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ANNO V | N. 02 20196 N. 02 2019 CIVILTË DI CANTIERE CIVILTË DI CANTIERE N. 02 2019 7 s Scenari s...

Date post: 25-Aug-2020
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CIVILTÀ DI CANTIERE CAMBIAMO IL DNA DEL COSTRUIRE WWW.CIVILTADICANTIERE.IT È un progetto dedicato al sistema italiano delle costruzioni basato sulla consapevolezza del profondo cambiamento che sta caratterizzando il mercato e l’industria edilizia, nel segno dell’innovazione e della sostenibilità. Intende consolidare una piattaforma di riflessione e di orien- tamento che attragga nella propria orbita gli stakeholder di riferimento del settore: sistema di rappresentanza, imprese e developer, aziende della filiera produttiva, mondo della ri- cerca e della progettazione, per promuovere una nuova cultura del costruire. ANNO V | N. 02 2019 MAGAZINE ISSN 2531-9973 Rigenerare Roma. Nuovo approccio e nuova governance CIVILTÀ DI CANTIERE - ANNO V | N. 02 2019
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Page 1: ANNO V | N. 02 20196 N. 02 2019 CIVILTË DI CANTIERE CIVILTË DI CANTIERE N. 02 2019 7 s Scenari s Scenari globalizzazione e la rivoluzione digitale - siamo di fronte a uno scenario

CIVILTÀ DI CANTIERE

CAMBIAMO IL DNA DEL COSTRUIRE

WWW.CIVILTADICANTIERE.IT

È un progetto dedicato al sistema italiano delle costruzioni basato sulla consapevolezza del profondo cambiamento che sta caratterizzando il mercato e l’industria edilizia, nel segno dell’innovazione e della sostenibilità.

Intende consolidare una piattaforma di riflessione e di orien-tamento che attragga nella propria orbita gli stakeholder di riferimento del settore: sistema di rappresentanza, imprese e developer, aziende della filiera produttiva, mondo della ri-cerca e della progettazione, per promuovere una nuova cultura del costruire.

ANNO V | N. 02 2019

MAGAZINE ISSN 2531-9973

Rigenerare Roma. Nuovo approccio e nuova governance

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1 CIVILTÀ DI CANTIERE N. 02 2019

eAbbiamo voluto dedicare un numero a Roma perché è la città dove noi vivia-mo e perchè, come molti cittadini e persone che ne amano la sua storia, non possiamo accettare il suo declino. Riflettere sul futuro di Roma è pertanto un dovere, così come cercare di contribuire alla sua rinascita. Senza illusioni ma con la convinzione che tre anni di analisi, di dialoghi, di studio e di con-fronto sul tema della rigenerazione urbana siano comunque un valore da mettere in campo.Così con questo numero mettiamo sul tavolo un progetto, da costruire in una logica di rete, che si basa su un obiettivo chiaro, rigenerare Roma, che ritiene essenziale cambiare l’approccio con il quale la si guarda, che sia ne-cessario dotarsi di un metodo quale risultato di una attenta osservazione di quanto avvenuto in Europa negli ultimi vent’anni.Un percorso che progressivamente aggreghi persone di buona volontà che mettano a disposizione competenze, progetti e proposte, così come il valore dei loro ruoli nella società, nel sistema economico e nelle istituzioni.Un network in grado di produrre idee, di proporre una visione di Roma Ca-pitale e una progettualità da calare nella concretezza della fattibilità delle cose, partendo da chi ha investito o vuole investire su Roma, chi crede in una sua rinascita e voglia contribuire a realizzarla. Vogliamo mettere insieme le potenzialità di una finanza che sappia coniugare interessi economici e pro-fitti con la responsabilità sociale e il dinamismo delle esperienze provenienti dalla società civile e dalla creatività delle PMI innovative e creative, dando loro possibilità di crescere e di essere protagonisti di una nuova stagione.Vogliamo finalmente far lavorare insieme e ibridare la conoscenza esistente presso le università o i centri di ricerca presenti a Roma con i grandi player dell’energia, delle reti, dell’economia, con il tessuto delle PMI superando la logica nefasta dei micro interessi e delle rendite.Crediamo in una ridefinizione degli spazi urbani mettendo al centro il dialo-go e la collaborazione tra le persone, utilizzando al meglio l’innovazione di-gitale e tecnologica della quarta rivoluzione industriale per restituire a Roma una conformazione urbana a misura d’uomo.Crediamo che offrendo una chiave di lettura diversa della città, della sua popolazione dei suoi luoghi, siano essi storici, consolidati o oggetto di tra-sformazione e mutazione, sia possibile invertire il trend del declino.Tutti coloro che hanno contribuito a questo numero vi credono e vogliono contribuire a questo progetto.

Un percorso per Roma

di ALFREDO

MARTINI

Direttore di

Civiltà di Cantiere

Editoriale

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Sommario

Roma: dal degrado alla rigenerazione ........................................................ 4

Roma Capitale, la storia di uno scambio ineguale .....................................10 L’INTERVISTA a Paolo Buzzetti, coordinatore Rigeneration Lab AspesiUn’azione di sistema urgente e necessaria ...............................................14

L’INTERVISTA a Filippo Tortoriello, presidente di Unindustria RomaUn Masterplan per la città più bella del mondo ......................................... 17

L’OPINIONECapovolgere il modello per una nuova Roma ........................................... 20

L’INTERVISTA ad Alfredo Macchiati, docente alla Luiss di RomaLa “decrescita infelice” si può fermare ..................................................... 23

L’impatto rigenerativo della mobilità ....................................................... 28

Smart Heritage: un'opportunità per Roma ................................................31

Guarire la Capitale mal-amata ................................................................. 35

Ripartire dalla musica .............................................................................. 38

PORTFOLIORome sweet home....................................................................................41

Cittadini e qualità del vivere urbano. Una questione di diritti e doveri.... 45

Gli abitanti: protagonisti del rinnovamento della zona Les Hallesdi Parigi? .................................................................................................. 48

Mobilità e sviluppo: connettere litorale, logistica e città metropolitana ....52

La riqualificazione di Piazza Fiume ......................................................... 54

Un progetto per riqualificare il patrimonio edilizio dell’Ospedale San Giovanni ......................................................................57

Roma, città d’oro... per la sostenibilità ................................................... 60

L’INTERVISTA a Riccardo Perego, presidente One TeamUna soluzione tecnologica a disposizione delle città ...............................63

SPECIALE - VII Convegno Giovani Ance Mezzogiorno .............................. 66

Martino Almisisi

Iva Mece

Fausto Testaguzza

Gennaro Farina

Alfredo Martini

Martino Almisisi

Walter Tocci

A. M.

Marco Panara

G. Bottini, D. Deponte, G. Olivetti

Alessia Guerrieri

Marco Ravaglioli

Ernesto Assante

Valerio Muscella

Virgilio Chelli

Mimosa Martini

Ugo Pannuti

Asia Ruffo di Calabria

EDITORE E PROPRIETÀ EDITORIALEDemocomVia G. Palatucci, 686170 Isernia

DIRETTORE RESPONSABILEED EDITORIALEAlfredo MartiniCAPOREDATTOREMimosa Martini

REDAZIONEMartino AlmisisiIva MeceAsia Ruffo di Calabria

PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONEAurora MilazzoIn copertinaOccupazione abitativa di Metropoliz, Roma

SCENARI PROGETTI

Rigenerare Roma. Nuovo approccio

e nuova governance

N.2 | 2019

s

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4 N. 02 2019 CIVILTÀ DI CANTIERE 5 CIVILTÀ DI CANTIERE N. 02 2019

Roma: dal degrado alla rigenerazione

La soluzione può essere una visione condivisa che preveda la collabora-zione tra pubblico e privato.

Per ripartire Roma ha bisogno di una profonda e attenta riflessione sull’at-tuale stato di crisi che sta vivendo. È un’esigenza che emerge con forza da tutte le analisi e dalla diffusa consapevolezza della società civile e del tes-suto economico del territorio. Una crisi che appare soprattutto se proiettata nel medio periodo. Quel che oggi serve, al di là di un dibattitto sulla con-giuntura e sulle soluzioni per risolvere problemi emergenziali e strutturali, è una condivisione su una visione di quello che Roma dovrà essere nella sua dimensione metropolitana, rispetto sia al territorio regionale che nazionale. Una visione che chiama in causa il suo essere “Caput mundi”, Capitale d’I-talia e città metropolitana. Invertire il declino fisico e moraleRoma oggi appare slabbrata nella sua identità, abbandonata dalla nazione, dalle amministrazioni chiamate a governarla e a salvaguardarla. I suoi stes-si cittadini negli ultimi anni hanno sviluppato aggressività e comportamenti ispirati più all’esigenza di sopravvivere che di rispettare le regole. Così che il risultato è sotto gli occhi di tutti: degrado e declino fisico e morale. Dallo stato delle strade, alle carenze del sistema dei trasporti, alla città coperta dai rifiuti, a una esplosiva emergenza abitativa. Ma dietro questo c’è qualcosa di ben

di ALFREDO

MARTINI

Scen

arisSc

enar

is più profondo e preoccupante. La fotografia, infatti, che emerge da una rapida e sintetica analisi dei dati economici vede una città:• in costante calo demografico; - 7,6% di nascite nel 2017; • con un numero crescente di stranieri: in 8 anni la percentuale sul totale

della popolazione è più che raddoppiata: dal 6% al 13,4% ed occupati prevalentemente in lavori non qualificati (50,6% contro il 38,8% della media nazionale)

• con una struttura economica in profonda crisi: dal 2008 il PIL è sceso del 6%, mentre a Milano è cresciuto dell’1% e il dato pro-capite è cala-to del 15% contro il 9% della media nazionale e il 6% di Milano; carat-terizzata da una consistente contrazione dell’occupazione nei settori produttivi (agricoltura -15,9%, industria -22%, edilizia -15,4%, trasporti -11,4%) e una crescita concentrata nella PA (+10,2, contro -11,5% Italia), nel commercio ambulante (dal 2011 +30% di imprese) e degli “affitta-camere” (+150%);

• con una crescita del disagio economico e sociale: fra il 2008 e il 2016 il numero di famiglie senza alcun occupato sono aumentate del 117,3%; la povertà in età infantile è passata dal 3,9% del 2005 al 12,5% nel 2016; i minori che vivono in famiglie di potenziale difficoltà economica rap-presentano il 13,2% del totale dei minori, con un aumento del 184,5% rispetto al 2008;

• con condizioni sanitarie allarmanti: al 29° posto nella classifica nazio-nale delle città per qualità della salute (contro l’8° posto di Milano), al 22° posto per mortalità ogni 1.000 abitanti e 102° posto per farmaci e soprattutto 102° per consumo di farmaci per asma e BCO.

E se proiettiamo questa fotografia rispetto a quelli che sono alcuni feno-meni destinati a condizionare qualunque ipotesi di futuro - quali il cambia-mento demografico, le dinamiche migratorie, il cambiamento climatico, la

Un pericoloso calodemografico

Una struttura economica in profonda crisi

Un numero crescentedi stranieri...

di nascite -7,6%

2017-2016

6% 13,4%2009 2017

ROMA OGGI

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6 7 CIVILTÀ DI CANTIERE N. 02 2019N. 02 2019 CIVILTÀ DI CANTIERE

Scen

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is globalizzazione e la rivoluzione digitale - siamo di fronte a uno scenario che esige, da un lato una ridefinizione delle vocazioni economiche e produtti-ve e dall’altro una rinnovata e originale capacità di saper immaginare cosa deve diventare Roma nel nuovo contesto globale e rispetto a uno svilup-po territoriale e nazionale. Diventa indispensabile e urgente costruire un percorso in grado di aggregare pensiero, competenze e proposte dalle quali partire per condividere una forte visione della Roma del futuro. È necessario innescare un processo che restituisca alla città e ai suoi abi-tanti fiducia in sé e rispetto alla possibilità di cambiare, di invertire il trend negativo. Una fiducia da costruire su un’analisi delle potenzialità esistenti, frutto di competenze diverse e attenta a quello che oggi può esprimere la città, alle sue vocazioni economiche tradizionali, in grado di intercettare le novità, il dinamismo, soprattutto proveniente dalle periferie e dalle nuove generazioni. Un grande progetto fondato su modelli di trasformazione e di sviluppo basati sulla sostenibilità, sulla connettività, sull’interoperabilità, l’inclusione e la solidarietà.

Un metodo per la rigenerazioneIl lavoro svolto da Civiltà di Cantiere negli ultimi 3 anni ci ha consentito, studiando percorsi e modelli di successo che si sono succeduti in tutta Eu-ropa, di approdare all’individuazione di un metodo e di un percorso per la rigenerazione di un territorio o di una città indipendentemente dalle sue di-mensioni. Un metodo che ha al centro una definizione e un concetto preciso di rigenerazione, ovvero “una strategia di ampio respiro volta a trasformare intere parti di città per creare sviluppo economico e sociale, migliorando la qualità della vita di tutti i cittadini e contribuendo ad aumentare il valore dei luoghi e del patrimonio edilizio”. Crediamo che solo dotandosi di un metodo a cui collegare una pianifica-

zione e una Governance adeguata sia possibile invertire il declino di Roma.Del resto Roma dalla fine degli anni Novanta e fino ai primi anni Duemila aveva saputo affermarsi per la sua capacità di investire e di trasformarsi. Appariva allora quel che Milano è oggi, un riferimento, un’esperienza di suc-cesso. Ciò deve contribuire a ricreare quel clima di fiducia di cui si è detto. Del resto la riqualificazione delle grandi ensemble dell’edilizia residenziale pubblica, la questione della dotazione di spazi pubblici e servizi alle peri-ferie, il ripensamento dell’ingente numero di immobili statali in condizioni di abbandono costituiscono un capitale prezioso ai fini della rigenerazione urbana e rappresentano opportunità rilevanti, a cui dovrebbero tendere nel futuro le politiche della capitale. Quel che si vuole sottolineare è che potenzialmente la città è viva e ha al suo interno patrimonio e competenze, ciò che manca è la consapevolezza che rigenerarsi non può essere un percorso casuale, frammentario, basato su necessità, emergenze e improvvisazione, bensì su un percorso metodo-logico ormai consolidato e riconoscibile proprio sulla base delle esperienze internazionali.Un percorso che è possibile, come abbiamo illustrato in altre occasioni, e parte dalla condivisone di una visione strategica per proseguire con la con-sapevolezza dell’imprescindibilità di una cabina di regia pubblica in grado di coinvolgere società operative miste pubblico/private. Sono elementi altresì irrinunciabili nella pianificazione, così come nella definizione della proget-tualità: una flessibilità urbanistica, oggi quanto mai estranea alla nostra cultura giuridica e pianificatoria. Così come si rende necessario un coinvol-gimento attivo della cittadinanza, fondato non su operazioni demagogiche, bensì su sistemi e processi trasparenti e realmente in grado di acquisire proposte e riflessioni provenienti dalla società civile. Anche in questo caso modelli ed esperienze europee possono essere di grande aiuto.

ROMA OGGIUna struttura economica nel segno della precarietà 2017-2011 Una crescita del disagio economico e sociale

Commercio ambulante “Affittacamere”

+30% +150%

Crescita imprese

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8 9 CIVILTÀ DI CANTIERE N. 02 2019N. 02 2019 CIVILTÀ DI CANTIERE

Scen

arisSc

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is La collaborazione tra pubblico e privato deve diventare un fattore strategi-co così come la continuità amministrativa. Imprenditorialità ed attivazione sociale sono quindi due diverse facce di come l’azione privata possa avvia-re iniziative in grado di permettere alle istituzioni pubbliche di pensare un processo di rigenerazione urbana più ampio.

