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Anno IV - Numero 37 pro-manuscripto 6/95 Agosto …Parrocchia S. Maria della Visitazione Pace del...

Date post: 18-Aug-2020
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Parrocchia S. Maria della Visitazione Pace del Mela IL NICODEMO Anno IV - Numero 37 pro-manuscripto 6/95 Agosto Fogli della Comunità LA NASCITA DEL COMUNE DI PACE DEL MELA di Franco Biviano R icorre il prossimo anno il set- tantesimo anniversario della nostra autonomia ammini- strativa. Settant’anni non sono molti per un Comune: appena il volgere di una generazione. Ma questi ultimi settant’anni hanno la valenza di sette secoli, tanto sono diverse le condi- zioni attuali da quelle che videro nasce- re i nostri padri. Niente acqua corrente né elettrodo- mestici nelle case, niente illuminazione elettrica, niente radio e televisione, niente asfalto nelle strade né macchine, niente scarpe ai piedi se non nei giorni di festa. Sarà difficile per i nostri giova- ni immaginare una realtà così, eppure questa era allora la situazione nel nostro territorio. E’ comprensibile quindi che i quasi tremila abitanti della “borgata” Pace del Mela si siano adoperati per ot- tenere l’autonomia da S. Lucia del Mela in maniera da porre fine ai note- vo- li disagi ai quali andavano incontro ogni volta che dovevano recarsi, a pie- di, nel “capoluogo” comunale, distante circa otto chilometri, per sbrigare le pratiche amministrative. Per essere nato nel 1926, anno IV dell’era fascista, il nostro Comune non conobbe inizialmente organi elettivi. Già all’inizio di quello stesso anno, in- fatti, il Duce aveva riformato gli enti lo- cali mettendo a capo dei Comuni un “Podestà”, organo monocratico di no- mina regia che assorbiva tutte le funzio- ni del sindaco, della giunta e del consiglio comunale. “La costituzione di fatto dei due nu- ovi Comuni Pace del Mela e S. Lucia del Mela deve dirsi avvenuta il 18 luglio 1926”. Così si legge nella “Relazio- ne-progetto di divisione del patrimonio del Comune di S. Lucia del Mela tra i due Comuni di S. Lucia del Mela e Pace del Mela” che porta la data del 14 set- tembre 1935 ed è sottoscritto da due funzionari della Prefettura di Messina, il 1° Ragioniere di Prefettura cav. rag. Ignazio Fragalà e il Consigliere di Prefettura cav. uff. Antonino Longo. Per stabilire con esat- tezza tale data essi tennero conto del fatto che l’insediamento del primo Po- destà, avv. Francesco Lo Sciotto (1881-1930) che già v In questo numero: Bosnia 3 C’è futuro nel... 4 Grazie donna 5 Donna... 6 Lo Stato sociale 7 Chiacchiere d’Agosto 8 Lo zio d’America 10 Oreto ‘95 11 Campo estivo 12 Coro 13 Tennis 14 Teatro 15 Giochi 16 Agricoltura 16 segue a pagina 2
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Parrocchia

S. Maria

della Visitazione

Pace del Mela IL NICODEMO

Anno IV - Numero 37 pro-manuscripto 6/95 Agosto

Fogli della Comunità

LA NASCITA DEL COMUNE

DI PACE DEL MELAdi Franco Biviano

Ricorre il prossimo anno il set-tantesimo anniversario dellanostra autonomia ammini-strativa. Settant’anni non

sono molti per un Comune: appena ilvolgere di una generazione. Ma questiultimi settant’anni hanno la valenza disette secoli, tanto sono diverse le condi-zioni attuali da quelle che videro nasce-re i nostri padri.

Niente acqua corrente né elettrodo-mestici nelle case, niente illuminazioneelettrica, niente radio e televisione,niente asfalto nelle strade né macchine,niente scarpe ai piedi se non nei giornidi festa. Sarà difficile per i nostri giova-ni immaginare una realtà così, eppurequesta era allora la situazione nel nostroterritorio. E’ comprensibile quindi che iquasi tremila abitanti della “borgata”Pace del Mela si siano adoperati per ot-tenere l’autonomia da S. Lucia del Mela

in maniera daporre fine

ai note-v o-

li disagi ai quali andavano incontroogni volta che dovevano recarsi, a pie-di, nel “capoluogo” comunale, distantecirca otto chilometri, per sbrigare lepratiche amministrative.

Per essere nato nel 1926, anno IVdell’era fascista, il nostro Comune nonconobbe inizialmente organi elettivi.Già all’inizio di quello stesso anno, in-fatti, il Duce aveva riformato gli enti lo-cali mettendo a capo dei Comuni un“Podestà”, organo monocratico di no-mina regia che assorbiva tutte le funzio-ni del sindaco, della giunta e delconsiglio comunale.

“La costituzione di fatto dei due nu-

ovi Comuni Pace del Mela e S. Lucia

del Mela deve dirsi avvenuta il 18 luglio

1926”. Così si legge nella “Relazio-ne-progetto di divisione del patrimoniodel Comune di S. Lucia del Mela tra idue Comuni di S. Lucia del Mela e Pacedel Mela” che porta la data del 14 set-tembre 1935 ed è sottoscritto da duefunzionari della Prefettura di Messina,il 1° Ragioniere di Prefettura cav. rag.

Ignazio Fragalà e il Consigliere diPrefettura cav. uff. Antonino

Longo. Per stabilire con esat-tezza tale data essi tennero

c o n t o d e l f a t t o c h el’insediamento del primo Po-destà, avv. Francesco Lo

Sciotto (1881-1930) chegià

v

• In questo numero:

• Bosnia 3

• C’è futuro nel... 4

• Grazie donna 5

• Donna... 6

• Lo Stato sociale 7

• Chiacchiere d’Agosto 8

• Lo zio d’America 10

• Oreto ‘95 11

• Campo estivo 12

• Coro 13

• Tennis 14

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• Giochi 16

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Il Nicodemo - Agosto '95

ricopriva l’incarico di Delegato Muni-cipale, ebbe luogo il 19 luglio 1926 (lu-nedì); il giuramento nelle mani delPrefetto era stato prestato il mercoledìprecedente, giorno 14.

Era importante per i suddetti duefunzionari stabilire con precisione ladata della trasformazione della frazionePace del Mela in Comune autonomo,dovendo essi provvedere, per incaricoavuto dal Prefetto, a sistemare tutte lepartite che, a distanza di quasi diecianni, restavano ancora in sospeso dalpunto di vista patrimoniale e finanzia-rio.

Il nuovo Comune, in realtà, con-quistò la sua autonomia a piccole tappe.Dalla legge istitutiva, la n. 498 del 24aprile 1921, all’insediamento del primopodestà passarono più di cinque anni.Per un anno e mezzo, fino a tutto il1927, il Comune di S. Lucia del Melacontinuò a riscuotere le entrate e aprovvedere alle spese del Comune diPace del Mela.

Dal 1° gennaio 1928, in base ad unaccordo stipulato il 15.12.1927 fra ilpodestà di S. Lucia del Mela, avv. Fran-cesco Sindona, e il Commissario Pre-fettizio di Pace del Mela, cap. PietroSchepis (1891-1962), le entrate e lespese fra i due Comuni vennero suddi-vise in ragione del 29% a Pace e per il71% a S. Lucia. In quello stesso annovenne compilato il primo bilancio delComune di Pace del Mela con deliberadel 4 febbraio 1928.

Ma non si poteva parlare ancora dic o m p l e t a a u t o n o m i a e c o n o m i-co-amministrativa, in quanto si conti-nuarono a mantenere in comune sino atutto il 1930 i ruoli delle imposte locali, esino a tutto il 1934 il ruolo della sovrim-posta comunale.

Le trattative relative alla delimita-zione del territorio dei due Comuni furo-no lunghe e laboriose e costarono a Pacedel Mela qualche rinunzia.

Le pratiche burocratiche si possonoc o n s i d e r a r e c o n c l u s e s o l o c o nl’emanazione del R.D. 11 dicembre1933, n.2349, e con il verbale di sopral-luogo in località “Case Monaci” redattoin data 15 settembre 1934 e sottoscrittoper Pace del Mela dal dott. FrancescoCerto nella veste di delegato del PodestàEdmondo de Giacomo.

S o l o d a l 1 9 3 5 , a s e g u i t odell’avvenuta separazione del Catasto

dei due Comuni, si può finalmente par-lare di completa autonomia.

La popolazione legale del nuovoComune era quella risultante dal censi-mento del 1921, costituita da 2.878 abi-tanti così distribuiti sul territorio: 1.937a Pace Centro, 152 a Camastrà, 351 aGiammoro, 438 in case sparse.

Al momento della sua costituzioneil Comune di Pace del Mela aveva 11 di-pendenti, sette di ruolo e quattro avven-tizi, tutti già in forza al Comune di S.Lucia del Mela.

Essi erano così distribuiti tra le variequalifiche: un applicato (GiovanniLampò), una guardia municipale(Antonio Fortunato Zullo), un medicocondotto (dott. Eugenio Cucinotta),una levatrice condotta (Caterina Sche-pis), un custode del cimitero (GiovanniMilone), un cappellano del cimitero(sac. Salvatore Lampò), un cantonierestradale (Matteo Bonfiglio), uno spaz-zino (Giuseppe Impellizzeri), tre bidel-le (Santa Parisi, Giuseppa Pagano,Natala La Scala).

Il primo Segretario Comunale prov-visorio, nominato dal podestà France-sco Lo Sciotto con delibera n. 1 del10.3.1927, fu il rag. Angelo Schepis.

Il primo messo comunale provviso-rio, Giuseppe Schepis, fu nominato sol-tanto il 28.3.1928 dal cap. Pietro Schepis,che inizialmente ricoprì la carica di Com-missario Prefettizio.

Due furono le emergenze più graviche il nuovo Comune dovette affrontarenei suoi primi anni di vita: lo stato di com-pleto abbandono in cui si trovava la stra-da rotabile per lo scalo ferroviario(aggravato dalle piogge torrenzialidell’inverno del 1927/28) e l’assolutamancanza di posti nel cimitero comunale.

