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ANALISI DEI RISCHI DI ESERCIZIO ED ADEGUAMENTO ALLE ... · Tale fenomeno è dovuto alla scarsa o...

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SAFAP 2012, Napoli 14-15 giugno ISBN 978-88-7484-230-8 - 1- ANALISI DEI RISCHI DI ESERCIZIO ED ADEGUAMENTO ALLE DIRETTIVA ATEX. VERIFICA DEL RISCHIO RESIDUO Caso di studio: un impianto per la distillazione di etanolo G. Converso*, M.Gennari**, T. Murino*, L.C. Santillo* *Facoltà di Ingegneria dell’Università degli studi di Napoli “Federico II” D.I.M.P - Dipartimento di Ingegneria dei Materiali e della Produzione **Studio Archingenio Divisione Sicurezza Bologna 1. Sommario Nonostante negli ultimi anni si sia assistito ad un progressivo abbassamento degli infortuni e degli eventi mortali sul lavoro, nel caso specifico di incidenti causati da esplosioni il dato è tutt’altro che calato. Tale fenomeno è dovuto alla scarsa o quanto meno non immediata percezione di questo rischio, che quindi si tende a sottovalutare: ciò tanto da parte dei datori di lavoro, che dei dipendenti, e delle figure preposte all’applicazione delle misure di sicurezza. Il caso di studio presentato, grazie alla collaborazione tra il Dipartimento di Ingegneria dei Materiali e della Produzione dell’Università di Napoli, Federico II, e lo Studio Archingenio di Bologna, riguarda una distilleria, ubicata nella provincia felsinea, stabilimento dove si produce etanolo, acquavite di pera, tartrato di calcio e acido tartarico. La trattazione è suddivisa in due parti, avendo tralasciato (per mere ragioni di spazio) di trattare i fenomeni fisico-chimici dell’esplosione. Nella prima parte vengono ricordate le direttive europee riguardanti le atmosfere esplosive, indicando come le norme CEI permettano di classificare in zone, le aree a rischio, calcolarne le estensioni e valutare le principali fonti d’innesco. Sulla base di questo, vengono passati in rassegna i principali metodi di protezione e prevenzione, nonché le misure di tipo organizzativo che possono limitare gli effetti dannosi, indicando in conclusione un metodo per stimare il rischio residuo. Nella seconda parte si dà seguito alla implementazione del modello complessivamente proposto per le ATEX, presso il richiamato stabilimento, verificando se le misure adottate sono sufficienti per ritenere l’attività a basso rischio per i lavoratori. 2. ATEX: dalla normativa al modello di valutazione del rischio residuo 2.1 Il rischio atmosfere esplosive Il processo di valutazione del rischio di esplosione va effettuato caso per caso, non presentando una soluzione aprioristicamente valida. Infatti, l’art. 290 del D.Lgs. 81/08 “Testo unico sulla sicurezza” impone al datore di lavoro una valutazione che tenga conto almeno dei seguenti elementi [1]: - probabilità e durata della presenza di atmosfere esplosive; - probabilità che le fonti di accensione, comprese le scariche elettrostatiche, siano presenti e divengano attive ed efficaci; - caratteristiche dell'impianto, sostanze utilizzate, processi e possibili interazioni; - entità degli effetti prevedibili. Dunque, se si vuole analizzare un’attività sotto l’aspetto del rischio di esplosione, tale valutazione dovrà essere svolta considerando la probabilità di accadimento dell’evento esplosivo (ovvero la sua frequenza) e le conseguenze dell’incidente prevedibile.
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SAFAP 2012, Napoli 14-15 giugno ISBN 978-88-7484-230-8

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ANALISI DEI RISCHI DI ESERCIZIO ED ADEGUAMENTO ALLE DIRETTIVA ATEX. VERIFICA DEL RISCHIO RESIDUO

Caso di studio: un impianto per la distillazione di etanolo

G. Converso*, M.Gennari**, T. Murino*, L.C. Santillo* *Facoltà di Ingegneria dell’Università degli studi di Napoli “Federico II” D.I.M.P - Dipartimento di Ingegneria dei Materiali e della Produzione

