la decantazione della miscela per separare l'estere dalla fase acquosa;
f) il lavaggio della miscela con acqua;
g) l'asciugatura dell'estere;
h) la distillazione del composto per ottenere una purezza del 99 % in metilestere. I
mono-, di- e tri-gliceridi residui vengono reimmessi nel processo;
i) la distillazione di tutte le frazioni per recuperare il metanolo che viene
reimmesso nel processo (purezza dl 98,5%)
j) la concentrazione della glicerina per usi industriali (82-88%) o per usi
farmaceutici (99%).
Altre possibili schematizzazioni dei processi possono essere le seguenti.
Semplice transesterificazione con catalizzatore basico mediante alcoli.
- Molto economico in quanto non prevede nessun pre-processamento dei grassi-
oli;
- perdite di prodotto (diminuzione di efficienza di conversione) all’incirca di una
% doppia rispetto alla % degli acidi grassi liberi presenti nel materiale di base;
perdita dovuta alla formazioni di saponi;
- aumento di costi di smaltimento;
- difficoltà nel controllo qualitativo;
- limitazioni del quantitativo di acidi grassi liberi nel materiale di partenza.
Eliminazione degli acidi grassi liberi (lavaggio caustico) seguito dalla
semplice transesterificazione con catalizzatore basico mediante alcoli.
- Purificazione del materiale di base che facilita le successive attività di
processamento ed il controllo di qualità;
- un quantitativo di olio “pulito” viene perso con gli acidi grassi liberi sotto forma
di sapone, con una significativa perdita produttiva (dipendente dal contenuto di
acidi grassi liberi della materia di base);
- gli acidi grassi liberi devono essere venduti (difficile trovare il mercato) o
semplicemente esterificati con catalizzatore acido in metil-esteri (costo del
processo addizionale).
28
Esterificazione acida seguita da una normale transesterificazione basica con
basso-alto contenuto di acidi grassi liberi.
- Elevate rese in quanto il pre-processo di esterificazione acida converte gli acidi
grassi liberi in metilestere;
- l’impianto di pre-processamento è semplice ed economico;
- consente un buon controllo di qualità;
- il processo può essere aggiustato in funzione del contenuto degli acidi grassi
liberi presenti nel materiale di base;
- richiede un elevato quantitativo di metanolo, che deve però essere recuperato
durante il processo (distillazione) perchè il tutto sia economicamente sostenibile.
Gli impianti più evoluti permettono di utilizzare quantità ridotte di metanolo ed il
suo recupero totale;
- il processo produce acqua che deve essere continuamente rimossa per assicurare
la completezza della reazione.
Le diverse tecnologie di processo possono, infine, dare luogo a ulteriori
classificazioni.
Un impianto a sistema discontinuo (batch) generalmente è costituito da una serie
di serbatoi (4-5) in cui viene completata ciascuna fase di produzione, prima di
passare alla fase successiva.
Questa tecnologia è relativamente semplice e meno automatizzata rispetto ad un
processo continuo. Generalmente il processo opera mediante una serie di valvole,
pompe e miscelatori.
Ciascuna fase impiega fino a 5 giorni per completarsi, quando nello stesso tempo,
in un processo continuo, diverse fasi potrebbero essere completate. Questo
sistema offre la possibilità di variare la materia prima organizzando ciascuna fase
per proprio conto in funzione delle caratteristiche della materia prima (contenuto
di acidi grassi liberi) ed inoltre offre anche una maggiore flessibilità di
organizzazione durante le fasi del processo. Richiede normalmente turni di 8 ore
di lavoro al giorno.
Il sistema a flusso continuo è molto efficiente e veloce nel processamento di
materiale a basso contenuto di acidi grassi liberi (< 0,5%). Il sistema è altamente
automatizzato, con un eccellente controllo della qualità del prodotto finale e per
29
mantenere tale la elevata efficienza produttiva, richiede un operatività di 24 ore al
giorno.