Verso la Roma del futuroSe condividere una visione per la Roma del futuro è una priorità propedeuti-ca a qualunque ipotesi o idea di pianificazione è anche vero che, considerate le caratteristiche geografiche, dimensionali, funzionali e di ruolo di Roma vista nella sua complessità, diventa quanto mai urgente e utile operare su altri due fronti.

Rivedere la Governance Il primo riguarda il modello di Governance. Nella sua definizione e condivisio-ne il modello dovrà necessariamente tenere conto innanzitutto proprio della complessità di ruoli svolto da Roma in quanto Capitale, città di città e città metropolitana. La dimensione del territorio, il suo sprawl, fa sì che per dimen-sione e per numero di popolazione i suoi municipi corrispondano ad altrettan-te grandi e medie città italiane. La tabella sottostate evidenzia l’impossibilità di gestire quindici città attraverso un unico autonomo centro di governo.

Le criticità rilevate in questi anni nella gestione amministrativa e di gover-no da parte del Comune, a cui si aggiunge la difficoltà del solo sindaco di Roma di svolgere il ruolo guida della città metropolitana, mette in eviden-za l’urgenza di un sistema differente, fondato su un nuovo equilibrio tra autonomia dei Municipi, coordinamento e capacità di regolamentazione di un Comune metropolitano nel pieno delle sue funzioni. Così come va trovato un nuovo equilibrio tra la gestione della città metropolitana e il ruolo di rappresentanza in quanto Capitale. Un modello di Governance a cui agganciare funzioni e risorse adeguate, meccanismi di spesa più agili, autonomia di progettualità e di acquisizione della risorse all’interno di un quadro unico coerente e condiviso.Da tempo giacciono in Parlamento proposte di legge e ipotesi che possono essere ricondotte a unità intorno a pochi e chiari obiettivi. Ciò che deve essere compreso è che non c’è più tempo e che la riforma deve trovare un percorso privilegiato per arrivare alle elezioni del 2021 con il nuovo sistema di governo.

Una progettualità tra vecchie e nuove vocazioniIl secondo fronte con cui confrontarsi da subito riguarda una capacità pro-gettuale che sappia coniugare vocazioni uniche, come il fatto di essere il luogo con la più alta concentrazione di monumenti e di storia al mondo, con le straordinarie potenzialità offerte dall’innovazione digitale e tecno-logica in grado di trasformare un ritardo in un vantaggio.Si pensi, ad esempio, a un progetto che sappia mutuare l’approccio delle Smart City verso quello che potremmo chiamare uno Smart Heritage, ap-plicando al grande patrimonio della città di Roma e al suo ampio territorio metropolitano le soluzioni e le tecnologie oggi sperimentate e utilizzate nella lettura e nella valorizzazione dei servizi e delle infrastrutture urbane: dalla sensoristica, alle reti veloci, fino alla robotica e alla realtà virtuale, già utilizzata per valorizzare alcuni monumenti. Tutto ciò non in modo episodico ma con una visone, un progetto, una pia-nificazione, un coordinamento, aprendo a un dialogo fattivo tra pubblico e privato. Egualmente, appare incredibile che l’immagine di Roma non sia più le-gata all’acqua, al mare, al suo porto. Ecco un altro ambito progettuale in grado di spostare la riflessione verso l’alto, riconducendo questioni ne-vralgiche, come ad esempio le infrastrutture in una logica più ampia. Si tratta di due esempi con i quali si intende sollecitare un diverso approc-cio alla rigenerazione di Roma. Esempi che vanno ricondotti all’interno di quella visione condivisa che resta il primo passaggio obbligato da cui partire per riuscire a restituire a Roma il suo valore all’interno dell’attua-le contemporaneità.

Municipio

I

II

III

IV

V

VI

VII

VIII

IX

X

XI

XII

XIII

XIV

XV

SuperficieComune con

la stessapopolazione

Popolazione

185.435

168.354

205.019

176.981

247.302

257.534

308.076

131.180

182.026

231.723

155.586

141.104

134.147

191.776

159.984

Modena

Perugia

Trieste

Reggio Emilia

Messina

Verona

Catania

Ferrara

Reggio Calabria

Padova

Cagliari

Rimini

Salerno

Prato

Ravenna

20,09 km2

19,66 km2

98,03 km2

48,94 km2

26,92 km2

113,88 km2

45,84 km2

47,15 km2

183,31 km2

150,74 km2

71,48 km2

73,07 km2

66,93 km2

133,55 km2

187,31 km2

Aosta

Sondrio

Prato

Frosinone

Avellino

Napoli

Lecco

Biella

Milano

Asti

Cremona

Civitavecchia

Savona

Torino

Pisa

Comune conla stessa

superficie

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10 11 CIVILTÀ DI CANTIERE N. 02 2019N. 02 2019 CIVILTÀ DI CANTIERE

Scen

aris

Il progressivo degrado della capitale potrebbe derivare da fattori stori-ci, oppure da errori dovuti a un processo di governance che non funziona.

Roma è probabilmente uno dei temi storico-politici che da sempre attira e continua ad attirare l’attenzione di studiosi o semplicemente scrittori di tutto il mondo. Il blog letterario del World Economic Forum, l’organizza-zione ginevrina che ogni gennaio raduna sulle nevi di Davos, in Svizzera, l’élite globale dell’industria e della finanza, ha scelto come testo cui ispi-rare la discussione per il mese di luglio 2019 il libro SPQR, scritto nel 2015 dalla classicista inglese Mary Beard. Ovviamente ai frequentatori del blog del WEF interessa poco o nulla delle vicende attuali che affliggono la capi-tale italiana, l’ispirazione che cercano è probabilmente una chiave di lettura “imperiale” della globalizzazione o del suo dopo. È interessante il fatto che la Beard non indaga, come moltissimi che l’hanno preceduta, sulle ragioni della caduta dell’impero romano, ma su quelle della sua creazione, che non sembrava rientrare nelle intenzioni dei fondatori dell’Urbe. Di recente la CNN è andata invece a cercare spiegazioni all’attuale degrado della capitale italiana da un altro storico, Matthew Kneale, autore di Roma, una storia di sette saccheggi. Il primo risale a Brenno, l’ultimo al periodo che va dal 1870 al 1943 con i Sabaudi e Mussolini accomunati dal fatto, secondo ovviamen-te Kneale, di aver usato la città eterna come “ trofeo ideologico”.Questa natura di “trofeo ideologico” implica che Roma vive in qualche modo di rendita, anche se non fa decisamente la bella vita, sui suoi 2000 e passa anni di storia, per cui i suoi fallimenti non rappresentano un metro accurato per valutare l’opera di chi la governa. In effetti, la storia di Roma capitale d’Italia è diversa da quella di tutte le altre capitali europee, da Pa-rigi a Madrid fino a Londra, che sono state il nucleo forte attorno a cui sono stati costruiti i moderni Stati nazionali. Forse c’è qualche somiglianza con Berlino, capitale della potenza unificatrice della Germania, la Prussia, come il regno sabaudo lo è stato per l’Italia. Solo che Torino non gli bastava e ave-va bisogno di mettersi l’Elmo di Scipio. Il paragone con Berlino calza anche per i tempi più recenti, quando la Germania riunificata ha avuto bisogno di riappropriarsi proprio come di un trofeo della vecchia capitale.Berlino somiglia a Roma anche perchè è in una regione non particolarmente sviluppata economicamente rispetto ai Länder più ricchi e avanzati, ma se la passa decisamente meglio del Brandeburgo da cui è circondata e da cui

Roma Capitale, la storia di uno scambio ineguale

di VIRGILIO

CHELLI

Scen

aris arrivano ogni giorno 100.000 pendolari. Proprio come Roma rispetto al resto

del Centro-Nord e nei confronti del Lazio. Come Roma inoltre, anche Berlino potrebbe dover fronteggiare presto seri problemi finanziari, con un deficit annuo di bilancio che gli esperti stimano in 2 miliardi di euro, se entro il 2019 non dovesse essere rinnovato il “patto di solidarietà”, un programma inventato da Kohl e rinnovato nel 2005 per 156 miliardi di euro, che fornisce sostegno alle economie dei nuovi Stati Federali emersi dall’unificazione, e che viene finanziato da un’addizionale del 5,5% sulle imposte sul reddito. Fondi a cui Berlino, in quanto capitale federale e del Brandeburgo, attin-ge copiosamente. Berlino inoltre può contare sui fondi del Hauptstadsfi-nanzerungsvertrag, parola impossibile da scrivere senza l’aiuto del copia e incolla, che indica il sostegno finanziario per cultura, mobilità e sicurezza della capitale germanica, che in questo caso non si misura in miliardi ma in decine, massimo centinaia di milioni di euro.Uscendo dai confini europei, il percorso per diventare capitali è molto diver-so. Negli Stati Uniti d’America la scelta, che risale alle origini ed è diventata con la crescita dell’Unione una regola ferrea, è che la capitale di uno Stato non deve mai coincidere con la città più popolata o più importante econo-micamente. Albany è la capitale dello Stato di New York, Sacramento della California, Austin del Texas, Springfield dell’Illinois e Tallahassee della Flo-rida. Il motivo è semplice e razionale, come molte cose nella governance della superpotenza: evitare che la città più forte faccia solo i suoi interessi a scapito di quelli del resto del territorio. In Sudamerica vige più o meno la regola europea, con la notevole eccezione del Brasile che la capitale se l’è costruita nuova di zecca nel 1960, dandole il suo nome e mandando in pensione Rio de Janeiro dopo 200 anni di servizio. In Asia è invece aperto il dibattito sullo spostamento delle capitali dalle megalopoli in situazioni urbane più gestibili, come nel caso dell’Indonesia, dove il Presidente Susilo Bambang Yudhoyono ha aperto un dibattito sulla delocalizzazione del go-verno da una Jakarta super-inquinata e affollata di nove milioni di persone.

Questione di governanceIl problema comunque, soprattutto per Roma ma anche per molte capita-li del mondo, è la governance. L’amministrazione capitolina è gravata di troppi compiti, dalla mobilità ai rifiuti fino alla sicurezza, che potrebbero essere affidati ad agenzie autonome, non necessariamente con compe-tenze circoscritte al perimetro del comune. Oppure si potrebbe pensare a un break-up, come si fa con le multinazionali troppo grandi che diventa-no monopoli o con le banche too big to fail e per questo anche too big to bail, vale a dire troppo grandi per lasciarle fallire ma anche troppo grandi per riuscire a salvarle. Uno dei grandi vantaggi di Milano rispetto alla ca-pitale è di essere piccola, anche se l’area metropolitana è forse più vasta.

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12 13 CIVILTÀ DI CANTIERE N. 02 2019N. 02 2019 CIVILTÀ DI CANTIERE

Scen

aris Grandi "pezzi" di città sono municipalità a se stanti, come Sesto San Gio-

vanni. Ma le aziende dei trasporti e dell’ambiente coprono l’intera grande Milano, con un coordinamento con la Regione che funziona bene. L’Eur non potrebbe diventare un comune a sé? E perché non Prati-Balduina-Monte Mario? O l’immensa area da Ponte Milvio a Prima Porta? Ogni sub-sezione di Roma ha esigenze e problemi molto specifici da risolvere. Una capita-le circoscritta al perimetro delle Mura Aureliane sarebbe sicuramente più gestibile e potrebbe affrontare meglio i problemi che sono solo suoi, come la valorizzazione del patrimonio monumentale e artistico, la congestione da turismo, etc. Il Quirinale e qualche ministero del centro potrebbero di-ventare musei e ospitare la sterminata quantità di opere oggi accatastate nei depositi, mentre qualche ufficio governativo potrebbe spostarsi nelle caserme di Prati.Un break-up non svaluterebbe il trofeo della romanità a cui tenevano tan-to piemontesi e Mussolini. Oppure si potrebbe addirittura fare a meno del trofeo. Roma non ha bisogno di essere capitale d’Italia per essere un cen-tro di potere a livello globale, per questo bastano e avanzano il Papa e il Vaticano. Bologna, ad esempio, sarebbe una perfetta Washington italia-na, manca solo un aeroporto all’altezza, l’alta velocità, le autostrade e la buona amministrazione ci sono già. E Roma potrebbe togliersi di dosso l’epiteto infamante di “ladrona”. Che poi, a ben vedere, i ladroni o supposti tali, dai tempi della Prima Repubblica e anche prima, sono scesi a Roma dal Nord, come Brenno, o saliti dal Sud, come i Vandali del sacco di Roma del 455 dopo Cristo, che pur essendo di origine germanica alla fine si erano stabiliti a Cartagine.

Abbattere il costo della distanzaE i posti di lavoro che, insieme al reddito che generano, verrebbero persi con la perdita dello status di capitale? Qui ci viene in soccorso uno studio recente della grande casa di consulenza Bain & Co. secondo cui il territorio rurale costituisce la più importante risorsa per lo sviluppo economico nei paesi avanzati, a cominciare da Stati Uniti ed Europa. Una risorsa, inutile dirlo, che a Roma e in tutto il Lazio abbonda. Bain parte dalla considera-zione che le nuove piattaforme tecnologiche stanno abbattendo fino quasi ad annullarlo il “costo della distanza”, nel senso che un’infinità di cose e di lavori si potranno fare senza bisogno di spostarsi. Questo dovrebbe spingere gli investimenti nelle aree extra-urbane, dove la gente comincerà a spostarsi in cerca di una miglior qualità della vita, senza dover rinunciare a nulla di quello che oggi offre la grande città: da un lavoro magari ben pagato, alla disponibilità illimitata di beni e servizi. Una qualità della vita migliore fatta anche, se non soprattutto, di costi più basti per le necessità primarie: dall’abitazione fino ai trasporti, che forse in questo scenario non

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arisservirebbero quasi più, almeno per quanto riguarda i pendolari. Lo studio

calcola che entro il 2025 la popolazione ex urbana degli Stati Uniti potreb-be addirittura superare quella che vive nei grandi perimetri urbani, con un movimento paragonabile all’esodo degli anni ’50 e ’60 dai centri delle città alle villette mono o bi-familiari delle periferie con il praticello, il garage e il parco di fronte dove portare il cane. Le metropoli in questo scenario do-vrebbero continuare ad attrarre le fasce estreme della popolazione: i red-diti e le professionalità più elevati e quelli più bassi. Un capovolgimento rispetto a quello di qui abbiamo esperienza: finora il “costo della distanza” è stato abbattuto concentrando persone e cose, ora la tecnologia lo eli-mina e ci si può disperdere. Sulla base di tutto questo possiamo provare a immaginare la combinazione di una governance meno accentrata su un sindaco e una grande municipalità cui fa capo tutto, e di un futuro fatto di alleggerimento demografico della metropoli a favore del territorio circo-stante, costituito dal Comune con il territorio agricolo più vasto di Europa, e da una provincia e una regione dove la vocazione agricola e quella turisti-ca sono fondamentali.