**Studio Archingenio – Divisione Sicurezza – Bologna

1. Sommario Nonostante negli ultimi anni si sia assistito ad un progressivo abbassamento degli infortuni e degli eventi mortali sul lavoro, nel caso specifico di incidenti causati da esplosioni il dato è tutt’altro che calato. Tale fenomeno è dovuto alla scarsa o quanto meno non immediata percezione di questo rischio, che quindi si tende a sottovalutare: ciò tanto da parte dei datori di lavoro, che dei dipendenti, e delle figure preposte all’applicazione delle misure di sicurezza. Il caso di studio presentato, grazie alla collaborazione tra il Dipartimento di Ingegneria dei Materiali e della Produzione dell’Università di Napoli, Federico II, e lo Studio Archingenio di Bologna, riguarda una distilleria, ubicata nella provincia felsinea, stabilimento dove si produce etanolo, acquavite di pera, tartrato di calcio e acido tartarico. La trattazione è suddivisa in due parti, avendo tralasciato (per mere ragioni di spazio) di trattare i fenomeni fisico-chimici dell’esplosione. Nella prima parte vengono ricordate le direttive europee riguardanti le atmosfere esplosive, indicando come le norme CEI permettano di classificare in zone, le aree a rischio, calcolarne le estensioni e valutare le principali fonti d’innesco. Sulla base di questo, vengono passati in rassegna i principali metodi di protezione e prevenzione, nonché le misure di tipo organizzativo che possono limitare gli effetti dannosi, indicando in conclusione un metodo per stimare il rischio residuo. Nella seconda parte si dà seguito alla implementazione del modello complessivamente proposto per le ATEX, presso il richiamato stabilimento, verificando se le misure adottate sono sufficienti per ritenere l’attività a basso rischio per i lavoratori.

2. ATEX: dalla normativa al modello di valutazione del rischio residuo 2.1 Il rischio atmosfere esplosive Il processo di valutazione del rischio di esplosione va effettuato caso per caso, non presentando una soluzione aprioristicamente valida. Infatti, l’art. 290 del D.Lgs. 81/08 “Testo unico sulla sicurezza” impone al datore di lavoro una valutazione che tenga conto almeno dei seguenti elementi [1]:

- probabilità e durata della presenza di atmosfere esplosive; - probabilità che le fonti di accensione, comprese le scariche elettrostatiche, siano

presenti e divengano attive ed efficaci; - caratteristiche dell'impianto, sostanze utilizzate, processi e possibili interazioni; - entità degli effetti prevedibili.

Dunque, se si vuole analizzare un’attività sotto l’aspetto del rischio di esplosione, tale valutazione dovrà essere svolta considerando la probabilità di accadimento dell’evento esplosivo (ovvero la sua frequenza) e le conseguenze dell’incidente prevedibile.

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Da questa premessa si evince che la valutazione del rischio, visto come funzione dello scenario ipotizzato, è un processo, necessariamente articolato nelle fasi [2] di “risk analisys”, “risk assessment” e “risk management”. In figura 1 si è provveduto a schematizzare il percorso logico delle attività previste per determinare la valutazione del rischio di esposizione ad atmosfere esplosive:

Fig. 1 – Schema logico delle attività di valutazione del rischio di esposizione ad atmosfere esplosive

2.2 La Normativa di riferimento L'Unione Europea, nell’ambito del rischio dovuto alla presenza di atmosfere potenzialmente esplosive o ATEX da “ATmosphere EXplosive”, ha adottato due direttive armonizzate in materia di salute e sicurezza, note come ATEX 94/9/CE (anche ATEX 100a) e ATEX 99/92/CE (anche ATEX 137) [3]. La direttiva ATEX 94/9/CE stabilisce i requisiti essenziali di sicurezza per prodotti e sistemi di protezione destinati a essere utilizzati in atmosfere potenzialmente esplosive e le relative procedure per la conformità. La direttiva ATEX 99/92/CE invece definisce i requisiti minimi (in materia di salute e sicurezza) dei luoghi di lavoro con presenza di atmosfere potenzialmente esplosive; in particolare li classifica in funzione della probabilità di presenza di atmosfera esplosiva e specifica i criteri richiesti ai prodotti e sistemi all’interno di tali zone. In figura (Fig. 2) è riportata una schematizzazione delle Direttive ATEX. La direttiva ATEX 94/9/CE è stata recepita in Italia con D.Lgs. 126/98 e si applica ai prodotti messi in commercio e/o in servizio dal 1 luglio 2003. La direttiva ATEX 99/92/CE è stata invece recepita in Italia con D.Lgs. 233/03, entrato in vigore il 10/09/2003. Il successivo D.Lgs. 81/08 del 9 aprile 2008 (in particolare il titolo XI- Protezione da atmosfere esplosive) e il suo aggiornamento (D.Lgs. 106/2009 del 3 agosto 2009, in vigore dal 20 agosto) hanno poi superato il D.Lgs. 233/03.