In una delibera emessa dal Podestàil 24 novembre 1928 si dice che “permancanza di spazi liberi per seppellirei cadaveri nel cimitero, si è cinta di ta-vole una zona di terreno fuori recinto”.

Per questo uno dei primi lavori datiin appalto fu la costruzione di un ca-stello di 42 nuove celle mortuarie affi-data all’impresa Milone Giovanni fuFelice. Molto più gravosa e difficile ri-sultò, invece, la sistemazione dellastrada per Giammoro le cui condizionivengono definite in una delibera “su-perlativamente pessime... visto che ilcarreggio sta per diventare in essa stra-da del tutto impossibile, essendosi ri-

dotto il piano stradale una vera incoltacampagna, tutta affossata ed acquitri-nosa in inverno, sommamente polve-rosa in estate”.

Di fronte a una situazione così ab-norme, i primi podestà fecero ricorso aprovvedimenti straordinari, di nettosapore medievale.

Essi imposero a tutti i cittadini disesso maschile dai 18 ai 60 anni unavera e propria corvée, cioè la presta-zione gratuita di quattro giornate lavo-rative l’anno. I proprietari di carretti,di muli, cavalli o asini dovevano con-correre col mezzo di cui disponevano.Chi non prestava la propria opera innatura veniva assoggettato al paga-mento di una somma equivalente. Esiccome il maggior logorio della sedestradale veniva provocato dai carrettidei cittadini di Gualtieri Sicaminò (cheportavano le loro arance e gli altri frut-ti delle loro campagne a Milazzo, Spa-dafora e Messina e che a quell’epocanon avevano altro modo di raggiunge-re la Statale), allo scopo di indurre quelComune a partecipare alle spese per lariparazione della viabilità, con una de-libera del 26 luglio 1928 venne addirit-tura istituita una tassa di pedaggio chetutti i veicoli provenienti da Gualtieriavrebbero dovuto pagare al punto disbarramento, costituito da una catenacollocata nella curva di S. Maria. Pareche all’ultimo momento, viste le piùche serie intenzioni del cap. PietroSchepis, il Comune di Gualtieri Sica-minò si sia piegato alla richiesta dicontribuire alle spese e che la catenasia stata quindi rimossa.

Tutta la vita amministrativa e civilesi svolgeva lungo la Via Regina Mar-gherita e la Piazza S. Maria della Visita-zione, nelle quali avevano la propriasede il Municipio, l’Ufficio del GiudiceConciliatore, l’Ufficio Postale, le Scu-ole Elementari (o “primarie”, come sidiceva allora), la Caserma dei Regi Ca-rabinieri e il Fascio dei Combattenti.

Di parrocchie ce n’era ancora unasola, quella della Madonna della Visi-tazione, retta dal curato don Silvio Cu-cinotta (1873 - 1928).

Sin dal 1923, benché già in precariecondizioni di salute, egli curava perso-nalmente la redazione del periodicoparrocchiale “PAX”, del quale “Il Nico-demo” costituisce la spirituale conti-nuazione. r

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Il Nicodemo - Agosto '95

Bosnia

Non potremo dire: “Noi non sapevamo”Tutti siamo responsabili di tutti

di Nino Minniti

Bosnia. Srebrenica, Zepa, Bi-hac, Gorazde: una lunga teo-ria di nomi impronunciabilida molto tempo, da troppo

tempo, risuona tra le pareti domestichedi mezzo mondo.

Radio, televisione, giornali ci mar-tellano ossessivamente con bollettini diguerra che ci “distolgono” dai problemidella nostra quotidianità, che guastanole poche ore di serenità che la frenesiadella vita moderna ci riserva, o che, ma-gari, ci spingono ad ipocrite considera-zioni pietistiche.

Purtroppo, quanti di noi non hannoprovato, almeno una volta, un senso difastidio alla vista delle crude immaginiche ci giungono dai Balcani, quanti dinoi non hanno pensato che, in fondo,questi sono problemi che non ci riguar-dano, che quei popoli sono stati da sem-pre delle orde di belve assetate disangue, che, dopo tutto, magari si meri-tano quanto stanno subendo?

Dalle considerazioni che precedonone consegue che, ahimè, la storiadell’umanità non ci ha insegnato nien-te: il ghetto di Varsavia, Auschwitz, Da-chau, Hiroshima, Nagasaki nonsignificano nulla per noi?

E’ possibile che ciò di cui siamo ve-ramente preoccupati sia solo ed esclusi-vamente il nostro tornaconto? E’possibile che il cinismo, che i nostri go-vernanti chiamano eufemisticamente“Real politik”, abbia ormai preso il so-pravvento nelle nostre coscienze? Chefine hanno fatto i valori dell’UOMO,quei valori dei quali il Santo Padre - conopera instancabile - ci invita ad essereportatori?

Noi, a differenza dei nostri padri,non potremo dire: noi non sapevamo; leimmagini dell’immane massacro cisono dinnanzi.

Come potremo guardare negli occhicon animo sereno i nostri figli? Cosa ri-sponderemo loro quando ci chiederan-no perché? Come potremo sopportareun sì pesante fardello sulle nostre co-scienze?

Siamo proprio sicuri che i criminalidi guerra siano solo quei soggetti che unridicolo tribunale - messo su forse perplacare in parte rimorsi e crisi di co-scienza - ci addita? Non sono forse ioKaradzic? Non sono forse io Mladic?

E’ la disfatta della civiltà umana. E’la disfatta dell’Uomo.

Cosa propongono di fare i nostrigrandi uomini politici, gli intellettualiche tanto lustro danno ai nostri Paesi?Nulla.

Cosa sta facendo l’Unione Euro-pea? Ma esiste veramente una UnioneEuropea? E’ possibile che le tante cele-brate istituzioni europee servano solo aregolamentare le eccedenze della pro-duzione del latte, del grano, del vino,dell’olio, dei pomodori?

E’ giunto il momento, per ripararealmeno in parte ai nostri torti, di muo-versi: siamo stati in grado di mettere inpiazza milioni di persone per garantirciuna vecchiaia economicamente serena,dobbiamo essere in grado di fare altret-tanto per scuotere con determinazionele cancellerie, i circoli governativi, leistituzioni nazionali ed internazionali.

Abbiamo manifestato contro gliesperimenti nucleari di Mururoa per as-sicurare ai nostri figli una vita più sere-na ed evitare futuri spargimenti disangue, dobbiamo manifestare con an-cor più fermezza per arrestare gli attualispargimenti di sangue.

Non dobbiamo dimenticare chegrossi movimenti di opinione sono riu-sciti laddove una via d’uscita apparivai m p o s s i b i l e : r i c o r d i a m o c i d e lViet-Nam. Non aspettiamo però chesiano i nostri opinions leaders a guidar-ci: non aspettiamo che a dirigere le no-stre coscienze siano quegli illustrisignori che sulle pagine dei più blaso-nati quotidiani scrivono che, probabil-mente, la causa scatenante del conflittobalcanico sia stato l’improvviso ed af-frettato riconoscimento di Slovenia eCroazia da parte del Vaticano e dellaGermania Federale.

Questi signori, che tanta profondità

di pensiero e tanto acume politicoostentano, forse non hanno letto consufficiente approfondimento quel terri-bile Memorandum dell’Accademia del-le arti e delle scienze di Belgrado che,fin dal lontano ‘86, preconizzava quan-to ora sta accadendo; questi signori nonhanno saputo prevedere che quanto èsuccesso nel Kossovo sul finire deglianni ‘80 altro non era che la prova gene-rale di quanto sarebbe accaduto di lì apoco.

E’ ora di smetterla di chiamare conun termine da igienisti, “pulizia etni-ca”, l’olocausto che si consuma alleporte di casa nostra.

E’ ora di smetterla con i dibattiti sesia giusto o meno che le televisioni pas-sino immagini tanto crudeli da metterein pericolo il delicato equilibrio psico-logico dei nostri figli: che fine ha fattol’equilibrio psicologico dei bambinibosniaci, croati e serbi?

Manifestiamo dunque i valori diCristo, siamo portatori di Pace: la tolle-ranza ed il rispetto per chi è diverso danoi guidi le nostre azioni, perchél’intolleranza ed il disprezzo per gli al-tri sono alla base del conflitto nellaex-Jugoslavia e di ogni conflitto nelmondo.

Finché un solo uomo nel mondo sof-frirà per colpa di un altro uomo non vipotrà essere pace nelle nostre coscien-ze, né potremo definirci veramente se-guaci di Cristo. r

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Il Nicodemo - Agosto '95

C’è futuro

nel

florivivaismodi Franco Biviano

Mi giro, mi rigiro, non riescoa dormire. E non riesco acapire come possano dor-mire gli altri attorno a me.

Con la testa sotto la sabbia come struz-zi, in attesa che accada qualcosa, chequalcun altro risolva il loro problema.

Ancora una volta torniamo a parlaredell’emergenza disoccupazione. E’ ne-cessario prendere coscienza che questoè “il problema dei problemi” e che lasua soluzione è diventata una questionedi sopravvivenza, fisica e psicologica.Ed è un problema di tutti, non dei solidisoccupati, perché la disoccupazionecrea malessere in tutto il corpo sociale.

Non è più tempo di parole, ma di ge-sti concreti. Non regge più l’assioma“occupazione= lavoro dipendente”. E’giunto il tempo dell’autoccupazione,del lavoro autonomo, della piccola im-presa. Ognuno deve farsi datore di lavo-ro di se stesso. Occorre una trasfusionedi cromosomi, buttare via la vecchiamateria grigia capace solo di concepirela raccomandazione per ottenere una si-stemazione a vita, fare un pieno di inge-gnosità che renda capaci prima di tuttodi volare con le proprie ali e in secondoluogo di adattarsi alle nuove situazionie ai nuovi bisogni che di giorno in gior-no si creano, di andare alla scoperta dinicchie inesplorate ed impensate. I la-voratori dipendenti nel futuro sarannouna minoranza e dovranno anch’essiadattarsi a cambiare ufficio e mansionia seconda delle esigenze del momento.

