ANIEM
Rassegna Stampa del 13/11/2017
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INDICE
ANIEM
Il capitolo non contiene articoli
SCENARIO EDILIZIA
13/11/2017 Il Sole 24 Ore 16
Affari green per le Pmi all'estero
13/11/2017 Il Sole 24 Ore 18
Scavi, dichiarazioni a prova di errori
11/11/2017 Il Sole 24 Ore 20
Nuovo Pignone investe 12 milioni nel sito di Massa
13/11/2017 La Repubblica - Affari Finanza 21
Berlusconi studia Milano 4 torna il Cavaliere immobiliare
13/11/2017 La Repubblica - Affari Finanza 24
Un faro sulla casa intelligente idee per blindare la privacy e innovare la tutela
assicurativa
12/11/2017 La Stampa - Cuneo 25
Polemiche sul recupero dell'area di corso Trento
12/11/2017 Avvenire - Nazionale 26
Roma città dei «nuovi poveri»
13/11/2017 QN - Il Resto del Carlino - Ferrara 28
I cinesi a lezione di città slow
13/11/2017 Il Sole24Ore Edilizia e Territorio 29
GRANDI OPERE: PREVENZIONE E NUOVE FRONTIERE
SCENARIO ECONOMIA
13/11/2017 Corriere della Sera - Nazionale 32
La «fase due» di Bankitalia
13/11/2017 Corriere della Sera - Nazionale 34
Paradise papers: faro dell'esecutivo sul caso Vitrociset
13/11/2017 Corriere della Sera - Nazionale 36
il sentiero stretto sui conti
13/11/2017 Corriere della Sera - Nazionale 37
Banca d'Italia, scontro Renzi-Berlusconi
12/11/2017 Corriere della Sera - Nazionale 39
Manovra, Gentiloni contro gli emendamenti «Il ritorno alla crescita non va
sprecato»
12/11/2017 Corriere della Sera - Nazionale 41
L'ultima trattativa sulle pensioni: i sindacati chiedono un mese di sconto
12/11/2017 Corriere della Sera - Nazionale 42
Paradise papers, centinaia di nomi italiani
12/11/2017 Corriere della Sera - Nazionale 45
Il gruppo che offre tecnologie allo Stato controllato (con un dollaro) dall'isola di
Curaçao
12/11/2017 Corriere della Sera - Nazionale 48
Banche, da Ferrara la riscossa dei piccoli
12/11/2017 Corriere della Sera - Nazionale 50
I soci vogliono vendere ma nessuno compra le azioni Il mercato fantasma a Bari
12/11/2017 Corriere della Sera - Nazionale 52
Cina, record di Alibaba nel «Giorno dei single»: 25 miliardi di dollari
12/11/2017 Corriere della Sera - Nazionale 53
Investitori stranieri, le pmi piacciono agli americani
12/11/2017 Corriere della Sera - Nazionale 54
Il Mef sulla Tari: intervento urgente
12/11/2017 Corriere della Sera - Nazionale 55
«Perché la Luiss ha scelto Milano Ora è meglio di Londra e Parigi»
11/11/2017 Corriere della Sera - Nazionale 57
Nuovo assalto alla manovra
11/11/2017 Corriere della Sera - Nazionale 59
Consob, poteri e controlli che non c'erano
11/11/2017 Corriere della Sera - Nazionale 60
Il Golden power e i conti di Next
13/11/2017 Corriere L'Economia 61
Bankitalia Consob Le nomine della discordia
13/11/2017 Corriere L'Economia 63
Risparmio tradito
13/11/2017 Corriere L'Economia 66
Paolo Bertoluzzo
13/11/2017 Corriere L'Economia 69
Perché troppo stato fa male all'economia
13/11/2017 Corriere L'Economia 71
la mossa di mustier così cambio governance
13/11/2017 Corriere L'Economia 73
Menarini Farmaceutica orgoglio italia
13/11/2017 Corriere L'Economia 75
I tassi? Resteranno bassi
13/11/2017 Il Sole 24 Ore 77
Una strategia per chiudere l'emergenza
13/11/2017 Il Sole 24 Ore 79
Super Fisco, il conto della crisi
13/11/2017 Il Sole 24 Ore 82
I prestiti ripartono, il reddito resta indietro
13/11/2017 Il Sole 24 Ore 84
I 50 emergenti del Made in Italy
12/11/2017 Il Sole 24 Ore 87
La commissione d'inchiesta che serve
12/11/2017 Il Sole 24 Ore 88
Gentiloni vede Draghi, no comment su banche
12/11/2017 Il Sole 24 Ore 90
Pensioni, si allarga la platea dei «gravosi» esenti dai 67 anni
12/11/2017 Il Sole 24 Ore 92
Fallimento, si cambia su controlli e creditori
12/11/2017 Il Sole 24 Ore 94
In Borsa utili oltre 9 miliardi
12/11/2017 Il Sole 24 Ore 96
Gosso (Mercitalia): si riducono le perdite Nuove rotte con il Nord Europa
11/11/2017 Il Sole 24 Ore 98
Il Pd: non puntiamo a Draghi ma alle colpe della vigilanza
11/11/2017 Il Sole 24 Ore 99
Stabilità, efficienza e risoluzione, le tre tecnocrazie utili all'Europa
11/11/2017 Il Sole 24 Ore
Un Paese debole e le logiche del mercato
101
11/11/2017 Il Sole 24 Ore
«I want you», l'industria cerca super tecnici e laureati 4.0
103
11/11/2017 Il Sole 24 Ore
A settembre produzione industriale in rallentamento
105
11/11/2017 Il Sole 24 Ore
Npl, le banche accelerano: 60 miliardi in uscita
107
11/11/2017 Il Sole 24 Ore
Le tasse dei ricchi e il «mito» di Reagan
109
11/11/2017 Il Sole 24 Ore
«L'Europa alla sfida del digitale»
110
11/11/2017 Il Sole 24 Ore «Equo
compenso a garanzia della dignità professionale»
112
13/11/2017 La Repubblica - Nazionale
Pensioni, si avvicina lo sciopero della Cgil
113
13/11/2017 La Repubblica - Nazionale
2044 Il sorpasso degli anziani
114
12/11/2017 La Repubblica - Nazionale
Visco:"Sì al fisco umano ma la sinistra vince se combatte l'evasione"
116
12/11/2017 La Repubblica - Nazionale
Banca Etruria le sviste dei vigilanti
118
12/11/2017 La Repubblica - Nazionale
Il piano per Leonardo consorzio nella Difesa grazie a Fincantieri
121
11/11/2017 La Repubblica - Nazionale
La rivoluzione del Fisco Ruffini: cancellerò il 730 troppe le tasse inutili
122
11/11/2017 La Repubblica - Nazionale
Condannati al venerdì nero
125
13/11/2017 La Repubblica - Affari Finanza
"Il direttore finanziario è cambiato ora deve fare i conti con i big data"
127
13/11/2017 La Repubblica - Affari Finanza
Potere e affari, la rivoluzione d'Arabia
129
13/11/2017 La Repubblica - Affari Finanza
Non basta la moneta per l'Unione
132
13/11/2017 La Repubblica - Affari Finanza
Gli antidoti al populismo economico
134
13/11/2017 La Repubblica - Affari Finanza
Massiah: "Sbagliato svendere le sofferenze"
136
13/11/2017 La Stampa - Nazionale
RISCRIVERE LE REGOLE DELLA STABILITÀ
138
13/11/2017 La Stampa - Nazionale
"Il blitz di Bankitalia in Etruria senza avvertire prima il governo"
139
13/11/2017 La Stampa - Nazionale
Casini: "Fare luce sarà spiacevole In futuro servono nuove regole"
141
13/11/2017 La Stampa - Nazionale
Pensioni, Ape social prorogata al 2019
143
12/11/2017 La Stampa - Nazionale
Quelle omissioni su Siena chiamano in causa Draghi Ma in ballo c'era la stabilità
del nostro Paese*
145
12/11/2017 La Stampa - Nazionale
"Da Bankitalia e Consob controlli non efficienti"
147
11/11/2017 La Stampa - Nazionale
L'UE E LE SPINTE ECONOMICHE DEI DIVERSI STATI
149
13/11/2017 Il Messaggero - Nazionale
Alitalia, il rilancio dei tedeschi
150
12/11/2017 Il Messaggero - Nazionale
Superticket, adesso si tratta sull'abolizione Gentiloni frena l'assalto
152
11/11/2017 Il Messaggero - Nazionale
Imposte non versate arriva la sanatoria Verso la web tax al 6 %
154
SCENARIO PMI
13/11/2017 Corriere L'Economia
La lunga marcia dei freni Brembo continua con lo sbarco a Nanchino
156
12/11/2017 Il Sole 24 Ore
Se il Ftse Star doppia l'indice delle big
157
11/11/2017 Il Sole 24 Ore - PLUS 24
«Per Temenos crescita in accelerazione»
158
13/11/2017 La Repubblica - Torino
Le magnifiche 18
161
11/11/2017 Milano Finanza
Già 200 milioni sul web
163
11/11/2017 Avvenire - Nazionale
La ripresa è incerta ma le Pmi godono di ottima salute
164
13/11/2017 Corriere del Mezzogiorno Economia
Da Graded a D'Amico In Elite ammesse altre 7 aziende del Sud
165
SCENARIO EDILIZIA
9 articoli
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/11/2017 16
AMBIENTE/IMPRESA & TERRITORI
Affari green per le Pmi all'estero
Micaela Cappellini
Dall'America Latina all'Europa, dall'India alla Colombia. Sono molti i Governi in tutto il mondo ad aver
lanciato nel 2017 dei piani nazionali per incentivare l'utilizzo di tecnologie green e combattere
l'inquinamento. Un'occasione per le Pmi italiane che esportano beni e servizi in questo settore. Tra rifiuti,
trasporti ed energie rinnovabili gli investimenti mondiali hanno raggiunto la cifra di mille miliardi di dollari.
pagina 14 La sostenibilità ambientale è una filosofia necessaria ma anche, e sempre più, un business
redditizio. La Banca Mondiale stima che nel mondo gli investimenti nel settore abbiano ormai raggiunto la
ragguardevole cifra di mille miliardi di dollari, dalle rinnovabili alla gestione dei rifiuti, dall'edilizia
ecosostenibile ai sistemi di trasporto smart. Nel suo piccolo, l'Italia fa la sua parte: i numeri presentati
all'ultima edizione della fiera Ecomondo, che si è chiusa venerdì a Rimini, disegnano un orizzonte fatto da
385mila imprese coinvolte nel settore, per un giro d'affari intorno ai 200 miliardi all'anno. Ma nell'attesa che
sia varato il decreto per gli incentivi alle rinnovabili 2017•2020, mentre è ancora ferma al Senato la proposta
di legge sul biologicoe con gli investimenti nell'energia verde che sono scesi dai 3,6 miliardi del 2013 a 1,7
miliardi l'anno scorso, è opportuno che per cogliere appieno le opportunità del business ambientale le
nostre imprese guardino sempre più ai mercati esteri. Dove? Qualche risposta arriva dal rapporto "Creating
markets for climate business" appena pubblicato dall'International Finance Corporation, braccio finanziario
della Banca Mondiale. Che mette in fila uno dopo l'altro gli ultimi piani nazionali varati dai governi per
combattere l'inquinamento. Ce n'è per tutti i gusti. A giugno in Colombia è stato lanciato il fondo Colombia
Sostenible per raccogliere gli investimenti pubblici, privati e internazionali a sostegno del Piano decennale
per il clima. Due mesi prima le banche Bancolombia e Davivienda sono state le prime in America Latina ad
aver emesso un bond green, i cui fondi cioè possono essere utilizzati solo per finanziare progetti che
generano un beneficio per l'ambiente. Sempre a Bogotà, l'associazione nazionale degli industriali ha
attivato l'acceleratore Clean Energy Investment, per chi investe nelle rinnovabili. Restando Sudamerica,
l'Argentina ha lanciato il programma RenovAr per diversificare le fonti d'approvvigionamento d'energia del
Paese, che fissa al 2025 l'obiettivo del 20% della produzione da rinnovabili. Parte dei finanziamenti di
questo piano verranno garantiti dalla Banca Mondiale e dalle sue branche. Nell'ambito del secondo round
del Piano, l'italiana Enel Green Power ha presentato progetti per un totale di 600 MW di rinnovabili
installate. «Sono convinta • sostiene Alzbeta Klein, direttrice globale per il Climate Business dell'Ifc • che le
tematiche ambientali siano una grande opportunità di business tanto per le grandi imprese che per quelle di
dimensioni più ridotte. Tra i segmenti più adatti a queste ultime ci sono le tecnologie per la gestione dei
rifiuti,i trasporti urbani e la realizzazione degli edifici ecosostenibili: se ne stanno costruendo molti nei paesi
emergenti, e in particolare in Africa. Per tutti questi progetti,e per altri ancora, l'Ifc ha attivato linee di
finanziamento alle quali anche le imprese più piccole possono avere accesso». Tra i piani più interessanti
avanzati dai governi africani c'è quello del Marocco, dove entro il 2030 il 52% dell'energia dovrà arrivare
dalle rinnovabili: per questo obiettivo è stata creata 4C Maroc, una piattaforma pubblico•privata che aiuta le
impre• se a trovare gli investimenti necessari. Il piano di Rabat ha anche un interessante capitolo sulle
infrastrutture per la distribuzione dell'acqua e lo smaltimento di quelle reflue. In Europa è scesa in campo la
Francia, chea giugno ha adottato il Plan Climat che prevede, tra le altre cose, l'eliminazione entro il 2022
delle centrali a carbone e l'aumento della quota di energia prodotta da fonti rinnovabili fino al 32%. Lo
stesso mese la Svezia si è data l'obiettivo delle zero emissioni entro il 2045, per il quale ha approvato un
pacchetto di misure legislative che incentivano il cambiamento green. L'India è indubbiamente, insieme alla
Cina, tra i Paesi più inquinati al mondo. Per contrastare questo fenomeno il governo ha recentemente
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/11/2017 17
messo in campo una serie di azioni. La prima è la National Solar Mission, che alza a 175GW la soglia
minima di energia solare che deve essere prodotta nel Paese entro il 2022. Per lo stesso anno, gli impianti
eolici dovranno essere in grado di generare 60GW di energia. Inoltre 23 stati su 36 della federazione hanno
emanato (o stanno per emanare) leggi per incentivare la costruzione di edifici ecosostenibili.
I GREEN BOND 221 miliardi $ Il mercato mondiale Un green bond si distingue dai bond tradizionali per il
fatto che i fondi raccolti attraverso la sua emissione vengono spesi esclusivamente per finanziare progetti
che assicurino un beneficio per l'ambiente. Soltanto tre anni fa il mercato mondiale dei bond verdi era un
sesto di quello attuale 10 miliardi $ I green bond per le smart city Nei primi sei mesi del 2017 i green bond
nati per finanziare lo sviluppo delle smart city ammontavano a 10 miliardi. Se all'inizio erano solo le
istituzioni multilaterali a emetterli, ora sono scesi in campo anche banche, governi e aziende: come la
cinese Spd Bank, o la compagnia energetica francese Edf, oppure ancora il governo polacco. Ad oggi, il
35% dei bond verdi sono stati emessi nei Paesi emergentiLa mappa dei grandi progetti varati nel 2017 IL
BUSINESS VERDE NEL MONDO. Dati in miliardi di dollari 297 Gli investimenti nelle energie rinnovabili nel
mondo oggi. Si stima che entro il 2040 saliranno a quota 11mila miliardi all'anno I PAESI SU CUI
PUNTARE 1 Cile Ad agosto il governo ha lanciato il National Climate Action Plan 6 India il governo ha
lanciato il National Solar Mission e il National Wind Energy Mission Fonte: IFC Banca Mondiale 3
1 388 Gli investimenti nell'edilizia sostenibile nel mondo oggi. Si Stima che entro il 2025 saliranno a quota
3.400 miliardi all'anno 2 Colombia A giugno è stato lanciato il fondo Colombia Sostenible a sostegno del
Piano decennale per il clima 2 350 Gli investimenti nei trasporti urbani sostenibili oggi nel mondo 3 Costa
Rica Il governo concede esenzioni fiscali a chi investe nelle rinnovabili e a chi acquista veicoli elettrici 7 5 4
8 7 Marocco Nasce 4C Maroc, una piattaforma pubblico-privata per le imprese che investono nelle
rinnovabili Gli investimenti privati nei sistemi di gestione efficiente delle acque reflue nel mondo. Si stima
che entro il 2030 saliranno a 13mila miliardi all'anno 9 23 4 Costa d'Avor io Previsti fondi per ridurre al 28%
le emissioni di gas serra entro il 2030 6 8 Svezia A giugno si è data l'obiettivo delle zero emissioni entro il
2045 160 Gli investimenti nella gestione dei rifiuti urbani nel mondo oggi 5 Francia A giugno è stato
adottato il Plan Climat 9 Zambia Insieme alla Banca Mondiale, porta avanti il Solar Scalar Program
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Terre e rocce. Il modello per il riutilizzo del materiale va trasmesso a Comune e Arpa 15 giorni prima dei lavori
Scavi, dichiarazioni a prova di errori
Guida alla compilazione delle nuove denunce per i sottoprodotti nei piccoli cantieri L'AGGIORNAMENTO Ogni modifica sostanziale nell'utilizzo comporta la revisione della dichiarazione e un altro invio anche online Paola Ficco
L'orizzonte regolamentare introdotto dal nuovo regolamento per le terree rocce da scavo (Dpr 13 giugno
2017, n. 120 in vigore dal 22 agosto) è particolarmente ampio. Infatti, il decreto incide su tutti i cantieri, che
però sono differenziati in ragione delle dimensioni del volume di scavo: se il volume supera i 6mila metri
cubi il cantiere è considerato di grandi dimensioni; al di sotto di questa soglia, il cantiere è considerato di
piccole dimensioni. La volumetria di scavo è calcolata in base alle sezioni di progetto (cosiddetto scavo in
banco). Il decreto trova la sua profonda ragion d'essere nella trasformazione del risultato dello scavo da
rifiuto a sottoprodotto. Il che consente di prescindere dalle numerose e non sempre chiare regole sulla
gestione dei rifiuti, valorizzando così le risorse. Con le nuove regole per aversi sottoprodotto nei piccoli
cantieri assumono un ruolo fondamentale la dichiarazione di utilizzo (articolo 21) e la dichiarazione di
avvenuto utilizzo (articolo 7). Sono questi gli strumenti attraverso i quali l'impresa ottiene il regime di favore,
dimostrando la sussistenza delle condizioni previste dall'articolo 184•bis, Dlgs 152/2006 (Codice
ambientale) e dall'articolo 4 Dpr 120/2017 ai fini del concretarsi del sottoprodotto. La dichiarazione di
utilizzo È resa dal produttore mediante trasmissione della dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà resa
ai sensi dell'articolo 47, Dpr 445/2000 (autocertificazione), almeno 15 giorni prima dell'inizio dei lavori. Il
produttore è il soggetto che esegue l'opera (o anche solo lo scavo). Costui, usando il modulo di cui
all'allegato 6 al Dpr 120/2017 la invia al Comune del luogo di produzione e all'Arpa territorialmente
competente. I tempi previsti per l'utilizzo non possono superare un anno dalla data di produzione di terree
rocce, a meno che l'opera alla quale sono destinate, preveda un termine di esecuzione superiore. In caso
di opera pubblica, la gestione di terre e rocce come sottoprodotti va autorizzata dalla stazione appaltante.
Se i requisiti per rientrare nella categoria del sottoprodotto subiscono una modifica sostanziale, il produttore
aggiorna la dichiarazione e la invia, anche solo in via telematica, al Comune del luogo di produzione e
all'Arpa territorialmente competente. Decorsi 15 giorni, terre e rocce possono essere gestite in conformità
alla dichiarazione aggiornata. Le modifiche sostanziali sono indicate dall'articolo 15, comma 2, e tra queste
rientrano il destino di terree roccea un sito di deposito intermedio diverso da quello indicato nel piano di
utilizzoe la modifica delle tecnologie di scavo. Se la variazione riguarda il sito di destino o il diverso uso dei
materiali, la dichiarazione può essere aggiornata per non più di due volte (salvo cause di forza maggiore).
Invece, i tempi previsti per l'utilizzo di terre e rocce possono essere prorogati una sola volta e, se questo
avviene per cause di forza maggiore, per non oltre sei mesi. In tal caso, prima della scadenza del termine di
utilizzo indicato nella dichiarazione, il produttore comunica al Comune del luogo di produzione e all'Arpa
territorialmente competente, il nuovo termine di utilizzo, motivandolo. Se l'autorità competente accerta
l'assenza dei requisiti o delle cause di forza maggiore, dispone il divieto di gestire i materiali come
sottoprodotti. La caratterizzazione dei materiali non è prevista, ma si ritiene sia dovuta; diversamente, in
caso di controllo il produttore non potrà confermare la veridicità di quanto dichiarato in ordine alla «qualità
delle terre» e la loro rispondenza ai requisiti del sottoprodotto. L'avvenuto utilizzo Il produttore, mediante la
dichiarazione di avvenuto utilizzo (Dau) attesta che l'impiego dei materiali è avvenuto in modo conforme a
quanto aveva indicato nella dichiarazione di utilizzo. Anche questa dichiarazione è redatta ai sensi
dell'articolo 47, Dpr 445/2000, è compilata in base all'allegato 8 ed è resa anche solo in via telematica.
Inoltre, va trasmessa all'autorità e all'Arpa competenti per il sito di destinazione, al Comune del sito di
produzioneea quello del sito di destino. La dichiarazione è conservata per cinque anni e va resa entro il
termine di validità della dichiarazione di utilizzo. Se è omessa, i materiali diventano rifiuti con effetto
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immediato. Le mosse per non sbagliare L'INVIO I DESTINATARI I CONTENUTI I TEMPI I CONTROLLI
PRIMA DELL'AVVIO Il produttore, cioè il soggetto la cui attività materiale produce terre e rocce da scavo
predispone e trasmette la dichiarazione di utilizzo Almeno 15 giorni prima dell'inizio dei lavori di scavo, la
dichiarazione di utilizzo va inviata anche online al Comune del luogo di produzionee a ll'Agenzia di
protezione ambientale territorialmente competente, usando il modulo dell'allegato6 al Dpr 120/2017 Nella
dichiarazione vanno indicate: quantità di terre e rocce destinate all'utilizzo come sottoprodotti;eventuale sito
di deposito intermedio, sito di destinazione, estremi delle autorizzazioni per realizzare le opere e tempi di
utilizzo Non possono mai superare un anno dalla data di produzione delle terre e rocce da scavo, salvo il
caso in cui l'opera nella quale i materiali sono utilizzatipreveda un termine di esecuzione superiore Le Arpa
territorialmente competenti effettuano, secondo una programmazione annuale, le ispezioni,i controlli,i
prelievie le verifiche. L' onere economicoèa carico del produttore ALLA FINE DEI LAVORI Il produttore,
cioè il soggetto la cui attività materiale produce terre e rocce da scavo predispone e trasmette la
dichiarazione di avvenuto utilizzo Va inviata anche online all' Autorità e all' Agenzia di protezione
ambientale competenti per il sito di destinazione, ai Comuni dei siti di produzione e destinazione, usando il
modulo dell'allegato 8 al Dpr 120/2017 Vanno specificate: quantità di terree rocce gestite come
sottoprodotti in conformità alla dichiarazione di utilizzo; data di trasmissionee numero di protocollo della
dichiarazione di utilizzo; cubature del materiale impiegatoe ubicazione delle opere Entro il termine di validità
della dichiarazione di utilizzo; l'omessa dichiarazione di avvenuto utilizzo entro il termine comporta
l'immediata cessazione della qualifica delle terre e rocce da scavo come sottoprodotto Il produttore deve
conservare la dichiarazione di avvenuto utilizzo per cinque anni e deve renderla disponibile all'Autorità di
controllo
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/11/2017 20
11/11/2017
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Tecnologie 4.0. Nella produzione di componenti strategici dei compressori TOSCANA
Nuovo Pignone investe 12 milioni nel sito di Massa
AUTOMAZIONE SPINTA In precedenza queste lavorazioni venivano svolte in India e Cina da operai; ora il cuore della nuova linea è rappresentato da un robot Silvia Pieraccini
MASSA Nuovo Pignone riporta "in casa", nello stabilimento di Massa, la produzione di componenti
strategici dei compressori centrifughi finora realizzati da fornitori esterni basati soprattutto in India e Cina, e
lo fa grazie alle tecnologie di Industria 4.0. La nuova linea di produzione dei pannelli di tenuta gas,
inaugurata ieri nello stabilimento toscano esteso su 350mila metri quadrati• uno dei cinque italiani che fanno
capo al colosso Bhge (nato dalla fusione delle americane Baker Hughes e Ge Oil&Gas), leader
nell'industria del gas e del petrolio - è totalmente automatizzata: si "entra" con un disegno tridimensionale,
si "esce" con una centralina testata e certificata. Il "cuore" della nuova linea è un robot che, partendo da
una barra d'acciaio di sei metri, produce tubi del diametro di 2,5 centimetri, che poi taglia, testae piega
secondo il disegno predisposto dagli uffici tecnici, in modo da essere pronti da montare, riducendo di 15
volte i tempi di realizzazione, abbattendo le possibilità di errore e migliorando la qualità. Finora questo
lavoro veniva fatto in India e Cina da operai specializzati, i cosiddetti "primaristi". «È vero che in India e in
Cina la manodopera costa meno - spiega Davide Marrani, vicepresidente Manufacturing del business
turbomachinery di Bhge - ma la disponibilità di questa automazione spinta, unita alla re•ingegnerizzazione
del prodotto, adesso ci ha permesso di essere competitivi anche in Italia e di riportare la produzione "in
casa", assumendo nuovo personale». La linea di produzione si compone poi di una piattaforma mobile di
montaggio (unica negli stabilimenti Nuovo Pignone), che facilita il lavoro degli addetti, e di una cabina per le
prove di tenuta gas dotata di telecamere ad alta definizione,e si trova nell'ala appena ristrutturata secondo
standard antisismici all'avanguardia. L'investimento complessivo per la ristrutturazione dello stabilimento di
Massa e l'installazione della nuova linea automatizzata è di 12 milioni di euro. «Ma altri dodici milioni li
investiremo il prossimo anno per il banco•prova delle nuove turbine Lm9000», annuncia Massimo Messeri,
presidente di Nuovo Pignone, spiegando che lo stabilimento di Massa si sta trasformando da "industria di
ferro" (qui 15 anni fa si facevano so• prattutto saldature)a "industria altamente tecnologica": ormaiè un
centro di eccellenza per la revisione delle turbine a gas di derivazione aeronautica, che arrivano qui da tutto
il mondo,e ha il più grande laboratorio di prova per turbine e compressori, oltre ad essere un centro per il
packaging elettronico e meccanico dei grandi compressori (oltre le 100 tonnellate). Negli ultimi 15 anni a
Massa è raddoppiata la capacità produttiva e sono aumentati gli addetti: oggi tra questo stabilimento e il
vicino cantiere di Avenza di Carrara, in cui si assemblano moduli industriali per la generazione di energia
elettrica, Nuovo Pignone dà lavoro a 1.600 persone tra diretti e indiretti, aumentati di 200 unità negli ultimi
tre anni. L'investimento di Bhge•Nuovo Pignone fa gongolare il presidente della Regione, Enrico Rossi, che
ieri ha tagliato il nastro accantoa Messeri: «Questo gruppo produce una fetta importante del Pil toscano- ha
sottolineato Rossi • e continua ad assumere in un'area dove ci sono forti problemi occupazionali». Tra gli
obiettivi futuri, c'è un altro investimento in un'area di forte crisi: quello che Nuovo Pignone ha in
programmaa Piombino, su 200mila metri quadrati all'interno del porto, dove nascerà entro metà 2019 un
cantiere destinato all'assemblaggio di moduli industriali per la generazione della compressione a gas. Per
la Toscana il Nuovo Pignone è un investitore da assistere con cura.
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Berlusconi studia Milano 4 torna il Cavaliere immobiliare
Ettore Livini
Il primo amore non si scorda mai. E Silvio Berlusconi - orfano del Milan, incandidabile alle elezioni, con le tv
assediate dai francesi- prova a ripartire da dove era iniziato tutto: il mattone. L'offensiva immobiliarista
dell'ex-Cav viaggia per ora un po' sottotraccia, ma la direzione è chiara: il cartello "Vendesi" è stata tolto dal
portone di buona parte di case e ville di famiglia. Non solo. Il patrimonio di appartamenti e uffici di Arcore è
stato arricchito con qualche nuova acquisizione mirata. segue a pagina 8 Eruspe e gru con l'inconfondibile
marchio del Biscione sono pronte a rimettersi in marcia per costruire il nuovo sogno di Milano 4 - una
speculazione da 200 milioni a Basiglio "benedetta" dalla Regione Lombardia di Roberto Maroni- e per
tornare a edificare villette, un altro dejà vu, in terra di Brianza. Il ritorno alle origini del Berlusconi
"palazzinaro" ha due spiegazioni: la prima e che nel settore, salvo qualche piccolo passaggio a vuoto, il
leader di Forza Italia ha sempre dimostrato un certo fiuto. La prima pietra del suo impero imprenditoriale
l'ha posata con l'Edilnord negli anni '70 a Segrate, costruendo dal nulla Milano 2. La tv via cavo nata tra
quei condomini (allora si chiamava Tele Milano 58) è stata l'incubatore da cui è nato Canale 5 e da cui è
partita la rivoluzione dell'etere che ha cambiato l'industria - e la politica - italiana. Facendo di Silvio il
199esimo uomo più ricco del pianeta con un patrimonio di 4 miliardi. La seconda ragione del revival
immobiliare è l'austerity imposta da Marina a Fininvest. La primogenita del premier - stanca di usare i pochi
utili spremuti da Mediaset, Mediolanum e Mondadori per finanziare il Milan, gli aerei privati, i golf, le sale
cinematografiche e gli altri sfizi di papà - ha messo a dieta il Biscione. Imponendo la cessione dei rossoneri,
dello yacht da 48 metri Morning Glory e di un paio di jet e traghettando il business del mattone dall'era
sfarzosa (e in profondo rosso) delle ville principesche da mille e una notte al "vecchio amore" dei condomini
e dei quartieri residenziali, il core-business su cui Arcore ha costruito le sue fortune. Il patrimonio di
partenza, ovviamente, è di tutto rispetto. Quantificare il valore delle proprietà immobiliari dell'ex-premier non
è facile, anche perché appartamenti, box, stalle, boschi e palazzi sono seminati in ordine sparso in varie
società a tutti i livelli della catena societaria del Biscione. Solo la sfarzosa Villa Certosa in Sardegna però -
custodita in portafoglio direttamente da Silvio tramite l'Immobiliare Idra - vale circa 450 milioni, vulcano e
parco dei cactus compresi. O perlomeno a questo prezzo è stata messa sul mercato (e poi tolta). Fininvest
gestione servizi, la cassaforte immobiliare di via Paleocapa, valuta i suoi beni 134 milioni. Ma si tratta di
una stima di molto sottovalutata visto che nel lungo elenco di proprietà della società ci sono Villa Gernetto a
Lesmo 35 ettari di bosco e 20mila metri quadrati di saloni e camere di lusso arredati con statue del Canova
destinati a diventare sede della mai nata Università del pensiero liberale 90 vani in pieno centro a Milano
tra Via Santa Radegonda e via Agnello, campi e fattorie nel livornese e diversi appartamenti a Roma. Un
portafoglio a cinque stelle al quale nel tempo si sono aggiunte le proprietà sui laghi lombardi, Villa San
Martino, 134 vani in Costa Smeralda e altre residenze in Costa Turchese, case qua e là per la Brianza e in
area "Olgettine", Villa Giambelli a Rogoredo - indirizzo ufficiale della "first lady" Francesca Pascale - e
diversi cinema tra Milano e Roma. Valore totale, dicono gli immobiliaristi, non troppo lontano da un miliardo
di euro. Questo tesoretto - visto con gli occhi della spending review di Marina - ha un difetto di fondo: è una
fonte di costo e non di profitto. Gli affitti non rendono abbastanza. Villa Gernetto, dopo un tentativo di
vendita, è stata messa a reddito affittandola per eventi, ultimo in ordine di tempo la festa di Swarosky con
Andrea Boccelli, Naomi Campbell e Boy George. Ma per ora viaggia ancora in rosso. Da qualche tempo è
scattata così la fase numero tre dell'epopea immobiliare di Arcore con una parola d'ordine chiara: il ritorno
all'antico. Ovvero alla costruzione da zero di edifici residenziali. Valorizzando i terreni (magari con un
aiutino della politica, come successo a Basiglio), edificando i palazzi e poi vendendoli senza tenersi in tasca
proprietà e rischio. Le compravendite su beni esistenti, a giudicare dalle ultime effettuate, valgono solo per
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buone cause. Un esempio? La casa ad Albano Laziale comprata per Mariano Apicella, il musicista delle
"cene eleganti" ad Arcore, testimone del processo Ruby ter. Oppure l'acquisto di un appartamento in via
delle Zoccolette a Roma, due passi da Campo dei Fiori. Il venditore in questo caso è Carlo Maria Berruti,
ex-uomo Edilnord e consulente Fininvest, deputato di Forza Italia coinvolto (e uscito) da alcune delle
traversie giudiziarie del suo datori di lavoro. A muovere per prima gru ruspe con obiettivi ambiziosi è in
questo momento proprio la Fininvest: la cassaforte di Silvio Berlusconi ha rilevato nel 2016 per 14,5 milioni
il 49% della Immobiliare Leo-nardo dal fratello Paolo. Den-tro questa scatola societaria ci sono 200mila
metri quadrati di terreni ai margini di Basi-glio (che grazie a Milano 3 - al-tro piccolo orgoglio di fami-glia - è
oggi il Comune più ric-co d'Italia) e le autorizzazioni per alla costruzione di una de-cina di palazzi destinati a
ospitare 1.200 persone. La giunta "verde" di Basiglio ha provato a met-tersi di traver-so. Ma le leggi
regionali - e l'ok della pre-cedente ammi-nistrazione di centrodestra -hanno spiana-to la strada al Biscione.
Ma-roni, di fronte alle resistenze del municipio, ha nominato un commissa-rio ad acta per dirimere le
questioni. E in due mesi, con una celerità inattesa, è stata firmata la convenzione che darà a breve il via ai
lavori. Le proteste dei cittadini e degli esponenti del Parco sud, una delle poche aree verdi attorno a Milano,
sono servite a poco. Anzi, in queste settimane l'Im-mobiliare Leonardo starebbe spingendo per ottenere l'ok
a un collegamento stradale con la statale dei Giovi, tagliando in mezzo ad altre aree verdi. L'altro blitz del
nuovo Ber-lusconi in versione palazzina- 200 MILIONI DI EURO È l'investimento iniziale previsto per
realizzare il centro immobiliare di Milano 4 nel Comune di Basiglio 134 MILIONI DI EURO Si tratta del
valore dei beni di Fininvest Gestione servizi, la società immobiliare del gruppo Una stima però sottovalutata
ro è iniziato a Merate in Brian-za dove l'archistar Mario Bot-ta ha operato un intervento su Cascina Vedu
che ha colpi-to l'ex-Cav. A fargli da spalla imprenditoriale però è in que-sto caso Ivo Maria Redaelli,
immobiliarista, vecchio soda-le di Silvio cui ha dato una ma-no a trovare un tetto alle "Ol-gettine" e che ha
disinnesca-to molte delle loro potenziali accuse in occasione del pro-cesso Ruby-ter a Milano, do-ve ha
deposto come testimo-ne. I due han-no avviato as-sieme Brianza-due, partecipa-ta al 40% da una holding
personale dell'ex-pre-mier. Sotto il cappello di questa nuova realtà sono già stati sistemati terreni per un
valore di circa 3 milioni pro-prio a Cascina Vedu. Ma sa-rebbe solo l'ini-zio in vista di operazioni edi-lizie più
impor-tanti da sviluppare in zona. . "Sto meditando di tornare al mio primo amore, cioè al set-tore
immobiliare, alle costru-zioni e alle ristrutturazioni -ha detto Berlusconi durante una visita nei cantieri,
confer-mando l'ennesima svolta im-prenditoriale -. Mi ha conta-giato il mio amico Readelli che sta
realizzando alcuni pa-lazzi in zona". E cui erano ri-maste sul groppone - dicono le malelingue in zona -
alcune proprietà invendute. BARBARA BERLUSCONI LUIGI BERLUSCONI ELEONORA BERLUSCONI
MARINA BERLUSCONI HOLDING QUARTA PIER SILVIO BERLUSCONI HOLDING QUINTA
DOLCEDRAGO IDRA IMMOBILIARE BRIANZA DUE DUE VILLE HOLDING PRIMA HOLDING SECONDA
HOLDING TERZA HOLDING OTTAVA FININVEST MEDIASET MEDIOBANCA MOIMED MONDADORI
MEDIOLANUM MANZONI IL CASO Un progetto da 200 milioni per un centro residenziale rilancia
l'originaria attività di costruttore dell'ex premier
I cinque figli di Berlusconi in ordine "cronologico": Marina (1), Pier Silvio (2), Barbara (3), Eleonora (4) e
Luigi (5): tutti sono a vario titolo interessati al prosieguo delle attività imprenditoriali del padre
Silvio Berlusconi MILANO 4 Il progetto vede ancora protagonisti i fratelli Silvio e Paolo Berlusconi e
interessa ancora Basiglio, dove negli anni 70 è stata realizzata Milano 3
MILANO 2 Il quartiere fu costruito tra il 1970 e il 1979 dalla Edilnord, impresa edile di proprietà di Silvio
Berlusconi. Milano 2 sorge vicino a Segrate in cima ad una collina di origine morenica. È situato a nord-est
del centro di Milano. La frazione è racchiusa tra il complesso dell'ospedale San Raffaele, a nord, il Parco
Lambro a ovest, il Golfo Agricolo a est, e la strada provinciale Cassanese a sud. Berlusconi ottenne il
cambio di alcune rotte aree per Linate per ridurre le onde sonore.
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Fedele Confalonieri (1) presidente di Mediaset ; Ennio Doris (2) presidente di Mediolanum DOPPIA VESTE
Da sempre palazzinaro e politico Nella foto sopra, Silvio Berlusconi. Con una singolare coincidenza, ha
annunciato la vittoria nelle elezioni regionali in Sicilia della sua coalizione e il nuovo investimento
immobiliare in provincia di Milano. Realisticamente nei prossimi mesi affiancherà la propaganda da capo
partito (anche se non può essere personalmente candidato perché interdetto) all'attività di costruttore.
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Milano
Un faro sulla casa intelligente idee per blindare la privacy e innovare la
tutela assicurativa
L'ESPOSIZIONE PRINCIPALE È AFFIANCATA DA ITASSICURA E SMART BUILDING EXPO IL SALONE DEDICATO AGLI EDIFICI TECNOLOGICI PROPONE LE ULTIME SOLUZIONI SULLA PREVENZIONE DEGLI INCENDI E GLI STRUMENTI PIÙ ALL'AVANGUARDIA CONTRO LA MINACCIA DI EFFRAZIONI. E POI CORSI DI FORMAZIONE E WORKSHOP (st.a.)
«In una casa interconnessa sarà fondamentale prestare una grande attenzione alla tutela della privacy e
della sicurezza dei dati». Angela Tumino, direttore dell'Osservatorio Internet of things del Politecnico di
Milano, commentava così, qualche mese fa, il diffondersi di abitazioni "intelligenti" in Italia. E anche di
questo tema si discuterà a Smart Building Expo, il salone dedicato agli edifici tecnologici, con sistemi di
prevenzione incendi all'avanguardia, a prova di effrazione. Una manifestazione che si svolgerà a fiera
Milano, per la prima volta, in contemporanea con Sicurezza 2017. Giovedì poi aprirà anche Itassicura, la
kermesse che ruota attorno al mondo delle compagnie di assicurazione che stanno prevedendo polizze ad
hoc anche per gli immobili più high-tech. A Smart Building Expo arriveranno tutti gli operatori che
collaborano alla costruzione degli edifici connessi alla rete. Ci saranno le aziende che si occupano di
cablaggio verticale, di standard per l'integrazione di sistemi, di audio video, piuttosto che di digital signage.
Tutto si svolgerà nel padiglione 3, al quale si potrà accedere con lo stesso biglietto usato per Sicurezza
2017. Per i professionisti sono previsti mini corsi di formazione. Ci saranno degli incontri, come quello di
giovedì alle 14 in Sala Leonardo, per spiegare come fare ad applicare in maniera corretta l'articolo 135 bis
del Testo Unico dell'Edilizia su come predisporre gli edifici alla ricezione della banda ultralarga. Si discuterà
di smart lighting, ovvero di quell'illuminazione a led, connessa con wifi, che promette di ridurre i consumi
anche del 90 per cento. Si affronterà il tema del risparmio energetico, e saranno mostrate le soluzioni di
ultima generazione. Ci saranno ancora numerosi workshop sulla progettazione Bim, strumento principe per
l'integrazione degli impianti e per la loro corretta manutenzione (venerdì alle 14 in sala Leonardo). Durante
la fiera si terrà anche la cerimonia di consegna dei premi Smart Building 2017, un concorso rivolto a
committenti, progettisti e costruttori sensibili alla rivoluzione digitale dell'edilizia. Le case intelligenti hanno
sempre più bisogno di polizze ad hoc. Ecco che giovedì si parte anche con Itassicura, un appuntamento di
due giorni, che prenderà vita negli spazi del Centro Congressi Stella Polare di Fiera Milano, durante il quale
si analizzerà anche l'impatto che i cambiamenti climatici e l'Internet delle cose hanno nella definizione della
polizza assicurativa. Questa kermesse, che l'anno scorso ha richiamato oltre 19mila visitatori specializzati e
oltre 450 espositori da trenta paesi, è incentrata su tutti gli aspetti legati al mondo assicurativo. Sarà un
susseguirsi di convegni sui temi più vari. Si partirà dall'indagine sulle esigenze di servizio dell'assicurato
con il convegno di giovedì alle 9,30, per approdare al tema delle nuove strategie del marketing assicurativo.
E ancora non mancheranno gli incontri di approfondimento sul futuro dell'attività di intermediazione
assicurativa nel mondo dell'e-commerce (con un workshop giovedì alle 14,30), sulle prospettive dell'arbitrio
assicurativo come strumento per ridurre i contenziosi, sul rischio residuo, sul futuro del perito, sul cyber risk
e sulla sicurezza delle opere d'arte. «Obiettivo dell'evento - spiegano gli organizzatori - è portare gli agenti
a incontrare tutto il mercato ad essi collegato e al tempo stesso promuovere un'immagine più positiva delle
assicurazioni che ancora patiscono di pregiudizi e retaggi di negatività».
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Pag. 51 Ed. Cuneo
diffusione:145421
tiratura:210804
Fossano, dibattito in Consiglio
Polemiche sul recupero dell'area di corso Trento
alberto prieri
L'area abbandonata in corso Trento a Fossano sarà recuperata, ma ancora non si sa come. Poco oltre
l'incrocio con via San Michele, in centro città, il prato e l'edificio che si vedono dalla cancellata al civico 11
sono degradati da anni, tanto che la pratica era partita nel 1998. Nel frattempo, modifiche e varianti al
Piano regolatore hanno reso possibile realizzare non solo abitazioni, ma anche uffici o strutture
commerciali. Si era parlato di una pizzeria e i residenti della zona avevano raccolto firme per bloccarne
l'apertura, ma i lavori non sono mai iniziati.
Ora, per sfruttare quello spazio le possibilità costruttive sono almeno due: una palazzina a tre piani che
occuperebbe 350 metri quadrati, lasciando spazio libero rispetto alle case circostanti, oppure un solo corpo
di fabbrica a un piano, alto una decina di metri ed esteso su 1.140 metri quadri con volumi nettamente
maggiori, come la destinazione commerciale consente. Un capannone solo teorico (al momento non ci
sono progetti), che però ha indotto Ilaria Riccardi (M5S) a presentare una mozione nell'ultimo Consiglio
comunale. «Non vorremmo vedere un "cubo" come quello di alcuni supermercati nati in altre parti della città
- ha detto -. In corso Trento sarebbe un pugno nell'occhio e uno spreco di suolo: va riesaminata l'ultima
variante». Commissione edilizia
«E' stata già ampiamente analizzata in Commissione edilizia» ha risposto il consigliere di maggioranza
Luca Vender (presidente della stessa commissione). Visto che la proprietà non ha ancora deciso come
intervenire, Gianfranco Dogliani (Forza Italia) ha definito la mozione dei 5 Stelle «un processo alle
intenzioni che ostacola uno dei pochissimi recuperi in questo periodo di crisi per il settore edile» e Paolo
Lingua, capogruppo Pd, ha evidenziato come sia «prioritario recuperare una zona di Fossano abbandonata
da decenni». «Non possiamo dire "basta farci qualcosa" - ha ribadito Riccardi -. E' osceno consentire di
realizzare in quell'area un capannone di 11 mila metri cubi». «Quando sarà presentato il piano di recupero,
potremo comunque rifiutarlo - è intervenuto il sindaco Davide Sordella -. Intanto studieremo come limitare le
volumetrie edificabili, confrontandoci con i proprietari». Disponibilità che ha indotto la Riccardi a ritirare la
mozione. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI
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Pag. 1
diffusione:101414
tiratura:134194
Il Rapporto Tra i problemi che emergono dal documento della Caritas diocesana spicca la crisi abitativa che coinvolge 30mila famiglie in un contesto in cui, per paradosso, sono 130mila gli appartamenti sfitti
Roma città dei «nuovi poveri»
Aumentano i disoccupati. E il 45% dei senza-casa è italiano ANTONIO MARIA MIRA
E la casa la protagonista di Roma, la casa che c'è (magari sfitta) e quella che manca, la casa occupata e
quella sfrattata, sono i senza casa o chi, pur avendola, ci vive in una situazione di povertà e degrado. Casa
come metafora delle nuove povertà della Capitale, analizzate e raccontate nel rapporto "La povertà a
Roma: un punto di vista", elaborato dalla Caritas diocesana e presentato ieri. Questione abitativa e accesso
all'edilizia residenziale pubblica sono, dunque «cronaca di una continua crisi annunciata». Così, denuncia
la Caritas, «il rapporto difficile con la casa può ragionevolmente essere assunto come indicatore concreto di
malessere e di fragilità sociale». In una situazione cittadina sempre più difficile dove «accanto alla povertà
più tradizionale e visibile, in particolare quella dei senza dimora, emerge una classe di nuovi poveri che
pagano un affitto, che lavorano o hanno lavorato e che però non hanno di che vivere». Effetto anche della
grave crisi occupazionale. In 10 anni il tasso di disoccupazione a Roma è passato da 7,2 % al 9,8. La
disoccupazione giovanile è al 40,2%. Nell'edilizia la crisi ha cancellato 35mila posti di lavoro. Mentre si
stimano 308mila lavoratori irregolari nel terziario. È dunque una povertà romana. Sono infatti italiani oltre il
45% degli utenti dei servizi Caritas. Ed emerge «la paradossale "questione anziani". Roma è una città di
anziani che però non è fatta per gli anziani». Eppure sono ormai quasi il 22% della popolazione cittadina,
con punte tra il 30 e il 44% in centro. Ma ben il 30% è a rischio povertà. Rischio che diventa quotidianità per
«il popolo dei "senza dimora"», che viene stimato intorno alle 7.500 persone, ma secondo altri calcoli
addirittura 14-16mila. Tra loro molti immigrati, però il 45% è composto da italiani, il 33,5% possiede un
diploma di scuola media superiore. E oltre il 34% è in strada da più di 4 anni: «Una volta finiti in strada non
è facile uscirne». Chi sono? La Caritas ne fa un lungo elenco. «Vi si ritrovano: persone senza dimora poco
competitive sul mercato del lavoro (una sorta di esodati informali); anziani con vissuti da homeless di lungo
corso (con almeno 10 anni di strada e caratterizzate da un declino psicofisico adattivo); giovani attivabili al
lavoro (tra i 20 e i 45 anni); persone coinvolte in percorsi sanitari (dimissioni da ospedali, malattie croniche
invalidanti); persone con problematiche psichiche diagnosticate (seguite dai Centri di Salute Mentale);
persone con problematiche di droga e di altre dipendenze; senza dimora diventati tali a causa di violenze
domestiche (in particolare donne e bambini); senza dimora diventati tali a seguito di un progetto migratorio
fallito o transito migratorio nella città di Roma». Ma, avverte la Caritas, «la povertà può assumere anche
sembianze imprevedibili: forme di vero e proprio barbonismo domestico, cioè persone che si riducono in
abbandono totale pur essendo proprietari di una casa». Casa che per tanti non c'è. Nella Capitale sono
oltre 130mila gli alloggi sfitti, mentre l'emergenza casa coinvolge più di 30mila famiglie, tra queste 5mila
persone vivono in case occupate abusivamente. Circa 1.300 sono "assistite" nei residence al costo di circa
30 milioni di euro l'anno, in mini-alloggi con costi mensili esorbitanti che variano dai 2.400 euro a oltre
4mila: «Una voragine per la spesa pubblica del Campidoglio». E le iniziative comunali non funzionano. «Il
contributo all'affitto, oltre che inadeguato nell'importo, viene pagato con enormi ritardi, e sono migliaia le
famiglie in attesa di pagamento». Mentre «il contributo per morosità incolpevole, al di là della definizione
roboante, a Roma è un gigantesco flop. Nel 2014 sono stati solo 32 gli aventi diritto, nel 2015 è stata
definanziato, nel 2016 ancora non sappiamo». Manca un'offerta abitativa in affitto a prezzi accessibili. La
quota degli alloggi in affitto sociale è il 4,3 % a fronte della media europea del 13,7%. Nel 2016 sono state
sfrattate con l'intervento della forza pubblica 3.215 famiglie (+6%), il doppio di Milano. «Questi dati di
Roma, virulenti se pur incompleti, con uno sfratto per morosità ogni 279 famiglie in locazione nel 2016 (con
la media nazionale a uno ogni 419), sono parte degli indicatori del disagio e del fabbisogno abitativo, e
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Pag. 1
diffusione:101414
tiratura:134194
dovrebbero far riflettere sull'imbarazzante sproporzione tra domanda casa e politiche d'offerta sociale». In
tutto questo prende purtroppo piede «il luogo comune della "guerra tra poveri"» in relazione «alla comparsa
e alla crescita repentina dei migranti nelle graduatorie dell'edilizia residenziale pubblica, quasi come se gli
immigrati andassero a occupare uno spazio nell'ambito del welfare abitativo, impedendo l'accesso al bene
casa a segmenti bisognosi della popolazione italiana». Già ma quanti sono davvero gli immigrati nella
Capitale? Nella provincia l'incidenza è pari al 12,5 %, un valore inferiore rispetto a Milano o Firenze. Nel
Comune di Roma gli stranieri sono il 13,1% ma il 44,3 % sono europei. Mentre i richiedenti asilo ospitati nel
territorio provinciale sono 4.063. Meno degli impegni presi. I centri Sprar gestiti da Roma Capitale hanno
visto diminuire di oltre 700 posti la propria capienza, mentre nei Cas gestiti dalla Prefettura mancano quasi
2mila posti. Insomma, denuncia la Caritas, «il sistema complessivo è perennemente in affanno».
Le persone che vivono in strada sono stimate tra 7.500 e 14mila E la crisi economia ha fatto
schizzare la disoccupazione dal 7,2% a quasi il 10%
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13/11/2017
Pag. 6 Ed. Ferrara
diffusione:100825
tiratura:132442
VIGARANO
I cinesi a lezione di città slow
UNA delegazione di Changshan, città cinese che sta procedendo con la certificazione per diventare città
slow, è in visita a Vigarano. Il gruppo è composto da sei amministratori e cinque imprenditori che hanno il
progetto di costruire una vera e propria 'addizione erculea', edificata secondo i criteri propri delle città slow
all'interno di Changshan. Per questo hanno aperto un dialogo con il presidente di città slow, Stefano Pisani,
che si occuperà di orientarli in questo percorso. Verranno a Vigarano per approfondire il tema a seguito del
fatto che il Comune dell'Alto Ferrarese fu invitato a Gauchun (Cina) nel 2015 a Eco Global Forum per
parlare di efficienza energetica e bio edilizia. L'intenzione è stringere un gemellaggio ufficiale tra Vigarano è
Changshan, per continuare a dialogare e confrontarsi su questi temi di portata globale. Oggi gli ospiti
assisteranno ad un convegno incentrato sull'innovazione e sulla sostenibilità dell'edilizia pubblica e privata.
Dopo una relazione introduttiva del sindaco Barbara Paron sulle città slow, l'architetto Elena Melloni farà
una relazione tecnica sui temi oggetto del convegno. A seguire, il terzo intervento sarà del maestro
Massimo Berveglieri che dopo la sua relazione ci accompagnerà gli ospiti a Borgo, nel primo cantiere in bio
edilizia realizzato con materiale derivato dalla canapa in regione, per dare anche un contributo concreto alle
nozioni che verranno esplicitate durante il convegno. Alle 13, è previsto un brunch all'azienda Mattarelli, per
assaggiare alcune delle eccellenze enogastronomiche del nostro territorio.
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WIKI 24
GRANDI OPERE: PREVENZIONE E NUOVE FRONTIERE
Applicate al settore delle costruzioni, le tecniche del deep learning consentono di studiare l'invecchiamento delle infrastrutture nel tempo e di prevenire i rischi derivanti dall'obsolescenza È l'apprendimento tipico dell'intelligenza artificiale: dati non organizzati possono essere aggregati e studiati allertando sul degrado delle opere
DEEP LEARNING NELL'EDILIZIA Il deep learning, ovvero apprendimento profondo, è una branca del
machine learning: un insieme di metodi sviluppato negli ultimi decenni che permette ai sistemi di
intelligenza artificiale di imparare autonomamente a elaborare delle deduzioni dall'esperienza pregressa,
senza che queste siano determinate da istruzioni esplicite del codice di programmazione. Si tratta di uno
strumento molto utile quando si dispone di una grande quantità di dati non organizzati, in cui non sono
immediatamente rilevabili correlazioni o relazioni di causa-effetto. Le applicazioni del deep learning sono di
grande attualità, tra queste quelle per i veicoli intelligenti o per il riconoscimento delle immagini. In Italia, il
Cesi (Centro Elettrotecnico Sperimentale Italiano) utilizza i metodi basati sul deep-learning nell'edilizia e, in
generale, nel monitoraggio delle condizioni delle infrastrutture sul territorio, per prevederne l'evoluzione.
Una previsione di questo tipo permette, infatti, di programmare per tempo gli interventi di manutenzione e
ripristino durante la vita dell'opera, utilizzando solo le risorse realmente necessarie e ottimizzando, così, i
costi. Le reti neurali, l'apprendimento e la previsione I sistemi che realizzano analisi di tipo deep learning si
basano su insiemi di reti stratificate su più livelli che riproducono, in un certo senso, la struttura neurale del
cervello umano. Queste reti sono dette Artificial Neural Network (Ann), in italiano Reti Neurali Artificiali. In
ogni nodo della rete sono impostati algoritmi in grado di valutare i dati raccolti e riconoscere situazioni
ripetute. Su questa base, simulano e prevedono l'evoluzione, per esempio, del degrado di un'infrastruttura.
Il processo di apprendimento di questi sistemi, quindi, è un processo dinamico, basato su esperienze
osservate in situazioni analoghe, comparabili con la situazione in esame al momento. Per esempio,
volendo prevedere l'evoluzione del "degrado" di un'infrastruttura, tanto più avrò a disposizione "storie" di
deterioramento di strutture simili tanto più la rete neurale sarà in grado di rappresentare al meglio la realtà,
consentendo, quindi, una previsione precisa del "degrado", in un determinato momento del futuro. LE
SENTINELLE DEL DEGRADO Cesi è stato uno dei primi operatori del settore a utilizzare le reti neurali
nella prevenzione del degrado delle strutture. Da anni l'azienda italiana opera nel settore del monitoraggio
delle grandi infrastrutture, definendo e implementando i sistemi più moderni di analisi e valutazio ne. I dati
generati dai sistemi di monitoraggio di Cesi permettono di intervenire sulle strutture così da porvi rimedio
nel caso di deterioramento. In questo senso, anche le reti neurali ar tificiali, ultima frontiera delle tecnologie
utilizzate da Cesi, possono essere considerate delle vere e proprie sentinelle del degrado, capaci di
valutare le condizioni di un'opera per poi riconoscere e segnalare l'even tuale degrado. Prevedere serve a
prevenire Pertanto, la capacità di determinare l'evoluzione delle caratteristiche statiche di una struttura
grazie all'impiego del deep learning è ciò che poi consente di pianificare gli interventi in maniera oculata e
mirata, e anche di imparare per il futuro. "Si tratta di uno strumento mol to essibile - spiega Domenico
Andreis, direttore della Divisione Engineering & Environment di Cesi - che richiede però la disponibilità di
grandi quantità di dati, con i quali la rete vie ne addestrata per determinare i neuroni da attivare e i
collegamenti fra essi". Pianificare grazie alla mappa delle strutture I dati provenienti da ispezioni sul campo,
i modelli matematici, le prove di sito e di laboratorio vengono letti ed elaborati dalla rete neurale, che impara
a riconoscere i difetti che nel tempo hanno afitto le strutture così da impiegare queste cono scenze per le
strutture simili, o per insiemi di strutture, in modo da prevederne la futura evoluzione. Il risultato principale è
la costruzione di una curva che rappresenta il possibile evolversi nel tempo del degrado dell'edificio o
dell'infrastruttura, così da individuare gli interventi più urgenti. L'approccio si può adattare a ogni tipo di
opera: ponti, galle rie, edifici, strade, reti idriche o elettriche. MANUTENZIONE E RICERCA PREDITTIVA
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/11/2017 30
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Cesi ha focalizzato la propria attenzione rivolgendosi ai programmi di ricerca internazionali e agli studi sui
meccanismi di degrado, con lo scopo di attuare sempre più frequentemente e far divenire prassi la
manutenzione predittiva delle opere infrastrutturali. Progetto Ipacs: fessurazione del calcestruzzo armato
Tra i progetti cui Cesi ha preso parte a livello internazionale, si segnala Ipacs, ovvero Improved Production
of Advanced Concrete Structures, in cui è stato studiato il comportamento degli elementi di calcestruzzo
armato. Il progetto, di fatti, finanziato nell'ambito del programma comunitario Brite/Euram 3, ha riguardato la
messa a punto di modelli, basati su reti neurali, finalizzati a studiare e prevedere il comportamento di
elementi in cal cestruzzo armato che possono tendere alla fessurazione in seguito a sollecitazioni di carico
differenti, nonché a sollecitazioni ambientali. Test di laboratorio In laboratorio Cesi ha applicato le reti
neurali in una serie di test su una trave di calcestruzzo alla quale venivano causati danni dovuti ai ca richi
via via crescenti cui veniva sottoposta. Il danno è stato accertato grazie alle reti neurali, sulla base dei
risultati di prove dinamiche condotte dopo ogni applicazione del carico. In questo caso, il test ha dimostrato
come un'analisi immediata del materiale utilizzato permetta di agire con tempestività in caso si rilevino
criticità nella struttura. MODELLI PREVISIONALI NELLE GRANDI OPERE Il passo successivo, nonché
l'attività sulla quale oggi si sta concentrando Cesi, consiste nell'estensione del progetto del deep learning
alle grandi opere infrastrutturali. Come ha spiegato il direttore della divisione Engineering & Environment di
Cesi Domenico Andreis, "Sulla scia degli ultimi progetti seguiti, il nostro inte resse si sta sempre più
concentrando sulle grandi opere infrastrutturali. Stiamo mettendo a punto dei modelli previsionali del degra
do strutturale di grandi costruzioni, avvalendoci della mole di dati registrata durante le ispezioni realizzate
nel corso di decenni". Vantaggi concreti per la vita quotidiana In definitiva, prevedere il ciclo di vita delle
opere è un'azione strategica che permette di intervenire in maniera intelligente e funzionale per garantire la
sicurezza dei cittadini. Questo è ancora più vero nel caso dell'Italia, dove un buon numero di opere stradali,
re ti idriche ed elettrodotti sono stati realizzati nei primi decenni del secondo dopoguerra. Tali opere sono
spesso ancora in esercizio e il più delle volte necessitano di rilevanti inter venti di ristrutturazione. Proprio
l'impiego delle reti neurali è un importante aiuto in questa direzione.