Recentemente sono stati messi a punto sistemi in continuo in grado di processare
materiale anche con elevato contenuto di acidi grassi liberi, ma comunque tali
impianti, per essere economicamente convenienti, richiedono almeno la
produzione di 10.000 t anno-1
e quindi economie di scala considerevoli (Figura 4)
Fig. 4 – Reattore di transesterificazione in continuo
Oggi esistono molte industrie che stanno utilizzando sistemi ibridi, che agiscono
con processo discontinuo per il pre-processo di esterificazione acida di materiale
con vario contenuto di acidi grassi liberi (5-30%). Il materiale omogeneo di base
ottenuto è in grado di alimentare il successivo sistema di transesterificazione
continua. Dato il suo costo, comparabile con i sistemi in continuo, il suo utilizzo
deve essere valutato attentamente. Il biodiesel è quindi, dal punto di vista chimico,
un estere metilico di acidi grassi di oli vegetali e/o animali prodotto attraverso una
reazione di transesterificazione, un processo nel quale un olio vegetale è fatto
reagire in eccesso di alcool metilico, in presenza di un catalizzatore alcalino. Il
prodotto finale è costituito da una miscela di alcuni (6-7) metilesteri che non
contiene zolfo e composti aromatici; contiene invece ossigeno in quantità elevata
(non meno del 10%). Il sottoprodotto che si ottiene dalla reazione di produzione è
30
il glicerolo (comunemente conosciuto come glicerina), che, dopo essere stato
raffinato, può avere diversi impieghi industriali. Per l’utilizzazione nei motori
diesel il metilestere deve rispondere alle specifiche EN 14214 e solo questo può
essere commercializzato come “biodiesel”.
Il Biodiesel è una fonte energetica rinnovabile e come tale comporta anche un
ciclo produttivo che interessa altri settori, come l’agricoltura.
Parte dell’olio da trasformare può essere fornito da paesi del Centro- est Europa
(futuri paesi UE) che dispongono di immense superfici scarsamente utilizzate.
Inoltre le zone povere del nostro territorio, (terreni marginali) in passato adibite a
coltivazione ed attualmente abbandonate, potrebbero fin da subito specializzarsi
nella produzione di semi di colza, soia e girasole, dando così nuove opportunità al
mercato
del lavoro locale.
Il biodiesel può essere anche ottenuto da oli vegetali usati, il cui recupero
consente di sottrarli definitivamente dal circuito dell’alimentazione zootecnica o
da utilizzi ancora più pericolosi per la salute umana.
La sua produzione è del tutto ecologica, poiché non presuppone la generazione di
residui, o scarti di lavorazione.
Il bilancio di massa semplificato dell'intero processo è il seguente:
1000 kg di olio raffinato + 100 kg metanolo = 1000 kg biodiesel + 100 kg
glicerolo
Come si nota, la reazione di transesterificazione prevede anche la generazione di
glicerina quale “sottoprodotto” nobile dall’elevato valore aggiunto, della quale
sono noti oltre 800 diversi utilizzi. L'utilizzo può essere diretto poiché non
richiede alcun tipo d’intervento sulla produzione dei sistemi che lo utilizzano
(motori e bruciatori).
La glicerina è il principale sottoprodotto della produzione di biodiesel. Se pura, è
incolore, inodore, viscosa, atossica e può essere utilizzata in molteplici modi dopo
pretrattamenti. In particolare modo, trova ampio uso nel settore farmaceutico e
cosmetico.
31
Il Biodiesel nel riscaldamento può essere utilizzato direttamente sugli impianti
esistenti, sia puro (al 100%) che in miscela con gasolio in qualsiasi proporzione.
Il biodiesel in autotrazione
Il funzionamento, l'usura dei motori e le prestazioni sono del tutto
assimilabili a quelle ottenute con gasolio tradizionale in termini di resa ed
affidabilità.
Il biodiesel può essere utilizzato:
• puro al 100% od in miscela con gasolio in qualunque proporzione, in tutti
i mezzi di trasporto dotati di motore diesel di recente concezione, i quali
possono usufruirne senza accorgimenti tecnici;
• puro al 100% in tutti i mezzi di trasporto dotati di motore diesel di
produzione antecedente, con lievi modifiche da eseguire in officina
(sostituzione di guarnizioni e condotti in gomma, eventuali semplici
modifiche al circuito di iniezione);
• in miscela con gasolio fino al 30- 40% su tutti i mezzi di trasporto dotati
di motore diesel, di qualunque età, senza la necessità di accorgimenti
tecnici.