E’ una situazione irreversibile. Né ipolitici, né i sindacalisti potranno risol-vere il problema della disoccupazionese non educando e preparando al lavoroautonomo, allo spirito di avventura, alrischio calcolato.

In questa ineludibile corsa al rinno-vamento, chi sta fermo perde il treno.Ed infatti hanno già perso il treno tuttele istituzioni ancorate a schemi fissi or-mai superati: la scuola, i governi, i sin-dacati ed anche la Chiesa (che siamo

noi!).La ricerca di persone che condivi-

dano la nostra impostazione di fondoper la soluzione del problema occupa-zionale comincia a dare qualche risulta-to. Abbiamo contattato imprenditori edesperti e comincia a prendere forma ilnostro progetto di uno o più incontri chepossano stimolare la comunità parroc-chiale a diventare forgia di imprendito-riali tà. Una delle prime personecontattate è Carmelo Antonuccio, daanni impegnato nel settore ortoflorico-lo e promotore di un centro commercia-le che dovrebbe unire sotto un unicomarchio tutti gli operatori del milazze-s e . E g l i s o s t i e n e c h el’ortoflorovivaismo può costituire unvalido sbocco occupazionale per chi ab-bia voglia, anche con una piccola super-ficie e con pochi mezzi, di mettere suaziende ad indirizzo monocolturale. “Inostri giovani sono poco informati epoco stimolati - ci ha detto -eppure sitratta di un settore nel quale si possonoconseguire buoni risultati economici.Senza parlare delle vaste prospettive chesi aprono nel campo dei servizi collegatial mondo dei fiori e delle piante”. r

Dare eRicevere

Dio voleva unire gli uomini traloro. Perciò fece le cose inmodo tale che necessaria-mente il bene di uno è legato

all’utilità per gli altri.È così che il mondo è unito.Pensiamo ai mestieri. Se ognuno di

essi fosse destinato solo al bene di chi loesercita, la vita non potrebbe continua-re e quel mestiere stesso scomparireb-be.

Se per esempio un contadino semi-nasse appena il grano che basta a lui, sa-rebbe la morte degli altri e quindi anchesua.

Se un fabbro non volesse mettere alservizio del prossimo la sua abilità, ro-vinerebbe tutti gli altri mestieri e quindianche il proprio.

Se un fornaio o un pellettiere si ri-fiutassero di far circolare i frutti delloro lavoro, danneggerebbero non sologli altri, ma, danneggiando gli altri, an-che se stessi.

Insomma, se tutta questa gente sem-plice imitasse i ricchi oziosi, che nega-no ciò che possiedono a coloro che nehanno bisogno, si procurerebbe gravisventure. Dare e ricevere: ecco il prin-cipio della moltiplicazione dei beni.

E s s o v a l e n e l l ’ a g r i c o l t u r a ,nell’insegnamento, in qualsiasi mestie-re. Chi volesse essere il solo a goderedel proprio lavoro distruggerebbe lavita di tutti. r

(S. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie

sulla prima Lettera ai Corinti, 25, 4)

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Il Nicodemo - Agosto '95

Per la IV Conferenza Mondiale sulla Donna

GRAZIE DONNALettera di Giovanni Paolo II

di Micaela Parisi

In occasione della quarta IV Confe-renza Mondiale sulla Donna, pro-mossa dall’ONU, che siterrà a Pechino a settembre,

Giovanni Paolo II ha inteso in-viare a tutte le donne del mondouna lettera allo stesso tempo per-sonale ed universale per offrire ilcontributo della Chiesa cattolicaa difesa della dignità, del ruolo edei diritti delle donne.

Parlando direttamente al cuo-re ed alla mente di tutte le donne,il nostro Pontefice affronta ilproblema della condizione fem-minile nel nostro tempo, soffer-mandosi in particolare sul temaessenziale della dignità e dei di-ritti delle donne considerati allaluce della Parola di Dio.

Viene infatti rimeditata la pa-gina biblica che presenta la crea-zione dell’uomo con linguaggiopoetico e simbolico, ma profon-damente vero: «Dio creò l’uomoa Sua immagine; a immagine diDio lo creò: maschio e femminali creò» (Gn. 1, 27).

Quindi sia la femminilità che la ma-scolinità visti come realizzazionedell’umano con modulazioni diverse ecomplementari.

Il concetto chiave di questa lettera è“il grazie”: il Papa ringrazia ogni donnaper il ruolo che rappresenta nella vitadell’umanità: la donna-madre, punto diriferimento per il cammino della vita diognuno di noi; la donna-sposa che uni-sce irrevocabilmente il suo destino aquello di un uomo; la donna-figlia edonna-sorella, elementi importanti pero g n i n u c l e o f a m i l i a r e ; l a d o n-

na-lavoratrice, impegnata in tutti gliambiti della vita sociale, economica,c u l t u r a l e , p o l i t i c a ; l a d o n-

na-consacrata, che sull’esempio diMaria si apre con docilità a fedeltàall’amore di Dio.

Ma accanto al ringraziamento nellalettera del Papa c’è anche la consapevo-lezza degli enormi condizionamenti

che, ad ogni latitudine, hanno reso diffi-cile il cammino della donna, spesso

emarginata o addirittura ridotta in ser-vitù.

Questa consapevolezza si deve tra-durre per tutta la chiesa in un impegnoforte di fedeltà all’ispirazione del Van-gelo che sul tema della liberazione del-la donna da ogni forma di sopruso edominio ha un messaggio di perenne at-tualità, come dimostra la figura stessadi Gesù: Egli, superando i canoni cultu-rali del proprio tempo, ebbe nei con-f ron t i de l genere femmini le unatteggiamento di apertura, rispetto, ac-coglienza e tenerezza.

Purtroppo la storiografia ufficialenon si è curata abbastanza della molte-plice opera della donna nella storia e lostesso Giovanni Paolo II sottolinea cheil più delle volte le donne sono valutatepiù per l’aspetto fisico che per la com-petenza, la professionalità, le operedell’intelligenza ed in definitiva per laloro dignità di persone.

Per quanto riguarda i crimini contro

le donne, il Papa usa parole molto durecondannando con vigore qualunque

forma di violenza, da quella psico-logica a quella sessuale, anzi di-m o s t r a g r a n d i s s i m oapprezzamento per tutte quelledonne che portano avanti una gra-vidanza legata a gesti di violenza esopruso, non solo in contesti diguerra, ma anche in situazioni dibenessere e di pace. Infatti in que-ste condizioni, spiega il Papa,l’aborto, che pur resta sempre ungrave peccato, è un crimine da ad-debitare all’uomo ed alla compli-cità dell’ambiente circostante.

Molto apprezzato dal Pontefi-ce è inoltre il cosiddetto “geniofemminile” che si esprime in ognisettore in cui sia impegnata unadonna e particolarmente nelle atti-vità educative: asili, scuole, uni-versità, associazioni, movimenti.

Per quanto riguarda invece ilsacerdozio, affidato esclusiva-mente agli uomini, il Pontefice as-sicura che questo è dovuto non a

forme di discriminazione, ma al voleredi Dio, testimoniato dal Vangelo e dallatradizione ecclesiale; ciò comunquenulla toglie al ruolo delle donneall’interno della comunità, in quantonella femminilità della donna credenteè presente un simbolismo evocativo cherappresenta l’essere stesso della chiesacome “sposa” del Cristo e “madre” deicredenti.

E proprio a questo proposito vengo-no indicate come esempi Santa Cateri-na da Siena e Santa Teresa d’Avila,insignite entrambi del titolo di Dottoredella Chiesa.

Quindi un atteggiamento del Papache indica grande apprezzamento perl’universo femminile e che invita tuttele comunità ecclesiastiche a faredell’anno corrente l’occasione per ren-dere grazie di un dono grande come lafemminilità, e a riflettere più attenta-mente sul ruolo della donna nella storia,dalle origini del mondo ad oggi. r

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Il Nicodemo - Agosto '95

Donna: dignità e grande forzadi Emanuela Fiore

Èimpressionante l’insistenza ela decisione con cui Papa Gio-vanni Paolo II, in data 13 Ago-sto 1995, dalla finestra in

Castel Gandolfo, conferma e ratifica lapresenza della donna e la sua azione“salutare” nel mondo, come garanziapiù sicura di vittoria e di progresso nellavie dello spirito.

Il fatto si spiega, almeno in parte,per la sua incrollabile fiducia, rafforza-t a d a l l ’ e s p e r i e n z a p e r s o n a l e ,nell’assistenza ricevuta all’ospedaleGemelli di Roma; a tale proposito ilPapa non ha mancato infatti di ringra-

ziare le suore, pronte e sempre vigili, si-curo conforto e grande consolazione.

Avrete pur capito come il ponteficenon abbia lasciato nulla di intentato nelsuo discorso, anzi ha sottolineato, congrande forza, che la donna è certezza difuturo.

Sì, perché dal cuore di una donnanasce la gioia di fare tutto il bene possi-bile e ogni azione diventa un mattoneper costruire nuove felicità.

Debbo confessare che sono rimastasbalordita dalla commossa passione edalla viva partecipazione con le qualiEgli ha parlato: donna-madre di Dio,

Eva-Maria, maternità-verginità, gran-de carità, ma non solo, donna, con la suadignità, voglio sottolineare, “sale” diimportanti opere.

Oggi, la donna è comunque coscien-te, vive in un mondo caratterizzato darapidi cambiamenti, in una società sem-pre più dinamica, ritmi di vita convulsi.

Faccia pure l’insegnante, l’operaia,l’impiegata, la manager... ma non di-mentichi mai di essere prima di tutto,donna, non comprometta mai la proprianobiltà e si riveli tale.

Dignità nell’essere, quindi, e credoanche nell’agire, in ogni circostanza.

Debbo però aggiungere che, dopo leriflessioni del Papa, mi sono chiestaquale sia il punto più alto dell’esseredonna, in tutta la sua storia millenaria.Quale il momento in cui la donna haraggiunto lo zenit della sua dignità, ilmomento più sublime della femminili-tà.

Per rispondere a questa domanda,ho fatto scorrere, davanti alla mia men-te, tutte le figure di donna a noi note del-la storia sacra e profana.