Chi è
CESI Il Centro Elettrotecnico Sperimentale Italiano opera in più di 40 Paesi del mondo, con una rete di circa
1.000 professionisti. Cesi è leader nel settore dell'ingegneria, del testing e della consulenza per il settore
elettrico e dell'ingegneria civile e ambientale. Ai propri clienti internazionali ore inoltre servizi di prova e
certificazione di componenti elettromeccanici, servizi di asset management e quality assurance. A questi si
aggiungono studi di penetrazione delle fonti rinnovabili, consulenze per l'introduzione di componenti e
sistemi di automazione "smart". Cesi ha sedi a Milano, Berlino, Mannheim, Dubai, Rio de Janeiro, Abu
Dhabi e Washington Dc.
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SCENARIO ECONOMIA
65 articoli
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/11/2017 32
visco e gli attacchi
La «fase due» di Bankitalia
Federico Fubini
La Banca d'Italia ormai ha deciso di passare a una sorta di «fase due», un cambio di
passo. Non si limiterà più a subire gli attacchi, risponderà con gli argomenti e le esperienze di cui dispone:
dal caso Etruria al tempo
prezioso perso dal governo nel 2016
nell'affrontare alla radice le crisi di Monte dei Paschi e delle banche venete.
a pagina 8
Anche stavolta c'è una battuta da social network che riecheggia come un mantra: «Chiedere che i colpevoli
paghino non è populismo, è giustizia». E ciò che rischia di accadere mentre Matteo Renzi ripete la sua
frase contro la Banca d'Italia, è riassunto più di quanto sembri in ciò che accadde quasi quattro anni fa. Il
mantra da usare su Twitter e Facebook allora era «Enrico stai sereno» e per certi aspetti sembra di vivere
un eterno ritorno delle stesse dinamiche fra Italia e Europa.
La caduta di Letta
È il 17 gennaio 2014 quando il leader del Partito democratico va in tivù e pronuncia quella frase che gli
sarebbe rimasta incollata addosso. Il Paese allora è così ipnotizzato da quelle parole e dagli sviluppi - la
caduta del governo di Enrico Letta, l'ingresso di Renzi a Palazzo Chigi il mese dopo - che perde di vista
una trama parallela e almeno altrettanto importante: l'approvazione della Brrd, la direttiva europea che
prevede perdite per i creditori e potenzialmente anche ai depositanti delle banche in dissesto.
Il voto sul bail-in
Quella norma avrebbe segnato il governo di Renzi ben più dell'«Enrico stai sereno», ma allora e in seguito
il leader del Pd e l'intero sistema politico non sembrano accorgersene. In ogni caso non ne parlano, e tanta
distrazione ha prodotto effetti paradossali: uno dei primi atti del governo Renzi a Bruxelles, nel febbraio del
2014, fu proprio il voto a favore della direttiva sul bail-in , il colpo di falce sui creditori e i depositanti delle
banche. L'Italia di allora aveva assentito per pura impreparazione, ma proprio quelle norme e la difficoltà
che crearono nel gestire i problemi delle banche sarebbero diventate la spina nel fianco di Renzi fino alla
commissione bancaria di questi giorni.
Il nodo titoli di Stato
Ora che l'inchiesta parlamentare sulla crisi degli istituti è a pieni giri, la domanda che corre in Europa è se
gli stessi errori italiani non rischino di ripetersi; se l'intensità della polemica di Renzi contro la Banca d'Italia
per i dissesti degli scorsi anni, dal caso Etruria in poi, non rischi di accecare di nuovo il sistema politico di
fronte ai negoziati aperti oggi. Proprio sulle banche ce n'è infatti uno che per l'Italia potrebbe avere
conseguenze anche più destabilizzanti del bail-in .
Il debito pubblico
In gioco per gli istituti è il diritto di comprare e detenere titoli del Tesoro senza conseguenze avverse per i
livelli di capitale, come avviene in tutto il mondo. Per il governo, è invece in discussione la possibilità di
poter contare sulle banche come acquirenti affidabili di debito pubblico anche nei momenti più delicati.
La guerra renziana
La posta del negoziato che si sta aprendo fra Bruxelles, Francoforte, Parigi e Berlino è così alta per l'Italia
che, visto dal resto d'Europa, lo scontro fra Renzi e Via Nazionale minaccia conseguenze avverse per il
Paese. La prima è naturalmente di concentrare il dibattito sulle banche solo sul passato, senza attenzione
alle partite decisive del futuro. Ma la derivata seconda di quel renziano «non è populismo, è giustizia»
contro la Banca d'Italia - la quale pure in questi anni è inciampata in ritardi, sottovalutazioni e errori che
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/11/2017 33
ancora non riconosce - può essere anche più invalidante: il leader del partito di maggioranza delegittima
l'istituzione che dovrebbe sostenere buona parte di un confronto imminente in nome del Paese.
Il limite al portafoglio
Perché in Germania o in Francia si dovrebbe dare ascolto alla Banca d'Italia, se a Roma non è altro
l'imputato di un processo con poche prove ma molto rumore?
Non è ciò che serve all'Italia in Europa oggi. Poco più di un mese fa Alexander Schulz della Bundesbank ha
proposto di limitare il portafoglio di titoli di Stato nei bilanci bancari, un terreno dove l'Italia è il più esposto
fra i grandi Paesi. E la Germania non è sola: l'europarlamento ha appena pubblicato uno studio del
francese Nicolas Véron, del centro studi Bruegel, con idee simili. Per le banche italiane ciò comporterebbe
un'erosione del patrimonio e dunque del credito disponibile, per il debito pubblico il rischio di una nuova
impennata degli interessi.
Il governatore
Non è chiaro se sia per questo, ma Via Nazionale ormai ha deciso di passare a una sorta di «fase due».
Non si limiterà più a subire gli attacchi di Renzi, risponderà con gli argomenti e le esperienze di cui dispone:
dal caso Etruria, al tempo prezioso perso dal governo nel 2016 nell'affrontare alla radice le crisi di Monte
dei Paschi e delle banche venete.
Qualcuno ai vertici del Pd deve aver percepito che nella banca centrale la stagione del riserbo è finita,
perché sta emergendo un'apparente stranezza: nessuno sa dire esattamente quando Ignazio Visco,
governatore della Banca d'Italia, verrà sentito dalla commissione parlamentare d'inchiesta. Certo non
presto, malgrado la questione delle crisi venete riguardi in pieno il suo primo mandato.
Si direbbe quasi che qualcuno speri che Visco sia del tutto delegittimato, prima di lasciarlo testimoniare
sotto giuramento davanti ai parlamentari. Non fosse mai che dicesse qualcosa di imbarazzante sì, ma non
per sé.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Il debito pubblico nei portafogli delle banche nazionali Fonte: elaborazione Corriere della Sera su dati
Parlamento Europeo Corriere della 0 10% 20% 30% 40% 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012
2013 2014 2015 2016 Germania Spagna Francia ITALIA Portogallo (in %) Stati Uniti Scende in campo la
Bce presieduta da Mario Draghi con l'acquisto di titoli di Stato Luglio 2012 Spread italiano ai massimi a 575.
Si parla di rischio Italia Novembre 2011 Etruria, Ferrara, Marche e Chieti. Quattro banche in risoluzione
Novembre 2015 Il Pil cresce dello 0,9% nel 2016. Si rafforza la ripresa Dicembre 2016
La parola
titoli di stato
I titoli di Stato (o titoli del debito pubblico) italiano vengono emessi dal ministero dell'Economia e delle
Finanze per finanziare il fabbisogno statale.
Poiché sono garantiti dallo Stato italiano vengono considerati privi di rischio di insolvenza e corrispondono
rendimenti contenuti rispetto a strumenti più rischiosi.
Le principali tipologie di titoli di Stato attualmente in circolazione sono: Bot, Cct, Btp, Certificati del tesoro
zero coupon.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/11/2017 34
i fondi all'estero
Paradise papers: faro dell'esecutivo sul caso Vitrociset
Marco Galluzzo
I proprietari di Vitrociset, società chiave per lo Stato coinvolta nei Paradise papers, vogliono venderla. Il
governo può attivare la golden power .
a pagina 21
ROMA Se non si tratta di un dossier ufficiale, è comunque qualcosa di più di un contatto fra un'azienda
sensibile per gli interessi nazionali e gli uffici di Palazzo Chigi. È cosa nota al governo che la famiglia
Crociani voglia vendere la società informatica, con sede a Roma, che da alcuni decenni fornisce servizi ad
alto tasso di contenuto strategico a istituzioni chiave del nostro Paese: da Bankitalia al ministero della
Difesa, dalla Guardia di Finanza all'Agenzia spaziale italiana.
Il problema è che il dossier è talmente delicato che trovare informazioni ufficiali è quasi impossibile. Il caso
è nato dalla diffusione dei documenti dello studio legale offshore Appleby, consegnati da una fonte
anonima a un consorzio di giornalisti investigativi, di cui per l'Italia fanno parte la testata di Rai3 Report e
L'Espresso. E, da quelle carte, si è scoperto che l'azienda Vitrociset - nonostante i rapporti pluriennali con
un articolato ventaglio di istituzioni, militari e non, del nostro Paese - è in definitiva controllata, attraverso un
complesso sistema di scatole finanziarie, da una società delle Antille olandesi, che ha capitale sociale di un
dollaro.
A Palazzo Chigi confermano le informazioni che sono state offerte a Report . In sostanza risulta al governo
che l'azienda con sede in via Tiburtina sia pronta a un cambio di proprietà. E se lo dice il governo non c'è
motivo di dubitarne, anche perché la notizia era stata anticipata dal giornalista Gianni Dragoni.
Poi però la vendita dell'azienda che ufficialmente è della famiglia Crociani (eredi di quel Camillo Crociani
coinvolto nella scandalo Lockheed e scappato in Messico) sembra sia rallentata e sia tutt'ora oggetto di
valutazioni incrociate, da parte del governo e da parte della società. L'esecutivo guidato da Gentiloni è
infatti pronto a far scattare la procedura prevista dalla legge sulla golden power , procedura obbligata visti i
contenuti dei servizi che Vitrociset fornisce allo Stato: dalla gestione del poligono militare in Sardegna ai
sistemi criptati di informazioni dei nostri apparati di sicurezza.
Quello che non è chiaro è se una prima comunicazione al governo sia stata già trasmessa da parte
dell'azienda, in modo formale. Di sicuro la famiglia Crociani ha voglia di liquidare le attività che solo
nell'ultimo decennio hanno garantito, con soldi prevalentemente pubblici, almeno 10 milioni di dividendi
l'anno distribuiti fra gli azionisti. E di sicuro Palazzo Chigi ha voglia di avere voce in capitolo sulla cessione
d'azienda o di un ramo della stessa. In base alla legge sulla golden power infatti l'esecutivo non solo può
fornire prescrizioni societarie e gestionali all'acquirente, ma può anche giudicare un soggetto, soprattutto se
straniero, inidoneo all'acquisto, e dunque bloccare la vendita.
Il dossier viene seguito anche con questo obiettivo: avere voce in capitolo sulla vendita per non dover
intervenire successivamente, visto anche l'oggetto dei contratti in essere fra Vitrociset e le amministrazioni
pubbliche. Tutti i contratti stipulati dall'azienda romana con il ministero della Difesa, per fare solo un
esempio, sono secretati, e derogano alla regole del codice degli appalti pubblici, per ragioni di sicurezza
nazionale. La stessa cosa valeva per l'appalto pluriannuale che Vitrociset ha gestito per i sistemi radar
italiani, di cui non si conoscevano nemmeno le clausole. Ragioni di sicurezza che però ora offrono una
sponda sia agli interrogativi sulla reale proprietà dell'azienda, sia sull'opportunità di accumulare tanti
segreti, per quanto legittimi e necessari, con un'impresa che attraverso sistemi di trust anglosassoni è
controllata da un piccola isola dei Caraibi.
Una situazione in qualche modo imbarazzante, ancor di più se si aggiunge che la famiglia Crociani è divisa
al suo interno, da alcuni anni, da una causa internazionale sulla titolarità dei propri beni. Insomma la golden
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/11/2017 35
power sembra alle porte, e non solo perché qualcuno ha deciso di vendere.
Dai Paradise papers è emerso anche che la società lussemburghese dell'imprenditore Andrea Bonomi è in
realtà controllata da 3 trust dell'isola di Jersey. È invece un trust delle isole Cook a gestire una delle
proprietà di Felice Rovelli, figlio ed erede di Angelo.
Marco Galluzzo
© RIPRODUZIONE RISERVATA
1 Dollaro
È il capitale della società anonima
delle Antille olandesi
che risulta controllare
il gruppo
di cui fa parte anche Vitrociset
150 Milioni di euro
È il fatturato di Vitrociset spa sull'ultimo bi-lancio societa-rio. Sono 15
i contratti
che l'azienda si è aggiudicata negli anni
con la Guardia
di Finanza
Sul sito del Corriere della Sera tutti gli aggiornamenti sulla vicenda Paradise papers www.corriere.it
La parola
Appleby
Appleby è uno studio internazionale di professionisti fondato alle isole Bermuda
e articolato in nove filiali in altrettanti para-disi fiscali. È specializzato nella creazione e gestione di società
offshore. Sono usciti dagli uffici di Appleby e da Asiaciti, altro studio, gli oltre 13 milioni di documenti
riservati ottenuti, con una colossale fuga
di notizie, dal quotidiano tedesco «Suddeutsche Zeitung» e condivisi con l'International Consortium of
Investigative Journalists (Icij) © RIPRODUZIONE RISERVATA
Il caso
La famiglia Crociani vorrebbe vendere
la società informatica Vitrociset,
che da anni fornisce
servizi strategici
a istituzioni
del nostro Paese,
da Bankitalia
al ministero della Difesa, dalla Guardia
di Finanza all'Agenzia spaziale L'esecutivo può quindi far scattare la procedura prevista dalla legge sulla
golden power: può dare prescrizioni
o valutare
un potenziale acquirente come
non idoneo
e decidere
di bloccare l'operazione
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/11/2017 36
Governo e modifiche
il sentiero stretto sui conti
Enrico Marro
S appiamo già come finirà. Per evitare che la manovra finanziaria sia sommersa da una marea di
emendamenti, oltre 4 mila quelli già presentati in Senato, il governo chiuderà la partita in entrambe le
Camere chiedendo il voto di fiducia sul suo testo, che recepirà qualche correzione suggerita dai gruppi
parlamentari, senza stravolgere l'impianto della legge di Bilancio. Una legge ipotecata fin da principio dalla
volontà di scongiurare l'aumento dell'Iva, disinnescando le cosiddette clausole di salvaguardia: uno sforzo
che ha impegnato quasi 16 miliardi su 22 della manovra per il 2018, lasciando peraltro da cancellare
l'aumento Iva negli anni successivi. Manovra che, quindi, assolto il compito di evitare un incremento delle
tasse che lo stesso governo aveva fittiziamente deciso l'anno prima per rassicurare la Commissione
europea sulla tenuta dei conti, lascia lo spazio di una manciata di miliardi per qualche intervento a sostegno
della crescita e dei più bisognosi. Insufficienti, forse, su entrambi i fronti.
Del resto, è così da molti anni, da quando l'oggetto principale della manovra è diventato l'annullamento
delle clausole di salvaguardia, in mancanza della capacità dei vari governi di tagliare gli sprechi nella spesa
pubblica e di incrementare in maniera significativa le entrate da lotta all'evasione fiscale che, secondo le
stime dello stesso governo, sottrae ogni anno circa 110 miliardi allo Stato. Anche in quest'ultima manovra,
né sulla spending review né sugli evasori ci sono novità di rilievo.
D i nuovo una legge di Bilancio senza grandi ambizioni. Un «sentiero stretto», come lo definisce il ministro
dell'Economia Pier Carlo Padoan, tra la montagna del debito pubblico da un lato e i vincoli europei
dall'altro. La novità, relativa, è che la scarsità di risorse a disposizione per il 2018, anno elettorale, esaspera
ancora di più il contrasto con le mille richieste che arrivano dal Parlamento. Anzi, 4 mila, quanti sono gli
emendamenti piovuti in Senato sulla legge Bilancio.
Un'alluvione che ha fatto scappare un «diamoci una calmata» al solitamente controllato Paolo Gentiloni.
Detto che quella presentata dal governo, pur salvaguardando la tenuta dei conti, è una manovra di
mantenimento, non si può dire meglio dell'azione del Parlamento.
Che se davvero aspira a migliorare la legge di Bilancio, dovrebbe evitare di cedere alla tentazione delle
richieste elettoralistiche o irrealistiche. E dovrebbe piuttosto concentrarsi su poche e importanti cose,
altrimenti ha poco senso prendersela con il voto di fiducia che blinda la manovra.
Il governo, però, non deve utilizzare l'assalto alla diligenza come un alibi per non migliorare a sua volta i
provvedimenti.
Avrebbe poco senso accogliere, per esempio, le richieste parlamentari di un ulteriore allargamento della
rottamazione delle cartelle Equitalia o, peggio ancora, di sanatoria sugli accertamenti in corso, fino al punto
da suscitare legittime domande in chi finora ha pagato senza ritardi i propri debiti col Fisco, e poi far finta di
niente su altri capitoli come l'abolizione del superticket sulla diagnostica e la specialistica che, lo ha
riconosciuto lo stesso viceministro dell'Economia Enrico Morando, crea «difficoltà per i cittadini di usufruire
delle prestazioni sanitarie anche nelle Regioni più virtuose», o il rafforzamento delle risorse per la non
autosufficienza, oggi scandalosamente inadeguate. Insomma, «diamoci un calmata», niente «assalti alla
diligenza», ma un po' più di qualità ed equità sì, senza stravolgere l'impianto. Sentiero stretto non significa
vicolo cieco.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/11/2017 37
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Banca d'Italia, scontro Renzi-Berlusconi
Il segretario dem: cosa è accaduto nella vigilanza delle venete? Il leader FI: irresponsabile coinvolgere Draghi C. Vol.
roma Scrive: «Sulla gestione degli organismi di vigilanza le cose non hanno funzionato come avrebbero
potuto e dovuto» e questo perché «Banca d'Italia e Consob non hanno garantito un sistema di controlli
efficiente». E aggiunge: «Anziché continuare a usare Banca Etruria come comodo alibi per azzerare ogni
critica sarebbe interessante capire cosa è successo nella vigilanza sugli istituti veneti e non solo». Ma
comunque «il tempo ci darà ragione».
Sulla questione banche e vigilanza, il segretario Pd Matteo Renzi non ci sta a fare la parte del cattivo e, in
una lettera al quotidiano La Stampa , sottolinea «il giudizio politico negativo» sull'operato di Consob e
Banca d'Italia per i loro «controlli non efficienti», ma ribadisce anche «il clima di piena collaborazione
istituzionale con Banca d'Italia» anche dopo il commissariamento di Banca Etruria che, secondo alcune
ricostruzioni, sarebbe dietro allo scontro con il governatore Ignazio Visco: «Nessuna freddezza» tra il suo
governo e Palazzo Koch scrive Renzi e chiama in causa il suo ministro dell'Economia: «Come potrà
agevolmente confermare il ministro Pier Carlo Padoan: nessun problema istituzionale». Però poi attacca:
«Sarebbe interessante capire cosa è accaduto nella vigilanza sugli istituti veneti e non solo, anziché
continuare a evocare la vicenda Banca Etruria usandola come comodo alibi per azzerare ogni critica». E
poi affonda: «Se in questi anni le autorità della vigilanza avessero passato il proprio tempo leggendo meglio
i documenti dei loro colleghi, probabilmente il mondo del credito e della finanza oggi starebbe meglio».
Sembra rispondergli a distanza Silvio Berlusconi che, in un'intervista al Quotidiano Nazionale, parla di «un
tentativo di usare la questione banche a scopi elettorali, da diverse parti». Ma «non è così che si dovrebbe
trattare un tema tanto delicato».
E biasima il «gettare la colpa in modo indiscriminato sul sistema bancario, o su Bankitalia, o sulla Consob:
non soltanto è sbagliato, ma non serve a capire chi sono i veri responsabili, né a punirli». Non solo:
«Coinvolgere l'ex governatore Mario Draghi è davvero da irresponsabili: è l'uomo che con le sue politiche
ha contribuito a stabilizzare l'economia italiana e probabilmente ha salvato l'euro in questi anni». Non
serve, dice Berlusconi, «mettere sotto processo il sistema bancario perché alcuni singoli banchieri hanno
operato male o hanno truffato i clienti, a maggior ragione questo vale nei confronti della Banca d'Italia». Io
credo, sottolinea l'ex premier, «che la responsabilità sia sempre personale: se qualcuno ha commesso
degli errori, li si esamini, senza incolpare i vertici in modo generico».
Intanto, il capogruppo di Forza Italia Renato Brunetta da vicepresidente della Commissione d'inchiesta sulle
banche chiede al presidente Pierferdinando Casini di allargare l'indagine anche alla crisi dello spread del
2011. E di acquisire documentazione e audizioni delle parti anche per Mps e le altre 4 banche, tra cui
Etruria.
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Sui giornali
Il segretario del Pd Matteo Renzi è tornato sulla questione banche
e vigilanza con una lettera
al quotidiano La Stampa Silvio Berlusconi è sembrato quasi rispondergli con una intervista
al Quotidiano Nazionale
Foto:
Banchieri centrali
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/11/2017 38
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Il governatore Ignazio Visco, 67 anni, e il presidente Bce, Mario Draghi, 70 anni
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/11/2017 39
12/11/2017
Pag. 1.5
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Manovra, Gentiloni contro gli emendamenti «Il ritorno alla crescita non
va sprecato»
Il premier incontra Draghi e loda famiglie e imprese: le previsioni erano dello 0,8%, adesso sono doppie L'Italia è l'unico Paese che ha una politica decente in Europa sui fenomeni migratori Fabio Savelli
Bergamo Il «punto di proiezione del nostro Paese nel mondo» ha le sembianze della Kilometro Rosso. In
un «territorio a vocazione manifatturiera avanzata» (per dirla con le parole di Andrea Moltrasio, presidente
del Consiglio di sorveglianza di Ubi) il premier sa che può «rivendicare l'orgoglio» per «la capacità di
resilienza delle imprese e del lavoro». Paolo Gentiloni, ospite di Città impresa, la rassegna ideata da Dario
Di Vico, editorialista del Corriere della Sera , arriva di prima mattina. Ad accoglierlo il patron della Brembo,
Alberto Bombassei, che in questo chilometro ad alta innovazione ha stabilito il centro di ricerca sui sistemi
frenanti. Venti minuti di discorso in cui non lesina stoccate al Parlamento, colpevole dell'assalto alla
manovra. Quei 4 mila emendamenti non gli vanno giù, perché rischiano di trasformare la legge di Bilancio
«in una nuvola di fumo». Proprio ora che l'Italia «sta tornando a crescere» in maniera convinta. Dopo «aver
ridotto il deficit dal 5,3 al 2%». Una patente di credibilità che il Paese può esibire. Un tesoretto «da non
dilapidare». I territori industriali, che il Festival sta raccontando, sono il detonatore della ripresa. Perché
amplificatori del boom dell'export che a Bergamo è cresciuto del 45% in sette anni. «Di una cosa siamo
certi - aggiunge Gentiloni -: siamo fuori dalla più grande crisi economica del dopoguerra, le previsioni di
crescita erano dello 0,8% e oggi sono doppie. Questo risultato è merito «del lavoro, delle famiglie e delle
imprese». E anche della «politica monetaria fortemente espansiva» della Bce, come ricorda Beltrasio. Ma
la «morfina» del quantitative easing , che è in via di riduzione, suggerisce di non sprecare tempo prezioso.
Un'ora dopo Gentiloni saluta calorosamente Mario Draghi e sua moglie Serena, raggiunti ad Assago,
cintura di Milano. Il presidente dell'Eurotower, scalfito dalle rivelazioni sulla Popolare di Vicenza e sul lavoro
della Vigilanza quando guidava la Banca d'Italia (2009), non si concede ai cronisti sul crac delle Venete. Il
tema è un altro: i 60 anni di Africa Cuamm, il fiore all'occhiello delle ong italiane in campo sanitario.
Gentiloni dice, e lo ascolta anche uno dei suoi predecessori, Romano Prodi, che «l'Italia è l'unico Paese
che ha una politica decente in Europa sui fenomeni migratori». A Bruxelles non saranno d'accordo.
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Fonte: Mef CdS Note: (1) Valido per gli uomini dal 2012. Per le donne un anno in meno; *Nel pubblico
impiego la pensione di vecchiaia per le donne è di 66,7 anni, come per gli uomini Assegni più piccoli
Coefficienti di trasformazione È la percentuale usata per calcolare la pensione annua come quota dei
contributi totali versati 6,1% 5,9% 5,7% 5,5% 5,3% 5,1% 4,9% 4,7% 4,5% 1995 2016 2023 2029 2035
2041 2047 2053 2059 2065 Età anagrafica Anni di contribuzione 42,1(1) 42,5 42,6 42,6 42,10 42,10 42,10
43,3 Ipotesi: 67 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019 L'età che sale L'evoluzione dei requisiti per la
pensione di vecchiaia e anzianità (fondo pensioni lavoratori dipendenti) VECCHIAIA Uomini Donne
ANZIANITÀ Indipendente da età 40 50 60 70 66 66,3 66,3 66,3 66,7 66,7 66,7 62 62,3 63,9 63,9 65,7*
65,7* 65,7* Disoccupazione in Italia 2017 2018 11,4% 11% LE ULTIME STIME DEL GOVERNO (in%) LE
PENSIONI 2017 2018 2019 2020 1,5 1,5 1,5 n.d. Pil 0 -0,9 Deficit 0 -0,2 131,6 129,9 127,1 124,3 Debito
pubblico/ Pil 120 -2,1 -1,6
La giornata
Doppio appuntamento ieri per il premier Paolo Gentiloni, che in mattinata prima ha parlato a Bergamo al
Festival Città impresa, ospitato
al Parco tecnologico Kilometro Rosso. E poi è intervenuto a Milano, all'Annual meeting di Medici con
l'Africa Cuamm, a cui ha partecipato anche il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi Il
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/11/2017 40
12/11/2017
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premier ha assicurato che «siamo fuori dalla più grande crisi economica del dopoguerra». «Se ci fosse un
campionato europeo di salto in alto l'Italia avrebbe vinto - ha detto - le previsioni erano dello 0,8% mentre
oggi abbiamo delle previsioni doppie e il merito è in primo luogo del lavoro delle imprese, delle famiglie, dei
nostri territori» A Meeting del Cuamm Draghi e Gentiloni si sono scambiati una rapida stretta di mano. Il
premier ha usato toni decisi per far emergere il ruolo dell'Italia sull'immigra-zione, Draghi ha sottolineato
l'importanza degli interventi di solidarietà in Africa
Foto:
In platea
Da destra
a sinistra :
il premier Paolo Gentiloni, il presidente della Bce Mario Draghi con la moglie
e il sindaco di Milano Giuseppe Sala al Teatro della Luna
ad Assago per il Meeting annuale di Medici con l'Africa Cuamm
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/11/2017 41
12/11/2017
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Il nodo sull'età
L'ultima trattativa sulle pensioni: i sindacati chiedono un mese di sconto
Lorenzo Salvia
ROMA Sulle pensioni siamo all'ultimo tentativo di mediazione. In vista dell'incontro di domani con il
presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, i sindacati hanno in sostanza bocciato l'offerta avanzata dal
governo nei giorni scorsi: «salvare» dall'aumento dell'età pensionabile - 67 anni nel 2019, cinque mesi in
più rispetto a ora - solo chi rientra nelle 15 categorie dei lavori gravosi, dalle maestre ai muratori. La Cgil, in
particolare, contesta anche le stime sul numero delle persone coinvolte: tra le 15 e le 20 mila secondo il
governo, meno a giudizio del sindacato. In ogni caso l'offerta non dovrebbe essere accolta. Di qui la
richiesta dei sindacati e la trattativa riservata su un intervento diverso: un mini sconto ma per tutti.
L'ipotesi è far salire l'età della pensione nel 2019 a 66 anni e 11 mesi. Un mese in meno rispetto a quanto si
dovrebbe fare per legge applicando l'adeguamento alla speranza di vita. Mentre le categorie da esentare
del tutto sarebbero «congelate» in attesa dei risultati della commissione scientifica che analizzerà
l'andamento della speranza di vita per ogni categoria professionale. Il costo sarebbe intorno ai 600 milioni
di euro l'anno. Non un dettaglio. E la trattativa sembra in salita anche per la netta contrarietà del ministero
dell'Economia. Non tanto per il costo diretto. Ma per il segnale che verrebbe dato ai mercati internazionali,
smontando un pezzettino della riforma delle pensioni.
Ma perché uno sconto solo di un mese? Non si tratta di un numero a caso. Sulla speranza di vita sindacati
e governo hanno raggiunto l'accordo su un nuovo metodo di calcolo: non si confronterà solo il dato all'inizio
e quello alla fine del triennio considerato, ma peseranno anche le variazioni registrate fra i due estremi. Tra
il 2014 e il 2016 c'è stato un aumento di cinque mesi ma nel 2015 c'è stata una flessione di cui non si è
tenuto conto. Il nuovo metodo di calcolo dovrebbe essere utilizzato solo in futuro, a partire dal 2021. La
richiesta dei sindacati è di utilizzarlo in modo retroattivo, già per lo scatto del 2019 che deve essere
formalizzato entro fine 2017. Il governo resiste, i sindacati pure. Ma se domani non si troverà un accordo, il
tema delle pensioni resterà esposto al vento degli emendamenti parlamentari sul disegno di legge di
Bilancio.
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67 L'età
in cui si potrà andare
in pensione
nel 2019, cinque mesi in più rispetto a oggi
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/11/2017 42
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Paradise papers, centinaia di nomi italiani
Nei file Appleby la società Fininvest che comprò l'ex yacht di Berlusconi. Spunta un diplomatico finlandese Dividendi Nei cassetti di Appleby anche le carte di soci di aziende che incassano i dividendi a Cayman Mario Gerevini
Lo yacht di Silvio Berlusconi e la sede diplomatica della Finlandia. Comune denominatore: Appleby.
Ogni giorno si allunga la lista dei clienti serviti o rappresentati dal network di servizi offshore al centro dei
Paradise papers. Perfino un Paese della Ue, a quanto risulta dal sito ufficiale del ministero degli Esteri
finlandese. E poi Regine, principi, università, politici, finanzieri, multinazionali, piccole imprese, misteriose
posizioni cifrate: mezzo mondo è passato dalla law firm. Chi per sottrarre soldi al fisco o nascondere
capitali e chi invece per servizi e consulenze alla luce del sole. Ma pur sempre il sole di paradisi fiscali
perché non c'è traccia a New York, Londra, Tokyo ecc. di sedi Appleby o Asiaciti, l'altra società di
consulenza hackerata per un totale di 13,4 milioni di file. Cayman, Isole Vergini, Bermuda, Seychelles,
Jersey, Singapore, qui operano riservati e silenziosi gli gnomi della finanza sommersa.
Nei Papers si rintraccia l'ex presidente del Costarica (1994-98) e numero uno dal 2002 al 2004 del World
Economic Forum, José Maria Figueres. Era nel consiglio di amministrazione (2001-2002) di Energia Global
International, un'azienda di famiglia, con sede in un paradiso fiscale (Bermuda) e nel 2001 acquistata
dall'Enel.
Oggi alle 15.30 va in onda uno speciale di Report . Il programma d'inchiesta condotto da Sigfrido Ranucci
racconta i risvolti sul fronte italiano del nuovo scandalo offshore e la storia del database, con centinaia di
clienti italiani, dell'avvocato italo-panamense Giovanni Caporaso.
L'Espresso nel frattempo ha dato conto di un enorme catalogo di decine di migliaia di canzoni (da Bob
Marley a Duke Ellington), con relativi incassi milionari dei diritti, gestito dalla FS Media Holding Company
Limited, registrata nel 2007 nell'isola di Jersey.
Ma nei cassetti di Appleby si pescano anche le carte di soci di aziende italiane quotate in Borsa, come
Prysmian e Buzzi Unicem, che incassano i dividendi a Cayman. Sono i classici hedge fund che, come per
esempio Alphanatics (vecchio socio di Buzzi), si appoggia ad Appleby Cayman ma è gestito a Ginevra. I
cinesi sono grandi clienti del network oggi sotto i riflettori. I Gaw, per esempio, la vedova del fondatore e i
suoi due figli, sono immobiliaristi noti a Hong Kong, la loro società è quotata nella Borsa locale ma la sede
è a Bermuda.
Dove anche il cavalier Berlusconi (l'onorificenza non è mai stata revocata) ha da anni molti interessi. E non
solo la villa in cui fu scattata anni fa la famosa foto del jogging in bermuda bianchi con gli amici più stretti.
Fino allo scorso anno la Morning Glory Yachting limited era proprietaria di una lussuosa barca da 48 metri.
L'ex premier la comprò nel 1999 da Rupert Murdoch, il magnate australiano dei media, per 28,414 miliardi
di lire. Uscito dai cantieri Perini di Viareggio è uno superyacht a vela e motore, due alberi, legni pregiati,
perfino un caminetto in salotto.
Morning Glory era già domiciliato a Bermuda. Berlusconi cambiò solo studio legale scegliendo Appleby e
finendo così nei file con la Fininvest. Perché comunque lo yacht e la società proprietaria erano parte
integrante e visibile del bilancio consolidato Fininvest. Almeno fino all'anno scorso quando la barca è stata
venduta e la società chiusa.
Intanto via via che si alza il velo sulle carte di Appleby, il dossier «scotta» sul tavolo dei ministri delle
Finanze dell'Unione Europea. Di cui fa parte la Finlandia che però, per evitare imbarazzi, dovrebbe dare
un'occhiata alla lista dei suoi diplomatici. Il ministero degli Affari Esteri indica un indirizzo, un numero di
telefono e il nome del console onorario di Bermuda che corrispondono alla sede, all'utenza di Appleby e a
John Riihiluoma, autorevole e ventennale partner dello studio di consulenza.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/11/2017 43
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Attenzione all'apparenza di legalità. Non si può escludere che questi documenti possano servire a
mascherare frodi fiscali e corruzione Renaud Van Ruymbeke magistrato francese anticorruzione
Foto:
Wilbur Ross Consulente finanziario, 79 anni,
è l'attuale segretario Usa al Commercio
sotto l'amministrazione Trump
Foto:
George Soros È un'imprenditore di origini ungheresi naturalizzato statunitense. A 87 anni è considerato
uno dei maggiori investitori al mondo
Foto:
Tim Cook Manager, 57 anni, dal 2011 è amministratore delegato di Apple subentrato dopo le dimissioni di
Steve Jobs
Foto:
Elisabetta d'Inghilterra La regina del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, ha 91 anni ed è
anche il capo del Commonwealth Che cosa sono I 13 milioni di file
dei Paradise papers Con il nome «Paradise papers» si indicano i 13 milioni di documenti sottratti a due
società finanziarie e venuti in possesso dalla testata tedesca Süddeutsche Zeitung e poi messi a
disposizione dell'International consortium of investigative journalists 1 Coinvolti politici cantanti e società I
file descrivono le attività off-shore che fanno capo ad almeno 120 politici e leader mondiali (come la regina
Elisabetta), personaggi del mondo dello spettacolo (come Madonna e Bono Vox degli U2) e società
multinazionali (come Apple e Nike) 2 Il meccanismo dei vantaggi fiscali Le società off-shore hanno sede
legale in Paesi diversi da quelli in cui le aziende principali operano (i cosiddetti «paradisi fiscali):
i Paesi sono scelti in genere per la riservatezza e per i vantaggi fiscali che offrono 3 Operazioni lecite
ma imbarazzanti Si tratta quasi sempre di operazioni lecite ma che possono essere eticamente
imbarazzanti. La società a cui è stata rubata la gran parte dei documenti, la Appleby/Estera, si è difesa
asserendo
di non aver mai fatto niente di illegale 4 Quasi settant'anni
di flussi di denaro I documenti rivestono un'importanza anche storica, perché coprono un periodo che va
dal 1950 al 2016 e riguardano una serie
di persone e aziende
che, per periodi più o meno lunghi, hanno scelto di investire
off-shore 5
La regina non paga le tasse? Che sorpresa! Non mi frega di lei o di Bono,
io ne pago e parecchie Noel Gallagher musicista Questo nuovo scandalo dimostra ancora una volta
come alcune aziende e ricchi individui siano pronti a tutto per non pagare le imposte Pierre Moscovici
commissario europeo per gli Affari economici
Foto:
Superyacht
Il lussuoso «48 metri» che l'ex premier Silvio Berlusconi comperò nel 1999 dal magnate australiano Rupert
Murdoch. La barca è stata ceduta l'anno scorso
Foto:
Diplomatico
John Riihiluoma, console onorario finlandese
di Bermuda
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/11/2017 44
12/11/2017
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Foto:
Madonna Cantautrice statunitense, 59 anni, è considerata «la regina del pop». Ha esordito negli anni
Settanta
Bono Pseudonimo di Paul David Hewson, 57 anni, irlandese, è il leader degli U2. È impegnato anche in
campagne politiche e umanitarie
Yuri Milnera Magnate nato a Mosca, 56 anni, tra i 1.000 uomini più ricchi al mondo. I suoi interessi
spaziano dall'industria aeronautica alla finanza
Noor di Giordania Origini siriane e svedesi, 66 anni, è stata la quarta e ultima moglie di Re Hussein.
È figlia di un produttore esecutivo della Pan Am
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/11/2017 45
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le carte la famiglia crociani
Il gruppo che offre tecnologie allo Stato controllato (con un dollaro)
dall'isola di Curaçao
Vitrociset e gli appalti di Finanza, Interni e Difesa Milena Gabanelli
Q ualche brivido sta disturbando il sonno alla povera Elisabetta II, ai presidenti Trump, Putin, e a una lunga
lista di nomi che contano. La storia comincia con una fonte anonima che ha deciso di consegnare al
Consorzio internazionale di giornalisti investigativi qualche milione di file sullo studio legare offshore
Appleby. È impossibile sapere chi sia, ma il succo è: «Lecito o illecito qui c'è un mondo fatto di imprenditori,
singoli miliardari e società, che stanno impoverendo i loro Paesi. Fate in modo che si sappia». Ad aderire al
Consorzio per l'Italia c'è il gruppo Espresso e la testata di Rai3 Report. Il settimanale oggi è in edicola con
l'elenco dei soggetti che ci riguardano, e Report alle 15.30 di oggi e alle 21.15 di domani ricostruirà tutti i
passaggi di un sistema che assomiglia a una brutta commedia. Anticipiamo una storia, quella di Camilla
Crociani, principessa di Borbone delle Due Sicilie, che abita a Montecarlo e ha società in mezzo mondo. Il
suo nome ricorre spesso fra i documenti di Appleby, insieme a quello della mamma, Edoarda Vessel, ex
attrice con un grande talento per gli affari.
Lo scandalo Lockheed
A pesare, più che il titolo di principessa, è il cognome Crociani. Significa Vitrociset, la storica azienda di
elettronica e sistemi di telecomunicazione che gestisce le reti vitali di forze dell'ordine, ministeri e della
Difesa. Crociani vuol dire anche scandalo Lockheed, cioè una storia di corruzione degli anni 70, quando gli
americani avevano smazzettato politici e dirigenti italiani per venderci degli elicotteri. 140 milioni di lire
erano finiti a Camillo Crociani, all'epoca presidente di Finmeccanica e appunto fondatore di quello che è
oggi il gruppo Vitrociset. Camillo se la cavò scappando in Messico dopo aver ceduto le sue quote a un
uomo di fiducia. Negli anni, dopo un curioso, ma mai sanzionato, passaggio di azioni, la proprietà torna a
sua moglie Edoarda. E oggi alla figlia Camilla. Un gioiellino che fattura 150 milioni di euro sull'ultimo
bilancio. Nelle carte di Appleby c'è anche un documento di un tribunale di Jersey: parla di 445 milioni di
dollari in quadri, e decine di milioni di dollari offshore. Insomma un patrimonio familiare invidiabile.
I documenti esclusivi oltre a rivelare una complessa vicenda familiare, mostrano un dato bizzarro: la
responsabile della compliance della sede alle Mauritius di Appleby, tale Natasha Hardowar, considera i
Crociani clienti da bandierina rossa e scrive testualmente: «...oltre il nostro appetito di rischio». Cosa
spaventa la signora? Il fatto che vogliano evitare email, telefonate e tracce dei trasferimenti di denaro. Una
segretezza che fa insospettire anche professionisti «blindati» e non abituati ad andare tanto per il sottile.
Secondo alcuni clienti di Vitrociset, la fortuna di questa società è dovuta al fatto che nell'ambito della
gestione di apparati di sicurezza sul mercato italiano ci sono soltanto loro, oltre a Finmeccanica, che a sua
volta è un socio dei Crociani, con una piccola quota nell'azienda di Via Tiburtina a Roma. Il gruppo stacca
dividendi milionari verso la società madre messa in Olanda.
L'architettura societaria
La filiera societaria è la seguente: Vitrociset spa e Ciset srl, con sede in Italia, sono controllate dalla Croci
international BV e dalla Croci Holding BV, con sede in Olanda, a loro volta controllate dalla Allimac
Management Sarl in Lussemburgo, che ha in testa la International Future Ventures, una piccola società con
sede a Curaçao, nei Caraibi. Capitale: 1 dollaro. Anonimato garantito. Avete capito bene, una società
anonima da un dollaro controlla un gruppo che si è aggiudicato negli anni i seguenti appalti:
- 15 contratti con la Guardia di Finanza per il potenziamento della connessione in fibra ottica e
l'ampliamento della rete in ponte radio interpolizia.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/11/2017 46
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- Per il nostro ministero della Difesa, che è la stazione appaltante con la quale Vitrociset lavora più spesso,
realizza, tra l'altro, gli assi in ponte radio Interpolizie e relative code e comandi dei Carabinieri; il servizio di
manutenzione e assistenza sistemica delle centrali telefoniche per alcuni dipartimenti dello Stato Maggiore.
- Per il ministero della Giustizia gestisce la centrale e rete telefonica di via Arenula, e gli impianti di
telecontrollo negli uffici giudiziari di Napoli.
- Per il Viminale e la Polizia di Stato fornisce sistemi aggiornati a livello tecnologico.
- Per Banca d'Italia si è aggiudicata l'appalto per l'Evoluzione dei servizi applicativi per lo scambio di flussi
informativi.
- Realizza alcuni programmi dell'Agenzia spaziale italiana, in particolare ha fornito Servizio di supporto
tecnico-logistico al Centro spaziale Broglio di Malindi.
- Fra i clienti di Vitrociset compaiono anche Poste Italiane e l'Agenzia delle Entrate.
Ma di chi è Vitrociset? A settembre, voci ricorrenti e articoli di stampa parlavano di una cessione a un
piccolo imprenditore laziale, tal Antonio Di Murro; l'anno scorso si parlava di investitori di area renziana. Ai
giornalisti di Report, Camilla Crociani ha ribadito di essere lei a capo di tutta la filiera.
Dai Caraibi però si vede solo l'anonimato, e quindi lo Stato come fa a sapere con certezza chi gli fornisce i
sistemi per il controllo del traffico aereo, le tecnologie satellitari e le telecomunicazioni o le apparecchiature
da cui passano le informazioni sensibili? La presidenza del Consiglio alle 18 di venerdì non ha dubbi sul
nome degli azionisti. Alle 21 comunica alla redazione di Report che ci sono cambiamenti in corso. Nulla di
più. Ha qualche difficoltà anche l'Agenzia delle Entrate, che dovrebbe incassare le imposte, ma la signora
Crociani dice che è a posto con il fisco italiano, e che la complessa struttura societaria è dovuta al fatto che
tutta la famiglia vive all'estero. Il solito complottista direbbe: «Non spaccatevi la testa, la Vitrociset è roba
dei Servizi. Queste movimentazioni in giro per il mondo servono all'apparato per le sue necessità... e a far
perdere le tracce, ovviamente». Io non credo ai complottisti, sono una romantica e confido in Pascal Saint-
Amans, direttore della politica fiscale dell'Ocse: «Entro settembre 2018 non ci sarà società di comodo, trust
o fondazione dietro la quale nascondersi. Il denaro verrà sempre connesso al suo vero proprietario». Però i
romantici, storicamente, non hanno mai capito un granché di soldi; e qui la cifra in ballo più accreditata sui
media internazionali, calcolata dall'ex direttore ricerca economica di McKinsey, James Henry, è stimata fra i
24 e i 36 trilioni di dollari. Nascosti nei vari paradisi.
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L'azienda
Vitrociset nasce nel 1992 dalla fusione tra Ciset (Compagnia italiana servizi tecnici, fondata nel 1970
e specializzata nella manutenzione dei sistemi
civili e militari di controllo del traffico aereo) e Vitroselenia, azienda che opera dagli anni 60
nella logistica della difesa Vitrociset ha filiali in Belgio, Turchia, Arabia Saudita, Indonesia, Kenya, Guyana
Francese La proprietà dell'azienda
è appena ritornata
a Edoarda Vessel,
moglie
di Camillo Crociani,
e a sua figlia Camilla 150 15
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di euro è il fatturato
di Vitrociset spa sull'ultimo bilancio societario
Foto:
sono quelli che Vitrociset si è aggiudicata con la Guardia di Finanza
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Un docu-mento
del tribunale
di Jersey parla di 445 milioni
di dollari
in quadri
e decine
di milioni offshore:
un patri-monio familiare invidiabile
Dai Caraibi si vede solo l'anonimato Lo Stato come fa a sapere con certezza chi gli fornisce i sistemi per il
controllo del traffico aereo, i dispositivi satellitari e le telecomu-nicazioni?
Foto:
A Portofino La principessa Camilla Crociani, 46 anni, proprietaria di Vitrociset
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/11/2017 48
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Banche, da Ferrara la riscossa dei piccoli
Il tribunale condanna la «good bank» di uno dei 4 istituti in default a risarcire un risparmiatore Il precedente Una vittoria che potenzialmente ora apre la strada a centinaia di altre cause Giuliana Ferraino @16febbraio
MILANO La storia delle quattro banche salvate con l'applicazione del bail-in non è ancora chiusa.
Un'ordinanza del tribunale di Ferrara ha dato ragione a un piccolo risparmiatore, che aveva investito circa
20 mila euro in azioni della Carife, chiedendo alla Nuova Cassa di Risparmio di Ferrara, cioè l'Ente ponte
creato per la cessione (alla Bper), il risarcimento integrale dell'investimento, azzerato dalle nuove regole
europee sui salvataggi bancari, oltre alla rivalutazione Istat e al rimborso delle spese legali.
Una vittoria che potenzialmente ora apre la strada a centinaia di altre cause anche da parte degli investitori
traditi da Banca Etruria, Banca Marche e CariChieti (comprate da Ubi) e non rimborsati.
«Il decreto salvabanche del 2015 stabiliva che il passaggio delle attività e delle passività delle banche in
default alle bridge banks, i cosiddetti nuovi Enti ponte, con l'esclusione degli strumenti di capitale. Le azioni
venivano perciò azzerate e la nuova Cassa di Ferrara non era tenuta a rispondere dei vecchi titoli emessi
dalla vecchia banca. Questa ordinanza, invece, ha capovolto la situazione», afferma Stefano di Brindisi, 56
anni, partner dello studio Bdf (Bernardini, di Brindisi e Franchi), con sede a Bologna, Parma e Ferrara, che
ha vinto la causa.
La svolta? La banca è stata condannata per un inadempimento di natura contrattuale. «Il giudice ha inteso
l'azionista come il contraente di un contratto in forza del quale la banca è tenuta a fare quanto previsto in
materia dal Testo Unico della Finanza (o Tuf) e dal decreto Consob attuativo della direttiva Mifid - spiega di
Brindisi -. Questo cambia completamente la questione, perché la decisione del tribunale di Ferrara dà
un'interpretazione autentica a quello che viene inteso per attività e passività che passano alla bridge bank
». E vale anche per tutti gli altri risparmiatori incappati nel salvabanche. «Stiamo ricevendo centinaia di
telefonate da tutta l'Italia. Bisogna fare una causa individuale».
Ma la vicenda peraltro fa già scuola, visto che è stata una sentenza della Corte di Cassazione a stabilire
che è il giudice ordinario competente in materia e non il Tribunale delle imprese. Quindi ora le cause
presentate presso il Tribunale delle imprese vanno ripresentate presso il giudice ordinario.
L'ordinanza - non è una sentenza perché lo studio legale ha scelto la via del ricorso al 702 bis, possibile
quando si può decidere allo stato degli atti - è datata 31 ottobre ed è arrivata in appena 4 mesi. Il tribunale
di Ferrara ha condannato la Nuova Cassa di Risparmio di Ferrara per non aver adempiuto all'articolo 34 del
Testo Unico, che prevede una serie di obblighi di natura contrattuale, imponendo il risarcimento integrale
del danno subito da un signore di Ferrara di 77 anni.
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Il caso
Il tribunale
di Ferrara ha dato ragione
a un piccolo risparmiatore Carife,
che ha chiesto
di essere rimborsato dalla Nuova Cassa di Risparmio
di Ferrara 4 Gli istituti
di credito finiti in risoluzione: le Casse
di risparmio
di Ferrara e di Chieti, Banca Etruria e Banca Marche. La nuova Carife
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/11/2017 50
popolari il grande gelo
I soci vogliono vendere ma nessuno compra le azioni Il mercato
fantasma a Bari
Giallo sulla valutazione dell'istituto. Il ruolo di Kpmg Sovraofferta Sul mercato dedicato alle Popolari pioggia di titoli in offerta ma pochi acquisti Federico Fubini
Venerdì scorso alle 11.45 si è svolta l'ultima asta in quella che ha l'aria di essere una delle piattaforme
finanziarie meno liquide dell'Occidente. Hi-Mtf è un sistema digitale sul quale si possono scambiare i titoli di
14 banche, quasi tutte popolari, che rappresentano centinaia di migliaia di soci e sulla carta più di due
miliardi di valore.
Gli scambi
L'esito della giornata è stato simile a quello di un mercato rionale. Si sono concluse compravendite per 592
mila euro (mezzo milione per le Casse di risparmio di Asti e Ravenna, 90 mila euro per la decina di popolari
del listino). Si contano 193 scambi, dei quali 41 le banche popolari. Non che non ci fossero venditori: gli
azionisti di istituti come la Popolare Pugliese, la Volksbank dell'Alto Adige o la Valsabbina hanno messo in
vendita migliaia di pezzi, e ne hanno venduti decine. Semplicemente, oggi sul mercato non si trovano
compratori ai prezzi ai quali molte delle banche popolari in Italia hanno venduto le proprie azioni ai clienti.
Molte famiglie vogliono rendere liquidi i propri risparmi ma non possono, e il patto sociale fra le banche
popolari e i loro soci scricchiola.
Il caso pugliese
Sulla piattaforma Hi-Mtf colpisce una situazione in particolare: sulla Banca popolare di Bari, prima azienda
di credito del Mezzogiorno, con un valore teorico superiore al miliardo e quasi 70 mila soci, è avvenuto un
solo scambio: qualcuno ha inserito un ordine a uno sconto del 16% sul prezzo-base di 7,5 euro e si è preso
cento azioni. Nessun altro ha osato. Dalla parte dei venditori intanto si è arrivati a oltre 12 milioni di pezzi in
offerta: i detentori di quasi un decimo del capitale cercano una via di uscita, senza trovarla.
Tutta l'Italia sud-orientale è un'area di tensione crescente per i risparmiatori. In Popolare di Bari, Popolare
Pugliese e Popolare di Puglia e Basilicata - stima l'avvocato Antonio Pinto di Confconsumatori - circa 140
mila azionisti detengono titoli invendibili, per un valore teorico di 1,6 miliardi di euro. Ma, appunto, il caso
del più grande istituto del Meridione fa storia a sé. Non tanto perché si tratta di un caso di banca popolare
dagli assetti dinastici: il presidente, Marco Jacobini, è figlio del fondatore Luigi Jacobini e padre dell'attuale
condirettore generale Gianluca e del vicedirettore generale Luigi. Né la particolarità dipende solo dal fatto
che la procura di Bari in agosto ha reso nota un'inchiesta sui vertici per associazione per delinquere, truffa
e false dichiarazioni nel prospetto con il quale fra il 2013 e il 2015 la banca ha raccolto dai soci nuove
sottoscrizioni al capitale per circa 300 milioni di euro: gli interessati respingono le accuse, che restano da
dimostrare.
Le valutazioni gonfiate
A sancire la particolarità del caso Bari c'è anche un altro elemento, che permette di capire come emergano
a volte certe valutazioni gonfiate sulle popolari. Nell'autunno dell'anno scorso, quando le azioni sono ormai
invendibili, i vertici dell'istituto di rivolgono per una validazione del prezzo a Enrico Laghi. Ordinario di
economia aziendale alla Sapienza di Roma, già consulente della Popolare di Vicenza, commissario
straordinario per grandi gruppi in dissesto come Ilva o Alitalia, Laghi è in una posizione impeccabile per
stimare l'azione della Bari: non ha conflitti d'interesse. Nel suo parere esprime forti dubbi che sia corretto un
prezzo a 7,5 euro (già svalutato dagli oltre nove al quale la banca l'ha venduto a molti). Sembra davvero
troppo. Però Laghi valida perché nota che a quel prezzo ha accettato di comprare un grande investitore
esperto: si tratta di Aviva, con la quale la Bari ha stretto un contratto di banca-assicurazione. È possibile
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/11/2017 51
che il gruppo inglese abbia fatto un favore alla Bari e accettato il prezzo gonfiato, per poi rivalersi tramite il
proprio accordo? Laghi lo esclude: un «advisor indipendente» (Kpmg) garantisce che il contratto tra
Popolare di Bari e Aviva è a prezzi di mercato.
Ma quanto è indipendente l'advisor sul cui parere si regge il castello della valutazione della Popolare di
Bari? In quel momento Kpmg lo sembra, per quanto può sapere Laghi. Non molto dopo però lo stesso
consulente firma con la banca un lucroso contratto come advisor per la cessione di un grosso pacchetto di
crediti in default . Le decine di migliaia di soci, che in quel momento hanno già comprato le azioni a più di 9
euro, non possono conoscere questi intrecci. Sanno solo che ora trasformare le loro azioni in denaro è
impossibile.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
La galassia della Popolare di Bari CdS 73,6% Cassa di Risparmio di Orvieto 80% Gli istituti che controlla I
numeri delle banche Tercas 89,2% Caripe* * controllo azionario effettivo dalla primavera 2014 Fonte:
Bilanci societari Incidenza crediti deteriorati lordi su impieghi lordi 2015 2016 2015 2016 Tasso di copertura
dei crediti deteriorati 21% 24,7% 46% 44,9% Cassa di Risparmio di Orvieto Caripe Sportelli Raccolta
(miliardi) Impieghi (miliardi) Dipendenti Regioni presidiate 253 165 10,5 6 2.200 1.200 6 4 12 5 Banca
Popolare di Bari
La parola
Hi-Mtf
Hi-Mtf è la piattaforma sistema digitale sul quale si possono scambiare i titoli di 14 banche, quasi tutte
popolari, che rappresentano centinaia di migliaia di soci e sulla carta più di due miliardi di valore. Ma
spesso si registrano soltanto richieste di vendita e non di acquisto: il risultato è che gli scambi sono limitati.
Gli scambi
Venerdì scorso alle 11.45 si è svolta l'ultima asta sulla piattaforma Hi-Mtf: un sistema digitale sul quale si
possono scambiare i titoli di 14 banche, quasi tutte popolari, che rappresentano centinaia di migliaia di soci
e sulla carta più di due miliardi di valore Sulla Banca Popolare di Bari, prima azienda di credito del
Mezzogiorno, con un valore teorico superiore al miliardo e quasi 70 mila soci, è avvenuto un solo scambio:
qualcuno ha inserito un ordine a uno sconto del 16% sul prezzo-base
di 7,5 euro e si è preso cento azioni.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/11/2017 52
12/11/2017
Pag. 17
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tiratura:321166
Commercio online
Cina, record di Alibaba nel «Giorno dei single»: 25 miliardi di dollari
P. Sa.
Alibaba straccia ogni record di vendite e archivia il «Giorno dei single», il Global shopping festival, con 25,3
miliardi di dollari di vendite surclassando la precedente edizione 2016 della manifestazione, chiusa con
«appena» 16 miliardi di dollari. Della 24 ore di shopping - che cade l'11 novembre (11/11: in Cina il numero
uno significa «solitudine») ed è appunto dedicata ai single - hanno beneficiato molti marchi top globali: tra i
maggiori protagonisti Nike, Xiaomi e Uniqlo.
Che l'evento promettesse bene si era capito fin dall'avvio: in sole due ore la creatura di Jack Ma aveva già
macinato un miliardo di dollari regolati attraverso Alipay, il braccio dei pagamenti virtuali. Certo quello
cinese è il più grande mercato di consumatori al mondo, ma per dare un'idea delle dimensioni del
fenomeno basti pensare che lo scorso anno i consumatori americani avevano speso circa 5 miliardi di
dollari online tra Ringraziamento e Black Friday, giornate tradizionalmente dedicate alle compere.
Forsennati i ritmi di acquisto: secondo quanto ha fatto sapere la stessa Alibaba all'agenzia Bloomberg , il
90% delle operazioni è avvenuto attraverso smartphone e nel momento di massimo traffico le transazioni
sono avvenute al ritmo di 256 mila al secondo. Per sostenere l'evento Jack Ma si è comunque dato da fare
parecchio con un supergala che ha avuto come ospiti l'attrice australiana Nicole Kidman e Pharrell
Williams. Per il futuro l'intento annunciato dal gigante digitale che ha la sede principale a Hangzhou, nella
Cina Orientale, è ancora più «bellicoso» perché l'obiettivo è quello di varcare i seppur amplissimi confini
virtuali della Repubblica popolare e sbarcare oltreoceano, per raggiungere gli Stati Uniti, e al termine della
Via della Seta, in Europa.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Foto:
Simbolo
Un pupazzo che simboleggia Tmall.com, piattaforma per le vendite online di Alibaba, esposto nel «Giorno
dei single», a Shanghai
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/11/2017 53
12/11/2017
Pag. 33
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La Lente
Investitori stranieri, le pmi piacciono agli americani
Isidoro Trovato
Ci si immagina investitori stranieri interessati solo alle grandi aziende del Made in Italy. Niente di più falso.
A dimostrarlo è la ricerca realizzata dalla School of Management dal Politecnico di Milano per conto di
Hogan Lovells (uno dei più grandi studi legali al mondo con sedi anche in Italia). Si scopre che nell'ultimo
quinquennio le acquisizioni hanno riguardato soprattutto le piccole e medie imprese eccellenti del sistema
produttivo italiano e gli investitori internazionali provengono da ben 39 paesi diversi, distribuiti in tutto il
pianeta. Ci sono però paesi che, più di tutti, per numero e valore, spiccano in modo costante e che sono i
top acquirer di imprese italiane: Stati Uniti, Regno Unito e Francia, rispettivamente con 54, 29 e 26 casi. La
Cina nel quadriennio è acquirente per «soli» 12 casi. L'anno in cui la distribuzione è più ampia è il 2014 in
cui investitori di ben 20 paesi diversi sono acquirenti di quote di imprese italiane.