Puntare sul rilancio dell’agricolturaTeniamo conto che nel 2019 puntare sullo sviluppo del settore agricolo non vuol dire certo un ritorno al passato, ma una scommessa sul futuro. Dalla Grande Crisi del 2008-09 l’agricoltura italiana è il settore che ha retto me-glio in termini di crescita del prodotto e del reddito. Secondo i più recenti dati Istat, il peso dell’agricoltura sull’intera economia italiana è al 2,1% e, se si include l’industria alimentare, si arriva al 3,9%, con l’occupazione che cresce dello 0,7%. Mentre in termini di crescita generale l’Italia è il fanalino di coda europeo, non è così per l’agricoltura, visto che nella Ue a 28 aumen-ta la produzione, ma solo dello 0,6%, mentre scende ben del 3,8% il reddito agricolo. L’Italia si conferma così il primo paese europeo per valore aggiun-to nel settore agricolo e il secondo per valore della produzione. Anche se in modo meno appariscente che in altri settori produttivi, l’agricoltura è tra quelli che ha tratto maggior vantaggio dalla rivoluzione tecnologica, non solo in termini di macchinari e sistemi che ormai sostituiscono in tutto le braccia umane, ma anche di digitalizzazione di tutto il sistema della logi-stica e dei trasporti, che ha “avvicinato” mercati una volta irraggiungibili per produttori che non fossero grandi multinazionali.La conclusione è che una ricetta possibile per tentare di superare l’ingab-biamento di Roma in quella che potremmo chiamare la “trappola della ca-pitale” è una rivoluzione della governance nel segno del decentramento, capace di assecondare i mega-trend in atto in tutto il mondo; un modello sviluppato come quello dell’abbattimento del costo della distanza e della rivoluzione tecnologica e digitale.

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14 15 CIVILTÀ DI CANTIERE N. 02 2019N. 02 2019 CIVILTÀ DI CANTIERE

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aris

Un laboratorio in movimento per la promozione e lo sviluppo Immobilia-re in cui i professionisti, le associazioni, gli enti pubblici e i privati rifletto-no sul futuro della Capitale.

L’edilizia costituisce per Roma un settore economico nevralgico. Forse più che in altri luoghi e per altre città vale lo slogan che: “se va l’edilizia tutto va”. Ma da diversi anni il settore delle costruzioni, dopo una stagione per molti versi di forte crescita, dalla fine del decennio precedente è entrata in crisi e con essa è iniziato il degrado progressivo della città.Il mattone di un tempo oggi appare un mondo sconfitto, o per lo meno emarginato, incapace di essere protagonista né sul mercato né sul fronte delle idee. Non sembra essere in grado di intercettare e rielaborare il cam-biamento. Quel cambiamento che in altre parti d’Italia sta facendo ripartire il settore, mutando ruoli, funzioni e prodotti. Un settore che sembra ripro-porre modelli relazionali e di business tradizionali che hanno ben poche pos-sibilità di affermarsi di fronte a un interlocutore amministrativo e politico in gran parte paralizzato e incapace di affrontare la complessità di una città che è allo stesso tempo “caput mundi”, capitale d’Italia, città metropolitana e città di città, vista la dimensione media dei suoi municipi.Esiste una difficoltà oggettiva, ma allo stesso tempo emerge la necessità di uno scarto di mettere in campo qualcosa di nuovo per affrontare il tema della rigenerazione di Roma con strumenti nuovi.

Un laboratorio per la nuova ediliziaIn questo scenario, dove sembra mancare una classe dirigente in grado di ricomporre attorno a sè un progetto di futuro per la città, tra le iniziative in “movimento” che nascono all’interno della filiera delle costruzioni, vi è sicu-ramente il Lab di Aspesi, l’Associazione Nazionale delle Società di Promozio-ne e Sviluppo Immobiliare. A coordinare il progetto l’ex presidente di ANCE nazionale e di Roma, Paolo Buzzetti. “Il Laboratorio – afferma Buzzetti - si propone come un luogo aperto di discussione e di riflessione, dove singoli professionisti, associazioni, enti pubblici e privati, rappresentanti di aziende e di imprese possono portare il loro contributo per un dialogo e un confronto. Un laboratorio nel vero senso della parola, dal quale vogliamo fare emerge-re le potenzialità progettuali della città, utilizzando anche competenze ed esperienze esterne al nostro territorio, ricorrendo anche al tessuto produtti-

Un’azione di sistema urgente e necessaria

L’intervistaa PAOLO

BUZZETTI

coordinatore

Rigeneration Lab

Aspesi Roma,

di MARTINO

ALMISISI

L’intervista

Scen

aris vo e finanziario che si riconosce in Aspesi. Vi possono essere diversi modi di

lavorare per restituire a Roma un futuro che oggi appare quanto mai diffici-le e poco edificante. Noi crediamo che si debba partire dal “basso”, che sia necessario un metodo fondato sula maieutica, ovvero sul far crescere idee e proposte attraverso un confronto di esperienze e competenze differenti. Parallelamente riteniamo quanto mai utile rimettere in gioco progetti che nel corso degli anni sono stati proposti, ma che non hanno trovato la giusta attenzione da parte dell’amministrazione capitolina. Rigenerare Roma vuol dire ricucire la frammentazione attuale di interessi per convogliarli verso un grande generale progetto per questa città, che non può non confrontarsi con le sue vocazioni, anche guardando ai profondi cambiamenti che caratteriz-zano l’attuale momento storico: dalla quarta rivoluzione industriale alle po-tenzialità della digitalizzazione, agli effetti del cambiamento climatico, a un diverso e più integrato rapporto tra pubblico e privato e tra amministrazione della città e ruolo attivo della cittadinanza.”Per Buzzetti il laboratorio costituisce una risposta concreta a un’esigenza diffusa all’interno degli strati della società e dell’economia del territorio, an-che con l’obiettivo di ricompattare quel nucleo di classe dirigente in grado di orientare poi la politica e una visione condivisa su ciò che Roma deve candi-darsi ad essere.

Tre tavoli per tre temi strategici“Sono convinto che ci voglia un'azione di sistema, attraverso una riflessione strategica comune, un’agorà dove poter entrare in connessione, raccogliere proposte e trovare soluzioni per far ripartire l'economia. Abbiamo individua-to tre macro tematiche intorno alle quali abbiamo promosso dei tavoli di riflessione. Temi tra loro intrecciati e integrati. Il primo riguarda la rigenera-zione urbana, intesa come l’ambito privilegiato attraverso cui realizzare una riqualificazione degli spazi e dove attrarre investimenti privati, dando così risposte adeguate alla domanda di una migliore qualità della vita e dei ser-vizi, ragionando sui processi di densificazione in cui valorizzare anche le pro-poste e la disponibilità delle associazioni cittadine e di volontariato. Dalla rigenerazione nasce una nuova prospettiva e una rivalutazione della filiera delle costruzioni che potrà così tornare a dare il suo contributo alla crescita economica della città. Vi è poi la questione nevralgica delle infrastrutture di mobilità, ad assicurare un sistema totalmente diverso e ben più efficiente di quello attuale sul quale pianificare la trasformazione a venire della città metropolitana. Un sistema di mobilità che deve essere immaginato e pia-nificato in una logica di sostenibilità e a cui collegare le reti dei servizi, sa-pendo trasformare l’attuale gap in termini di funzionalità ed efficienza in un vantaggio, utilizzando al meglio le soluzioni digitali e dell’innovazione tecnologica. Questioni queste che attengono a una nuova visione in cui si

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L’intervista

s intrecciano concetti come la Smart City e gli obiettivi della Green e della Cir-cular Economy. È proprio in questo ambito che vanno collocate alcune delle risorse straordinarie di cui Roma dispone: il patrimonio storico monumenta-le e la sua ricchezza culturale che potrebbero diventare motore di sviluppo anche economico e l’agro romano, che nell’era della sfida delle Urban Farm può costituire un valore unico a livello nazionale.”

Un anniversario come occasione di rilancioRoma città metropolitana e Roma Capitale come conciliarle? Per Buzzetti è necessario riprendere a riflettere e a rilanciare concetto e valore del ruolo, ri-chiamando l’intero Paese alle sue responsabilità e allo stesso tempo crean-do le condizioni affinché funzioni e attività possano essere svolte al meglio senza gravare sulla normale attività metropolitana. E allora, quale occasione migliore della ricorrenza nel 2021 del 150° Anniversario della costituzione di Roma quale Capitale d’Italia? “Restituire a Roma pienamente il suo ruolo di Capitale invertendone il declino - sottolinea il coordinatore del Lab di Aspesi – è fondamentale per tutto il Paese. Per sensibilizzare e favorire un impegno generale in questo senso all’interno dell’esperienza del Laboratorio è nata la proposta di celebrare nel 2021 il 150° anniversario. Si è così costituito un Comitato, con lo scopo di promuovere e stimolare ogni iniziativa utile per valorizzare il ruolo di Roma quale Capitale d’Italia. Le iniziative potranno riguardare ambiti culturali, economici, finanziari, immobiliari, di sicurezza e fruibilità del tessuto urbano, con progetti tesi a valorizzare il patrimonio pubblico e i beni comuni esistenti. Questo importante anniversario è una occasione da non perdere, che può e deve coinvolgere le migliori forze del nostro territorio, per ricordare come dal passato si possa trovare nuovo slan-cio per il futuro.”

Scen

aris

L’intervistaSolo un anno fa Unindustria Roma presentò un piano strategico per il rilancio della città in due fasi.

Erano i primi di luglio del 2018 quando il presidente di Unindustria Roma, Filippo Tortoriello, insieme a The European House Ambrosetti, presentò il progetto “Roma Futura: 2030-2050” basato su un’analisi degli scenari stra-tegici e delle azioni necessarie per rilanciare la città e pianificare uno svilup-po con due orizzonti temporali di riferimento, il 2030 e il 2050. È passato un anno e Unindustria ha consolidato il proprio ruolo di attore di riferimento per un rilancio di Roma, con un’assidua attività di relazioni, di comunicazione e di networking. Senza tralasciare un impegno particolare per costruire un dia-logo costruttivo con la giunta capitolina. Dietro a tutto questo c’è un disegno e una strategia.Per il presidente di Unindustria “il problema di Roma è l’assenza di una vi-sione. Sono oltre 20 anni che manca, quando invece proprio la pianificazione del futuro deve essere la principale prerogativa della politica e di chi è chia-mato a guidare l’amministrazione di una città come Roma. Si tratta di una visione che deve avere a cuore un costante miglioramento della qualità della vita dei cittadini e che non può prescindere dalla creazione delle condizioni per favorire quell’effervescenza economica, essenziale per creare la ricchez-za necessaria per svilupparsi e trasformarsi. Roma è la città con la più alta concentrazione al mondo di siti culturali, il suo Centro Storico è interamente patrimonio Unesco ed il luogo dove è possibile ripercorrere la storia della civiltà occidentale e non solo: un simbolo di innovazione sociale e culturale da 26 secoli.”Per Tortoriello dotarsi di una visione per la Roma del futuro vuol dire guar-dare lontano e non si può prescindere dalla percezione dell’importanza che Roma riveste per tutti cittadini del mondo.

Venendo all’attuale situazione critica in cui versa la città come bisognereb-be muoversi? E quale ruolo deve svolgere la componente industriale della classe dirigente romana?Come industriali abbiamo la responsabilità di agire e di essere un interlocu-tore propositivo. Da qui il lavoro svolto in questi anni, partendo dalla certez-za che oggi nel mondo la competizione non è più solo tra imprese bensì tra territori. È pertanto essenziale per il tessuto imprenditoriale e produttivo

Un Masterplan per la città più bella del mondo

a FILIPPO

TORTORIELLO

presidente di

Unindustria Roma,

di A.M.

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operare all’interno di un territorio in grado di competere ai massimi livelli. Ciò significa creare le condizioni per attrarre investimenti, competenze, co-noscenza e innovazione, creando così un mercato dinamico, forte, fondato su certezze e su una programmazione trasparente e rigorosa. Tutte condi-zioni che oggi a Roma non si riscontrano, quando tutte le maggiori città del mondo ormai si sono dotate di una strategia di sviluppo e di una pianifi-cazione almeno ventennale. Per questo Unindustria ha deciso di mettere a disposizione una riflessione e una ipotesi organica e strutturata di pro-gettazione con queste prospettive temporali. Ci siamo posti alcuni obietti-vi facendo riferimento a parametri e a indicatori imprescindibili per essere attrattivi e competitivi: una città interazionale perché fa crescere l’export e la spesa dei turisti stranieri; una città dinamica perché capace di triplicare in 30 anni la sua capacità brevettuale; una città ad impatto zero perché in grado di produrre il 10% dell’energia rinnovabile di tutta la Nazione; una cit-tà a disuguaglianza zero perché azzera i gap tra centro e periferia. Obiettivi ambiziosi, ma misurabili, che necessitano di un approccio sistematico e non emergenziale, di una strategia complessiva che riguarda le infrastrutture, la reputazione, l’efficienza amministrativa, la tecnologia, la cultura. È ovvio che se guardiamo alla situazione attuale di Roma, senza una pianificazione pluriennale, una stima seria delle risorse necessarie e delle fonti di finan-ziamento, il ritardo con le altre Capitali e città internazionali è destinato ad allargarsi.

E quale è stata la vostra riflessione e il vostro percorso per dotare la città di un metodo e di strumenti in grado di raggiungere obiettivi come questo?Una volta deciso che dovevamo svolgere un ruolo attivo abbiamo avviato un’ampia attività di brainstorming coinvolgendo innanzitutto le università presenti a Roma, così come i principali stakeholders, invitandoli a collabora-re nel segno di una responsabilità dovuta alla città e a noi stessi. Da questa fase è emerso un consenso e sono state poste le premesse per la messa a punto di una metodologia da sviluppare con un partner in grado di raccoglie-re tutte le istanze, le idee e le proposte per inserirle in un progetto organico. Così ci siamo rivolti a tre società specializzate, finendo per individuare nella European House Ambrosetti l’interlocutore a noi più affine rispetto sia ai presupposti che agli obiettivi. Questa collaborazione ha portato alla stesu-ra di una matrice metodologica per un Masterplan che abbiamo sottoposto innanzitutto al nostro advisor board interno, composto da imprenditori e rappresentanti autorevoli della cultura e della ricerca. Una volta condiviso il documento strategico, abbiamo provveduto a verificarne la validità con una serie di incontri, prima con le altre associazioni imprenditoriali e successiva-mente con i sindacati, per poi approdare ad un confronto con le istituzioni e con i rappresentanti delle forze politiche territoriali, con la sola eccezione

dell’amministrazione comunale, con la quale, in questa fase, non siamo riu-sciti ad ottenere un colloquio.