Nel contempo, ho considerato il ru-olo della donna nella sua triplice fun-zione di sorella, sposa, madre e inoltreho passato in rassegna i maggiori eventidella storia umana.

Finalmente ho trovato risposta almio interrogativo. Non è forse l’eventoche Dio stesso si è fatto uomo? QuindiDio che si incarna in Maria, il più purodei fiori del Suo giardino, ed è così chesi ha la dimensione più alta di Maria, es-sere madre, il punto più alto della suafemminilità.

D’altro canto, quando, secondo voi,una donna è davvero femminile?

Non certamente se indossa una mi-nigonna, ma se porta dentro di se il frut-to di un vero amore, quella sì, è la piùdolce femminilità.

Così se la donna è una grazianell’essere donna, Maria è la Graziadella grazia, madre di Gesù, vero uomoe vero Dio, Suo Figlio e Suo Creatore.

Sono consapevole ma è pura verità:la mente si perde nelle vertigini di que-sta considerazione. r

Lei, che erasemprerestata nel fondo

Lei, che era sempre restata nel fondodella mia mente, nel cono d’ombra e di lampi;lei, che non apriva mai i suoi veli alla lucedel mattino, sarà l’ultimo dono, mio Dio,avvolto nel suono di questo canto finale.

Le parole l’hanno spesso corteggiata,ma non sono riuscite a conquistarla;invano l’arte della persuasioneha steso bramosa la sua mano verso di lei.

Ho vagato da un paese all’altro, tenendolasempre nel mio cuore e, attorno a lei, sono natee cadute le vicende dell’intera mia vita.

Sui miei pensieri e su ogni azione,sui miei sonni e sui miei sogni,lei ha regnato, eppure indugiandoin disparte e da sola.

Molti uomini hanno bussato alla mia portachiedendo di lei e se ne sono andati disperati.

Nessuno al mondo l’ha vista mai in facciaed è rimasta in solitudinead aspettare il tuo riconoscimento.

da Gitanjali

Canti di Offerta

di RABINDRANATH

TAGORE

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Il Nicodemo - Agosto '95

LO STATO SOCIALERiflessioni sull’importanza di una sua effettiva realizzazione scongiurando però le

degenerazioni clientelari e parassitarie tipiche di uno Stato assistenzialistico.

di Carmelo Pagano

La lettura di una nota pastoraledella Commissione ecclesialeGiustizia e Pace della CEI sul-lo Stato Sociale e l’educazione

alla socialità ci ha fornito lo spunto peruna serie di riflessioni sulla crisi attualedello Stato sociale e la richiesta chegiunge da più parti sul suo definitivosuperamento.

Dopo la fine della cultura dei bloc-chi contrapposti, si tende, infatti, ad en-fatizzare il ruolo del capitalismoesasperato come unica via per lo svilup-po economico di una Nazione.

La cultura liberistica sta diffonden-dosi in maniera tale da rendere il merca-to, con le sue leggi spietate, l’unicoregolatore non soltanto delle scelte eco-nomiche ma anche di quelle politiche.

I l f i n e u l t i m o d i q u e s t oneo-liberismo è la definitiva abolizionedello Stato sociale; il lasciare la regola-mentazione delle relazioni sociali tra ivari individui al puro rapporto di forzaeconomica.

Secondo il nostro modesto parere,invece, non è da mettere in discussionelo Stato sociale bensì lo Stato assisten-zialista: la degenerazione, cioè, cliente-lare e parassitaria delle prestazionidello Stato.

Il neo-liberismo richiedendo la sop-pressione dell’intervento regolatoredello Stato mira ad accentuare la divari-cazione tra le classi, estendendo il nu-mero dei poveri e di forme nuove diemarginazione, concentrando, nellostesso tempo, il potere in oligarchiesempre più ristrette. Non è assoluta-mente questo il futuro più auspicabileper le comunità quanto, piuttosto, il ri-lancio dello Stato sociale come Statodei cittadini con il compito principaledi una promozione e valorizzazionedelle singole capacità e vocazioni deicittadini stessi, soprattutto nel campolavorativo.

Il sistema assistenzialistico ha por-tato alla crisi dell’uomo e dei suoi valo-ri ma ben più grave sarebbe l’avventoed il trionfo del capitalismo più esaspe-

rato che annienterebbe totalmentel’uomo riducendolo alla stregua di unamacchina valida solo e fino a quandoproduttrice di profitto.

L’insegnamento cristiano e cattoli-c o i n p a r t i c o l a r e è t o t a l m e n t eall’opposto di questa visione: “La per-sona umana - dice Giovanni Paolo IIcon la GAUDIUM ET SPES - raggiun-ge la sua perfezione attraverso la socia-lità, prima nella comunità familiare epoi in quelle più ampie fino a quella sta-tale”. Da ciò deriva naturalmente cheChiesa e Stato debbano cooperare perfavorire lo sviluppo armonico degli in-dividui e la loro più completa realizza-zione.

D’altronde, la nostra stessa Costitu-zione è improntata ai principi tipici diuno Stato sociale: -Uguaglianza, lavo-ro, libertà.-

Tale progetto costituzionale è statoper buona parte disatteso sia nel nostroche in altri Paesi, trasformando gli Statisociali in Stati clientelari. Si sono, così,accentuate le spinte individualistiche,l’ego ha trionfato e con esso è venutomeno il sistema di diritti e di doveri tipi-co di uno Stato sociale perfettamentefunzionante.

Di tutta questa situazione i più pena-lizzati sono stati gli appartenenti allefasce sociali più deboli in quanto espo-sti in misura sempre maggiore ai sopru-si dei potentati economici.

Si sta affermando una specie di Dar-winismo sociale, di nuova leggedell’evoluzione in base al quale i nuovivalori da perseguire per ottenere una re-alizzazione personale sarebbero la pre-potenza, la furbizia, la prevaricazione;chi non fosse dotato di queste “armi”sarebbe inevitabilmente votato a soc-combere. Ogni persona umana è, inve-ce, un insieme di valori che nonpossono essere mortificati e sfruttati.Con questo non si intende dire chel’uomo sia dotato solo di diritti anzi ri-teniamo che ad ogni diritto corrispondaun preciso dovere. E’ pacifico, infatti,che non potranno mai esserci diritti lad-

dove non esistano doveri ed i loro prin-cipi regolatori come la sussidiarietà, ilmettere, cioè, l’individuo nelle condi-zioni ideali per realizzarsi economica-mente e socialmente nel quadro di unprogetto mirante al bene comune e nonsolamente del singolo; come la solida-rietà che viene definita da Giovanni Pa-olo II non come un sentimento di vagacompassione o di superficiale inteneri-mento per i mali di tante persone, vicineo lontane, ma come la determinazioneferma e perseverante di impegnarsi peril bene comune, perché tutti siamo re-sponsabili di tutti; come ancora, la re-sponsabilità, che impone ad ognicittadino di osservare le leggi dello Sta-to non per timore delle sanzioni ma perlo sviluppo armonico dell’intera comu-nità perché non esistono compartimentistagni ed ogni squilibrio si ripercuoteràinevitabilmente su tutta la comunità.

Ecco perché lo Stato sociale deveesistere; per educare e costruire l’uomosociale alla luce di questi principi, peraiutarlo e cooperarlo fattivamente an-che nella propria realizzazione econo-mica. Il “laissez faire”, il liberismototale, la definitiva abolizione delloStato nella regolamentazione dei rap-porti economici e politici porterebbeall’anarchia più totale ed al caos, la-sciando via libera a forme nuove di bar-barie e sfruttamenti. r

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Il Nicodemo - Agosto '95

Chiacchiere d’Agostodi Giuseppe Capilli

• Super-Dini

Quando questo Governo si è inse-diato — ha detto il presidente del

Consiglio Lamberto Dini — e ne è statoillustrato il programma, qualcuno haparlato di “libro dei sogni”. In realtà,tutti gli impegni assunti sono stati con-dotti a termine.

Le cose stanno realmente così e ilPresidente non solo ha il diritto di ri-vendicare ciò con soddisfazione e orgo-glio, ma appare giustamente meritevoledegli apprezzamenti che gli provengo-no da più parti.

Il Centro-sinistra rivendica il ruolodi maggioranza politica di questo Go-verno e propone Dini di far parte delloschieramento dell’ulivo; i l Cen-tro-destra, sebbene non lo abbia soste-nuto, lo vorrebbe addirittura leader alposto di Berlusconi e in alternativa aProdi.

Io non mi chiedo come mai la stessapersona riscuota il medesimo interessein schieramenti opposti e nemmeno sesi tratti di tattiche o di leggerezze esti-ve. Mi domando invece per quale stranomotivo, se questo Governo va bene,sono in molti a reclamare elezioni poli-tiche e presto. Forse per avere un Go-verno che va male?

No. La risposta che tutti danno è chequesto è un Governo “tecnico” e che civuole invece un Governo “politico”.Ma, è poi vero che nel Governo della

cosa pubblica “tecnica” e “politica”operano su tavoli separati? GerardoBianco sostiene di no ed io condivido inpieno.

Non vi è un Governo “tecnico” chenon sia in qualche modo anche “politi-co” — il Governo Dini lo dimostra —né vi è un Governo “politico” che nondebba essere anche “tecnico”, insommache sappia fare il proprio lavoro concompetenza. Un Governo dunque, an-che politicamente qualificato deve es-sere costituito da persone competenti.

Se è invece politicamente squalifi-cato e per giunta costituito da incompe-tenti, questa è la rovina. C’è di cheriflettere... e non solo per il Governo diRoma.

• Dove va la cicogna.

La notizia è di questa estate .Nell’ultimo anno sono nati in Italia

quasi centomila bambini in meno ri-spetto all’anno precedente. Crescita de-mografica: zero.