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Fig.2 -Direttive ATEX e loro correlazione [3]

La direttiva ATEX 94/9/CE è entrata in vigore il 1 luglio 2003 in tutta l’Unione Europea e sostituisce le differenti legislazioni nazionali ed europee a quel momento esistenti in materia di atmosfere esplosive. Dopo quella data è stato possibile commercializzare solo prodotti conformi alla direttiva e provvisti di marcatura e dichiarazione di conformità CE ATEX [3]. La Direttiva si applica a tutti i prodotti, elettrici e meccanici, destinati ai luoghi con pericolo di esplosione e si colloca tra le direttive che consentono la libera circolazione delle merci e definiscono i requisiti essenziali in materia di sicurezza dei prodotti che vi ricadono. In particolare la Direttiva definisce le categorie dei prodotti e le caratteristiche che devono soddisfare per essere installati nei luoghi ove esista un pericolo d’esplosione, descrivendo inoltre le procedure da seguire per ottenere la conformità. Il campo d’applicazione si estende anche a dispositivi di sicurezza, di controllo e di regolazione che sono installati al di fuori dell’aria potenzialmente esplosiva, ma da cui dipende la sicurezza dei prodotti installati in atmosfera esplosiva. La direttiva include i materiali di superficie e di miniera, in quanto il pericolo, le misure di protezione e i metodi di prova sono simili per entrambi i materiali; la prima distinzione è effettuata con la suddivisione in due gruppi:

- gruppo I: prodotti da utilizzarsi in miniere grisutose; - gruppo II: apparecchiature destinate all’utilizzo in superficie.

La Direttiva inoltre classifica i prodotti in categorie, in relazione al livello di protezione e in funzione del grado di pericolosità dell’ambiente dove questi saranno inseriti. I prodotti di miniera (gruppo I) sono suddivisi in due categorie [3]:

- categoria M1: apparecchi o sistemi di protezione che garantiscono un livello di protezione molto elevato;

- categoria M2: apparecchi o sistemi di protezione che garantiscono un livello di protezione elevato; devono poter essere messi fuori tensione in presenza di gas.

Per gli apparecchi di superficie (gruppo II) esistono tre categorie, individuate dal numero 1, 2, 3 seguito dalla lettera G (Gas) oppure D (Dust), in funzione del livello di protezione (zona di utilizzo):

- categoria 1: apparecchi o sistemi di protezione che garantiscono un livello di protezione molto elevato;

- categoria 2: apparecchi o sistemi di protezione che garantiscono un livello di protezione elevato;

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- categoria 3: apparecchi o sistemi di protezione che garantiscono un livello di protezione normale.

Ai fini della marcatura sono previste varie procedure di conformità in funzione del prodotto e della categoria di appartenenza. Tutte le apparecchiature elettriche di categoria 1 e categoria 2 devono essere obbligatoriamente certificate presso Organismi Notificati ATEX (detti Notified Body, NB) [3]. Per le aziende che producono apparecchi elettrici di categoria 1 e di categoria 2 è obbligatoria anche la notifica e la sorveglianza del sistema di qualità tramite NB ATEX. Il numero di identificazione dell’organismo è apposto in targa insieme alla marcatura CE. Per tutte le apparecchiature di categoria 3 è, invece, prevista l’autocertificazione, con il controllo di fabbricazione interno, spesso soddisfatto dalla certificazione di qualità aziendale ISO 9001, rilasciata dal Centro Servizi Qualità CSQ. Il fabbricante deve preparare la documentazione tecnica che dimostri la conformità dell’apparecchiatura ai requisiti della Direttiva; la documentazione deve rimanere a disposizione per almeno 10 anni dall’ultima immissione sul mercato. La Direttiva ATEX 99/92/CE impone una classificazione dei luoghi ove è possibile la formazione di atmosfere potenzialmente esplosive, in modo da poter correttamente scegliere e installare le apparecchiature idonee all’ambiente (zona pericolosa). La definizione delle diverse aree, all’interno di un luogo con pericolo d’esplosione, rappresenta un problema progettuale di notevole complessità che richiede specifiche conoscenze. A livello normativo sono affrontati separatamente i luoghi ove il pericolo d’esplosione è dovuto alla presenza di gas e alla presenza di polvere, come conseguenza del loro differente comportamento, ai fini del rischio trattato [3]. La definizione dei luoghi è effettuata in funzione della frequenza e della durata di presenza di atmosfera esplosiva e per i gas e vapori la norma individua tre diverse zone [4]:

- zona 0: luogo dove un’atmosfera esplosiva per la presenza di gas è presente continuamente o per lunghi periodi;

- zona 1: luogo dove la presenza di un’atmosfera esplosiva è possibile durante il funzionamento normale;

- zona 2: luogo dove la presenza di un’atmosfera esplosiva è poco frequente e comunque per brevi periodi.

Analogamente per le polveri si hanno le seguenti zone [5]: - zona 20: luogo dove un’atmosfera esplosiva sotto forma di polvere combustibile

nell’aria è presente permanentemente o per lunghi periodi o frequentemente; - zona 21: luogo dove un’atmosfera esplosiva sotto forma di polvere combustibile

ha probabilità d’essere presente occasionalmente nel normale funzionamento; - zona 22: luogo dove un’atmosfera esplosiva sotto forma di polvere combustibile

non ha probabilità d’essere presente durante il normale funzionamento ma se ciò accidentalmente si verifica, essa persiste per un breve periodo di tempo.

La classificazione dei luoghi con pericolo d’esplosione è, quindi, un procedimento alquanto complesso, ma che si basa, essenzialmente, sulla individuazione dei seguenti elementi:

- numero e posizione delle sorgenti d’emissione (SE) - tipo delle sorgenti d’emissione: grado, portata di emissione; - grado della ventilazione: alta (VH), media (VM), bassa (VL); - disponibilità della ventilazione: buona, adeguata o scarsa.

Gli elementi citati portano, tramite calcoli e altre valutazioni, alla definizione delle zone pericolose e delle relative estensioni. 2.3 La identificazione del rischio In un luogo, per stabilire se esiste pericolo di esplosione, occorre innanzi tutto accertare la presenza di quantità significative di sostanze, in qualunque stato fisico, che, sotto forma di

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gas, vapore o nebbia, possono formare con l’aria atmosfere esplosive. La Norma CEI 31-30 [11] non fornisce indicazioni circa le quantità significative di sostanze, tuttavia, si può considerare che il luogo sia pericoloso solo se le quantità sono tali da consentire la formazione di atmosfere esplosive di estensione non trascurabile, tale da richiedere provvedimenti particolari per la realizzazione, l’installazione e l’impiego delle costruzioni. Nei luoghi con pericolo di esplosione, la definizione delle zone pericolose va su due fasi: 1. la determinazione del tipo di zona o dei tipi di zone (0, 1 o 2); 2. la determinazione della sua/loro estensione. Mentre ai fini della potenzialità di esplosione, la relazione che lega la concentrazione di una nube di polvere che si origina in un ambiente chiuso a seguito della perturbazione di uno strato di superficie unitaria, per tutto lo spazio che insiste sulla stessa superficie fino all’altezza H considerata, è la seguente:

C = ρapp ⋅ s/H (1) dove: C = concentrazione della nube, [g/m3]; ρapp = densità apparente dello strato di polvere, [kg/m3]; s = spessore dello strato, [mm]; H = altezza dell’ambiente [m]. Infine individuata l’area, la sua estensione, la potenzialità di esplosività mediante la concentrazione della nube di polvere esplosiva (equazione (1)), resta da valutare la presenza di un innesco. La possibilità d’innesco è legata, in generale, alla possibile presenza di sorgenti di accensione efficaci. La norma UNI EN 1127-1 individua tredici diversi tipi di sorgenti di accensione efficaci [8]: 1) Superfici calde; 2) Fiamme e gas caldi (incluse le particelle calde); 3) Scintille di origine meccanica; 4) Materiale elettrico; 5)