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Aspetti ambientali nell’uso del Biodiesel
In confronto con il gasolio, il Biodiesel determina numerosi effetti positivi per
l’ambiente:
• non contribuisce all’« effetto serra» poiché restituisce all’aria solo la
quantità di anidride carbonica utilizzata da colza, soia e girasole durante la
loro crescita;
• riduce le emissioni di monossido di carbonio (-35%) e di idrocarburi
incombusti (-20%) emessi nell’atmosfera;
• non contenendo zolfo, il Biodiesel non produce una sostanza altamente
inquinante come il biossido di zolfo e consente maggiore efficienza alle
marmitte catalitiche;
• diminuisce, rispetto al gasolio, la fumosità dei gas di scarico emessi dai
motori diesel e dagli impianti di riscaldamento (-70%)
• non contiene sostanze pericolosissime per la salute quali gli idrocarburi
aromatici (benzene, toluene ed omologhi) o policiclici aromatici;
• giova al motore grazie ad un superiore potere detergente che previene le
incrostazioni;
• non presenta pericoli, come l’autocombustione, durante la fase di trasporto
e di stoccaggio;
• la sua diffusione determina l’attivazione di un circuito virtuoso che
promuove lo sviluppo di produzioni agricole non destinate alla
alimentazione (no food), quindi non generatrici di eccedenze.
33
Le Emissioni del Ciclo di Vita
Confronto dei centri di costo in termini energetici per la produzione di
biodiesel e diesel (tabella 1):
Costo Biodiesel Diesel
Materie prime Produzione semi, fertilizzanti e
pesticidi
Estrazione petrolio
Produzione Produzione piante oleoginose
Estrazione dell’olio
Transesterificazione in
biodiesel
Operazioni di raffineria
Distribuzione Distribuzione Distribuzione
Trasporto Trasporto
Tabella 1: confronto tra biodiesel e diesel
Approssimativamente è possibile stabilire che l’estrazione/coltivazione dell’olio
di semi richiede circa il 41% dell’energia dell’intero processo, la raffinazione ne
richiede il 23%, mentre la transesterificazione ne richiede il 5% ed il restante 31%
rappresenta il contenuto energetico del metanolo. In tabella 2 è riportato il
bilancio energetico per la produzione del biodiesel.
Energia Valore [GJ/ha]
Produzione 26-35
Ricavo dal biodiesel 42-50
Ricavata dai sottoprodotti 31-37
Tabella 2: Bilancio energetico del biodiesel [GJ/ha]
34
Le variabilità dei valori dipende dalla raffinatezza del processo produttivo
adottato.
Trattandosi di una fonte energetica rinnovabile il bilancio risulta essere sempre
più che positivo.
Importantissimo inoltre il contributo ai fini energetici dei “sottoprodotti” che già
da soli renderebbero il processo vantaggioso.
Nel caso di impiego di oli usati, i vantaggi sono ulteriormente amplificati.
Emissioni di Gas (effetto serra)
In uno dei più completi studi sulle fonti energetiche, realizzato da Sheehan
(1998) sono emersi molti aspetti vantaggiosi nella valutazione del Biodiesel come
valida fonte di energia rinnovabile:
• Il bilancio energetico nel life-cicle è di soli 0.31 unità di energia fossile per
produrre 1 unità di Biodiesel.
• Le emissioni di CO2 nel suo ciclo di vita sono particolarmente basse ( una
riduzione del 78% rispetto al gasolio fossile), suggerendone un utilizzo
urbano.
• Le emissioni di particolato risultano essere complessivamente il 32% di
quelle del gasolio (il particolato sotto ai 10 µm, altamente nocivo, inferiore
del 68%).
• Il monossido di carbonio emesso durante il processo è il 35% rispetto al
gasolio.
• Gli ossidi di zolfo SOx non superano mai l’8% rispetto al gasolio.
35
• La quasi totale assenza di zolfo e le sue proprietà chimico- fisiche
suggeriscono l’impiego del Biodiesel come additivo al gasolio fino a
specifiche ULS (Ultra Low Sulfur).
Coltivazioni ad hoc per la produzione di Biodiesel: Brassicacee
La coltivazione delle Brassicacee sta prendendo sempre più piede in Italia
grazie all’aumento della quotazione di queste oleaginose, passando dai 20 € dello
scorso anno ad oltre i 40 € fino ad un mese fa con una stabilizzazione attuale sui
30 €.
Caratteristiche botaniche
L’apparato radicale delle Brassicacee è fittonante, non molto profondo (70-80cm)
e si espande nei 35-40 cm di suolo.
Il fusto si presenta eretto e ramificato raggiungendo normalmente un’altezza di
1,5 m e differenziando circa 20 foglie.
Le foglie sono semplici, alterne; di colore verde glauco dovuto alla presenza di
abbondante pruina.