Nascono meno bambini di quantesono le persone che lasciano questavita. Fermi a questo secondo dato cisono quelli che si consolano afferman-do che si è allungata la durata mediadella vita. Questo è vero; ma il primodato parla invece di cose diverse: i bam-bini, infatti, non nascono da soli. Na-scono se si vogliono, non nascono senon si vogliono (a volte capita pure chenon nascono quando si vogliono e na-scono quando non si vogliono... ma

queste sono eccezioni!!). Molti affer-mano che è assai pesante, oggi cresceredei figli; altri, che è un rischio e una re-sponsabilità mettere al mondo dei bam-bini in un tempo così ingiusto, cosìviolento, così incerto.

Ma allora, i nostri padri!? Certo, iolo so che oggi sono impensabili le fami-glie numerose di un tempo, ma rimane ilfatto che da ogni coppia di adulti nasco-no 1,7 bambini — il dato, è numerico emedio! — La nostra società dunque nonsi rinnova e mette in discussione il pro-prio futuro. Sì, perché i bambini sono ilfuturo. Già, il futuro. Ma parla di futurosolo chi non ha perduto la speranza.

A ben guardare sembra che nel no-stro presente la speranza sia morta. For-se, però, non la sola speranza è morta;insieme ad essa o prima ancora di essa,sono morte la fede e la carità.

• La lira va.

Non so se vi è capitato di sentire o dileggere le comunicazioni di borsa

o di mercato dei cambi. Non sono coseche io seguo di norma; non mi intendogran ché. Ma l’informazione è talmentepuntuale e continua che qualcosa rima-ne anche nella testa dei distratti. Hocaptato ad esempio che venerdì 11 Ago-sto è stato il “venerdì d’oro” della Lira,che veniva cambiata con il Marco a1.113 in rapporto alle oltre 1.200 liredell’inizio dell’anno. Si annunziava ad-dirittura, con toni soddisfatti che si sa-rebbe superato il tetto delle 1.100 lire. Ecosì è stato: con una rapidità sorpren-dente, subito dopo Ferragosto, per unMarco bastavano appena 1093 lire.

Ingenuamente ho pensato che conun “trend” così deciso al rinforzo, neavrei tratto anch’io qualche beneficio,non so, ad esempio, risparmiando sullaspesa. Ma presto mi sono dovuto ricre-dere: la pasta costava allo stesso prezzodi prima e così era per il pane, per la car-ne e per tutte le altre cose di cui avevobisogno. Erano diminuite di prezzo sol-tanto i “meloni”, ma, mi spiegò il mioamico venditore, che non era perl’effetto della valutazione della lira, maperché ne era arrivata una gran quantitàche al prezzo di prima sarebbe rimasta

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Il Nicodemo - Agosto '95

invenduta. Il giornale intanto titolava:“La lira va...” Mi sono detto: “Sì, madove, va?” e mi è venuto in mente ilbuon “Cipputi”, — qualcuno lo ricor-derà — l’operaio un po’ smagato, unpo’ filosofo delle vignette dell’Unità diqualche anno addietro.

Il capetto sindacale cercava di spie-gargli che era impossibile ottenere au-menti perché il momento era difficile ec’era il “riflusso”. E il Cipputi a ribatte-re un po’ rassegnato: «Sì, ma il “flusso”quando c’è stato?».

• Stessa spiaggia,

stesso mare...

Sono andato a mare, al nostro mare diGiammoro, ai confini della zona in-

dustriale. Da tempo non capitavo daquelle parti. La giornata era bella, l’oramattutina, e il sole preannunziava giàore di fuoco. Dal punto più alto del ca-valcavia appariva il mare, liscio e az-

zurro. Quasi sulla spiaggia, all’incrociocon l’ “asse viario” — così si chiamanole strade — principale, parallelo allariva, svolto in direzione di Milazzo.

Sullo sfondo, incombente il paesag-gio della centrale; a sinistra lato monte,all’altezza della acciaieria, una fittamacchia, superstite, di oleandri.

I colori delle foglie e dei fiori alleg-geriscono l’animo, ricordano comequella terra era, e tutto sommato sugge-riscono che la distesa di cemento easfalto potrebbe diventare più umana.

Mi è venuto istintivamente da pen-sare, come mai nella lunga aiuola (?)spartitraffico dell’asse viario non sianostati piantati degli alberi e perché, pal-me, oleandri, pini o eucalipti non sianostati sistemati nelle aiuole (?) che sepa-rano la strada dagli insediamenti indu-striali (?) o in quelle, in serie, chedelimitano l’asse stradale rispetto allaspiaggia. Costa così tanto piantare deglialberi?

Percorro l’asse viario fino al ponte— un altro ponte che non collega niente— e mi fermo proprio là dove qualcuno,tempo addietro, ha fatto sistemare delledocce da spiaggia, non so se per ricor-dare qualcosa o per farne dimenticarequalche altra. E’ ancora troppo prestoper i bagnanti: c’è più giù, quasi prossi-mo all’acqua, un uomo che protendeverso il mare la canna da pesca, muto,immobile, quasi più intento a cogliere irumori del mare anziché la “toccata”del pesce che abbocca. Entro in spiag-gia, discreto, per non interromperequella concentrazione.

Attorno, nella sabbia, i segni delgiorno prima: buste e bottiglie di plasti-ca, lattine di aranciata e di coca cola,coppette di gelato e di yogurt, resti dipanini, cartacce e quant’altro.

Eppure, all’ingresso della spiaggia,due cartelli, che a quel punto si rivela-vano un po’ patetici, ricordavanol ’ i m p o r t a n z a d e l l a t u t e l adell’ambiente, e c’era anche un casso-netto, vecchio e sporco, ma c’era. Ma, irifiuti non erano nel cassonetto, sparsiinvece sulla sabbia. Cominciavano adarrivare i primi bagnanti, il pescatoreera andato via . Ognuno poneval’ombrellone dove era possibile; se ne-cessario, spostava un po’ più in là qual-che rifiuto. L’indomani quella spiaggiasarebbe stata ancora più sporca. Certo,ci vogliono i servizi; ma vi è anche unproblema di educazione e di civiltà. Cisommergerà, prima o poi, la spazzatura,se ognuno di noi continuerà a pensareche lo spazio degli altri è una... persona-le discarica. r

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Il Nicodemo - Agosto '95

Racconto per grandi e piccini

Lo zio d’Americadi Pina Tuttocuore

Nel cielo diventavano semprepiù evidenti i segni provocatidallo scoppio dei mortaretti.-"Che bello! Scommetto che

in Amer ica non c i sono ques tecose!"-affermava un anziano contentodi poter finalmente dimostrare che inItalia esisteva qualcosa in più rispettoagli Stati Uniti. -"No, zio, vi sbagliate,nelle grandi parate, anche laggiù... Sì,lo so, vi sembrerà strano... Anche lag-giù ci si organizza e ogni tanto si esplo-dono giochi artificiali e mortaretti"-rispose così un uomo dall’aria abba-stanza superba e soddisfatta.

Camminava cercando di apparire ilpiù possibile indifferente, ogni tanto,però, trapelava dal suo viso un sorrisi-no, appena accennato, che si trasforma-

va quasi in sarcasmo.Improvvisi guizzi face-vano brillare i suoi oc-chi di un falso orgoglio,o meglio, di un orgo-glio ‘improprio’. Chi lovedeva comprendevaimmediatamente chenon abitava in Sicilia etanto meno in quel pic-colo paese: i suoi passierano troppo lunghi el’espressione del voltonon era quella tipica diun siciliano: non si di-stinguevano chiari se-gni di insoddisfazione,né di troppa contentez-za, piuttosto di una‘sufficiente gioia’.

Quasi ogni anno egli ritornava nellasua terra nativa ed era contento di rive-dere tutto identico a quando l’aveva ab-bandonato la prima volta. Certo, l’Italiaera la sua patria di origine, la amava, magli Stati Uniti... Gli Stati Uniti erano di-ventati la sua nuova terra, da venti annilo avevano accolto, custodito come unavera madre, quella che aveva lasciato inSicilia... Lo avevano allevato, ne erapersino divenuto cittadino naturalizza-to; forse non vi si svolgevano festecome quella, ma in quanto al resto...

La festa in onore del patrono del pic-

colo paese siciliano si stava concluden-do: si vedevano i volti stanchi e sudatidelle persone anziane, che, almeno unavolta l’anno, sacrificavano qualche oradi sano riposo a vantaggio della proces-sione, del divertimento e della musica;c o n s i d e r a v a n o , i n f a t t i ,quest’avvenimento come un traguardo:regolarmente al pranzo che festeggiavala gioiosa ricorrenza solevano ripetere:-"Beato chi vivrà un altr’anno!"- o-"Grazie, Signore, per averci fatto vive-re fino ad oggi!"-.

Ma lui no! Lui non doveva chiederegrazie a nessuno: aveva, infatti ,l’assurda presunzione che tutto ciò cheadesso gli apparteneva altro non era senon il frutto delle sue lunghe fatiche.Quel Dio tanto invocato, quella fede

così salda da poter spazzare via ognipessimismo, erano per lui lontani ricor-di della fanciullezza: un’immaginesbiadita e per di più in ‘bianco e nero’.

Quanto tempo aveva impiegato perottenere quella posizione, quanti sacri-fici e quante pene si era trovato ad af-frontare prima di poter diventare unapersonalità importante! Adesso final-mente stava ricevendo la giusta ricom-pensa: non gli interessava il successonegli USA, sapeva, infatti, che negliStati Uniti si è ‘Re per una notte’, mapoi al risveglio tutti dimenticano; quel-lo che, invece, era stato il suo principale

obiettivo, il suo più grande sogno, era didiventare qualcuno nel suo paesed’origine.

FORSE c’era riuscito...^^^Come ogni anno, la seconda dome-

nica di agosto, si svolgeva la solita pro-cessione e, come ogni anno, lui vi sitrovava coinvolto: stessi volti, stessestrade, stesso prete e stesso santo. Eglipercorreva abitualmente l’intero tragit-to e, assieme a lui, partecipavano al fe-stoso corteo la moglie, i figli, i suoigenitori, sua sorella, suo cognato, le suenipoti, i suoi zii, gli innumerevoli cugi-ni e, infine, i tanti compari e le tante co-mari.