Correnti elettriche vaganti, protezione contro la corrosione catodica; 6) Elettricità statica; 7) Fulmini; 8) Onde elettromagnetiche a radiofrequenza (RF) da 104 Hz a 3x1012 Hz; 9) Onde elettromagnetiche a radiofrequenza (RF) da 3x1011 Hz a 3x1015 Hz; 10) Radiazioni ionizzanti; 11) Ultrasuoni; 12) Compressione adiabatica e onde d’urto; 13) Reazioni esotermiche (inclusa l’autoaccensione delle polveri). 2.4 Misure di prevenzione Le misure tecniche di prevenzione contro le esplosioni hanno lo scopo di eliminare soprattutto le condizioni che permettono la formazione di una miscela esplosiva. In linea generale, però, questo processo è molto difficile e quindi si devono adottare misure volte ad impedirne l'innesco [8]. In via estremamente sintetica, sottolineiamo che si procede ad intervenire in una o più delle seguenti direzioni: la sostituzione delle sostanze infiammabili/polveri combustibili; la limitazione delle concentrazioni; l’inertizzazione degli ambienti; l’isolamento di sistemi confinati; l’implementazione di misure di ventilazione; il monitoraggio delle concentrazioni; l’eliminazione dei depositi di polveri e l’utilizzo di attrezzature elettriche idonee. 2.5 Misure di protezione Nell'uso di gas, liquidi e polveri infiammabili, è probabile che le misure di prevenzione delle esplosioni siano tecnicamente irrealizzabili, scarsamente o per nulla efficaci o troppo costose. In questi casi si può ricorrere a misure di tipo costruttivo che, pur non impedendo l'esplosione, ne limitano gli effetti fino ad un livello di sicurezza accettato. I contenuti delle seguenti sezioni sono tratti e sintetizzati da [9]. Si procede, pertanto, ad implementare una o più delle seguenti soluzioni: contenitori resistenti all'esplosione; sfoghi strutturali all'esplosione; metodi di soppressione dell'esplosione; isolamento dell'esplosione. 2.6 Misure organizzative Oltre a misure di tipo preventivo e protettivo sono necessarie anche altre misure di sicurezza di tipo organizzativo, che contribuiscono all’innalzamento dei valori di sicurezza [9]. Tra queste evidenziamo oltre alla irrinunciabile informazione e istruzione dei lavoratori:

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il rilascio di specifiche autorizzazione interne al lavoro; il dovere di coordinamento; la manutenzione degli impianti; l’assegnazione di dispositivi di protezione individuale; la segnalazione (anche ridondante) delle zone pericolose. 2.7 Il modello di stima del rischio Dopo aver analizzato come si classificano le varie sorgenti di emissione, assegnando ad esse un tipo di zona in base alla probabilità di presenza di un’atmosfera esplosiva, e dopo aver esaminato in dettaglio quali possono essere le sorgenti di accensione e le principali misure preventive, protettive e gestionali contro le esplosioni, il passo successivo consiste nel quantificare il rischio a cui sono sottoposti i lavoratori. Tale compito tuttavia non è facilmente espletabile, in quanto le normative tecniche in materia non stabiliscono un metodo univoco né per la valutazione, né per la comparazione con un valore di rischio “socialmente accettabile”, come avviene ad esempio nel caso della norma CEI 81-10 per il calcolo del pericolo di fulminazione. Pertanto si procede utilizzando metodi diversi che cercano di soddisfare l’unico requisito dettato per legge, “la regola d’arte”, ovvero cercare sia nella valutazione sia nell’espletamento di quanto analizzato di avere un prodotto di qualità medio-alta rispetto agli standard di settore [10]. Generalmente il rischio (R) è definito come una funzione di due fattori: la frequenza (F) e la magnitudo (M). In questo caso specifico si è voluto suddividere la frequenza in due cofattori: la probabilità di presenza di un’atmosfera pericolosa (P) e quella di esistenza di una fonte d’innesco efficace (I), in quanto si potrebbero avere casi in cui nonostante la presenza alta di uno dei due fattori, ci si potrebbe trovare con la completa assenza dell’altro. Ad entrambi i fattori viene assegnato un valore da 0 a 3 a seconda di quanto riportato nelle tabelle seguenti (Tab. 1 e 2):

Tabella 1 - Classificazione del fattore di pericolo (P)