Il valore medio delle acquisizioni è di 266 milioni con distribuzioni, però, molto ampie. L'anno d'oro dell'M&A
è stato quello passato in cui il valore delle transazioni ha toccato quota 12,8 miliardi, confermandosi l'anno
più importante sia per valore che per numero delle transazioni. Un dato che comunque sottolinea il
recupero dell'economia del paese che proprio nel 2016 ha avuto un anno di svolta, confermando la
relazione tra investimenti esteri ed economia nazionale e l'importanza anche degli investimenti esteri come
elemento per stimolare la crescita. Ma quali sono le prede più richieste dagli investitori stranieri? La
tradizione e l'eccellenza italiane nell'ambito industriale e manifatturiero sono confermate dal fatto che la
maggioranza dei deal è in questo ambito. Gli investitori esteri, sul quadriennio, sono attratti per il 71% dei
casi da imprese industriali, con punte del 76% nel 2013 e del 74% nel 2016. I settori? Il food & beverage
(12%)e le macchine industriali (8%) senza dimenticare l'healthcare e l'automotive.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/11/2017 54
12/11/2017
Pag. 33
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tiratura:321166
Il Mef sulla Tari: intervento urgente
Milano: sarà risarcito chi ha pagato in più. Genova, Napoli e Cagliari: noi calcoli corretti Il provvedimento Il Mef vuole chiarire in tempi brevi il caso della tassa sui rifiuti risultata «gonfiata» C. Vol.
Roma Un chiarimento «in tempi molto brevi». Così chi ha pagato più del dovuto e chi ha ottenuto più del
previsto sapranno come comportarsi. Lo promette il Dipartimento finanze del ministero dell'Economia che
con un provvedimento ad hoc spera di chiarire «in tempi molto brevi» e una volta per tutte la questione
sulla Tari sbagliata, la tassa dei rifiuti «gonfiata» per errore in alcuni Comuni d'Italia. I cittadini possono già
chiedere un rimborso al loro Comune, ma il chiarimento del Mef servirà a fare un po' più di chiarezza.
L'errore di calcolo sulla parte variabile della Tari con l'applicazione di una quota su ogni pertinenza avrebbe
innalzato illegittimamente le tariffe dei rifiuti per molti italiani facendo incassare cifre non dovute a molti
Comuni. In alcuni casi quindi, e per diversi anni, la quota variabile sarebbe stata applicata sia per
l'abitazione che per box, cantine, solai con il risultato di far pagare i cittadini molto di più del dovuto, a volte
anche il doppio. La denuncia è arrivata in un'interrogazione parlamentare del deputato Cinque Stelle
Giuseppe L'Abbate che aveva notato l'anomalia nella sua città, Polignano a Mare (Bari).
Ma in realtà sembra che i Comuni coinvolti non siano così quanti stimati all'inizio, e già ieri molti uffici
municipali si sono messi al lavoro per controllare l'effettiva correttezza dei propri calcoli. Così, se a Milano il
sindaco Giuseppe Sala ha promesso rimborsi «per chi ha pagato più del dovuto», Genova, Napoli e
Cagliari hanno fatto sapere che i loro calcoli erano corretti e i propri cittadini hanno quindi pagato il giusto.
Ma il Codacons annuncia una valanga di cause risarcitorie contro i Comuni e la Lega ha pronto un
emendamento alla legge di Bilancio per «eliminare ogni possibile errore per un'applicazione corretta della
tassa». Mentre sul blog dei Cinque Stelle c'è già il modulo da scaricare per chiedere il rimborso.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
13,4 milioni
Le pertinenze tassate ma non tutte soggette al sovracosto Tari
5% il sovracosto
medio di Tari applicato,
è pari a circa
16 euro
Le cause
Secondo
il Codacons almeno
sette città hanno applicato
la Tari in modo errato ma potrebbero essere di più e ha annunciato cause risarcitorie
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/11/2017 55
12/11/2017
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L'intervista
«Perché la Luiss ha scelto Milano Ora è meglio di Londra e Parigi»
Marcegaglia: preparare i giovani alla rivoluzione digitale è una priorità Rita Querzé
Si chiama Milano Luiss Hub. È il nuovo avamposto della Luiss, libera università Guido Carli, nel capoluogo
lombardo. Milleseicento metri quadrati in una zona centralissima. Dismessa da anni. Ora pronta, dopo 16
mesi di lavori, per ospitare mille studenti dei licei in alternanza scuola-lavoro, 20 start up, un laboratorio per
artigiani digitali, spazi per eventi aperti al pubblico. Emma Marcegaglia - presidente della Luiss (ma anche
dell'Eni e di Business Europe) - parla volentieri della nuova creatura. Ma chiacchierando il discorso va
molto più in là.
Come presidente della rappresentanza degli imprenditori europei lei domani si troverà a Downing Street, a
parlare di Brexit con la premier inglese Theresa May. L'uscita degli inglesi dalla Ue potrebbe aprire nuove
opportunità per le università europee?
«Sì: e Luiss è pronta a coglierle. Le grandi università inglesi sono interessate ad avere basi in Europa.
Stiamo valutando operazioni di cobranding . A vantaggio dell'offerta per gli studenti».
Era necessario per Luiss sbarcare a Milano?
«Mi lasci dire che "sbarcare" non è il verbo giusto. La nostra sede è a Roma, a Milano abbiamo voluto
arrivare mettendoci al servizio di un progetto nato da un impegno condiviso con il Comune. E che vede
coinvolti insieme con noi la fondazione Brodolini e ItaliaCamp. Detto questo, non c'è dubbio che oggi
Milano sia tra le migliori città in Europa per fare business. Meglio per molti versi di Londra e Parigi,
incredibilmente congestionate e con una peggiore qualità della vita».
La qualità della vita è un elemento di competitività?
«Certo. E lo sarà sempre di più in futuro».
Luiss prepara "la meglio gioventù" dei laureati. Peccato che molti giovani cervelli se ne vadano poi
all'estero in forze. È un problema che riguarda anche le imprese?
«Sì, certo. Il nodo sta nel fatto che quelli che se ne vanno sono più dei laureati stranieri che vengono a
lavorare da noi. Confindustria ha calcolato che questa emorragia comporti una perdita dell'1% del Pil, pari a
circa 16 miliardi l'anno. Non ce lo possiamo permettere. Credo che la disoccupazione dei giovani debba
essere al primo posto nell'elenco dei problemi da affrontare con la prossima legislatura».
E al secondo?
«Formare quel 40-50 per cento di italiani, giovani e non, che oggi non ha le competenze necessarie ad
affrontare la rivoluzione digitale che sta cambiando il nostro modo di produrre».
Come valuta questa ripresa italiana senza inflazione e senza crescita dei salari?
«Intanto diciamo che la ripresa c'è. Il 2017 potrebbe chiudersi con una crescita del Pil dell'1,5% che è al di
sotto della media europea del 2,2%, ma è comunque un risultato rispettabile. I nuovi posti di lavoro ci sono,
anche se non sono sufficienti. Esistono troppi italiani disoccupati o con uno stipendio che non basta. Per
affrontare questo problema non c'è che una strada: continuare con le riforme».
La più urgente?
«Rendere più efficiente la nostra burocrazia».
Abbiamo iniziato parlando di formazione: le imprese fanno abbastanza per far decollare l'alternanza scuola-
lavoro?
«Sull'inserimento dei giovani nel mercato del lavoro si gioca il futuro dell'Italia, le imprese devono fare di
più».
In Marcegaglia e in Eni arrivano giovani in alternanza?
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/11/2017 56
12/11/2017
Pag. 35
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«Non solo arrivano, alcuni vengono assunti».
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L'hub
Venerdì ha aperto il Milano Luiss Hub
for makers
and students,
il nuovo spazio polifunzionale dedicato alla creatività e alla manifattura digitale,
allo sviluppo d'impresa, all'alternanza scuola-lavoro, all'innovazio-ne Il progetto
è nato dall'impegno condiviso tra
il Comune di Milano, Luiss, Fondazione Brodolini
e ItaliaCamp. L'hub si estende
su un'ex area industriale
di circa 1.600 metri quadri
Foto:
Luiss Emma Marcegaglia
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/11/2017 57
11/11/2017
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Conti pubblici Quattromila emendamenti. Dal bonus bebè alla lotta al cancro con le imposte sul fumo
Nuovo assalto alla manovra
Caos sulla tassa per i rifiuti. Per un'utenza su dieci bollette gonfiate dai Comuni De Cesare Savelli
In Senato sono state presentate 4 mila richieste di modifica della legge di Bilancio: tra le altre, il ritorno del
bonus bebè, l'aumento della tassa sul fumo per finanziare i farmaci oncologici, la modifica delle normative
sulle pensioni. Ieri è però emerso il caso della tassa sui rifiuti: molti Comuni l'avrebbero gonfiata in modo
illegittimo con un calcolo maggiorato per le pertinenze.
a pagina 45
MILANO La legge di Bilancio si prepara ad essere presa d'assalto in Senato da quasi quattro mila
emendamenti: dalla web tax al ritorno del bonus bebè, dalla tassa sul fumo per finanziare i farmaci
oncologici alla questione delle pensioni. Ma ieri è stata la giornata del caso Tari, tassa sui rifiuti. Molti
Comuni l'avrebbero infatti gonfiata negli ultimi anni in maniera illegittima applicando la quota variabile su
ogni pertinenza.
Il Sole 24 Ore ha stimato una diffusione del caso del 10% a livello nazionale e ha verificato che a
inciampare sono state anche grandi realtà come Milano, Genova, Napoli, Catanzaro in modo trasversale da
Nord a Sud. A sollevare il caso è stato il deputato M5s, il pugliese Giuseppe L'Abbate che dal suo Comune,
Polignano a Mare, si è accorto dell'anomalia e si è rivolto al ministero per chiedere un chiarimento
definitivo: «Un anno fa abbiamo presentato un'interrogazione parlamentare -spiega il deputato -. Ci è
arrivata la risposta solo in questi giorni e ci dà ragione: molti Comuni hanno interpretato male la legge,
speriamo in buona fede, applicando la quota variabile a tutte le pertinenze». Se si hanno, ad esempio, box
e cantina, la quota variabile della tassa rifiuti andrebbe applicata una sola volta e non due. Proprio come ha
spiegato nella sua risposta il sottosegretario all'Economia Pierpaolo Baretta. Secondo l'Anci, l'Associazione
nazionale dei Comuni, si tratta di «un episodio marginale». E Guido Castelli, delegato per la finanza locale
ha annunciato l'invio di una nota alle amministrazioni locali con tutti i dettagli. Qualche sindaco, come quello
di Milano, ha già annunciato i rimborsi: «Ci saranno senz'altro per chi ha pagato più del dovuto» ha detto
ieri Giuseppe Sala. Quel che è certo è che ora saranno i contribuenti a dover guardare i vecchi avvisi di
pagamento e a verificare, da soli, o con l'aiuto dei Caf o dei commercialisti, se hanno o meno pagato di più.
Sugli emendamenti alla legge di Stabilità, invece, la prima grande novità riguarda proprio il bonus bebè che
sia Ap che il Pd vogliono riproporre anche per il prossimo anno. Spicca anche l'emendamento Mucchetti
sulla web tax. La proposta viaggia su due strade: una stretta sui criteri di stabile organizzazione e
l'introduzione di un'imposta forfettaria del 6% dei ricavi sulle transazioni digitali.
Corinna De Cesare
Fabio Savelli
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere della Sera L'esempio, il calcolo corretto Abitazione di 100mqcon garage di 15mqe cantina di
10mqcon famiglia di 4 componenti. Quota fissa = 2 euro a metro quadrato; quota variabile = 141 euro
Quota fissa Quota variabile € TOTALE € CALCOLO CORRETTO CALCOLO ILLEGITTIMO 2 euro x
125m2= 250 euro 141 391 2 euro x 100m2= 200 euro Appartamento 141 341 2 euro x 15m2= 30 euro
Garage 141 171 2 euro x 10m2= 20 euro Cantina 141 161 Importo complessivo 673 8,7miliardi il gettito
della Tari nel 2015 +9,6% rispetto all'anno prima
Chi sono
Il deputato del M5S Giuseppe L'Abbate (foto in alto ) ha presentato un'interroga-zione per avere chiarimenti
sulla Tari. La risposta del sottosegretario Pierpaolo Baretta
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(foto sotto ) conferma
i dubbi sull'applicazio-ne della tassa
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Il caso
Consob, poteri e controlli che non c'erano
.di Milena Gabanelli
«Parole, parole, parole»... è quel che rispondono i vertici di Consob (il dg Angelo Apponi) e Bankitalia (il
capo della vigilanza Carmelo Barbagallo) alle domande della Commissione Banche. Parole che non
ridaranno i soldi ai risparmiatori che avevano comprato i titoli della Popolare di Vicenza e di Veneto Banca,
titoli un tantino sopravvalutati: fino a 2-3 anni fa valevano rispettivamente 60 e 40 euro, ora zero. Parlano
Apponi e Barbagallo, sono dispiaciuti per l'increscioso «incidente di vigilanza» che ha bruciato i risparmi di
una vita di centinaia di famiglie. Banca d'Italia ha dato informazioni a Consob, Consob non aveva capito
bene e, con quel poco che aveva, ha fatto tutto quello che ha potuto. Eppure Apponi è uomo navigato che
sapeva a chi chiedere o dare le informazioni. In alcune intercettazioni telefoniche agli atti del processo
Unipol-Fonsai, Stefano Vincenzi di Mediobanca gli dice «senti, amico mio, ti devo anche parlare di un
importante aumento di capitale, di cui tu sai già tutto», e Apponi risponde: «Dipende quale... che Senese,
Genovese, dove...».
Sul dossier venete Apponi, contrito, dice alla Commissione che la Consob ha fatto in modo che nei
prospetti degli aumenti di capitale fatti dalle due banche per salvarsi in extremis, quando erano oramai
sull'orlo del baratro, ci fosse scritto che il price/book value era troppo alto, segnale (a dir suo) che c'erano
anomalie nella valorizzazione delle azioni. Una domanda che la Commissione Banche forse doveva fare è:
«Ma secondo lei la casalinga di Padova, il pompiere di Rovigo e il pensionato di Treviso sanno cos'è il
price/book value?». Di più - avrebbe risposto Apponi - non si poteva fare. Ammesso che sia vero, qualcosa
non torna.
Per Consob, che ha i poteri dell'autorità giudiziaria, non erano indispensabili le carte di Bankitalia, visto che
proprio Consob, nel 2011, aveva ispezionato Veneto Banca, e pare che in quei nove mesi gli ispettori si
siano accorti del problema dei prezzi gonfiati. Ma di questo Apponi in Commissione non dice nulla. Dice
invece che gli scenari probabilistici non potevano essere inseriti in prospetto, ma omette di ricordare che
avrebbero dovuto essere riportati nella scheda prodotto prevista dalla comunicazione Consob del 2009. Ed
è un peccato, perché avrebbero chiarito anche alla casalinga, al pompiere e al pensionato di cui sopra che
le obbligazioni subordinate vendute dalle due banche avevano il 50% di probabilità di trasformarsi in
perdite. Indicazioni che ci sono state sino a quando Consob non ha preso atto dei desiderata del gotha
bancario per farli sparire. Autorevoli giuristi sostengono che gli schemi standard di prospetto europei, a cui
ha fatto riferimento Apponi, contengono le informazioni minime da dare agli investitori e che l'autorità di
vigilanza nazionale (Consob) avrebbe potuto chiedere integrazioni. A noi risulta che Consob ha invece fatto
il contrario, e smantellato pure l'ufficio che si occupava di questo.
Acqua passata. Apponi guarda avanti e pone l'attenzione sul fatto che dal 2018 con la Mifid 2 la Consob
avrà più poteri: potrà vietare la vendita di titoli spazzatura. Ma come sceglierà cosa va vietato? Secondo
quali parametri? Possiamo scommettere che anche di fronte al prossimo scandalo per omessa vigilanza, la
difesa sarà che le informazioni disponibili non erano sufficienti a far capire che il prodotto finanziario andava
vietato. Il tutto aspettando l'anno che verrà.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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La lettera
Il Golden power e i conti di Next
Antonio Bucci
Caro Direttore,
il 4 novembre 2017 sul «Corriere della Sera» è apparso l'articolo "Next è strategica: il governo blocca la
vendita ai francesi" nel quale si riporta che la Next Spa è «un'azienda sull'orlo del concordato preventivo»,
con l'ipotesi che «potrebbe portare i libri in tribunale».
Tali affermazioni, inveritiere, ledono il prestigio della nostra Società, e possono favorire, volontariamente o
involontariamente, i concorrenti o quei soggetti che dalle difficoltà della nostra Next trarrebbero vantaggio.
Dall'inizio della sua attività (dal 1999 a tutt'oggi) la Next non ha mai chiuso un bilancio in perdita, non ha
mai avuto controversie con clienti, fornitori, banche, dipendenti, collaboratori e ha gestito sia il fenomeno
della riduzione del credito bancario che dal 2010 al 2016 ha quasi dimezzato in Italia gli affidamenti del
sistema bancario alle piccole e medie imprese, sia la contrazione, nello stesso periodo, degli ordini
conseguente alla riorganizzazione del gruppo Finmeccanica (leggi Leonardo). Il fatto che il Consiglio dei
Ministri abbia esercitato i poteri speciali (Golden Power) opponendosi alla cessione di Next ad Altran Italia,
inorgoglisce e non preoccupa le donne e gli uomini della Next, perché, ai differenza di altre Pmi, questo
dimostra che la nostra società opera in ambiti e tratta materie che richiedono competenze tecniche,
manageriali e organizzative di prim'ordine.
Amministratore delegato
di Next
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/11/2017 61
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Bankitalia Consob Le nomine della discordia
Federico Fubini, Massimo Gaggi, Stefano Montefiori e Danilo Ta
Racconta chi ci è passato che, se ci si vuole candidare a un posto come commissario Consob, a un certo
punto ci si imbatte in una maschera: un formulario digitale, che occorre riempire per inserire la propria
richiesta di entrare a far parte della Commissione nazionale per le società e la borsa. Oltre alle proprie
generalità e al curriculum professionale, la maschera chiede al candidato di precisare la visione per
l'organismo di guida dell'autorità di vigilanza dei mercati finanziari nell'ottava economia del mondo.
Dicono che in quella casella ci sia spazio per circa venti righe di testo. Un quinto dell'articolo che state
leggendo.
Forse non servirebbe altro per comprendere l'impegno che i governi dedicano a selezionare le persone più
adatte a proteggere il risparmio degli italiani, dopo gli azzeramenti di azioni e di bond nei portafogli delle
famiglie. In venti righe il candidato è invitato a spiegare come intende vigilare sugli intermediari finanziari,
sulla gestione del risparmio, sull'emissione di titoli e gli abusi di mercato, sulle piattaforme che garantiscono
gli scambi, su problemi complessi quali il collocamento di prodotti in conflitto d'interessi (da Banca popolare
di Vicenza in giù) o il controllo di fatto di società quotate da parte di soci che restano sotto alle soglie (Tim-
Vivendi e non solo). Il candidato dovrà poi precisare la sua visione riguardo al governo interno dell'autorità,
ai rapporti con la Banca d'Italia e all'uso delle nuove tecnologie digitali per individuare rischi, reati e abusi.
Per nulla dire della prospettiva di un'unione dei mercati dei capitali che dovrebbe nascere basata su regole
uguali per tutti i Paesi e un regolatore unico in Europa.
Scusate, lo spazio nella maschera è finito. Non è chiaro se sia per questo, ma la Consob di recente ha
battuto un piccolo record: dev'essere l'unica autorità al mondo che abbia attraversato un'intera crisi
finanziaria senza mai disporre di una squadra al completo. Da quando il 16 giugno 2012 ha lasciato l'allora
commissario Luca Enriques, la commissione di Borsa ha sempre mancato di almeno uno dei suoi
componenti.
Curriculum
Ciò significa che è sempre stato fondamentale il singolo voto del presidente Giuseppe Vegas, un laureato
in diritto ecclesiastico ricco di trascorsi politici (in Forza Italia) e nella formulazione del bilancio pubblico (al
ministero dell'Economia) ma - secondo il suo stesso curriculum - privo di precedenti esperienze nel settore
privato, nei mercati finanziari, nel diritto che li regola e privo anche di trascorsi e rapporti europei e
internazionali. Nel frattempo, da quando la Consob è dimidiata, è successo di tutto. Il Paese ha attraversato
la più grave crisi di sempre sui titoli di Stato italiani, la più grave crisi su bond bancari (nel 2013 le famiglie
ne detenevano per 370 miliardi di euro) e una decina di istituti di credito sono andati in dissesto.
Ancora oggi la squadra resta incompleta (manca il quinto commissario) e il voto di Vegas resta decisivo,
mentre il suo settennato si avvicina alla scadenza il 16 dicembre prossimo. Mai come ora è stata
importante la qualità del metodo con il quale i vertici della Consob vengono scelti. Su Banca Marche,
Etruria, Carife, CariChieti, Veneto Banca, Popolare Vicenza, Monte dei Paschi e prima ancora su Cirio,
Parmalat e sui Tango Bonds le famiglie italiane hanno già perso troppo, per mantenere procedure di
selezione mediocri e opache per il vertice la Consob.
Il meccanismo per il presidente della Commissione di Borsa e i suoi quattro colleghi è formalmente simile a
quello per la nomina del governatore della Banca d'Italia: il ministro dell'Economia indica un nome, il
premier lo fa passare in Consiglio dei ministri e il presidente della Repubblica lo conferma. A differenza che
in Gran Bretagna e molti altri Paesi, non viene tuttavia pubblicato alcun invito a presentare candidature con
una descrizione precisa del profilo professionale richiesto. Non vengono neanche rese note le candidature
selezionate in una «short-list», né il curriculum di coloro che concorrono per una certa posizione. Non è il
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/11/2017 62
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Pag. 1.4.5 N.44 - 13 novembre 2017
massimo della trasparenza. L'opinione pubblica e i risparmiatori apprendono solo il nome del prescelto, a
cose fatte.
Confronti
Qualunque sia il giudizio sulla presidenza Consob di Lamberto Cardia (2003-2010, gli anni dei crac Cirio e
Parmalat e dei Tango bonds) o dello stesso Vegas, il loro curriculum appare molto diverso da quello dei
loro pari grado di Germania, Francia, Gran Bretagna o Stati Uniti. Vegas arriva in commissione di Borsa,
appunto, come esperto di diritto ecclesiastico, finanza pubblica e di politica; anche Cardia si è sempre
mosso all'incrocio fra alta burocrazia romana (Corte dei conti, Consiglio di Stato, presidenza del Consiglio)
e politica (sottosegretario nel governo di Lamberto Dini). Nessuno dei due aveva mai toccato con mano
prima il settore privato, né i mercati finanziari, né ambienti altro che strettamente italiani. Al contrario, il loro
attuale omologo della Fca di Londra John Griffith-Jones ha lavorato in Merrill-Lynch ed è stato ai vertici di
Kpmg, un grande gruppo globale di consulenza; il presidente della Sec americana è stato un giurista
universitario e grande avvocato di Wall Street; il presidente della Bafin tedesca, Felix Hufeld, ha lavorato
per Boston consulting group e ha girato i mercati internazionali per un fondo di private equity ; e il
presidente della francese, Robert Ophèle, è un ex vice-governatore della Banca di Francia che ha operato
anche alla Federal Reserve di New York, quella che si occupa direttamente di Wall Street. Quanto agli
attuali commissari Consob, solo Carmine Di Noia ha competenze e un profilo di alto livello internazionale
(dottorato in economia all'Università della Pennsylvania), anche se con limitate esperienze dirette in organi
societari. Giuseppe Maria Berruti è un rigoroso magistrato della Corte di cassazione che ha lavorato di rado
su casi strettamente finanziari. E Anna Genovese è una rispettata giurista accademica con pubblicazioni
soprattutto nel campo dell'Antitrust, non dei mercati finanziari, senza molta pratica professionale né
esperienze in azienda. Tutte queste persone sono di qualità e il loro impegno in Consob è stato sempre
molto serio. Ma la squadra di vigilanza presenta un mix di competenze squilibrato. A partire dal presidente,
è il momento di rimediare con procedure di nomina trasparenti e rigorose. Non sarebbe il momento giusto
per lasciare altri posti vacanti al cuore del sistema di tutela dei risparmio.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Ignazio Visco Giuseppe Vegas
Foto:
È stato appena rinominato alla guida della Banca d'Italia. Chiusa, si spera,
la stagione delle crisi bancarie, si deve rendere
più efficace la vigilanza
Alla guida della Consob, l'autorità di controllo sulla Borsa e sui mercati finanziari dal 15 dicembre 2010: è in
scadenza di mandato
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/11/2017 63
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Risparmio tradito
Ferruccio de Bortoli
Cara pensione di scorta
sei proprio tanto cara
Ripiegati sul primo pilastro della previdenza, concentrati a discutere la quota 67, dal 2019, dell'età
pensionabile, ci siamo persi per strada il resto. Colpevolmente. È innegabile che il futuro delle pensioni
passi dalla coesistenza virtuosa di tre forme assicurative. Sulla prima, la più importante, alla quale è legata
la sostenibilità dei conti pubblici, si litiga in questi giorni tra governo e sindacati. E non solo sul trattamento
dei cosiddetti lavori usuranti. La seconda, quella della previdenza integrativa, avrebbe bisogno di una
maggiore attenzione e di un rinnovato slancio. È finita in un incomprensibile cono d'ombra. La proposta di
legge di bilancio per il 2018 non se ne occupa, a parte la possibilità di percepire con l'Ape volontaria, una
parte del capitale della rendita integrativa (in sigla Rita). La precedente legge di bilancio, sulla falsariga di
quello che sta avvenendo per i Pir, i Piani individuali di risparmio, aveva detassato i rendimenti degli
investimenti dei fondi pensione a favore dell'economia reale. Come succede all'estero.
Decisioni diverse
La diffusione dei fondi integrativi di categoria, cioè chiusi o negoziali, ma anche per quelli aperti, proposti
da banche e assicurazioni, venne incredibilmente ostacolata nel 2014 quando il governo Renzi decise di
aumentare il livello di tassazione dei rendimenti dall'11,5 al 20%. In molti altri Paesi l'aliquota in fase di
accumulo è zero. La misura si è riflessa sull'andamento degli iscritti che per i fondi chiusi sono (al 30
giugno 2017) 2 milioni e 666 mila e per quelli aperti un milione e 315 mila. La proposta di ripristinare
condizioni più favorevoli, sotto il profilo fiscale, per la previdenza integrativa nella legge di Bilancio 2018 è
stata bocciata. Avrebbe comportato un costo di circa 300 milioni di euro l'anno. Sarebbe stato però un buon
investimento.
In assenza di misure di rilancio dei fondi chiusi o aperti, si moltiplicano le offerte dei prodotti assicurativi
come i Pip, i Piani individuali pensionistici, vecchi e nuovi, con gestioni separate degli attivi, cioè bloccati a
favore degli aderenti, o più legati ai mercati finanziari. O altri prodotti del ramo terzo, polizze vita, unit linked
e così via. Questa inerzia governativa lascia terreno fertile a banche, compagnie e reti che hanno però costi
decisamente più alti sui quali non sempre vi è la necessaria trasparenza.
L'assicurato sottovaluta piccole all'apparenza differenze percentuali che però proiettate su un arco di tempo
di 30 anni possono falcidiare il capitale finale anche di un terzo. Qualche esempio. Secondo l'ultimo
rapporto Covip, l'autorità di controllo sui fondi pensione, il rendimento medio dei fondi negoziali, di
categoria, nel 2016 è stato del 2,7%, al netto dei costi di gestione e dell'imposta sostitutiva. Per i fondi
aperti eravamo al 2,2%. Per i nuovi Pip, cioè quelli successivi al decreto legislativo 252 del 2005, il
rendimento medio è stato del 2,1%. Ma se confrontiamo i costi delle varie tipologie scopriamo differenze
molto pronunciate. In qualche caso intollerabili. Con i dati a fine 2016 si possono calcolare, su un periodo di
permanenza di 35 anni, tra 0,1 e lo 0,6% per i fondi negoziali; tra l'1,2 e l'1,4% per quelli aperti - che hanno
comunque un onere di raccolta non essendo di categoria - mentre i Pip oscillano tra l'1,8 e il 3,5%. Questi
ultimi, così propagandati dai gestori con allettanti proposte di investimento, possono costare fino a dieci
volte di più di un normale fondo negoziale. Gli iscritti ai nuovi Pip, che non godono del contributo del datore
di lavoro, al 30 giugno 2017, sono quasi 3 milioni.
«La Covip è fortemente impegnata su questo fronte - dice il suo presidente l'economista Mario Padula - e
facciamo di tutto per favorire una responsabile e trasparente valutazione dei costi». Da poco compare sul
sito dell'Autorità un modello comparativo, finora utilizzato però quasi esclusivamente dai professionisti del
settore. «Le forme negoziali hanno oneri generalmente più bassi dei fondi comuni e dei prodotti del
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risparmio gestito - continua Padula - non avendo problemi di collocamento e scegliendo gestioni passive».
La Covip ha i poteri di intervenire o si limita a una vigilanza di tipo cartolare, ex post? «Non sottovaluti
l'importanza della scheda costi, in vigore dallo scorso giugno (http://www.covip.it/isc dinamico/), un
documento assai complesso da redigere. Sono stati diversi i casi, anche recenti, in cui abbiamo utilizzato i
nostri poteri di vigilanza e di controllo. Se vediamo dei disallineamenti, interveniamo tempestivamente».
Nell'analisi di Padula emergono alcune preoccupazioni. Quella di garantire all'assicurato, con un'
informazione maggiore, la libertà di cambiare fondo o gestore, nella consapevolezza che una piccola svista
oggi si può trasformare in un gigantesco danno al momento della pensione. In più in Italia - e questo
dovrebbe essere un tema di discussione pubblica ma purtroppo non lo è - il secondo e il terzo pilastro
tendono a confondersi. I fondi di categoria sono relativamente piccoli. E frenati, anche da incomprensibili
resistenze sindacali, per esempio sulle opportunità di investimento. Troppa nostalgia dei titoli di Stato.
Timori di perdere posti, incarichi. Il più grande fondo di categoria, Cometa dei metalmeccanici, gestisce
appena 10 miliardi, mentre nel mondo operano autentici giganti previdenziali. Secondo Willis Towers
Watson il valore dei 300 più grandi fondi pensione al mondo è cresciuto del 6,1% nel 2016. Cioè molto
meglio dei nostri. Nella top list, non vi è un solo fondo pensione italiano, l'Enpam, dei medici, al 209esimo
posto. «Negli altri Paesi - è l'opinione di Mauro Maré, presidente di Mefop, la società del ministero
dell'Economia per lo sviluppo dei fondi pensione - tra il 40 e il 60% in media del patrimonio, e mi riferisco a
Stati Uniti, Regno Unito, Olanda, Danimarca, Svizzera, è investito nell'economia reale. Noi oscilliamo
incredibilmente tra l'1 e il 4%. Un modo di farci male da soli. Eppure stiamo parlando di una massa, nelle
varie tipologie di fondi e casse, che oscilla intorno ai 250 miliardi».
Le opzioni
Come rilanciare questi strumenti? Secondo Maré va ripensata la regola del silenzio assenso con eventuale
disdetta entro sei mesi. «La percentuale di adesione è troppo bassa. Intorno al 25%. In Olanda o nel Regno
Unito si arriva, con il silenzio assenso e una formula di semiobbligatorietà, al 100% di aderenti. In alcuni
Paesi la previdenza integrativa è obbligatoria, io sono contrario. E poi c'è la delicata questione fiscale. Noi
le tasse, nel 2014, le abbiamo di fatto raddoppiate mentre all'estero i rendimenti sono esenti e il prelievo è
solo sulle prestazioni finali. Va valutata inoltre la possibilità che un lavoratore, un professionista possa
aderire a un fondo chiuso anche se estraneo alla categoria. Alcuni fondi sono troppo piccoli e dunque con
costi di gestione percentualmente elevati. I più grandi Cometa e Fonchim hanno rispettivamente 450 mila e
300 mila aderenti. Sotto una certa soglia sarebbe necessario favorire delle fusioni. Non è poi accettabile
quello che accade nelle piccole e medie aziende nelle quali se il dipendente chiede di versare a un fondo il
proprio trattamento di fine rapporto, che vale in media il 7%, rischia addirittura il licenziamento». C'è molta
strada da fare. Non solo nel gestire meglio il risparmio previdenziale ma anche nell'assicurare la tutela dei
diritti dei più deboli.
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1,5% 0,7% 3,4% 2,7% 0,9% 4,9% 0,6% 0,3% 1,4% 1,3% 0,5% 2,8% 2,2% 0,6% 4,1% 0,4% 0,2% 0,9%
1,2% 0,1% 2,4% 1,8% 0,4% 3,5% 0,3% 0,1% 0,6% Le adesioni alla previdenza complementare in Italia.
Dati a settembre 2017 Minimo Massimo 5 anni 10 anni 35 anni Fondi pensione negoziali Fondi pensione
aperti Pip «nuovi» Minimo Massimo Minimo Massimo Fondi pensione negoziali 2.732.624 Fondi pensione
aperti 1.336.086 Pip «nuovi 3.017.363 Pip «vecchi 411.000 Fondi pensione preesistenti 653.000 Totale
iscritti 8.145.572 Quanti stanno investendo sul futuro
Punti di forza
Fisco
Chi aderisce alla previdenza integrativa gode di vantaggi fiscali. I contributi versati sono deducibili dal
reddito fino a un importo massimo di 5.164,57 euro. I rendimenti annuali sono tassati con l'aliquota del
20%, invece del 26% previsto per gli altri strumenti finanziari (12,5% per i titoli di Stato). Anche le
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/11/2017 65
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Pag. 1 N.44 - 13 novembre 2017
prestazioni finali godono di una tassazione agevolata: si applica un'aliquota del 15%, ridotta se la
partecipazione supera i 15 anni
Contributo aziendale
Chi aderisce ai fondi chiusi beneficia anche di un contributo da parte del datore di lavoro che va ad
aumentare il capitale investito
Punti deboli
Mercati
Aderire a un fondo pensione o a un Pip e investirvi il Tfr espone ai classici rischi dei mercati finanziari,
mentre la liquidazione mantenuta in azienda è sempre garantita e si rivaluta ogni anno in modo certo: il
75% del tasso di inflazione più un punto e mezzo. Sul lungo periodo, però, le gestioni previdenziali hanno
sempre battuto il Tfr
Rigidità
L'adesione ai fondi pensione non è per sempre, ma le prestazioni si possono chiedere solo al
pensionamento. La legge sulla concorrenza ha semplificato
le regole in caso di perdita
del posto di lavoro
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/11/2017 66
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Pag. 1 N.44 - 13 novembre 2017
Paolo Bertoluzzo
Alessandra Puato
Mr. cartasi (ora Nexi):
meno contanti?
adesso ci penso io 10
S arà che la sua passione sono le immersioni subacquee (l'estate scorsa a Comodo, arcipelago
indonesiano) e può nuotare nei marosi, sarà che viene dalla telefonia ed è abituato a lavorare su offerte e
tariffe flat. Paolo Bertoluzzo ha un mandato difficile: rivoluzionare CartaSi e l'ex gruppo Icbpi, per farne «il
campione nazionale dei pagamenti». Ha cominciato con il cambio di nome: da venerdì 10 novembre
CartaSi non c'è più, è arrivata Nexi, sottotitolo: «Every day, every pay», ogni giorno, ogni pagamento.
Milanese, 51 anni, moglie napoletana e quattro figlie tra gli otto e i 13 anni, Bertoluzzo è amministratore
delegato del gruppo da un anno e mezzo, nominato dai fondi di private equity Advent, Bain e Clessidra che
sono dal 2015 i proprietari di maggioranza al posto delle banche popolari (e vi hanno investito 5 miliardi).
Prima era in Vodafone, capo delle strategie e delle operazioni commerciali del gruppo. Il suo piano:
semplificare i costi delle carte di credito, innovare prodotti e servizi anche per i negozianti con gli smart Pos.
Rendere più facili gli acquisti senza contante anche a rate. E, soprattutto, contribuire a «raddoppiare in
cinque anni dal 20% al 40%» le transazioni digitali in Italia.
Possibile? Oggi il contante dilaga.
«Un giorno tutti i pagamenti saranno digitali, passa di qui la modernizzazione del Paese. Siamo
fermamente convinti che non ci sia alcun motivo per cui una persona debba usare il contante».
Forse l'evasione fiscale?
«È un problema che si andrà a risolvere, ma non è questa la barriera principale allo sviluppo dei pagamenti
digitali in Italia. Sono le abitudini che vanno cambiate. E serve innovazione sui prodotti: quelli che usiamo
noi per pagare e quelli dei commercianti per incassare».
Perché avete cambiato nome?
«Quello di prima non andava più bene per il nuovo corso. Gli azionisti sono cambiati, era necessario
proiettare il gruppo in una dimensione diversa, di vicinanza alle banche e ai clienti (la parola next in Nexi,
ndr. ). E il nome "carta" non riflette il mondo digitale di oggi. A fine 2018 avremo un grande gruppo
focalizzato sui pagamenti, con 3 mila persone contro le attuali 1.700 ».
Quanto le famiglie italiane usano i pagamenti digitali, ora?
«Per 200 miliardi all'anno, su transazioni totali per un trilione di euro: il 20%, appunto. Nel 2015 era il 17%,
ma nel frattempo l'Europa è salita dal 35% al 40% circa. La Francia è già al 45-50% eppure anche lì c'è
l'evasione fiscale; l'Inghilterra è al 65%, i Paesi scandinavi oltre il 75%. La nostra missione è questa, far
raddoppiare la quota. Lavoriamo con oltre 150 banche, gestiamo le carte a loro marchio come nel caso di
Ubi o Mps. Gestiamo circa il 60% del mercato delle carte di credito e dei Pos con i servizi agli esercenti, il
30% degli Atm».
Di quanto può scendere il costo di gestione del contante, che in Italia è di 10 miliardi l'anno nell'ultima
stima?
«Di un miliardo-un miliardo e mezzo, se l'Italia arrivasse ai livelli europei, con transazioni in digitale per 400
miliardi. Ma la prospettiva è cambiata, tanto che i fondi hanno investito nel settore. Questo business richie
de investimenti e assunzioni: per noi, 140 persone solo nell'ultimo anno. Si parla molto di fintech, ma è una
definizione generale: noi siamo la PayTech partner delle banche».
Il 21 novembre partono i bonifici istantanei, sotto i 10 secondi. Costeranno di più?
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«Una rivoluzione, li offriremo anche noi in 0,25 secondi con la nostra piattaforma per le banche. È un
valore aggiunto, i costi li deciderà ogni istituto. Di certo fra qualche anno questo sarà l'unico modo per
trasferire denaro, si potranno usare i bonifici anche per pagare in contrassegno nell'ecommerce».
Intanto però molti esercenti accettano ancora malvolentieri le carte...
«C'è stata poca innovazione sia sulle carte sia sui Pos. Con noi si cambia. L'anno prossimo presenteremo
lo Smart Pos Android, tipo tablet: farà anche da registratore di cassa, accederà alle app. E questa
settimana parte l'app business che consente al commerciante di governare gli incassi: grafici, transazioni,
importo minimo, confronto con i concorrenti. I negozianti si accorgeranno che usare il Pos conviene».
Anche versando una piccola commissione bancaria aggiuntiva, magari. Ma perché non si può ancora
pagare un acquisto sul web con il Bancomat?
«In realtà noi abbiamo già lanciato il primo Bancomat per pagare anche sull'online. Ora stiamo
supportando Bancomat spa nella sua strategia di rilancio ed entro il primo trimestre 2018 lanceremo il
Bancomat contactless (a sfioro, ndr.) . Inoltre abbiamo messo sul mercato una carta come il Bancomat che
consente di pagare anche all'estero. È già disponibile in alcuni istituti come Crédit Agricole Cariparma per i
privati e Creval per le aziende».
I canoni delle carte di credito sono già stati spesso aumentati . È questo dunque il nuovo affare per le
banche?
«In Inghilterra i prezzi sono più alti. Di certo è un settore in evoluzione e noi cambieremo tutto. A partire
dall'anno prossimo con la nostra carta di credito di base si potrà rateizzare un acquisto alla volta da soli,
dall'app. L'abbiamo chiamato "Easy shopping": fai un acquisto normale, per esempio un frigorifero, e decidi
come pagarlo all'istante».
Complesso, visti i tassi dei prestiti.
«No, non è complesso perché ci sarà una commissione di servizio flat, come nella telefonia. Per esempio:
per un acquisto fra i 250 e i 500 euro, si pagano 6 euro al mese per tre mesi. Corrisponde a un taeg, il
tasso annuo effettivo globale, fra il 7,4% e il 15,3% circa. Se poi decidi di estinguere il finanziamento in
anticipo, la commissione già pagata corrispondente al debito residuo ti viene restituita».
Le carte rateali sono costose e difficili da controllare. Voi volete rilanciarle?
«Noi vogliamo rendere l'esperienza d'acquisto più facile per il cliente e semplificare i costi. Anche con
l'evoluzione dei programmi per i dispositivi mobili. Una nostra nuova app, che sostituisce la precedente
MySi, consentirà di monitorare tutti gli acquisti, con il riconoscimento dall'impronta digitale. Abbiamo anche
ricostruito il portafoglio delle prepagate passando da un prodotto a tre, segmentando il mercato: giovani,
extracomunitari e mass market».
Il futuro sarà pagare con le app? «
No. La lotta all'evasione passa dall'innovazione di prodotto. Il 65% dei pagamenti digitali dell'Inghilterra è
stato raggiunto con l'evoluzione di carte di credito e strumenti tradizionali».
Nessuna paura di Paypal e Amazon?
«Il mondo dei pagamenti digitali sarà sempre più affollato, com'è successo per le telecom. Sarà importante
trovare spazi di collaborazione con questi protagonisti. Ad esempio noi con XPay, la soluzione per pagare
l'ecommerce, abbiamo integrato anche PayPal».
I micropagamenti con le carte restano quasi impossibili, però.
«È proprio questa la grande sfida per l'Italia. Capita ancora di leggere: "Non si accettano pagamenti con
carte sotto i 10 euro". Ma c'è una percezione di costo sbagliata. La commissione media è dell'1-1,4%. Ma
l'1,4% di un euro, per un caffè poniamo, è 1,4 centesimi. Non c'è motivo di rifiutare un pagamento».
In effetti, capita che ci si metta un bel po' per pagare con la carta un vestito. Figuriamoci per un caffè...
«Per pagare un caffè possono volerci 20 secondi, è troppo. Nell'era del 5G troppi lettori di carte sono
ancora collegati con la chiamata telefonica. Il nostro obiettivo è diminuire questo tempo, perciò faremo
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funzionare meglio i Pos. Ci teniamo tanto che daremo la possibilità ai 700 mila commercianti che lavorano
con noi di offrire gratis tutti i pagamenti sotto i 10 euro nel 2018. Ci aspettiamo che l'anno prossimo oltre
mezzo milione di commercianti accettino i micropagamenti. Inoltre daremo un servizio di assistenza
premium: intervento giorno e notte in caso di guasto in quattro ore, 90 minuti su Milano e Roma».
Quanto vi costa?
«Svariati milioni, ma servirà a cambiare le abitudini degli italiani».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Chi è
Paolo Bertoluzzo, 51 anni, laurea in Ingegneria gestionale a Milano e master all'Insead, è dall'11 luglio
2016 amministratore delegato dell'Istituto centrale delle banche popolari (Icbpi) e CartaSi, oggi Nexi (il
presidente è Franco Bernabè). Fino ad allora era in Vodafone, capo delle strategie e operazioni
commerciali del gruppo, dov'è stato amministratore delegato Italia e Sud Europa1939
1985 1997 2013 2015 2016 2017
È l'Istituto centrale delle banche popolari, fondato da sei istituti di credito: Cremona, Intra, Lecco, Lodi,
Luino e Varese, Verona
Costituita da Icbpi con Abi e Italcasse per diffondere la carta di credito, diventerà CartaSi spa. Verrà rilevata
da Icbpi nel 2009
CartaSi tocca il primo traguardo,
le transazioni totali sono già 100 milioni.
Nel 2008 avrà 100 mila imprese clienti
Sono quadruplicate in 16 anni. La spesa degli italiani per l'ecommerce con carte
di credito si avvicina al miliardo di euro
La cordata di fondi Advent, Bain e Clessidra firma l'accordo: acquisterà
l'89% di Icbpi per 2,15 miliardi
I fondi soci rilevano i sistemi di pagamento di Intesa, il gruppo i portafogli esercenti
gestiti da Mps e Deutsche Bank. E Bassilichi
Icbpi-CartaSi diventa gruppo Nexi. Gestisce
27 milioni di carte, 733 mila esercenti,
120 miliardi di euro di transazioni all'anno
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Finanza politica economica Il neo-colbertismo viola principi costituzionali e internazionali oltre ad esporci al rischio di schizofrenia. Da un lato aderiamo all'Ue, al Wto e vogliamo che si investa in Italia, dall'altro erigiamo steccati
Perché troppo stato fa male all'economia
Nel 2012 i primi «poteri speciali» del governo Oggi il golden power Sabino Cassese
La saga
In principio fu la golden share, lo strumento nato nel 1994 all'inizio delle privatizzazioni delle aziende
pubbliche. Con le «azioni dorate» lo Stato si riservava un potere non commisurato al reale peso della quota
con cui poteva restare azionista delle ex aziende pubbliche. L'Italia le ha pensionate nel 2012 - erano fonte
di contenziosi con la Ue - sostituendole con il «gold power», il potere speciale che l'esecutivo può fa valere
nei settori strategici, indipendentemente dall'assetto societario delle imprese in questione
Jean-Baptiste Colbert, il grande ministro di Luigi XIV, è passato alla storia per aver sperimentato la
singolare alleanza di libertà e mercantilismo, tanto che la versione francese di quest'ultimo si chiama
colbertismo. Colbert si dichiarava sostenitore della libertà dei commerci, ma praticò il protezionismo.
Protesse l'industria nazionale proibendo l'ingresso dei prodotti stranieri che potessero far concorrenza a
quelli francesi (questa vicenda è narrata da un grande lavoro storico di Philippe Minard, La fortune du
colbertisme. État et industrie dans la France des Lumières , Fayard, Paris, 1998).
In Italia non abbiamo un Luigi XIV e nei governi i ministri possono al massimo considerarsi dei Colbert in
sedicesimo, ma stiamo sperimentando le stesse contraddizioni, sotto il nome di «leggi antiscorrerie»,
rivolte, in sostanza, a investitori stranieri.
I governi italiani hanno cominciato a fare la voce grossa nel 2012, introducendo «poteri speciali»
dell'esecutivo in alcuni settori. Hanno poi allargato tali poteri. Ora, il decreto legge in corso di conversione in
legge amplia ulteriormente tali «poteri speciali» (chiamati anche «golden power», per nobilitarli) e
appesantisce gli obblighi che ne conseguono.
Ma andiamo in ordine. La legge del 2012 prevedeva obblighi di notifica dei privati investitori e poteri di veto
del governo nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché in quelli dell'energia, dei trasporti e
delle comunicazioni. In questi ultimi casi, in ipotesi di grave pregiudizio per la sicurezza e il funzionamento
delle reti e degli impianti, e per la continuità degli approvvigionamenti. Già questo dovrebbe preoccupare
chi sa quante violazioni dello Stato di diritto sono state commesse nella storia, in nome della sicurezza e
della difesa; conosce la Costituzione italiana secondo la quale all'iniziativa privata possono disporsi limiti,
ma con legge; ricorda che già la denominazione («poteri speciali») costituisce un regime d'eccezione.
Ora, però, con la norma che il Parlamento si accinge ad approvare definitivamente, si fanno tre passi
avanti. Si ampliano i settori nei quali i governi possono intervenire ponendo veti, includendo quelli ad «alta
intensità tecnologica» (che cosa può sfuggire oggi a questa denominazione?) e facendone un primo elenco
esemplificativo. Viene inserito, accanto al pericolo per la sicurezza, il pericolo per l'ordine pubblico (dizione
nella quella storicamente si può far rientrare quasi tutto). Si rimette al governo di stabilire quali sono le
attività «ad alta intensità tecnologica» (dobbiamo quindi sperare nella mitezza dei governi, considerato che
hanno mano libera).
Il neo-colbertismo nostrano contrasta con la politica dei governi italiani e viola principi sia costituzionali, sia
internazionali. Questo allargamento e appesantimento delle norme antiscorreria contrasta, innanzitutto, con
una politica conclamata da tutti i governi degli ultimi venti anni, quella di semplificazione. Il secondo comma
dell'articolo 2 della norma del 2012, la cui portata viene ora ampliata, prevede la notifica al governo dei
seguenti atti: modifiche della titolarità, del controllo e della destinazione degli attivi; cambiamento della loro
destinazione; delibere assembleari e del consiglio di amministrazione di fusione o scissione, trasferimento
all'estero della sede sociale, mutamento dell'oggetto sociale; scioglimento della società; modifica di
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clausole statutarie; trasferimento dell'azienda o di rami di essa; trasferimento di società controllate.
In secondo luogo, la nuova politica protezionistica viola un principio sviluppato dalla Corte costituzionale,
quello di legalità sostanziale. Secondo la Corte, la «riserva di legge» dell'articolo 41, secondo la quale
possono porsi limiti all'iniziativa privata solo con legge, va rispettata non solo dal punto di vista formale, con
una legge che attribuisce poteri, ma anche da un punto di vista sostanziale, disciplinando l'esercizio dei
poteri con legge. Altrimenti, l'esecutivo ha mano libera.
In terzo luogo, anche se le norme antiscorrerie sono diversificate, per imprese europee e per società extra
europee, ci si può chiedere che tipo di liberismo sia quello di coloro che prima auspicano l'abbattimento
delle frontiere economiche (aderendo all'Organizzazione mondiale del commercio e all'Unione europea), e
poi ricostituendole, in nome del nazionalismo economico.
In quarto luogo, le politiche governative che vanno in questa direzione rischiano la schizofrenia. Da un lato,
si introducono veti. Dall'altro, si cerca di rendere il contesto italiano meno ostile agli investimenti stranieri,
(specialmente da quando si sono diffuse le statistiche di Doing business, che collocano l'Italia ad un posto
molto basso nelle classifiche dei Paesi con ordinamenti giuridici favorevoli all'investimento straniero).
Infine, gli autori di queste politiche sembrano ignorare che l'Italia investe a sua volta all'estero, che acquista
imprese straniere, che fa parte di conglomerati multinazionali. Non ci sono da temere ritorsioni?
L'argomento che qualche Paese ha introdotto norme simili (ma meno pesanti) non funziona, perché, se a
ogni colpo straniero rispondiamo come Pier Capponi a Carlo VIII, finiremo per ristabilire steccati economici
nazionali peggiori di quelli che ci portarono a tante guerre.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Norme antiscorreria più larghe e più pesanti contrastano con lo sforzo di semplificare che ha unito gli
intenti dei vari esecutivi degli ultimi vent'anni
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Finanza Il riassetto del credito
la mossa di mustier così cambio governance
Saccomanni verso la presidenza dopo sei anni con Vita. Ma anche due vicepresidenti in meno Il primo bilancio del piano «Transform 2019» si annuncia positivo e in Borsa il titolo ha fatto +46% in un anno Nella «short list» per la nomina al vertice c'erano anche Carlo Salvatori e Alberto Cribiore Fabrizio Palenzona si è dimesso in anticipo, guiderà Prelios e lascerà spazio al futuro presidente Fabrizio Massaro
B
anchiere centrale, ministro dell'Economia nel governo Letta, professore alla Luiss nonché, dal 2016 visiting
professor alla Scuola Affari internazionali di Parigi: era questo l'ultimo incarico in curriculum per Fabrizio
Saccomanni. Da mercoledì 8 il direttore emerito di Banca d'Italia può aggiungere quello di consigliere di
amministrazione di Unicredit nonché la designazione a «candidato ideale alla presidenza» per il triennio
2018-2021 della banca. Sarà un buon modo per festeggiare i suoi 75 anni, il prossimo 22 novembre.
Saccomanni è stato selezionato dal board di Unicredit in una rosa di papabili individuata dal cacciatore di
teste Egon Zehnder che via via si è fatta sempre più ristretta e che prevedeva nomi altrettanto validi come
Carlo Salvatori o Alberto Cribiore. Per la sostituzione dell'italo-tedesco Giuseppe Vita, che a 83 anni
lascerà la presidenza dopo sei anni al vertice, le stringenti regole della Bce impongono automatismi che
restringono le possibilità di scelta da parte di consiglieri e soci. Ma pochi hanno dubbi che Saccomanni -
romano, laurea alla Bocconi, specializzazione a Princeton in Usa - fosse in pole position, anche nelle
preferenze di Mustier. Nonché, naturalmente, non fosse gradita a Draghi, di cui Saccomanni è stato a lungo
il più stretto collaboratore come direttore generale di Via Nazionale, incarico che ha ricoperto fra il 2006 e il
2013.
Certamente nella scelta di Saccomanni ha giocato un ruolo chiave, come ha riconosciuto lo stesso
presidente uscente, il fatto di possedere «una straordinaria esperienza del settore bancario ed una
profonda conoscenza del contesto regolamentare europeo unitamente ad un ampio network di relazioni
internazionali di cui la banca potrà beneficiare». Non che Mustier non abbia rapporti diretti ai massimi livelli
con Francoforte. Ma certamente un ex banchiere centrale ed ex politico - per di più con un profilo da
tecnico - aiuterà, anche se il presidente di una banca non ha ruoli operativi. Ma soprattutto ha pesato la
nazionalità.
La scelta su Vita era caduta anche per il fatto che il top manager siciliano avesse sviluppato l'intera carriera
in Germania - è stato ai vertici di Schering ed è numero uno dell'editore Axel Springer - e quindi poteva
essere un interlocutore per l'anima tedesca di Unicredit, rappresentata da soci storici Allianz e dalla
presenza forte nel Paese con Hvb.
Adesso, dopo il colossale aumento di capitale da 13 miliardi di euro che ha stravolto la compagine
azionaria, con le fondazioni ridotte a circa un 6% collettivo e i fondi istituzionali in maggioranza - insomma,
un profilo da public company - non era scontato neppure che il rappresentante legale di Unicredit fosse
italiano. Alla fine Saccomanni ha messo d'accordo tutti.
Il farlo entrare in anticipo nel board sulla scadenza naturale del prossimo aprile è stato l'ultimo colpo di
Fabrizio Palenzona, che si è dimesso dopo tre mandati in vista della nomina a presidente di Prelios, su
designazione del nuovo socio americano Davidson Kempner, che ha comprato le quote (anche) di
Unicredit. Pure questa uscita è il segno che nella banca costruita da Alessandro Profumo, tenuta in piedi da
Federico Ghizzoni negli anni della crisi e rilanciata da Mustier - che per questo ha voluto carta bianca dai
soci per le operazioni straordinarie - è davvero finita un'epoca.
Mustier centra con Saccomanni anche l'obiettivo di alzare il livello qualitativo del board a 15 membri che lo
stesso consiglio uscente proporrà all'assemblea dei soci. Sarà questa la novità che verrà introdotta nello
statuto il prossimo 4 dicembre, se approvata dai soci. E, nella stesura della lista, Saccomanni avrà un ruolo
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/11/2017 72
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attivo, è spiegato nella nota della banca. I posti saranno di meno e ci sarà un solo vicepresidente anziché i
tre attuali: dopo Palenzona, anche Luca Cordero di Montezemolo potrebbe preferire un passo indietro per
concentrarsi sulla quotazione di Ntv; potrebbe forse restare l'attuale vicario Vincenzo Calandra Buonaura,
al suo terzo mandato.
Mustier, che il 12 dicembre prossimo a Londra traccerà un primo bilancio del piano triennale «Transform
2019», potrà rivendicare la sua visione che una governance chiara e adeguata agli standard di una grande
banca internazionale fa bene al titolo. La Borsa finora gli ha dato ragione. Attualmente il titolo vale 16,80
euro, con un rialzo del 46% in un anno e una capitalizzazione di oltre 37 miliardi. Una volta giunto a termine
il piano potrebbero tornare in auge le voci su una maxi-operazione straordinaria, una fusione che creerà un
autentico colosso pan-europeo. A settembre erano circolati rumors su colloqui tra emissari di Piazza Gae
Aulenti e il governo di Angela Merkel per una fusione con Commerzbank, di cui Berlino è azionista
importante con il 15%. Buonaura l'aveva bollata come «una bufala». Ma contatti ci sarebbero stati davvero.
Di sicuro si tratterà di una decisione (anche) politica. E avere un ex ministro ex regolatore come presidente
sarà una carta - pesante - in più da giocare.
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20 miliardi Il rafforzamento complessivo del gruppo di Piazza Aulenti 13 miliardi L'aumento di capitale,
la parte cash del rafforzamento. E' il più grande fatto in Italia
Foto:
Fabrizio Saccomanni
Foto:
Jean-Pierre Mustier
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L' INTERVISTA Imprese multinazionali tricolori
Menarini Farmaceutica orgoglio italia
Lucia Aleotti: il nostro Paese è il secondo hub produttivo in Europa. Milano si merita l'Ema La quotazione in Piazza Affari? Non ci pensiamo. Il contenzioso fiscale con lo Stato Il gruppo fattura 3,5 miliardi. È noto al pubblico per il VivinC, ma è specializzato nell'oncologia «I big esteri hanno costruito qui centri di produzione mondiale. Non è casuale» Raffaella Polato
D ei target (aziendali) dice: «Per definizione si spostano sempre in avanti». Del settore in cui opera (e da
leader, non soltanto a livello nazionale): «L'Italia ha smesso di colpevolizzare la farmaceutica, ha
finalmente capito che è un fattore non di costo ma di crescita». Del Paese, di conseguenza (forse): «Pur se
il dialogo con la pubblica amministrazione resta spesso difficile, negli ultimi anni sono stati fatti grossi passi
avanti. E questo ci ha aiutato a diventare una delle mete in assoluto più attrattive, anche per i colossi
mondiali».
Lucia Aleotti lo sottolinea più e più volte. Un po' con orgoglio, come quando aggiunge che «solo logiche
geopolitiche, senza nulla a che vedere con la sostanza delle cose, potrebbero far perdere a Milano la sede
dell'Agenzia europea per il farmaco». Un po' con qualcosa che assomiglia alla rivendicazione.
Comprensibile. Il Paese di cui per molti aspetti lei tesse le lodi non ne discute i meriti imprenditoriali:
l'azienda di famiglia di cui è presidente, la Menarini, è oggi una multinazionale da 3,5 miliardi di fatturato
che esporta il 73% di quello che produce (al grande pubblico è nota per il VivinC o il Fastum Gel, ma la sua
vera specializzazione è l'oncologia), dà lavoro a poco meno di 17 mila persone (e nove su dieci sono
laureati o tecnici superspecializzati), investe massicciamente soprattutto in Ricerca & Sviluppo (sui 280
milioni l'anno solo lì), gioca da top player in Europa (è dodicesima in classifica) e su scala globale
(trentaseiesima). Con Lucia Aleotti soggetto fiscale, e con il fratello Alberto (che del gruppo è
vicepresidente), lo Stato ha però un lungo e pesante contenzioso. Nel settembre 2016 il processo di primo
grado si è concluso con una condanna a 10 anni e sei mesi per lei, sette anni e sei mesi per lui. Parlerà
anche di questo, ovviamente.
L'azienda, intanto. La redditività industriale è invidiabile: 411 milioni su 3,5 miliardi di ricavi significano un
margine vicino al 12%. Non vi siete però mai più avvicinati al picco di mezzo miliardo, ovvero il 17%, del
2011. Che cos'è successo?
«Che il 2011, novembre, è stato l'anno dell'ingresso Menarini nel mercato Asia-Pacifico. Abbiamo acquisito
l'Invida Group e aperto la sede di Singapore: un grosso investimento, per noi, che si è tradotto nella
compressione dei margini. Ma deve guardarlo in prospettiva. È una scelta di crescita per i prossimi dieci,
quindici anni. L'Asia-Pacifico è una delle aree del mondo a maggior tasso di sviluppo, non potevamo non
esserci».