Ogni tanto la processione si ferma-va per permettere alle persone invalide

di porgere il loro acco-rato saluto al santo oper gettare sulla statuapetali di fiori profuma-ti; ed era proprio in que-sti momenti che lui sisentiva solo tra tantagente, sperduto e spae-sato in un mondo chenon sapeva più apprez-zare. Le vie illuminate,le luci ad intermittenza,i vocii indistinti, i mar-ciapiedi affollati digente: tutto ciò era perlui senza senso; stavapartecipando ad un ritotradizionale, ad una‘sfilata’ caratteristica

della religione siciliana, -così la consi-derava-. Odiava quelle persone chepiangevano e urlavano davanti allavara... Lo infastidivano.

Mancavano pochi metri all’arrivodella processione in chiesa, ed in cielole nuvole di fumo si allontanavano perlasciare spazio ad altri stupendi morta-retti colorati; la gente si stava ferman-do, mentre la vara entrava nel piccolosantuario, condotta da braccia robuste;la banda musicale intonava una dellesecolari canzoni di rito e tutti cercavanodi cantare.

-"Zio?"- una voce lo richiamò dai

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Il Nicodemo - Agosto '95

suoi pensieri.-"Sì?"- rispose trasalito. Una bam-

bina, che quasi superava le sue ginoc-chia, gli stava accanto e lo guardava conaria inquisitoria: -"Ti voglio tanto benee anche alla zia e ai cuginetti... Non vo-glio che ve ne andiate...-". La bambinascoppiò a piangere e lui, dimenticati isuoi stupidi pensieri, la prese in braccioe iniziò a parlarle con tono dolce e affet-tuoso: -"Anch’io ti voglio bene e noncredere che voglia andarmene da quivolentieri..."- interruppe un attimo il di-scorso, poi riprese -"Ma devi capire cheio non vivo qui, abito in un altro Paese,che è molto lontano... Lì ci sono i mieiamici, lì io lavoro... Piuttosto, perchénon chiedi a mamma e papà di mandarete laggiù?"-. -"No"-rispose secca labambina. -"Casa mia è qua!"-.

-"Hai ragione! E’ ingiusto sradicareun albero da uno stupendo giardino perpiantarlo in un luogo, sì, bello ma allostesso tempo poco adatto perché crescae dia frutti, quando accade, è inevitabilesoffrire!"-.

Tutti lo osservarono in silenzio e luisentiva il peso di quegli sguardi, il rim-provero che gli occhi di quella bambinacontinuavano a rivolgergli. Abbassò losguardo e capì, comprese, finalmente,dopo tanto tempo: tutto ciò che avevaappena detto era la risposta più chiara esignificante che aveva mai saputo darea qualcuno e soprattutto a se stesso.

Il silenzio lasciò presto spazio a la-crimevoli commiati e nessuno, eccettolui, avrebbe mai capito cos’era succes-so, cos’era cambiato: quello non era piùil SUO paese. r

Oreto ‘95:

Le

catechiste

Al “TABOR”

di Rosamaria Lipari

Dal 10 al 12 Luglio scorso hopartecipato ad Oreto, insie-me ad altre catechiste dellanostra Comunità Parrocchia-

le al “Campo di formazione Tabor per icatechisti”.

Il tema di questo Campo era “Gli iti-nerari per la formazione cristiana neiCatechismi”. Si è parlato di itinerarioperché l’itinerario assume una logica diprogressività. Il Cristiano trasformatodalla Grazia del Battesimo diventa nuo-va creatura ponendosi così alla sequeladi Cristo. E’ come un seme che già den-tro di sè è pianta, anche se lo diventagiorno dopo giorno. Ed è proprio nellaChiesa che impara sempre meglio apensare come Cristo, a giudicare comeLui ad agire secondo i suoi comanda-menti. Questa è la vita. E’ la vita nuovadel credente nella Chiesa, “germe” delRegno di Dio.

L’itinerario è quindi di una succes-sione ordinata di tappe che prevede unacomunità, perché è proprio quella cheavvia ed accompagna l’itinerario di for-mazione. Non è mai una esperienza diindividui solitari e di buona volontà.Prevede un punto di inizio e di arrivo in-tercalato da obbiettivi, contenuti, meto-di, modi e tempi di realizzazione, mezzie protagonisti, verifica. Tutto questo siè cercato di approfondirlo per quelloche si è potuto insieme ad altre catechi-ste di altre parrocchie con schede di ri-flessione, dialoghi, scambi di idee evere e proprie proposte.

Come inizio e conclusione di ognigiornata si è pregato e lodato il Signorecon le lodi e i vespri e alla fine abbiamoc o n c l u s o c o n l a c e l e b r a z i o n edell’Eucaristia.

E’ stata una esperienza molto positi-va, fatta con molto sacrificio ma nonsemplice da comunicare agli altri, per-ché bisogna viverla di persona. Mi hafatto crescere nello spirito ed ho condi-

viso con altri atteggiamenti, sensazio-ni, gioia e serenità. Ho avuto modo diverificare la mia maturità di fede e lemie conoscenze di catechesi mettendo-mi a confronto con la mia vita quotidia-na e con le ore e gli anni trascorsi con iragazzi.

Il catechista deve come prima cosasvolgere il suo servizio con umiltà, per-ché dentro di sè ha avuto una “Chiama-ta” che non viene senz’altro da nessunessere umano ma da Dio. Quindi la suaè una “Vocazione”, ed è proprio nel ser-vire il prossimo che si serve Dio. E noidobbiamo essere servi fedeli alla seque-la di Cristo. Perché è Cristo per primo ilnostro maestro e perché noi non siamodelle catechiste arrivate ma, ancora ab-biamo tanta strada davanti a noi da per-correre.

Il compito del Catechista è quello diessere un maestro, un educatore e un te-stimone. E’ importante che quanto cre-d o d e b b a e s s e r e c e l e b r a t onell’Eucaristia e testimoniato nella vitaquotidiana. E’ sentendo l’appartenenzaalla Chiesa di Cristo, in quanto noi sia-mo le membra. Spesso però nella nostracomunità non si respira né l’unione, néla condivisione né l’amore reciproco,elementi essenziali per costruire unavera comunità. Abbiamo tutti un soloPadre, e un unico Dio ci ha creati, dun-que è giusto non agire con perfidial’uno contro l’altro (Malachia 2,10).

In questo itinerario di fede enell’avvio dell’attività catechistica ènecessaria la figura del Sacerdote cheaccompagna e coordina il gruppo deicatechisti in parrocchia in modo daorientarli e aiutarl i a progettarel’itinerario annuale di fede. “Infatti lelabbra del Sacerdote devono custodirela scienza e dalla sua bocca si ricercal’istruzione, perché egli è messaggerodel Signore degli Eserciti” (Malachia2,7).

Quello che si fa, per poco che essosia, l’importante è condividerlo conamore e con gioia insieme ai fratelli.Tutti noi cerchiamo il Signore e, chis-sà, dove speriamo o crediamo di incon-trarlo. Ma Lui è presente e vivo inognuno di noi e in ogni angolo dellaterra, bisogna solo saperlo riconosceree ascoltarlo. AL CAMPO TABOR hoincontrato il Signore; era lì che miaspettava con le braccia tese. Bisognasolo cercarlo per trovarlo. r

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Il Nicodemo - Agosto '95

Campo estivo del Seminario

Nuovi Amici e Nuove frontieredello Spirito

di Luca Tuttocuore

Se qualcuno mi avesse detto chea v r e i p a r t e c i p a t o a n c h equest’anno al campo estivo, gliavrei riso in faccia: invece mi

sono accorto che a volte ci si può sba-gliare. Il campo ha avuto una durata dicinque giorni, si è svolto in un paesinodel versante ionico, Savoca, e oltre mec’erano altri 21 ragazzi provenienti daaltre parrocchie.

17 luglio 1995

I l t e m a c h e a b b i a m o s v o l t onell’arco di questa prima giornata è sta-to l’incontro di Zaccheo con Gesù. Noiragazzi ci siamo divisi in due gruppi distudio, undici per parte, e insieme allenostre guide abbiamo approfonditoquesto tema con una traccia di riflessio-ne che ci è stata data dal relatore delcampo Giuseppe Mirabito. Abbiamodiscusso e conversato tra di noi, intornoai dubbi che ognuno poteva avere e ab-biamo risposto alle domande che cisono state poste. La giornata per il restoè trascorsa nell’allegria e nella presen-tazione individuale di tutti i partecipan-ti. Ho fatto subito amicizia con tutti enonostante un po’ di stanchezza misono divertito a giocare, cantare e pre-gare.

18 luglio 1995

La sveglia era fissata alle 7,30, maquasi tutti ci siamo svegliati in anticiposia perché volevamo essere pronti pri-

ma, sia perché non riuscivamo a dormi-re per la novità e l’emozione. Dopo averlodato il Signore, abbiamo fatto cola-zione e abbiamo pulito le nostre came-re. In questo secondo giorno abbiamoparlato del paralitico e della sua guari-gione per opera di Gesù. Poi, come ognigiorno, ne abbiamo discusso più appro-fonditamente nei gruppi di studio; perquasi tre ore siamo andati nella pinetadi fronte per fare una nuova esperienza:quella del deserto che consiste nella ri-flessione e nella meditazione, stando insilenzio e facendo un accurato esame dicoscienza, per poi accostarsi al sacra-mento del perdono. Quasi tutti abbiamopartecipato con vivo interesse a questomomento; il resto della giornata è tra-scorso molto velocemente nei giochi,nel canto e nello scherzo.

19 luglio 1995

Questa non è stata una giornatacome le altre, forse perché il tema che ciè stato proposto di trattare era di nostroparticolare interesse: il giovane ricco;la novità che più mi ha fatto piacere èstata quella di dover improvvisare unascenetta riguardo il tema del giorno.Abbiamo trascorso, quindi, delle orescherzando, recitando e nella gioia distare insieme. Eravamo tutti impegnatia fare qualcosa: chi preparava i vestitida indossare, chi la scenografia, chi an-cora aiutava il regista e chi si immedesi-mava nella parte che doveva recitare.