L’infiorescenza a grappolo è terminale, formata da 150-200 fiori ermafroditi, che
presentano quattro petali a croce, sei stami e ovario supero con corolla gialla.
Il frutto che si sviluppa dal fiore fecondato è una siliqua (frutto secco deiscente)
che contiene da 15 a 40 semi a seconda della varietà.
I semi sono piccoli, lisci e sferici con tegumento di colore bruno rossastro che
diventa più scuro con la maturazione. 1000 semi pesano 3,5-5 grammi, a seconda
della varietà.
Il 12-20% della massa del seme è rappresentato dal tegumento; tolto questo, il
seme risulta composto da due cotiledoni e dall’embrione che contengono le
sostanze di riserva.
L’embrione contiene dal 38 al 50 % ( in media 40-42%) di olio e il 21-24% di
proteine.
36
Alla famiglia delle Brassicacee appartengono diverse specie di piante, tra cui la
Brassica carinata e la Brassica napus (colza).
La colza (Brassica napus)
Biologia
Nel clima italiano il ciclo biologico della colza (figura 5) è autunno-
primaverile. Seminata tra la fine di settembre e i primi di ottobre, emerge dal
terreno dopo 10-15 giorni con la nascita di una rosetta, che permette alla pianta di
resistere al freddo ( fino a -15°C).
Figura 5: colza
La levata inizia nella seconda metà di marzo; alla fine di questo mese il fusto è
lungo circa 20 cm ed è già presente l’infiorescenza principale.
Nella prima decade di aprile inizia la fioritura.
37
Dopo 30-40 giorni dall’avvenuta fecondazione, i semi cominciano a riempirsi di
materiali di riserva: il contenuto di olio raggiunge il massimo valore dopo circa 60
giorni. Il seme giunge a maturazione dopo 80 giorni dalla fioritura.
Esigenze pedoclimatiche
La colza non necessita di temperature elevate per svilupparsi. Le varietà
autunnali resistono molto bene al freddo. La pianta predilige climi temperati,
umidi, non troppo soleggiati. A livello di terreni li predilige profondi, freschi,
fertili e leggeri. Essa si adatta a terreni argillosi, calcarei e torbosi, purchè ben
drenati. La colza tollera la salinità e il pH del terreno.
Rotazione
La colza coltivata è una pianta erbacea annuale che può essere ruotata con
cereali vernini e leguminose da granella.
Tecniche colturali
1. Preparazione del terreno:
E’ necessaria una buona preparazione del letto di semina perché i semi di colza
sono di piccole dimensioni. In genere si esegue un’aratura di media profondità
(25-30 cm).
2. Concimazione
La colza è un’eccellente coltura miglioratrice che consente di sfruttare al meglio
la fertilità residua del terreno in autunno.
Essa deve tenere conto del modesto fabbisogno del colza nel periodo autunnale
con una dose di azoto di 150 kg/ha ( simile a quella consigliata per il frumento)
sottoforma di nitrato ammonico o urea da distribuirsi 1/4-1/5 in presemina e la
restante poco prima della levata.
38
3. Semina
Il periodo per la semina varia in funzione dell’ambiente di coltivazione e delle
caratteristiche dell’ibrido-varietà.
La densità di semina varia mediamente da 80 a 110 mq per ottenere alla raccolta
una densità di 50-60 piante/mq. Il quantitativo di semi necessario varia da 5 a 8
kg/ha considerando un 30-40 % di perdite. La profondità di semina è di circa 2-
2,5 cm.
La semina può essere effettuata con seminatrici a righe o anche di precisione a
distanza tra le file di 45 cm.
4. Raccolta
Viene effettuata quando l’umidità media del seme è inferiore al 14 %.
Dopo il raggiungimento della maturazione fisiologica, la pianta cambia di colore
ed il seme passa da una tinta verde-giallognola al bruno-nero, arrivando così alle
condizioni di raccolta.
5. Rese
La colza non è diffusa a livello nazionale con una produzione di 16000 ha
concentrati nel centro-sud.
Le attuali produzioni medie sono dell’ordine di 2,6t/ha.
Per la commercializzazione della produzione è richiesto di rispettare i parametri
del 9% di umidità e del 2% di impurità.
39
La Brassica carinata
La Brassica carinata (figura 6), nota anche come mostarda etiopica, è
ritenuta originaria dell’Africa orientale (altipiani etiopici) in quanto proprio in
queste regioni sono state individuate il maggior numero di popolazioni selvatiche.