E adesso che ci siete? I target «fatti per essere sempre spostati in avanti», come dice lei, al momento dove
sono arrivati?
«L'obiettivo è mantenere una crescita robusta e un'azienda sana, dunque senza indebitamento. A meno
che non capiti una grossa occasione, chiaramente».
Perdoni: se capitasse, l'occasione, perché non pensare alla Borsa anziché alle banche? Allergia familiare a
Piazza Affari?
«Ma no. È che il capitale raccolto in Borsa richiede di essere remunerato con un flusso continuo di
dividendi, e noi preferiamo reinvestire gli utili nell'azienda. Con ciò non si chiude nessuna porta: cosa c'è
nel futuro non lo possiamo sapere, e se l'occasione fosse grossissima...».
Nell'immediato, invece, cosa c'è? Come chiuderà il 2017?
« Questo è l'anno in cui è scaduto un brevetto che per noi significava mezzo miliardo di ricavi. Quando dico
che il nostro obiettivo è mantenere una crescita robusta, intendo che nemmeno fattori come questo - un
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farmaco brevettato che diventa farmaco generico - devono poter pesare più del dovuto. Pensiamo di poter
arrivare comunque a 3,6 miliardi di fatturato».
A proposito: quanto dura un brevetto?
«Troppo poco. Vent'anni: ma l'orologio inizia a segnare il tempo quando si è ancora in fase di ricerca,
perché è evidente che il farmaco viene brevettato subito».
E la ricerca richiede?
«Tra i dieci e i dodici anni di tempo, una media di un miliardo di investimenti. Per recuperarli, come vede,
non resta molto».
Comunque più che sufficiente, a giudicare dai profitti. Vostri e di tutta l'industria farmaceutica. Sintesi: la
ricerca «paga».
«E fa bene al Paese. L'Italia è ormai il secondo hub produttivo europeo e continua a crescere, esporta
tantissimo, big come Novartis e Pfizer hanno scelto di costruire qui centri di produzione mondiale. Non è
casuale. Alla ricerca uniamo una produzione tecnologica altamente specializzata e il risultato, anche se non
se ne parla mai, è che la farmaceutica è un'eccellenza italiana. Esattamente come la moda, o la
meccanica, o le auto».
Una bandiera, quindi.
«Di più. La dimostrazione di come l'Italia possa avere un futuro se punta su questo: ricerca e alta
tecnologia».
Di quel possibile futuro il gruppo Menarini continuerà a far parte? O il contenzioso con il Fisco, e poi la
condanna in primo grado, hanno fatto pensare a lei e a suo fratello almeno all'ipotesi di spostare la sede
all'estero?
« Chiariamo. Primo: l'azienda è assolutamente estranea, e la centralità dell'Italia nella nostra politica,
anche fiscale, è dimostrata dal fatto che il gruppo realizza qui il 27% del proprio fatturato ma qui paga il
60% di tutte le sue tasse. Fanno oltre due miliardi, negli ultimi 15 anni. Mi pare sia significativo: dovrebbe
farci riflettere sulle ragioni per cui molti grandi gruppi nazionali trasferiscono la residenza all'estero, o
vengono semplicemente venduti. Detto questo, ovviamente mi esimo dal commentare la sentenza, ma non
posso non notare che è stato considerato atto di riciclaggio l'utilizzo dello scudo fiscale, cioè di una legge
dello Stato. E qui mi fermo».
Qui in realtà, al di là del caso personale e di quanto stabilirà poi il secondo grado di giudizio, lei apre un
altro capitolo: quello dei grandi gruppi, e ormai anche dei medi, che traslocano verso Paesi più tax friendly.
Paesi dell'Unione europea, non paradisi fiscali caraibici. L'Italia è «attrattiva», per usare la sua definizione,
più per gli stranieri che per le imprese della Repubblica?
«Diciamo che ho visto molti dibattiti e molti sforzi, giusti, per capire come attrarre capitali dall'estero. Sta
accadendo. Quello che non ho mai visto trattare è invece il tema "come mantenere le aziende qui e non
farle scappare". Che è quello che stanno facendo».
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Vertici Lucia Aleotti, alla guida con il fratello Alberto del gruppo Menarini
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/11/2017 75
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Investimenti L'intervista
I tassi? Resteranno bassi
Dropkin (Fidelity): il minor impegno della Fed è già nei prezzi. Puntiamo sulle emissioni societarie europee Gabriele Petrucciani
Eccessivo debito globale, invecchiamento della popolazione e scarsa produttività. Sono i tre fattori
strutturali che manterranno bassi i tassi, a vantaggio dell'investimento obbligazionario. Non ha dubbi Martin
Dropkin, head of credit research di Fidelity International, che non si mostra intimorito neanche di fronte al
possibile tapering della Bce: «A oggi il mercato sta già prezzando un ribilanciamento del quantitative
easing, che potrebbe ridursi da 60 a 40 miliardi. Il suo effetto, quindi, sarebbe nullo».
E se l'alleggerimento nell'acquisto di titoli fosse più aggressivo?
«In tal caso ci potrebbe essere un'estensione del Qe, accompagnato da un rialzo contenuto dei tassi. Ma
sarà solo temporaneo. Non ci aspettiamo un incremento stabile dei tassi, in quanto ci sono dei fattori
strutturali che tendono a mantenerli bassi. Certo, nel breve potremmo vedere un po' di volatilità, ma nel
medio termine ci aspettiamo che i tassi siano dove si trovano oggi. In Europa, ma anche negli Usa».
Negli Stati Uniti, però, i tassi potrebbero essere messi sotto pressione (rialzista ) dalla riforma fiscale
prospettata da Trump. Non crede?
«Se mi avesse fatto questa domanda un mese fa avrei risposto che il mercato obbligazionario non stava
prezzando una possibile riforma fiscale. Ora, invece, in seguito al piano di riforma prospettato da Trump, i
tassi sono leggermente saliti. Detto questo, sulle politiche del governo americano non mi sento di fare
previsioni. Quello che posso dire, però, è che un'eventuale riforma eserciterà sicuramente una pressione
rialzista sui tassi. Ma il nostro scenario non verrebbe messo in discussione, in virtù sempre dei trend di
lungo periodo (eccessivo debito, invecchiamento della popolazione e scarsa produttività, ndr) che
continueranno a esercitare una pressione ribassista sui tassi».
In questo contesto, come costruire un portafoglio obbligazionario?
«Siamo costruttivi sui corporate bond a elevato merito creditizio, in particolare in Europa, dove il mercato è
supportato anche dal trend di crescita dei costi di copertura valutaria verso il dollaro (l'investitore europeo
ha un motivo in più per comprare bond europei, ndr ). Sugli Stati Uniti, invece, abbiamo un posizionamento
neutrale. L'inflazione a stelle e strisce salirà entro la metà del 2018 dall'attuale 1,7% al 2,5% e questo trend
non è ancora prezzato».
Quindi c'è spazio anche per i bond legati all'inflazione...
« In America sì, le inflation linked possono essere un valido strumento per proteggersi dall'aumento del
costo della vita. In generale, poi, guardiamo con favore anche ai convertible bond, che possono
rappresentare un'interessante opportunità d'investimento».
E negli Emergenti c'è del valore?
«La nostra preferenza va soprattutto al debito societario in dollari. In valuta locale, invece, ci piacciono
particolarmente l'Ungheria e il Perù».
Quali i settori più promettenti?
«I nostri fondi sono posizionati in maniera difensiva alla luce del restringimento degli spread, quindi siamo
focalizzati sui fondamentali delle singole aziende piuttosto che sui settori, sempre con un obiettivo
difensivo. Fatta questa premessa, ci sono settori più difensivi di altri. Tra questi ci piacciono le telecom,
dove guardiamo a specifiche aziende i cui fondamentali e il cui management team ci sembrano
soddisfacenti. Le opportunità legate a comparti come l'innovazione tecnologica, invece, possono essere
colte meglio attraverso l'investimento azionario. Lato bond infatti siamo inclini a evitare le aziende che
potrebbero essere penalizzate dall'innovazione tecnologica e in tutti i nostri comparti obbligazionari
restiamo focalizzati sul contenimento del rischio e la difesa da possibili sorprese indesiderate».
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/11/2017 76
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Un mondo di debiti In%del Pil, media ponderata 190% 195% 200% 205% 210% 215% 220% 225% 2003
2005 2007 2009 2011 2013 2015
Foto:
Martin Dropkin
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/11/2017 77
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LA VERA ROTTA
Una strategia per chiudere l'emergenza
Salvatore Padula
L'Unione europea, da molti anni, non perde occasione per ricordarea ogni nostro governo che «il sistema
fiscale dell'Italia non favorisce la crescita e l'efficienza dell'economia». Con altrettanta ostinazione,
Commissione e Consiglio raccomandano da tempo misure finalizzate a trasferire il carico fiscale sul lavoro
e sulla produzione verso imposte meno penalizzanti per la crescita, rispettando il principio della neutralità di
bilancio. L'Europa, quindi, continuaa ripeterci che le tasse non sono tutte uguali. Belleo brutte che siano,
alcune rappresentano inevitabilmente un ostacolo allo sviluppo, mentre altre offrono almeno il vantaggio di
non appesantire i fattori produttivi. Ma se guardiano all'ultimo decennio, nei cambiamenti della
composizione del prelievo tributario è possibile intravedere una strategia finalizzata ad assecondare le
esigenze di un'economia moderna? Risposta complessa, ovviamente. L'ossatura del sistema fiscale ha
cercato, per così dire, di pararei colpi di una crisi economico•finanziaria che giustamente è stata definita
come la più profonda di sempre per il nostro Paese. Una lunga crisi dalla quale solo ora cominciamo a
uscire ma dalla quale fatichiamo comunque a riprenderci. In questo contesto di grande depressione, è
come se il sistema fiscale non sapesse bene quale direzione prendere e con la pesantissima responsabilità
di continuarea garantire un adeguato afflusso di risorse nel bilancio dello Stato, nonostante gli andamenti
congiunturali. Per avere un'idea, lo scorso anno, a consuntivo, il gettito di tasse e imposte in Italia ha
superato i 516 miliardi di euro, al lordo di 44 di poste correttive, arrivati da tributi erariali veri e propri (451),
tributi degli enti locali (56)e incassi da ruoli (9). Continua pagina 10 Come riesce, il Fisco, a tenere il passo
di queste esigenze? Beh, lo fa come può, cercando di navigare tra i mari agitati delle fasi economiche. Se
crollano i redditi, l'Irpef e l'Ires ne risentiranno certamente. Se i consumi arrancano, stessa sorte toccherà
all'Iva. Ed ecco allora spuntare alcune "scialuppe", sapientemente varate a turno tra le onde della
congiuntura, che sebbene non abbiano potuto evitare la forte riduzione del gettito complessivo che si è
vista in alcuni anni, ne hanno almeno limitato l'impatto. Ed è esattamente quel che è successo: con i redditi
in calo si è scelto di spingere l'acceleratore sulla tassazione dei patrimoni: gli immobili (tutt'ora) e il
risparmio (tra il 2012 e il 2013) hanno dato grandi soddisfazioni all'Erario. Per inciso, la Ue continua a
insistere sul prelievo immobiliare ignorando che in questi anni le tasse sul mattone sono praticamente
raddoppiate, pur con l'esenzione della prima casa. O ancora: si è deciso di ridurre i trasferimenti agli Enti
locali e alle Regioni, lasciando alle autonomie il lavoro sporco di aumentare - almeno fino a quando è stato
possibile farlo - le aliquote dei loro tributi. Per i consumi, dove si è comunque portata al 22% l'aliquota Iva
ordinaria, si è guardato ad alcuni comparti nei quali la composizione del prezzo finale di un bene è talmente
complessa e soggetta a fluttuazioni internazionali da consentire quasi di "nascondere" gli aumenti delle
aliquote del prelievo fiscale, come è accaduto per le accise sui carburanti, con un aumento della
componente fiscale del 15% in un decennio, pur in presenza di una riduzione dei consumi del 19% tra il
2010 e il 2016 (fonte: Unione petrolifera). Oppure, si pensi a giochi e lotterie, con un gettito a +34% dal
2008 a oggi: è cresciuto il volume degli importi giocati, perché si sono moltiplicane le occasioni e i luoghi di
gioco, ma è anche cresciuta la quota di "scommessa" che finisce allo Stato. Insomma: in questi ultimi 10
anni non si vede una grande strategia fiscale. Anzi, il passato è la conferma di un sistema che deve fornire
risposte sulla continua emergenza legata al gettito, un po' come ha ricordato Massimo Miani, presidente dei
commercialisti, solo pochi giorni fa. Ora, è ovvio che il gettito sia e debba essere la prima preoccupazione
di ogni sistema fiscale. Quel che però si vuol dire è che si vedono ancora pochi tentativi, che pure in alcuni
casi ci sono stati (gli incentivi su ammortamenti e Industria 4.0, per citarne un paio), di un uso intelligente e
orientato alla crescita della leva fiscale. Proprio come insiste la Ue. Su Irap e Ires, si dirà, sono state fatte
scelte virtuose. Verissimo, ma non si può ignorare che la riduzione di queste imposte sia e sia stato (anche)
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l'effetto dell'arretramento delle attività economiche. Inoltre, le nostre aziende continuano ad essere
penalizzate nel confronto internazionale, con un tax rate ben oltre il 60 per cento. Senza dire che
comunque sul sistema produttivo, oltre a tributi erariali e locali di ogni tipo, pesano anche oltre 200 miliardi
di euro di contribuiti sociali, in gran parte pagati proprio dalle imprese e dai loro lavoratori. Un po' di aiuto
arriverà ora con gli sgravi della legge di Bilancio. Il che è positivo. Tuttavia, è innegabile che sul fronte
fiscale, in chiave crescita, si sarebbe potuto fare molto di più, specie se i risparmi della spending review
fossero stati in linea con quanto ci si era illusi di poter ottenere. Non dobbiamo scordare che persino le
citatissime clausole di salvaguardia, con l'aumento delle aliquote Iva - congelate anche nel 2018 per un
importo di 15,7 miliardi, ma che puntualmente si ripresenteranno per il 2019 - nascevano anni prima come
garanzia nel caso in cui non si fossero realizzati i promessi tagli di spesa pubblica. È comprensibile, e forse
normale, che a qualche mese dalle elezioni si sia preferito evitare di affrontare la campagna elettorale con il
fardello di aliquote Iva più salate. La cosa che però sorprende è che l'aumento dell'Iva sia ormai da tutti
considerato ineluttabile: un destino già scritto per il prossimo futuro. Quasi che nessuno abbia il coraggio di
dire che resta comunque aperta la via dei tagli agli sprechi e alla spesa pubblica improduttiva. Non
dimentichiamolo. O almeno impegniamoci a non lamentarcene quando l'Iva aumenterà. u Continua da
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Super Fisco, il conto della crisi
Il prelievo sale al 42,6% - Irpef locale e casa al top dei rincari, giù Irap e Ires Cristiano Dell'Oste Giovanni Parente
pIrpef locale e prelievo sulla casa al top dei rincari fiscali. Dal 2008 a oggi è cresciuto del 31,7% il gettito
dell'addizionale regionale all'imposta sui redditi delle persone fisiche, che a fine anno dovrebbe arrivare a
toccare quota 12 miliardi di euro. Mentre la tassazione degli immobili • passata da varie denominazioni (Ici,
Imu, Tasi) e modifiche su presuppostie platea • è stata oggetto quasi di un raddoppio nell'arco dell'ultimo
decennio fortemente caratterizzato dalla crisi economica. Nel complesso la pressione fiscalea fine anno
dovrebbe attestarsi al 42,6% rispetto al Pil: un dato (al lordo del bonus 80 euro) che segna una crescita sul
2008 ma in miglioramento rispetto ai picchi del 2012•2013. Si riduce, invece, il gettito Ires e Irap per effetto
delle modifiche legilsative rispettivamente su aliquote e deduzioni. pagina 3 Qualsiasi imprenditore,
lavoratore e professionista italiano potrebbe dirvi che le imposte sono alte. E i dati dell'Istat e della nota di
aggiornamento al Def certificano che nel 2017 la pressione fiscale sul Pil rimarrà più elevata rispetto ai
livelli pre•crisi: 42,6% (al lordo del bonus 80 euro, altrimenti sarebbe 42%) contro il 41,3% del 2008. Ma
nell'arco di dieci anni ci sono tributi che hanno visto crescere - e di molto- il proprio peso,e altri che invece
sono diventati più leggeri. Molti dei rincari maggiori riguardano i tributi locali, a partire da Imu e Tasi, ma
anche le addizionali comunale e regionale all'Irpef. In calo, invece, il gettito di Ires e Irap su società,
imprese e autonomi. Mentre i due tributi più importanti per le casse pubbliche - l'Irpef e l'Iva - non sembrano
aver subito variazioni sostanziali rispetto al 2008, anche se gli incassi derivanti dall'imposta sul valore
aggiunto hanno visto nel corso degli anni una riduzione più marcata e poi una ripresa, legata tra l'altro al
rincaro di due punti percentuali dell'aliquota ordinaria (dal 20 al 22%)e al meccansimo dello split payment
(si veda anche l'articolo sotto). D'altra parte, proprio per scongiurare l'aumento dell'Iva (e delle accise) dal
prossimo 1° gennaio, se ne va il grosso delle risorse stanziate con la manovra di Bilancio 2018: circa 15,7
miliardi tra collegato fiscale e disegno di legge, cui se ne aggiungono altri 6,4 per il 2019. Il tutto mentre si
apre già la lunga volata della campagna elettorale, con candidati e partiti intenti a rilanciare l'eterna
promessa di taglio delle tasse in cima alle proprie agende. Senza dimenticare gli allerta in arrivo dalla
Commissione europea, che sul finire della scorsa settimana è tornata a far filtrare qualche perplessità sulla
tenuta dei conti pubblici. Ecco perché guardare come si è mosso il gettito dei principali tributi nel periodo
più buio della crisi economica può aiutare a capire quale potrebbe essere il trend dei prossimi anni. La
corsa (e lo stop) dell'Imu Paradossalmente, il maggior incremento di gettito è una buona notizia peri
contribuenti, perché riguarda la cedolare secca, regime opzionale che riduce l'incidenza dell'Irpef sui redditi
delle locazioni abitative e - secondo gli stessi documenti governativi - contribuisce ad arginare il fenomeno
degli affitti in nero. Secondo la proiezione a fine 2017 basata sul preconsuntivo dei primi nove mesi
dell'anno, la tassa piatta sfiorerà i 2,5 miliardi (+248% rispetto al 2011, in cui peraltro il debutto avvenne in
corsa e tra mille incertezze). Fatta questa eccezione, agli altri aumenti di gettito corrisponde un incremento
del tax rate vero e proprio. Rispetto al 2008, l'aumento maggiore è ancora quello di Imu e Tasi, che pure
vivono una stagione di "tregua" dopo il blocco dei rincari dettato dalla legge di Stabilità 2016 (e riconfermato
per l'anno prossimo): compreso il saldo del 16 dicembre, quest'anno i due tributi immobiliari porteranno
nelle casse dei Comuni e dell'Erario un gettito quasi doppio rispetto all'Ici del 2008: circa 20,8 miliardi
contro 10,9 (dato, quest'ultimo, attualizzato per rendere possibile il confronto a parità di potere d'acquisto).
Anche le addizionali comunale e regionale all'Irpef vedono un andamento analogo e si sono stabilizzate nel
2016 dopo essere state usate per "scaricare" sulla tassazione locale almeno una parte della stretta
tributaria seguita all'emergenzaspread di fine 2011. I primi sgravi su utili e lavoro Guardando anchei tributi
erariali, nell'attuale "mix delle tasse" si intravedono, di fatto, due componenti. Da un lato, negli anni peggiori
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della crisi si è cercato di recuperare gettito dove era possibile senza colpire ulteriormentei redditi di lavoroe
di pensione su cui gravano già le ritenute Irpef (dagli immobili, ma anche dalla benzina, dai giochie dai
bolli), e gran parte di questi rincari pesano ancora oggi sulle tasche dei contribuenti. Dall'altro, dal 2014 si è
iniziato ad alleggerire la pressione fiscale in alcuni settori, nel tentativo di far ripartire i consumi o, a
seconda dei casi, la produttività. Categoria in cui ricadono il bonus degli 80 euro o il al taglio dell'Irap sulla
componente lavoro o ancora, dall'anno d'imposta 2017, alla riduzione dell'Ires al 24 per cento. Il trend delle
imposte dal 2008 a oggi La variazione del gettito dei principali tributi tra il 2017 e il 2008 in termini reali.
Dato 2008 rivalutato a parità di potere d'acquisto, dato 2017 proiezione sui primi nove mesi dell'anno In
milioni di euro 2008 2017 Fonte: elaborazione del Sole 24 Ore del Lunedì su dati Entrate tributarie Irpef Iva
Ires Accise su carburanti, gas ed energia Irap Imu e Tasi Imposte sui giochi Addizionale regionale Irpef
Imposta sui tabacchi Sostitutive e ritenute su rendite finanziarie 180.875 132.375 52.872 28.240 42.271
10.886 10.169 9.118 11.501 13.661 182.438 127.982 34.275 32.597 23.553 20.853 13.624 12.005 10.397
8.685 +0,9% -3,3% -35,2% +15,4% -44,3% +91,6% +34,0% +31,7% -9,6% -36,4%
LA PAROLA CHIAVE
Ritenute d'imposta 7 Sono le somme trattenute direttamente da datori di lavoro ed enti pensionistici nelle
buste paga e nelle pensioni. Tramite questo meccanismo, viene riscossa la maggior parte dell'Irpef. Altri
tributi, sia diretti che indiretti, vengono invece versati in autoliquidazione dal contribuente che "calcola" in
proprio l'imposta dovuta: è il caso dell'Irpef pagata da autonomi e imprese, dell'Ires e dell'Irap, oltre che dei
pagamenti periodici dell'Iva e dei tributi immobiliari (Imu e Tasi).Il quadro dei tributi principali L'evoluzione
del gettito dei principali tributi dal 2008 al 2017. I dati delle annualità fino al 2016 sono rivalutati a prezzi
correnti 2017 con l'indice Istat Foi. Il dato 2017 è una proiezione sul trend delle entrate preconsuntive dei
primi nove mesi dell'anno. Dati in milioni di euro 2017 Irpef 182.438 Iva 127.982 Ires 34.275 Accise su
energia, gas e carburanti (1) 32.597 Irap 23.553 Tributi immobiliari Imu e Tasi (2) 20.853 Imposte sui giochi
(3) 13.624 Addizionale regionale irpef 12.005 Imposta sui tabacchi 10.397 Sostitutive e ritenute su rendite
finanziarie (4) 8.685 Bollo 6.262 Registro 4.845 Addizionale comunale irpef 4.484 Assicurazioni 3.199
Cedolare secca sugli affitti 2.477 Canoni radio e tv 1.897 Tasse e imposte ipotecarie 1.601 Tassazione
sugli acolici (5) 1.330 Concessioni governative 1.008 Tasse auto 577 La pressione fiscale in rapporto al Pil
Dati in %. Dato 2017 stima contenuta nel Def al lordo del bonus 80 euro Irpef Il gettito in termini reali ha
raggiunto il minimo nel 2014. Il trend è legato principalmente al calo dei redditi Iva L'aliquota ordinaria è
salita al 21% a settembre 2011 e al 22% il 1° ottobre 2013. Dal 2015 debutta lo split payment Ires Il taglio
dell'aliquota al 24% scatta dal 2017. Per il passato pesano la crisi e (in misura minore) gli incentivi come
l'Ace Accise su energia, gas e carburanti (1) Il prelievo sui prodotti energetici - carburanti in primis - cresce
nonostante il calo dei consumi legato alla crisi Irap Trend in calo consolidato, nonostante i rincari per gli
extradeficit sanitari. Dal 2016 detassazione completa del lavoro Tributi immobiliari Ici Imu e Tasi (2) Il balzo
avviene nel 2012 con l'Imu. L'esenzione prima casa spiega i cali (relativi) del 2013 e degli ultimi due anni
Imposte sui giochi Bollo Registro (3) La tassazione sui giochi, più volte rivista nel corso degli anni, è
cresciuta anche con le nuove forme di gioco 42 175.000 125.000 60.000 45.000 30.000 35.000 30.000
25.000 35.000 30.000 20.000 10.000 8.000 Addizionale regionale Irpef Imposta sui tabacchi 12.000 42.271
10.886 Prelievo su rendite finanziarie (4) Addizionale comunale Irpef Assicurazioni 16.000 Cedolare secca
sugli affitti Canoni radio e Tv 20.000 T asse e imposte ipote car ie Tassazione sugli acolici (5) Tasse auto
44 40 190.000 160.000 140.000 110.000 50.000 Conce ssioni gover native 2008 2009 2010 2011 2012
2013 2014 2015 2016 2017 41,3% 180.875 132.375 52.872 28.240 10.169 41,8% 172.717 123.803 37.890
29.122 35.979 10.346 11.938 165.287 115.635 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 9.118 8.894
8.846 8.855 10.977 10.744 11.060 11.447 12.027 12.005 5.989 6.295 5.973 5.874 6.312 7.810 7.837 7.261
5.967 5.212 5.393 4.958 4.198 3.925 4.302 4.300 3.019 3.161 3.091 3.070 3.308 3.936 4.201 4.345 1.253
1.185 1.122 1.141 1.072 1.109 1.293 1.262 683 41,6% 41,6% 653 43,6% 43,6% 637 43,4% 43,4% 32.616
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34.195 30.773 25.209 11.131 1.755 1.747 1.745 1.697 1.639 1.581 1.389 1.098 584 42,6% 182.438 34.275
23.553 13.624 -3,3% -35,2% -44,3% +1,3% +0,9% +15,4% Note: (1) accise sui prodotti energetici e
derivati, gas naturale per combustione e gas incondensabili; accisa su energia elettrica e addizionali;
imposta di consumo su oli e bitumi di petrolio; (2) include Ici (fino al 2011), Imu (dal 2012) e Tasi (dal 2014);
(3) include lotto (al lordo delle vincite), attività di gioco e imposte su apparecchi di gioco. Escluse le lotterie
istantanee; (4) include sostitutive e ritenute interessi, altri redditi di capitale e plusvalenze; (5) include
accise e imposta di consumo su spiriti e birra
Fonte: elaborazione del Sole 24 Ore del Lunedì su dati Entrate tributarie, Istat e Def 42,7% 127.982 32.597
2016 2017 11.501 11.546 11.531 11.530 11.205 10.495 10.407 10.764 10.817 10.397 13.661 13.563 6.809
6.388 9.439 10.876 10.184 11.245 675 660 601 20.853 9.130 8.685 6.878 6.262 4.787 4.845 4.546 4.484
3.429 3.901 3.646 3.243 3.134 3.066 2.969 3.104 3.135 3.199 711 1.064 1.505 1.723 2.034 2.389 2.477
1.805 1.829 1.839 1.815 1.797 1.797 1.756 1.740 2.026 1.897 2.656 2.267 2.222 2.165 1.941 1.874 1.537
1.539 584 1.599 1.601 1.311 1.330 958 1.008 604 577 -36,4% -18,8% -39,7% Variazione % 2017/2008 -60
-40 -20 -42,6% -9,6% -6,7% -14,5% 0 20 40 60 +91,6% +34,0% +4,6% Var. % 2017/2011 +5,1% +6,1%
+31,7% 80 100 +48,5% +248,1%
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I prestiti ripartono, il reddito resta indietro
Francesca Barbieri Chiara Bussi
Le condizioni di salute dell'economia italiana migliorano, ma restano ancora un po' anemiche. Nonostante
la revisione al rialzo delle stime sul Pil per il 2017 da parte della Commissione europea, il cruscotto di 16
indicatori indivi• duati dal Sole 24 Ore mostra che il recupero è avvenuto a ritmi diversi e con numerose
sfaccettature. Da un lato ripartono prestiti, mutui e la ricchezza finanziaria delle famiglie, anche grazie alle
mosse della Bce. Dall'altro Pil e reddito disponibile procapite restano al palo. I più distanti dal traguardo
sono le compravendite di case e le immatricolazioni di auto. Ancora in affanno tutte le voci legate ai
consumi, dai beni durevoli ai generi alimentari, passando per abbigliamento e calzature. In controtendenza
le spese legate alla cultura, quelle per telefonia, alberghi e ristoranti. In ripresa il credito al consumo, dove
avanzano "surroghe" e rifinanziamenti. pagina 2 Pil in crescita dell'1,5 per cento, 22,9 milioni di occupati,
consumi oltre mille miliardi e 800mila case vendute. Si presentava così l'Italia nel 2007 alla vigilia di una
crisi che dal sistema finanziario ha contagiato l'economia reale. La cadutaè stata pesantee dopo l'anno
nero del 2013 lo stato di salute del paese ha iniziato lentamentea migliorare, ma le tracce del malessere si
intravedono ancora oggi. Dieci anni dopoa che punto siamo nel percorso di risalita? Il Sole 24 Ore ha
messo sotto la lente 16 indicatori con il fermo immagine al 2016 per misurare la distanza dall'anno "zero".
Proprio la settimana scorsa la Commissione europea ha alzato le stime sul Pil: rispetto allo 0,9% previsto a
marzo il nostro paese crescerà secondo Bruxelles dell'1,5%, lo stesso ritmo di dieci anni fa, dopo l'1% del
2016. È presto però per cedere a facili trionfalismi, perché siamo il fanalino di coda nella Ue, lo stesso
esecutivo comunitario si aspetta una frenata per il 2018, il ritmo di recupero non è stato per tutti lo stesso e
presenta numerose sfaccettature. Velocità diverse di risalita Timidi sprazzi di luce si intravedono sul
mercato del lavoro. Gli occupati, che già lo scorso anno erano a un soffio dalla meta, sono tornati ai livelli
precrisi nel corso del 2017, dopo il calo consistente che ha portato nel 2013 alla perdita di 900mila posti
rispetto ai 23 milioni del 2008. Il recupero ha riguardato però solo i lavoratori "maturi", mentre tra i giovani
gli occupati sono diminuiti del 33,7% in dieci anni nella fascia di età trai 15 e i 24 anni e del 27,4% in quella
tra i 25 e i 34 anni. Restano distanti dal traguardo le compravendite di case e le immatricolazioni di auto.
Continuano poi ad arrancare tutte le voci legate ai consumi, da quelli totali ai beni durevoli, passando per
alimentari, vestiti e calzature, senza contare che Pil pro capite e reddito disponibile sono ben lontani dai
livelli del 2007 . Hanno invece già superato la quota precrisi gli indicatori finanziari, dall'erogazione di mutui al
credito al consumo. Spicca il dato della ricchezza finanziaria netta che ha proseguito il trend al rialzo del
2015. «È l'effetto • spiega Luigi Campiglio, ordinario di Politica economica all'università Cattolica di Milano •
della forte immissione di liquidità effettuata dalla Bce con il quantitative easing, ma anche del maggior
flusso di prodotti finanziari e assicurativi». Nel corso degli anni si è assistito, però, a un incremento della
concentrazione delle attività finanziarie: secondo l'ultima rilevazione della Banca d'Italia le famiglie più
ricche detengono il 65% del totale, sei punti percentuali in più rispetto al periodo prima della crisi. Spesa
per cultura in crescita Tra le tante ombre qualche piccolo segnale incoraggiante c'è: gli italiani tornano a
spendere per la cultura e nel 2016 hanno sborsato 68,4 miliardi superando i 67,3 miliardi del 2007, dei quali
ben il 43% per teatro, cinema, musei e concerti. La tendenza non ha però la stessa portata in tutto il Paese.
La spesa media mensile è infatti nettamente superiore al Centro•Nord (circa 160 euro) rispetto al Sud (90
euro) edè legatoa doppio filo al reddito disponibile. E il confronto con gli altri Paesi europei ci situa ancora
una volta sotto la media. «Il quadro è dunque ancora in chiaro•scuro • conclude Campiglio •: la ripresa c'è ma
è ancora anemica e rimarrà fragile fino a quando non si risolleveranno i consumi. Per accelerare
l'avvicinamento al traguardo servono incentivi mirati, anche fiscali, per migliorare il potere di acquisto delle
famiglie,a partire dai redditi più bassi. Occorre anche puntare su un consumo sostenibile, premiando la
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qualità ambientale dei consumi durevoli, e potenziando le infrastrutture civili».Il cruscotto degli indicatori
Confronto tra 16 indicatori che fotografano lo stato di salute dell'economia italiana dal punto di vista delle
famiglie. Per ciascuno sono riportati i dati relativi al 2007, 2016 e l'anno in cui si è registrata la peggiore
performance. Ponendo come base 100 l'anno 2007 si è calcolato il valore del 2016. Il colore rosso indica
un livello ancora al di sotto al periodo precrisi, quello verde un livello al di sopra 29.000 27.000 25.000
INDICE 2007 = 100 60 70 80 90 100 110 120 130 140 23,0 22,5 22,0 Dati in euro 28.713 2007 INDICE
2007 = 100 60 70 80 90 100 110 120 130 140 22.000 21.000 20.000 INDICE 2007 = 100 1.000.000
500.000 2016 65 0 PIL PRO CAPITE 2016 90 OCCUPATI In milioni 22,9 2007 25.900 22,8 LIVELLO
MINIMO REDDITO DISPONIBILE LORDO Importo in euro pro capite 21.689 2007 2016 99 21.411 2016
2016 20.694 2013 60 70 80 90 100 110 120 130 140 COMPRAVENDITA DI CASE Numero di abitazioni
acquistate su base annua 808.827 2007 INDICE 2007 = 100 99 2016 2016 528.865 2016 25.400 2013
LIVELLO MINIMO 22,2 2013 LIVELLO MINIMO LIVELLO MINIMO 403.124 2013 60 70 80 90 100 110 120
130 140 50 25 0 3.500 3.000 700 600 500 70 55 40 EROGAZIONI DI MUTUI Dati in miliardi di euro 47,4
2007 INDICE 2007 = 100 2.500 2.960 2007 INDICE 2007 = 100 PRESTITI 525,7 2007 INDICE 2007 = 100
49,7 2016 2016 105 In miliardi di euro CREDITO AL CONSUMO 59,8 2007 3.239 2016 2016 109 Stock di
fine anno. Dati in miliardi di euro 697,8 60,6 2016 LIVELLO MINIMO RICCHEZZA FINANZIARIA NETTA
DELLE FAMIGLIE 2016 19,1 2013 60 70 80 90 100 110 120 130 140 LIVELLO MINIMO 2.618 2011 60 70
80 90 100 110 120 130 140 LIVELLO MINIMO 618,5 2008 60 70 80 90 100 110 120 130 140 INDICE 2007
= 100 2016 133 Erogazioni in miliardi di euro LIVELLO MINIMO 45,4 2013 60 70 80 90 100 110 120 130
140 2016 101 1.000 950 900 INDICE 2007 = 100 60 70 80 90 100 110 120 130 140 100 80 60 2.700 2.550
2.400 Spesa per consumo in miliardi di euro - valori concatenati (2010) 60 70 80 90 100 110 120 130 140
50 40 30 CONSUMI TOTALI Spesa per consumi finali in miliardi di euro - valori concatenati (2010) 1.001,1
2007 2016 96 BENI DUREVOLI 90,3 2007 INDICE 2007 = 100 60 70 80 90 100 110 120 130 140 2016 87
SPESA MENSILE Spesa media mensile per consumi delle famiglie in euro 2.649 2007 INDICE 2007 = 100
2016 95 BENZINA E GASOLIO Consumo in miliardi di litri 47,6 2007 INDICE 2007 = 100 2016 80 961,8
2016 78,1 2016 2.524 2016 38,2 2016 LIVELLO MINIMO 924,7 2013 LIVELLO MINIMO 65,8 2013
LIVELLO MINIMO 2.471 2013 LIVELLO MINIMO 37,7 2013 60 70 80 90 100 110 120 130 140 Fonte:
elaborazione Il Sole 24 Ore su dati agenzia delle Entrate, Assofin, Autorità per l'Energia, Banca d'Italia,
Eurostat, Istat, Federculture, Centro studi Promotor e Unirec 3,0 1,5 0 140 130 70 60 50 70 65
IMMATRICOLAZIONI AUTO In milioni di unità 2,5 2007 INDICE 2007 = 100 60 139,1 2007 65,6 2007 1,8
2016 GENERI ALIMENTARI INDICE 2007 = 100 INDICE 2007 = 100 124,4 2016 VESTITI E CALZATURE
SPESA IN CULTURA LIVELLO MINIMO 1,3 2013 60 70 80 90 100 110 120 130 140 2016 73 120 Spesa
per consumo in miliardi di euro - Valori concatenati (2010) 67,3 2007 INDICE 2007 = 100 62,4 2016
LIVELLO MINIMO 122,3 2014 60 70 80 90 100 110 120 130 140 2016 89 Spesa per consumo in miliardi di
euro - Valori concatenati (2010) LIVELLO MINIMO 59,9 2013 60 70 80 90 100 110 120 130 140 2016 95 In
miliardi di euro 68,4 2016 63,9 2013 60 70 80 90 100 110 120 130 140 2016 102 LIVELLO MINIMO
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/11/2017 84
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IMPRESE IMPRESA & TERRITORI
I 50 emergenti del Made in Italy
Micaela Cappellini
Ci sono la pasta Andriani e gli abiti Twin set, le bollicine Ferrari e i mobili da ufficio Estel: sono i cinquanta
marchi emergenti da tenere d'occhio secondo Icm Research. Sono piccole e medie aziende italiane forti sui
mercati internazionali, che mostrano tassi di crescita e di redditività doppi rispetto alla media del loro
settore, e che potrebbero essere nel mirino di fondi e altre imprese. pagina 13 Ci sono piccoli gioielli di
nicchia come il pastificio Andriani, un fatturato da 36 milioni di euro e una specializzazione nelle farine
senza glutine. E ci sono aziende di medie dimensioni come la Twin set, che ha un giro d'affari di oltre 230
milioni l'anno e che conta su una rete di 78 boutique a marchio proprio sparse per il mondo, da Montreal in
Canada a Jedda in Arabia Saudita. «Eccellenze di oggi, multinazionali di domani», le definisce Aldo
Scaringella, fondatore di Legalcommunity, che alla Icm Advisors ha commissionato la quarta edizione della
ricerca "Fashion, food, furniture brands• Il valore dei marchi delle aziende 3F". Il risultato è una short list di
50 Pmi ad alto potenziale: perché hanno un marchio forte, perché puntano sull'internazionalizzazione,
perché hanno un fatturato che cresce due o tre volte più velocemente della media del loro settore e perché
della media sono due volte più redditive. Alcune di queste imprese verranno premiate il 28 novembre 2017 a
Milano, durante l'evento SaveTheBrand 2017. Le aziende sotto la lente sono comprese frai 30ei 300
milioni di euro di fatturato annuo e appartengono a tre settori chiave del Made in Italy nel mondo, la moda
l'arredamento e l'alimentare. Prese tutte insieme, queste 50 Pmi valgono un giro d'affari di 4,1 miliardi di
euro. Alcune sono Spa, altre rimangono società a responsabilità limitata. Tutte esportano. Ma per fare il
vero salto di qualità sui mercati internazionali occorrerebbe loro quell'ingrandimento dimensionale che solo
l'arrivo di nuovi capitali può dare. Bond, quotazione in Borsa, fondi di investimento o acquisizioni: quanti di
questi gioielli del Made in Italy sono veramente pronti? Spiega Pierangelo Biga, presidente e
amministratore de• legato di Icm Advisors, società specializzata nella valutazione dei beni immateriali delle
aziende: «Dei mille brand ad alto potenziale che per la nostra ricerca monitoriamo ogni anno, più o meno
un terzo è stato coinvolto in operazioni di M&A per mano di un'altra impresao di un fondo. E di anno in anno
cresce la quota di queste imprese che finisce nel mirino degli investitori». Eppure, non tutti vedono di buon
occhio il mondo della finanza: «Di fondi interessati alla mia azienda ne ho incontrati tanti • spiega Alberto
Stella, presidente del marchio di arredamenti Estel • tutti pongono attenzione ai numeri, nessuno alla
domanda e al mercato. Preferisco molto di più cercarmi un buon partner industriale, magari con una
dimensione aziendale superiore alla mia». In Italia la produzione dell'industria agroalimentare • che ha
chiuso il 2016 con un giro d'affari di 132 miliardi di cui 38 provenienti dalle esportazioni• sta assistendo in
particolare al boom di due sottosettori. Uno è il biologico, che nel 2016 ha fatturato 1,3 miliardi,è cresciuto
del 20%e conta già su 5,2 milioni di fami• glie che ne acquistano i prodotti regolarmente tutte le settimane.
L'altro è il segmento dei cosiddetti "prodotti senza" (glutine, caffeina o lattosio per esempio), che hanno
superato il tetto dei 2 miliardi di euro di vendite all'anno. Ed è proprio in questi due comparti che stanno
nascendo alcune delle nostre Pmi più eccellenti: «Il tema della sostenibilità si sta rivelando vincente • spiega
Biga • in Italia e all'estero cresce l'appeal del biologico sia come prodotto finito, sia come materia prima. La
sostenibilità è una filosofia sempre più trasversale anche ad altri settori: penso per esempio ai pannelli per
costruire i mobili, oppure alla moda green». L'ecologia non è l'unico tema in crescita: «Nella prossima
edizione della lista • dice Aldo Scaringella di Legalcommunity • oltre ai marchi che puntano sulla sostenibilità,
mi aspetto di veder aumentare il numero delle aziende vinicole, che stanno andando molto bene all'estero,
come insegna il caso delle bollicine Ferrari nella classifica di quest'anno».Tre brand sotto la lente
GIANVITO ROSSI PEDON ESTEL
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/11/2017 85
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Tra le venti piccole e medie imprese del comparto fashion selezionate nella classifica Icm Research sui 50
migliori marchi del Made in Italy, la GGr è quella che tra il 2013 e il 2016 ha messo a segno il tasso di
crescita medio annuo più alto del fatturato, pari al 41,4%. Sotto la sigla di questa Srl del distretto
calzaturiero di San Mauro Pascoli, in provincia di Forlì si nasconde lo stilista Gianvito Rossi, figlio d'arte di
Sergio Rossi, patron dell'omonimo marchio di calzature. Quello che viene considerato uno dei designer più
promettenti del segmento delle calzature di lusso ha debuttato con una linea Tra le venti piccole e medie
imprese del comparto alimentare selezionate nella classifica Icm Research sui 50 migliori marchi del Made
in Italy, la Pedon è quella che tra il 2013 e il 2016 ha messo a segno il tasso di crescita medio annuo più
alto del fatturato, pari al 50,6%. La produzione dell'azienda si concentra su c ereali e legumi bio (nella foto)
e negli alimenti senza glutine. Due comparti, questi, che stanno mostrando tassi di crescita ben superiori
alla media dell'intero comparto alimentare. Il biologico, per esempio, in Italia ha raggiunto un giro d'affari di
1,3 miliardi di euro nel 2016, quasi il 20% in più rispetto alla performance dell'anno precedente, e Tra le
dieci piccole e medie imprese del comparto arredamento selezionate nella classifica Icm Research sui 50
migliori marchi del Made in Italy, la Estel è quella che tra il 2013 e il 2016 ha messo a segno il tasso di
crescita medio annuo più alto del fatturato, pari al 26,3%. Oltre la metà del giro d'affari della Srl, oggi,
deriva dalla divisione arredamento per ufficio. Un segmento, questo, che nel 2016 in Italia ha fatto
registrare uno dei tassi più alti di crescita nel settore arredamento: +7,5% rispetto al 2015, contro una
media del comparto del 2 per cento. Nel 2015 Estel si è aggiudicata una propria di creazioni per il pubblico
femminile nel 2007 (nella foto, uno stivaletto della collezione 2017•2018) e da allora si è imposto come uno
dei marchi emergenti dell'Italian style nel mondo. Da quest'anno, alla linea donna, ha affiancato la sua
prima collezione uomo. Il marchio Gianvito Rossi esporta ben il 90% delle sue collezioni e vanta una rete di
negozi monomarca nelle principali città della moda tra cui Milano, Parigi, Hong Kong, Londra, New York e
Miami. Nel 2016 la Ggr di Gianvito Rossi ha messo a segno un fatturato di 76,8 milioni di euro e vanta un
Ebitda medio 2014•2016 al 34,8% vanta oltre 5,2 milioni di famiglie che lo acquistano tutte le settimane, in
crescita di un milione rispetto al 2015. I prodotti «senza» (glutine, lattosio, colesterolo o caffeina, per
esempio) sviluppano invece un fatturato di oltre 2 miliardi di euro e nel 2016 hanno messo a segno una
crescita del 4,2%. Pedon applica la filosofia green non soltanto ai prodotti, ma anche ai processi di
produzione: per esempio, utilizzando soltanto energie rinnovabili, oppure ricorrendo a materiale totalmente
riciclabile per gli imballaggi. Il suo fatturato 2016 è stato pari a 68,2 milioni di euro. commessa di prestigio:
la fornitura delle pareti di cristallo antisismiche per la nuova sede della Apple a Cupertino (nella foto), un
progetto che copre 280mila metri quadrati firmato da Norman Foster. A febbraio, invece, Estel aprirà uno
showroom da mille metri quadrati a Shanghai, che rappresenta il primo sbarco dell'azienda sul mercato
cinese. Tra i più promettenti, oggi, per l'arredamento made in Italy: nel 2016 l'export italiano di settore verso
questo Paese è cresciuto del 20 per cento. Il fatturato 2016 di Estel è stato pari a 109,1 milioni di euro. I
marchi sotto la lente L'andamento dei settori in Italia nel 2016. Dati in miliardi di euro Fatturato comparto
52,8 MODA Crescita attesa 2017 +1,8% Brandart Bric's Confezioni Peserico Cris Conf. (Pinko) Diadora
Sport Diamant (Dmt) Eurojersey Sensitive Fabrics Fontana Pelletterie Gentili Mosconi GGr Gianvito Rossi
Giada (Jacob Cohen) Grisport Isaia E Isaia Mabi International Manifattura Valcismon (Sportful - Karpos)
Moleskine Piquadro Premiata Sportswear C. (Stone Island) Twin Set
70,0 37,2 44,4 162,9 153,0 76,5 56,0 86,0 30,3 76,8 69,1 158,0 39,3 50,0 63,7 103,7 67,2 30,7 98,9 231,1
ALIMENTARE Fatturato comparto 132 Vendite online 2016 +45% I 50 marchi delle Pmi che crescono di più
in Italia e fatturato 2016. In milioni di euro Andriani Bertagni Birra Forst Biscotti P. Gentilini Caffè Trombetta
Distilleria Caffo Ferrari Golfera in Lavezzola La Linea Verde (Dimmidisì) La Regina Di San Marzano
L'aromatika Luigi Zaini Molino Rossetto Monviso Noberasco Pedon Red Lions (Mutti) Rigoni Di Asiago
Roncadin Ruffino 36,2 55,3 113,4 30,1 144,8 50,0 63,6 44,3 144,8 54,8 71,9 71,5 76,5 36,0 121,9 68,2
229,9 105,6 94,8 92,5 ARREDAMENTO Fatturato comparto 18,5 Vendite in Cina 2016 +20% Arredo 3
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Cattelan Italia Estel Fivep Flexform Foscarini Gibam Shops Giessegi Industria Mobili Minotti Yachtline
Arredomare 1618 124,5 59,0 109,1 40,6 65,9 44,8 30,2 127,5 100,0 38,3 Fonte: Rapporto «Fashion, Food,
Furniture brands - Il valore dei marchi delle aziende 3F» di Icm Research
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LA CRISI BANCARIA
La commissione d'inchiesta che serve
Giorgio La Malfa e Paolo Savona
Chiunque abbia a cuore le sorti del Paese non può restare inerte di fronte agli scontri interni ed esterni in
atto nel e sul settore bancario e tra le autorità di vigilanza del risparmio. Lo spettacolo non è solo
deprimente, ma rischia di alimentare una crisi di sfiducia nei risparmiatori che avrebbe di per sé
conseguenze molto gravi. Il recente episodio riguardante le relazioni tra Banca d'Italia e Consob è un
chiaro sintomo che, di fronte alle reazioni comprensibili, anche se convulse, della pubblica opinione, ogni
istituzione tenta di chiamarsi fuori dalle responsabilità della crisi. Continua pagina 6 Occorre certamente
distinguere coloro che hanno malversato e chi ha omesso i controlli necessari, ma evidenziare anche i
regolamenti che hanno permesso che ciò avvenisse. In particolare si dovrebbe dedicare maggiore
attenzione alle regole che governano le istituzioni, suggerendo che cosa occorrerebbe fare per migliorarne
le prestazioni. Noi abbiamo ritenuto che, di fronte a quello che era successo, fosse giusto istituire una
commissione di inchiesta parlamentare. Ma il Parlamento deve guardare alla realtà avendo l'obiettivo di
migliorare le regole e le istituzioni. Ha un compito essenziale de jure condendo. Se la commissione
parlamentare sulle banche non vorrà contribuire alla confusione e alle lotte fratricide personali e istituzionali
deve cambiare orientamento. È chiaro che dai suoi accertamenti emergeranno i responsabili della grave
crisi: questa è la naturale ricaduta della sua azione di indagine. Ma il suo obiettivo più alto è individuare e
dedicarsi a evidenziare quali sono i difetti e le lacune dell'attuale legislazione. Colpire i manager bancari e
le autorità di controllo che hanno sbagliato, ma non cambiare le regole e le leggi non basterebbe a risolvere
il problema. Se la commissione alzerà lo sguardo verso il futuro, eviterà di cadere preda o di quelli che
vogliono usarla per scopi puramente elettorali o di quelli che vogliono usarla per insabbiare tutto. Il
problema delle radici istituzionali delle crisi bancarie è aperto da lunga data e fu affrontato dal Parlamento
agli inizi degli anni duemila senza raggiungere soluzioni soddisfacenti. Alle lacune istituzionali esistenti se
ne sono aggiunte altre con la partenza affrettata dell'unione bancaria europea nel 2013, il passaggio dei
compiti di vigilanza a un'autorità europea senza un meccanismo di protezione dei depositi di pari livello e
l'approvazione di una direttiva di risoluzione delle crisi che prevede di porre a carico di alcuni investitori in
titoli bancari (il bail in ), tutte decisioni sulle quali Governo, Banca d'Italia, Consob, le stesse banche e la
loro associazione di categoria non hanno riflettuto e agito con la lungimiranza necessaria. La commissione
parlamentare darebbe un contributo notevole se oltre a segnalare malversazioni, errori e insufficienze
proponesse delle soluzioni meditate e serie per il futuro. A nostro avviso sarebbe necessario: e distinguere
senza equivoci le competenze della Banca d'Italia da quelle della Consob, come avviene in altri Paesi; il
Regno Unito, ad esempio, ha scelto una soluzione radicale, quella di togliere alla Banca d'Inghilterra le
competenze di vigilanza bancaria, soluzione peraltro che non consigliamo; r decidere l'uso che si deve fare
delle conoscenze acquisite dalle due istituzioni nell'azione di vigilanza svolta per proteggere i risparmiatori,
creando un centro di confluenza delle stesse dotato di caratteristiche di impenetrabilità proprie degli
organismi giudiziari; t proporre l'introduzione a livello europeo di una istituzione che funga da prestatrice di
ultima istanza eliminando, se ciò venisse rifiutato, la clausola del bail in, che non può funzionare senza un
siffatto meccanismo di intervento; u risolvere il conflitto di interessi tra le funzioni di vigilanza bancaria e di
risoluzione delle crisi, come accade in molti altri Paesi, attribuendo alle parti in causa eguale posizione in
un organo di nuova costituzione. Vogliamo avere fiducia che la ragione prevalga. Ci auguriamo che un
arbitro fischi la fine di questa non bella fase della partita per aprirne un'altra in cui si fissino le regole del
gioco da applicare senza che esse vengano fissate di volta in volta dai responsabili di turno. In breve,
chiediamo che funzioni il fondamento della democrazia e cioè che il cittadino non venga governato dagli
uomini, ma dalle regole che egli stesso, attraverso il Parlamento, contribuisce a definire.
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AL MEETING DEI MEDICI PER L'AFRICA
Gentiloni vede Draghi, no comment su banche
Barbara Fiammeri e Vittorio Da Rold
pagina 5 Piena sintonia tra Palazzo Chigi e l'Eurotower. Questo il messaggio politico emerso ieri al meeting
annuale di "Medici con l'Africa Cuamm" ad Assago, alla porte di Milano, tra il premier Paolo Gentiloni e il
presidente della Bce, Mario Draghi. Si parlava di Africa e solidarietà, ma il clima era di attesa per l'incontro
tra il premier Gentiloni, che appena due settimane fa aveva confermato il governatore di Banca d'Italia,
Ignazio Visco, sfidando le bordate del Pd di Matteo Renzi, e il presidente Draghi, chiamato in causa da
notizie su possibili note inviate nel 2009 dalla vigilanza di Via Nazionale all'allora governatore sulla
popolare di Vicenza. Così i due protagonisti della giornata, premiere presidente dell'Eurotower, si sono
incontrati e calorosamente salutati tra gli sguardi attenti dell'ex premier Romano Prodi, di monsignor Mario
Delpini, l'erede di Ambrogioe della più grande diocesi d'Europa, del Sindaco di Milano, Giuseppe Sala.
Prima di arrivare a Milano, Gentiloni aveva fatto tappaa Bergamo dove, in occasione in occasione
dell'incontro con il presidente della Brembo Alberto Bombassei, è tornato a parlare della manovra. La legge
di bilancio messa a punto dal governo è «snella e mirata», concentrata su «alcuni obiettivi» e certamente
può essere migliorata ma • avverte il premier • «non può trasformarsi in una nuvola di segnali di fumo per
questa o quella categoria». Un vero e proprio monito a frenare gli appetiti quello del premier, che nel
rivendicare i risultati sul fronte del Pil («le previsioni erano dello 0,8% mentre oggi abbiamo delle previsioni
doppie») invita a «non sprecare il ritorno alla crescita» ma a consolidarlo anche attraverso «scelte di
responsabilità di bilancio». Poi, a Milano, il saluto caloroso con Draghi. Poche parole scambiate tra il
premier e il governatore della Bce lontano dai microfoni della stampa e dalle numerose troupe televisive e
poi i discorsi pubblici in grande sintonia: «L'Africaè un continente in bilico, ce la può fare, ma questo
dipende molto dalle nostre politiche pubbliche e dall'Europa», ha detto Gentiloni. Concetto di speranza e
volontà di agire in positivo ripreso da Draghi che ha parlato di «alcuni economisti che continuano a dire che
gli interventi in favore dell'Africa sono dannosi e inutili: le testimonianze ascoltate oggi dimostrano che
hanno torto». Non solo. «La forza delle cose nelle quali crediamo cambia la realtà», ha ribadito il presidente
• che «quello che fa la differenza è la nostra passione». Insomma un reciproco scambio di "ottimismo della
volontà" di fronte ai problemi e ai polveroni e un chiaro segnale di una sintonia comune tra Palazzo Chigi e
Francoforte. Ai cronisti che gli chiedevano di commentare le tensioni nel mondo bancario italiano, Draghi ha
risposto con un no comment, «oggi parliamo d'altro». Il suo nome è però destinato a rimanere al centro
della scena della politica italiana. Da martedì la commissione d'inchiesta sulle banche aprirà il fascicolo
Monte dei Paschi. Il Movimento 5 stelle ha già chiesto di voler audire il presidente della Bce che all'epoca
dell'acquisizione di Antonveneta da parte dell'istituto di Rocca Salimbeni • operazione all'origine del crack di
Mps • era il numero uno di Bankitalia. Che l'attuale governatore della Bce possa essere audito è tutt'altro
che scontato. Ma poco importa. L'obiettivo politico dei 5 stelle è di alzare il più possibile l'asticella per
calvalcare il tema delle crisi bancarie in campagna elettorale. Un tema al centro anche della campagna di
Matteo Renzi che, pur continuando a evidenziare le colpe di Bankitalia e Consob sulla vigilanza, nega di
voler tirare in ballo Draghi. Dopo il capitolo Mps si passerà ad Etruria. Pier Ferdinando Casini è convinto
che la commissione da lui presieduta arriverà a «conclusioni importanti» entro la fine della legislatura.
«L'obiettivo è evitare• ha sottolineato Casini• che certi errori che si sono fatti sulle spalle dei risparmiatori si
ripetano, salvaguardando veramente tanti italiani che vanno in banca con fiducia a investire i propri
risparmi».
IN COMMISSIONE Caso Mps, poi Etruria Da martedì la Commissione parlamentare di inchiesta sul
sistema bancario e finanziario passerà a occuparsi della vicenda del Monte dei Paschi di Siena. Martedì è
prevista l'audizione dei magistrati titolari delle indagini sull'istituto senese e giovedì quella delle associazioni
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dei risparmiatori. Poi potrebbe toccare agli ex vertici, fra cui Giuseppe Mussari e Alessandro Profumo Il
Movimento 5 Stelle ha già fatto sapere di voler convocare anche l'attuale presidente della Bce Mario Draghi
che all'epoca dell'acquisizione di Antonveneta da parte di Mps era governatore di Bankitalia Dopo il capitolo
Mps si passerà a Etruria. Il presidente Pier Ferdinando Casini è convinto che la commissione arriverà a
«conclusioni importanti» entro la fine della legislatura
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Welfare. Domani al tavolo i nuovi requisiti del governo
Pensioni, si allarga la platea dei «gravosi» esenti dai 67 anni
Colombo e Rogari
Una platea a maglie più larghe delle 15 categorie di lavori «gravosi» da esentare dall'adeguamento
automatico a 67 anni dell'età pensionabile. È quella che dovrebbe proporre domani il Governo puntando su
un allentamento del requisito soggettivo di lavoratore gravoso: lo svolgimento della mansione faticosa per 7
anni negli ultimi 10 d'impiego (e non più per 6 anni su 7). Anche il vincolo dei 36 anni di contributi verrebbe
abbassato. Sarà poi "ripescata" la detassazione della previdenza integrativa per gli statali. pagina 5 ROMA
Un'estensione, anche se non troppo marcata, della platea delle 15 categorie di lavori gravosi da esentare
dall'adeguamento a 67 anni nel 2019 dell'età pensionabile all'aspettativa di vita. È quella che presenterà
domani pomeriggio il Governo ai segretari di Cgil, Cisl e Uil nell'incontro decisivo sui correttivi previdenziali
da inserire nel disegno di legge di Bilancio all'esame del Senato, che in mattinata sarà preceduto da un
ultimo incontro tecnico. Del pacchetto di ritocchi farà parte anche la detassazione della previdenza
integrativa per gli statali, che era stata già annunciata al tavolo sulla "fase 2" della previdenza ma che non
era poi entrata nel testo finale della manovra. Per dare al bacino degli esentati dall'aumento automatico
della soglia di pensionamento una fisionomiaa maglie più larghe gli esperti di Palazzo Chigi e dei ministeri
dell'Economia e del Lavoro stanno affinando alcuni ritocchi alla proposta presentata all'inizio della
settimana agendo esclusivamente su due fronti: la continuità del requisito soggettivo di lavoratore gravoso
e il numero di anni contributivi. Nel primo caso l'opzione finale dovrebbe essere quella di aver svolto la
mansione faticosa per sette anni sugli ultimi dieci d'impiego e non più per almeno sei anni sugli ultimi sette
(sulla falsariga di quanto previsto per i lavori usuranti) come invece era stato ipotizzato nei precedenti
incontri tecnici. Per quanto riguarda invece i contributi maturati l'asticella non dovrebbe più essere
posizionata a quota 36 anni, come era stato indicato dal Governo nei giorni scorsi, ma dovrebbe scendere
di qualche anno (probabilmente attorno a quota 30 anni). L'allentamento di questi due paletti dovrebbe
provocare un leggero ampliamento della platea degli "esentati" che all'inizio della scorsa settimana era
stata ufficiosamente stimata in 15•17mila lavoratori. Ma la Cgil considera «infondate» queste previsioni
sottolineando che le pensioni di vecchiaia dei lavoratori dipendenti liquidate nel 2016 nel complesso sono
meno di 60mila (compresi gli assegni di vecchiaia ai dipendenti pubblici) e quindi è assai improbabile che le
categorie considerate coprano circa un terzo di questi assegni. Susanna Camusso ha definito ieri la
proposta fin qui presentata dal Governo «del tutto insufficiente a delineare la scelta necessaria di ridare una
prospettiva al sistema previdenziale». Del pacchetto di possibili correttivi che sarà portato al tavolo dal
Governo farà parte, come già annunciato, anche la revisione dal 2021 su base biennale (in media) del
meccanismo di adeguamento dell'età alla speranza di vita. Sul versante delle deroghe allo stop
dell'aumento dell'età pensionabile sarà confermata l'istituzione di una Commissione tecnica per studiare la
possibilità di realizzare nuove stime sull'aspettativa di vita legate alle mansioni svolte. Ne faranno parte
Inps, Inail, Istat e i ministeri del Lavoro, dell'Economia e della Salute. A completare il quadro delle misure
aggiuntive che il Governo si appresterebbe a garantire c'è anche l'allineamento della fiscalità su rendi• te o
capitale dei fondi integrativi oggi riconosciuta ai lavoratori privati anche per quelli del settore pubblico.