Tabella 2 - Classificazione del fattore di innesco (I)

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La magnitudo viene invece chiamata fattore di danno (D) e tiene conto degli effetti sia sui lavoratori, sia sui beni materiali in genere. Anche ad esso viene assegnato un valore da 0 a 3 a seconda di quanto riportato di seguito (Tab.3)

Tabella 3 - Classificazione del fattore di danno (D)

Al fattore di danno considerato si sommano alcuni indici che hanno valenza importante quando si considerano gli effetti esplosioni. Questi indici sono schematizzati in Tab. 4. A ciascuno dei valori dei fattori di pericolo, innesco e danno può però essere sottratto un fattore di sicurezza dovuto alla presenza di sistemi di protezione e prevenzione, che aiutano il ridursi del valore di rischio secondo lo schema riportato Tab. 5.

Tabella 4 - Elementi del fattore di danno.

È possibile, così, definire il seguente indice di rischio:

R = (P – S) ⋅ (I – S) ⋅ (D +ΣEDi − S) (2) In base al valore ottenuto da R si hanno livelli di rischio riportati in Tab. 6. Orbene, trattandosi di una materia assolutamente delicata per le implicazioni sulla vita umana e sull’ambiente circostante, si considera che il rischio sia accettabile solo quando risulta di valore trascurabile.

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Tabella 5 - Classificazione del fattore di sicurezza (S).

Tabella 6 - Descrizione del rischio valutato.

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3. Caso di studio: impianto per la distillazione di etanolo Al fine di comprovare l’applicabilità del modello di valutazione delle ATEX e del rischio conseguente per i lavoratori, è stato preso in considerazione un noto impianto industriale per la distillazione ubicato sul territorio ravennate, in cui si producono alcool etilico neutro e grezzo, nonché tartarato di calcio e acquavite. 3.1 L’area di distillazione All’interno dello stabilimento sono presenti 4 impianti di distillazione: “RA290” [UNITA’ 300], “RA 303”[UNITA’ 400], “RA 271”[UNITA’ 800] e “RA128”[UNITA’ 500]. Si tratta di impianti estremamente flessibili, in grado di lavorare in continuo sidri, vino, fecce spappolate e di produrre, a seconda delle richieste del mercato, alcool neutro, distillati ed alcool grezzo. Occorre precisare che l’unità 500, nella quale sono presenti 2 alambicchi in rame funzionanti in discontinuo, viene esclusivamente utilizzata per la produzione di acquaviti di frutta (da pere “Williams”). Il principio di funzionamento è in sostanza lo stesso in tutti e quattro gli impianti e i principali processi che vi hanno luogo sono: la distillazione (processo che porta all’esaurimento di un liquido alcolico sino ad ottenere nel suo residuo esausto); la concentrazione (processo inverso al precedente), la rettificazione (processo di purificazione del distillato); l’epurazione (operazione che porta all’eliminazione di alcune altre frazioni volatili) e indesiderabili di un distillato alcolico. 3.2 Strumenti di calcolo Per la valutazione dei rischi connessi alla presenza di sostanze infiammabili, capaci quindi di generare atmosfere esplosive, sono stati usati due programmi editi dal Comitato Elettronico Italiano. Il primo è ProgEx, impiegato per le valutazioni di gas, vapori e liquidi; il secondo è ProgEx Dust utilizzato per polveri. I due software aiutano nella classificazione delle zone in un luogo con pericolo di esplosione per la presenza di gas, vapori, liquidi infiammabili o (per la versione Dust) delle polveri. Le classificazioni vengono eseguite sulla base delle norme CEI 31-30 e CEI 31-35 (CEI 31-56 e CEI 31-66 per la versione Dust). I due codici considerano una sola sorgente di emissione (SE) alla volta e negli impianti dove ne sono presenti più di una, occorre analizzarle separatamente. La classificazione globale sarà poi data dall’insieme delle diverse zone identificate per ogni SE o, qualora nell’ambiente fossero presenti un gran numero di SE, si classificherà l’intero volume come zona pericolosa. 3.3 Valutazione del rischio residuo Con gli strumenti di calcolo a disposizione e le relazioni funzionali utilizzate sono state classificate le aree pericolose e se ne è determinata l’estensione. Si è poi passati alla valutazione del rischio per i lavoratori, che è stato attuato a valle delle misure di prevenzione, protezione e organizzative adottate per la limitazione dello stesso. Analizzando questi aspetti si è valutato se il rischio residuo per l’attività può essere ritenuto accettabile o se sono necessari altri interventi di incremento della sicurezza. Per la prevenzione, tra le misure elencate nel paragrafo precedente quella che certamente non può venir attuata è la sostituzione delle sostanze infiammabili, in quanto i composti che producono atmosfere esplosive sono quelli che alla fine vengono ottenuti come prodotto per la vendita o che, come il biogas, vengono recuperati per ottenere energia ed evitare la produzione di rifiuti inutili. La limitazione delle concentrazioni viene invece attuata da delle griglie presenti nei locali delle distillerie che limitano l’estensione delle pozze di liquido e degli strati di polvere che si dovessero creare. Tra le misure di prevenzione d’innesco va citato l’utilizzo di apposite attrezzature antideflagranti e la corretta installazione di un impianto elettrico a norma ATEX. Nello stabilimento è inoltre