Quali sono i cardini della proposta del Masterplan? Partendo dall’evocativa immagine di Roma Caput Mundi, il documento stra-tegico è stato progettato e costruito intorno alla visione di Roma "città più bella del mondo"; per rispondere alla domanda di come renderla attrattiva, puntando a un’idea assoluta di bellezza, da costruire intorno alle sue vesti-gia storiche, a cui collegare un sistema di servizi e di infrastrutture adeguate alla loro valorizzazione. Tutto ciò nella convinzione che un piano così pensa-to e realizzato avrebbe conseguentemente apportato una sempre migliore qualità della vita, anche ai residenti. Un piano che include le attuali criticità che la città sta vivendo: dalla mobilità ai rifiuti, alla manutenzione, proiet-tandole in una visione futura al 2030 e al 2050, senza mai perdere di vista il riferimento e il confronto con lo scenario internazionale. Ciò ha portato ad individuare un secondo fattore caratterizzante il Masterplan, quello di fare di Roma la sede del principale Think Tank sull’evoluzione delle città, in quanto centri principali dello sviluppo dei territori e dell’economia mondiale. Un "pen-satoio" permanente in cui coinvolgere le massime autorità della conoscenza e i maggiori operatori dell’innovazione e della ricerca, applicato alle trasforma-zioni e alla crescita della città sotto i più diversi punti di vista: dall’urbanisti-ca alla mobilità, dal concetto di Smart city all’economia circolare. È nato così "Rinascimento Roma", il progetto presentato lo scorso Aprile, dove, insieme alle altre 6 principali Associazioni imprenditoriali di Roma (Acer Roma, Coldi-retti Roma, Confcommercio Roma, Cna Roma, Confesercenti Roma, Federla-zio), abbiamo messo in evidenza le principali criticità attuali offrendo piena disponibilità per lavorare a una serie di soluzioni per superarle: le datoriali che rappresentano l’80% delle imprese occupate e il 70% del PIL della Città metropolitana di Roma chiedevano congiuntamente un cambio di passo. E finalmente il 16 maggio siamo riusciti ad aprire un dialogo con la sindaca e la giunta capitolina. Un dialogo che purtroppo non si è consolidato ancora sul piano operativo, come da noi ipotizzato, e che avrebbe dovuto, invece, con-cretizzarsi nella costituzione di un gruppo di lavoro per passare dalla fase pro-gettuale a quella dell’attuazione, individuando risorse, strumenti e soluzioni in grado anche di agire sui meccanismi decisionali e gestionali della macchina amministrativa. I termini che ci eravamo posti per avviare il gruppo di lavoro sono scaduti ma non disperiamo che si possa ripartire. Nel frattempo, abbia-mo lanciato alcuni progetti paralleli, sempre con l’obiettivo di fornire all’am-ministrazione pubblica alcune possibili soluzioni a problemi nevralgici, quali, ad esempio, lo smaltimento dei rifiuti. Visione, pianificazione, progettualità, ma anche soluzioni concrete secondo precisi e rigorosi piani di fattibilità, ecco l’impegno di Unindustria per la città più bella del mondo.

L’intervista

s Scen

aris

L’intervista

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L’opinionedi WALTER TOCCI

politico e scrittore

L’opinione

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Scen

arisCapovolgere il modello

per una nuova RomaSc

enar

is spazio pubblico. L’articolo di Edoardo Zanchini1 offre un vademecum, anzi qualcosa di più, un capitolo del programma di governo. Il recupero urbano, d'altronde, corrisponde a un'antica attitudine romana, ex malo bonum, re-centemente riscoperta dalla più bella opera d'arte contemporanea: I Trionfi e i Lamenti rappresentati da William Kentridge asportando le muffe dei mu-raglioni dei Lungotevere.

Potenziare la rete infrastrutturaleCerto, il recupero dell'esistente deve poggiare su una potente struttura dei trasporti. Bisogna riprendere la cura del ferro. E basta con la favoletta che mancano i soldi. Quasi due anni fa il ministro Delrio assegnò circa mezzo miliardo per la manutenzione delle metro A e B. Quei soldi non sono ancora stati spesi, e sono rimaste chiuse alcune stazioni del centro. Negli ultimi venti anni il Comune non ha portato al ministero nessun progetto esecutivo per il finanziamento di nuove opere di trasporto oltre quelle già in cantiere: nessun nuovo tram, metro o ferrovia. Mentre i politici romani ripetevano la cantilena dei soldi mancanti, gli amministratori di Napoli e Milano presenta-vano progetti esecutivi e ottenevano 3-4 miliardi di euro. Il fondo nazionale degli investimenti non è ancora impegnato per il 70%. Non mancano i soldi, mancano la volontà politica e soprattutto la capacità progettuale.

Infine, capovolgere il modello di capitale significa affrontare con coraggio i due più grandi problemi di Roma: Atac e Ama. Diciamo la verità, non sono più servizi pubblici, sono pericoli pubblici. Sono pericoli per il bilancio comu-nale e soprattutto per la vita quotidiana della città. Sono carrozzoni ineffi-cienti e corporativi che dissipano risorse all'interno e solo quello che avanza lo danno ai cittadini. Ed è sempre di meno. L'Atac oggi produce un servizio inferiore al livello per cui è finanziata dal Comune. La media della produ-zione è diminuita del 30% rispetto ai primi anni Duemila, ma in periferia la diminuzione supera il 50%. In alcune borgate sono rimaste solo le paline a testimoniare che una volta ci passava l'autobus. Atac e Ama fanno male soprattutto alla povera gente. La sinistra non dovrebbe essere indulgente verso questi carrozzoni, che vanno rivoltati come un pedalino, non solo per renderli più efficaci, ma per ripensarne la logica di funzionamento.

Le nuove generazioni non avranno più il mito dell'automobile in proprietà e useranno in modi intelligenti i mezzi della mobilità sostenibile, car-sharing, car-pooling, bici, pattini elettrici e altre tecnologie. Le aziende pubbliche del futuro dovranno sostenere questa capacità dei cittadini di scegliere diverse

1 Edoardo Zanchini, Rigenerare Roma: come?, in “Il Mulino", n.2 (marzo-aprile) 2019, pp.223-231.

Il testo che segue è un estratto di una analisi più articolata e ampia che è stata oggetto di un intervento svolto dall’autore in occasione della pre-sentazione del numero 2 (marzo-aprile) 2019 della rivista Il Mulino, dove viene dedicata una sezione a ROMA A.D. 2019, tenutasi il 6 giugno 2019. Il testo integrale lo si può leggere su waltertocci.blogspot.com.

Se Roma non è solo romana e italiana, allora deve affermarsi come prota-gonista delle relazioni internazionali, come luogo di iniziative per la coope-razione economica nord-sud, per il dialogo interreligioso, per la diplomazia formale e informale contro le guerre, per il futuro dell’Africa ovvero per la principale questione geopolitica del secolo. Roma deve qualificarsi come capitale del Mediterraneo per convincere l’Europa a non girare più le spalle all'antico mare. Il Mediterraneo non è il confine, è l’origine dell’Europa.

La cultura è la potenza di Roma, ma è stata usata solo come rendita ricevuta dalla storia. Lo conferma, ad esempio, l’organizzazione turistica che ha dor-mito sugli allori, senza offrire servizi innovativi. Si può gestire molto meglio con benefici per i turisti e per i cittadini, ma il forte aumento della domanda rischia di accentuare i conflitti tra loro se non cambia radicalmente il mo-dello di accoglienza e di fruizione. Soprattutto l’eredità va arricchita da una produzione culturale contemporanea, anche al fine di attrarre la gioventù da tutto il mondo. Come dimostra Berlino, dopo l’unificazione la fortuna di una città dipende in grande parte dalla presenza dei giovani che creano l’humus per le sperimentazioni culturali. Ci sono tutte le condizioni per fare di Roma una centro di formazione a livello internazionale sui beni culturali, sull'ar-te, sulla filologia classica, ma anche su alcuni settori della scienza e della tecnologia, dalla fisica all'ingegneria spaziale. L'innesco potrebbero offrirlo le circa cento accademie e università straniere residenti a Roma, in stretto coordinamento con le nostre istituzioni culturali.

Capovolgere il vecchio modello di capitale vale anche per la rendita immo-biliare. Basta con il consumo di suolo nella campagna romana, ora si deve migliorare la città esistente. Abbiamo alle spalle più di un secolo di sciagure urbanistiche ed edilizie. Se recupereremo ciò che è stato fatto male, ci sarà lavoro qualificato per il secolo che viene, nel risparmio energetico, nella ri-conversione del capitale fisico, nella resilienza ambientale, nella cura dello

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L’opinione

22 23 CIVILTÀ DI CANTIERE N. 02 2019N. 02 2019 CIVILTÀ DI CANTIERE

Scen

aris modalità di trasporto, dovranno integrare i mezzi innovativi e flessibili con

le tradizionali reti fisse, e governare i big data dei flussi di mobilità. Ana-logamente, i rifiuti, invece di caricarli sui treni verso il Nord, almeno quelli biologici potrebbero essere usati come concime negli oltre tremila ettari di terreni agricoli di proprietà comunale; sarebbe l'avvio dell'economia circolare di cui parla Zanchini. Non abbiamo più bisogno di vecchie aziende pubbli-che fordiste basate solo sulla forza lavoro di venti mila dipendenti, peraltro gestita molto male, ma di imprese pubbliche innovative che accompagni-no i cambiamenti degli stili di vita. Il servizio pubblico del futuro consisterà nell'organizzazione dell'intelligenza sociale. Sarebbe fantastico se si affer-masse una nuova idea di servizio pubblico proprio dove è naufragata la vec-chia concezione.

Governare Roma non è solo responsabilità localeQuando si rinuncia a tali ambizioni, vince il provincialismo dei sindaci che vanno con il cappello in mano a chiedere al governo qualche soldo in più. Anche quando ottengono qualcosa, la città paga un prezzo in termini di di-scredito nazionale per il trattamento di favore, come è già accaduto. Bisogna ricordare ai sindaci che governare Roma non può essere una rivendicazione municipale, è una responsabilità nazionale e internazionale.Si ponga fine alla gestione commissariale del debito che è servita solo ad Alemanno per raccontare la menzogna del buco inesistente e ottenere dalla Lega di Bossi e Tremonti il taglio degli investimenti della legge Roma capi-tale in cambio dell'allentamento dei cordoni della spesa corrente per le as-sunzioni facili all'Atac e all'Ama. La capitale per sé non ha bisogno di tratta-menti di favore, ce la può fare con le proprie forze se ottiene dal Parlamento una coraggiosa riforma istituzionale.Il vecchio Comune è obsoleto, è troppo grande e troppo piccolo. Troppo grande rispetto alla vita di quartiere e ai servizi alla persona. Troppo piccolo rispetto ai processi demografici, economici, ambientali e logistici che han-no superato di gran lunga i confini municipali. Lo dico crudamente: bisogna cancellare il vecchio Comune per trasferire le sue funzioni in basso verso gli attuali Municipi, trasformandoli in veri Comuni indipendenti - sulla cui porta si dovrà scrivere: qui è vietato dire non è di mia competenza - e in alto verso la Città Metropolitana che oggi è una scatola vuota, ma può diventare il go-verno strategico dell'area vasta.Poi, se si aprirà una vera riforma del regionalismo, non quello differenzia-to che spacca il Paese, ma la riduzione del numero, con regioni più grandi, si potrà proporne una più piccola, la Regione della capitale. Sarebbe l'occa-sione per conferire il potere legislativo alla città, aiutandola così a svolgere il primario compito internazionale. Roma aperta al mondo e che accoglie il mondo.

L’intervista

Scen

aris

In un saggio l’autore e professore Alfredo Macchiati analizza la situazio-ne critica in cui versa la nostra Capitale e prova ad individuare le soluzioni per fermarla.

Il titolo è A proposito di Roma ed è un saggio che riporta un’analisi reali-stica sulla situazione della città, sulle cause storiche del suo decadimento, sulle vie d’uscita. L’autore è Alfredo Macchiati, docente alla Luiss dopo esperienze nel Servizio Studi della Banca d’Italia e in istituzioni e grandi imprese come Antitrust, Consob, Enel, Ferrovie dello Stato.Roma, secondo Macchiati, si trova in una condizione di grave crisi strut-turale e non si vedono forze in grado di sanare il malessere della città e orientarne l’evoluzione.

Come descriverebbe questa “crisi strutturale”?Quando parlo della crisi di Roma intendo riferirmi al fatto che la produ-zione e i servizi offerti – sia pubblici che privati - stagnano, se non peg-giorano, e non sembrano esservi forze economiche in grado di modificare questa situazione. L’operatore pubblico, il Comune, non è in grado di intervenire né lascia spazio alle forze private, ammesso che ci siano. I cittadini esprimono de-boli forme di malessere e non esercitano una pressione per avere di meglio. Sembra essere intervenuta una forma di rassegnazione e non si determina la pressione necessaria per il cambiamento. C’è una domanda potenzia-le di servizi che non trova le forme per trasformarsi in domanda reale, in quanto da parte dell’offerta nulla si muove.

Non è una storia di oggi, nei quasi 150 anni trascorsi da quando è diventa-ta Capitale, raramente Roma è stata ben governata.Quasi mai in realtà, con le eccezioni dei sindaci Nathan, Petroselli e Rutelli, accomunati da una forte spinta per il rilancio della città, agendo su quelli che erano i suoi problemi. Nathan agì sul piano regolatore e sui servizi, Pe-troselli affrontò il problema delle borgate e Rutelli ha riordinato il Centro Storico e lavorato sui servizi. In almeno due casi quei sindaci si sono circondati da intellettuali – le vitu-perate élite - che avevano una visione, e questo dovrebbe insegnarci qual-cosa.

La “decrescita infelice” si può fermare

ad ALFREDO

MACCHIATI

docente alla

Luiss Guido

Carli di Roma,

di MARCO

PANARA

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25 CIVILTÀ DI CANTIERE N. 02 201924 N. 02 2019 CIVILTÀ DI CANTIERE

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aris

L’intervista L’intervista

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arisMa i periodi “buoni” non sono durati e la città è sempre stata risucchiata

dalla palude. Perché?La ragione principale potrebbe essere che è mancato il capitale industriale. Roma era una piccola città sede della Chiesa, i piemontesi la trasformano in Capitale della nazione dandole un ruolo burocratico, ma il capitale industria-le non è arrivato, e senza quello una città non si modernizza. Non è arrivata la classe operaia, che può anch’essa essere una forza della trasformazione. E se una città non si modernizza esprime una classe politica arretrata. Le forze a Roma sono sempre state la rendita edilizia e la burocrazia, e la politica ha tutelato quelle rendite, senza porsi il problema o avere la volontà di andare oltre. Ricordo che la Dc degli anni ’60 e ’70 era ferocemente contro lo svilup-po industriale di Roma, esprimendo una forte spinta conservatrice.

Cosa resta della rendita fondiaria, è ancora una forza?Sicuramente la crisi del 2008 l’ha ridimensionata, ma è ancora una forza.

Perché l’imprenditoria edilizia non è diventata borghesia?Non so se non è diventata borghesia, certamente non è diventata borghesia industriale, perché i tassi di profitto della rendita erano tali da non rendere conveniente riorganizzarsi. Qualcosa è successo, ma molto poco, perché non c’era nessun incentivo a farlo.

Qual è il quadro della città oggi?Sul piano sociale le città sono due, il centro e la periferia, diverse dal punto di vista anagrafico, dal punto di vista demografico, dal punto di vista culturale, dal punto di vista delle condizioni di vita, dal punto di vista dei servizi, oggi anche dal punto di vista dei flussi elettorali. Sul piano economico, salvo l’industria farmaceutica, che nella provincia ha una presenza importante, il 10 per cento degli occupati è nel settore pubbli-co, l’incidenza delle attività professionali scientifiche e tecniche è di quattro punti percentuali inferiore a Milano e più bassa anche rispetto a Torino e Bologna; tra il 2011 e il 2016 il numero delle società per azioni è diminuito del 13 per cento mentre sono cresciuti del 30 per cento il commercio ambu-lante e del 150 per cento gli affittacamere, segno che cresce una economia di sopravvivenza e diminuiscono le attività strutturate. Il prodotto interno lordo non ha recuperato i livelli del 2008, mentre per esempio Milano lo ha superato.