Questi importi, che scattano con la pensione, e che oggi per i pubblici sono tassati in Irpef, passeranno
all'imposta sostitutiva del 15% che si riduce dello 0,3% per ogni anno di iscrizione a una forma
pensionistica complementare successiva al 15esimo anno, con uno sconto massimo del 6%. Se per
esempio uno statale si iscrive a un fondo e resta iscritto per 35 anni avrà un prelievo sulle future rendite del
9% invece del 15%. La misura varrà però solo per i neo assunti, per i quali sarà previsto anche un periodo
di silenzio assenso per l'adesione a un fondo con il Tfr maturando, mentre i sindacati chiedevano
l'allineamento almeno a partire dal 2001, quando anche nel pubblico impiego è scattato il regime Tfr al
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posto del precedente trattamento di fine servizio. Si tratta di un adeguamento coerente con la scelta di
rendere strutturale, con questa manovra ora all'esame del Parlamento, la rendita integrativa temporanea
anticipata (Rita). Sul terreno della previdenza complementare era attesa anche una norma Covip, per far
scattare il finanziamento degli oneri di vigilanza sugli investimenti delle casse privatizzate, che svolge da
ormai cinque anni contando solo sui versamenti dei fondi pensione. L'idea era di far pagare alle casse la
stessa quota pagata oggi dai fondi, ovvero lo 0,5 per mille dei flussi contributivi annui. Si vedrà se sarà
recuperata con altri emendamenti parlamentari. I ritocchi del Governo dovrebbero saldarsi con una parte di
quelli già presentati al Ddl di Bilancio in Commissione al Senato dal Pd. A partire dal prolungamento (e
l'ampliamento) dell'Ape social a tutto il 2019.La spesa pubblica per le pensioni
Scenario nazionale base. Dati in percentuale del Pil. 17 16 15 14 13 12 2010 2020 «INTEGRATIVA» 2030
LAVORI ESENTATI Con la proposta del Governo vengono esentate dall'aumento automatico dell'età
pensionabile a 67 anni 15 categorie di lavori «gravosi»: le 11 previste dall'Ape social più agricoli, marittimi,
pescatori e Il Governo è intenzionato a ripescare una misura rimasta in extremis fuori della manovra
finalizzata a estendere la fiscalità su rendite o capitale dei fondi integrativi oggi riconosciuta ai lavoratori
privati L'ADEGUAMENTO L'adeguamento dell'età pensionabile all'aspettativa di vita viene calcolato non più
su base triennale ma ogni due anni. L'obiettivo è rendere il meccanismo automatico più soft e con la
possibilità, al contrario 2050 2040 Le novità del pacchetto previdenza 2060 2070 siderurgici. Tra i requisiti
richiesti quello di aver svolto almeno 7 anni di mansione faticosa negli ultimi sette anni d'impiego. La
contribuzione necessaria dovrebbe essere inferiore a 36 anni anche ai dipendenti del settore pubblico.
Questo intervento varrà solo per i neo•assunti per i quali sarà previsto anche un periodo di silenzio•assenso
per l'adesione a un fondo con il Tfr maturando di quanto accade oggi, di tenere conto anche di eventuali
abbassamenti dei requisiti per effetto della speranza di vita da "scalare" però in forma posticipata dal
calcolo effettuato nel biennio successivo
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In tre decreti le nuove misure sulla crisi d'impresa • Normativa approvata entro poche settimane
Fallimento, si cambia su controlli e creditori
Gli obiettivi: emersione dalla crisi, specializzazione e concordato Giovanni Negri
Saranno 3 i decreti legislativi destinati a riscrivere la disciplina della crisi d'impresa:i filoni sono la riforma
della legge fallimentare; il rafforzamento dei meccanismi di controllo;e la nuova ripartizione dei privilegi tra i
creditori. L'obiettivoè varare la riforma entro Natale, anche se molti sonoi nodi da sciogliere. Già domani
entrerà nel vivo la discussione sull'aspetto più innovativo: l'introduzione delle misure di allerta. pagina 3
Riforma dei fallimenti in 3 mosse. Saranno 3 i decreti legislativi destinati a riscrivere la disciplina della crisi
d'impresa. La commissione Rordorf/2, istituita dal ministero della Giustizia e guidata dal presidente
aggiunto della cassazione Renato Rordorf, ha messo in cantiere un lavoro su tre filoni che andranno a
costituire altrettanti provvedimenti: il primo e sicuramente più corposo sarà dedicato alla riforma della Legge
fallimentare tecnicamente intesa, e cioè il Regio decreto n. 267 del 1942 (modificato più volte, peraltro, nel
corso del tempo); il secondo si concentrerà invece sulle modifiche al Codice civile, in particolare sul
rafforzamento dei meccanismi di amministrazione e controllo; il terzo sarà concentrato sulla nuova
ripartizione dei privilegi tra i creditori. L'obiettivo della commissione, quanto ai tempi, è di cercare di
anticipare il più possibile la consegna dei provvedimenti all'ufficio legislativo del ministero. La fine dei lavori
è già stata fissata per il 10 gennaio 2018, ma è ormai diffusa la consapevolezza della necessità di condurre
in porto la riforma entro Natale. Lo scorcio finale della legisla• tura, infatti, si restringe sempre di piùe con
questo l'agibilità per quella che forse rimarrà l'ultima riforma "di struttura" possibile nelle prossime
settimane. Il ministro della Giustizia Andrea Orlando, che ha già parlato di intervento «epocale», molto ha
scommesso sulla riforma e la sponda politica, una volta superato lo scoglio dell'approvazione della legge
delega con il passaggio al Senato, sembra più che coperta. Sul piano tecnico, invece, i nodi da sciogliere
sono molti e la delega può aiutare solo fino a un certo punto. I criteri su alcuni punti sono, infatti, assai
dettagliati, ma su altri assai più vaghi. E la commissione nei prossimi giorni dovrà fare scelte chiave. Già
domani, per esempio, entrerà nel vivo la discussione sulla precisazione di quello che è senza dubbio
l'aspetto più innovativo: l'introduzione delle misure di allerta nel nostro ordinamento. Di un meccanismo,
cioè, destinato a funzionare solo con la piena collaborazione dell'imprenditore, che permetterà di evitare
alla crisi di sfociare nell'insolvenza, con la conseguente pressoché definitiva distruzione di ricchezza. E
allora andrà sciolto il nodo della rilevanza dell'importo dell'inadempimento che obbliga agenzia delle Entrate
ed enti previdenziali a segnalare la situazione agli organi di controllo societari, all'organismo di
composizione della crisi, pena la perdita dell'assistenza del privilegio ai propri crediti. Una scelta chiave
sulla quale la commissione, scartata, anche con il conforto della delega, l'ipotesi di determinare un importo
assoluto, si potrebbe orientare all'individuazione di soglie mobili di inadempimento scandite sulla
dimensione dell'impresa e sul volume dei ricavi degli anni precedenti. Ma la medesima prospettiva, un po' il
filo rosso che cuce larga parte della riforma in cantiere,è evidente anche sul versate delle modifiche
previste per il Codice civile: andrà infatti codificato il dovere dell'imprenditore e degli organi sociali di istituire
assetti organizzativi adeguati per la rilevazione tempestiva della crisi e della perdita della continuità
aziendale, e di attivarsi per l'adozione tempestiva di uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per il
superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale. Ad accrescere la complessità della riforma,
dove il diritto cede il passo alle considerazioni economiche, c'è poi la materia dell'ultimo decreto, la
riscrittura dei privilegi, con la riduzione delle ipotesi di privilegio generale e speciale.1 NODI DELLA LEGGE
FALLIMENTARE 2 PROBLEMI DEL CODICE CIVILE 3 A QUESTIONE DEI PRIVILEGI
LA SPECIALIZZAZIONE Andrà sciolto il nodo relativo alla geografia giudizaria, puntualizzando la
specializzazione dei giudici addetti al settore delle procedure concorsuali, individuando i tribunali che per le
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loro piccole dimensioni non possono dedicare un numero di 4•5 persone esclusivamente a questo settore e,
quindi, attribuendo la competenza a tribunali limitrofi; verosimile quindi un accorpamento LA
RESPONSABILITÀ Dovrà essere circostanziato il dovere dell'imprenditore e degli organi sociali di istituire
assetti organizzativi adeguati per la rilevazione tempestiva della crisi e della perdita della continuità
aziendale, oltre a quello di attivarsi per l'adozione tempestiva di uno degli strumenti previsti
dall'ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale LA RIDUZIONE Alla
commssione del ministero della Giustiza è affidato il compito di procedere al riordino e alla revisione del
sistema dei privilegi, con l'obiettivo di ridurre le ipotesi di privilegio generale e speciale, eliminando quelle
non più attuali rispetto al tempo in cui sono state introdotte e adeguando di conseguenza l'ordine delle
cause legittime di prelazione L'ALLERTA Da definire il livello di indebitamento considerato significativo per
dare luogo all'avvio della procedura di segnalazione. Aspetto tanto più significativo per i creditori
istituzionali, amministrazione finanziaria e previdenziale, chiamate a effettuare la segnalazione di crisi; in
caso di omissione scatterà la perdita dell'assistenza del privilegio ai relativi crediti IL RISARCIMENTO Nel
decreto legislativo andranno precisatii criteri di quantificazione, sinora affidati esclusivamente alle sentenze
dei tribunali in assenza di un riferimento normativo esplicito, del danno risarcibile nell'azione di
responsabilità promossa contro l'organo di amministrazione della società fondata sulla violazione di quanto
previsto dall'articolo 2486 che disciplinai poteri degli amministratori IL POSSESSO In particlare la legge
delega affida al futuro provvedimento delegato il compito di sfoltire i casi di privilegio ritentivo, quei casi cioè
in cui il creditore in possesso di un bene del debitore (per esempio, un'automobile lasciata in officina di
riparazione) può essere autorizzato a trattenerlo oppure, a determinate condizioni, a venderlo direttamente I
COSTI Tra le indicazioni della legge delega c'è anche il contenimento della durata e dei costi delle
procedure concorsuali, anche attraverso misure di responsabilizzazione degli organi di gestione e di
riduzione delle ipotesi di prededuzione, con riferimento anche ai compensi dei professionisti, per evitare
che il pagamento dei crediti prededucibili assorba in misura rilevante l'attivo IL CONTROLLO Nel Codice
dovrà trovare posto l'estensione dei casi in cui è obbligatoria la nomina dell'organo di controllo, anche
monocratico, o del revisore, da parte della società a responsabilità limitata, prevedendolo quando la società
per 2 esercizi consecutivi ha superato almeno uno dei limiti relativi ad attivo (2 milioni), ricavi (2 milioni),
numero dipendenti (10) I TEMPI In realtà il principale nodo da sciogliere per il decreto di riordino dei
privilegiè il fattore tempo. La commissione deve concluderei lavori entro il 10 gennaio, ma si puntaa
chiudere entro Natale. Se uno dei provvedimenti dovesse essere affidatoa tempi più lunghi di redazione
sarebbe proprio quello sui privilegi dove in gioco ci sono valutazioni più economiche che giuridichee le
elezioni alle porte
LA PAROLA CHIAVE
Insolvenza 7 L'insolvenza è la situazione nella quale non si riesce a far fronte ai propri debiti o alle
obbligazioni contratte. La legge fallimentare (regio decreto 267/1942) prevede che «l'imprenditore che si
trova in stato d'insolvenza è dichiarato fallito» e che «lo stato d'insolvenza si manifesta con inadempimenti
o altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie
obbligazioni». Ora la legge delega approvata definitivamente a ottobre dal Parlamento punta a introdurre
una definizione dello stato di crisi, intesa come probabilità di futura insolvenza «anche tenendo conto delle
elaborazioni della scienza aziendalistica»
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Per le blue chips di Piazza Affari nel terzo trimestre crescita media dei profitti del 31%
In Borsa utili oltre 9 miliardi
L'80% dei big ha battuto le stime - Da inizio anno saldo a 32 miliardi Andrea Franceschi
Le società a maggior capitalizzazione di Piazza Affari chiudono il terzo trimestre con utili oltrei9 miliardi, una
stima per difetto superiore di oltre un miliardo rispetto alle stime degli analisti: si tratta di una crescita media
del 31% tra luglio e settembre. In particolare, ha battuto le stime l'80% delle blue chips dell'Ftse Mib contro
una media del 46% in Europa. Nei primi nove mesi il saldo degli utili si aggiorna così ad almeno 32 miliardi
di euro, e le stime indicano a fine dicembre un aggregato pari a 39 miliardi: sarebbe la miglior annata per la
Borsa italiana da 10 anni. pagina 17 Le società a maggior capitalizzazione di Piazza Affari chiudono il terzo
trimestre con utili per 9 miliardi di euro. Il dato, che emerge sommandoi profitti netti trimestrali finora
annunciati dalle società quotate che fanno parte del paniere Ftse Mib, è una stima per difetto. Dal calcolo
infatti sono escluse quelle aziende, come quelle del comparto lusso, che danno comunicazione completa
dei dati di bilancio solo con cadenza annuale e semestrale limitandosi ad un aggiornamento trimestrale dei
ricavi. I numeri pubblicati finora sono in ogni caso positivi e superiori alle aspettative dato che, alla vigilia di
questa tornata di conti societari, il consensus degli analisti di S&P Market Intelligence aveva messo in conto
utili aggregati per 8 miliardi per le società del paniere Ftse Mib. Un miliardo in più del previsto insomma a
conferma del buon momento di Piazza Affari già ampiamente certificato nella prima parte dell'anno con i
conti del primo semestre chiusi con utili aggregati per 23 miliardi di euro. Il miglior risultato dal 2007. Le
società quotate italiane • stima la Reuters • hanno registrato in media una crescita del 31% degli utili nel
terzo trimestre. È la terza miglior performance dopo Finlandia (+51,8%) e Norvegia (+36,9%). Anche per
questo motivo la Borsa è italiana è tra quelle che hanno corso di più da inizio anno in Europa con un rialzo
del 17,2% sull'indice Ftse Mib. Nei primi nove mesi dell'an• no il saldo degli utili si aggiorna così a 32 miliardi
di euro. Le stime degli analisti ad oggi indicano per la fine dell'anno un utile aggregato pari a 39 miliardi di
euro. Un risultato che, se confermato, farebbe del 2017 la miglior annata per Piazza Affari da 10 anni a
questa parte. Il quarto trimestre dell'anno rappresenta in ogni caso un'incognita. Dal 2011 ad oggi il saldo
tra utili e perdite negli ultimi tre mesi è sempre stato negativo per via delle drastiche svaluta• zioni sui crediti
deteriorati messe in atto dalle banche, il settore da sempre più rappresentativo a Piazza Affari. La fine
dell'anno è notoriamente il periodo in cui si fa pulizia di bilancio. Lo ha fatto il comparto bancario ma anche
un altro settore di peso: quello petrolifero, che ha dovuto fare i conti con il crollo dei prezzi del greggio. Oggi il
petrolio viaggia oltre 60 dollarie per il settore Oil & Gas è logico aspettarsi un quarto trimestre in utile. Non c'è
la stessa certezza per le banche. Seppure i maggiori istituti di credito italiani,a differenza dei concorrenti
in Francia e Germania, siano reduci da un buon terzo trimestre una nuova tornata di svalutazioni per fine
anno non è da escludere. Le nuove linee guida della Bce in tema di crediti deteriorati prevedono criteri più
rigidi per gli accantonamenti sui flussi di nuovi crediti deteriorati. In questo contesto c'è da aspettarsi che
molte banche decidano di catalogare anticipatamente come "deteriorate" le esposizioni più difficili per
evitare che la loro gestione sia più onerosa quando le nuove regole entreranno in vigore. I risultati del terzo
trimestre sono stati al di sopra delle aspettative per quasi l'80% delle blue chip italiane che hanno finora
pubblicato i conti. Una proporzione decisamente superiore al resto d'Europa dove invece la quota delle
aziende che ha battuto le stime di consensus siè attestata finora al 46 per cento. Dal 2011 ad oggi• segnala
la Reuters • mediamente circa la metà delle società del panere Stoxx 600 ha fatto meglio del previsto.
Mancano ancora alcune trimestrali all'appello tra quelle che fanno parte del paniere europeo ma da quanto
si è visto finora il terzo trimestreè stato relativamente sotto tono. Gli utili sono cresciuti in media del 2,4%
ma al netto del rimbalzo (+53%) del settore energia la performance sarebbe risultata negativa dell'1,4 per
cento. È andata male in particolare al settore finanziario che in media ha registrato un calo del 12,9% degli
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utili in Europa. Anche alla luce di questa performance si spiega la settimana negativa dei listini europei con
l'indice Stoxx 600 che ha perso l'1,86 per cento. © RIPRODUZIONE RISERVATA
Milano terza in Europa Dati in milioni di euro UTILI NETTI TRIMESTRALI LISTINO FTSE MIB 20.0000
10.000 6.969,2 -10.000
-20.000 Finlandia Norvegia Italia Svizzera III 2012 2013 Portogallo Paesi Bassi Regno Unito Stoxx 600
Germania Francia IV -40 III IV I II III IV I II -20 2014 0 III IV I II 2015 III IV I II 2016 Indici e Stoxx600 terzo
trimestre 2017. Variazioni percentuali CRESCITA UTILI TRIMESTRALI PER PAESE 20 Fonte:
elaborazione Il Sole 24 Ore su dati S&P Market Intelligence I II 40 III 2017 * 9.050,0 60 51,8 36,9 31,0 24,1
19,9 15,6 2,4 -3,9 -5,5 -30,2 (*) La stima non tiene conto delle società che non danno l'aggiornamento
trimestrale sugli utili
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FERROVIE
Gosso (Mercitalia): si riducono le perdite Nuove rotte con il Nord Europa
Marco Morino
pagina 13 MILANO Perdite dimezzate, nuovi locomotori e servizi di trazione ferroviaria in autoproduzione
tra l'Italia e il Nord Europa via Svizzera.A circa undici mesi dalla creazione, il Polo Mercitalia, la sub•holding
del gruppo Ferrovie Italiane per il trasporto mercie la logistica, traccia un primo bilancio della sua attività.
«La missione del Polo Mercitalia - spiega al Sole 24 Ore l'amministratore delegato di Mercitalia Logistics,
Marco Gosso • è quella di risanare e rilanciare il business merci del gruppo Fs, storicamente in perdita.
Quest'anno Mercitalia chiuderà con una perdita d'esercizio di 35 milioni, in forte miglioramento rispetto alla
perdita di 75 milioni conseguita nel 2016 e al disavanzo di 155 milioni registrato nel 2015. Il pareggio di
bilancio- continua Gosso•è previsto nel 2018, il ritorno all'utile nel 2019e il raddoppio dei ricavi in 10 anni
(due miliardi nel 2026)». «Noi- continua Gosso• siamo un'attività interamente a mercato e al mercato, cioè al
mondo delle imprese e degli operatori della logistica e del trasporto merci, vogliamo presentarci
sviluppando il concetto dell'"interfaccia unica" per il cliente, ovvero facendo in modo che i clienti possano
beneficiare di tutti i servizi offerti dalle diverse società del Polo senza però doversi preoccupare di interagire
con più soggetti diversi». A partire dal prossimo 11 dicembre il Polo Mercitalia farà in autoproduzione i
servizi di trazione ferroviaria dei trasporti merci tra l'Italia e il Nord Europa via Svizzera. Saranno, infatti, le
locomotive di TX Logistik CH, società del Polo Mercitalia, a trainare 40 treni a settimana che
attraverseranno la Svizzera sia via Gottardo che via Lötschberg. «In questo modo - dice Gosso • le società
del Polo Mercitalia potranno presidiare tutti i fattori della produzione da origine a destino, assicurando ai
clienti un'elevata qualità di servizio». I nuovi treni lungo il corridoio Genova•Rotterdam sono strategici per le
imprese esportatrici, in particolare quelle del Nord•Ovest, per raggiungere con maggiore rapidità e puntualità
i ricchi mercati dell'Europa centrale. A proposito di locomotori, la società sta rinnovando profondamente la
propria flotta. Bom• bardier si è da poco aggiudica la maxi•gara lanciata dal Polo Mercitalia per i nuovi
locomotori elettrici. Mercitalia Raile TX Logistik (società operative del Polo Mercitalia) acquisteranno nei
prossimi anni fino a 125 nuovi locomotori elettrici TRAXX di ultima generazione. Mercitalia Railè la
maggiore impresa ferroviaria merci italiana. TX Logistik è la terza più grande impresa ferroviaria merci in
Germania, attiva in numerosi Paesi europei. L'investimento di Mercitalia per l'acquisto dei nuovi locomotori
è pari a circa 400 milioni di euro. Le prime consegne delle locomotive, prodotte da Bombardier anche nello
stabilimento di Vado Ligure (Savona), sono previste per l'autunno del 2018. Inoltre, Bombardier si
occuperà, in Italia e all'estero, della manutenzione dei locomotori per un periodo di otto anni garantendo
così massimi livelli di disponibilità ed efficienza dei mezzi. «Questa operazione - sottolinea Gosso -
rappresenta un tassello molto importante del piano industriale 2017•2026 che prevede per il Polo Mercitalia
1,5 miliardi di euro di investimenti. Siamo in linea con quanto pianificato per il rilancio del settore merci del
gruppo Fs Italiane». Il Polo Mercitalia è operativo da gennaio 2017 e sviluppa un fatturato di circa un
miliardo di euro, occupa 5mila addetti e dispone di una flotta di circa 300 locomotori e 17mila vagoni. Oggi il
trasporto ferroviario ha una quota di mercato assai modesta, circa il 9%, ma secondo le Fs gli spazi di
miglioramento sono enormi. «Sulle lunghe distanze - dice Gosso - dobbiamo risultare più competitivi del
trasporto stradale. Dobbiamo trattare le merci come fossero passeggeri. Se tratti male le merci finiscono sui
camion». In effetti, la cura del ferro lanciata dal governo e promossa dall'Unione europea ha dato una
scossa al settore. Confetra stima, per il 2016, un incremento del traffico merci per ferrovia (in termini di
treni•km) pari al +4,1%, un dato che in sé può apparire scarsamente significativo, ma che - per il settore -
rappresenta un'autentica inversione di tendenza rispetto al passato. Nel primo semestre 2017, sempre
secondo Confetra, il trasporto ferroviario merci ha avuto un aumento dell'1,7 per cento. Al di là dei numeri e
delle percentuali, il dato più significativo di questi tempi è che il settore ha riacquistato fiducia, crede nelle
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possibilità di una svolta e di uno sviluppo autentico. Come confermano gli investimenti di Mercitalia.
Ultima generazione. Le Bombardier TRAXX DC3/MS sono le locomotive merci tecnologicamente più
all'avanguardia d'Europa e, con una potenza massima di trazione di 6,4 MW e una forza di trazione di 320
kN, permetteranno a Mercitalia Rail e a TX Logistik ( nella foto, il locomotore che sarà acquistato dalla
compagnia tedesca) di effettuare treni più pesanti degli attuali e, grazie a sistemi frenanti autogenerativi, di
ridurre significativamente i consumi energetici Il Polo Mercitalia (gruppo Fs Italiane) La struttura societaria
Mercitalia Rail FATTURATO Cemat 1miliardo Rfi Mercitalia Terminal 5mila persone Fonte: Gruppo Ferrovie
dello Stato Italiane Mercitalia Logistics Gruppo TX Logistik POLO MERCITALIA ORGANICO Trenitalia
Mercitalia Transport & Services LOCOMOTORI 300 Terminal Alptransit VAGONI TLF 17.000
Foto: Marco Gosso. Ad Mercitalia Logistics
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Credito e regole. Lo scontro in Parlamento
Il Pd: non puntiamo a Draghi ma alle colpe della vigilanza
Barbara Fiammeri
L'obiettivo del Pdè «far emergere le responsabilità» non certo quello di colpire Mario Draghi. Anzi, tirare in
ballo il presidente della Bceè solo un tentativo «strumentale di chi non vuole fare andare avanti il lavoro
della commissione d'inchiesta sulle banche». È questa la linea di Matteo Renzi, rilanciata ieri dal
capogruppo dem alla Camera, Ettore Rosato, e in commissione da Francesco Bonifazi che attacca
«l'atteggiamento di Bankitalia e Consob» accusandole di «voler spostare il tiro su Draghi». Fiammeri
pagina 2 L'obiettivo del Pd è «far emergere le responsabilità», non certo quello di colpire Mario Draghi.
Anzi, tirare in ballo il presidente della Bce è solo un tentativo «strumentale di «chi non vuole fare andare
avanti il lavoro della commissione d'inchiesta sulle banche».È questa la linea dettata da Matteo Renzi e
rilanciata ieri dal capogruppo dem alla Camera Ettore Rosato e da Francesco Bonifazi, membro della
commissione d'inchiesta guidata da Pier Ferdinando Casini, che torna ad attaccare frontalmente
l'atteggiamento di Bankitalia e Consob. «Sono loro a voler spostare il tiro in modo irresponsabile su
Draghi», sostiene Bonifazi con riferimento alle notizie di stampa sulla nota inviata nel 2009 dalla vigilanza di
via Nazionale all'allora governatore sulla Popolare di Vicenza. Draghi oggi sarà a Milano per partecipare a
un convegno assieme al presidente del Consiglio Paolo Gentiloni e a Romano Prodi. Mai timori che l'attuale
presidente della Bce rischi di essere investito dallo scontro tra politica e authority è tutt'altro che
scongiurato. Anche perché da martedì in commissione si aprirà il fascicolo su Mps che si concluderà non
prima della fine del mese. I 5 Stelle sono già pronti a chiedere la presenza di Draghi in commissione.
Ipotesi abbastanza remota visto che da statuto della Bce (come già emerso in occasione dell'indagine
conoscitiva della commissione Finanze del Senato) il Governatore non può essere chiamatoa rispondere.
Ma poco importa. La corsa ad alzare il tiro è fagocitata da una campagna elettorale in cui le crisi bancarie ei
danni subiti dai risparmiatori sono diventate uno dei cavalli di battaglia. Lo conferma l'insistenza con cui
Renzi nel suo tour in treno in questi giorni tra Friuli, Veneto ed Emilia Romagna abbia battuto sul tasto dei
crack bancari confrontandosi con diverse associazioni di risparmiatori. L'obiettivo evidente del segretario
del Pd è quello di far emergere le responsabilità di chi aveva l'obbligo di vigilare (Bankitalia e Consob)
rivendicando allo stesso tempo la scelta di rompere con il passato (con riferimen• to alla mozione contro la
conferma di Ignazio Viscoa Via Nazionale) e di «andare fino in fondo» con il lavoro della Commissione. E
l'istruttoria che a giorni si aprirà su Mps • almeno questa è la convinzione dell'inner circle renziano • offrirà
ulteriori assist al segretario, per i rapporti che potrebbero emergere tra i banchieri di Rocca Salimbeni e i
vertici della sinistra di allora, che oggi tuona contro il leader dem. Solo dopo il capitolo Mps, la
Commissionea inizio dicembre si concentrerà sul crack di Etruria in cuiè rimasto coinvolto anche il padre
della sottosegretaria alla presidenza del Consiglio Maria Elena Boschi. Renzi non sembra preoccupato.
Anzi il leader del Pd punta a giocare all'attacco. «Abbiamo commissariato noi il Cda di Banca Etruria», ha
risposto ieri l'ex premier a un risparmiatore rilanciando sul ruolo della vigilanza: «Il prospetto informativo
delle azioni dipendeva dal Governoo da Bankitalia e Consob?». Intanto ieri in Parlamento il Pd ha
depositato un emendamento alla legge di Bilancio per l'istituzione del Fondo per le vittime dei reati
finanziari (primo firmatario Giorgio Santini) che verrà alimentato sia dai conti correnti dormienti presso gli
istituti di credito che da una parte degli Npl recuperati.
Foto: ANSA Presidente. Pier Ferdinando Casini
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FALCHI E COLOMBE
Stabilità, efficienza e risoluzione, le tre tecnocrazie utili all'Europa
Donato Masciandaro
pagina 2 Stabilità, efficienza e risoluzione, le tre tecnocrazie utili all'Europa Le azioni dei Parlamenti
europeo e italiano possono svolgere una azione importante per capire come migliorare il disegno dei
controlli di vigilanza nell'Unionee nel nostro Paese, purché evitino con la loro azione di minare quello cheè
un requisito indispensabile perché tali controlli siano efficaci: l'indipendenza delle tecnocrazie pubbliche
dalla politica. Nei giorni scorsi • in un involontarioe casuale percorso parallelo• si sono sviluppate due azioni
parlamentari: a Bruxelles un atto dell'ufficio legale del Parlamento ha aperto il dibattito sulla liceità della
azione di vigilanza della Banca centrale europea (Bce), mentre le audizioni in corso presso la commissione
del Parlamento italiano sui dissesti bancari sta facendo discutere anche per la distribuzione dei poteri tra
Banca d'Italiae Consob.I due percorsi potranno risultare utili - ed anche coerenti tra loro - solo se
aiuteranno a capire se è possibile migliorare il disegno della vigilanza bancaria e finanziaria con un
approccio che sia completo e coerente, che riguardi cioè sia l'Unione che il nostro Paese. Con una
premessa importante: nell'ambito della definizione dell'architettura dei controlli, finora l'analisi economica
non ha individuato un assetto ottimale, per cui quello che alla fine contaè quanto siano lungimiranti e
prudenti i politici che mettono mano alle riforme. I nodi da sciogliere sono tre, tra loro intrecciati. Il primo
nodoè il rapporto di delega tra il politico che legifera- cioè che definisce la regolamentazione finanziaria-e
l'autorità di vigilanza che deve supervisionare la corretta applicazione di tali regole.È il tema sotteso
all'azione del Parlamento Ue. L'ampiezza della delega e la sua profondità dipende almeno da tre fattori; le
caratteristiche tecniche della politica di vigilanza che è delegata; i rischi reputazionali che l'esercizio di tale
politica comporta; gli effetti redistributivi che essa ha. Nel caso della politica che viene esercitata dalla Bce,
cioè la cosiddetta vigilanza micro prudenziale- che guarda cioè alla sana e prudente gestione delle singole
banche - tale politica dovrebbe essere esercitata in una ottica di medio lungo periodo - cioè evitare che
abbia effetti congiunturali-e modulata su singole situazioni aziendali. Sappiamo che tale politica è stata
attribuita alla Bce in condizioni di grave emergenza congiunturale, vale a dire quando occorreva creare in
poco tempo una autorità di vigilanza europea dotata nella necessaria reputazione tecnicae istituzionale. Dal
momento dell'inizio della sua azione- novembre 2014 - l'ufficio di vigilanza Bce si è caratterizzato per una
politica cheè stata al contempo altamente discrezionale e nei fatti prociclica; una messa a punto sarebbe
ora auspicabile, in modo da poter continuare il percorso di una cen• tralizzazione della politica di vigilanza
bancaria. Il secondo nodo è quello del numero delle autorità di vigilanzae dei loro poteri relativi. Esistono tre
principali modelli di vigilanza: il modello unico, la vigilanza per funzioni e quella per soggetti. Il primo hai
difetti edi pregi di tuttii monopoli, in questo caso della vigilanza, che si riassumono nel cosiddetto rischio
cattura; il terzo è obsoleto nell'approccio - la globalizzazione della finanza lo rende tale-e tende alla
proliferazione delle burocrazie. Rimane il modello per funzioni, in cui il numero delle tecnocrazie dipenderà
da quantoi politici in carica sono lungimiranti e/o amanti del rischio. Ad esempio, la scelta europea sopra
ricordata di avere all'interno della Bce sia la politica monetaria che quella di vigilanzaè molto rischiosa. La
ragione è semplice: i vantaggi informativi della coesistenza delle due politiche sotto lo stesso tetto possono
essere ugualmente conseguiti con una efficace politica di coordinamento, mentre i danni reputazionali edi
rischi di cattura che l'azione di vigilanza può causare all'azione di politica monetaria sono potenzialmente
ingentie non prevedibili. Per cui, sarebbe opportuno che l'Unione definisse un approccio per funzioni
chiaroe sistematico, in cui esistono almeno tre tecnocrazie: una per la stabilità bancaria - modernizzandone
il significato- una seconda per la trasparenza e l'efficienza dei mercati finanziari, una terza per la gestione
di liquidazionie risoluzioni bancarie. Rispetto a tale approccio, sarebbe efficiente che l'Italia adottasse in
modo organico l'approccio per funzioni, con due sole autorità, cioè Banca d'Italia e Consob, eliminando
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tutte le potenziali inefficienze che l'attuale assetto ibrido può ancora comporta, come la dialettica emersa
tra i due vigilanti nel corso delle audizioni parlamentari italiane sembra far emergere. Infine il terzo nodo è
quello dello scambio di informazioni tra le diverse autorità di vigilanza. La dialettica sopra ricordata tra i
vigilanti italiani può far meravigliare solo chi non conosce la tematica. Ogni crisi finanziaria ha come suo
possibile innesco un problema di cattivo disegno delle politiche di coordinamento informativo. Oggi siamo
nel 2017, e ne abbiamo contezza nel caso italiano; nel 2007 abbiamo visto lo stesso fenomeno nel Regno
Unito,e nel 1997 in Corea, giusto per divertirci ricordando con un caso emblematico ogni decennio. Quindi
l'analisi dei fatti• come quella che sta compiendo la commissione parlamentare italiana - sarà davvero utile
se capiremo meglio proprio i tre nodi cruciali del disegno della vigilanza: il rapporto con la politica,
l'attribuzione dei poteri tra vigilanti, la politica di informazione tra gli attori coinvolti.
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L'ANALISI
Un Paese debole e le logiche del mercato
Paolo Bricco
Leonardo nonè una società come le altre. La politica- tutta, non solo il governo- provi ad astrarsi
dall'affanno del breve periodoe dalla febbre preelettoraleea considerare l'essenza strategica di uno degli
ultimi anelli della catena della grande impresa italiana, ormai sgranatae ridimensionata dalla Storia. La
caduta del titolo nonè solo imputabile agli investitori capaci- con le tecniche di borsa e la forza dei capitali• di
amplificare flessioni dovutea dei brutti conti.È stata troppo violenta per essere soltanto questo. Continua
pagina5 Continua da pagina 1 C'e prima di tutto una questione geopolitica sulla natura e il posizionamento
del Paese, che è preliminare all'andamento industriale e alla dinamica del titolo di un gruppo che, oltre ad
avere come principale azionista il Ministero dell'Economia e delle Finanze con il 30,2%, ne rispecchia in
maniera naturale la forza - o la debolezza - il senso di spaesamento - o la lucidità. La questione geopolitica
ha una cifra di lungo periodo e una cifra di breve periodo. La cifra di lungo periodo è rappresentata dalla
crescente marginalizzazione del Paese negli equilibri internazionali. Una deriva che attiene alla lunga
durata della Storia. E che non può non riflettersi su una Leonardo che produce elicotteri (militari e civili) e
pezzi di aerei (in particolare per Boeing), che si occupa di elettronica della difesa (radar e sistemi
missilistici) e di cybersicurezza. In Italia la domanda interna, che di solito è la prima base su cui si edificano
la quotidianità e la prospettiva strategica dei grandi gruppi di questo comparto, non c'è. Intanto, nel minimo
quadro geopolitico europeo, la Francia persevera anno dopo anno - decennio dopo decennio - a mantenere
corposa la spesa pubblica militare e civile e conserva - tramite la sua politica industriale - due grandi gruppi
come Thales e Eads. La Germania è stata a lungo ferma, ma negli ultimi anni ha dato più di un segnale di
risveglio su questo fronte. L'Inghilterra post Brexit capirà se potrà rimanere - e per quanto tempo - sotto
l'ombrello americano. Gli Stati Uniti, con la loro politica in cui l'agenda della Casa Bianca è costantemente
sottoposta allo stile personalistico di Donald Trump, sono portatori più di incognite che di certezza nel
settore industriale e tecnologico in cui opera Leonardo. C'è, poi, un elemento di fisiologia interna
all'impresa. Negli ultimi anni - con manager diversi - il gruppo ha avuto fasi di espansione strategica e di
rifocalizzazione, di crescita per linee esterne e di riperimetrazione delle attività. Senza entrare nel merito di
queste scelte, l'esito è visibile sui bilanci riclassificati da R&S Mediobanca: se nel 2012 i dipendenti erano
67mila, l'anno scorso sono diventati 45mila, con un valore aggiunto netto per addetto sostanzialmente
stabile (83mila euro nel 2012, 85mila euro nel 2016); il fatturato netto è sceso dai 17 miliardi di euro del
2012 ai 12 miliardi di euro del 2016; il costo del lavoro è stato "strizzato" passando da 4,6 miliardi a 3,1
miliardi; il taglio dei costi e l'efficientamento dei conti - come si dice in "managerialese" - hanno contribuito a
una maggiore redditività industriale, con il margine operativo netto comunque salito dal 5,3% nel 2012 al
6,1% del 2016. L'indebitamento consolidato ha visto i debiti prettamente finanziari calare dai 6,1 miliardi del
2012 ai 5,2 miliardi del 2016 e il totale dei debiti - inclusi i debiti di funzionamento - scendere da 23,7
miliardi a 18,7 miliardi. In questi cinque anni, dal 2012 al 2016, Leonardo è diventata più solida e -
sicuramente • più piccola. Il cambio di management, con l'insediamento del banchiere Alessandro Profumo
ad amministratore delegato il 16 maggio 2017, è dunque avvenuto a fronte di questa evoluzione
dell'organismo tecnoindustriale di Leonardo e si è verificato nel pieno di una rimodulazione del quadro
geopolitico internazionale rapido e sussultorio. In un contesto così delicato la politica italiana, che ha
dedicato non poche energie al dossier Fincantieri•Stx, metta nei suoi radar Leonardo. Non per attuare
ingerenze da Prima Repubblica. Ma per supportare il gruppo nelle sue attività internazionali. Il Paese è
debole? Sì, ma nella logica di mercati regolati e oligopolistici come quello delle forniture civili e militari e
della sicurezza, anche un Paese debole - se accorto e lungimirante - può trovare gli strumenti con cui
evitare l'indebolimento dei suoi gruppi industriali. La libertà di impresa non è la solitudine. Serve una
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/11/2017 102
attenzione specifica. A gennaio del 2018 Profumo presenterà il suo primo piano industriale. Ci sono due
mesi e mezzo. Un tempo infinito. È bene che la classe dirigente italiana ponga attenzione a quello che
accadrà - sui mercati reali, su quelli finanziari e su quelli "politici" - fino ad allora.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/11/2017 103
ORIENTAGIOVANI
«I want you», l'industria cerca super tecnici e laureati 4.0
Claudio Tucci
La manifattura 4.0 ha, e avrà sempre più bisogno, di super peritie laureati "Stem". La giorna• ta nazionale
Orientagiovani di Confindustria lo ha evidenziato chiariamente: le professioni più richieste nei prossimi anni
sono quelle scientifichee tecniche, che coprono il 39% del fabbisogno. Tra i laureati serviranno economisti,
statistici, ingegneri, per spingere innovazionee sviluppo. Alcuni di questi profili, è l'altra faccia della
medaglia, rischiano però di rimanere "introvabili". Ancora oggi oltre un quinto di aziende non riesce a
reperire il candidato giusto. E la filiera ter• ziaria professionalizzante è oggi limitata ai soli Istituti tecnici
superiori, frequentati da poco più di 8mila studenti. Servizi pagina 11 Serve perciò "fare squadra", tutti
insieme, scuola•formazione•mondo del lavoro, perché «l'impresa che cresce, fa progredire il Paese, crea
occupazione». Industria 4.0 sta spingendo le nostre fabbriche a innovare,a cambiare rapidamente (per
rimanere competitive sul mercato); c'è bisogno di super periti e laureati preparati (anche nelle lingue); ed è
necessario puntare sulle «competenze di filiera», legate a doppio filo al comparto industriale, che si
formano con alternanza, apprendistato duale, laboratorialità, imprenditorialità.È questo il cuore del
messaggio lanciato ieri, all'università Luiss di Roma, dal palco dell'«Orientagiovani», la manifestazione che
ogni anno Confindustria dedica all'incontro tra imprenditori e studenti, giunta alla 24esima edizione (in aula
magna erano presenti 500 ragazzi, più di 20mila giovani hanno preso parte alle manifestazioni organizzate
sul territorio). Lo sguardoè proiettato in avanti: «Abbiamo bisogno di innovazione;ei ragazzi di oggi,i nativi
digitali, ci possono aiutarea fare il grande salto in avanti», ha sottolineato il presidente di Confindustria,
Vincenzo Boccia, ricordando come l'Italia abbia «potenzialità enormi»;e che quindi «istituti tecnicie
università debbono essere punte avanzate delle sfide che ci attendono. La nostra industria vuole sognaree
costruire un futuro per questo grande Paese». In altre parole, servono passione, dedizione e impegno
serio. Anche il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, nel telegramma inviato al leader degli industriali, ha
richiamato «l'importanza di una interazione sempre più frequente tra istituti di formazionee imprese», come
passaggio fondamentale, ha aggiunto il presidente della Repubblica, per «orientare le future scelte
professionali» dei ragazzi; e «combattere la piaga della disoccupazione giovanile». Certo, gli ostacoli non
mancano;e c'è ancora strada da fare. Il nostro Paese soffre, per esempio, di un mismatch tra scelte
formative degli alunni e fabbisogni delle aziende ancora forte. «Più di un quinto delle imprese non riescea
trovare la risorsa di cui ha bisogno», ha spiegato Giovanni Brugnoli, vice presidente di Confindustria per il
Capitale umano. Un vero e proprio paradosso con un tasso di senza lavoro tra gli under25 superiore al
35%» (peggio di noi fanno solo Spagnae Grecia). Ci sono, poi, gli Its, le super scuole di tecnologia post
diploma alternative all'università. Sono realtà d'eccellenza, con l'80% degli studenti che trova un impiegoe
anche coerente con il percorso formativo, mapurtroppo • sono ancora una realtà di nicchia (poco più di 8mila
iscritti • in Germania, Francia, Spagna, Regno Unito simili istituti di formazione terziaria professionalizzante
hanno numeri di gran lunga maggiori ). Insomma, la fotografia è chiara. Come il fabbisogno di professioni,
al 2020, che indica in testa, proprio, quelle tecnico•scientifiche (39%);o la previsione, fatta direttamente dal
mondo produttivo, in base alla quale nei prossimi cinque anni nei settori del manifatturiero serviranno
200mila tecnici (ma vistii trend di alunni che nel quinquennio concluderanno gli studi si può già immaginare
una pesantissima carenza di periti specializzati nell'industria italiana). Ecco perché le scelte scolastiche dei
nostri ragazzi sono importantissime (e responsabili del 40% della disoccupazione giovanile). Scuolee
università devono correree aprirsi al 4.0 («i nostri corsi sono tutti duali», ha detto Roberto Pessi, prorettore
alla didattica della Luiss). Le imprese sono pronte ad affiancarsi al fianco di presidi e docenti che vogliono
fare buona formazione " on the job ". Del resto, di best practice ce ne sono già. Qualche esempio? Le
quattro imprese premiate ieri all'Orientagiovani da Bocciae Brugnoli: Adige Spa, il Gruppo Giovani
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/11/2017 104
Imprenditori di Pesaro, LyondellBasell, Intesa SanPaolo. Tutte realtà in prima fila (e da tempo) nella
formazione di giovanie dei propri dipendenti.
39 Per cento.È la quota di fabbisogno di figure tecnico•scientifiche del mercato del lavoro italiano. La stima ri
riferisce al quinquennio 2016•2020.In ritardo Il numero di iscritti agli Istituti tecnici superiori europei varia da
Paese a Paese Germania Francia Spagna Regno Unito Italia
Fonte: Ocse 764.854 529.163 400.341 272.487 8.251Le stime sulle richieste del mercato Fabbisogno per
tipologia di professioni - media 2016-2020. Dati in percentuale 39% Scientifiche 18% Tecniche 21% Operai
specializzati e artigiani 10% Non qualificate 10% Forze armate 1%
Fonte: Unioncamere, ministero del Lavoro, sistema informativo Excelsior Impiegatizie 12% Servizi 21%
Conduttori di impianti 6% Dirigenziali 1%
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/11/2017 105
PANORAMA
A settembre produzione industriale in rallentamento
Luca Orlando
In calo dell'1,3% su agosto, in crescita del 2,4% in termini annui. L'energia frena la produzione industriale a
settembre, meno brillante rispetto ai mesi precedenti. pagina 13 MILANO Viste le premesse, ci si aspettava
obiettivamente di più. Il dato di settembre per la produzione industriale spegne un poco gli entusiasmi, con
un calo congiunturale dell'1,3% che allontana nuovamente l'indice dei livelli pre•crisi, anche se tutti gli
indicatori lasciano pensare che si tratti solo di una pausa temporanea. In termini mensili si tratta del
risultato peggiore dallo scorso gennaio, che arriva però dopo ben quattro dati consecutivi in crescita. Il
bicchiere mezzo pienoè però apprezzabile nel confronto annuale, dove l'indice Istat risulta in aumento per
l'ottavo mese consecutivo (+2,4% rispetto al settembre del 2016), anche se in rallentamento rispetto alla
corsa registrata nelle rilevazioni precedenti. Parte della responsabilità è nella minore produzione di energia
(output in calo del 4,4%) a cui si affiancano però performance meno robuste anche per altri settori. Il
bilancio delle attività manifatturiere in senso stretto migliora quindi un poco, lievitando di oltre tre punti
grazie in particolare alla farmaceutica ma soprattutto alla filiera meccanica. Ai progressi nei mezzi di
trasporto (+5,9%), con l'auto ancora una volta protagonista positiva, si aggiungono infatti crescite
interessanti per prodotti in metalloe metallurgia (+4%), così come per l'area dei macchinari e attrezzature,
in progresso del 3,9%. Una fetta importante della scommessa del Governo per centrare gli obiettivi di
crescita si gioca proprio qui, nel comparto dei beni strumentali, beneficiario dello strumento più potente di
politica industriale attivato negli ultimi anni: l'iperammortamento al 250% peri beni "connessi" di Industria
4.0. L'intera area dei beni strumentali (+4,6% su base annua) pare reagire positivamente allo stimolo e il
settore dei macchinari presenta finalmente tassi di crescita coerenti con quanto registrato in termini di
ordinativi. Se infatti nel primo semestre la crescita dell'output per il settore era limitata ad un magro 0,8%, il
trimestre successivo ha mostrato un evidente cambio di passo: +8% a luglio, +3,5% ad agosto, +3,9% nella
rilevazione di settembre. Il che porta la crescita media 2017 ad un più confortante 2,3%, che nelle previsioni
dovrebbe comunque lievitare ancora, a mano a mano che le commesse acquisite dai costruttori si
"scaricano a terra", trasformandosi in produzione industriale. Le premesse ci sono, con il mercato interno a
presentare in generale per l'industria un quadro diverso rispetto al passato: da maggio ad agosto gli ordini
nazionali crescono infatti ininterrottamente, in tre mesi su quattro con performance a doppia cifra. Per i
comparti più direttamente coinvolti, come le macchine utensili, il progresso delle commesse è poi
decisamente superiore: uno scatto del 68,2% tra luglio e settembre. Alla ritrovata tonicità della domanda
nazionale, soprattutto dal lato degli investimenti, si aggiunge poi la crescita oltre le attese dell'export, con
l'Italia pienamente in grado di inserirsi e approfittare della risalita complessiva del commercio mondiale. Nei
primi otto mesi dell'anno il progresso del made in Italy è pari al 7,6%. In termini assoluti significa quasi 21
miliardi in più rispetto allo stesso periodo del 2016: proiettando questo trenda fine anno l'export tricolore
arriverebbe nel 2017 a sfiorare i 450 miliardi di euro, erano 417 l'anno precedente. Per l'output dell'industria
sono inoltre positive le prime indicazioni su ottobre, con il Centro studi di Confindustria (CsC)a stimare una
crescita congiunturale di un punto, così come ottimistiche sono le stime per la fine dell'anno. L'indice Pmi
manifatturiero siè infatti impennato a quota 57,8, il livello più alto dall'inizio del 2011, ampiamente al di
sopra della media del terzo trimestre. Una crescita legata in particolare alla forte domanda per i beni di
investimento, con i nuovi ordini in progresso al passo più elevato da febbraio 2011. La frenata di settembre
riduce il progresso trimestrale dell'industria all'1,5%, ma si tratta comunque di un'accelerazione rispetto al
periodo precedente.E il valore aggiunto dell'industria, osserva Loredana Federico, capo economista di
Unicredit, fornirà quindi un significativo contributo al Pil del terzo trimestre, stimato in progresso dello 0,4%.
Il quadro, in sintesi, resta ampiamente positivoe la cartina di tornasole più evidente è negli umori degli
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/11/2017 106
imprenditori. I cui indici di fiducia ad ottobre sono arrivati ai massimi da 10 anni.L'attività industriale di
settembre
PRODUZIONE INDUSTRIALE Settembre 2015 - sett. 2017, var. % sullo stesso mese dell'anno
precedente, dati corretti per gli effetti di calendario 0 -2 S O N D '16 S A L G M A M F O N D '17 +2,4% S A
L G M A M F
PRODUZIONE INDUSTRIALE PER SETTORE DI ATTIVITÀ ECONOMICA Settembre 2017, variazioni %
(indici in base 2010 = 100) Attività estrattiva Attività manifatturiere Alimentari, bevande, tabacco Tessili,
abbigliamento Legno, carta e stampa Coke e prodotti petroliferi Prodotti chimici Prodotti farmaceutici
Gomma e materie plastiche Fonte: Istat +1,9% +3,2% +0,4% +2,0% +0,1% -0,7% -2,1% +7,9% +2,3%
Metallurgia Computer, elettronica App. elettriche uso domestico Macchinari e attrezzature Mezzi di
trasporto Altre industrie manifatturiere Energia elettrica, gas Totale +4,0% -3,7% +1,7% +3,9% +5,9%
+11,1% -4,6% +2,4%
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/11/2017 107
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L'inchiesta SOFFERENZE BANCARIE SOTTO LA LENTE Il coverage Dalle trimestrali presentate in settimana emerge anche un rialzo medio delle coperture Le strategie Per Intesa Sanpaolo la via maestra è il ritorno in bonis, UniCredit incassa il successo di Fino
Npl, le banche accelerano: 60 miliardi in uscita
In attesa delle mosse della Vigilanza, gli istituti italiani spingono su cessioni e recuperi nei prossimi tre anni I PIANI PIÙ AGGRESSIVI Mps ormai pronto a disfarsi dei 28 miliardi cartolarizzati con Atlante, gli aumenti CreVale Carige finalizzati ad alzare le coperture Luca Davi Marco Ferrando
Il temuto addendum della Bce ancora non c'è. O meglio, non c'è nella sua forma definitiva, visto che una
doppia consultazione (una targata Bce, l'altra di Bruxelles)è di fatto in corso. Ma anche in assenza del
documento che minaccia di far scattare una svalutazione automatica dei crediti deteriorati, le banche
italiane stanno provando a portarsi avanti con il lavoro.E nel corso delle ultime trimestrali hanno messo
nero su bianco il loro impegno ad accelerare nel piano di pulizia dei loro portafoglio crediti, così da non farsi
trovare impreparate alle richieste in arrivo da Francoforte. Lo sforzo, va detto,è massiccio. Perché nel
complessoi dieci maggiori istituti commerciali italiani hanno messo in conto di ridurre complessivamente
l'incidenza dello stock di crediti deteriorati lordi di circa 60 miliardi entro tre anni sugli oltre 200 miliardi in
portafoglio, secondoi calcoli de Il Sole 24 Ore. Una cifra che è frutto di un ampio mix di azioni, che va dalle
cessioni tout•court dei crediti non performing alle cartolarizzazioni, dall'aumento delle rettifiche al recupero
degli Npl tramite una gestione proattiva interna o affidata a un servicer esterno. La via delle cessioni
Qualunque sia la strada intrapresa, alla fine sono due le possibili finalità degli interventi. La prima è quella
di ridurre il peso in sè dei crediti deteriorati sul totale deiprestiti erogati, così da riportarlo su valori
considerati accettabili dalla Bce. A tendere, in una logica di armonizzazione trai diversi paesi e in vista della
creazione della garanzia comune dei depositi, è possibile che gli istituti debbano allinearsi al 4•5% di Npe
ratio medio in Ue. Molto è stato fatto fino ad oggi in Italia, ma a Francoforte non basta. E neanche alla
Commissione europea, molto più laica nell'approccio (si veda l'articolo qui accanto) ma tuttavia altrettanto
convinta della necessità di ridurre primae di più. Il 12% medio di Npe ratio del nostro paese • eredità di una
doppia recessione• ci vede nella classifica del credito malato quarti dietroa Grecia, Cipro, Portogallo e
Slovenia. Troppo, per gli ispettori di Francoforte. Così, cessione dopo cessione, la parola d'ordine è
alleggerire il portafoglio: per molti l'obiettivo è rappresentato dal 10% in termini lordi, soprattutto per quegli
istituti che oggi fanno i conti con un dato di partenza del 15•20%. Mps, con la sua operazione da 28 miliardi,
è apripista. Il Creval, invece, ha annunciato un aumento da 700 milioni di euro per finanziare extra•coperture
e cessioni che porteranno l'Npe ratio dal 21% al 10% in tre anni. Bper, dal 20,5% di fine anno punta ad
atterrare al 13,5% al 2020 con cartolarizzazioni e aumenti di coperture per 4 miliardi. Caso a parte invece
banche come Intesa Sanpaolo, UniCredito Credem. Ca' de Sass, ad esempio, aveva in agenda lo
smaltimento, tra recuperi e cessioni, di 16 miliardi di Npl tra il 2016e il 2019,e nei primi9 mesi di quest'anno
ha già ridotto lo stock di 4,5 miliardi; UniCreditè reduce dalla recente maxi•pulizia con il progetto Fino da
13,3 miliardi, ma nei conti presentati gioved' da Jean Pierre Mustier c'è l'obiettivo di ridurre l'ammontare di
altri7 miliardi entro fine piano, cioè entro i prossimi due anni. Due strategie diverse, quelle delle principali
banche italiane: Intesa propensa a valorizzare il pià possibilei recuperi interni, UniCredit più sensibile al
mercato. «Se devi ridurre di poco il fardello degli Npl, puoi affidarti al workout interno• spiega Giovanni
Razzoli, analista senior di Equita Sim• Certoè che un impegno simile prevede un elevato sforzo in termini di
risorse umanee tecnologia: la gestione degli Npl ha carattere industriale, vista la elevata parcellizzazione
delle posizioni da trattare, e non tutte le banche possono permetterselo». L'aumento delle rettifiche L'altra
finalità della manovra a tenaglia degli istituti italiani prevede un aumento progressivo • per non dire
automatico• della copertura sui crediti malati, così da rendere le eventuali, future cessioni di Npl meno
dolorose in termini patrimoniali. BancoBpm, per dire, sta progressivamente alzando le proprie rettifiche su
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crediti (al 60% sulle sofferenze). La fotografia delle banche italiane Portafoglio Npl (sofferenze+utp),
coperture e piani di smaltimento delle principali banche italiane al 30/9/2017 STOCK LORDO DI NPL In mln
di euro COPERTURA NPL RIDUZIONE PREVISTA DELLO STOCK* In mln di euro Intesa Sanpaolo
53.600 49,5% 11.500 *Tra cessioni, passaggio in bonis e aumento rettifiche UniCredit 51.300 56,5% 7.000
BancoBpm 49,1% 27.491 5.500 66,4% Mps 45.000 2 8.000 40,01% Ubi 14.033 1.100 47,7% Bper 10.800
4.000 Carige 45,6% 6.306 1 .400 PopSondrio 48,9% 4.318 N.D. Credito Valtellinese 4.000 45,8% 2.100
Credem 43,9% 1.395 N.D. TOTALE In milioni di euro Riduzione prevista stock* 59.500 Stock lordo di Npl
218.243 Fonte: elaborazione del Sole 24 Ore su dati societari
Il confronto L'aumento del tasso di copertura sugli Npl 45% 50 55 60 65 70 2008 2009 2010 2011 2012
2013 2014 2015 2016 2017 Fonte: Stime Equita Sim
Foto: AFP
Foto: .@lucaaldodavi
Foto: .@marcoferrando77
Foto: L'impatto di Francoforte sugli Npl. La sede della Banca centrale europea
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IL PIANO FISCALE DI TRUMP
Le tasse dei ricchi e il «mito» di Reagan
Paul Krugman
Stan Collender, con il suo tipico acume, ha scritto recentemente sulle pagine della rivista Forbes un'analisi
della farsa in corso negli Stati Uniti sul tema dei conti pubblici, evocando Casablanca e la famosa battuta:
«Arrestate i soliti sospetti». Trovo che sia il motto perfetto per quello che sto vedendo, anche se io mi
concentro su aspetti leggermente diversi della farsa. Vedete, fino a qualche giorno fa il discorsetto
imbonitore di Trump si discostava lievemente dalle argomentazioni usate in passato dai Repubblicani per
«vendere» i tagli delle tasse, nel senso che includeva (a) un'inedita evocazione dei presunti benefici di
afflussi di capitali su larga scala grazie alla riduzione delle imposte sulle imprese, e (b) menzogne
spudorate di proporzioni mai viste prima. Ma quello che sto vedendo ultimamente è un revival di una
fraudolenza più tradizionale, dell'era Bush. Due elementi in particolare: la tesi che tutte le tasse in pratica le
pagano i ricchi, perciò è naturale che il grosso dei tagli vada a beneficio loro, e le asserzioni che i tagli
favoriranno una crescita economica di enormi proporzioni. Sul primo elemento, viene spontaneo pensare
che ci sia una certa contraddizione fra il ripetere a ogni piè sospinto che questo piano di riduzione fiscale è
fatto per la classe media e l'affermare che i ricchi si meritano di ricevere la fetta più grossa. Ma il bipensiero
di orwelliana memoria è un elemento chiave di tutta la faccenda. Comunque sia, la tesi su chi paga le tasse
è molto familiare per noi veterani del mestiere: si dice «tasse» quando in realtà si intende l'imposta federale
sul reddito, come se fosse l'unico genere di tasse. È vero che l'imposta federale sul reddito è pagata
principalmente da chi ha un reddito elevato, ma non è certo l'unica tassa, tutt'altro. A livello federale, la
maggior parte delle persone paga più di contributi sociali che di imposta sul reddito, e i contributi sociali, di
fatto, sono regressivi. Anche le tasse statali e locali pesano molto, e quelle regressive lo sono senza
dubbio. Chi ha provato a calcolare la distribuzione complessiva del carico fiscale ha scoperto un sistema
che non è particolarmente progressivo: i ricchi pagano molto, ma guadagnano anche molto, e la ripartizione
del carico fiscale non è particolarmente sproporzionata. Quanto all'altro elemento, sì, il presidente Ronald
Reagan tagliò le tasse, e durante la sua presidenza si ebbe una crescita media di oltre il 3 per cento. Ma
sapete con quale altro presidente si è avuta una crescita media di oltre il 3 per cento? Con Bill Clinton. E
anche con Jimmy Carter. Contrariamente a quello che pensa la maggior parte delle persone, sotto Carter
l'economia non è andata male. Il problema fu la tempistica: crescita rapida nei primi anni, recessione (e
inflazione) alla fine. In ogni caso, prendere la presidenza Reagan o la presidenza Clinton come ragione per
credere che una crescita del 3% è a portata di mano vuol dire ignorare un fattore importantissimo: la
demografia. Sotto Reagan, gli ultimi baby boomer stavano entrando nell'età lavorativa primaria; oggi ce ne
stiamo andando in pensione. Perciò chi evoca la crescita dell'era Reagan per giustificare previsioni fuori
misura oggigiorno è ignorante, disonesto o tutte e due le cose. Ma naturalmente non dovrei sorprendermi di
vedere alcuni dei vecchi argomenti fasulli fare la loro ricomparsa accanto alla nuova serie di bugie. La mia
esperienza negli anni è che la destra non rinuncia mai a un argomento, neanche quando è in palese
contraddizione con un altro che sostiene. Buttano dentro tutto quello che hanno, nella speranza che
qualcosa attecchisca. Ed è quello che stanno facendo in questo «dibattito» fiscale. (Traduzione di Fabio
Galimberti) GLI ECONOMISTI: Paul Krugman Tutti gli articoli e le risposte ai lettori www.ilsole24ore.com
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/11/2017 110
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SCENARI GLOBALI. PER OLIVER BÄTE, CEO DI ALLIANZ C'È BISOGNO DI RIFORME VOTATE A CRESCITA E PRODUTTIVITÀ
«L'Europa alla sfida del digitale»
I Paesi Ue arrancano non solo in confronto agli Usa ma ancor di più rispetto alla Cina CAMBIO DI PARADIGMA «Dobbiamo incentivare le aziende a spendere più soldi in formazione come fanno gli scandinavi, anziché a difendere i posti di lavoro a tutti i costi» Vittorio Da Rold
«C'è un'opportunità per un nuovo passo avanti per l'integrazione europea, una finestra da non per• dere».