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presente un impianto di protezione contro le scariche atmosferiche. Per le misure di protezione, nello stabilimento non ve ne sono di particolari (contro le esplosioni). Solamente alcuni locali sono classificati REI. L’intero processo viene seguito da una centrale di controllo da cui è possibile attivare gli sfiati di sicurezza e bloccare il processo. Tutto ciò premesso, per la valutazione del rischio residuo sono state stilate, area per area, le relative tabelle (di cui si riporta un esempio in tab. 7), ognuna delle quali recante il valore del rischio delle zona pericolosa di riferimento

Tabella 7 – Valutazione del rischio per l’area “Unità 300”

4. Conclusioni

La procedura rappresentata ed il modello di analisi e valutazione che la sottende, si sono dimostrati particolarmente efficaci, sia per la semplicità operativa (almeno concettuale), sia per il grado di analisi che si raggiunge mediante la loro implementazione. Il livello di sicurezza che, anche a tale modus operandi, si è raggiunto nella distilleria è molto buono e il rischio residuo presente per i lavoratori si è dimostrato basso in tutte le aree. Inoltre, grazie a tale modello, sono facilmente individuabili ulteriori interventi per ridurre il rischio adottando dei dispositivi di soppressione o di sfogo dell’esplosione. Possiamo, pertanto, concludere che il corpo normativo oggi vigente per gli impianti ATEX consente, se rispettato, una copertura del rischio esplosione adeguato evidenziando, altresì, la possibilità di definire soglie di rischio largamente di ridotta pericolosità mediante un approccio sistemico per la valutazione della sicurezza di impianto, semplice ed efficace. 5. Bibliografia [1] D.lgs. 81/08 “Testo unico sulla sicurezza” [2] Metodologia di valutazione del rischio di esposizione ad atmosfere potenzialmente

esplosive, http://conference.ing.unipi.it/vgr2006/archivio/Articoli/247.pdf [3] Guida ATEX Concetti base per la protezione in atmosfera esplosiva,

http://www.scame.com/doc/ZP00750-I-3.pdf [4] CEI EN 60079-10 (CEI 31-30), “Costruzioni elettriche per atmosfere esplosive per la

presenza di gas – Parte 10: Classificazione dei luoghi pericolosi”. [5] CEI 31-66, “Classificazione delle aree dove sono o possono essere presenti polveri

esplosive”. [6] IEC, http://it.wikipedia.org/wiki/Commissione_Elettrotecnica_Internazionale [7] CEI, http://www.elektro.it/norme_cei/norme_cei.htm

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[8] UNI EN 1127-1, “Atmosfere esplosive – Prevenzione dell’esplosione e protezione contro l’esplosione – Parte 1: Concetti fondamentali e metodologia”.

[9] SUVA prevenzione e protezione contro le esplosioni, http://www.agromatic.com/ext/website/cms/upload/news/en/ATEX/Italian/SUVA_it.pdf

[10] Arturo Cavaliere, Paolo Scardamaglia, “Guida all’applicazione delle direttive ATEX”, EPC libri, Roma 2005, p. 4624.

[11] CEI 31-35, “Costruzioni elettriche per atmosfere esplosive per la presenza di gas – Guida alla classificazione dei luoghi pericolosi”.


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