C’è il turismo però, che è passato dai 5 milioni di presenze degli anni ’90 ai 12,5 milioni del 2017.È cresciuto molto, un vero e proprio boom, ma non possiamo dire che sia cresciuto bene. È un turismo low cost, che sta trasformando il centro storico

senza portare vero sviluppo. Rispetto a Londra, Parigi, Madrid, Barcellona e anche Milano la crescita è decisamente più bassa e le quantità inferiori: in termini di spesa di parla di 4,5 miliardi dollari per Roma rispetto ai 16 di Londra e agli 8,9 di Barcellona. I grandi alberghi a cinque stelle sono aumen-tati (e anche l’industria alberghiera dovrebbe forse concorrere diversamente alla soluzione dei problemi della città, vista la rendita di posizione di cui almeno una parte beneficia), ma manca il turismo congressuale e prevale largamente il turismo di massa che sta cambiando i connotati non solo fi-sici e commerciali ma anche sociali del centro storico, che rischia di perde-re la sua identità. Le altre grandi metropoli d’Europa hanno cominciato ad affrontare la questione del turismo low cost, degli affittacamere e questa dovrebbe essere una delle prime misure. La regolazione dei flussi turistici è una grande questione, di non facile soluzione. Il rischio è che il centro di Roma resti senza una vita propria e diventi solo una meta di frotte di turisti che si accontentano di un’offerta di bassa qualità. In tal modo la città diven-ta sempre meno attrattiva per un turismo di livello alto. Il turismo, insieme alla cultura, è tuttavia anche la prima leva sulla quale costruire un progetto di modernizzazione, bisogna legarli a doppio filo e, collegandosi con le uni-versità, farne un motore di innovazione e modernizzazione della città, at-traverso l’ingresso di nuove tecnologie e imprese. Gestendo i fenomeni tipo Airbnb, sostenendo i negozi storici, salvando l’anima della città, per evitare che diventi solo un museo a cielo aperto.

Non si dovrebbe puntare ad attrarre anche imprese manifatturiere e impre-se tecnologiche?Si dovrebbe, ma realisticamente si deve riconoscere che il gap che ormai si è creato con le altre metropoli è troppo grande. Pragmaticamente si deve par-tire da quello che si ha, rafforzarlo, qualificarlo, farne un motore di sviluppo e non di una economia di sopravvivenza.

Ci sono anche le grandi aziende ex partecipazioni statali.Anche da lì arriva qualche segnale non confortante, l’Eni per esempio, che ha i suoi centri direzionali a Roma e a San Donato Milanese, è sempre più a San Donato. Certo ci sono Poste, Ferrovie, Enel, ma sono presenze non par-ticolarmente innovative perché i centri di ricerca di quelle imprese non sono a Roma, qui ci sono le burocrazie delle corporation. C’è stato un momento in cui si poteva recuperare il gap, è stato all’inizio di questo millennio quando le grandi città del Nord hanno dovuto affrontare la riorganizzazione indu-striale mentre Roma, che non aveva una grande industria egemone (come Torino) o una industria diffusa (come Milano), non ha avuto questo proble-ma. Sarebbe stato il momento giusto per lanciare qualche grande progetto che le avrebbe ridato vitalità e attrattività, ma l’occasione non è stata colta.

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L’intervista

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isL’intervista

Quali sono secondo lei i problemi principali di oggi?È una lista lunga e complicata. Comincio da un problema sottovalutato, ov-vero la presenza della criminalità organizzata. La criminalità organizzata è dovunque, ma dove il tessuto civile, sociale ed economico è più fragile la sua presenza è più forte e invasiva, condiziona la propensione al rischio impren-ditoriale, distorce l’economia, impoverisce la società. A Roma sono presenti oltre 50 gruppi diversi di criminalità organizzata, locale, nazionale ed estera. C’è il problema della casa, sul quale non c’è chiarezza. Secondo alcune fonti il patrimonio abitativo sarebbe sufficiente ma non è allocato bene, secondo altre fonti ci sarebbe una carenza di circa 15 mila alloggi per famiglie che non hanno la possibilità di acquistare una casa o pagare un affitto di merca-to. Sapere come stanno le cose sarebbe un primo passo, cambiare le regole locative e renderle effettive sarebbe il secondo, colmare il gap che ancora restasse tra il patrimonio esistente e le esigenze effettive - che devono te-ner conto della nuova struttura della famiglia, formata spesso da una o due persone - sarebbe il terzo.C’è, macroscopico, il problema dei servizi, rifiuti e trasporti su tutti. Il primo aspetto su cui riflettere è il conflitto di interessi, perché gli operatori del-le municipalizzate sono elettori che votano per l’azionista delle aziende in cui lavorano, il sindaco, e questo rende assai difficile, politicamente, qual-siasi intervento efficace. Bisogna rivedere a fondo il disegno organizzativo; prendiamo ad esempio la gestione dei rifiuti, i cui problemi risalgono molto indietro nel tempo, con nessuno che si è mai preso la responsabilità di co-struire un termovalorizzatore. Ma anche se un termovalorizzatore ci fosse, una cosa che andrebbe fatta è separare le attività industriali da quelle di raccolta. In molti comuni chi raccoglie i rifiuti non è lo stesso soggetto che li tratta. In altri è lo stesso soggetto, ma se si vuole depoliticizzare la gestione dei servizi questa potrebbe essere una strada. Lo stesso vale per i trasporti, mantenere questi moloch di servizi integrati di fronte a livelli di efficienza così bassi non aiuta. Ma il problema chiave, quello dal quale non si può prescindere se si vogliono affrontare gli altri, è la governance del Comune.

Questione annosa. Da dove si comincia?Il Comune di Roma, che è la Capitale del Paese e ha oltre tre milioni di abi-tanti, risponde alle stesse regole che valgono per gli altri nove mila comuni italiani: è ovvio che una cosa così non può funzionare, il territorio del comu-ne è enorme e il livello di centralizzazione è da rivedere. Ci sono varie ipotesi di riforma: dalla trasformazione in un distretto sul modello di Washington DC, con le competenze di una Regione e il suo territorio diviso in Comuni, al rafforzamento della Città Metropolitana, con un potenziamento delle autonomie dei municipi (inclusa la trasformazione di Ostia in un comune

autonomo). Le soluzioni possono essere molte e gli esempi ai quali ispirarsi non mancano. Ciascuna di esse avrebbe comunque il vantaggio di attivare l’indispensabile processo di qualificazione e modernizzazione della struttu-ra amministrativa, il problema dei problemi di questa città. Ovviamente si tratterebbe di una “rivoluzione organizzativa” che incontrerebbe molti osta-coli per essere approvata e poi realizzata.

Volendo sintetizzare una proposta in pochi punti…Avere una amministrazione forte e credibile, riorganizzandone le compe-tenze; puntare su cultura e sulle sue sinergie con l’innovazione; regolare i flussi turistici e salvaguardare il tessuto sociale del centro storico (ad es. sussidiando le botteghe storiche); sviluppare i servizi mediante la riorga-nizzazione industriale, la scomposizione dei moloch delle municipalizzate dei trasporti e dei rifiuti, l’accesso ai privati; gestire il problema della casa basandosi su evidenze più precise circa il fabbisogno, rivedendo le regole di assegnazione; sviluppare le infrastrutture di trasporto. Sarebbe sufficiente per lo sviluppo?Difficile dirlo, ma avviare questi processi è il modo per ricostruire la fidu-cia delle persone, anche la fiducia di chi è disposto ad assumere dei rischi imprenditoriali. Tuttavia non vedo segnali credibili, non vedo una forza politica che riesca ad avere un peso elettorale forte e consensi orientati a portare avanti la modernizzazione della città, né un governo centrale in grado di farsi carico di almeno una parte dei problemi che la affliggono. Se non si muove qualcosa la crisi strutturale, “la decrescita infelice”, potreb-be durare ancora a lungo.

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isAnche Roma può avere il suo “crossrail” come Londra o GDP come Pari-

gi. Basta pianificare ispirandosi alle altre metropoli europee.

Se in una visione ecosistemica della città lo spazio pubblico viene sempre più spesso letto nelle sue funzioni metaboliche per il conglomerato insedia-tivo, le infrastrutture viarie possono chiaramente definirsi arterie in grado di irrorare lo sviluppo urbano. Questo pensiero parte dall’assunto che la mobili-tà rappresenta la dimensione cruciale del vivere contemporaneo, allo stesso tempo punto di forza o criticità tra le più pressanti per le nostre città. È la dimensione che meglio racconta i meccanismi di funzionamento dell’orga-nismo urbano e le relazioni che sottintende.In termini meno metaforici, le armature infrastrutturali e, in generale, i si-stemi di mobilità costituiscono per il territorio - ed in particolare per la città - dei veri e propri strumenti per la modulazione - e rimodulazione - del si-stema insediativo e di uso del suolo. Ciò vale certamente per i nuovi svilup-pi, ma rappresenta un concetto chiave anche per i processi di rigenerazione urbana. Una riflessione sull’adozione di una pianificazione della mobilità come stru-mento per avviare processi di rigenerazione urbana può rappresentare per Roma un approccio utile ad affrontare l’apparente cronicità di alcuni proble-mi che attanagliano la Capitale, come la stagnazione immobiliare, l’incapa-cità di valorizzare grandi aree e contenitori urbani, ma anche una disordinata governance dei progetti di investimento, pur presenti. Senza dimenticare le ormai notorie difficoltà nella gestione della mobilità pubblica. A patto che vengano tenuti a mente tre aspetti fondamentali che legano la pianificazione della mobilità a una programmazione urbanistica strategica:• una prospettiva di lungo termine che aspiri a individuare una visione per

lo sviluppo urbano in grado di generare effetti duraturi e benefici certi;• un approccio integrato, risultato dell’interazione fra più settori, scale e

stakeholder per orientare lo sviluppo del territorio garantendone cresci-ta socio-economica e visibilità nel mercato globale;

• una rosa che contempli molteplici scenari di crescita urbana al fine di garantire maggiore dinamicità, fruibilità e flessibilità dei piani di indi-rizzo strategico.

Diventa in tal senso imprescindibile un approccio alla pianificazione capace di immaginare nuove polarità urbane ad elevata accessibilità e promuova

L’impatto rigenerativo della mobilità

di GIOVANNI

BOTTINI,

DIEGO DEPONTE,

GREGORIO

OLIVETTI

Systematica

insediamenti compatti, innervati da sistemi di mobilità lenta e caratterizza-ti da un’equilibrata mixité di vocazioni dalla valenza metropolitana - grazie all’elevata accessibilità garantita dai nodi di intercambio - e locale - in grado di alimentare la vitalità di quartiere.Una corretta definizione di “ecologia delle funzioni”, a supporto di uno svi-luppo reticolare e multi-centrico, permette l’effettiva riduzione del generale “consumo energetico” che, per la mobilità urbana, si traduce nella riduzione dei livelli di mobilità indotta – tipica dei comparti mixed land use - e nel ri-equilibrio della distribuzione degli spostamenti indotti in contrapposizione alla mobilità urbana radio-centrica, principale conseguenza del monocentri-smo urbano.

L’esempio del GPE di Parigi e altri casiTra gli esempi più virtuosi e capaci di offrire una prospettiva europea di forte suggestione sul ruolo delle infrastrutture strategiche quali veicolo di riorga-nizzazione del tessuto urbano, vi è sicuramente il Grand Paris Express (GPE) di Parigi, a cui Systematica ha collaborato tra il 2008 e il 2014. Il GPE è il più grande progetto urbano attualmente in costruzione in Europa. Ad esso è affidato l’ambizioso obiettivo di riorganizzazione e rigenerare il territorio metropolitano dell’Ile-de-France, sia dal punto di vista infrastrut-turale che da quello economico e sociale.A lavori conclusi, 200 km di nuove linee di metro automatico, 68 nuove stazioni e 7 centrali tecniche arricchiranno l’offerta di trasporto pubblico della metropoli, aumentando connettività e accessibilità dei tre aeroporti internazionali e di tutte le stazioni TGV di Parigi e riducendo notevolmente i tempi di percorrenza, in particolare da periferia a periferia. Il progetto punta soprattutto ad indicare una traccia sul territorio lungo cui riqualificare quar-tieri esistenti e realizzare nuove polarità urbane, migliorando accessibilità e favorendo un riequilibrio tra le aree centrali e quelle periferiche più fragili e depresse. In questo un ruolo cruciale lo gioca la stazione, dove la valenza ur-bana dell’infrastruttura trova massima espressione: atta ad accogliere fun-zioni multiple e di interesse pubblico, essa è intesa come luogo strategico e strutturante in grado di generare ricadute socio-economiche.Altre esperienze internazionali si potrebbero qui richiamare, come il Crossrail londinese o l’anello ferroviario MCC di Mosca aperto nel 2016 - altro proget-to in cui Systematica ha avuto l’opportunità di collaborare. Mentre in Italia l’esempio degli Scali Ferroviari di Milano è forse quello più emblematico del ruolo riformistico delle infrastrutture di trasporto per le città, soprattutto a scala locale dove vanno ad interagire direttamente con il sistema degli spazi pubblici. Gli Scali sono un grande piano per la rigenerazione di aree dismes-se, legato alla proposta di una nuova linea circolare di trasporto pubblico (circle line) finalizzata a ricucire il rapporto tra quartieri e creare nuovi equi-

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Non solo periferie, ma centro storico, monumenti e grandi complessi im-mobiliari collaborano alla definizione di nuovi processi urbani.

I processi di rigenerazione devono, inevitabilmente, confrontarsi con il con-testo socio urbanistico e con il tessuto economico e produttivo in cui si inse-diano, ma anche con la tradizione e la vocazione di una popolazione.Rigenerazione non significa solo recupero delle periferie, ma attivazione di processi trasversali tra urbano e periurbano, al cui interno, necessariamente, centri storici e monumenti devono giocare un ruolo non solo di attrattore turistico e memoria del passato, ma di vero e proprio catalizzatore urbano e sociale, motore di nuovi fenomeni urbani. Oggi Roma appare come una città post-conservativa in cui ai meccanismi stringenti di conservazione e prote-zione dei beni culturali e dell’immagine di un tempo passato, è susseguita una fase di sola manutenzione, oggi giunta pressoché alla paralisi.Eppure, la città simbolo del mondo antico, oggi considerata per molti versi “vecchia”, contiene nella sua tradizione importanti caratteri di innovazione: dall’ingegnerizzazione della città degli antichi romani alle numerose strati-ficazioni che, nei secoli, hanno introdotto nuovi segni, cancellato testimo-nianze, sedimentato simboli e prodotto monumenti. Nulla c’è nulla di più moderno della contaminazione e del layering, processi senza i quali la Capi-tale Italiana non avrebbe la facies attuale, che continua ad attrarre visitatori da tutto il mondo. I Fori e l’Eur, la Roma barocca e quella delle speculazioni degli anni ’60 e ’70, la Roma delle grandi ville e quella dell’edilizia econo-mica e popolare anni ’80, la Roma del Barocco e quella degli anni 2000, del MAXXI, del MACRO, della Nuvola di Fuksas. La sovrapposizione della Roma delle Chiese e dei Palazzi di D’Annunzio a quella antica dei fori repubblicani ed imperiali, l’innesto della città delle palazzine sulla rete di acquedotti e strade consolari millenarie, i segni del Movimento Razionale che, in alcune zone, sovrastano l’impianto cinquecentesco della città, costituiscono una ricchezza complessa che dovrebbe rappresentare, come in passato, un valo-re aggiunto per la città ma che, paradossalmente, sembra essere indagata come principale responsabile dell’impedimento al progresso. Complessità e contraddizione, direbbe Bob Venturi1.