Così Oliver Bäte, 52 anni, il Ceo di Allianz, il colosso assicurativo europeo con sede a Monaco di Baviera,
ieri nel corso di una lecture tenuta nella Torre Allianz a Milano, il più alto edificio del Paese con copia della
Madonnina d'oro sul tetto, dove ha delineato un affresco dell'Europa del futuro visto dal numero uno delle
assicurazioni europee. Introdotto da Klaus•Peter Roehler, ceo di Allianz Italia, Bäte ha tenuto un vibrante
discorso all'interno dei Vigoni Lecture, gli appuntamenti organizzati dalla fondazione omonima che
promuovei legami tra Italiae Germania, dove ha ricordato che dobbiamo rilanciare il processo di
integrazione come ha fatto il presidente francese Emmanuel Macron nel suo recente discorso alla Sorbona.
«Sono nato a Colonia dove ho sentito l'italiano da parte dei migranti negli anni 70 e poi ho fatto il servizio
militare nell'aviazione tedesca nella base di Decimomannu in Sardegna», ha esordito il manager tedesco.
Poi ha cambiato registro volando alto. «Non temo tanto la divisione tra un'Europa del Nord da quella del
Sud • ha affermato rispondendo a una domanda posta dall'ex commissario Ue Mario Monti, presente in sala•
quanto la tenuta della classe media dei Paesi maggiori come la Germania, la Franciae l'Italia di fronte alle
sfide future dove anche i media hanno le loro responsabilità nello spiegare queste dinamiche». «La ripresa
dell'eurozona ha sorpreso molti analistie cinque milioni di posti di lavoro sono stati creati. Ora c'è una
opportunità che dobbiamo cogliere. Se fermiamo l'integrazione rischiamo di restare indietro: dobbiamo
andare avanti sul mercato unico, clima e digitilizzazione», ha ricordato Bäte con ritmo incalzante. «Noi
dobbiamo incentivare le aziende nona mantenerei posti di lavoro, ma come fanno gliscandinavi, che
ammiro, a spendere più soldi in formazione. L'Europaè un bel posto dove viveree dove c'è il più generoso
welfare al mondo, un buon livello di istruzione ma bisogna saper accogliere le sfide». Insomma non ci sono
pasti gratis. «L'economia dell'Europa sta recuperando bene ma è pronta per il futuro? Poniamoci due
domande: la prima, l'Eurozona è a prova di crisi? si è chiesto il manager di Allianz. «I suggerimenti del
presidente Macron per un'ulteriore riforma della governance sono un'apertura benvenuta per riforme
necessarie. Non dovremmo fare affidamento soltanto su istituzioni e vigilanza più forti a Bruxelles che
spesso portano a maggiore burocrazia, ma anche indurre le forze di mercatoa controllarei governi che
hanno politiche non sostenibili». In questo quadro «è importante il dibattito sulle riforme che deve
coinvolgere tutti i membri dell'area euro, soprat• tutto l'Italia che si sta rendendo conto dell'importanza delle
riforme, sia interne siaa livello comunitario». Altrettanto importanteè la seconda domanda: l'economia Ue è a
prova di futuro, di fronte alla crescita dell'economia cinese e della digitalizzazione? «Con una popolazione in
età lavorativa che diminuisce, abbiamo bisogno di ulteriori progres• si in termini di produttività se vogliamo
generare crescita», ha spiegato il numero uno Allianz. Ciò significa un'ulteriore integrazione dei mercati
europei per servizi, capitali e digitale. L'Ue ha messo a segno un buon inizio con l'unione del mercato dei
capitali, ma se e quando il Regno Unito se ne andrà, l'Europa perderài suoi mercati di capitali più grandi.
Piuttosto che cercare di ottenere la loro quota nazionale dei mercati di capitali, i Paesi Ue dovrebbero
rilanciare il progetto dell'Unione del mercato dei capitali. Solo allora l'enorme quantità di risparmio europeo
potrà trovare una strada per gli investimenti a lungo termine in innovazione, crescita delle imprese e
infrastrutture», ha delineato Bäte. «Nell'area digitale, l'Europa è in ritardo non solo rispetto agli Usa, ma
ancor più rispetto alla Cina. Il programma del Mercato unico digitale promette di alimentare l'innovazione e
di creare un mercato integrato che consenta alle start•up di crescere. Ma se l'attuazione rimane così lenta, i
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singoli Paesi Ue creeranno specifiche regole sul digitalee sui dati, portandoa un'ulteriore frammentazione
del mercato. Se l'Europa si impegnerà insieme, potrà stabilire per l'economia del digitale e dei dati standard
globali sani, • ha concluso Bäte basati sulla nostra reputazione di qualità, sicurezza e protezione sociale».
«Ciò significa che dobbiamo lavorare insieme per conservare l' European Way of Life, di cui siamo
orgogliosi».
Foto: Europeista. Il ceo di Allianz Oliver Bäte
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Marina Calderone Consulenti del lavoro INTERVISTA
«Equo compenso a garanzia della dignità professionale»
«Giovani ancora al centro del programma. Crescerà il peso della consulenza previdenziale» Mauro Pizzin
Difesa della dignità professionale con la battaglia per l'equo compenso, valorizzazione di nuove
competenze, massima attenzione per la componente giovanile della categoria. Riparte con le stesse
priorità il quinto mandato di Marina Calderone, confermata alla guida del Consiglio nazionale dei consulenti
del lavoro per il triennio 2017•2020. Quasi un plebiscito quello per Calderone, che lo scorso 28 ottobre ha
ottenuto 420 preferenze su 441 schede valide: «Una gratificazione • spiega non solo a livello personale ma
anche perché alle spalle c'è un progetto unitario frutto di una lista di consiglieri sostenuta da tutte le
componenti della categoria. La cosa che più mi commuove, comunque, è sapere che accanto a me c'è una
categoria coesa». Presidente Calderone, anche lo scorso mandato lei misei giovani al centro del suo
programma. Sarà così anche per gli anni a venire? Direi di sì. In questo momento resta fondamentale
l'obiettivo di consentire ai giovani di entrare e rimanere nella nostra famiglia professionale vivendo bene del
loro lavoro. È un tema, questo, fortemente intrecciato con la nostra battaglia per l'equo compenso. Ciò che
ora è più a rischio, infatti,è il momento in cui il professionista deve trarre sostentamento dalla propria
prestazione. Una situazione che la preoccupa? Molto. Abbiamo visto che sempre più frequentemente
soprattutto la pubblica amministrazione arriva a svalutare il lavoro del professionista, fino bandire gare per
l'acquisizione di servizi professionali senza compenso. La svalutazione della prestazione professionale,
peraltro, porta a non far percepire più al cittadino l'importanza delle garanzie che il professionista dà in
termini di qualitàe affidabilità. In quest'ottica, se oggi vogliamo dare un futuro ai giovani professionisti,
dobbiamo ribadire che si tratta di lavoratori come altri e che hanno diritto al riconoscimento economico della
loro prestazione. Non è una battaglia per la reintroduzione delle tariffe, nonè una questione di tariffe, ma
prima ancora di tutela della figura del professionista. Un altro elemento portante sarà quello
dell'adeguamento della categoria alle nuove sfide professionali? Sì,e anche in questo caso il primo
pensiero va ai giovani. Oggi nel mondo delle professioni entrano 35•40mila colleghi fino a 35 anni, mille dei
quali come consulenti del lavoro: nei confronti di costoro io penso di avere precise responsabilità anche sul
fronte della formazione, perché da essa dipende la capacità di rimanere sul mercato. Sull'approfondimento
delle competenze lei ha lavorato anche durante l'ultima presidenza: dopo tre annii risultati sono stati
positivi? Direi di sì, se si pensa che dal 2014 ad oggi la mia categoria ha incassato una crescita di fiducia
dei clienti, aumentati di altri 250mila soggetti. Oggi gestiamo un milione e mezzo di aziende, fatto che ci
porta a gestire otto milioni di rapporti di lavoro. Quali saranno gli assi strategici negli anni a venire? L'ambito
delle nostre attività ricomprenderà le nuove sfide legate agli ultimi percorsi di riforma del mondo del lavoro,a
partire dall'aumento di peso delle politiche attive, di cui siamo soggetti promotori attraverso la nostra
Fondazione consulenti per il lavoro. Un altro segmento importante sarà quello della consulenza
previdenziale, perché si tratterà di gestire un percorso dei lavoratori che dopo le riforme pensionistiche sarà
sempre più su misura. Su questo fronte lavoreremo molto. Guardia alta anche sulle competenze in materia
fiscale e tributaria? Senza dubbio. Continueremo a presidiare questo fronte perché credo che l'impresa
oggi abbia bisogno di un consulente strategico in grado di assisterla in tutte le attività di valorizzazione del
capitale umano d'impresa. In questo contesto ci apriremo sempre di più alla collaborazione con tutte quelle
categorie professionali che possono agire in sinergia per fornire alle aziende una gestione globale del
riassetto strategico.
Foto: IMAGOECONOMICA
Foto: Quinto mandato. Marina Calderone, presidente del Cno
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Lo scontro generazionale
Pensioni, si avvicina lo sciopero della Cgil
Oggi vertice decisivo Gentiloni-sindacati ma sul blocco dell'aumento dell'età i margini di trattativa sono stretti ROSARIA AMATO
ROMA. Accordo in salita tra governo e sindacati sulle pensioni: oggi incontro decisivo, ci saranno anche il
premier Paolo Gentiloni, il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan e quello del Lavoro Giuliano Poletti.
«Le aperture del governo sono del tutto insufficienti - rileva il segretario confederale della Cgil Roberto
Ghiselli - i lavoratori che avrebbero accesso alla pensione di vecchiaia sarebbero poche migliaia, non i 15-
20 mila calcolati dal governo. E poi l'attuale meccanismo è distorto, perché se l'aspettativa di vita cresce
aumenta l'età pensionabile, se diminuisce invece non cala». Se il governo non dovesse venire incontro alle
richieste dei sindacati, «saremo costretti a intensificare le iniziative di mobilitazione della nostra gente»,
dice Ghiselli, aggiungendo, in un'intervista al Gr1, che si valuta anche «un eventuale sciopero generale,
possibilmente in maniera unitaria». La Cisl invece mostra una maggiore apertura verso l'ipotesi che lo stop
al momento riguardi solamente i lavori usuranti: «L'importante è incrementare l'intesa, attraverso un
allargamento della platea dei lavori gravosi e un allentamento dei requisiti, a cominciare dagli anni richiesti,
perché se diciamo che per accedere alla pensione di anzianità si devono avere almeno sei anni di contributi
negli ultimi sette prendiamo in giro i lavoratori agricoli. - sottolinea il segretario confederale della Cisl Gigi
Petteni - . Un rinvio generalizzato non risolverebbe il problema: meglio definire le categorie e proseguire il
confronto».
Palazzo Chigi con molta probabilità rimarrà però fermo sulle proprie posizioni, frenato dai vincoli di spesa,
e dall'esigenza di non cambiare le carte in tavola rispetto agli impegni presi con la Ue. Anche se il
Parlamento potrebbe forzare la mano all'esecutivo, votando emendamenti che vadano ben più in là delle
proposte messe in campo finora. Il governo mette sul tavolo l'esenzione dall'aumento dell'età pensionabile
per le categorie di lavori gravosi già individuate dalla normativa sull'Ape, alle quali si aggiungerebbero i
lavoratori agricoli, marittimi, siderurgici e i pescatori (difficile pensare ad altre categorie come i vigili del
fuoco o i postini, anche se ci sono richieste in questa direzione), una proroga al 2019 per l'Ape volontaria, e
una messa a regime della Rita, l'anticipo pensionistico. Inoltre accoglie la proposta dell'istituzione di un
comitato tecnico scientifico del quale farebbero parte anche Inps, Inail e Istat, oltre che rappresentanti dei
sindacati e dei ministeri del Lavoro, dell'Economia e della Salute. Il comitato avrebbe il compito di
riformulare i meccanismi di aumento dell'età pensionabile, «rompendo gli automatismi che la norma
prevede», dice Ghiselli. Mentre però per il governo il lavoro della commissione riguarda i futuri aumenti, dal
2021 in poi, per la Cgil e la Uil la commissione dovrebbe invece lavorare «a bocce ferme».
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2044 Il sorpasso degli anziani
Tra ventisette anni un terzo degli italiani avrà più di 65 anni, la spesa previdenziale salirà al18% del Pil E nel 2065 il numero dei decessi doppierà quello delle nascite Boeri: "La denatalità e il calo dell'immigrazione ci obbligheranno a cambiare la previdenza" Il Mezzogiorno è destinato a spopolarsi: si stimano 5,2 milioni di persone in meno Shock demografico con l'addio al lavoro dei baby boomers MARCO RUFFOLO
Inostri figli e nipoti lo ricorderanno come il più grande tsunami demografico che si sia mai abbattuto sulla
società italiana. E a causa sua saranno costretti a rimetter mano per l'ennesima volta alla riforma
previdenziale: lo dice lo stesso Inps.
Tre onde anomale resteranno in particolare impresse nella loro memoria. La prima arriva nel 2032: è
l'anno in cui vanno in pensione tutti in una volta un milione e 35 mila baby boomers, un picco assoluto.
Sono i neonati del 1964. Quell'anno, che già vede esaurirsi la forza propulsiva del miracolo economico, e
che ricordiamo per il completamento dell'Autostrada del Sole, per i jukebox nei bar e per il colpo di Stato
tentato dal generale De Lorenzo, segna un record di culle che non si ripeterà mai più nella storia d'Italia. Da
allora le nascite cominceranno a rallentare fino alle 473 mila di quest'anno. Ma il crollo, dice l'Istat,
continuerà ancora, finché nel 2032, mentre quel milione di sessantottenni lasceranno il lavoro, nei reparti di
maternità ci saranno non più di 450 mila neonati.
Secondo choc demografico: 2044. È l'anno in cui ci si accorge che il rapporto tra giovani e anziani si sta
progressivamente ribaltando. Gli italiani si contano e scoprono di avere molte più rughe e capelli bianchi:
tra di loro ci sono quasi 8 milioni di under 54 in meno rispetto a vent'anni prima, e 6 milioni in più di over 65,
ormai un terzo di tutta la popolazione. Il motivo è che stanno invecchiando le gigantesche classi dei baby
boomers (quelle nate tra la metà degli anni 50 e dei '70), e questo fatto spezza tutti gli equilibri. A
cominciare da quello pensionistico. La spesa previdenziale raggiunge un picco imprevisto, il 16,3% del Pil,
ma l'Eurostat la prevede ancora più alta: 18,3%. Il problema è che a rimpolpare la popolazione attiva, a
sostenere con i loro contributi il sistema pensionistico italiano, non contribuiscono più come prima gli
immigrati, fin qui una sorta di ciambella di salvataggio dei nostri conti pubblici e demografici. Nelle sue
ultime proiezioni la Ragioneria generale dello Stato prende tutti di sorpresa. Le stime di qualche tempo fa
sono ormai superate: proprio intorno al 2044 il flusso di immigrati si riduce dai 233 mila annui inizialmente
attesi a 155 mila. Un saldo pur sempre positivo, ma fortemente ridimensionato. Senza mezzi termini, si
ipotizza che gli immigrati preferiscano, come comincia a succedere già oggi, i Paesi del Nord Europa al
nostro. In Italia resteranno i lavoratori meno qualificati, spesso i più disperati. Il risultato è che alla fine,
nonostante l'aumento dei requisiti di età pensionabile al crescere della speranza di vita, e nonostante
comincino a uscire dal lavoro persone con la pensione calcolata tutta con il sistema contributivo, intorno al
2044 la spesa pensionistica schizzerà più in alto del previsto. Terza e ultima onda anomala: 2065. È l'anno
in cui il numero dei decessi doppia quello delle nascite: 850 mila contro 422 mila. L'invecchiamento e la
denatalità nel nostro Paese arrivano a tal punto che la popolazione, prevista inizialmente in leggera
crescita, vede sparire rispetto ad oggi 7,1 milioni di persone e si avvia malinconicamente verso quota 50,
dai 60 milioni attuali. Per la verità, senza il contributo degli immigrati (che pur ridimensionato pesa ancora
molto) i residenti calerebbero addirittura del doppio.
E siccome l'immigrazione è prevista concentrarsi quasi esclusivamente nel Centro-Nord, alla fine è il
Mezzogiorno a spopolarsi si più e in modo drammatico: 5,2 milioni di persone in meno.
L'età media nazionale raggiunge il massimo: 50 anni. Le donne toccano per la prima volta i 90 anni di
speranza di vita. Ma il 2065 è anche l'anno in cui la spesa pensionistica, dopo il picco di vent'anni prima,
torna a ridursi in rapporto al Pil. Come mai? Il motivo va sempre ricercato in quello che succede alla
foltissima schiera dei baby boomers, il vero asse portante del nostro sistema demografico e previdenziale.
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Dopo essere andati in pensione tra il 2020 e il 2040 pesando inevitabilmente sui conti previdenziali, adesso
i figli del miracolo economico passano semplicemente a miglior vita, per via dell'età. La Ragioneria usa una
terminologia un tantino tranchant per comunicarcelo: l'inversione di tendenza della spesa pensionistica -
scrive nel suo ultimo rapporto - «si spiega con la progressiva eliminazione delle generazioni del baby
boom». Le nascite continuano a battere la fiacca, ma almeno i contributi dei nostri figli e nipoti non
dovranno più pagare la pensione a quella sterminata massa di vecchietti.
Tutto risolto, dunque, con la loro "eliminazione"? Non proprio. Quelle ondate demografiche lasceranno più
di un segno al loro traumatico passaggio.
Lo lasciano soprattutto sui conti pubblici, creando uno squilibrio sempre maggiore tra i contributi via via
versati dai lavoratori (ridotti dalla denatalità e dalla bassa occupazione) e le pensioni da coprire con quei
contributi (gonfiate dalla crescente longevità degli anziani).
L'effetto finale è un maggior debito pubblico di oltre 30 punti percentuali, dice la Ragioneria, circa 51
miliardi di euro di qui al 2070. Ma l'Eurostat parla addirittura di 117 punti in più. Ovviamente, questo non è
un problema che imponga una immediata soluzione: i prossimi dieci-quindici anni saranno ancora
finanziariamente coperti dalle riforme messe in campo, ma successivamente non basterà più l'aumento
previsto dei requisiti di età, non sarà sufficiente l'effetto calmierante del sistema contributivo. «Ragionando
nel lungo periodo, di qui al 2070 - conferma il presidente dell'Inps, Tito Boeri - se non ci saranno nel
frattempo più immigrati regolari e/o più nascite, sarà necessario fare un'altra riforma pensionistica, perché
la demografia vanificherà quelle già fatte. C'è tutto il tempo per rimediare, ovviamente, ma non illudiamoci
di avere risolto il problema». Se così stanno le cose, pensiamo a cosa potrebbe succedere nei prossimi
decenni se si interrompesse di colpo l'adeguamento dell'età pensionabile alla speranza di vita, come
vorrebbero oggi alcune forze politiche, spinte evidentemente da una pressante motivazione elettorale.
L'Inps ha stimato questo eventuale costo aggiuntivo in 140 miliardi, che si sommerebbero ai 51 che si
dovranno comunque trovare in assenza di nuovi immigrati o di una ripresa della natalità. Siamo disposti a
lasciare in sospeso questo debito enorme sopra la testa dei nostri figli e nipoti? Come cambierà la
popolazione italiana 18,5% 21,7% 0-19 anni 20-54 anni 55-65 anni 65 e oltre 2015 Popolazione totale
Classi di età 60,8 milioni 11,2 28,6 7,8 13,2 47,2% 12,6% milioni milioni milioni milioni Fonte: Ragioneria
generale dello Stato 32,3% 13,4% 0-19 anni 20-54 anni 55-65 anni 65 e oltre 2040 Popolazione totale
Classi di età 16,0% 59,2 38,4% milioni 9,4 22,7 7,9 19,1 milioni milioni milioni milioni 33,1% 12,9% Classi di
età 2065 Popolazione totale 0-19 anni 20-54 anni 55-65 anni 65 e oltre 53,7 8,8 20,3 6,9 17,8 milioni milioni
milioni milioni 16,4% 37,6% milioni -7,1 Variaz.
sul 2015 in milioni -2,4 -8,3 -0,9 +4,5
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Le tasse L'intervista. L'ex ministro di Finanze e Tesoro dopo l'annuncio di Ruffini: "Possibile abolire la dichiarazione dei redditi, però servono interventi contro l'intreccio d'interessi che frena le riforme"
Visco:"Sì al fisco umano ma la sinistra vince se combatte l'evasione"
Intervista MARCO PATUCCHI
ROMA. Cosa pensa del "Fisco amico", vero mantra di tutti i governi degli ultimi anni, non esclusi quelli di
centrosinistra? Nella sua intervista a Repubblica anche il nuovo direttore dell'Agenzia delle Entrate, Ernesto
Ruffini, rilancia il concetto... «In realtà Ruffini spiega, giustamente, che al massimo il Fisco può essere un
parente - sottolinea Vincenzo Visco che è stato ministro delle Finanze dal 1996 al 2000 con i governi Prodi
e D'Alema, e ha guidato il Tesoro con l'esecutivo Amato del 2000-2001 - . Detto questo, è sacrosanto che il
Fisco sia al servizio del contribuente, evitando gli abusi. Ma se questo concetto si trasforma in strategia,
anzi nell'unica strategia, allora diventa pericoloso. Ricordiamoci che stiamo parlando del rapporto tra Fisco
e contribuente, dunque tra Stato e cittadini: massimo rispetto, ci mancherebbe, ma le leggi vanno
osservate, pena una sanzione». Non crede che semplificazione e moderazione fiscali siano altrettanto
sacrosante? Cosa risponde al dilemma tutto italiano tra chi sostiene che si evade tanto perché le tasse
sono troppe e troppo pesanti e chi, al contrario, ritiene che le tasse pesano tanto perché c'è troppa
evasione fiscale? «È il cane che si morde la coda.
Comunque sono propenso alla seconda chiave di lettura: le tasse in Italia sono troppo alte, ma per chi le
paga tutte».
Come dire che l'evasione è una tara sociale del Paese... «C'è un brodo di coltura, una tradizione
diffusa.Però il problema dell'evasione è politico, non banalmente tecnico. Se si volesse davvero risolvere, lo
si risolverebbe. In cinque anni si potrebbero recuperare fino a cento miliardi e solo con modifiche legislative
e normative. Guardi, il contesto dell'evasione è un po' lo stesso che c'è dietro alla questione creditizia, agli
scandali delle banche popolari o cooperative: intrecci di interessi diffusi e interconnessi, con un loro peso
rilevante sulla politica. In ballo ci sono i voti».
La politica, appunto. Ma perché la sinistra faticava nelle urne quando era il partito delle tasse e continua a
faticare ora che è diventato il partito del Fisco amico? «La sinistra perde perché non spiega che l'evasione
vale l'8% del Pil, il 20% delle entrate fiscali, il 30% di quelle tributarie. Di questa evasione si sa tutto: chi la
fa, in che territori, quali sono i settori più a rischio. Il problema si può affrontare. Volendo. È l'eterno
dilemma tra destra e sinistra, tra liberisti e keynesiani, tra socialisti e conservatori. Le tasse vanno pagate
da tutti e i più ricchi devono, in proporzione, pagare di più. Perché servono a finanziare sanità e istruzione
universali, l'assistenza ai più poveri, ordine pubblico e infrastrutture. È il contratto sociale che ha garantito il
benessere dal dopoguerra».
Ci sta dicendo che le elezioni non si vincono tagliando le tasse? «L'unico modo per far calare le tasse è un
recupero deciso dell'evasione. Tagliarle d'amblè non è possibile con conti pubblici come quelli italiani».
Crede possibile abolire in 5 anni la dichiarazione dei redditi come prefigura Ruffini? «Nel 1998 affogavamo
nella carta e quando introdussi il Fisco telematico, sembrava una cosa avveniristica. Eppure la riforma
riuscì. Dunque tutto è possibile, ma serve coerenza e continuità dell'impegno. Secondo me si può arrivare
addirittura all'abolizione della contabilità Iva, con un sistema che consenta l'arrivo dei dati delle fatture
contemporaneamente a Fisco e aziende. Invece si procede a strappi e si fanno le cose a metà: l'estensione
dell'obbligo di fatturazione elettronica a tutte le imprese, ad esempio, è destinato a faticare perché
comporta trasformazioni strutturali troppo radicali nelle aziende. Il Pos obbligatorio è stato introdotto e tolto
di continuo, senza peraltro prevedere sanzioni. Stesso discorso per il marchingegno inserito nelle
macchinette dispensa-bevande». E l'idea di combattere l'evasione anche con le campagne pubblicitarie?
«È utile se passa il messaggio che il gioco non vale la candela perché ci sono le sanzioni» I RICCHI Le
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tasse devono pagarle tutti, e i ricchi in proporzione di più LA PUBBLICITÀ Le campagne sono utili se
chiariscono che per chi evade ci sono le sanzioni
IERI SU REPUBBLICA L'ANNUNCIO Ieri su Repubblica l'intervista nella quale il direttore dell'Agenzia delle
Entrate, Ernesto Ruffini, annuncia l'obiettivo di abolire la dichiarazione dei redditi in 5 anni
Foto: ECONOMISTA E POLITICO Vincenzo Visco è stato ministro delle Finanze tra il 1996 e il 2000 (con i
governi Prodi e D'Alema) e poi ministro del Tesoro con Amato
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L'inchiesta La crisi. Via Nazionale sapeva che l'istituto aretino non stava più in piedi. Ma non adottò le misure adeguate e Consob non fermò la vendita di bond alle casalinghe
Banca Etruria le sviste dei vigilanti
Quei 464 giorni di ispezioni Bankitalia che non hanno impedito il collasso FABIO TONACCI
ROMA. Quattrocentosessantaquattro giorni non sono bastati. Messe in fila, le tre ispezioni di Bankitalia che
hanno messo il naso nei conti dell'Etruria tra il 2010 e il 2015 sono durate quasi un anno e mezzo.
Eppure, non ne hanno impedito il collasso. Né la Consob è riuscita a tutelare i risparmiatori quando gli
amministratori toscani hanno deciso la mossa della disperazione, cioè vendere titoli rischiosissimi a
casalinghe, pensionati e operai. I quali niente sapevano di obbligazioni subordinate, né potevano
conoscere il principio del "burden sharing" che, con la condivisione del rischio, le avrebbe tramutate in
fumo. Da quando Etruria è fallita, Consob e Bankitalia si sono difese accusandosi l'un l'altra. L'unico fatto
certo, al momento, è che i protocolli sullo scambio di informazioni tra i due organi di vigilanza non hanno
funzionato. Perché, per dirla con le parole di un ex commissario Consob, "Bankitalia punta alla stabilità e
per salvare un malato mantiene la riservatezza, la missione della Consob invece è la trasparenza". Non è
difficile prevedere che voleranno di nuovo gli stracci, quando la Commissione parlamentare d'inchiesta
tratterà la "pratica" Etruria. L'ISPEZIONE E dire che è dal 2010 che Bankitalia la tiene nel mirino. L'allora
governatore Mario Draghi inviò i suoi uomini ad Arezzo, insospettito dal fatto che si erano presi Banca
Federico del Vecchio e Banca Popolare Lecchese, continuando a elargire con disinvoltura crediti milionari.
Il referto del team ispettivo, già allora, era eloquente: gli investimenti erano "di ardua sostenibilità", la qualità
del portafoglio "scadente", il patrimonio consolidato "esiguo", gli emolumenti per l'ex presidente Elio Faralli
"eccessivi". Vennero fuori anche i primi conflitti di interesse dei consiglieri di amministrazione (Rigotti e
Federici). L'ispezione, però, si concluse con una carezza.
Nonostante un giudizio "parzialmente sfavorevole", nessuno fu sanzionato da Banca d'Italia. Tutto si
risolse con una serie di raccomandazioni, ovviamente cadute nel vuoto. Ma è con il bond Etruria che l'intero
sistema di vigilanza è precipitato.
IL BOND ETRURIA SOTTOVALUTATO Torniamo a quei giorni di aprile del 2013. Da mesi la banca
toscana è sotto gli occhi di tutti: l'agenzia Fitch le ha assegnato un rating BB+, il peggiore tra tutte le medie
banche italiane, il bilancio 2012 si è chiuso con una perdita di 285 milioni e gli ispettori di Bankitalia sono di
nuovo ad Arezzo. Per rafforzare il patrimonio supplementare gli amministratori decidono allora di piazzare
sul mercato obbligazioni subordinate per 110 milioni di euro, in due tranche. Gli investitori istituzionali non
avrebbero abboccato, ecco quindi l'idea che si rivelerà diabolica venderle alla clientela "retail", cioè i piccoli
risparmiatori, con una cedola bassa al 3,5 per cento. Alla Consob dovrebbero accendersi le spie rosse di
allarme, invece i quattro commissari, nella seduta del 18 aprile, autorizzano la pubblicazione del prospetto
informativo del bond Etruria.
«La decisione non fu unanime», ha raccontato in seguito una fonte interna di Consob alla procura di
Arezzo. Forse qualcuno subodorò l'azzardo, ma il prospetto ebbe comunque l'ok. Salvo poi, tre anni dopo e
con 5.000 sottoscrittori rimasti senza niente in mano, accusare la Banca d'Italia di non aver condiviso le
informazioni disponibili e lamentarsi di non aver ricevuto la lettera del governatore Visco ai vertici di Etruria
datata 24 luglio 2012.
OMESSO L'UNICO DATO UTILE «Facevamo 200 prospetti all'anno, non ricordo come avvenne il voto»,
racconta a Repubblica l'ex commissario Consob, con la garanzia dell'anonimato. «Tutti i dati che avevamo
furono inseriti. Se manca qualcosa è perché Bankitalia non ce lo trasmise». Il prospetto informativo è un
documento di 138 pagine, illeggibile per i non addetti. L'unica cifra comprensibile, la percentuale del rischio
di perdere il denaro investito, non c'è. Secondo alcuni analisti, per il bond Etruria arrivava al 47 per cento.
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Si chiama scenario probabilistico, e una direttiva del presidente Consob Giuseppe Vegas ne ha impedito
l'inserimento nei prospetti, come dimostra un carteggio del maggio 2011 con il suo responsabile Divisione
emittenti Claudio Salini. Lo stesso Salini che, uscito da Consob, si è accomodato su una poltrona di
consigliere nel cda di Etruria. Una porta girevole che si è aperta anche per Massimo Tezzon, ex direttore
generale Consob, divenuto capo del collegio sindacale.
IL SUPPLEMENTO DI NATALE A ottobre 2013, però, arriva a conclusione il lavoro del team ispettivo di
Emanuele Gatti. La relazione finale è pronta, e Gatti tra le altre cose segnala l'anomalia delle subordinate
con rendimenti da titolo di Stato. Ma perché quelle carte arrivino alla Consob tocca aspettare il 6 dicembre.
Si perde tempo, inutilmente.
Il 23 dicembre, due giorni prima di Natale, la Commissione fa pubblicare un supplemento al prospetto di
aprile, dal quale si capisce che le condizioni della banca sono peggiorate, ma la gravità della situazione
riportata da Gatti non traspare. Almeno, non a chi non è un addetto ai lavori. «Le rettifiche sui crediti
(chieste da Bankitalia, ndr) non assumono in ogni caso un'entità tale da pregiudicare il mantenimento dei
requisiti prudenziali», si legge in un passaggio del supplemento. E pensare che pochi giorni prima il
governatore Visco aveva scritto un'altra lettera al cda di Etruria, dai toni drammatici. «La Popolare ormai è
condizionata in modo irreversibile». Pure la tempistica è singolare. Il supplemento viene pubblicato a
cavallo di Natale, con due giorni lavorativi di tempo per esercitare il diritto di rescindere il contratto.
Nessuno, o quasi, lo ha fatto.
LE "DUE" BANKITALIA Nell'ultima missiva Visco invitava i vertici di Etruria a fondersi al più presto con un
«partner di elevato standing». Non indicava il nome della Popolare di Vicenza, ma che l'indirizzo fosse
quello si deduce dal report della terza ispezione (dicembre-febbraio 2015), dove l'offerta dell'istituto
vicentino è definita «l'unica giuridicamente rilevante». Per la mancata fusione i consiglieri sono stati
sanzionati e gli sono stati chiesti 212 milioni di danni dal commissario liquidatore. E però qualcosa non
torna, perché nel 2014, quando si doveva fare l'operazione, la Popolare di Vicenza era già in crisi e
difficilmente avrebbe potuto sostenere l'aggregazione. In quali condizioni fosse l'ha ricordato di recente il
capo della vigilanza di Bankitalia Carmelo Barbagallo alla Commissione parlamentare. Sarà chiamato a
spiegare anche questa contraddizione. Una delle tante del caso Etruria.
Etruria, cronologia della vigilanza 14 Gennaio27 aprile 2010 Prima ispezione Bankitalia capo ispettori
Vincenzo Cantarella "Esito parzialmente sfavorevole" Vennero fuori due potenziali conitti di interesse con
consiglieri Federici e Rigotti, ma non ci furono sanzioni 24 luglio 2012 Prima lettera di Visco a vertici Etruria
"Situazione del gruppo aretino fortemente problematica, le azione correttive non hanno prodotto risultati
auspicati.
Entro la fine 2012 ricapitalizzare per 100 milioni" 4 dicembre 201215 marzo 2012 18 marzo 20136
settembre 2013 Seconda ispezione Bankitalia, capo ispettori Emanuele Gatti "Carente funzionalità
dell'organo amministrativo, inadeguata azione della Direzione generale, carenze nel presidio dei rischi
operativi" 18 aprile 2013 La Consob approva la pubblicazione del prospett informativo sulle emissioni di
obbligazioni subordinate alla clientela "retail" di Etruria 3 dicembre 2013 Seconda lettera di Visco ai vertici
Etruria "La Popolare non è più in grado i percorrere in via autonoma la strada del risanamento, necessaria
fusione con un partner di elevato standing" 11 novembre 201427 febbraio 2015 Terza Ispezione Bankitalia,
capo ispettori G. Di Veglia "Gravi perdite, anomalie nella gestione e inerzia degli amministratori" 11 febbraio
2015 Il Mef, su invito di Bankitalia, commissaria Banca Etruria
10 febbraio 2015 Viene commissariata dopo che le ispezioni di Bankitalia fanno emergere:
un passivo di 526 milioni di euro crediti deteriorati per 2,8 miliardi di euro un Core Tier1 sceso al 5,9%
22 novembre 2015 Il decreto del governo azzera il valore delle azioni e delle obbligazioni subordinate Gli
attivi e i passivi dell'istituto vengono assorbiti da Nuova Banca dell'Etruria e del Lazio
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/11/2017 120
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La Banca Etruria
Le tappe CITTÀ Arezzo FONDAZIONE 1882 1.800 dipendenti 175 filiali in 8 Regioni SOCI AZIONISTI
60.000 OBBLIGAZIONI SUBORDINATE 274 mln I PROTAGONISTI IL GOVERNATORE All'inizio della crisi
di Etruria, la Banca d'Italia, guidata da Ignazio Visco, ha espresso una serie di raccomandazioni ai manager
senza fargli però cambiare direzione di marcia IL PRESIDENTE La Consob, di cui è presidente Giuseppe
Vegas, non ha bloccato la vendita di obbligazioni subordinate ai risparmiatori più deboli IL MANAGER
Lorenzo Rosi, presidente di Etruria dal 2014 fino al commissariamento, propone a Ghizzoni, ad di Unicredit
all'epoca, la possibile acquisizione della banca La prima puntata dell'inchiesta sugli scandali bancari è stata
pubblicata martedì 7 novembre
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/11/2017 121
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Il retroscena. Ma a guidare la cordata resterebbero i francesi di Thales
Il piano per Leonardo consorzio nella Difesa grazie a Fincantieri
Nello scambio con Parigi la possibilità di coinvolgere il gruppo nelle commesse militari MASSIMO MINELLA LUCA PAGNI
MILANO. L'ipotesi non è delle più gradite negli ambienti militari italiani. Ma dopo la debacle in Borsa di
venerdì scorso, con il titolo che ha perso 1,6 miliardi di capitalizzazione, si tratta di una strada che appare
obbligata. Perché il rilancio del gruppo Leonardo, società controllata dal Tesoro, tra i leader europei nei
settori Spazio e Difesa, potrebbe passare per una nuova alleanza sull'asse Italia-Francia. E si incrocia con
l'altra partita tra colossi di stato che ha visto Fincantieri prendere il controllo dell'azienda bretone Stx, dopo
un braccio di ferro con il governo di Parigi.
Secondo ricostruzioni attendibili, tra cancellerie se ne è già parlato. Nelle trattative per il passaggio dei
cantieri francesi sotto l'egida italiana, oggetto di discussione è stato anche Leonardo. E nell'ottica della
costruzione di grandi gruppi industriali europei, sarebbe possibile un accordo per cui, così come il business
della cantieristica dopo la fusione con Stx verrà guidato da Fincantieri, allo stesso modo si potrebbe
lavorare per un consorzio sui sistemi di Difesa e Sicurezza a guida francese. Dove il colosso Thales
farebbe da capocordata.
Il primo banco di prova è stato ufficializzato venerdì con l'annuncio della partecipazione congiunta alla gara
bandita dalla Royal Canadian Navy, la Marina Militare canadese: per quindici nuove fregate è disposta a
pagare 47 miliardi di dollari. Una commessa ingente che vedrà Fincantieri e i francesi di Naval Group
alleate con un prodotto innovativo, un'evoluzione delle fregate Fremm costruite per i due Paesi, a maggiore
spinta tecnologica e con una sistemistica ancor più sofisticata. E qui Leonardo si appresta a giocare un
ruolo tutt'altro che secondario. Secondo gli accordi in via di definizione, la fornitura della componente
sistemistica ai "prime contractor" Fincantieri e Naval Group sarà offerta alla pari da Thales, azionista di
Naval Group, e da Leonardo. Il rafforzamento dell'alleanza Italia-Francia in campo militare avrebbe così
un'ulteriore conferma. Gli esempi in cui i due Paesi sono già operativi insieme non mancano. È il caso dei
satelliti. Se nella parte civile, Telespazio, gli italiani sono in maggioranza, proprio con Leonardo, con una
quota del 67% (Thales ha il 33%), per la parte militare, Thales Alenia Space, sono i francesi a essere in
maggioranza, 67% contro il 33% di Leonardo. Poi c'è la realizzazione del drone europeo, denominato Male
2025: in questo caso, l'Occar, l'Organizzazione continentale per la cooperazione in materia di armamenti ha
affidato il prototipo a Leonardo, Airbus e ai francesi di Dassault. E proprio sui droni il soccorso di Leonardo
a un'azienda storica ma in gravissima crisi finanziaria, Piaggio Aerospace, potrebbe essere decisivo. Il
gruppo ligure che fa capo al fondo degli Emirati Arabi Mubadala rischia di portare nei prossimi giorni i libri in
tribunale. L'alternativa è individuare alleanze in grado di rilanciare i business produttivi, quello civile, per cui
si è già fatta avanti una società italiana rappresentante di interessi cinesi, e quello militare, che potrebbe
finire nell'orbita di Leonardo, che con Piaggio collabora già da tempo.
I NUMERI 51% I CANTIERI STX Fincantieri ha preso il controllo del 51% dei cantieri bretoni Stx 67%
TELESPAZIO Leonardo ha il controllo della società dei satelliti civili 1,6 mld PIAZZA AFFARI Leonardo ha
perso il 21% in Borsa pari 1,6 mld di valore
Foto: L'alleanza italo francese sulle navi sancita da Fincantieri-Stx si allarga al settore militare
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La rivoluzione del Fisco Ruffini: cancellerò il 730 troppe le tasse inutili
Intervista al direttore delle Entrate: "Mai più condoni" Manovra: web tax al 6 per cento, aumentano le sigarette FABIO BOGO SERGIO RIZZO
PER LA fine della dichiarazione dei redditi è iniziato il conto alla rovescia. Diventerà un residuato storico,
come quello che il nuovo direttore dell'Agenzia delle Entrate, Ernesto Ruffini, conserva quasi con
tenerezza: è il modello 740 che un quarto di secolo fa veniva definito fin troppo bonariamente «lunare». La
copia che tiene sul tavolo, però, è speciale. Si tratta del fac simile distribuito allora dal settimanale satirico
Cuore, che conteneva anche il Quadro H «per tutti coloro che non fanno il cocchiere» e il Quadro T «solo
per i possessori di minareto», nonché il Quadro Bartezzaghi.
ALLE PAGINE 2 E 3 CON UN ARTICOLO DI CONTE ROMA. Per la fine della dichiarazione dei redditi è
iniziato il conto alla rovescia. Diventerà un residuato storico, come quello che il nuovo direttore dell'Agenzia
delle Entrate Ernesto Ruffini conserva quasi con tenerezza: è il modello 740 che un quarto di secolo fa
veniva definito fin troppo bonariamente «lunare». La copia che tiene sul tavolo, però, è speciale. Si tratta
del fac simile distribuito allora dal settimanale satirico Cuore, che conteneva anche il Quadro H «per tutti
coloro che non fanno il cocchiere» e il Quadro T «solo per i possessori di minareto», nonché il "Quadro
Bartezzaghi".
C'era scritto «destinato ai solutori più abili». Una parodia indimenticabile: peccato che non fosse così
lontano dalla realtà.
«Per fortuna siamo in un Paese diverso.
Oggi c'è la dichiarazione precompilata. Ma mi piace pensare che sia soltanto un passaggio intermedio fra
come eravamo e come saremo. Lunedì ho convocato da Sogei tutti gli intermediari, commercialisti,
consulenti del lavoro e gli altri professionisti perché bisogna partire col piede giusto nel tempo giusto per
arrivare agli appuntamenti con proposte il più possibile condivise. Il Fisco deve ascoltare, confrontarsi. E
cambiare». Ma come cambierà? «Accumulando sempre più dati ed evitando naturalmente di chiedere quelli
che già abbiamo, deve venir meno il concetto stesso di dichiarazione dei redditi. Nel momento in cui il Fisco
possiede tutti i dati, ti presenta l'elaborazione di quegli stessi dati e tu da controllato diventi controllore del
fisco. Ti fornisco un servizio e hai il diritto di vedere se ho lavorato bene».
Abolire la dichiarazione dei redditi: questa sì che è lunare. A quando lo sbarco? «Direi 5 anni. Trattandosi
di un'operazione complessa ritengo che l'orizzonte possibile per l'entrata a regime sia questo».
Attenzione con le promesse: finora si è andati sempre in senso contrario. Confartigianato dice che ci sono
210 scadenze fiscali l'anno. Per non parlare della giungla di norme incomprensibili e contraddittorie.
«L'Italia ha, senza dubbio, un numero di imposte superiore alla media europea. In Svizzera ci sono 25
leggi fiscali, la Germania ha 35 testi unici. Noi abbiamo 388 leggi e 396 decreti attuativi. Solo il testo unico
delle imposte sui redditi ha 76 mila parole.
Dal 1994 il numero di caratteri è più che raddoppiato. Dal 1986 ha subito 1.200 modifiche. Ma tutti i Paesi,
Stati Uniti compresi, lamentano gli stessi problemi».
Tasse sulle bandiere, tasse perfino sull'ombra. Più di 240 ore l'anno per pagare le imposte, il doppio della
media europea. Come si evita tutto questo e si diventa un Paese normale, almeno fiscalmente? «Dobbiamo
diminuire drasticamente il tempo. Quando il Fisco commette un errore, può e deve restituire i soldi con gli
interessi. Quest'anno, per esempio, abbiamo già restituito 10 miliardi di Iva e 2 di imposte sui redditi. Ma il
tempo sottratto non lo si può restituire alle imprese e ai cittadini.
Né a chi lavora qui dentro. E il tempo ha una sua sacralità». Ma come? Si ha la sensazione che la
burocrazia viva in una dimensione diversa da quella reale, e funzioni solo per giustificare la propria
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esistenza in vita. Né le cose sembrano migliorare. Dieci anni fa nella classifica della Banca mondiale sulla
facilità di fare impresa l'Italia occupava per il fisco il posto numero 117. Oggi è al 126.
«Quando sono arrivato, prima in Equitalia e poi qui, ho avvertito che la macchina non vuole essere
percepita come un peso per l'economia, per il Paese, per gli investimenti esteri. Ma per poter governare
una macchina serve un motore e quattro ruote, e io le vorrei far diventare tutte motrici. La burocrazia a volte
è un serio ostacolo, ma le donne e gli uomini che lavorano qui dentro vogliono essere percepiti come
persone che possono dare un contributo allo sviluppo del Paese. Un Fisco efficiente è un motore di crescita
per il Paese. È chiaro che per questo è necessario un cambiamento culturale e di prospettiva, anche qui
dentro».
Certe lettere che arrivano ai contribuenti dall'Agenzia sono semplicemente inaccettabili. A uno che
chiedeva un chiarimento hanno risposto: «Lo deve sapere lei».
«Non dimentichiamo mai che dobbiamo rispettare le norme. Poi esiste il buon senso. In Equitalia abbiamo
fatto dei gruppi di cittadini per esaminare le lettere, riscriverle e renderle comprensibili. La stessa cosa
stiamo per fare qui, perché non c'è nulla di più frustrante di una comunicazione incomprensibile. Costerà
fatica e impegno».
Questo nuovo Fisco "amico" non rischia di rivelarsi un boomerang in un Paese che ha una forte
propensione all'evasione? «Il termine "Fisco amico" non mi piace.
Gli amici si scelgono. Il Fisco può essere al massimo un parente, visto che i parenti non si scelgono. Ma a
patto che non sia indigesto né invadente. Il recupero dell'evasione è uno degli ambiti operativi dell'Agenzia,
ma non l'unico. Centinaia di miliardi entrano spontaneamente: poi, certo, ce n'è anche una parte che entra
grazie ai recuperi. Dobbiamo cambiare visione: l'interlocutore di Agenzia non dovrà essere un codice
fiscale, ma il cittadino. Con la C maiuscola».
Dicevamo questo anche perché ora si sta per fare una seconda rottamazione delle cartelle, ovvero una
specie di condono.
Non rischia di far capire alla gente che può continuare a evadere, tanto ci sarà sempre il modo di
sistemare le cose? «Rottamazione, lo dico da tributarista, non è tecnicamente un condono. L'Agenzia delle
entrate - Riscossione non riscuote solo le imposte evase e non sempre chi riceve le cartelle si può definire
evasore. A Bologna mi è capitato un signore con una cartella di 6 mila euro di mense scolastiche non
pagate, multe dell'autobus e dell'autostrada: aveva perso il lavoro. Era un evasore? Il 53% ha debiti non
superiori a 1.000 euro. Credo che dare ai cittadini la possibilità di mettersi in regola senza un salasso di
sanzioni e interessi non sia sbagliato».
Ci faccia capire: è contrario o favorevole ai condoni? «La prima che avete detto».
Resta il fatto che il Fisco incassa comunque le briciole. Su 817 miliardi di euro accertati si prevede di
aggredirne al massimo il 10 per cento. Assurdo, no? «Non c'è un Paese che abbia un magazzino così
vasto, soprattutto per il tempo, 17 ©RIPRODUZIONE RISERVATA anni. Non sono solo crediti fiscali ma
molto di più. Ad esempio multe e contributi previdenziali, calcolati dal 2000 al 2017, che per una serie di
motivi non sono mai né recuperati né restituiti agli enti creditori. Imprese fallite, persone scomparse o senza
reddito.
Il paradosso è la sommatoria degli anni».
Per non parlare del contenzioso... «Quello per fortuna va meglio. Nel 2016 abbiamo vinto sette cause su
dieci. Il problema è anche lì quanto si incassa dopo aver vinto».
E veniamo ai controlli. Ricorda il criticato blitz di Cortina? Vedremo ancora quelle scene, mediaticamente
assai redditizie, o si darà la caccia ai grandi evasori? «Il ruolo di Agenzia è come il tutor in autostrada. Non
serve a fare multe, ma a far rispettare i limiti. Le tasse dobbiamo pagarle tutti. Il giusto. L'attività
dell'Agenzia è valutare i profili di rischio. La riorganizzazione interna varata pochi giorni fa, che ora è nelle
sapienti mani del ministro Pier Carlo Padoan, prevede un meccanismo tale da individuare le tipologie di
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contribuenti con particolare attenzione al rischio. Per capire qual è il settore dove più facilmente si può
nascondere l'evasione. Il nuovo modello guarda alla realtà fuori da questa porta e pone al centro i servizi ai
cittadini».
È plausibile che appena l'1% degli italiani denunci più di 200 mila euro? «Non è verosimile. Ma quello che
voglio rivendicare è che se andiamo verso un sistema che rende tutto più semplice, deve aumentare il dato
della compliance spontanea rispetto al recupero di evasione».
C'è chi sostiene che sarebbe essenziale ridurre drasticamente l'uso del contante.
«Negli anni passati non ha determinato un calo dell'evasione. Il problema è la sua tracciabilità. Per
esempio, introducendo una norma che esclude dalle detrazioni i pagamenti in contanti se non sono
tracciati.
Molto più efficace è la fattura elettronica».
E magari copiare quello che di buono fanno gli altri Paesi.
«Ci sono molte buone pratiche in tutto il mondo. Ma anche qui. Abbiamo degli accordi col sistema
bancario, in cui vorremmo coinvolgere positivamente anche Poste, grazie ai quali si può andare al
bancomat e vedere se ci sono cartelle da pagare. L'sms per avere le comunicazioni sulle cartelle.
Sembravo un matto: chi avrebbe dato il numero di telefono al Fisco? In un anno si sono registrati 130 mila
utenti».
Perché non si è mai fatta una campagna pubblicitaria per spiegare che cosa significa evadere e quali
danni sociali causa? «Vediamoci fra un anno».
Significa che avete un'idea? «È all'interno di un progetto più ampio che abbiamo in cantiere per il 2018. Il
Fisco dev'essere compreso, nella sua utilità al servizio di tutti».
Le tasse sono bellissime, diceva Tommaso Padoa Schioppa... «La bellezza non è una categoria
applicabile alle tasse. Le tasse sono il prezzo che paghiamo per vivere in questa società. E vorrei che
quando arriva una lettera dell'Agenzia non sia un momento di scompenso cardiaco, perché noi lavoriamo a
recuperare risorse per dare concretezza ai diritti dei cittadini: allo studio, alla salute, ai servizi».
Bisognerebbe spiegarlo anche ai colossi del web che eludono abilmente le imposte.
Eppure dovrebbe essere semplice: chi produce reddito in un certo Paese, paga le tasse in quel Paese.
Non crede? «Anche di più, secondo me. Va riconosciuto ai governi Renzi e Gentiloni di aver tenuto alto il
nome dell'Italia. Ai tavoli internazionali il ministro Padoan ha posto fortemente questo problema. Ma la cosa
che mi rende orgoglioso come cittadino è che c'è un'assunzione di responsabilità verso le generazioni
future. Perché l'economia digitale rappresenta l'economia del futuro e se non si pone ora il problema, prima
o poi non avremo più niente da tassare».
La vulgata dice che Ruffini è arrivato fin qui grazie alla sua partecipazione alla Leopolda di Matteo Renzi
con quel libro sulla semplificazione fiscale.
«Era il 7 novembre del 2010, lo ricordo bene perché era una data storica».
La rivoluzione d'ottobre? «Il mio onomastico, più modestamente». FONTE MFF
LE TASSE Le tasse sono il prezzo che paghiamo per vivere in questa società FISCO AMICO Gli amici si
scelgono, il Fisco può essere al massimo un parente I RICCHI Non è verosimile che appena l'1% dichiari
più di 200 mila euro LA LEOPOLDA Ricordo bene quel 7 novembre: è il giorno del mio onomastico
Foto: MISTER FISCO Ernesto Ruffini, nato a Palermo nel 1969, è il direttore dell'Agenzia delle Entrate-
Riscossione dal luglio di quest'anno
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/11/2017 125
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LO SCIOPERO
Condannati al venerdì nero
MARCO RUFFOLO
C'È UNA legge di regolamentazione degli scioperi nei trasporti pubblici che non riesce a difendere gli
interessi della collettività, che lascia i cittadini alla mercé di piccole sigle sindacali, in grado di gettare nel
caos un'intera nazione con interruzioni più o meno selvagge del servizio. E ci sono un Parlamento e un
governo che si rimpallano le responsabilità. A PAGINA 29 C'È UNA legge di regolamentazione degli
scioperi nei trasporti pubblici che non riesce a difendere gli interessi della collettività, che lascia i cittadini
alla mercé di piccole sigle sindacali, in grado di gettare nel caos un'intera nazione con interruzioni più o
meno selvagge del servizio. E ci sono un Parlamento e un governo che da quindici anni si rimpallano la
responsabilità di rivedere quella legge, di stringere le sue maglie per evitare che uno sciopero legittimo si
trasformi in un'arma puntata all'improvviso su chi lavora e non sa come muoversi, su chi ha scadenze
inderogabili ed è costretto a eluderle, su chi sta male e rimane intrappolato nel traffico con l'autoambulanza.
Con la consueta puntualità, lo sciopero, indetto ieri da sigle poco rappresentative ed esteso questa volta
anche alla scuola e ad altri comparti pubblici, arriva di venerdì. Così, mentre molti cittadini restano a terra,
qualche lavoratore, non proprio responsabile, riesce a programmare l'ambito ponte di fine settimana.
Il problema è come evitare che una manciata di piccoli sindacati, dalle sigle impronunciabili, riesca a
scatenare il caos. E qui sorge una prima obiezione: se quelle sigle sono poco rappresentative e non
raccolgono grandi adesioni alla protesta, come fanno a bloccare un intero Paese? In realtà, per creare
disservizi e dimostrare così la propria forza, non è necessario mandare concretamente in tilt la maggior
parte dei trasporti (ieri molti treni circolavano tranquillamente). È sufficiente l'effetto annuncio, basta cioè far
sapere alla gente, attraverso tv e giornali, che quel venerdì aerei, treni, metro e bus potrebbero non
funzionare, e il caos è garantito, anche se le poi le adesioni allo sciopero risulteranno scarse. Molte
persone, infatti, decideranno di prendere l'auto, altre rinvieranno appuntamenti, altre ancora chiederanno
permessi per non andare al lavoro.
C'è un modo per spezzare questo circuito perverso? Il sistema ci sarebbe, ma la politica nicchia: il governo
aspetta un'iniziativa parlamentare, mentre il Parlamento tace. Così ieri, il presidente della commissione
Lavoro del Senato, Maurizio Sacconi, ha rotto gli indugi presentando un emendamento alla legge di
Bilancio, che introduce due semplici obblighi: ciascun lavoratore deve comunicare all'azienda qualche
giorno prima la propria adesione allo sciopero, e il sindacato, se vuole revocare la protesta, deve
informarne il Garante con largo anticipo. Con la prima misura si metterebbe in grado l'azienda dei trasporti
di sapere esattamente quali servizi potrà o non potrà garantire e di metterne al corrente gli utenti. Con la
seconda si eviterebbe invece un altro odioso atto di irresponsabilità cui ricorrono spesso molti piccoli
sindacati, i quali prima indicono lo sciopero creando il solito effetto annuncio e poi lo revocano all'ultimo
momento: lo stipendio si prende lo stesso, ma il caos è ugualmente assicurato.
Difficile prevedere se queste due misure possano da sole metter fine ai venerdì selvaggi dei trasporti, ma
in ogni caso sarebbero degli opportuni passi in avanti, da compiere urgentemente. Il governo è d'accordo?
C'è una maggioranza in Parlamento? O assisteremo ancora una volta allo sterile coro sdegnato della
politica che promette e non fa nulla? Ci risulta che quelle proposte siano arrivate sulle scrivanie dei ministri
competenti già ai primi di settembre. Dove sono finite e perché Poletti e Delrio non si sono espressi? C'è
poi un altro dubbio che meriterebbe una risposta, a prescindere dal destino dell'emendamento Sacconi. I
sindacati più responsabili si sono mai domandati se sia possibile garantire il diritto allo sciopero senza
interrompere un servizio così essenziale come il trasporto pubblico? La risposta, caldeggiata anni fa dal
senatore del Pd, Pietro Ichino, c'è e si chiama "sciopero virtuale": i dipendenti lavorano lo stesso e il monte
salari di quel giorno va a finire in un fondo dove confluisce anche un prelevamento operato a danno
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/11/2017 126
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dell'azienda, una penale pari al doppio o al triplo degli stipendi a cui rinunciano i lavoratori. Il fondo, gestito
insieme da azienda e sindacati, andrebbe a finanziare opere di pubblica utilità e insieme una campagna di
informazione sulle ragioni dello sciopero. Ovviamente si tratta di una proposta che non potrebbe essere
calata dall'alto per legge, ma affidata all'autodisciplina sindacale. Sono pronte almeno Cgil, Cisl e Uil a
sottoscriverla?
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Pag. 41 N.38 - 13 novembre 2017
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"Il direttore finanziario è cambiato ora deve fare i conti con i big data"
INTERVISTA A ROBERTO MANNOZZI, PRESIDENTE DELL'ANDAF, L'ASSOCIAZIONE DEI CHIEF FINANCIAL OFFICER, E A SUA VOLTA CFO DI FERROVIE DELLO STATO: "CI VIENE SEMPRE PIÙ RICHIESTA UNA PIANIFICAZIONE A MEDIO E LUNGO TERMINE, SU CUI L'AD PRENDERÀ LE DECISIONI" Adriano Bonafede
Roma Niente e nessuno rimane fuori dala rivoluzione digitale, nemmeno i chief financial officer. «Se fino a
ieri siamo stati soprattutto "manager dei conti", oggi dobbiamo diventare sempre di più "manager dei dati».