20 luglio 1995

Quante volte ci è capitato di perderela fiducia o la speranza in qualcuno cheritenevamo un nostro vero amico, mapoi ci siamo ricreduti e abbiamo riac-quistato fiducia in lui?! In questo casoci siamo comportati da “fedeli seguaci”dei discepoli di Emmaus. Ecco presen-tato il tema di questa giornata: i disce-poli di Emmaus. Purtroppo il pocotempo a disposizione non ci ha dato lapossibilità di rispondere a tutte le do-mande presentateci, ma ciononostante

abbiamo capito veramente bene il si-gnificato di questo brano. La giornata siè conclusa in un’atmosfera di allegria eserenità; dopo cena abbiamo guardatoun film di Don Bosco e dopo la preghie-ra della sera, siamo andati a dormire.

21 luglio 1995

Il programma di questa giornata eramolto ampio; era prevista infatti unagita per il paese di Casalvecchio e unaserata che non dimenticherò mai. Mariamadre della Chiesa e dei cristiani è statoil tema che abbiamo approfondito. Neigruppi di studio ognuno di noi haespresso un pensiero, e ha raccontatouna sua esperienza con Maria. Il pome-riggio dopo una splendida caccia al te-soro siamo andati, come ho già detto, aCasalvecchio, abbiamo visitato le dueChiese e il museo d’arte. Siamo rientra-ti verso sera per la cena. Dopodiché ab-b iamo r ingraz ia to Mar ia per lasplendida giornata con una processionee con la recita di due postine del rosario.Nonostante la stanchezza della giornatae l’ora tarda, ci siamo messi a giocarecon l’acqua e ci siamo bagnati l’unl’altro. Così è terminato anche questogiorno.

22 luglio 1995

Come avrei voluto che non fossemai arrivato questo giorno, il giornodell’arrivederci, spero! Alla fine diquesto campo ho tirato le somme e pen-s o c h e s i a s t a t a s e n z ’ a l t r oun’esperienza positiva, ma non bastadire questo: questo campo mi ha aiutatoa stare insieme agli altri, a capire gli al-tri e a essere sempre amico di tutti. Mi èservito per capire meglio la mia voca-zione e ad ascoltare la voce di Dio chemi “ha chiamato per nome”. Voglio rin-graziare tutti i seminaristi e in partico-lare il segretario del campo e guida delmio gruppo di studio Marco Sprizzi,con lui anche il sacerdote padre Giusep-pe Torrisi perché sono stati sempre a di-sposizione di noi ragazzi. r

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Il Nicodemo - Agosto '95

Dall’esperienza di direzione di coroalla necessaria qualificazione

Coro è: una fusione di animi che vivono insieme le stesse esperienze culturali

di Pippo Mollura

Da circa sei anni, ho esteso imiei interessi musicali allamusica corale, grazie ancheal ruolo di direzione che as-

sumo nel coro “S. Benedetto” che mi hapermesso di acquisire un po’ di espe-rienza in questo campo. Ma come tuttisappiamo, direttore di coro non ci si im-provvisa, al contrario lo si diventa dopoaver seguito un iter di studio che con-senta il raggiungimento di una seriapreparazione musicale.

Purtroppo i nostri Conservatorisono ancora assolutamente inadeguati aformare una figura professionaledegna del nome di “Direttore dicoro”, sia per il contenuto dei tra-dizionali programmi di studio vi-g e n t i , s i a p e r e r r o r i d iinsegnamento della musica voca-le e corale da ridurre il nostro Pae-s e , u n t e m p o t e m p i o d e l l apolifonia vocale, alla retroguardiadella civiltà musicale del mondo.

Eppure, dopo secoli di abban-dono, in quest’ ultimo decennioassistiamo nel nostro Paese ad unaripresa d’ interesse per l’attivitàcorale come attestano le migliaiadi formazioni corali amatoriali.

Però se noi direttori di coro,non abbiamo un mezzo adeguatoper affinare le nostre tecniche didirezione, per apprendere metodidi analisi della partitura e metodidi insegnamento al cantore, potremmocorrere il rischio di cadere nel pressap-pochismo e nell’ improvvisazione chenon condurrà il coro che si dirige a nes-suna meta artistica. Quindi è di grandeaiuto seguire i pochi corsi tenuti da Do-centi veramente specializzati comequello che si è svolto ad Avella (AV) dal7 al 26 Luglio al quale ho partecipato.

Il Corso di Direzione di Coro, Prati-ca Corale e Vocal i tà ant ica “R.GOITRE” ha avuto l’obiettivo di offri-re una riqualificazione e approfondi-mento nel campo della musica, della

cultura e della direzione corale. Il Cor-so tenuto da docenti di indubbia profes-sionalità come il M° Giovanni Acciai(Musicologo nonché grande umanista,organista, compositore e direttore deipiù importanti cori a livello nazionaleed internazionale) e Stephen Woodbury(vocalista, membro dei “Solisti del Ma-drigale di Firenze”), è stato articolato in80 ore di lezione e ha toccato argomentiche vanno dalla Musicologia applicatain campo Paleografico-Filologico mu-s ica le a l la Metodologia Goi t re ,dall’analisi delle partiture in studio alle

prove pratiche di concertazione colcoro laboratorio.

L’esperienza vissuta ad Avella è sta-ta esaltante e di grande aiuto per la miaformazione culturale in questo campo,ma quello che più mi ha colpito e ancoraoggi vive dentro di me è stato il clima diamicizia e solidarietà che si è subitocreato. Già il primo giorno tutti siamodiventati una grande famiglia, nonc’erano barriere tra ragazzi e adulti, tramusicisti affermati e studenti, e ancoratra allievi e insegnanti. Il M° Acciai si èdimostrato subito disponibile verso di

noi, ha cancellato fin dal primo momen-to qualsiasi imbarazzo, cercando di ren-dere la lezione accessibile ed alcunevolte anche divertente alleviando il

peso dello studio.Egli si manifesta in tutta la sua

umiltà come un grande maestro,maestro di musica sì, ma soprattut-to di vita. Spesso infatti ci ripetevache il coro non è solo un insieme dicantori di “professione” ma so-prattutto una fusione di animi chevivono insieme le stesse esperien-ze culturali.

Ad Avella abbiamo condivisomomenti culturali e non, abbiamopartecipato a manifestazioni musi-cali come al concerto jazz del “Per-simfans Saxophone EnsambleQuartet”, al concerto del coro “Mi-sterium Vocis” del M° Totaro, algrandioso concerto dell’Orchestradella Radiotelevisione Moldava,col solista Oscar Ghiglia nello

splendido scenario dell’Abbazia di Lo-reto di Mercogliano.

Questi giorni, mi hanno fatto cre-scere, hanno ampliato il mio orizzonteculturale, mi hanno fatto stringere nuo-ve amicizie, hanno fatto sì che potessicondividere momenti di vita comuneche resteranno per sempre nei miei ri-cordi. Quest’esperienza mi spingerà apartecipare in futuro ad altri corsi diformazione musicale e ad abbracciaresenza alcuna incertezza futuri incontricon il M° Acciai, grande musicologoma soprattutto grande uomo. r

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Il Nicodemo - Agosto '95

3° OPEN DI TENNIS “CITTA’

DI PACE DEL MELA”di Carmelo Pagano

La voglia di incontrarsi, di faresport, di impegnarsi, da temposopita nella nostra comunità,quest’estate è riesplosa, tanto

che, pur nella cronica mancanza distrutture e spazi adeguati, si sono orga-nizzate varie manifestazioni a carattere

culturale e ricreativo.Questa è l’ennesima dimostrazione

delle tante e valide forze presenti nelnostro paese al di là delle difficoltà difarle cooperare per un impegno più con-tinuo e duraturo.

Nell’ambito di queste manifestazio-ni che hanno caratterizzato l’estate pa-c e s e e d h a n n o c o n t r i b u i t o apromuovere la positiva immagine dellanostra cittadina nella provincia, rientrail 3° Open di Tennis “Città di Pace delMela”, svoltosi presso il campo da ten-nis di Pace Centro dal 17 al 23 di Lu-glio, seguito nella settimana successivada un altro torneo riservato agli under18.

La partecipazione è stata molto qua-lificata con atleti sia locali sia del cir-condario, alcuni provenienti addiritturada Messina.

La ristrettezza del tempo a disposi-zione per le gare ha imposto agli orga-nizzatori di limitare il numero dipartecipanti a 24; ciò ha impedito a

molti tennisti di potersi cimentare nellacompetizione. L’intendimento è, co-munque, per il prossimo anno, quello dipoter presentare un tabellone più ampiodi giocatori.

Il torneo ha riscosso un buon suc-cesso di pubblico anche se la mancanza

di posti a sedere ha un po’ penalizzatoun maggiore coinvolgimento e parteci-pazione.

La competizione ha dimostrato cheesiste a Pace del Mela un buon numerodi praticanti, soprattutto a livello giova-nile; a tal proposito dobbiamo sottoli-neare le belle prove offerte da SantiCalderone, Salvatore Miceli e AdrianoFrucella nonché quella del più esperto,Salvatore Campagna, giunto fino allesemifinali.

Le partite, al meglio dei tre sets,sono state molto combattute, con i ten-nisti locali che hanno impegnato oltreogni aspettativa i più quotati tennistiprovenienti dalla provincia.

Spettacolare il quarto di finale cheha visto prevalere il milazzese Chemisul gualtierese Cannone. Lo stesso Che-mi si è poi trionfalmente aggiudicato iltorneo battendo in finale il giammoreseFerraro, un’altra delle giovani rivela-zioni.

Un sentito ringraziamento da parte

nostra va al Sindaco ed all’Assessoreallo Sport nonché alle aziende sponso-rizzatrici per la collaborazione fornitaper la riuscita del torneo e diamo, sin daora, appuntamento agli appassionati edai praticanti al prossimo anno per unanuova e speriamo ancora più appassio-nante, qualificata e riuscita edizionedell’Open di Tennis “Città di Pace delMela”. r

ANtillo

Giorni sereniper anziani e

disabilidi Giusy Crisafulli e Silvia Parisi

Anche quest’anno come neglianni precedenti si è organiz-zato un campo estivo adAntillo, di sei giorni per disa-

bili ed anziani.Devo dire che per noi due era una

cosa nuova, e, all’idea non eravamo en-tusiaste, ma spronati da Elena e Cle-mentina che già avevano vissuto questaesperienza negli anni precedenti ci sia-mo convinte.