1 Robert Venturi, Complessità e contraddizioni nell'architettura, Dedalo, Bari, 1980.

Smart Heritage: un'opportunità per Roma

di ALESSIA

GUERRIERI

Architetto

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is libri urbani. È un progetto che bene incarna quell’integrazione lungimirante tra sviluppo urbano e pianificazione della mobilità.

La rete ferroviaria suburbana come asset strategico per RomaSono brevi cenni ai numerosi casi studio a cui Roma può ispirarsi nella ri-cerca di una sua peculiare strategia di rigenerazione. Il confronto con altre città europee offre i giusti spunti per decifrare il contesto specifico di Roma e individuarne punti di forza. Le macro-variabili chiave che governano l’uso di città attraverso i sistemi di mobilità permettono di comprendere l’inter-dipendenza fra i vari aspetti nevralgici: popolazione, superficie e densità, su cui va basata l’efficienza e la copertura del trasporto pubblico, riducendo ne-cessità e lunghezza media degli spostamenti; estensione e numero di sta-zioni dell’offerta di trasporto dei sistemi di metropolitana; ecc. Ne emerge, ad esempio, come la rete ferroviaria suburbana costituisca un asset strate-gico per Roma, la cui valorizzazione può diventare importante opportunità per accogliere servizi metropolitani ad alta frequenza. Sono elementi che, per chi di mestiere pianifica la mobilità, permettono di abbozzare alcuni principi di indirizzo:

• investire in sistemi di trasporto pubblico di forza – metropolitana, ove possibile, e servizi ferroviario-metropolitani - con interventi di ammo-dernamento e la creazione di infrastrutture intelligenti in una logica “di rete” e specializzazione che vede linee strategiche di adduzione a sup-porto delle linee di forza;

• l’introduzione di una tecnologia telematica per il sistema stradale - si-stemi di gestione del traffico intelligenti, dinamici, coordinati, attuati o demand-responsive;

• la definizione di nuovi corridoi di trasporto pubblico ad elevato livello di servizio (BRT);

• la sperimentazione di sistemi innovativi (driverless, autonomous shut-tle, ecc.)

• la promozione di una mobilità dolce (walkability) e della qualità del si-stema degli spazi pubblici.

Un lungo processo partecipativo della comunità romana sul tema conferma questi assunti, individuando quali macro-esigenze della città il potenzia-mento delle linee metropolitane e ferroviarie con interventi su offerta e in-termodalità e l’incremento di itinerari e percorsi dedicati alla mobilità dolce. Sono le premesse del PUMS (Piano Urbano per la Mobilità Sostenibile) di Roma, attualmente in fase di adozione, e che ci auguriamo sappia cogliere il carattere strategico della mobilità per un più vasto progetto di rigenerazione urbana.

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is La vocazione contemporanea della città, allora, non può non partire dalla ri-cognizione dell’esistente, dell’immenso patrimonio edilizio – in buona parte di qualità straordinaria - che configura lo spazio pubblico più bello del mon-do e che, al suo interno, ospita stanze vuote e abbandonate.

Dal Posterplan degli anni ’90 ai grandi progetti degli anni 2000Se gli anni ’70 dello scorso secolo sono stati quelli della pedonalizzazione del centro storico e dell’avvio dei grandi progetti di restauro dei complessi im-mobiliari dismessi (ancora oggi in corso), con il passaggio al nuovo millennio la città è stata investita da un dibattito sulla trasformazione che ha aperto a linguaggi contemporanei e sollevato tematiche di trasformazione su tutta la scala urbana.L’idea di città organizzata secondo la politica del planning by doing, pro-mossa dalla prima giunta Rutelli con il Posterplan del 1995 e poi recepita del Nuovo Piano Regolatore Generale della Giunta Veltroni, rappresenta forse l’ultimo esempio di una strategia urbana chiara e univoca articolata sull’in-tero territorio della Capitale. Con il Posterplan, infatti, per la prima volta la città viene vista con un approccio sistemico, mediante la stesura di un pro-gramma urbanistico di nuova generazione basato sulla valorizzazione del si-stema ambientale, sulla cura del ferro e sulla riqualificazione delle periferie. Segue un periodo di cambiamento e rilancio: muta la struttura economica, l’organizzazione istituzionale, l’assetto dell’amministrazione e dei servizi pubblici, il rapporto tra pubblico e privato; cambia anche l’immagine della città che inaugura una stagione ricca di restauri e aperture di nuovi musei, istituisce undici nuovi parchi e riporta di nuovo tra i suoi programmi i grandi interventi di architettura contemporanea. Dopo anni di immobilismo la città, dove sino a quel momento si erano te-nute sole sperimentazioni sull’edilizia residenziale pubblica e sul restauro del patrimonio storico e archeologico, vede per la prima volta la program-mazione e l’avvio di progetti di architetti di fama internazionale: il nuovo Auditorium di Renzo Piano, il MAXXI di Zaha Hadid, il Ponte della Musica di Buro Happold etc, il Macro di Odile Decq, la Nuvola di Fuksas, la nuova Stazione Tiburtina di ABDR, il Museo dell’Ara Pacis e la Chiesa Dives in Mi-sericordiam di Richard Meier. Le opere di architettura pianificate in quegli anni vengono, seppure lentamente, realizzate, così come gli infiniti cantieri per i prolungamenti delle linee metropolitane; inoltre si programmano una serie di interventi di minore rilevanza mediatica, ma importanti segnali di un tentativo di diffondere un nuovo standard qualitativo per l’edilizia roma-na: il polo vescovile di Santa Maria della Presentazione di Nemesi, il centro di quartiere al Laurentino di Cupelloni, la torre Eurosky di Franco Purini, le palazzine di S. Cordeschi a Porta di Roma, il rinnovamento del Palazzo delle Esposizioni, il centro commerciale di Porta di Roma, la realizzazione di nuo-

ve scuole alla Romanina e a Massimina. Sino alla crisi economica globale sono effettivamente molti i risultati raggiunti in termini di polarità urbane riattivate – Eur, Ostiense, Tiburtina, Flaminio – e in termini di crescita di PIL, reddito pro capite e flussi turistici; dati meno positivi, invece, quelli lega-ti all’innovazione, alla risoluzione delle diseguaglianze tra cittadini di zone diverse, alla rivitalizzazione del centro storico non solo in termini ricettivo-commerciali, ma sotto il punto di vista dell’identità, dell’urbanità, del rap-porto con il contemporaneo.

La scena attuale: spazi da ripensareNonostante il fermento di fine anni Novanta ed inizio anni Duemila, al mo-mento la scena romana sembra però sostanzialmente immobile: se molte centralità strategiche del nuovo P.R.G. sono state avviate nell’ambito della città consolidata, su periferie e centri storici restano ancora molti nodi da risolvere. Tuttavia, la realizzazione degli interventi degli ultimi venti anni dislocati nei diversi ambiti del territorio comunale permette di ragionare su nuovi scenari, aprendo nuovi spunti di riflessione per una trasformazione sistemica della città. Una città estesa, diffusa ed eterogenea, infatti, non si programma solo dall’alto, ma deve rigenerarsi, come le cellule, a partire dal proprio interno, sfruttando tutte le potenzialità offerte dal proprio territorio come occasioni di trasformazione, di rilancio economico, di definizione di nuove attrattive. Una città storica e storicizzata non può non pensare la pro-pria rigenerazione senza fare i conti con il patrimonio culturale che accoglie, senza imparare a trasformare i vincoli in opportunità.Roma, oggi, si trova ancora a dover fare i conti con numerose strutture situa-te su tutto il proprio territorio che rappresentano delle grandi enclave spes-so prive di funzione e che potrebbero costituire un trampolino di lancio per numerosi quartieri: le piattaforme ottocentesche dismesse, le periferie di I e II PEEP (Tor Bella Monaca, Corviale, Tuscolano etc), la rete di infrastrutture dismesse e/o interrotte, i grandi complessi storici in abbandono i cui pro-cessi di recupero e restauro sono iniziati da decenni e, ancora inconclusi (ex Mattatoio, ex Caserma Lamarmora nel complesso di San Francesco a Ripa, Arsenale Clementino). Al suo interno la città già possiede un capitale im-menso di sperimentazione, che attende solo di essere inserito in un’oppor-tuna cabina di regia in grado di operare una strategia di insieme e mettere in campo operatori economici illuminati, disponibili, consapevoli.Oggi, a differenza di venti anni fa, anche il centro storico deve necessaria-mente entrare a giocare questa partita.

L’opportunità dello Smart HeritageI siti UNESCO e la costellazione di monumenti che punteggia la Capitale non possono più essere intesi come soli punti di interesse turistico e culturale,

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come soli elementi da tutelare, ma vanno riletti, restaurati e soprattutto valorizzati anche nell’ottica di un loro ruolo nei processi urbani. Nel centro di Roma, oltre l’Ara Pacis ed il pluridecennale Progetto di Piazza Augusto Imperatore, numerose aree sono ancora in corso di riscatto; basti pensare che la Casa della GIL di Luigi Moretti, luogo dell’educazione fisica e morale dei giovani balilla degli anni ’30, oggi contenitore privilegiato per mostre, spettacoli, eventi e cultura, ha riaperto al pubblico solamente nel 2017, dopo oltre quaranta anni di chiusura. Smart heritage non può significare solamente il ricorso alle tecnologie dell’informazione per un utilizzo innovativo di musei, mostre e siti archeo-logici, ma deve necessariamente significare delineare reti sistemiche di siti culturali la cui fruizione, anche mediante strumenti digitali, riattivi l’intero tessuto urbano definendo nuovi percorsi in grado di riattivare micro e macro economie. Oggi ci troviamo ancora a completare un ampio complesso di opere di re-stauro e valorizzazione iniziate alla fine degli anni Settanta, volte a restitu-ire dignità architettonica e urbanistica a immobili di pregio caduti in disuso da anni, che possono ridare qualità non solo ai quartieri periferici, ma anche ai tessuti storici e consolidati della città, oramai picchiettati da numerose situazioni di degrado e sempre meno popolati. Non solo: questo ampio e lento processo di rigenerazione non può non tene-re conto di quanto scoperto e ritrovato durante anni di lavori e cantieri in cui la città si è rivelata essere un vero e proprio palinsesto in grado di restituire i processi di stratificazione architettonica e di trasformazione urbana. La componente archeologica non può più costituire solo un vincolo alla realiz-zazione di infrastrutture e alla fondazione di nuovi edifici.L’inaugurazione, nel 2018, della Stazione Metropolitana San Giovanni della linea “C” rappresenta in questo caso l’apertura di uno spiraglio di speranza verso il futuro: il progetto, redatto dal Dipartimento di Architettura e Pro-getto dell’Università di Roma “La Sapienza”, nelle persone dei proff. Lam-bertucci e Grimaldi sulle prescrizioni del MIBAC, è stato infatti sviluppato con l’intento di restituire il carattere stratigrafico dei luoghi secondo quanto emerso durante lo scavo, coniugando l’infrastruttura di trasporto alla narra-zione della storia della città. L’intervento è la testimonianza che infrastruttura, storia e architettura pos-sono coesistere e che il grande patrimonio culturale di Roma, sia visibile che sotterraneo, può e deve essere considerato un volano di sviluppo per la rige-nerazione della città nella sua interezza, un sistema in grado di coniugare il peso della storia con le esigenze del contemporaneo, configurando un nuovo tipo di economia urbana che veda il patrimonio storico non solo come un fo-togramma immobile del tempo passato, ma come motore di trasformazione per il tempo futuro.

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isDa marzo è attivo un Osservatorio parlamentare dedicato a capire come

risolvere i problemi di Roma.

In centocinquant’anni non era mai successo. Che nel Parlamento italiano, attraverso un organismo ad hoc, largamente rappresentativo delle forze politiche presenti alla Camera e al Senato, si affrontasse globalmente la “questione Roma”: i problemi della città, in drammatica crisi di fronte alle soverchianti incombenze di Capitale e di metropoli. Non era mai successo e la cosa purtroppo è significativa: è una chiara manifestazione della incom-prensione che nel Paese esiste nei confronti di quella che un recente, bel libro di Vittorio Emiliani definisce la Capitale mal-amata.

Un gruppo di parlamentari ora cerca di rimediare almeno in parte. Un “Os-servatorio parlamentare per Roma” è operante dalla fine di marzo con l’o-biettivo dichiarato di “approfondire - così dice lo statuto - le problematiche della città e sviluppare, nell’ambito delle competenze delle istituzioni par-lamentari, iniziative che possano contribuire al progresso della realtà roma-na”. A costituirlo, accogliendo la sollecitazione dell’associazione civica “Per Roma”, una pattuglia di deputati e senatori in rappresentanza paritetica di un ampio settore delle forze politiche in Parlamento.

Rigorosa trasversalità politica dunque (la presidenza è assegnata con turni semestrali a rotazione in base all’anzianità di mandato: primo a ricoprirla il senatore Gasparri cui succederà l’onorevole Morassut) e al tempo stesso massima apertura: del Consiglio direttivo dell’Osservatorio sono compo-nenti di diritto il Sindaco di Roma e il Presidente della Regione in carica, mentre consiglieri comunali e regionali fanno parte di una Consulta, in-sieme con i rappresentanti delle principali realtà culturali, economiche e sociali della città.

Il profondo legame tra Stato e CapitaleCon che finalità operative? Mentre si promuovono le adesioni di altri membri fra i parlamentari (non solo quelli in carica, ma anche gli ex) si vanno definen-do i programmi di lavoro. Giustamente ambiziosi: la crisi della città di Roma non può accontentarsi di “pannicelli caldi”. Due le questioni in primissima evidenza, fra tante. In primo luogo, una vasta e profonda riflessione sui rap-

Guarire la Capitale mal-amata

di MARCO

RAVAGLIOLI

Presidente di

Associazione

Civica Per Roma

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36 37 CIVILTÀ DI CANTIERE N. 02 2019N. 02 2019 CIVILTÀ DI CANTIERE

porti fra la città Capitale e lo Stato che l’ha scelta come tale. Una riflessione mai affrontata compiutamente: viene da dire, in realtà, che, con l’eccezione di alcune élite risorgimentali, la scelta di fare di Roma la città-simbolo (per-ché tale è la Capitale di uno Stato) dell’Italia unita sia stata piuttosto subita che condivisa dagli italiani. Forse era inevitabile nel Paese dei mille Comuni, che fino a qualche decina di anni prima di Porta Pia di capitali ne aveva avute una decina, centri gloriosi di stati autonomi e fieri della propria individualità.

Sarebbe stata necessaria una profonda azione di amalgama intorno alla nuova Capitale e invece la storia della nazione ha portato Roma a venire vis-suta come un simbolo inviso se non addirittura detestato: di volta in volta, della retorica nazionalista e poi fascista, di un centralismo amministrativo inefficiente, di una politica percepita spesso con avversione, di uno Stato incapace e lontano.

A questa cultura “antiromana”, a questa incapacità di “comprendere” la città è certamente legata la storica assenza di una adeguata politica della Nazione per Roma. Dapprima, a partire da Porta Pia, si è guardato alla città con un’ottica prevalentemente strumentale e speculativa, oltre che defor-mante (all’insegna della retorica dell’Elmo di Scipio e di quella della “roma-nità imperiale” fascista, foriera di guasti purtroppo irrimediabili), poi, dopo la guerra, il nulla.