Figura 6: Brassica carinata
La coltivazione di questa specie in Etiopia si è sviluppata da circa 40 anni e si è
diffusa prevalentemente sugli altopiani, tra i 2000 e 2700 m s.l.m., dove sembra in
grado di fornire rese in granella di 2,5-2,6 t/ha con percentuale di olio nei semi
che oscillano dal 37 al 51%.
Recentemente la coltivazione di questa specie ha suscitato notevole interesse
anche in altri Paesi con caratteristiche non particolarmente favorevoli alla
coltivazione del tradizionale colza invernale da olio (Spagna, California).
40
Le ragioni di questo interesse sembrano risiedere nella maggiore vigoria e
potenzialità produttiva manifestata da questa specie in alcuni ambienti nei
confronti di B. juncea e B. napus e nella maggior resistenza a stress biotici ed
abiotici, caratteristiche queste che nel loro insieme lascerebbero ipotizzare la
buona adattabilità di questa specie a condizioni agro-pedoclimatiche sub-ottimali.
Tale ipotesi sembra confermata dagli studi recentemente condotti in Italia. Nella
media di più anni di prova, le rese sono oscillate da 1,89 a 3,51 t/ha in diversi
ambienti della penisola, mentre in Sicilia si è assistito a produzioni variabili da
1,89 a 3,02 t/ha, con un contenuto percentuale in olio nei semi oscillante tra il 33 e
40% circa.
Le minori oscillazioni delle rese tra le località rispetto a quanto osservato per
B. napus, indicano una maggiore adattabilità di questa specie agli ambienti più
tipicamente mediterranei.
La maggior capacità produttiva espressa dalla B. carinata negli ambienti più
decisamente mediterranei rispetto a B. napus, è stata confermata anche da
esperienze (+28% condotte a Pozzallo) condotte in Sicilia (Copani et al., 1999).
L’elevata produttività sembra imputabile alla maggiore resistenza alla deiscenza
delle silique, all’allettamento, alle principali avversità (parassiti e crittogame) ed
allo stress idrico.
Le ordinarie operazioni colturali che vanno dalla preparazione del letto di semina
sino alla raccolta della coltura, sono simili sia per B. napus che per B. carinata, e
nell’ottica di avvicendare tali colture con il frumento duro, il parco macchine
aziendale potrebbe rimanere immutato o sistemato con lievi modifiche di messa a
punto, come a titolo di esempio nella mietitrebbia da cereali si deve ridurre al
minimo la ventilazione, ridurre la velocità del controbattitore, ridurre la distanza
tra battitore e controbattitore.
Il lavoro di tesi si è incentrato sulla coltivazione di queste due specie nella
Regione siciliana.
41
1.4.4 Biogas
Il biogas viene prodotto da residui organici, ad esempio come prodotto di
processo nel trattamento dei reflui fognari. Può essere adoperato in veicoli
progettati per essere alimentati a metano, il gas deve essere prima purificato per
poterlo usare come carburante per autovetture. Il rimanente materiale proveniente
dal trattamento dei residui organici, può essere utilizzato come fertilizzante di alta
qualità.
1.4.5 Bioidrogeno
Un progetto integrato, che vede coinvolti l’ENEA e diverse società
industriali (Ansaldo, Fiat, Peugeot, Renault), università italiane e straniere
(L’Aquila, Vienna, Londra, Belfast, Patrasso) ed enti di ricerca europei (VTT,
ECN), si propone di:
• sviluppare processi e tecnologie per la produzione di biocarburanti liquidi
(etanolo) da destinare alla produzione di H2 per autotrazione on board;
• sviluppare processi e tecnologie per la produzione di idrogeno mediante
reforming catalitico di oli di pirolisi;
• sviluppare, mettere a punto e caratterizzare un processo di gassificazione
a vapore di biomasse per la produzione di syngas ad alto contenuto di
idrogeno per la generazione distribuita di energia elettrica mediante celle a
combustibile;
• sviluppare e caratterizzare un processo di gassificazione con ossigeno per
la produzione di un syngas ad alto contenuto di idrogeno da utilizzare in
combustori di turbine a gas e in caldaie di post combustione;
42
• sviluppare processi e tecnologie di separazione dell’idrogeno dal gas
prodotto da impianti di gassificazione che sfruttano differenti tecnologie.