Già alla partenza, l’entusiasmo an-dava pian piano aumentando a mano amano che le persone arrivavano pressol’autobus che ci avrebbe portati adAntillo. Arrivati alla meta, e accolti daPadre Egidio ci siamo accorte subito,che lì avremmo trascorso sei giornimolto ma molto diversi da quelli comu-ni. Come prima cosa abbiamo ammira-to la tranquillità e la pace di quei luoghi.Il calore e l’affettuosità che avvolgevanoi volontari, nell’aiutare quelle perso-ne meno fortunate, ci ha permesso diimparare subito seguendo l’esempio dichi aveva già fatto ciò, ha reso più spon-taneo il nostro compito.

La novità, quest’anno è stata che

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Il Nicodemo - Agosto '95

Teatro sì, ma per...di Nino Ragusa

Per chi giorno 14 Agosto si tro-vava alle ore 22.00 circa nellasala parrocchiale, messa gentil-mente a disposizione da Padre

Santino, ci sono state 2 ore di allegriagarantite dal “Gruppo Teatrale dellaParrocchia” che ha rappresentato lacommedia brillante in tre atti: “La poli-tica di don Fefè” scritta da Vanni Pucci.

Dietro questa commedia c’era unsentimento molto forte rivolto a un atto-re che questa commedia trovava tra lesue fila ma che purtroppo ha perso, ecosì questa Commedia è stata rappre-sentata in ricordo di quel ragazzo alle-gro e simpatico quale era Mauro.

Chi stava seduto in sala ha visto 12persone che si sono alternate in un ritmofrenetico e con qualche momento disconcerto ed ha, speriamo, seguito conpiacere la storia di questo barbiere chein poco tempo ha capito che la politicanon è molto chiara, che è fatta di «cur-riu» e che «la vera politica è chidda cami nsignò me patri... fari lu galanto-mo... Tutti avissimo a esseri uniti ed’accordu comu frati...».

Gli attori erano: Roberto Buemi(don Fefè), Mariella Calderone (Ange-lica), Irene Scolaro (Ciccina), DanielaArtuso (Teresina), Salvatore Lipari(Gasparino), Nino Ragusa (Alfredo),Franco Aricò (Avv. Fiordaliso), NandoLa Spada (Il Marchese), Antonio Ami-licia (Il Sindaco), Andrea Mundo (IlNotaio), Pasqualino Isgrò (Avventore),Giovanni Salmeri (Ragazzo).

Dietro però non è stato tanto facile,rappresentare una commedia è densa diproblemi, impegni, differenze di vedu-te.

Innanzitutto mille sono i problemiburocratici quali pagamento SIAE, af-fitto dell’amplificazione con microfonipanoramici ed impianto di illuminazio-ne il tutto a norme CEE, richieste al co-mune per l’utilizzo della piazza, aquesto proposito è utile ringraziarel’Amministrazione per averci agevola-to, rendendoci molto facile questa parteorganizzativa. Poi vengono i numero-sissimi impegni rappresentati dalle pro-ve che ogni sera si sono svolte per mesi,dalla sistemazione delle quinte, dalla

preparazione dei costumi. Poi le diffe-renze di vedute, quelle sono le peggiori,spesso ci si trova di fronte a diversi pun-ti di vista su come fare una scena, pro-babilmente perché nessuno di noi è unprofessionista del campo ed avendomagari un pizzico di esperienza in più sisente autorizzato ad imporsi comunqueed allora è il caos.

Tutto ciò dimostra che una rappre-sentazione teatrale non è altro cheun’esperienza di vita comunitaria doveci sono i problemi burocratici, quellieconomici e quelli del difficile convi-vere all’interno di una società dovechiunque vuole prevalere sull’altro.

Ma allora a cosa servirebbero que-ste rappresentazioni teatrali non certo,se non in piccola parte, a deliziare glispettatori, servono a imparare a convi-vere con gli altri a socializzare con altrepersone che incontri sulle scene, se nonsei riuscito a fare questo hai fallitol’obiettivo principale.

Forse all’interno di quest’otticapossiamo capire il perché padre Santinoci permette di utilizzare la parrocchiaper le prove e alle volte per le rappre-sentazioni teatrali che si svolgono onella parrocchia stessa o sulla piazzaantistante la Chiesa.

Ci siamo presentati come “GruppoTeatrale della Parrocchia” ma effettiva-mente non abbiamo condiviso spessomomenti di Fede, tutto è rimandato alfuturo che già alla fine della Commediaabbiamo iniziato a programmare.

Ma a conti fatti questa commedia èandata bene? Spero a voi sia piaciutaperché come abbiamo detto quella sera«Chiediamo scusa a voi pubblico se nonsaremo bravissimi e se qualche errorefaremo, ma siamo solo dilettanti contanta voglia di fare». r

tanti ragazzi di Antillo si sono avvicina-ti a noi, e anche loro hanno potuto vive-re la nostra esperienza, con la solaeccezione che loro la sera tornavano acasa e noi invece no. A proposito diquesto, dormivamo dieci ragazze in unacamera con letti a castello, e parlavamo,scherzavamo e giocavamo fino a notteinoltrata, anche se facevamo arrabbiarequalcuno più anziano dei partecipantial campo. Con noi c’era anche un ragaz-zo che faceva parte del volontariato e incerti momenti il suo aiuto si è rivelatomolto prezioso.

E’ da ammirare il lavoro che svolgo-no questi ragazzi, che invece di trascor-rere le ferie altrove, li trascorrono peraiutare il prossimo. Tutti, almeno unavolta nella vita, ci dovremmo fermare eriflettere sul significato della vita e sulsignificato della fede, il solo vederequeste persone disabili come trascorro-no le giornate senza compiangersi esenza chiedere la pietà di nessuno, lorovogliono soltanto compagnia e qualcu-no con cui parlare, e basta poco per ren-derli felici, questo ognuno di noiarmato di buona volontà può fare.

I giorni trascorsi in questi luoghisono volati via molto presto, avremmovoluto rimanere ancora, anche perchéavevamo stretto amicizia con le ragazzee i ragazzi di Antillo, che ogni giorno,puntualmente, si presentavano al Giar-dino di Redenzione per aiutarci, li ri-corderemo sempre con molta simpatia,assieme a tutti gli altri partecipanti alcampo e speriamo un altr’anno di rin-contrarci di nuovo a rivivere questa me-ravigliosa esperienza. r

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Giochi sotto l’ombrellone

CRUCINTARSIO

Risolvete il cruciverba

inserendo nello schema,

orizzontalmente e

verticalmente, le parole

sottoelencate secondo il

numero di lettere.

2

ADAEALATCAIALALILLLONIOTOURAROTOTU

UNUR

3

ASNATPCADDDRDIOEORFINIAAICSOGLONUORORAIRAS

RUNSACSUPTIC

4

ASSEASTE

EUAUIGNIPURE’TELOVELT

5

MIAMIRAGLIRIONE

RISALRULLO

6

EGREGIORLATOSUPINO

7

FRAGILILABENOI

STIPATA

8

ACQUARIOOSSATURARINUNCIASUPERARE

9

CATTURARESCISSIONE

SQUADRONE

10

DROMEDARIO

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CONTROLLAREDICHIARANTE

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ELETTRODOMESTICI

Agricoltura ieri, oggi, domani:frammenti di preistoria

di Favaro Daniele e Nerelli Orsola

Da un pugno di granelli di mi-glio, dimenticati in un vaso,nasce l’agricoltura; una sca-glia di pietra legata ad un ba-

stone forma la prima zappa che poirinforzata diventa aratro che con pochemodifiche sopravvive sino ai giorni no-stri.

Con il lavoro dell’agricoltore, sisfama il mondo, sia direttamente che in-direttamente (con l’allevamento del be-stiame). Si veste l’umanità con lacanapa, la yuta, il lino, il cotone,... Sicurano le malattie con le piante medici-nali.

Pensiamo poi all’elemento basedell’alimentazione umana, il grano,nato dalla pioggia e dal sudore degli uo-mini che lo seminano, lo curano, lo mie-tono, lo macinano e lo impastano. Ilcontadino non conosce la sua grandez-za. E’ contento del raccolto, pago di

aver procurato il pane ai suoi figlioli,ma non pensa di aver beneficato lagrande famiglia dell’umanità. Il fru-mento che è maturato nel suo campo di-venterà sull’altare di tutte le chiese delmondo, il pane della vita eterna e darà atutti gli uomini la gioia d’amarsi comefratelli, perciò perché disprezzare,come fanno molt i , i l contadino,l’agricoltura e i ragazzi che vanno allescuole di agraria?

Senza l’agricoltura non sarebberofiorite le grandi civiltà come quella Egi-ziana, Mesopotamica e Greca, nonavremmo oggi da studiare né storia, néletteratura, non esisterebbero industrie,macchine, ma vivremmo girovagandoda nomadi, senza una casa.

Q u i n d i n o n b i s o g n a v e d e r enell’agricoltura, una cosa rozza, dagente povera e ignorante, ma da gentesaggia e colta! Inoltre ricordo che a scu-

ola non “zappiamo”, ma studiamoscientificamente i terreni, le piante e glianimali. Sì! Usiamo anche le macchineagricole, però allo stesso tempo usiamomoderni computers, laboratori chimicid’avanguardia che ci permettono ditrarre il massimo profitto dal lavorosvolto, senza dimenticare però la tradi-zione contadina, il ruolo svolto dallaluna nelle semine e nei raccolti.

Perciò ricordatevi che per migliora-re l’umanità, bisogna tornare alla terra,rendendo secondario il ruolo svoltodall’industria che oggi finalmente si ca-pisce che è dannosa e a volte inutile.

Perciò scegliendo la scuola agra-ria, il giovane non sceglie una scuolafacile e di ripiego perché non ha vo-glia di studiare, ma una scuola diffici-le e viva che insegna a diventarea m i c o d e l l a n a t u r a e n o n adistruggerla.r


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