Intendiamoci: iniziative pubbliche per la città ce ne sono state, soldi per Roma anche, lo Stato democratico ne ha spesi, interventi pure importanti sono stati realizzati, ma è sempre mancata una strategia. Si è operato in modo occasionale sulla spinta di emergenze finanziarie o dell’urgenza di ap-puntamenti irrinunciabili. Sempre è mancata, soprattutto, l’idea del ruolo di Roma in quanto Capitale del Paese, di quali funzioni essa dovesse assu-mere e, di conseguenza, di quali strumenti normativi e finanziari - regolari, programmabili - essa dovesse venire dotata dallo Stato per fronteggiare gli oneri che lo Stato stesso le imponeva.

Tutto questo non è giusto per Roma, ridotta in condizioni deplorevoli anche (soprattutto?) per gli storici errori della politica nazionale. Ma, soprattutto, tutto questo non è utile per l’Italia.

A parte ogni considerazione ideale che pure avrebbe motivazioni non irrile-vanti, appare evidente che il Paese ha bisogno di una Capitale efficiente e ha l’interesse a valorizzare quale simbolo della Nazione il “brand” Roma, con le sue straordinarie proiezioni internazionali. Ai politici che affermano che “se si danno soldi a Roma bisogna darli a tutti i Comuni italiani” va spiegato che

non si tratta di un privilegio riservato alla città, ma del vantaggio della intera nazione. Per questo è urgente che lo Stato assuma finalmente il ruolo che gli compete (e che tutti gli altri Paesi svolgono senza esitazioni) nei confronti di Roma, facendone non solo una Capitale ben funzionante - e già sarebbe molto -, ma una città simbolo del Paese, immagine prestigiosa della realtà nazionale.

E qui entra in gioco il nuovo Osservatorio parlamentare. È infatti al livello legislativo che certe decisioni vanno assunte.

Difficoltà ce ne sono molte, ma una iniziativa congiunta da parte delle forze politiche, accompagnata auspicabilmente da un vasto dibattito nel Paese, potrebbe portare finalmente a una vera “Legge su Roma Capitale”, finora mai emanata, perché non si possono infatti considerare tale i provvedimenti legislativi adottati nel corso del secolo e mezzo passato, che risolvevano il tema della Capitale d’Italia con episodici stanziamenti finanziari, peraltro quasi sempre insufficienti. Ed è un po’ avvilente che si presenti come legge per la Capitale un articolo - lacunoso e inadeguato - inserito quasi di sop-piatto all’interno del decreto legislativo sul federalismo fiscale come è av-venuto nel 2009.

La gestione di una città complessaMa c’è poi un’altra questione, centrale per il futuro di Roma, che solo in sede parlamentare può trovare soluzione e che l’Osservatorio dovrebbe porre in primo piano: la “governance” cittadina, il complesso delle normative, delle procedure e degli strumenti amministrativi in base ai quali viene gestita la città. Sembra incredibile ma un comune con ben oltre tre milioni di abitan-ti effettivi (molto di più di quelli ufficialmente dichiarati dall’anagrafe), un territorio sterminato (sette volte Milano), funzioni e incombenze specialis-sime, una mole colossale di problemi accumulatisi, continua a essere gestito con regole analoghe a quelle di qualunque cittadina italiana. Il problema è analogo a quello di altre grandi città, ma si pone nel caso di Roma in maniera particolarmente grave e la legislazione in atto - peraltro largamente inattua-ta - non appare assolutamente adeguata.

Anche in questo caso spetta al Parlamento intervenire e anche in questo caso un impegno trasversale delle forze politiche potrebbe risultare deter-minante. Chiunque abbia a cuore le sorti di Roma non può che augurarselo.

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38 39 CIVILTÀ DI CANTIERE N. 02 2019N. 02 2019 CIVILTÀ DI CANTIERE

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isPer Roma la musica diventa una voce nelle voci, una carica di energia

verso il rinnovamento unica nel suo genere.

Per la nuova generazione degli artisti della Capitale Roma è un mistero svelato, raccontato dai suoi vicoli e dalle sue periferie, nascosto tra gli an-goli bui e i cieli stellati di una città che si presenta sempre nuova anche se sembra sempre, millenariamente, uguale. Invece no, la giovane genera-zione della musica romana vede la città con occhi nuovi e la presenta con voci nuove. Non ci sono le “cartoline” del bel tempo che fu e nemmeno i sogni di una città che non c’è ancora, la giovane musica della nostra città racconta la realtà, racconta storie di tutti i giorni, piccole e piccolissime alle volte, ma vere, scritte con il linguaggio dei nostri tempi, con tutte le contraddizioni, gli estremi, gli eccessi, che questo linguaggio comporta. C’è un fervore nuovo, insomma, tra le colonne del centro e i palazzoni del-le periferie, tra i colori delle “backstreet” e quelli dei lungotevere, ragazzi che usano ogni suono, ogni musica, ogni parola a loro disposizione.

Non c’è un “genere” della nuova musica romana, ci sono mille ipotesi di-verse, mille idee, e questa ricchezza è il bello della scena romana di oggi. Cantautori, rapper, trapper, rockers, cantanti pop e jazz, musicisti elettro-nici e folk, autori e interpreti, formano una enorme legione che suona nei club e nei centri sociali, nelle cantine e nei pub, provando a trasformare la città con una clamorosa “botta” di energia, di poesia, di cultura e di mu-sica. Non succedeva da tanti anni, era da molto, troppo tempo, che non si vedeva così tanta musica in città, così tante etichette, manager, team di lavoro attorno alla musica, una realtà in movimento che offre l’immagine di una realtà vitale e “giovane”, se ci è concesso l’aggettivo.

La creatività contro il degradoLa retorica della “gioventù” per anni ci ha fatto sognare, oggi la retorica non c’è più, c’è davvero una generazione “giovane” che prova a conquista-re il palcoscenico d’Italia. Non c’è altra città con la stessa forza creativa, con la stessa originalità e la stessa ricchezza: al di là della qualità delle proposte e dei generi, Roma oggi è la Capitale della musica, senza ombra di dubbio. È tornata ad esserlo da qualche anno, nonostante la crisi, nono-stante le difficoltà. Anzi, forse proprio a causa della crisi e delle difficoltà.

Ripartire dalla musica

di ERNESTO

ASSANTE

Giornalista de

La Repubblica

Quando le cose in città non vanno per il verso giusto ognuno risponde a proprio modo, reagisce come può. E gli artisti reagiscono con l'arte. Non può essere un caso che nella Capitale del degrado e dell'abbandono sia fiorita una nuova, straordinaria, originalissima scena musicale, che gli ar-tisti che vengono da Roma, città nella quale sono nati o che hanno scelto come luogo in cui crescere e vivere, stiano in questo momento dominando la scena musicale italiana.

Artisti che, va sottolineato, sono "qualitativamente" interessanti e mu-sicalmente validi, realtà che parlano la lingua di un pubblico giovane che queste band e questi solisti sostiene con entusiasmo. Sì, perché la novità più interessante non è soltanto quella di una nuova generazione di musi-cisti, cantanti, rapper che si sta affacciando con successo sulle scene, ma soprattutto quella di un nuovo pubblico che, sempre più spesso, la sera esce di casa e va ad ascoltare musica, affollando club grandi e piccoli, sale e teatri. Un pubblico che sceglie tutte le sere di tenere viva questa città e la sua cultura, che sceglie di dare credito a giovani e giovanissimi che cantano e suonano canzoni nuove e vere, superando le categorie, i generi, gli stili.

Un pubblico che non si rassegna, così come non lo fanno gli artisti, che vuole vedere Roma crescere e brillare di nuovo, che sa che la città ha uno straordinario serbatoio di energie positive e creative che non è più possi-bile tenere coperto e chiuso.

Importa poco se vi piacciano o meno Rancore, Achille Lauro, Ultimo, se preferiate la canzone d'autore di Motta o il pop r'n'b di Biondo, se anno-veriate Briga, Cristicchi, Moro, Silvestri o Paola Turci tra i vostri preferiti, quello che conta è che Roma con i suoi artisti: Calcutta, The Giornalisti, Coez, Gemitaiz, Carl Brave, Noyz Narcos, Franco 126, Il Muro del Canto, Roberto Angelini, Livia Ferri, Mimosa (tanto per citarne alcuni alla rin-fusa) dice chiaramente che questa città, la nostra città, è tutt'altro che morta, che la disperazione non serve a cambiare le cose, che la cultura e la musica sono una bellissima arma, la migliore arma, contro il degrado e contro la noia, contro il silenzio e l'apatia.

Page 23: ANNO V | N. 02 20196 N. 02 2019 CIVILTË DI CANTIERE CIVILTË DI CANTIERE N. 02 2019 7 s Scenari s Scenari globalizzazione e la rivoluzione digitale - siamo di fronte a uno scenario

CIVILTÀ DI CANTIERE N. 02 2019

Roma come città di città, per la sua dimensione e per la sua contem-poraneità sincronica di tempi, storie e civiltà, diventa nelle fotografie di Valerio Muscella la città dell’oggi e delle sue contraddizioni. Foto-

grafando luoghi e persone che vivono ai margini svela l’identità più profonda dell’abbandono e del degrado. Che non è solo in una cattiva pianificazione e in un’urbanistica incapace di cogliere e di affrontare le contraddizioni del nostro tempo, né le carenze gravissime di un’amministrazione incapace di gestire la complessità. Bensì è nella lontananza tra diversi modi di vivere e di pensare, è crisi culturale, è carenza di empatia e di apertura all’altro. Nelle fotografie i luoghi, con i loro edifici, emergono come simboli di questa inca-pacità e trasmettono sofferenza di chi vi abita e di chi li guarda, trasmet-tono la vergogna di una Capitale, a cui si contrappone la speranza che dal dialogo e dalla comprensione reciproca possano cambiare le cose, trovando soluzioni e reinserendo bisogni e dignità nel palinsesto del futuro.

Alfredo Martini

Nel Comune di Roma sono circa 12 mila i nuclei familiari in attesa di un alloggio popolare, oltre 10 mila le richieste di sostegno all'abitare, 8 mila persone senza fissa dimora e più di 35 mila le case inutilizzate.

Questi numeri sono ancora più allarmanti se si considera che ogni anno ven-gono presentate almeno 9 mila richieste di sfratto, di cui 3 mila eseguite, in maggior parte per morosità incolpevole. Si tratta di un esercito di perso-ne senza casa che vive ai margini della città e che rimane quotidianamen-te schiacciato dal peso di politiche abitative cieche ed inefficaci. Negli anni molte di queste persone hanno trovato una risposta attraverso percorsi di ri-appropriazione di spazi in disuso della città. Sono oltre 100, infatti, gli edifici pubblici e privati occupati in cui vivono circa 12 mila persone. Molte di queste occupazioni sono sostenute dai movimenti del diritto all'abitare e il modello che propongono si basa sull'auto recupero di spazi inutilizzati e sulla con-vivenza possibile tra italiani e migranti. Nelle strutture la vita quotidiana è regolata da assemblee di gestione degli spazi abitativi dei nuclei familiari e delle aree condivise per l'organizzazione di attività collettive. Nonostante i continui sgomberi, i movimenti per il diritto all'abitare continuano ad imma-ginare una città diversa, costruita dal basso, inclusiva e partecipata.

Valerio Muscella

PORTFOLIO: Rome sweet home

Fotografie di Valerio Muscella

41

VALERIO

MUSCELLA

(1985) nasce

a Roma dove

si laurea in

Psicologia clinica

e di comunità.

Fotografo e

documentarista

freelance ha

realizzato

progetti di

narrazione

multimediale,

tra cui “4Stelle

Hotel”, vincitore

del DIG Award

2015 (ex-premio

Ilaria Alpi).

I suoi reportage

sono stati

pubblicati

su periodici

nazionali e

internazionali

tra cui

Internazionale,

Deutsche Welle,

Left, Mediapart

e Wall Street

Journal.

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Città a misura di futuro

PALAZZO LIVIANOPiazza Capitaniato, 7 - 35139 Padova

Dopo la Conferenza del 2018 con la quale si è lanciata una proposta metodologica per la rige-nerazione urbana e di aree a forte crisi industriale, con l’edizione 2019 si intende sperimentare il modello in una concreta realtà territoriale nel Nord Est. L’area che caratterizza le province di Padova, Treviso e Venezia, con le loro città, inizia a sperimentare un percorso volto a costruire una visione del futuro a dimensione metropolitana.Una visione che saprà mettere a valore i principali progetti di trasformazione oggi sul tavolo.Proseguendo sulla strada del confronto e della comparazione con esperienze e modelli realizzatia livello europeo e internazionale, la Conferenza costituirà l’occasione per evidenziare le voca-zioni intorno alle quali delineare il polo metropolitano veneto, mettendo a valore progettuali-tà, competenza e volontà di condivisione.

WWW.CIVILTADICANTIERE.IT

Per info e contatti:

[email protected] | 06 83088149

@civiltadicantiere@CCantiere

@civiltadicantiere

CONSTRUCTIONCONFERENCE

Padova

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CIVILTÀ DI CANTIERE N. 02 201942 43 N. 02 2019 CIVILTÀ DI CANTIERE

PORTFOLIO: Rome sweet home PORTFOLIO: Rome sweet home

Occupazione abitativa spontanea di Via Raffaele Costi 57, Tor Cervara Occupazione abitativa di un'ex scuola elementare di Torre Maura

Occupazione abitativa di Via Casal Boccone 112, ex Casa di Riposo Roma 2Occupazione abitativa 4 Stelle Hotel, ex Eurostar Congress, Tor Sapienza, Via Prenestina 944

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45 CIVILTÀ DI CANTIERE N. 02 2019

Il Comitato di quartiere Don Minzoni, a Roma, è un esempio di manuten-zione e intervento “dal basso” per la cura e la gestione delle aree abbando-nate della città.