A parlare è Roberto Mannozzi, direttore centrale amministrazione bilancio e fiscale del gruppo Fs e
presidente dell'Andaf, l'associazione nazionale dei direttori amministrativi e finanziari, nata da ormai quasi
cinquant'anni, che conta 1700 soci. Dottor Mannozzi, la vostra è una categoria numerosa e sicuramente
sempre più importante all'interno delle aziende: siete i garanti dell'informativa finanziaria e attraverso di voi
passano tutti i flussi economici e finanziari delle imprese, ma come siete distribuiti all'interno di Andaf ?
«Degli attuali 1700 associati, circa 200 vengono dal mondo accademico e da quello della consulenza e
revisione contabile. Altri 200 sono i cfo di medio-grandi e grandi aziende. Gli altri 1.300 circa sono i dirigenti
finanziari delle piccole medie aziende, ovvero il cuore pulsante del tessuto delle imprese italiane. Ma tutti,
anche questi ultimi, devono essere pronti ad abbracciare il cambiamento digitale, che sta impattando
sempre più la vita delle aziende». Qual è la direttrice di questo mutamento? «Non possiamo non prendere
in considerazione il mondo dei "big data". Chi, come il chief financial officer, sui dati e sulle informazioni
finanziarie ha da sempre un ruolo e una responsabilità di gestione e di certificazione non può non tener
conto ormai, nella sua attività, di questo enorme e crescente flusso di informazioni che arriva sempre meno
dall'interno dell'impresa e sempre più da fonti esterne». Come affrontate questa problematica? «Il cfo deve
lavorare per rafforzare la sua figura di garante della affidabilità delle informazioni finanziarie e gestionali che
circolano in azienda, per cui dovrà sempre più assumere il ruolo di attento selezionatore di questi dati, per
fungere da "cerniera" tra la massa di informazioni disponibili, il management operativo che gestisce il
business e il ceo, che deve prendere le decisioni strategiche. Perché ciò sia possibile dobbiamo investire
quindi sulle nostre competenze. Sino ad oggi il team del direttore finanziario vedeva soprattutto la presenza
di risorse provenienti da studi in economia e finanza e, più raramente, in ingegneria gestionale. D'ora in
avanti nei nostri team dovranno essere sempre di più presenti nuove figure professionali come gli "esperti
di analytics" e i "data scientist"». Un ruolo più difficile di un tempo... «Certamente diverso. Considerata la
crescente numerosità e velocità con cui dati e informazioni di natura finanziaria affluiscono in azienda, il cfo
deve essere capace di interpretare il suo ruolo mettendo a disposizione dei suoi "business partners"
aziendali dati elaborati in tempo reale, utilizzando le nuove tecnologie abilitanti che il mondo digitale sta
offrendo, come ad esempio l'automazione dei processi transazionali più ripetitivi attraverso tecniche di
robotica, o l'utilizzo di sistemi di "blockchain" per la regolazione finanziaria di alcune tipologie di operazioni.
Su questo ci si è confrontati lungamente durante il nostro recente congresso nazionale di fine ottobre a
Perugia». Poiché la trasformazione in atto è assai rapida, non c'è il pericolo che qualche vostro associato
rimanga un po' indietro sul fronte della rivoluzione digitale? «Il rischio è più che reale, soprattutto per i
direttori finanziari delle Pmi. Tanto che la nostra associazione si è già posta l'obiettivo di lavorare ad
un'offerta formativa rinnovata che introduca anche specifici approfondimenti sull'evoluzione digitale. Del
resto l'Andaf ha già avviato da tempo molte partnership con parecchie università sul territorio nazionale per
dei "master" dedicati al ruolo manageriale del cfo nei quali, agli aspetti teorici della professione tipici del
taglio accademico, si uniscono le testimonianze pratiche di noi manager di azienda, con l'evidente valore
aggiunto per i partecipanti». Al di là dei cambiamenti che lei ha già spiegato nella figura e nei compiti del
direttore finanziario, che altro sta mutando nel vostro mestiere? « Oltre all'impatto della trasformazione
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digitale sui processi amministrativi e finanziari di cui abbiamo parlato, direi che in uno scenario di mercati
ogni giorno più competitivo e complesso, anche per i temi analizzati in precedenza, gli investitori chiedono
sempre maggiori informazioni prospettiche sulla evoluzione delle performance gestionali delle aziende, per
cui cresce la spinta da parte dei vertici a chiedere ai cfo stime affidabili sulla proiezione dell'azienda nel
futuro. Diventa quindi sempre più delicata e centrale la capacità da parte della nostra categoria nell'affinare
modelli, sistemi e tecniche di pianificazione a medio e lungo termine». Dovete "prevedere" il futuro? «È un
mestiere che lasciamo ad altri. Diciamo che sono i mercati a chiedere alle aziende proiezioni a più lungo
termine, e quindi nella gestione di questo processo il ruolo del cfo è certamente centrale». Tutto questo sta
influenzando il rapporto che un cfo ha con l'ad. È così? «Questa relazione è diventata molto più intensa che
in passato, quando il cfo si occupava semplicemente di "far tornare i numeri", guardando in particolare ai
dati di consuntivo. Oggi l'ad chiede un sempre maggior supporto nel proiettare su più anni, e su diversi
scenari, i dati di performance dell'azienda per valutare quale potrebbe essere lo sviluppo e la sostenibilità
del business in futuro così da poter prendere per tempo le conseguenti decisioni strategiche». S. DI MEO
Giancarlo Fancel (1), chief financial officer di Generali e Richard Palmer (2), cfo di Fca In basso, Roberto
Mannozzi , cfo del Gruppo Fs 1700 ASSOCIATI all'Andaf, l'associazione di categoria dei chief financial
officer italiani che esiste da circa cinquanta anni 10 CORSI A MILANO Sono quelli organizzati dall'Andaf
nel 2017 oltre a specifici corsi "in-house" offerti alle aziende associate LA SCHEDA Una struttura centrale e
12 sezioni locali L'Andaf nasce nel 1968 con l'obiettivo di favorire lo scambio di esperienze e informazioni
tra i responsabili delle funzioni amministrazione, finanza, controllo di gestione, pianificazione e internal
auditing delle aziende italiane. È un'associazione senza scopo di lucro e si propone di contribuire, tramite
iniziative nazionali e internazionali, alla formazione e alla crescita professionale degli aderenti . Opera in
Italia mediante una struttura centrale e 12 sezioni locali. A livello internazionale fa parte di Iafei -
International Association of Financial Executives Institutes, la Federazione mondiale che riunisce 21 Paesi
membri per un totale di oltre 25 mila aderenti.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/11/2017 129
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Pag. 1.2.3 N.38 - 13 novembre 2017
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Riad
Potere e affari, la rivoluzione d'Arabia
LA RETATA DI MINISTRI E PRINCIPI VOLUTA DA MOHAMMED BIN SALMAN, UOMO FORTE DI RIAD, RIMETTE IN DISCUSSIOME INVESTIMENTI OCCIDENTALI DA MIGLIAIA DI MILIARDI E L'IPO DI ARAMCO Francesca Caferri
Una città futuristica da costruire da zero per un valore complessivo di 500 miliardi di dollari. Un fondo di
investimento sovrano, il Pif, destinato a raddoppiare il valore dei suoi asset fino a 400 miliardi di dollari
entro il 2020 per arrivare a duemila miliardi di dollari nel 2030. Milioni di dollari da raccogliere sul mercato
nel giro di pochi mesi grazie alla privatizzazione di autostrade, ferrovie ed aeroporti. segue a pagina 2 dalla
nostra inviata a Riad segue dalla prima Sullo sfondo di tutto, la più grande Ipo della storia, quella di Saudi
Aramco, che nel 2018 porterà in Borsa il 5 per cento della società petrolifera più grande del mondo. Fino a
due settimane fa quella dell'Arabia Saudita post-petrolifera di Mohammed Bin Salman sembrava una favola
destinata al lieto fine. Per presentarla, il potente principe ereditario aveva convocato a Riad 3500 fra politici,
banchieri e gestori di fondi di investimento più importanti del mondo, in un vertice subito ribattezzato "la
Davos nel deserto". Ma la storia del Paese che si re-inventa da zero sotto la guida di un principe giovane
(32 anni) e modernizzatore non è durata a lungo. A farla sbriciolare ci ha pensato intorno alla mezzanotte di
sabato 4 novembre una retata che, con una mossa senza precedenti nella storia del regno, ha portato in
prigione 11 principi reali, quattro ministri (fra cui quello dell'Economia) e i fondatori e amministratori delegati
di alcuni dei principali gruppi del Paese, dal settore delle costruzioni a quello della televisione e
dell'intrattenimento. Alla prima ondata di arresti ne sono presto seguite altre: nel giro di pochi giorni, nelle
mani dell'autorità giudiziaria sono finite più di 200 persone, a vario titolo accusate di aver sottratto al
governo più di 100 miliardi di dollari negli ultimi due decenni. 800 miliardi di dollari in asset bancari e
finanziari potrebbero finire confiscati, secondo il Wall Street Journal . Ufficialmente l'accusa contestata agli
arrestati è corruzione, ma a nessuno è sfuggito il vero senso della manovra: sgomberare la strada per
l'ascesa al trono di MBS, come viene chiamato a Riad, togliendo dal palcoscenico i rivali più ingombranti
dal punto di vista politico, come il cugino Mutaib bin Abdallah, o di immagine: ed è il caso di Waleed Bin
Talal, il multimiliardario che con le sue partecipazioni in Twitter, Citigroup e News Corp. è stato per decenni
il volto della finanza saudita nel mondo. Se a tutto questo si aggiungono le dimissioni del primo ministro
libanese Saad Hariri, volute da Riad, e lo scambio di accuse con l'Iran seguito al lancio di un missile su
territorio saudita, la fine del clima di fiducia che pareva essersi creato intorno all'Arabia Saudita è facilmente
spiegabile. «Nelle ore immediatamente successive agli arresti decine di milioni di dollari sono usciti dai
mercati del Medio Oriente - spiega uno dei gestori dei principali fondi di investimento attivi nell'area, che
accetta di parlare a condizione di restare anonimo - questa mossa ha dimostrato che l'Arabia Saudita è
ancora ben lontana dall'essere il Paese stabile e trasparente che il principe voleva presentare al mondo. A
ciò va aggiunta la paura di un'ondata di tensione e di violenza che potrebbe andare ben oltre i confini
sauditi». Le parole dell'investitore centrano in pieno la questione: se dal punto di vista interno la retata ha
messo in discussione la bontà delle promesse di riforma, la contemporanea levata di scudi contro l'Iran ha
dimostrato che la posta in palio nella partita di Mohammed Bin Salman non è soltanto nazionale. A 32 anni,
e con il mano un portafo-glio che comprende il ministe-ro della Difesa, quello delle Ri-forme e il controllo di
Aramco, l'ambizioso principe ereditario punta ad affermare il dominio saudita su tutta la regione a sca-pito
dell'odiato Iran: una parti-ta che è sì politica e religiosa (Riad è il campione del sunni-smo, Teheran dello
sciismo), ma anche economica. In ballo c' è il destino del mercato del pe-trolio, di cui i contendenti sono fra
i maggiori produttori mon-diali. Di quello del gas, il cui grande protagonista, il Qatar, è ostaggio e preda
nello scontro. Ma anche il ritorno dell'Iran sul-la grande scena degli investi-menti mondiali dopo la fine del-
le sanzioni legate alla questio-ne nucleare. Sullo sfondo c'è la privatizza-zione di Aramco, la più grande
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Pag. 1.2.3 N.38 - 13 novembre 2017
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operazione borsistica della Sto- L'ATTIVITA DEI PORTI In milioni di tonnellate JEDDAH ISLAMIC PORT •
KING ABDULAZIZ P0RT DAMMAM JUBAIL (comm. e ind.) • YANBU (comm. e Ind.) gQ folle: Sluii Pili:
Monti 60 40 20 _ il il il '13 '14 '15 ria. Chi si arrischierebbe a scom-mettere su un Paese dove i venti di
guerra che coinvolgano Tehe-ran, Doha, Sana'a a Beirut paio-no spirare fortissimi? E la cui sta-bilità
politica è tutt'altro che as-sodata? «Nessuno. Almeno nel breve periodo - risponde Jim Krane, fellow for
Energy Studies alla Rice University di Houston, uno dei più attenti osservatori del mercato petrolifero del
Gol-fo - dopo tante promesse di tra-sparenza e apertura un compor-tamento del genere è giudicato
incongruo. Inoltre c'è da aspet-tarsi che questa stretta blocchi l'inclusione dell'Arabia Saudita nell'indice
MSCI dei mercati emergenti, cosa che avrebbe portato in automatico miliardi di dollari di investimenti dei
fon-di verso il regno». Più difficili da prevedere le conseguenze sull'Ipo di Aram-co, che non avverrà prima
di un anno: negli ultimi giorni la tensione regionale ha spinto in alto il prezzo del petrolio, fa-cendogli
superare i 64 dollari al barile e quindi teoricamente reso più appetibile l'operazio-ne. Ma non è detto che il
rialzo durerà a lungo. A Riad sui tem-pi dell'operazione non sembra-no esserci dubbi: «Abbiamo detto
2018, sarà 2018», ha rispo-sto secca qualche giorno fa una fonte della Corte reale in-terrogata in materia.
Resta da sciogliere il nodo del mercato prescelto. Nel braccio di ferro fra Lon-dra, New York e Singapore
po-che ore prima dell'ondata di arresti che ha sconvolto il re-gno è entrato a gamba tesa il presidente
americano Donald Trump: «Apprezzerei molto che i sauditi scegliessero Wall Street per l'Ipo di Aramco.
Sa-rebbe importante per gli Stati Uniti!», ha twittato, accenden-do le speculazioni di chi pen-sa che la Casa
Bianca fosse al corrente di ciò che stava per accadere e avesse concesso ai sauditi luce verde in cambio
dell'Ipo. Il totale appoggio di cui Mo-hammed Bin Salman sembra godere alla Casa Bianca è uno degli
elementi che preoccupa-no di più gli analisti più attenti a quello che accade nel regno, da Adel Fakieh,
ministro dell'Economia, rimosso il 4 novembre (1); Tamim bin Hamad al-Thani, emiro del Qatar (2) Madawi
Al Rasheed a Bruce Rie-del. Entrambi nei giorni scorsi hanno messo in guardia dal ri-schio che un rapporto
troppo stretto con gli Usa (e in particola-re con Jared Kushner, genero di Trump) possa far sentire il prin-
cipe garantito in ogni sua mos-sa: comprese quelle bellicose verso l'Iran. A questo va aggiunto il fatto che
nei prossimi mesi il regno vivrà un appuntamento crucia-le, con l'introduzione per la pri-ma volta nella sua
storia di una serie di tasse. E che le retate an-ti-corruzione potrebbero far sa-lire la tensione interna, anzi-
ché placarla: «Finora la fami-glia reale si era sempre mostra-ta compatta. Per anni ci siamo sentiti dire che
quando nel mu-ro ci fosse stata una crepa tutto si sarebbe sbriciolato: ora la crepa è arrivata, e anche
molto grossa. Nessuno sa cosa potrà accadere», spiega uno degli uo-mini che lavorano alla quota-zione di
Aramco. Per questo, anche le grandi banche d'affari che per mesi si sono contese una fetta della grande
torta dell'Ipo - da JP-Morgan Chase a Morgan Stan-ley fino a Hsbc - negli ultimi giorni sembrano aver
adottato un atteggiamento più pruden-te nei confronti dell'Arabia Saudita. La favola del regno dorato e del
suo principe ha ancora mol-te pagine da scrivere prima di arrivare al suo "e vissero tutti fe-lici e contenti".IL
PERSONAGGIO Il principe che vuole innovare il Paese
A 32 anni Mohammed Bin Salman (nella foto in basso) è l'uomo più potente del Medio Oriente: figlio
prediletto del re Salman, è pronto - si dice in poche settimane - a salire sul trono. Il suo obiettivo è
rivoluzionare il volto del Paese più conservatore del mondo: stop alla dipendenza dal petrolio, spazio alle
energie rinnovabili, all'high tech, ai giovani e alle donne. Fuori dai confini sauditi porta avanti una politica
aggressiva: sua l'idea di iniziare la guerra in Yemen, che ha fatto migliaia di morti. Sua l'iniziativa di isolare
il rivale Qatar, accusato di sostenere i Fratelli musulmani.
I PROTAGONISTI Al Waleed bin Talal Fondatore di Kingdom Holding, arrestato per corruzione, 17 miliardi
di dollari di patrimonio
Re Salman bin Abdulaziz Il re ha più di 80 anni: punta a lasciare il potere al figlio MBS Mutaib bin Abdallah
Figlio dell'ex re Abdallah, rivale di MBS alla corsa al trono. Arrestato Mohammed Bin Nayef
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Ex principe ereditario, a lungo uomo più potente del Paese, estromesso Mansour bin Muqrin
Figlio dell'ex erede al trono, morto in un misterioso incidente aereo
Foto: Il principe ereditario saudita Mohammed Bin Salman
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/11/2017 132
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Pag. 1 N.38 - 13 novembre 2017
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I COMMENTI
Non basta la moneta per l'Unione
Andrea Boitani
L'Unione Monetaria Europea è nata con una gamba sola: quella della moneta, appunto. Per quanto larga
sia, quell'unica gamba non ha permesso all'Eurozona di resistere alla violenza della crisi finanziaria del
2007-08 e anzi ha permesso che precipitasse in una crisi economica profonda e asimmetrica (che ha cioè
colpito di più e più a lungo, alcuni paesi rispetto ad altri). segue a pagina 10 La seconda gamba - l'unione
bancaria - è ancora troppo corta e fragile (manca un'assicurazione comune dei depositi degna di questo
nome). La terza gamba - l'unione fiscale - non è neppure entrata in produzione. Certo ci sono le regole
fiscali. Ma non si ha la sensazione che, tutte insieme, facciano una gamba fiscale degna di questo nome,
mentre è certo che: 1) non hanno prodotto risultati positivi in termini di minor disoccupazione e maggiore
crescita; 2) hanno contribuito a far aumentare il rapporto tra debito e Pil (perché hanno accentuato la
caduta del Pil più di quanto abbiano contribuito a ridurre il debito) tra il 2011 e il 2013-14. Un'unione
monetaria ha certamente bisogno di regole, ma non è vietato scriverne di intelligenti invece che affidarsi
solo a quelle stupide. In ogni caso le regole non bastano a fare una gamba fiscale robusta. Le regole sono
generalmente disegnate con l'obiettivo di assicurare la sostenibilità delle finanze pubbliche (debito e deficit)
dei paesi membri dell'unione monetaria. Ma non hanno permesso (nonostante le varie riforme del triennio
2010-2012) di realizzare politiche seriamente anticicliche nei paesi ad alto debito che, proprio a causa di
quel debito, venivano etichettati come privi di "spazio fiscale". Tra questi, ovviamente, anche l'Italia. E non
bastano neanche gli stabilizzatori automatici nazionali (tasse, sussidi di disoccupazione, ecc.) che non
hanno la forza di assorbire gli shock asimmetrici o quelli simmetrici troppo grandi. Se "la politica fiscale è un
potente strumento della politica macroeconomica" - come ha scritto recentemente il presidente dello
European Fiscal Board Niels Thygesen - tanto più lo è in una unione monetaria in cui la Banca Centrale
mantiene una politica monetaria "accomodante" (che cioè tiene i tassi bassi e fornisce al sistema tutta la
liquidità che richiede). Ma una politica fiscale discrezionale confinata a livello strettamente nazionale rischia
sia di infrangersi contro i limiti già detti dello "spazio fiscale" sia di non tenere conto degli spillover
(letteralmente tracimazione) tra un paese e l'altro e quindi di risultare, asseconda dei casi, sovra o sotto
dimensionata rispetto alle esigenze dell'unione nel suo insieme. Le vie d'uscita sono due, non
necessariamente alternative e forse da porre in sequenza: 1) il coordinamento delle politiche fiscali e 2) la
costituzione di un bilancio comune dell'Eurozona (su cui tornerò in un prossimo articolo). La prima via
richiede, quantomeno, la definizione di una fiscal stance obiettivo (cioè un obiettivo di espansione o di
restrizione fiscale) per correggere gli squilibri ciclici dell'intera Eurozona, tenendo conto degli spillover di cui
sopra. L'obiettivo aggregato dovrà essere fissato da un soggetto sovra-nazionale - per esempio un ministro
delle finanze politicamente responsabile di fronte a un'assemblea dei parlamentari europei eletti
nell'Eurozona - in base a criteri concordati tra la Commissione Europea e i ministri economici e finanziari
dei paesi membri e venga assegnato a ciascun paese il compito di contribuire a quell'obiettivo in
proporzione, anche modificando la composizione della sua spesa al fine di favorire il raggiungimento della
fiscal stance appropriata. Il che richiede di tenere conto di quanto ciascun paese contribuisca agli squilibri
dell'Eurozona e di quanto possa contribuire a correggerli, in relazione allo spazio fiscale di cui dispone. Il
problema di questo approccio è che, in ultima analisi, l'attuazione dei compiti definiti a livello "federale"
deve pur sempre essere lasciata ai singoli governi. Nel 2016, la Commissione Europea e il Parlamento
Europeo hanno premuto l'acceleratore per la definizione di una fiscal stance obiettivo a livello europeo che
fosse più espansiva di quella prevista per il 2017. Il Parlamento Europeo ha anche incaricato autorevoli
studiosi di elaborare proposte per la definizione della fiscal stance obiettivo. La Commissione ha però finito
per ripiegare nell'affermazione che "il disegno di una fiscal stance appropriata per l'area Euro è
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/11/2017 133
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responsabilità individuale e collettiva degli stati membri". I quali, nel dicembre del 2016, hanno risposto che
la fiscal stance per il 2017 era appropriata e - nelle parole del presidente dell'Eurogruppo Dijsselbloem -
che forse "qualche paese membro (leggi Germania n.d.r.)può, se così sceglie, utilizzare la propria
favorevole situazione di bilancio per rafforzare la propria domanda interna e il proprio potenziale di
crescita". Ma può anche decidere di non fare niente. Come puntualmente avvenuto. Coordinamento
almeno rinviato.
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Gli antidoti al populismo economico
Ferdinando Giugliano
Saranno mesi surreali quelli che abbiamo davanti. I partiti si sono messi alle spalle il clima di emergenza
che ha accompagnato gli anni delle recessione e fanno ormai a gara a chi spara la promessa più grossa.
Nello spettro politico manca una forza che si intesti la battaglia del realismo e della responsabilità. segue a
pagina 10 L'unico antidoto al populismo economico può venire dalle istituzioni e dai centri di ricerca, a cui
tocca il compito di valutare l'impatto delle politiche pubbliche e spiegare agli elettori le conseguenze delle
promesse dei partiti. Le elezioni in Sicilia hanno visto Forza Italia e il Movimento 5 Stelle sfidarsi a colpi di
annunci irrealizzabili. Ma le fanfaronate siciliane sono l'antipasto di quello che ci aspetta nei prossimi mesi
di campagna elettorale. Il Pd non è da meno dei suoi concorrenti: l'ex premier non perde l'occasione di
ripetere che porterà il deficit al 2,9% del Pil, anche se il buon senso imporrebbe di far scendere
l'indebitamento in una fase di crescita. Il Pd si è ormai allineato a Forza Italia e ai Cinque Stelle anche sulle
pensioni: tutti i principali partiti italiani vogliono bloccare l'aumento dell'età pensionabile previsto dalla
riforma Fornero. A cercare di fermare una proposta che farebbe ancora una volta lievitare i costi del nostro
sistema pensionistico, scaricando come sempre il problema sui più giovani, sono rimasti solo i ministri
tecnici Padoan e Calenda. La politica ha deciso che su questo tema il futuro non conta. In una fase di
ripresa nessuno tra i principali partiti sembra interessato a ricordare agli elettori che, in un Paese con il
debito al 133% del Pil, di soldi da spendere ce ne sono comunque pochi. Quest'onere va dunque assunto
dai tecnici, siano essi indipendenti o parte dell'amministrazione pubblica sperando che vengano ascoltati.
Due esempi positivi stanno emergendo. Il primo è l'Osservatorio sui conti pubblici italiani lanciato da Carlo
Cottarelli, già commissario alla spending review e rappresentante dell'Italia al Fmi. Il centro, ospitato dalla
Cattolica di Milano, si prefigge di effettuare un fact-checking delle promesse di spesa dei partiti durante la
campagna elettorale. È difficile pensare a una persona più adatta di Cottarelli per questo ruolo. La sua sfida
sarà quella di non produrre soltanto analisi per gli addetti ai lavori, ma di parlare al grande pubblico,
sensibilizzandolo sull'importanza di ridurre il debito. Il secondo è il programma VisitInps avviato dal
presidente dell'istituto, Tito Boeri, i cui risultati sono stati presentati due settimane fa. Per la prima volta,
l'enorme base dati dell'Inps è stata messa a disposizione di decine di ricercatori, che hanno potuto
analizzare in maniera indipendente l'efficiacia di alcune tra le principali politiche pubbliche degli scorsi anni.
Lo stesso Boeri, in un lavoro con Pietro Garibaldi, ha mostrato come l'introduzione del contratto a tutele
crescenti contenuta nel Jobs Act abbia prodotto un aumento significativo della diffusione dei contratti a
tempo indeterminato. Secondo questi risultati, l'idea molto popolare a sinistra che sia stato inutile riformare
il mercato del lavoro italiano non sarebbe supportata dai numeri. Un lavoro di Giulia Bovini della London
School of Economics e di Matteo Paradisi dell'Università di Harvard, ha invece calcolato i costi della riforma
Fornero per le aziende, che hanno dovuto trattenere alcuni lavoratori più a lungo, non potendoli mandare in
pensione prima. Secondo l'analisi, i costi della riforma sono stati piuttosto contenuti, accettabili visti gli
enormi risparmi che ci saranno in termini di sostenibilità dei conti pubblici. Il merito di VisitInps è quello di
sottolineare quanto sia importante avere delle serie analisi ex post delle politiche pubbliche. Questo è un
campo su cui le istituzioni italiane sono deficitarie: la Corte dei Conti, ad esempio, ha la funzione di vigilare
sui bilanci pubblici, ma non effettua delle vere analisi di costi e benefici come quelle svolte dal suo omologo
britannico, il National Audit Office. Dal bonus cultura per i diciottenni, alla strategia seguita per risolvere le
crisi bancarie, sono molte le scelte compiute dai governi Renzi e Gentiloni che meriterebbero un'analisi ex
post approfondita. Il successo di queste iniziative dipenderà però da come verranno trattate dai media.
Troppo spesso in Italia statistiche e ricerche economiche vengono diffuse indipendentemente dalla loro
qualità. I politici possono così appellarsi alla relatività dei risultati, evitando di spiegare fino in fondo le
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Pag. 1.10 N.38 - 13 novembre 2017
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conseguenze delle loro promesse. Un giornalismo che voglia essere efficace deve sapere a quali numeri
credere. Solo così si può migliorare la qualità del nostro dibattito pubblico e, in ultima analisi, della nostra
democrazia. L'autore è editorialista di Bloomberg View
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/11/2017 136
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L'INTERVISTA
Massiah: "Sbagliato svendere le sofferenze"
Marco Panara
Massiah: "Sbagliato svendere le sofferenze" a pagina 16 Di Victor Massiah, amministratore delegato di Ubi
Banca, i critici dicono che è troppo prudente, che preferisce stare fermo piuttosto che prendere rischi. «È
una critica che accetto, ma saper aspettare può trasformarsi in una virtù: quando abbiamo rilevato le "good
bank" per un euro mi sembra che siano stati tutti contenti. Aver saputo aspettare in questo caso ha
pagato». Quanto? «Le tre banche stanno dando risultati migliori delle attese». Come mai? «Contribuiscono
due fattori: la governance è semplice perchè non c'è da fare compromessi con nessuno; e noi abbiamo una
buona macchina per l'integrazione. Avevamo appena fatto l'operazione banca unica mettendo insieme le
sette banche che formavano il gruppo Ubi e ci siamo trovati in corsa per questa nuova integrazione. A
gennaio abbiamo formulato un'offerta vincolante soggetta a una serie di condizioni, a maggio abbiamo
perfezionato l'acquisizione, a luglio si è chiuso con successo l'aumento di capitale da 400 milioni, in ottobre
è stata fatta la migrazione di Banca Marche, la più grande e complessa delle tre, entro novembre sarà
completata l'integrazione di Banca Etruria e nei primi mesi del 2018 avverrà la migrazione di Carichieti. La
quale peraltro è già in pareggio mentre le altre due sono molto vicine e lo raggiungeranno ampiamente nel
2018». È stato un affare. «Soprattutto è la dimostrazione che le economie di scala contano, che avere un
sistema gestionale e organizzativo solido conta, che avere la determinazione di fare interventi iniziali
drastici, come noi abbiamo fatto, conta». Cosa vi hanno portato queste tre banche? «Al momento
dell'acquisizione 900 mila clienti, una dozzina di miliardi di impieghi netti e 18 di raccolta diretta, 7,5 di
indiretta e circa 500 sportelli, portando il nostro totale vicino a 2 mila. Come tutti siamo in fase di
ridimensionamento delle reti fisiche e di qui al 2020 ne chiuderemo circa 370 con riferimento a tutta Ubi».
Gli effetti delle acquisizioni si vedono già nei dati dei primi nove mesi che avete presentato venerdì? «I
risultati confermano la fattibilità del piano industriale, sia perché le banche acquisite stanno andando meglio
del previsto, sia perché il margine di interesse che era stato il tallone d'achille delle ultime trimestrali è
tornato a crescere. Sottolineo il fatto che tutti gli indicatori di solidità confermano la buona salute del
Gruppo». Il progetto banca unica che avete realizzato all'inizio dell'anno quali frutti ha portato? «Una forte
semplificazione organizzativa, gestionale e dell'offerta, l'eliminazione delle duplicazioni, la riduzione dei
costi». Cosa è cambiato in questi anni nel mercato del credito? «Stiamo assistendo ad un passaggio che
definirei storico, una situazione mai vista prima, con l'ammontare delle commissioni che supera nelle
entrate della banca il margine d'interesse. È una inversione del modello tradizionale dovuta da una parte
alla crescita delle commissioni soprattutto nel risparmio gestito e nella produzione assicurativa, ma anche
nei settori tradizionali grazie al fatto che l'economia ha ricominciato a muoversi, e dall'altra alla riduzione del
margine di interesse. Prima una forbice tra raccolta e impieghi del 2,5-3% era normale, ora siamo tra l'1,5 e
il 2 con gli spread ai minimi storici. Il che peraltro ci fornisce una informazione importante, ovvero che sul
mercato non c'è carenza di offerta di credito». Perchè questa informazione è importante? «Se gli spread
sono così bassi vuol dire che l'offerta di credito è superiore alla domanda. Ma questo vuol dire anche che
l'imponente stock di crediti deteriorati delle banche italiane non incide sull'offerta di credito e quindi
sull'economia del Paese. Quindi una accelerazione forzata nella cessione delle sofferenze non è
giustificata». Sta dicendo che la montagna delle sofferenze bancarie non pesa sull'economia? «È il mercato
a dire che in Italia non sembra esserci correlazione tra la dimensione delle sofferenze e l'offerta di credito.
Quello che io aggiungo è che una accelerazione forzata nella cessione delle sofferenze determina una
distruzione di ricchezza che sarebbe giustificata se quelle sofferenze comprimendo l'offerta di credito
avessero un effetto dannoso sull'economia, ma che non è giustificata se questo danno non c'è». Le
sofferenze però sono un problema vero. «È un dato che le banche italiane abbiano in portafoglio una
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quantità di sofferenze doppia rispetto alla media europea e tutti sappiamo che questo è dovuto alla
recessione più profonda e ai tempi più lunghi della giurisdizione». Se non incidono sull'economia perché c'è
tanta pressione per ridurle rapidamente? «Perché c'è chi pensa che le situazioni difficili siano sottovalutate
e nascondano ulteriori perdite. E perchè alcune banche avevano un livello di sofferenze non solo superiore
alla media europea ma anche a quella italiana. Per quelle banche era urgente correre ai ripari. Ma questa
urgenza vale meno per chi come per esempio Intesa e Ubi hanno sofferenze superiori alla media europea
ma sono nella parte bassa della media italiana, e non c'è motivo per una cessione forzata che
distruggerebbe ricchezza senza alcun vantaggio nè per gli istituti nè per la collettività». Devo dedurne che
non avete nessuna intenzione di cedere i vostri 8,5 miliardi di crediti deteriorati, che pure pesano per il 9
per cento circa sul totale degli impieghi. «Fino ad oggi è stato più conveniente gestire internamente che
cedere. Abbia-
9,39 MILIARDI DI EURO
È l'importo degli impieghi alla clientela del gruppo bancario al 30 settembre del 2017
1.900 FILIALI Sono quelle del gruppo bancario fino al febbraio di quest'anno
Foto: Qui sotto, Victor Massiah , amministratore delegato di Ubi Banca A destra, la hall della sede di Ubi
Banca a Bergamo
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RISCRIVERE LE REGOLE DELLA STABILITÀ
FRANCO BRUNI
Varare la Commissione sulle banche a fine legislatura, fra litigi e polemiche elettorali, in un Parlamento
diviso su questioni istituzionali di fondo, è stato prendere un rischio grave. Ancor più farlo alla scadenza del
gove r n at o re d e l l a B a n c a d'Italia, alla quale la politica non ha saputo prepararsi per tempo. Ma a
correr rischi a volte si guadagna. Se la presidenza saprà guidarla senza soffocarla, qualche utilità potrebbe
uscirne. Essenziale è lavorare «non per regolare i conti del passato, ma per aiutare l'economia italiana del
futuro», come dice l'ex presidente del Consiglio, Matteo Renzi, nella sua lettera a «La Stampa» e come lui
stesso avrebbe dovuto tener sempre più presente. La politica e il potere legislativo possono contribuire alla
vigilanza sulla correttezza e la stabilità degli intermediari e dei mercati finanziari. Sono questioni
tecnicamente complesse, soprattutto dopo che la globalizzazione finanziaria le ha rese radicalmente
internazionali e in rapida evoluzione. La complessità tecnica rende delicato il rapporto fra politica e
burocrazia. Perché la prima tenga bene il suo ruolo deve fare con rigore i suoi compiti ma lasciare alle
burocrazie autonomia e responsabilità. Compito del legislativo, in gran parte del mondo avanzato, è essere
sede regolare (al di là di commissioni d'inchiesta estemporanee) e competente dove i controllori della
moneta e del credito vengono a render conto dei modi con cui stanno perseguendo, con indipendenza, gli
obiettivi loro assegnati. L'organizzazione e l'attrezzatura del Parlamento italiano sono adeguate a questi
fini? Andremo a eleggere un numero sufficiente di parlamentari con la competenza, dedizione, serietà e
l'esperienza adatte per costituire commissioni e gruppi di lavoro con questo compito? Che sappiano porre
le domande giuste, anticipando i problemi e aiutando i controllori del credito a individuarli? La resa dei conti
alla politica delle autorità creditizie è delicato anche per il contrasto che si può sviluppare fra la loro
trasparenza e la stabilità finanziaria. Raccontare i guai delle banche alla politica può diffondere panico e
aggravare i guai. Ma l'esperienza internazionale e le riflessioni di chi ha studiato da tempo queste cose
suggeriscono come superare anche questo problema. Si tratta di verificare ed eventualmente integrare e
correggere quel che avviene in Italia. Il rapporto fra politica e autorità monetarie e finanziarie può andare
molto oltre. Il concetto stesso di stabilità finanziaria è oggi da definire meglio, in tutto il mondo. Una volta,
per esempio, significava che nessuna banca dovesse mai «fallire», che cambi, tassi e borse dovessero
variare solo molto gradualmente. Oggi non è più così. Vanno ridefiniti gli stessi obiettivi delle autorità di
controllo. Nonostante la difficoltà tecnica, questo è compito della politica. Anche il Parlamento italiano può
contribuire: basta che sappia articolare il suo lavoro con quello del governo e, anche per suo tramite,
partecipare alle sedi europee e internazionali dove solamente ha senso prendere decisioni in proposito.
Non sono materie dove funziona la democrazia diretta e la politica chilometro-zero. Il Parlamento europeo,
discutendo con la Bce sul trattamento delle sofferenze bancarie, ha appena incontrato un'atra questione:
fino a che punto chi vigila sulle banche può e deve esimersi dal dettare loro regole? Non è facile
rispondere: è vero che le regole le fissa la politica ma chi ne vigila l'applicazione non può esimersi da
aggiungere dettagli che il legislatore non riesce neanche a immaginare. Questa zona grigia fra
regolamentazione e vigilanza va affrontata con impegno e senza ricerca di polemiche appariscenti. E così
via. Basti pensare che, con l'euro e l'unione bancaria europea, il ruolo di Banca d'Italia è mutato
radicalmente. Riconsiderarne governance e organizzazione non è peccato di lesa maestà, anzi. Ma va fatto
col dovuto anticipo, con cautela, competenza, concordia istituzionale e concertazione europea. c
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Retroscena
"Il blitz di Bankitalia in Etruria senza avvertire prima il governo"
La versione degli ex vertici di Arezzo: l'11 febbraio 2015 il commissariamento fu imposto La proposta di Serra per rilevare 700 milioni di sofferenze arrivò fuori tempo massimo GIANLUCA PAOLUCCI INVIATO AD AREZZO
«Le pare che se a Palazzo Chigi avessero saputo del commissariamento di Banca Etruria, nessuno ci
avrebbe avvisato?». A porre la domanda è un protagonista e testimone dei mesi convulsi che precedettero
il commissariamento della banca aretina. La sua e quella di altri protagonisti di quella vicenda è una
ricostruzione per forza di cose di parte e parziale. Suffragata però da riscontri, anche documentali. E' la
versione dello scontro tra Renzi e Visco vista da chi quello scontro lo vissuto sulla propria pelle: i vertici
della vecchia Banca Etruria. La frattura tra governo e Bankitalia si sarebbe consumata poche settimane
prima, secondo questa ricostruzione, sulla riforma delle popolari varata dal governo Renzi alla fine di
gennaio. Una riforma da tempo richiesta dalla stessa via Nazionale, ma che si discostava in alcuni punti da
quanto Bankitalia avrebbe voluto. E soprattutto venne fatta per decreto, in maniera traumatica, con Renzi
che «prese il comando delle operazioni e scrisse le regole», lasciando Palazzo Koch ai margini, spiega un
altro dei protagonisti. Da lì la rottura tra i due, Renzi e Visco. Che il commissariamento sia arrivato a
sorpresa è un fatto. Lo dimostra il verbale del cda di Etruria dell'11 febbraio del 2015, giorno del
commissariamento della banca. Il cda si riunisce per discutere di un sacco di cose importanti: le
svalutazioni richieste da Bankitalia, un aumento di capitale per coprire le perdite e ripristinare i requisiti
patrimoniali richiesti da Bankitalia, l'aggiornamento sul progetto di aggregazione richiesto da Bankitalia. I
lavori iniziano alle 12,30 nella sede di via Calamandrei. Tra i presenti oltre al presidente Lorenzo Rosi c'è
anche il vice Pier Luigi Boschi, padre dell'allora ministro Maria Elena Boschi. Il verbale è pieno di riferimenti
ai rapporti con Bankitalia: viene illustrato il piano di taglio dei costi portato avanti «in stretto contatto» con
l'autorità di Vigilanza, vengono comunicati i progressi sull'aggregazione «condivisi» con la Vigilanza e le
svalutazioni da questa richieste sulle sofferenze. Viene preparata anche la bozza di un comunicato che
avrebbe reso noto al mercato l'entità della perdita e il progetto di un nuovo aumento di capitale, anche
questo da far visionare agli ispettori. Alle 15.45 il cda riprende dopo una pausa e Rosi avvisa che gli
ispettori di Bankitalia «hanno invitato il consiglio alla trattazione dei soli argomenti di massima urgenza (...)
avvisando altresì che al termine dei lavori e prima della loro chiusura dovranno rendere comunicazioni
urgenti al consiglio e al collegio sindacale». I lavori proseguono in un clima per nulla disteso e il verbale si
chiude con le firme dei commissari appena insediati. La richiesta di commissariamento di Bankitalia al
ministero dell'economia è del 6 febbraio, un venerdì. Il decreto del Mef è del martedì 10 febbraio. Possibile
che nessuno abbia avvisato Palazzo Chigi? E perché da Palazzo Chigi nessuno chiama Arezzo? Nelle
settimane precedenti è provato che l'attenzione di Palazzo Chigi sul dossier Etruria è estremamente
elevata. C'è l'episodio dell'interessamento di Ghizzoni, allora ad di Unicredit. Episodio che la Boschi ha
smentito, ma è un fatto che Rosi incontrò, a fine 2014, lo stesso Ghizzoni per parlare della possibilità di
un'acquisizione. C'è la telefonata dell'allora sottosegretario Delrio al presidente di Bper, nei primi giorni del
2015, per informarsi della questione Etruria. Delrio ha spiegato di essersene interessato «per le possibili
ricadute occupazionali». Ma è un fatto che questo risulta l'unico intervento di Delrio, sul quale allora
convergevano tutte le vertenze industriali, in materia bancaria. E c'è il lungo abboccamento con il finanziere
Davide Serra, che per mesi - dal fallimento dell'ipotesi Vicenza porterà avanti i suoi contatti con Etruria.
Non è l'unico fondo che si fa avanti per Etruria in quel periodo. Ma le fonti interpellate chiamano Serra «la
carta di Boschi» per il salvataggio. I contatti si concretizzeranno in un'offerta da 700 milioni per rilevare le
sofferenze della banca. Arrivata però a fine febbraio, con la banca già commissariata. c
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700 miliardi È il valore dei crediti deteriorati di Banca Etruria emersa dalle ispezioni della Banca d'Italia
milioni È l'offerta del finanziere Davide Serra per rilevare le sofferenze di Banca Etruria (un terzo del totale)
ma nel frattempo l'istituto era già stato commissariato
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Intervista
Casini: "Fare luce sarà spiacevole In futuro servono nuove regole"
Parla il presidente della Commissione d'inchiesta sulle crisi bancarie: "Ascolteremo Visco e Vegas alla fine. Le tensioni? Sono inevitabili" UGO MAGRI ROMA
Presidente Pier Ferdinando Casini, quando prevede che l'indagine parlamentare sul crac delle banche
entrerà nel vivo? «Nel vivo ci siamo già. La Commissione d'inchiesta non ha perso tempo e segue una
linea chiara: approfondire le crisi bancarie partendo dalle più recenti e procedendo a ritroso. Abbiamo
indagato sui due istituti veneti, domani inizieremo con Montepaschi di Siena, cioè il caso più rilevante sul
piano sistemico. Seguiamo un metodo istituzionale». In che consiste? «Nel sentire anzitutto i magistrati, nel
dare voce alle associazioni dei risparmiatori, nell'ascoltare gli istituti di vigilanza e gli attuali liquidatori».
Verrà anche il turno di Ignazio Visco? «Mi sembra difficile che questa Commissione possa concludere i
lavori senza nemmeno aver sentito il governatore di Bankitalia e il presidente della Consob. Ascolteremo
entrambi, ma verso la fine». Perché non all'inizio? «Prima occorre che tutti gli aspetti da chiarire siano già
sul tavolo, adesso sarebbe prematuro». Ieri il segretario Pd, Matteo Renzi, nella sua lettera a La Stampa,
scriveva: «Da questa vicenda tutti dobbiamo imparare qualcosa, non per regolare conti del passato ma per
aiutare l'economia italiana del futuro». Sottoscrive? «E' un proposito assolutamente condiviso non solo da
me, ma in generale da tutte le forze politiche. Il nostro sistema bancario non può permettersi di diventare
terreno di conquista da parte della finanza internazionale, e chi vuole intendere non ha bisogno che io
aggiunga altro». Scusi, però: non era lei tra quanti temevano che la Commissione avrebbe potuto recare
più danni che benefici? «Ho avuto dei dubbi che risultano agli atti. Non a caso sto lavorando, nella carica
da me non richiesta né cercata di presidente della Commissione, per evitare che l'accertamento dei fatti
diventi terreno di scontro da campagna elettorale, con tutta la strumentalità del caso, e si concentri piuttosto
sull'oggetto costitutivo fissato dalla legge: capire cosa non ha funzionato nella gestione degli istituti bancari
coinvolti, se l'attività di vigilanza è stata idonea e tempestiva, fornire indicazioni per prevenire altri casi.
Voglio dare atto della serietà con cui condividono questo percorso il gruppo parlamentare di Forza Italia, a
partire da Renato Brunetta, e quello del Pd, incominciando da Mauro Marino. C'è l'idea comune che la
Commissione non sia la sede di un regolamento di conti, ma serva soprattutto a dare indicazioni anche
severe per il futuro. Se riusciremo nel nostro intento, questo lavoro sarà stato utile» Altrimenti? «In caso
contrario parleremo di occasione persa. Ma ho fiducia». Se è così fiducioso, come spiega le richieste di
ascoltare davanti alla Commissione i «gemelli del crac» nel Veneto, Consoli e Zonin? Equivarrebbe a
spargere nuove nuvole tossiche... «Infatti non sono stati convocati. Chi ha responsabilità gravissime, penali
e personali, di cui rispondere è giusto che si difenda nelle aule di tribunale, non utilizzando la cassa di
risonanza del Parlamento. Che oltretutto non li potrebbe nemmeno ascoltare come testimoni, in quanto
imputati davanti alla giustizia ordinaria». Pratica già archiviata? «Archiviata no. Deciderà l'ufficio di
presidenza, comunque la mia opinione non è affatto un segreto». Abbiamo appena assistito a uno scontro
mai visto prima tra Banca d'Italia e Consob, con duri scambi di colpi. È giusto risciacquare in pubblico i
panni delle istituzioni di vigilanza? «Invito a confrontare i nostri toni con quelli di commissioni analoghe di
altri Paesi, incominciando dagli Stati Uniti. È difficile evitare le tensioni. E comunque, le divergenze tra
Banca d'Italia e Consob non ce le siamo inventate noi commissari. Sono purtroppo una realtà. Migliaia di
italiani hanno visto sfumare i loro risparmi non sempre per effetto delle normali dinamiche di mercato: molti
collocamenti sono avvenuti senza che gli investitori conoscessero le condizioni di dissesto in cui versavano
certe banche, oppure con modalità pregiudizievoli per le persone più sprovvedute e con la pratica diffusa
delle cosiddette "baciate"». Dove termina, secondo lei, l'accertamento della verità e comincia invece
l'autolesionismo? «È ovvio che fare luce comporta chiarimenti spiacevoli, ma non possiamo nemmeno
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recitare la parte di Alice nel paese delle meraviglie. Scaricarne la colpa sulla Commissione d'inchiesta
sarebbe troppo facile e comodo per tutti». c
Seguiamo un metodo istituzionale. Sentiamo i magistrati, risparmiatori, istituti di vigilanza e
liquidatori
Visco e il presidente Consob li sentiremo verso la fine. Prima occorre mettere tutti i temi sul tavolo
Il nostro sistema bancario non può diventare terreno di conquista per la finanza internazionale
Avevo dei dubbi sulla Commissione, ora cerco di evitare che sia terreno di scontro elettorale
Fare luce comporta chiarimenti spiacevoli, ma non possiamo essere Alice nel paese delle meraviglie Pier
Ferdinando Casini Presidente Commissione d'inchiesta sulle banche
La Stampa sabato In un retroscena pubblicato sabato scorso su La Stampa emerge come il caso del
commissariamento di Banca Etruria fosse la causa dello scontro tra il segretario del Pd Matteo Renzi e il
governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco
...e La Stampa ieri Il segretario del Pd Matteo Renzi con una lettera a La Stampa pubblicata ieri
contrattacca e sottolinea le responsabilità di Banca d'Italia e Consob nel caso delle banche: «Etruria è un
alibi per azzerare ogni critica»
Foto: Mario Draghi Presidente della Banca Centrale europea
Foto: Ignazio Visco Governatore della Banca d'Italia recentemente riconfermato
Foto: Matteo Renzi Segretario del Partito democratico ex presidente del Consiglio
Foto: IMAGOECONOMICA
Foto: Presidente Pier Ferdinando Casini è stato presidente della Camera dal 2001 al 2006
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PROPOSTI CRITERI PIU MORBIDI A FAVORE DEI LAVORI GRAVOSI. OGGI IL VERTICE FINALE CON GENTILONI E I MINISTRI/ECONOMIA & FINANZA
Pensioni, Ape social prorogata al 2019
Ultima offerta del governo per frenare l 'aumento dell'età a 67anni. I sindacati: non basta PAOLO BARONI ROMA
L'ultima offerta che farà oggi il governo ai sindacati per cercare di chiudere un accordo sul delicato dossier
pensioni prevede sia la proroga al 2019 dell'Ape social, sia un ammorbidimento dei requisiti per entrare a
far parte della lista dei mestieri che verranno esentati dall'innalzamento dell'età della persone a 67 anni a
partire dal 2019. I mestieri resteranno sempre i 15 indicati giovedì scorso (gli 11 gravosi già inseriti nell'Ape
social più marittimi, addetti alla pesca, operai agricoli e siderurgici), ma recependo le obiezioni dei sindacati
che contestavano la credibilità delle stime dell'esecutivo su questo intervento (15-20 mila beneficiari) i
requisiti di accesso verranno allentati. In particolare prevedendo non più 36 anni di contributi, ma 30 o poco
di più, e 7 anni sugli ultimi 10 (anziché 6 su 7) di impiego in una occupazione gravosa. «E' un altro piccolo
passo avanti, ma ancora non basta commenta Domenico Proietti della Uil -. Occorre allargare di più la
platea degli esentati, dare certezze sull'Ape social dopo che quest'anno ha dimostrato di non funzionare, e
poi servono interventi sui giovani e le donne». «Il giudizio è negativo e le aperture del tutto insufficienti»
conferma a sua volta Roberto Ghiselli (Cgil). Il governo, che oggi torna ad incontrare i sindacati (alle 9 un
nuovo round del tavolo tecnico e poi nel pomeriggio il vertice con Gentiloni e le delegazioni sindacali al
completo) sul piatto mette però anche altri impegni: dalla riduzione del carico fiscale che pesa sulla
previdenza integrativa dei dipendenti pubblici (equiparati al settore privato) ad una «apertura» sulle
pensioni dei giovani, dalla decisione di istituire una commissione per valutare la possibilità di selezionare
meglio in base alle aspettative di vita i singoli mestieri da salvaguardare, sino alla modifica del meccanismo
di calcolo sull'adeguamento dell'età che dal 2021 dovrebbe diventare biennale considerando nel computo
anche i periodi in cui l'aspettativa di vista cala, salvo conteggiarli con 2 anni di ritardo. In dirittura d'arrivo
sono sempre possibili altre novità e sorprese. Ma quello di oggi è un po' l'ultimo appello, visto che il Senato
inizia a votare gli emendamenti alla legge di Bilancio che approderà in aula il 23 e quindi è adesso che si
può inserire nella manovra un eventuale pacchetto-pensioni. Secondo la Uil, che ieri ha diffuso uno studio
con si dimostra che rispetto ad altri paesi gli italiani, pur avendo una aspettativa di vita anche più alta,
percepiscono meno anni di pensione (16 anni e 4 mesi in media, 2 anni e 5 mesi in meno rispetto al resto
d'Europa), «non c'è nessun motivo per aumentare in via generalizzata l'età di accesso alla pensione così
come dovrebbe accadere sulla base dell'attuale normativa». Anzi, insiste Proietti, «bisogna congelare
l'adeguamento e avviare un tavolo di studio che consideri le peculiarità dei singoli lavori, come previsto nel
verbale governo-sindacati siglato lo scorso anno». c Gli usuranti GIÀ ESCLUSI DALLO SCATTO
AUTOMATICO FINO AL 2026 Lavori in galleria, cava o miniera Lavori in cassoni ad aria compressa Lavori
svolti dai palombari Lavori ad alte temperature Lavorazione del vetro cavo Lavori di asportazione
dell'amianto Lavori svolti prevalentemente e continuamente in spazi ristretti (attività di costruzione,
riparazione e manutenzione navale, e, per spazi ristretti, intende intercapedini, pozzetti, doppi fondi, blocchi
e affini) Conducenti di veicoli adibiti a servizio pubblico di trasporto collettivo, con capienza superiore a 9
posti Lavori a catena o in serie 1 10 11 12 13 14 15 I 15 mestieri gravosi proposti dal Governo Addetti alla
concia di pelli e pellicce Addetti ai servizi di pulizia Addetti spostamento merci, magazzinieri e facchini
Camionisti o conducenti di mezzi pesanti Macchinisti e personale viaggiante Gruisti o chi guida macchinari
di perforazione nei cantieri Infermieri o ostetriche che operano su turni Maestre/i di asilo nido e scuola
dell'infanzia Operai edili Operatori ecologici Personale che accudisce i non autosufficienti (badanti)
Marittimi (che lavorano sulle navi) Addetti alla pesca (che lavorano sui pescherecci) Operai agricoli
(braccianti) Siderurgici 1 10 11 Chi preme per essere esentato Operai metalmeccanici e di altri comparti
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manifatturieri Addetti funivie Vigili del fuoco Poliziotti Addetti ai penitenziari Guardie giurate Postini
Coltivatori diretti Operai dei mattatoi Medici di sala operatoria Addetti bar e ristoranti - LA STAMPA
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Retroscena
Quelle omissioni su Siena chiamano in causa Draghi Ma in ballo c'era la
stabilità del nostro Paese*
Già nel 2010 Bankitalia aveva compreso i rischi dei derivati di Montepaschi GIANLUCA PAOLUCCI
ROMA Chissà se i membri della commissione d'inchiesta sul sistema bancario hanno presente la
distinzione tra una vigilanza «microprudenziale» e una «macroprudenziale», come la chiama un attento
osservatore delle vicende bancarie. Perché la prossima settimana, quando la commissione inizierà ad
analizzare la vicenda di Monte dei Paschi, avere presente questa distinzione risulterà il fattore decisivo per
risalire alle responsabilità (eventuali) di Bankitalia e chiamare (eventualmente) di nuovo in causa l'operato
dell'ex governatore ora alla Bce - Mario Draghi. Brevi definizioni: la vigilanza «microprudenziale» è da
intendersi come concentrata sul singolo istituto senza tenere conto del contesto, la vigilanza
«macroprudenziale» va intesa invece come focalizzata sulla stabilità del sistema nel suo complesso. E in
nome di questo disposta ad evitare impatti traumatici sul sistema stesso che potrebbero derivare da
interventi decisi nei confronti di un singolo istituto. L'episodio di Santorini Chiarito questo, ci sono almeno
tre episodi da ricostruire nella tribolata storia di Mps che chiamano in causa l'operato di Bankitalia. Il primo
in ordine di tempo di riguarda l'ispezione che nel 2010 Bankitalia fa a Siena. Nel rapporto finale, che è
depositato tra gli atti del processo in corso a Milano, gli ispettori di via Nazionale scrivono espressamente
che l'operazione Santorini messa in piedi con Deutsche Bank - una complessa operazione strutturata con
sottostante Btp - era servita alla banca senese per «nascondere» una perdita di 371 milioni prodotta dal
veicolo Santorini con titoli Intesa Sanpaolo. Documento riemerso nei giorni scorsi proprio nel processo
milanese per il falso in bilancio su Mps e per il quale Bankitalia - che ha replicato che questa segnalazione
è esattamente la linea difensiva degli imputati, cioè Giuseppe Mussari, Antonio Vigni e compagnia - ritenne
all'epoca non esistessero gli estremi per inoltrare quanto accertato alla magistratura. Il caso di Alexandria Il
secondo episodio riguarda l'altro famigerato derivato, cioè Alexandria. Nel rapporto ispettivo del 2011 c'è
scritto che tutto l'insieme di operazioni di acquisto di Btp realizzate con Nomura, una serie di impegni
assunti dalla banca, un deposito di liquidità ancora presso Nomura non si capiscono proprio. Anzi, si
capiscono solo se considerati un insieme unico, un singola operazione (di fatto un derivato sul rischio
Italia). Che però non veniva raccontata come una sola operazione ma come tanti pezzi separati e distinti.
Insomma - e anche qui siamo a quanto hanno sostenuto le difese dei manager Mps nel processo per
ostacolo alla vigilanza che si è tenuto a Siena - indipendentemente dal mandate agreement scoperto nel
2012, Bankitalia aveva contezza che qualcosa non andava. L'ultimo episodio è quello che però meglio di
tutti chiarisce la distinzione iniziale. A ottobre del 2011 l'Italia non se la passa bene. Lo spread è alle stelle, i
Btp vanno a picco e sui mercati internazionali come nelle cancellerie si affollano i dubbi sulla tenuta
finanziaria del Paese. Il sistema bancario è in difficoltà. Ma qualcuno sta peggio di altri: Mps, allora la terza
banca italiana, schiacciata proprio dal peso sui suoi conti delle sciagurate operazioni Alexandria e Santorini
che sui Btp erano basate. La Bankitalia di Draghi, già in procinto di partire per Francoforte, concesse allora
un prestito straordinario di 2 miliardi a Mps senza il quale probabilmente la banca non sarebbe stata in
grado di aprire gli sportelli. Con conseguenze imponderabili ma certamente drammatiche per tutto il
sistema bancario e per il Paese. Del prestito nulla si è saputo fino alla primavera del 2013, quando è
esploso il caso Mps. La ragione: anche diffondere la notizia dell'intervento avrebbe destabilizzato il sistema.