1.5 Bioprodotti
La biomassa opportunamente trasformata, oltre che per l’uso energetico,
può avere molteplici impieghi:
materiali per l'industria edilizia ed abitativa e per la produzione di
compositi;
fibre tessili;
prodotti per l'industria quali lubrificanti, solventi, plastiche
biodegradabili, additivi vari, ecc.;
cellulosa, carta ed assimilati;
fertilizzanti o ammendanti per i terreni agricoli.
1.6 Aspetti economici
E’ evidente che le diverse fasi del ciclo produttivo del combustibile da
biomassa, sia esso di origine agricola o forestale, creano posti di lavoro e
favoriscono la ripresa dei settori agricolo e forestale. Inoltre, anche l'industria
collegata alle tecnologie di conversione energetica potrebbe trarre un
considerevole beneficio occupazionale. Circa 1.700 posti di lavoro per TWh/anno
43
sono necessari per produrre energia elettrica da biomasse, contro i 100 richiesti
per la fonte nucleare e 115 per il carbone.
Secondo uno studio dell'UE il danno prodotto dai combustibili fossili è valutabile
in 0,03-0,08 €/kWh per il carbone, 0,02-0,05 €/kWh per il petrolio e 0,01-0,02
€/kWh per il gas naturale.
Un'altro recente studio dell'Unione Europea ha stabilito che i costi sanitari per le
conseguenze dannose prodotte per ogni litro di benzina bruciata dalle auto nelle
città sono di 0,7 Euro.
1.6.1 Benefici per la politica energetica
L'energia delle biomasse vegetali contribuisce a ridurre la dipendenza dalle
importazioni di combustibili fossili e a diversificare le fonti di
approvvigionamento energetico oltre che al perseguimento degli obiettivi imposti
nell’ambito delle conferenze internazionali sul clima.
1.7 Quadro del settore e sviluppi futuri
Ad oggi, le biomasse soddisfano il 15% circa degli usi energetici primari nel
mondo, con 55 milioni di TJ/anno (1.230 Mtep/anno). L’utilizzo di tale fonte
mostra, però, un forte grado di disomogeneità fra i vari Paesi.
I paesi in via di sviluppo, nel complesso, ricavano mediamente il 38% della
propria energia dalle biomasse, con 48 milioni di TJ/anno (1.074 Mtep/anno), ma
in molti di essi tale risorsa soddisfa fino al 90% del fabbisogno energetico totale,
mediante la combustione di legno, paglia e rifiuti animali
44
Nei paesi industrializzati, invece, le biomasse contribuiscono appena per il 3%
agli usi energetici primari con 7 milioni di TJ/anno (156 Mtep/anno). In
particolare, gli USA ricavano il 3,2% della propria energia dalle biomasse,
equivalente a 3,2 milioni di TJ/anno (70 Mtep/anno); l’Europa,
complessivamente, il 3,5%, corrispondenti a circa 40 Mtep/anno, con punte del
18% in Finlandia, 17% in Svezia, 13% in Austria, l’Italia, con il 2,5% del proprio
fabbisogno coperto dalle biomasse,è al di sotto della media europea.
L’impiego delle biomasse in Europa soddisfa, dunque, una quota abbastanza
marginale dei consumi di energia primaria, rispetto alla sua potenzialità.
All’avanguardia, nello sfruttamento delle biomasse come fonte energetica, sono i
Paesi del centro-nord Europa, che hanno installato grossi impianti di
cogenerazione e teleriscaldamento alimentati a biomasse.
La Francia, che ha la più vasta superficie agricola in Europa, punta molto anche
sulla produzione di biodiesel ed etanolo, per il cui impiego come combustibile ha
adottato una politica di completa defiscalizzazione.
La Gran Bretagna invece, ha sviluppato una produzione trascurabile di
biocombustibili, ritenuti allo stato attuale antieconomici, e si è dedicata in
particolare allo sviluppo di un vasto ed efficiente sistema di recupero del biogas
dalle discariche, sia per usi termici che elettrici.
La Svezia e l’Austria, che contano su una lunga tradizione di utilizzo della legna
da ardere, hanno continuato ad incrementare tale impiego sia per riscaldamento
che per teleriscaldamento, dando grande impulso alle piantagioni di bosco ceduo
(salice, pioppo) che hanno rese 3÷4 volte superiori alla media come fornitura di
materia prima. Nel quadro europeo dell’utilizzo energetico delle biomasse, l’Italia
si pone in una condizione di scarso sviluppo, nonostante l’elevato potenziale di
cui dispone, che risulta non inferiore ai 27 Mtep.