Eccola, la distinzione tra vigilanza «micro» e «macro». La tenuta del sistema contro la necessità di punire
gli errori - o le colpe del singolo istituto. Dopo quell'episodio, Vigni e Mussari vennero accompagnati alla
porta proprio su input di Bankitalia. Senza troppo clamore e, soprattutto, senza dire perché. In nome della
stabilità. c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/11/2017 146
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371 milioni La perdita nascosta da Mps con Santorini
2 miliardi Il prestito concesso dalla Bankitalia di Draghi a Mps nel 2011 per evitare che il dissesto di Siena
facesse crollare tutto il sistema
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/11/2017 147
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BUFERA SUL CREDITO LA LETTERA DI MATTEO RENZI
"Da Bankitalia e Consob controlli non efficienti"
Caro Direttore, il pezzo di ieri è stato rubricato come "Retroscena" ma rappresenta in realtà la versione
unilaterale, e discutibile, di Banca d'Italia. Poteva tranquillamente essere rubricato come "Il colloquio" o
"L'intervista". O, se preferisce, "La sbobinatura". Per rispetto alla verità dei fatti ho il dovere di smentire
radicalmente la versione riportata dal Suo giornale. E del resto, come sanno tutti i protagonisti di quella
vicenda, le cose sono andate in modo radicalmente diverso. Non è vero infatti che il Governo non sia stato
informato per tempo dei commissariamenti delle banche in crisi, a cominciare da Banca Etruria. Ogni
passaggio è stato concordato tra Palazzo Chigi e Mef in perfetta sintonia e tutto si è svolto in un clima di
piena collaborazione istituzionale con Banca d'Italia. E anche dopo il commissariamento di Banca Etruria,
avvenuto nelle prime settimane del 2015, il rapporto tra il Governo e Banca d'Italia è sempre stato corretto
come hanno dimostrato i numerosi incontri successivi tenutisi a Palazzo Chigi o in via Nazionale. Nessuna
freddezza legata alle vicende di Banca Etruria, nessuna mancata collaborazione: il Governo, che ha agito
in modo concertato e coeso come potrà agevolmente confermare il ministro Pier Carlo Padoan, e la Banca
centrale hanno cercato insieme di affrontare le numerose sfide che si sono presentate in quei mesi. Nessun
problema istituzionale, dunque. Nessuno. Il giudizio politico negativo sulla gestione degli organismi di
vigilanza, che il Pd ha espresso nelle sedi proprie istituzionali al momento del rinnovo degli incarichi, non
prima né dopo, non trae dunque spunto da presunte difficoltà istituzionali ma da una constatazione: le cose
non hanno funzionato come avrebbero potuto e dovuto. Il nostro giudizio politico è che in questi anni Banca
d'Italia e Consob non abbiano garantito un sistema di controlli efficiente. E i primi segnali che vengono dalle
sedute della commissione d'inchiesta rafforzano questa valutazione. Il tempo ci darà ragione, caro
Direttore. E lo sanno tutti gli addetti ai lavori, anche quelli che pubblicamente ti danno torto e privatamente ti
dicono il contrario. La verità alla fine viene fuori. Anziché continuare a evocare la vicenda Banca Etruria, su
cui pure sarà interessante nelle prossime settimane ricostruire sul serio l'accaduto anziché usarla come
comodo alibi per azzerare ogni critica, sarebbe interessante capire che cosa è accaduto nella vigilanza
sugli istituti veneti e non solo. E non basterà cercare di scaricare in modo irresponsabile le colpe sui
predecessori, più o meno autorevoli, come qualcuno potrebbe immaginare di fare, contro la nostra
opinione. Quanto a me: credo nelle istituzioni. Mai nessuno potrà dire di aver sentito da me parola alcuna
su incontri riservati con le alte cariche dello Stato. Ho scritto un libro con molti retroscena, ma non ne
troverete nemmeno uno sugli incontri ai massimi livelli su questi temi. Perché ho giurato sulla Costituzione
di adempiere le mie funzioni con disciplina e onore: e io non vi rinuncerò mai, meno che mai per una
piccola polemica. Perché rispettare le istituzioni significa evitare di far circolare veline su presunti scontri
istituzionali, peraltro inventati di sana pianta. Se in questi anni le autorità della vigilanza avessero passato il
proprio tempo leggendo meglio i documenti dei loro colleghi anziché parlando coi giornalisti per raccontare
discutibili retroscena, probabilmente il mondo del credito e della finanza oggi starebbe meglio. Grazie per
l'ospitalità, caro Direttore. Dire e ribadire la verità su ciò che è accaduto per me è fondamentale non solo
per il doveroso rispetto delle persone coinvolte. Ma soprattutto perché da questa vicenda tutti dobbiamo
imparare qualcosa. Aziende hanno chiuso per la mancanza di credito, famiglie e risparmiatori hanno pagato
un prezzo talvolta salato, funzionari di banca hanno perso il posto di lavoro. La politica ha il dovere di non
voltare le spalle a questa gente. E il Pd non potrà mai accettare che su questa vicenda cali un velo di
ipocrisia. Dire e ribadire la verità, allora: non per regolare conti del passato ma per aiutare l'economia
italiana del futuro. Un saluto cordiale, Matteo Renzi c 1 Difesa e contrattacco in cinque punti Banca Etruria
Nel primo punto della lettera Renzi sostiene che non è vero che il Governo non sia stato informato per
tempo dei commissariamenti delle banche in crisi, tra cui Banca Etruria. Una versione che contrasta con le
ultime indiscrezioni: proprio quel passaggio sarebbe all'origine dello scontro tra Renzi e il governatore
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Visco. 2Il ministro Padoan Quando ribadisce che il governo ha agito in modo coeso sul commissariamento
di Banca Etruria, l'ex premier fa il nome del ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan. Ora toccherà a lui
confermare questa clima di sintonia con la Banca d'Italia. 3Bankitalia e Consob Renzi ribadisce il giudizio
politico più volte riaffermato nelle ultime settimane: Banca d'Italia e Consob non hanno garantito un sistema
di controlli efficiente sulle banche in difficoltà. Una conferma di ciò, a suo avviso, arriva dalle sedute della
Commissione d'Inchiesta. 4Non scaricare le colpe L'ex premier si chiede cosa sia accaduto nella vigilanza
sulle banche venete e gli altri istituti in difficoltà. E quando dice che non servirà scaricare le colpe sui
predecessori difende indirettamente l'operatodi Mario Draghi che fino al 2011 è stato governatore di
Bankitalia. 5Fiducia nelle istituzioni Renzi conclude la lettera a La Stampa affermando la piena fiducia nelle
istituzioni. E difende poi il suo operato, spiegando di aver mantenuto sempre la massima riservatezza
durante gli incontri con le alte cariche dello Stato. Un modo per censurare i retroscena apparsi sul caso-
banche.
Foto: LAPRESSE
Foto: ANSA
Foto: AFP
Foto: IMAGOECONOMICA
Foto: L'ex premier Matteo Renzi è il segretario del Partito democratico
Foto: TIBERIO BARCHIELLI/PRESIDENZA CONSIGLIO/ANSA
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L'UE E LE SPINTE ECONOMICHE DEI DIVERSI STATI
GIORGIO ARFARAS
endiamo spesso a personalizzare troppo e a trattare in termini quasi calcistici - i tedeschi «formiche» contro
il Sud Europa «cicala», la Merkel senza cuore che affama la Grecia - le crisi che scuotono l'Unione
Europea. Queste crisi hanno però radici profonde nell'economia, nella politica e nella storia, cosa evidente
in particolare nella contrapposizione dei due maggiori Paesi dell'Unione, come spiega bene il libro «The
Euro and the Battle of Ideas» di Markus Brunnermeier, Harold James, Jean-Pierre Landau, (2016,
Princeton University Press). La contrapposizione fra l'«austerità» - voluta dalla Germania e dai Paesi del
Nord Europa - e la «flessibilità» - voluta dalla Francia e dai Paesi del Sud - non è sorta durante la crisi
recente. La contrapposizione nel campo della politica economica fra Francia e Germania ha origine nel
secondo dopoguerra, come elaborazione della tragedia appena conclusa. La portata di queste divergenza
è rimasta nascosta durante i «Trenta gloriosi anni» di crescita ininterrotta, e anche a seguito degli accordi di
Maastricht. Invece è emersa con la crisi finanziaria. Prima della Seconda guerra mondiale, e per tutto il
secolo precedente, la Francia era stata - nonostante la tradizione di uno Stato molto accentrato - un Paese
«mercatista». La Germania era, invece, «dirigista», raggiungendo livelli estremi di intervento statale nel
periodo nazista. Oggi i ruoli si sono invertiti. La sconfitta nella guerra ha spinto i francesi all'intervento
pubblico, il «dirigismo», demiurgo di uno Stato forte, concepito come uno strumento per non perdere più le
guerre con la Germania (tre in meno di un secolo: 1870, 1914, 1940). Al contrario, la sconfitta totale del
nazismo spinge i tedeschi a delimitare l'intervento pubblico, proprio per impedire la formazione di uno Stato
forte diventato ultra-totalitario (con la spinta anche degli Usa che volevano denazificare e decartellizzare
l'economia tedesca durante l'occupazione). Il dirigismo francese e il mercatismo tedesco nascono dunque
come conseguenza della guerra. Oggi, la Francia sviluppa i «campioni nazionali» che competono nel
mondo, mentre la Germania, che pure ha i suoi campioni, incoraggia anche le piccole e medie imprese
concentrate nel Sud-Ovest, parte di un'Europa che include per le caratteristiche economiche simili anche la
Svizzera e il Nord Italia. In Francia i sindacati sono molto conflittuali, mentre in Germania sono collaborativi,
dopo essere stati estremamente litigiosi fra le due guerre. Di nuovo, l'esperienza di Weimar e lo shock del
nazismo hanno spinto i tedeschi a ricercare la pace sociale. Le imprese tedesche con più di duemila
dipendenti hanno fin dal 1952 i lavoratori rappresentati con la metà dei consiglieri. Per la Francia le regole
sono soggette al processo politico e possono essere rinegoziate. Per la Germania le regole «sono regole»:
se si sa che sono negoziabili nessuno le rispetterà. Per la Francia limitare la libertà di manovra dei governi -
come quella di indebitarsi - è antidemocratico. Per la Germania è antidemocratico indebitarsi scaricando il
costo del debito sulle generazioni future, che oggi non possono votare. Per la Francia un costo elevato del
debito pubblico, frutto di rendimenti molto alti richiesti in sede di sottoscrizione, se lasciato sedimentare
«perché il mercato lo vuole», può inibire la crescita di un Paese. Per la Germania a guardare troppo il
presente - nel caso un elevato e ingiustificato rendimento richiesto per sottoscrivere il debito pubblico - si
perde di vista il futuro. Il futuro deve emergere come «coscienza» dei mercati, come responsabilità, e non
come frutto degli interventi delle autorità. Queste contrapposizioni sono presenti anche nel dibattito italiano,
dove i «francesi» vogliono più spesa pubblica, e i «tedeschi» i bilanci pubblici in ordine. Non abbiamo chi
vuole il dirigismo come politica di potenza, ma come strumento per mantenere una qualche sovranità. Non
abbiamo più molti campioni nazionali, ma abbiamo moltissime piccole e medie imprese, spesso da decenni
integrate nel modello produttivo dell'area tedesca. Resta da capire come tenere unite queste spinte
apparentemente poco conciliabili, in un'Ue che non può che funzionare in modo limitato. Ma l'Unione non
sorge in astratto, cresce man mano che trova soluzioni alle sue crisi. Le crisi sono perciò la levatrice
dell'Europa. [email protected] c
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Alitalia, il rilancio dei tedeschi
Nuovo piano Lufthansa: sul tavolo 250 milioni per la flotta, le rotte e la manutenzione Esuberi per 2000 dipendenti. Il governo: «La compagnia va meglio, non vogliamo svendere» Umberto Mancini
Tutti i piloti e le hostess, una parte del settore della manutenzione, le rotte domestiche ed europee, una
parte degli amministrativi, una flotta di 90-100 aerei. Per fare di Alitalia una compagnia solida, efficiente e
con un futuro industriale definito. Il piano messo a punto dall'ad di Lufthansa Carsten Spohr è nelle mani
dei commissari guidati da Luigi Gubitosi. Alle pag. 2 e 3 Di Branco a pag. 2 R O M A Tutti i piloti e le
hostess, una parte del settore della manutenzione, le rotte domestiche ed europee, una parte degli
amministrativi, una flotta di 90-100 aerei. Fuori dal perimetro aziendale l'handling, le rotte non economiche
e i velivoli che consumano troppo. Per fare di Alitalia una compagnia solida, efficiente e con un futuro
industriale definito. Il piano messo a punto dall'ad di Lufthansa Carsten Spohr e dal gruppo di lavoro creato
ad hoc è nelle mani dei commissari guidati da Luigi Gubitosi. Cifre, grafici, strategie che delineano il
percorso che i tedeschi immaginano per l'ex vettore tricolore. Un piano che vuole dare un futuro ad Alitalia,
non svuotarla, nè trasformarla in un piccolo vettore marginale. Una compagnia che riprenderebbe il suo
percorso con non più di 6.000 dipendenti, capace di integrarsi e completare lo scacchiere internazionale del
colosso tedesco. Dal quartier generale di Co`
lonia si punta a valorizzare il settore della manutenzione, considerato di alto livello, così come è apprezzata
la professionalità e competenza degli equipaggi.
I SOLDI Sul piatto Spohr, secondo quanto risulta al Messaggero , è disposto a mettere circa 250 milioni,
ma non è escluso che si possa anche raddoppiare in funzione degli accordi che potranno essere raggiunti
con il governo e i fornitori. E che il lavoro, giudicato prezioso dei commissari, continui a ridurre i costi e ad
aumentare la redditività. Come
accaduto del resto sul fronte dei contratti per il carburante (tutti rivisti al ribasso), del leasing e
dell'efficientamento della flotta. Risparmi per oltre 140 milioni che hanno dimostrato la capacità di Gubitosi
& Co nella gestione operativa e, di converso, la scarsa attenzione di quella targata Etihad. Risparmi che
Lufthansa potrebbe ulteriormente incrementare, giurano a Colonia, attraverso le sinergie di gruppo.
LE CIFRE Il piano Lufthansa esclude l'handling (circa 3.100 dipendenti), che, come noto, è entra
to nel mirino di altri operatori che si sono fatti avanti con proposte concrete. Al netto dei servizi di terra, il
sacrificio sul fronte occupazionale non dovrebbe superare le 2.000 unità.
GLI OCCUPATI Un numero elevato ovviamente, ma dal quale potrebbe partire la trattativa vera e propria
con governo e sindacati. Sullo sfondo la proposta di Cerberus pronto a rilevare tutti gli asset non convince
l'esecutivo e una parte dei commissari. Si sa infatti che il Fondo Usa mira ad acquisire l'intero pacchetto per
poi rivenderlo a pezzi, senza dare nessuna garanzia occupazionale futura. La proposta tedesca, anche se
migliorabile agli occhi del governo, appare quella più seria e credibile, almeno sotto il profilo strettamente
industriale. Perché gli americani, tra l'altro, dovrebbero superare il vincolo del passaporto, non potendo
acquistare la maggioranza della società italiana in quanto extra comunitari. Come ai tempi della contesa
con Air France, i tedeschi farebbero di Fiumicino il loro quinto hub, mentre Milano, ovvero gli scali di Linate
e Malpensa, sarebbero valorizzati per i voli point to point e il federaggio verso gli hub. Il piano di Spohr, che
ha avviato contatti diretti con i commissari, dovrebbe ricalcare il percorso della svizzera Swiss, riportata in
vita dopo il fallimento di Swissair, ma con una strategia differente tra Nord e Centro-Sud Italia. Fiumicino,
come accennato, sarà invece il cuore operativo per le destinazioni transatlantiche verso Stati Uniti e centro
e sud America. Previsto anche uno sviluppo delle rotte in Italia. Degli attuali 123 velivoli dovrebbero
restarne operativi circa 90-100. Il punto chiave, come hanno detto i commissari e il governo, resta quello
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occupazionale. Meno tagli ci saranno e più il piano potrà decollare. I tedeschi sono comunque pronti, anche
se non è scritto nel piano, a reinvestire in maniera massiccia su Alitalia dopo aver avviato la cura
dimagrante. Di certo eviteranno di fare promesse che poi non si possono mantenere. Il modello da seguire
è quello di Swiss Air che, dopo il fallimento e una cura lacrime e sangue, ha ripreso ad assumere e a
crescere sul mercato, macinando utili. Umberto Mancini
Il piano dei tedeschi per Alitalia
6.000
500 MILIONI
2.000 dipendenti (mantenimento degli attuali livelli occupazionali per piloti, hostess, manutenzione, par te
del compar to amministrativo, mantenimento degli slot) FINO A per rilevare la compagnia tricolore nessun
interesse per l'Handling taglio di tutte le rotte improduttive esuberi concentrati prevalentemente nella parte
amministrativa possibilità di riassunzione dopo aver ripor tato in utile il vettore cessione degli aerei che
consumano di più e mantenimento di una otta di circa 90-100 velivoli Fiumicino diventerà il quinto hub del
gruppo tedesco sviluppo delle tratte in Italia integrazione con il net work di Lufthansa che sposterebbe su
Milano il braccio low cost mantenimento del brand Alitalia e implementazione delle rotte intercontinentali
profittevoli investimento iniziale di circa 250 milioni legato al meccanismo del discount cash ow, ovvero al
rendimento dell'investimento nel tempo potenziamento e nuovi investimenti dopo 18 mesi dall'ingresso in
Alitalia focus sul Sud del mondo e consolidamento sullo scacchiere internazionale
Foto: FLOTTA DI 100 VELIVOLI RISPARMI GRAZIE ALLE SINERGIE SFORBICIATA ALLE TRATTE IN
PERDITA ESCLUSO L'HANDLING
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Come cambia la manovra IL PROVVEDIMENTO
Superticket, adesso si tratta sull'abolizione Gentiloni frena l'assalto
Sigarette, aumenti fino a 70 centesimi Il premier: non snaturare la finanziaria Il governo apre all'eliminazione del balzello sulle visite specialistiche DALL'AUMENTO DI PREZZO DELLE "BIONDE" ANCHE 600 MILIONI PER I FARMACI ONCOLOGICI MA PER GLI ESPERTI IL GETTITO È A RISCHIO Andrea Bassi
R O M A Nel cantiere della manovra torna in primo piano il tema dell'abolizione del superticket su visite e
accertamenti chiesto da Mdp. Il vice ministro dell'Economia, Enrico Morando, ha aperto ad una discussione
sul tema, una necessità che, ha spiegato, è emersa a fronte delle «difficoltà per i cittadini di usufruire delle
prestazioni sanitarie anche nelle Regioni più virtuose». Parole molto simili a quelle del coordinatore di Mdp-
Articolo 1 Roberto Speranza. «Sempre più persone non si curano come dovrebbero per motivi economici»,
ha detto Speranza, aggiungendo che «nella prossima Legge di bilancio è fondamentale rimettere al centro
la sanità pubblica». Sul superticket insomma si tratta, anche se i tecnici che lavorano alla manovra,
esprimono dei dubbi. Le risorse sono poche e, dunque, andranno fatte delle scelte. Scelte che potrebbero
essere condizionate dalle future alleanze politiche, e che potrebbero far pendere la bilancia da un lato
(superticket), o da quello del bonus bebé e delle altre misure sulla famiglia chieste da Ap. Intanto fumare
potrebbe diventare proibitivo. I pacchetti di sigarette, soprattutto quelli oggi più economici, potrebbero
subire un rincaro fino a 70 centesimi, per effetto di due emendamenti, uno al decreto fiscale che
accompagna la manovra, e il secondo direttamente alla legge di Bilancio. I DETTAGLI Cominciamo da
quest'ultimo. Si tratta di una modifica chiesta all'unanimità dalla Commissione salute del Senato e che
prevede di introdurre una nuova tassa sul fumo per ricavare almeno 600 milioni di euro da destinare ai
farmaci innovativi per la lotta ai tumori. Un'iniziativa che ieri ha avuto il plauso sia da Stefania Gori,
presidente nazionale dell'Aiom, l'Associazione italiana di oncologia medica, che dall'associazione dei
medici di base. I 600 milioni dovrebbero essere ricavati tassando di un centesimo ogni sigaretta venduta. Si
tratta di una vecchia idea del ministro della salute Beatrice Lorenzin che, finora, non aveva però mai trovato
spazio. Da sola questa misura, nei fatti, comporterebbe un aumento di 20 centesimo per ogni pacchetto di
"bionde", a prescindere dalla fascia di prezzo. Il secondo balzello, invece, arriverebbe attraverso un
emendamento "tripartisan", firmato da tre senatori, uno di Ap, uno del Pd e uno di Forza Italia e presentato
al decreto fiscale. LA NORMA La norma è molto tecnica, e va ad incidere su una delle voci che
compongono l'accisa sui tabacchi, il cosiddetto «onere fiscale minimo». Si tratta di quella parte della tassa
che incide sulle sigarette più a basso prezzo, quelle che nei tabacchi in genere sono nella fascia dei 4,20
euro. In pratica l'onere fiscale minimo viene trasformato da una somma (170,54 euro il chilogrammo di
tabacco convenzionale), in una percentuale (95,62% dell'accisa globale e dell'Iva), con la possibilità di un
aumento a discrezione del Tesoro, di 2,3 punti percentuali. Cosa significa in soldoni, lo ha spiegato il vice
direttore del Casmef, il centro studi dell'Università Luiss di Roma, Marco Spallone. Secondo le stime, ha
spiegato, l'approvazione di questo provvedimento potrebbe comportare anche aumenti di prezzo fino a 50
centesimi al pacchetto nell'anno in corso e aumenti anche maggiori in quelli successivi. Insomma, le due
norme, se approvate, farebbero lievitare il prezzo delle sigarette, soprattutto nella fascia bassa, fino a 70
centesimi al pacchetto. Ma senza la certezza che poi, nelle casse dello Stato i soldi arrivino effettivamente.
Anzi. È stata proprio una recente ricerca dello stesso Casmef a mostrare come tutti gli incrementi di gettito
introdotti negli ultimi tempi, compreso quello entrato in vigore a giugno, abbiano fallito sul piano del gettito,
creando in poco più di un anno un buco nei conti di un miliardo di euro. «È preoccupante», ha spiegato
Spallone, «l'idea di riformare una materia tanto complessa e rilevante come la tassazione sui tabacchi per
mezzo di un emendamento dell'ultima ora, senza nemmeno una valutazione dell'impatto della corrente
legislazione, obbligatoria per legge». Il rischio, secondo il vice presidente del Casmef, è che si finisca come
la Grecia. Lì una riforma della tassazione improvvisata, effettuata colpendo soprattutto le sigarette di fascia
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bassa, ha affossato il gettito erariale e ha fatto esplodere il contrabbando, facendo salire Atene al secondo
posto in Europa per numero di sigarette contraffatte. Sulla manovra è intervenuto anche il premier Paolo
Gentiloni. Per il presidente del Consiglio la legge di Stabilità «non può trasformarsi in una nuvola di segnali
di fumo. Questo non aiuterebbe». Per Gentiloni «deve essere snella e mirata». HANNO DETTO Continuare
con le riforme per favorire la crescita dell'economia PIER CARLO PADOAN La manovra deve restare
mirata e snella su alcuni asset ben definiti PAOLO GENTILONI
Gli emendamenti
Imposte non versate
Aumento sigarette
Tasse aeropor tuali
Banche venete
Ape social
Bonus bebè
Cedolare secca
Web tax L'indennità viene prorogata al 2019 e la richiesta viene semplificata L'assegno di 960 euro l'anno
per i nuovi nati è prorogato oltre il 2017 Il meccanismo della tassazione agevolata viene esteso ai negozi
sfitti Sui ricavi provenienti dai servizi digitali si applicherà un'imposta del 6% Sarà possibile regolarizzare le
imposte non versate senza pagare sanzioni Più tasse sui tabacchi (600 milioni) per finanziare l'acquisto di
farmaci oncologici innovativi L'aumento delle tasse aeropor tuali dovrebbe saltare: è contrario il governo
Proposta l'istituzione di un fondo ad hoc per i risarcimenti ai risparmiatori
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/11/2017 154
11/11/2017
Pag. 1.2
diffusione:102976
tiratura:142615
Come cambia la manovra IL PROVVEDIMENTO
Imposte non versate arriva la sanatoria Verso la web tax al 6 %
Rottamazione senza sanzioni e in 4 rate anche per gli avvisi del Fisco Il governo ferma il balzello sui biglietti aerei. Le sigarette nel mirino PRELIEVO SU BIG DATA E PUBBLICITÀ ON LINE LE IMPRESE INTERNET CHE FANNO PIÙ DI 1500 TRANSAZIONI SARANNO CONSIDERATE ITALIANE Andrea Bassi
` R O M A Dopo le cartelle della ex Equitalia, è in arrivo una sanatoria anche sugli avvisi di accertamento
del Fisco. Secondo un emendamento presentato dal Pd al decreto fiscale, e che sarà esaminato lunedì alla
ripresa dei lavori del Senato, i contribuenti che hanno ricevuto un "avviso" dall'Agenzia delle entrate,
potranno chiudere i loro conti senza pagare sanzioni (circa il 30% della somma) e interessi, versando
l'intero importo entro il 31 maggio del 2018, o in quattro rate, due nel 2018 e due nel 2019. Ma quali sono
gli avvisi che potranno essere rottamati? Tutti quelli previsti dagli articoli 36-bis e 36-ter del Dpr 600 del
1973, il testo di legge che disciplina gli accertamenti, e notificati fino al 16 ottobre di quest'anno. Si tratta, in
pratica, di alcune fattispecie molto diffuse, come i mancati versamenti delle imposte e gli errori formali nella
compilazione delle dichiarazioni. Casi molto comuni. Tanto che, secondo la relazione della Corte dei Conti,
negli ultimi dieci anni da queste due sole voci sono stati iscritti quasi 120 miliardi di euro alla voce «lotta
all'evasione». Non è l'unica novità emersa ieri nel cantiere della manovra che incrocia il decreto fiscale con
la legge di bilancio. Dal Dem Massimo Mucchetti è arrivato un altro emendamento, sottoscritto anche da
altri esponenti del Pd, per introdurre una web tax anche in Italia. I meccanismi individuati sono due. Il primo
prevede l'assegnazione da parte delle banche di un codice identificativo, una sorta di partita Iva, alle
aziende estere verso cui partono bonifici per l'acquisto di beni e servizi e che non hanno sede in Italia. IL
MECCANISMO A patto che gli ordini superino i 1.500 per un importo di oltre 1,5 milioni. Se si verifica
questa condizione, le società saranno convocate dall'Agenzia delle Entrate e qualificate come soggetti
residenti e costrette a versare Iva e Ires. Sulle transazioni completamente digitali, come la raccolta
pubblicitaria via web da parte di Google o Facebook, scatterà invece un tassa del 6%. Dalla commissione
salute, invece, è arrivata la richiesta unanime di inserire nella manovra un nuovo balzello sulle sigarette in
grado di generare un incasso di 600 milioni di euro l'anno da destinare al finanziamento dei farmaci
innovativi per la lotta ai tumori. Si tratta, in sostanza, della proposta che da circa due anni avanza il ministro
della salute Beatrice Lorenzin, e che prevede una tassa di un centesimo a pacchetto di sigarette venduto.
In realtà la misura non è di facile attuazione. Il gettito fiscale del fumo è in calo. Anche per effetto, come ha
dimostrato un recente studio del Casmef-Luiss, dell'aumento della tassazione sulle sigarette di fascia bassa
introdotto con la manovra correttiva di questa primavera. Proprio per questo, un altro emendamento
presentato al decreto fiscale che incide ancora sulle sigarette low cost, è oggetto di grande attenzione in
queste ore per i rischi che potrebbe avere sull'equilibrio del comparto. Infine, sempre ieri, il ministero delle
infrastrutture e trasporti ha dato il suo parere negativo alla norma con la quale alcuni senatori hanno
proposto di aumentare fino a 2 euro la tassa d'imbarco per gli aeroporti e di inserire un analogo balzello
anche per i biglietti delle navi e dei traghetti.
Gli emendamenti Ape social L'indennità viene prorogata al 2019 e la richiesta viene semplificata Bonus
bebè L'assegno di 960 euro l'anno per i nuovi nati è prorogato oltre il 2017 Cedolare secca Il meccanismo
della tassazione agevolata viene esteso ai negozi sfitti Web tax Sui ricavi provenienti dai servizi digitali si
applicherà un'imposta del 6% Imposte non versate Sarà possibile regolarizzare le imposte non versate
senza pagare sanzioni Aumento sigarette Più tasse sui tabacchi (600 milioni) per finanziare l'acquisto di
farmaci oncologici innovativi Tasse aeropor tuali L'aumento delle tasse aeropor tuali dovrebbe saltare: è
contrario il governo Banche venete Proposta l'istituzione di un fondo ad hoc per i risarcimenti ai
risparmiatori
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SCENARIO PMI
7 articoli
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 13/11/2017 156
13/11/2017
Pag. 41 N.44 - 13 novembre 2017
Manifatturiero
La lunga marcia dei freni Brembo continua con lo sbarco a Nanchino
Nonostante il rallentamento della crescita economica cinese, Pechino continua ad essere il secondo
importatore mondiale di prodotti metallurgici e in particolare di macchinari (più di 658 miliardi di dollari nel
2016).
Le esportazioni italiane verso questo Paese sono aumentate dal 2014 al 2016 del 10% per quanto riguarda
i prodotti in metallo, e del 19% per i macchinari, raggiungendo un valore complessivo superiore a 8,4
miliardi di euro.
Il successo di Brembo - l'azienda guidata da Alberto Bombassei ( nella foto ) - in Cina, nasce quasi 20 anni
fa con l'avvio di una piccola produzione di freni d'eccellenza. «Nel 2016, l'azienda ha acquisito il 66% della
società Asimco Meilian a Langfang (Pechino), mentre quest'anno ha lanciato un ulteriore investimento a
Nanchino per la realizzazione del primo polo industriale cinese in grado di produrre pinze in alluminio per
auto» spiega Umberto Simonelli, General counsel di Brembo. Oggi in Cina, un mercato che produce circa
27 milioni di veicoli, Brembo, con 200 milioni di euro di fatturato con circa 1.300 addetti, è leader di mercato
nella produzione di dischi e pinze, con quattro insediamenti produttivi.
«Un percorso che dimostra come, nel medio-lungo periodo e con gli adeguati investimenti si possa portare
l'eccellenza italiana in Cina nel mondo delle auto e dei veicoli commerciali», conclude Simonelli.
Ba.Mill.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 13/11/2017 157
12/11/2017
Pag. 17
diffusione:97980
tiratura:140038
L'altra faccia di Piazza Affari. Ecco perché da inizio anno gli indici azionari delle Pmi italiane (+34%) hanno battuto il paniere delle grandi
Se il Ftse Star doppia l'indice delle big
LA VALUTAZIONE Il Ftse Mid cap quota a premio rispetto alle blue chip: il primo vale 18,5 volte gli utili attesi per fine anno contro un multiplo di 15 del Ftse Mib Vito Lops
Mancano ancora 34 sedute alla fine dell'anno finanziario e Piazza Affari, salvo scossoni imprevedibili, si
avvia a chiudere il 2017 in grande stile. Gli utili delle big sono in crescita (si veda articolo in alto)e pertanto il
+17% archiviato sinora dal Ftse Mib (che ingloba le 40 società a maggiore capitalizzazione) non è campato
per aria. Non bisogna però commettere l'errore di associare algebricamente la Borsa di un Paese al cuore
dell'economia domestica. In un'economia sempre più globalizzata le carte si rimescolano. Ad esempio la
maggior parte delle aziende quotate sul listino spagnolo hanno una forte connessione con l'economia
brasiliana. Quindi se l'indice Ibex corre non è necessariamente detto che i cittadini spagnoli stiano, in
quanto a standard di vita, correndo di pari passo. Un altro fattore che può distorcere il collegamento tra una
Borsae il rispettivo Paese riguarda il sovrappeso che un settore può avere nella composizione di un indice.
Ad esempio il Ftse Mibè sbilanciato sui titoli finanziari che hanno un peso superiore al 30%. Quindi se le
banche se la passano male o bene (quest'anno bene), l'immagine dell'intero listino ne risulta oltremodo
influenzata. Se analizziamo gli altri indici di Piazza Affari emerge un quadro ancora più interessante di
quello dipinto dall'indice delle large cap. Prendiamo il Ftse Mid cap, che calcola l'andamento di 60 titoli a
media capitalizzazione. Ha fatto ancora meglio (+31% da gennaio). Se ci spostiamo poi sul Ftse Star • al cui
intorno ci sono titoli (75) con capitalizzazione fino a 1 miliardo e alti requisi• ti(in termini di trasparenza,
liquidità e corporate governance) • il rialzo passa al 34%, il doppio del Ftse Mib. Come si spiega questa
extra•performance delle piccole rispetto alle big? «Ci sono due motivi • sintetizza Guglielmo Manetti, vice
direttore generale di Intermonte advisory •. Il primo è legato a maggiori flussi sulle piccole quest'anno
derivanti dal fenomeno dei Pir (Piani individuali di risparmio, ndr), chiamati a investire proprio in questo tipo
di aziende. Il secondo• prosegue•è di natura fondamentale ed è legato alla crescita dell'economia italiana,
rivista al rialzo per il 2017 dall'1% all'1,5%.A differenza dei titoli del Ftse Mib, perlopiù bancari, petroliferi ed
utility, quelle degli altri indici rispecchiano più da vicino l'economia domestica. Quest'anno stanno
crescendo sia per l'export ma anche (e questa è la novità) per il risveglio dei consumi interni». Ai valori
attuali il Ftse Mid cap è più caro del Ftse Mib dato che ha un rapporto tra prezzo e utili attesi a fine anno
pari a 18,5 volte contro quota 15 dell'indice principale. «Ma nonè un fattore di rischio • conclude Manetti •.
Perché le aziende più piccole hanno sempre trattato a premio. La novità positiva è che il flottante, in
passato in mano anche per il 90% agli stranieri, ora grazie ai Pir è più bilanciato e quindi queste azioni sono
più liquide e meno volatili».
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 13/11/2017 158
11/11/2017
Pag. 22 N.787 - 11 novembre 2017
Gestore di HI Principia Fund strumenti per investire il gestore della settimana marc chapman hedge invest
«Per Temenos crescita in accelerazione»
L'azienda fa software per assicurazioni e banche e il mercato potenziale più ampio è quello americano Isabella Della Valle
+ Come interpreta il cauto tapering deciso dalla Bce? Quali saranno le ripercussioni sui listini europei? In
Europa, per tutto il 2017, la crescita ha seguito un percorso di costante miglioramento. La mancanza di
shock economici significativi ha aiutato in tal senso. Nonostante questo trend virtuoso, le stime sui livelli dei
prezzi dei principali beni sono state e sono molto caute: la mancanza di un forte potere di contrattazione
salariale, che funga da meccanismo di trasmissione della pressione inflazionistica, ha fatto sì che
nonostante i livelli di occupazione in miglioramento, i salari siano rimasti stabili. Alla luce di questo
fenomeno e dell'outlook relativamente benigno per l'inflazione, riteniamo ragionevole il comportamento
della Bce. Il fatto che i tassi resteranno bassi offre poi un ulteriore supporto al comparto azionario europeo.
Sempre in Europa, vede più possibilità di rendimento sulle società medio piccole o su quelle a grande
capitalizzazione? Durante un periodo di accelerazione della crescita economica e di aumento della fiducia,
le pmi europee tendono a performare meglio, essendo più sensibili ai miglioramenti del mercato domestico
dove spesso i business sono focalizzati. Nel 2017, il settore small e mid cap ha sovraperformato il
comparto delle grandi capitalizzazioni: ci aspettiamo che questo trend continui. Quali le grandi incognite per
i prossimi mesi? La natura stessa del rischio fa sì che a creare gli shock sui mercati sia un evento inatteso,
piuttosto che uno su cui gli investitori sono concentrati. Nel 2017 la volatilità è scesa su livelli bassi e ciò
potrebbe far sì che un potenziale shock abbia un impatto molto ampio su tutto il mercato azionario. In
termini di fonti di rischio, vale la pena sottolineare un potenziale rallentamento dell'economia Usa, dopo un
periodo di forte espansione. I vostri obiettivi di rendimento? La nostra strategia ha una bassa correlazione
con il mercato azionario europeo per offrire una vera diversificazione. Puntiamo a conseguire ritorni tra l'8 e
il 10% con una volatilità tra il 6 e il 7%. Cerchiamo di ottenere tali risultati grazie a un extra-rendimento
generato da un focus sulla selezione dei titoli, piuttosto che individuando settori o tematiche. Ciò vuol dire
che la correlazione della strategia con le variabili macro è molto bassa. Di conseguenza, eventi improvvisi,
come ad esempio un forte calo del prezzo del greggio o un allargamento degli spread, non dovrebbero
creare eccessivi problemi al portafoglio. Non solo. Ogni titolo è selezionato per i propri meriti specifici:
guardando le posizioni più importanti in portafoglio, si osserva sempre una correlazione molto bassa tra di
loro. La parte lunga di portafoglio ha dunque una performance idiosincratica cioè collegata alle specifiche
storie selezionate con andamenti indipendenti dal contesto macroeconomico e dei mercati azionari.
Spuntare rendimenti implica assumere dei rischi. Come gestite la volatilità? Storicamente abbiamo avuto un
profilo di volatilità e drawdown costantemente basso, per diversi motivi. In primo luogo, utilizziamo la
volatilità di mercato per entrare (in occasione dei ribassi) o uscire (durante i rally) dai titoli che ci piacciono,
puntando a cavalcare i picchi. Secondo, cambiamo velocemente idea: se riteniamo di aver fatto un errore
nelle nostre analisi o se arrivano nuove informazioni che sembrano contraddire la nostra idea originaria su
un titolo, correggiamo il posizionamento. Infine, cambiamo l'esposizione lorda, cioè la somma delle
posizioni rialziste o long con quelle ribassiste o short, dinamicamente per posizionarci in modo
conservativo: se riteniamo che sul mercato azionario ci sia troppo ottimismo riduciamo l'esposizione lorda,
diminuendo le posizioni e il loro peso, per proteggere la strategia da potenziali drawdown grazie a un
portafoglio più snello. E in che modo selezionate le aziende? La strada maestra è lo stock picking.
Incontriamo 450 aziende ogni anno presso le loro sedi nei viaggi periodici. Cerchiamo aziende coperte
poco e male dagli analisti e dove esistono eccessive preoccupazioni sul modello di business. Con una
accurata analisi, cerchiamo i punti di flesso per le attese su questi titoli. Semplificando, dopo aver
intervistato il management di una società, valutiamo se le risposte date siano sufficienti per poter prevedere
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 13/11/2017 159
11/11/2017
Pag. 22 N.787 - 11 novembre 2017
la crescita, calando i feedback ottenuti nei nostri modelli che cercano di andare al di là del consenso
attuale. Nel caso in cui riteniamo di aver ragioni sufficienti per prevedere uno scostamento tra le nostre
attese di utili di medio periodo e le attese di mercato, iniziamo a costruire una posizione sul titolo. Quali
sono le società che reputa più interessanti? Alcune aziende nel settore tecnologico offrono ancora un buon
potenziale di crescita, grazie ai cambiamenti strutturali nel comparto, indipendenti dal momento macro. Per
esempio ci piace Soitec, società produttrice di semiconduttori e leader nelle tecnologie FD-Soi (Fully
Depleted Silicon On Insulator), una nuova generazione di prodotti che offre una relazione potenza/energia
superiore a quelli più tradizionali. Le grandi fonderie iniziano ad accelerare gli investimenti in quest'area,
ora che il mercato si sta aprendo. Ciò trainerà un forte aumento del tasso di utilizzo della capacità
produttiva di Soitec, che a sua volta spingerà gli utili nei prossimi tre anni. Un altro esempio è Temenos,
gruppo che produce software per l'industria bancaria e assicurativa. Il comparto delle banche deve fare i
conti con sistemi IT vecchi, che spesso devono essere gestiti e supportati da grandi team e investimenti
pesanti. Temenos ha messo appunto una piattaforma software portante in grado di far risparmiare i propri
clienti migliorandone la produttività. Il gruppo si è allargato con successo negli Usa, dove il mercato
potenziale è molto ampio sia per le banche tier 1, sia tier 2. La crescita organica potrebbe accelerare grazie
agli investimenti fatti per supportare lo sviluppo di medio termine. Il titolo Temenos sta registrando un rally
molto sostenuto in corso oramai da anni. Anche recentemente ha aggiornato nuovi massimi poco sopra
120 franchi svizzeri. Il titolo ha raddoppiato i prezzi in poco più di un anno. E nell'estate del 2015 stava
poco sopra i 30 franchi: una galoppata senza freni. In un simile contesto tecnico è difficile ipotizzare dei
target rialzisti. È pensabile che per invertire una tendenza di questa intensità servirà del tempo mentre
l'altra faccia della medaglia evidenzia un'azione oggettivamente molto tirata e questo potrebbe aprire una
fase di consolidamento. Correzioni fino all'area dei 100 franchi non comprometterebbero minimamente la
struttura rialzista, mentre solo al di sotto di questo supporto ci sono primi segnali di cedimento. (A cura di
Andrea Gennai) Temenos andamento e volumi Il titolo in borsa pre zzo 400 330 260 190 120 Apertura
63,50 50 09/11/16 volumi Chiusura 121,4 08/11/17 1000 800 600 400 200 0 i comparable società Temenos
Aubay * Be * CAD IT * Cognizant ** GFI Informatique * Infosys (+) Wipro (+) Il confronto Base
07/11/2014=100 400 250 100 07/11/2014 capitalizzazione mercato al 7/11/17 (mn chf) Il gruppo svizzero
Temenos è specializzato nel software per i settori bancario e finanziario e conta fra i suoi clienti i principali
istituti di credito (tradizionali e on•line) a livello europeo. Nel terzo trimestre dell'esercizio 2017 ha
conseguito ricavi in crescita del 16% a 186,3 milioni di $, mentre l'ebit è aumentato del 20,3% a 49,8 milioni
e l'utile netto eps 2017 p/e 2017 p/e 2018 44.017 3,72 20,1 17,2 p/sale s 2017 8.559 2,48 48,9 41,2 11,8
Andamento del titolo rispetto al mercato e all'indice di settore. 325 175 25 07/11/2015 449 1,66 20,6 17,8
1,3 127 0,04 22,3 17,9 07/11/2016 1 39 0,27 16,1 14 0,7 3 521 0,53 15 10,2 0,5 2.195.236 64,21 14,8 13,8
3,1 1.470.227 18,21 16,6 15,4 2,7 switzerland index europe software & it services index temenos group ag
consensus di mercato Hold Overweight Overweight Buy Overweight Hold Hold Underweight * dati in euro;
** dati in $; (+) dati in rupie, chiusura esercizi al 31/3/2018 e 2019; (Eps) = utile per azione; (P/E) = rapporto
prezzo su utile; (P/Sales) = rapporto prezzo su ricavi fonte: elab. Analisi Mercati Finanziari su dati Factset
del 20,4% a 39,6 milioni. Non esistono società quotate perfettamente comparabili a Temenos: è un'azienda
medio/grande operante a livello paneuropeo mentre i competitor quotati sono o di piccole o di grandissime
dimensioni. Per tale ragione Temenos evidenzia multipli P/E e P/Sales molto più elevati delle altre società
del settore. 08/11/2017 flash Società che gestisce 1,3 miliardi di euro Hedge Invest Sgr, società di gestione
del risparmio indipendente specializzata in prodotti di investimento alternativo (multi•manager hedge,
multi•manager real estate, fondi single manager Ucits alternativi e fondi chiusi), con sedi a Milano e Londra,
è stata tra le prime Sgr alternative autorizzate in Italia ed è attualmente ai vertici del mercato italiano di
riferimento per ammontare dei patrimoni in gestione. Focalizzata nella creazione e gestione di strumenti
orientati alla performance assoluta, Hedge Invest gestisce una gamma di prodotti differenziati per strategia
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 13/11/2017 160
11/11/2017
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e per profilo di rischio - rendimento, con circa 1,3 miliardi di AuM. Marc Chapman è gestore delegato di HI
Principia Fund, fondo long/short focalizzato sul mercato azionario europeo della Sicav Hedge Invest
International Funds plc. Marc, laureato in Economia all'Università di Cambridge, ha iniziato la sua
esperienza professionale nel 1996 come fund manager presso Lgt Asset Management. Nel 1998 è entrato
in Invesco inizialmente come analista e in seguito come gestore di un fondo azionario europeo. Passato a
Powe Capital Management come analista per il fondo hedge long/short Modulus Europe, nel 2006 è
divenuto gestore del fondo Principia Europe. Nel 2010 ha fondato Principia Capital, società di gestione
specializzata nel mercato azionario europeo con sede a Londra.
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 13/11/2017 161
13/11/2017
Pag. 14 Ed. Torino
diffusione:194011
tiratura:288313
Il pianeta Pmi Da Green Bit e Coproget a Bisiach&Carrù e Mgm robotics: ecco le aziende che si sono aggiudicate il premio dedicato alle Pmi nelle prime 9 edizioni "Chiave a Stella"
Le magnifiche 18
"Dal 2009 a oggi oltre 500 imprese hanno partecipato alla sfida" 2014 EMILIO VETTORI
IL viaggio nell'eccellenza delle Pmi del Piemonte comincia nel 2009. Quell'anno viene assegnato per la
prima volta il premio "Chiave a stella" ideato dall'Api insieme con la Fondazione Magnetto e la
collaborazione di Camera di commercio, Unicredit e i due atenei. Se lo aggiudicano "Green bit" di
Grugliasco e "Coproget" di Rivalta. La prima è un'azienda specializzata nella tecnologia biometrica
dattiloscopica. In altre parole dei "maghi della sicurezza". La seconda è una Pmi tradizionale che però a
saputo innovarsi progettando attrezzature per lavorare a freddo la lamiera.
L'anno dopo salgono sul palco la Criotec di Chivasso che ha tra i suoi clienti anche il Cern di Ginevra ed è
specializzata nella produzione di impianti che creano il freddo e la Sicmat di Pianezza che viene presentata
come "i barbieri" delle industrie, perchè producono macchinari che fanno la barba agli ingranaggi dei grandi
motori.
Il 2011 incorona la Blue engineering di Rivoli - società di progettazione appena finita in mani cinesi -
specializzata nell'ideare tram e treni e la "Progetti srl" di Moncalieri che è leader nella produzione di
defibrillatori. Alla quarta edizione del premio si impongono due aziende della manifattura classica: la
Termomeccaniche di Rivalta che da 40 anni produce impianti di riscaldamento a induzione magnetica e la
"Sib Sideral" di Leinì che ha saputo farsi spazio anche nel mondo con i suoi ingranaggi.
Le "Chiavi a stella 2013" finiscono nelle mani della "Pariani" di Givoletto e la "Nova Sira" di Roletto. La
prima estrae olio dalla frutta secca, in particolare dalle nocciole, la seconda è un'azienda leader nella
produzione di tubi e sistemi di giunzione e nella riparazione di condotte terresti e marine.
Dodici mesi dopo sono due imprese di Venaria e Brandizzo a assicurarsi il riconoscimento che nell'idea dei
promotori deve premiare chi sa coniugare tradizione e innovazione. La Rp rivestimenti di Venaria è la storia
di una ditta artigiana cresciuta fino a diventare leader nei rivestimenti plastici su 2011 metalli. La Ellena di
Brandizzo opera nella meccanica di precisione e ha clienti in tutto il mondo. Nel 2015 a salire sul palco
sono in tre: Synesthesia, Foglizzo leather e Drink cup. La prima è una piccola società di informatica, la
seconda un'azienda quasi centeneria che lavora le pelli, l'ultima una ditta specializzata nella distribuzione di
bevande.
Un anno fa la Chiave è toccata alla Mockup di Torino, che offre prototipi al mondo della pubblicità e della
comunicazione e alla Lma, che produce pezzi meccanici di precisione sia per l'industriale civile, sia militare.
Poi a chiudere l'album delle eccellenze ecco le vincitrici di quest'anno, premiate una settimana fa: la Mgm
robotics, nata appena tre anni fa dall'alleanza tra padre e figlio, che opera nell'ambito dell'automazione
industriale e la "Bisiach&Carrù" da decenni nel mondo della robotica tanto da vantare un portafoglio clienti
internazionale.
«Dal 2009 a oggi oltre 500 imprese hanno presentato la loro candidatura al Premio spiega Fabio Schena
che cura l'organizzazione -: un concentrato di idee e progetti che possono essere di incoraggiamento e
stimolo per tutte le altre Pmi». ©RIPRODUZIONE RISERVATA 2012
Foto: 2009
Foto: 2010
Foto: L'EDIZIONE DELL'ESORDIO Da sinistra ecco i primi vincitori: "Coproget" di Rivalta e "Green Bit" di
Grugliasco
Foto: IL PREMIO FINISCE A PIANEZZA E CHIVASSO Da sinistra: i due rappresentanti della Sicmat e il
presidente della Criotec
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 13/11/2017 162
13/11/2017
Pag. 14 Ed. Torino
diffusione:194011
tiratura:288313
Foto: LA SCELTA CADE SU GIVOLETTO E ROLETTO Da sinistra: il titolare dell'azienda Pariani e quello
della "Nova Siria"
Foto: IL RICONOSCIMENTO FINISCE A VENARIA E BRANDIZZO Da sinistra: Rinaldo Pennazio (Rp
rivestimenti) e Silvio Ellena dell'ominima azienda
Foto: SUL PODIO SALGONO MONCALIERI E RIVOLI Da sinistra: il titolare della "Progetti srl" e
l'amministratore della Blue engineering UN POKER PER L'EDIZIONE NUMERO QUATTRO Le imprese
premiate con la Chiave a stella e quelle che hanno avuto la menzione 2017 GLI ULTIMI VINCITORI Da
sinistra: i rappresentanti della Bisiach&Carrù (Jolanda Carrù e Roberto Di Stefano) e il contitolare della
Mgm robotics (Mariano Marchetti) 2015 2016 ©RIPRODUZIONE RISERVATA UNA CHIAVE PER TRE Da
sinistra: i rappresentanti di Drink cup, Foglizzo Leather e Symesthesia CON IL PRESIDENTE DEL
PREMIO Da sinistra: il titolare Mockup, il presidente Gianotti e i proprietari della Lma
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 13/11/2017 163
11/11/2017
Pag. 10 N.222 - 11 novembre 2017
diffusione:64661
tiratura:109699
FINTECH/2
Già 200 milioni sul web
Stefania Peveraro
Sfiorano i 40 milioni di euro i prestiti erogati tramite piattaforme fintech in Italia nel terzo trimestre 2017, il
136% in più rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso. Nei primi nove mesi del 2017 le piattaforme
italiane hanno raggiunto un erogato di 105 milioni e il montante complessivo dall'avvio del mercato,
avvenuto nel 2015, ha superato quota 200 milioni euro. I dati sono di P2PlendingItalia.it e di questi 200
milioni 90,9 sono relativi alle quattro piattaforme attive sui prestiti personali, mentre i rimanenti 109,5 milioni
si riferiscono alle quattro principali piattaforme specializzate nei prestiti alle imprese, di cui quelli a medio e
lungo termine ammontano 20,3 milioni di euro e l'intermediazione di fatture pesa invece 89,2 milioni. Ma
quali sono le aziende che chiedono prestiti online in Italia? Una risposta, almeno per quello che riguarda il
profilo delle piccole e medie imprese che accedono finanziamenti a medio-lungo termine, arriva da
Boresadelcredito.it, che ha anticipato a MF-Milano Finanza i risultati del suo osservatorio annuale, basato
su un universo di oltre 10 mila pmi che hanno chiesto un prestito sulla piattaforma dall'inizio dell'operatività
(ottobre 2015) sino allo scorso 5 settembre. Innanzitutto i numeri smentiscono chi ritiene che a chiedere
credito online siano aziende che nascondono qualche magagna. In realtà dati dicono il contrario: quasi il
90% delle piccole e medie che hanno chiesto un finanziamento sulla piattaforma non ha in curriculum alcun
evento negativo (debiti non onorati o protesti oppure altre situazioni pregiudizievoli anche meno gravi). E tra
quelle finanziate la percentuale di eventi negativi è zero, poiché si tratta di elementi che precludono una
conclusione positiva dell'istruttoria. Altro dato interessante è quello relativo alle motivazioni alla base delle
richieste di credito, che sono le stesse che spingono le imprese a rivolgersi alle banche: investimenti ed
esigenze di liquidità, ma con una proporzione invertita rispetto a quella rilevata da Bankitalia, nell'ambito
della quale la liquidità è preponderante. Alla piattaforma Borsadelcredito.it c'è un 57,9% di imprese che
accede per finanziare investimenti, mentre ad avere esigenze di cassa è il 38% e la quota residuale è
rappresentata da chi chiede credito per il consolidamento di passività a breve e per rinegoziare debiti a
medio-lungo termine. Quanto alle caratteristiche delle pmi che poi sono state effettivamente finanziate,
l'analisi è stata svolta su 253 aziende: il 21% ha un fatturato tra 2 e 10 milioni di euro e il 4% ha ricavi annui
superiori a 50 milioni, il che significa che un quarto delle aziende che ottengono credito non sono micro e
questo è un trend che si va consolidando. Idem per quanto riguarda la storia aziendale: chi riceve il prestito
ha nel 98% dei casi più di tre anni di anzianità (e di queste la metà esiste da oltre dieci anni). Le aziende
finanziate con poco più di un anno di attività rappresentano soltanto il 2% del totale. (riproduzione riservata)
Foto: Quotazioni, altre news e analisi su www.milanofinanza.it/fintech
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 13/11/2017 164
11/11/2017
Pag. 18
diffusione:101414
tiratura:134194
ECONOMIA & LAVORO
La ripresa è incerta ma le Pmi godono di ottima salute
Cerved Nel 2016 si è registrato un vero e proprio boom: 5mila nuove realtà L'Istat: settembre negativo per l'industria
La ripresa c'è ma non è così forte da spazzare via le ombre. L'Italia cresce ma è fanalino di coda in Europa.
Un dato contraddittorio arriva dalla la produzione industriale che a settembre inciampa rispetto ad un
agosto (stranamente) strepitoso. A godere di ottima salute sono invece le piccole e medie che si
confermano l'ossatura dell'economia italiana. Il loro numero è tornato a crescere e la redditività si avvicina
ai livelli precrisi. Il rapporto del Cerved presentato ieri a Milano, fotografa una realtà solida e in crescita. Se
nel 2015 si era verificata una prima inversione di tendenza, nel 2016 si è osservato un ulteriore incremento:
sono oltre 5 mila le nuove imprese che si aggiungono alle 140mila già attive. Dall'analisi degli indicatori
economico-finanziari, le piccole e medie imprese hanno parametri superiori alle "grandi" in termini di
crescita di fatturato (+2,3%), valore aggiunto (+4,1) e margini lordi (+4,1%). Sul fronte degli investimenti
emerge una decisa accelerazione (+7,8%) rispetto alle immobilizzazioni materiali. L'amministratore
delegato di Cerved, Marco Nespolo invita a non cantare vittoria: «É necessario aumentare la produttività
delle nostre imprese e accelerare il ritmo di crescita, troppo indietro rispetto a quello degli altri principali
paesi europei». Cattive notizie invece dall'Istat: dopo quattro mesi di crescita, la produzione industriale
registra una diminuzione dell'1,3% sia pure con un aumento del 2,4% rispetto a settembre 2016. A pesare
soprattutto il dato negativo per i raggruppamenti dell'energia (-6,3%). Dati molto positivi di contro dal settore
auto (+5,8%). Giovedì la Commissione europea ha certificato il balzo della crescita italiana per il 2017
(+1,5%). La ripresa però diventerà sempre più fragile con un rallentamento dovuto all'aumento dei prezzi e
quindi al calo dei consumi, con il Pil in crescita dell'1,3% nel 2018 e dell'1% nel 2019. © RIPRODUZIONE
RISERVATA
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 13/11/2017 165
13/11/2017
Pag. 10 N.35 - 13 novembre 2017 Corriere del Mezzogiorno Economia
Industria FinanzaVerso piazza affari
Da Graded a D'Amico In Elite ammesse altre 7 aziende del Sud
Boom in Campania: 5 tra Napoli e Salerno, le altre in Calabria e SiciliaJerusalmi, ad di Borsa Italiana: «Così facciamo crescere le società» Salvatore Avitabile
Dalla Campania alla Sicilia: altre sette grandi imprese del Mezzogiorno sono entrate in Elite, la società del
London Stock Exchange Group la cui missione è supportare le imprese ad alto potenziale in tutte le fasi del
loro ciclo di vita, da private fino a quotate, facilitando l'accesso ai capitali in ogni forma attraverso l'impiego
di tecnologie digitali. E altre 4 hanno già ricevuto il certificato di Elite per aver completato il percorso di
crescita. A livello nazionale sono 34 le nuove società ammesse al programma dedicato alle imprese ad alto
potenziale di crescita. «Le aziende provengono da 12 regioni tra cui per la prima volta la Calabria e
operano in diversi settori tra cui chimica, Ict, food&beverage e moda a ulteriore conferma della capacità di
Elite di rappresentare l'economia reale», fanno sapere dalla società.
Secondo Elite, inoltre, le aziende hanno un fatturato medio di 58 milioni di euro con un tasso di crescita del
13%. Creato per supportare le aziende nella realizzazione dei loro progetti di crescita, «Elite dà loro
accesso a numerose opportunità di finanziamento, migliora la loro visibilità e attrattività, le mette in contatto
con potenziali investitori e affianca il management in un percorso di cambiamento culturale e
organizzativo». Oggi la community internazionale è costituita da 632 aziende, di cui oltre 400 italiane, per
50 miliardi di euro di ricavi e oltre 224.000 dipendenti. Sono previsti oltre 80 ingressi internazionali nella
community Elite a novembre tra cui le 34 nuove società in Italia. È, inoltre, di 5 miliardi il valore delle
operazioni di finanza straordinaria che hanno coinvolto le società Elite dal 2012. Quali sono, dunque, le
aziende del Sud ammesse a Elite? Tre società sono napoletane. C'è l'Acetificio Marcello de Nigris,
specializzato nella produzione di generi alimentari, che ha il dipartimento di stoccaggio del vino a Caivano.
Poi la Graded, società di prodotti e servizi industriali fondata come ditta individuale nel 1958 dall'ingegner
Lucio Grassi. Terza: la Protom Group, specializzata nei software e servizi informatici. È una società di
consulenza direzionale e di servizi avanzati e tecnologici e vanta importanti esperienze sia nella
progettazione e realizzazione di sistemi per la pubblica amministrazione e per le aziende sia
nell'organizzazione ed erogazione dei servizi di conduzione degli stessi.
Altre due società sono di Salerno. La prima è la D'Amico D&D, specializzata nei prodotti di generi
alimentari. Il gruppo fu fondato nel 1967 dai fratelli Mario e Francesco D'Amico. Poi c'è la Re.Ma Plast, nel
settore chinica. È un'azienda di Sarno che produce sacchi e shoppers di plastica, destinati principalmente
ad aziende alimentari e farmaceutiche, cartiere, supermercati ed altri enti. In Calabria entra in Elite
l'Agrumaria Reggina, specializzata nel settore bevande, mentre in Sicilia premiata la Caronte&Tourist che
opera nel settore trasporti.
In Italia, poi, 18 società hanno ricevuto il certificato Elite. Quattro campane. Due a Napoli (Antony Morato,
azienda che si occupa di prodotti per la persona e la moda, e Coelmo, industria diversificata) e due a
Salerno (Euroflex, specializzata nella produzione di metalli industriali ed estrazione mineraria, e la
Fiammante Icab, dedita alla produzione di generi alimentari). Per Raffaele Jerusalmi, amministratore
delegato di Borsa Italiana e presidente di Elite «Elite ha l'obiettivo di proporsi come acceleratore di
ambizioni e di crescita per le aziende. Elite ha avuto grande successo in Italia e questo ci ha consentito di
esportare il modello in Europa e in altre aree geografiche. Oggi siamo presenti in 25 Paesi, a testimonianza
di come risponda alle esigenze delle Pmi a prescindere dalla loro collocazione geografica». Luca Peyrano,
ceo e general manager di Elite, ha aggiunto: «Partendo dall'Italia, Elite ha saputo creare un modello di
eccellenza dedicato alle migliori aziende riconosciuto a livello internazionale. Siamo felici di dare oggi il
benvenuto a nuove aziende Elite che rappresentano diversi settori e regioni italiane. Il futuro del nostro
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 13/11/2017 166
13/11/2017
Pag. 10 N.35 - 13 novembre 2017 Corriere del Mezzogiorno Economia
Paese è infatti strettamente collegato alla capacità di valorizzare quello delle sue aziende più virtuose e
Elite gioca un ruolo cruciale nel raggiungimento di questo obiettivo; basti pensare che oltre il 35% delle
società Elite ha già completato operazioni di finanza straordinaria per un valore aggregato di oltre 5 miliardi
di euro».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Cosa è
Elite è una società del London Stock Exchange Group, la cui missione
è supportare le imprese ad alto potenziale in tutte le fasi del loro ciclo di vita, da private fino a quotate,
facilitando l'accesso ai capitali in ogni forma attraverso l'impiego
di tecnologie digitali. Offre in modo particolare una filiera di prodotti integrati le cui soluzioni vanno dal
supporto nella crescita attraverso programmi di training, alla raccolta di capitali fino alla gestione dell'attività
di investor relations. Elite è una Community che conta oltre 600 aziende da 25 paesi diversi, un network di
150 Advisor e oltre 100 investitori. La piattaforma inoltre presenta Elite Growth, Elite Club Deal ed Elite
Connect.
Foto: Raffaele Jerusalmi è nato a Milano il 21 marzo 1961. È amministratore delegato di Borsa Italiana e
presidente del programma Elite
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