Roma degrada e i cittadini reagiscono organizzandosi e supplendo alle ca-renze e alle inefficienze dell’amministrazione pubblica. Così se il Guardian dedica spazio e attenzione ai GAP, Gruppi artigiani Prontointervento, che notte tempo riparano incappucciati le strade, evitando incidenti e disagio, dall’altra parte è ormai un fiorire di associazioni e di movimenti impegnati a ripulire la città e a ripristinare condizioni di decoro. La più nota è Retake, una rete alla quale aderiscono diverse realtà della città e che è in grado di mo-bilitare centinaia di volontari. Movimenti traversali che aggregano singole e virtuose realtà di quartiere.Un fenomeno in cui convivono obiettivi minimali legati alla qualità della vita quotidiana, alla salute, al desiderio di combattere degrado e bruttezza. Ma in questo fiorire di iniziative più o meno strutturate si fa largo anche una crescente consapevolezza, che sia necessario elaborare una vera e propria strategia che chiama in causa il rapporto tra i diritti dei cittadini e i doveri di chi amministra ed è chiamato a precise responsabilità. In un contesto di regole e norme precise.Si fa strada anche a Roma una riflessione sulla necessità di sistematizza-re spontaneismo e volontariato, creando non tanto strutture organizzative, bensì informazione e conoscenza.È quanto sta maturando all’interno del Comitato di quartiere Don Minzoni che opera nel II Municipio tra Flaminio e Parioli, quartieri residenziali bene-stanti e forse qualcosa di più, ma non per questo meno soggetti a degrado e cattiva manutenzione e gestione dei beni comuni, ad iniziare da ville, parchi e spazi verdi.Dal 2016 il Comitato ha cambiato il volto di realtà abbandonate, restituen-dole alla cittadinanza e coinvolgendo in un vero e proprio progetto di riquali-ficazione “pezzi” di territorio.Come espressamente scritto nello statuto il Comitato promuove le iniziative utili alla risoluzione delle situazioni di sofferenza delle strade, delle piazze e delle aree verdi presenti nel territorio del II Municipio di Roma Capitale e, più in generale, al loro ordine e decoro, alla difesa della qualità della vita dei cittadini, alla salvaguardia della salute pubblica, al miglioramento della si-

Cittadini e qualità del vivere urbano. Una questione di diritti e doveri

di MARTINO

ALMISISI

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PORTFOLIO: Rome sweet home

Occupazione abitativa di Via Tiburtina 1099, ex sede romana del quotidiano La Stampa

Porticato della Basilica dei Santi XII Apostoli di Roma

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47 CIVILTÀ DI CANTIERE N. 02 2019N. 02 2019 CIVILTÀ DI CANTIERE 47 46

e alla creazione della figura del Manutentore urbano stiamo garantendo la manutenzione ordinaria dei giardini, recuperati sviluppando anche una dif-fusa rete di adozioni di strade da pare dei residenti, così da assicurare il de-coro e una costante pulizia.”Questa poliennale esperienza ha consentito al Comitato di strutturarsi sem-pre più e allo stesso tempo di monitorare nuove esigenze all’interno del pe-rimetro del proprio statuto.“Siamo partiti dal verde, dai giardini e dal ripristino di un decoro urbano che è alla base della vita di tutti noi per valorizzare il senso civico che anima la maggior parte delle persone che vivono nel quartiere. Da qui abbiamo com-preso l’importanza del coinvolgimento dei cittadini nella gestione della cit-tà. Ma abbiamo anche maturato la convinzione che perché ciò avvenga è essenziale che ognuno conosca con precisione i propri diritti e diventi cono-scenza generale e diffusa cosa prevedono le leggi, che cosa è responsabilità e dovere delle amministrazioni, ciò che è dovere di noi cittadini. E, di conse-guenza, cosa può fare ogni abitante per vedere riconosciuti i propri diritti. Siamo così giunti alla conclusione che vada colta la grande occasione della attuale rivoluzione digitale per mettere a disposizione non solo dei cittadini del nostro Municipio o del quartiere, ma di tutti gli abitanti di Roma uno strumento informativo dove, accanto alla possibilità di consultare le attività gestite dalla cittadinanza, sia possibile individuare soluzioni e modalità di interlocuzione con le amministrazioni anche attraverso le funzioni offerte dai Comitati di quartiere e dalle associazioni preseti sul territorio. Una piat-taforma che abbia alla base le diverse tipologie dei servizi essenziali. Un pro-getto da sviluppare insieme a Civiltà di Cantiere.”Si punta alla creazione di una piattaforma digitale continuamente aggior-nata, con una redazione fatta dagli stessi cittadini e organizzata intorno a un soggetto autorevole e con competenze giuridiche che si fa garante della qualità e della correttezza dei contenuti. Una piattaforma intorno alla quale sviluppare anche una rete di assistenza sia a valle che a monte, ovvero in grado sia di intercettare le esigenze che gestirle nella sua evoluzione, fino al raggiungimento dell’obiettivo. Per De Rosa se il digitale costituisce il vantaggioso strumento per diffondere l’informazione e renderla pervasiva, resta tuttavia fondamentale il contatto fisico, la relazione sul territorio, che va rafforzata in una logica di integra-zione con la piattaforma. Come? “Io penso che noi dovremmo progettare e promuovere delle modalità per cui un cittadino possa contare su uno o più luoghi dove trovare nel suo quartiere delle persone competenti che possano aiutarlo e, allo stesso tempo, siano postazioni per la promozione della piat-taforma. Ci stiamo lavorando, affinché il modello che abbiamo fin qui segui-to della collaborazione tra cittadini e governo del territorio possa trovare la soluzione migliore.”

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I PRINCIPALI LUOGHI RIQUALIFICATI DAL COMITATO DON MINZONI 2016-2019

Piazza Don Giovanni Minzoni è stata adottata dal Comitato Don Minzoni, che ha provveduto a recuperare totalmente il giardino urbano, comprese le panchine spa-rite da decenni.Dalla collaborazione con il Comitato Villa Balestra, dopo una prima decisiva fase di recupero finanziata dai residenti, oggi il giardino di Villa Balestra, ha un Manuten-tore Urbano del Comitato Don Minzoni, finanziato dai frequentatori del giardino, che ne garantisce la manutenzione ordinaria e una fruizione quotidiana. È in fase di progettazione la riqualificazione del parco giochi dei bambini che sarà finanziato da uno o più sponsor. Grazie a donazioni e al sostegno finanziario non solo dei residenti, ma anche di altri sponsor, attraverso l’attivazione della figura del Manutentore Urbano, il Comitato Don Minzoni oggi provvede a mantenere i giardini di Via Lisbona, delle Crocerossi-ne a Belle Arti, Pianoro di Via Jacovacci e tutta la strada da Viale Tiziano fino al Circolo della Pipa. Il Comitato Don Minzoni ha altresì favorito l'adozione di Largo Spinelli da parte di AGROTEC e della pulizia di diverse strade da parte dei residenti, affrontando le diverse problematiche che si presentano. Attualmente le vie sono: Via Luciani, Via Schiaparelli, Via Atto Tigri, Via Civinini, una parte di Viale Bruno Buozzi, Via delle Tre Madonne, Piazza Pitagora, Via Lisbona, Via Rossini, Via Paisiello, Via di Villa Grazioli, Via Denza, Via Mercalli, Via Frisi, Piazza della Rimembranza e due aiuole spartitraffico di Piazza Ungheria.

curezza, delle strutture e dei trasporti pubblici, della viabilità e, in genere, di tutti i servizi e di tutto quanto sia di pubblico interesse.E lo fa interloquendo con le amministrazioni e le istituzioni e sostenendo le istanze individuali e collettive sul piano dei diritti, favorendo una conoscen-za puntuale delle norme vigenti.Come sottolinea il suo presidente Andrea De Rosa “sono stati tre anni di attività intensa, con il raggiungimento di importanti risultati, tra i quali il recupero e la riqualificazione di Villa Balestra e di numerosi giardini e spazi verdi (vedi box) anche attraverso il coinvolgimento di aziende presenti sul territorio, oltre che contando su una crescente e volontaria partecipazione dei residenti e non solo. Oggi siamo una realtà riconosciuta dalle istituzioni. Abbiamo una collaborazione forte e continuativa con chi amministra il Mu-nicipio, partecipiamo a iniziative di altre associazioni. E grazie al successo

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48 49 CIVILTÀ DI CANTIERE N. 02 2019N. 02 2019 CIVILTÀ DI CANTIERE

vus ordo nelle pratiche urbanistiche. Studi sulla frequentazione della zona avevano dimostrato che il 94% dei frequentatori (passati e prevedibili per il futuro) non provengono da questo quartiere, ma soprattutto dalle peri-ferie parigine. Sebbene l’intenzione della Mairie fosse stata di includere tutti gli utilizzatori, i parigini e i «franciliens» (ovvero gli abitanti dell’Ile-de-France), la concertazione ha interessato solo i residenti. All’inizio la municipalità aveva fatto una distinzione tra i residenti e il pubblico ester-no per realizzare un progetto che potesse soddisfare entrambi, ma le tem-pistiche del progetto, che tocca un pubblico molto vasto, hanno indotto a cambiare il programma, effettuando una scrematura. Vengono comun-que rispettate le esigenze di classi sociali diverse, contando ad esempio di costruire degli appartamenti per una classe borghese alta con una bassa percentuale di social housing. Non si può però dimenticare che si tratta di un’area centralissima dove i prezzi, molto elevati, sono assolutamente proibitivi per una famiglia non benestante.

Il dialogo con il territorioLe fasi di consultazione sono state due : la prima ha riguardato la gara d’appalto per le analisi sull’area e la seconda quella per il reclutamento dell’agenzia di architetti. La prima consultazione è stata gestita dalla Società a Economia Mista (SEM) Paris Centre, alle cui riunioni venivano invitati i residenti. I frequen-tatori non residenti potevano esprimere il loro giudizio solo in occasione di riunioni pubbliche. Se si legge, a mo’ di esempio, il rapporto del Comitato Permanente concertativo del 19 novembre 2007, si trovano tra i partecipan-ti consiglieri dei 2 quartieri interessati (quartiere Saint-Germain l’Auxerrois e quello di Les Halles) e ben 7 associazioni cittadine. Tra le associazioni la «Association de défence des riverains Chatelet les Halles» dimostra, con la presenza del termine «difesa», quanto i parigini si interessino alle vicende in evoluzione del loro territorio, al contrario di quanto accade in molti altri paesi europei. Secondo il rapporto citato di questa riunione, ad esempio, una delle associazioni pone una problematica in apparenza banale, ma che denota una comprensione raffinata del programma da parte dei cittadini: la vela, ovvero la struttura che doveva ricoprire il Forum sottostante, pote-va creare una cappa di calore a causa della sua forma. Gli abitanti si sono chiesti se esistesse il rischio di ottenere poi un «forno» durante le stagioni estive. La risposta fu data immediatamente da un referente municipale: sarebbe stato realizzato uno studio termico durante la fase dell’APS (ov-vero l’avant projet sommaire, il primo schizzo di progetto). Tutte le riunio-ni pubbliche di questo tipo che si sono svolte nella stessa area sono state annunciate attraverso manifesti nei due quartieri. Successivamente, nel corso di una conferenza tenuta da una ventina di

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Prog

ettiGli abitanti: protagonisti

del rinnovamento della zona Les Halles di Parigi?

di ASIA RUFFO

DI CALABRIA

L’antico mercato all’aperto è stato oggetto di un ripensamento urba-nistico condiviso con i residenti.

Negli ultimi anni la legislazione francese si è dotata di una serie di misure atte a far partecipare gli abitanti all’attività urbanistica della propria città. I residenti, fino a non molto tempo fa, erano considerati soggetti passivi di sperimentazioni urbanistiche non condivise, con il rischio di realizzare opere o condizioni lontane dalle esigenze quotidiane dei fruitori. I progetti che riguardano le città contemporanee non possono essere più frutto di una produzione esclusiva di tecnici e di eletti, ma devono coinvol-gere direttamente gli abitanti non solo come utenti, ma anche come attori, in accordo con un concetto di democrazia partecipativa.

L’esempio della FranciaIn Francia la volontà politica di fare appello alla participazione dei cittadini sta diventando legge, con l’intento di far prendere coscienza dei progetti di trasformazione del quartiere attraverso la condivisione preventiva, che deve precedere l’approvazione. Senza dubbio occorre che i cittadini acqui-siscano nozioni di urbanistica per esprimere giudizi pertinenti, ponendosi ad un livello idoneo al dialogo con architetti e assessori all’urbanistica.Il cantiere de Les Halles di Parigi ha sperimentato per la prima volta que-sto nuovo dialogo. La Mairie di Parigi ha infatti organizzato, dal 2002 al 2010, una concertazione ambiziosa con i residenti. Il progetto, voluto dalla Mairie nel 2003, ha insistito sul coinvolgimento dei residenti, in quanto interessava una parte centralissima della capitale, un mercato all’ingrosso all’aperto situato a 10 minuti dal Centre Pompidou. Nel 1o arrondissement, quello delle Halles è stato dall’Ottocento fino agli anni 70 del secolo scorso il mercato più rappresentativo di Parigi, trasformato ora, con questo pro-getto, in un grande spazio verde. L’area libera occupata un tempo dal mercato ha come «compagne» la chie-sa di Sant’Eustachio e la Bourse de Commerce de Paris (in attesa di riaprire in qualità di museo della Fondation Pinault), che doveva essere progettata a verde. Davanti, la Mairie prevedeva la costruzione di una copertura al di sotto della quale si sarebbe sviluppata un’area commerciale sotterranea e le stazioni della metropolitana.Con il termine «concertazione» la Mairie de Paris voleva proporre un no-

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Il comitato di residenti più attivo, Accomplir, voleva preservare il giardino, limitare l’altezza degli edifici e soprattutto bloccare l’istallazione di nuo-ve attività commerciali che avrebbero comportato un flusso maggiore di frequentatori. Il progetto di Mangin proponeva un «tetto di luce» e preser-vava, rispetto agli altri candidati, ancora di più il giardino. I comitati citta-dini, insoddisfatti del risultato, rivendicavano un gesto architettonico più forte e emblematico per il centro di Parigi e il Forum, qualcosa che potesse rispecchiare la sua dimensione metropolitana. Queste reazioni negative hanno convinto la municipalità a ridurre il peso di Mangin nel progetto, cir-coscrivendolo al disegno del giardino e alla conduzione del nuovo concorso per il Forum. Nel 2006, gli architetti Berger Anziutti sono stati designati vincitori con il progetto chiamato «Canopée» (canopia, ovvero la parte su-periore di una foresta). Una struttura apparentemente leggera come una foglia di un albero permette di proteggere il Forum dagli agenti climatici, creando uno spazio semichiuso con accessi scavati da ampie aperture dalle linee sinuose. Le nuove superfici disponibili al di sotto del «Canopée» sono state utilizzate per caffetterie ai margini del giardino, per il Conservato-rio W. A. Mozart (per l’insegnamento della musica, della danza e dell’arte drammatica), per una mediateca e una biblioteca. Les Halles oggi è il cuore di Parigi con le sue arterie, le cinque linee del-la metro e tre treni nella periferia (RER). Il centro commerciale protetto dal «Canopée» accoglie circa 150 000 persone al giorno ed è divenuto il crocevia parigino più importante, un esperimento lungo ma ben riuscito. La partecipazione dei residenti ha consentito che un’opera architettonica di rilevanza metropolitana, nazionale e internazionale, conservasse l’im-pronta «del quartiere». L’esperimento ha indicato una strada che si augura venga percorsa da chiunque voglia realizzare progetti di urbanistica che rimangano radicati e ancorati alla loro realtà e identità storiche.

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ettipersonalità del mondo civile, «Le Cercle des Halles», i cittadini sono stati

messi in grado di comprendere l’identità del sito e la sua memoria stori-ca, così da ottenere strumenti di giudizio e di orientamento sulle scelte da operare nella elaborazione del progetto di rimaneggiamento dell’area e delle sue funzioni. Tutti i resoconti erano accessibili sul sito della Ville de Paris (www.paris.fr). Bisogna riconoscere alla Mairie de Paris un grande coraggio nell’essersi cimentata in questa avventura, iniziata nel 2004 fino alla inaugurazione del 2016. Gli ostacoli alla condivisione popolare dell’attività edificatoria pubblica sono stati considerevoli e non del tutto superati. Il merito della Marie de Paris è stato senza dubbio quello di aver sperimen-tato per la prima volta e applicato il metodo della concertazione democra-tica a un progetto complesso: si è potuto constatare quanto sia difficile condividere e soddisfare i diversi livelli socio-culturali e i punti di vista dei singoli attori coinvolti (politici, civici e economici). Ai gruppi di lavoro è se-guita la vera e propria gara d’appalto per nominare lo studio di architettura incaricato (progettazione di due anni, dal 2007 al 2008). Le linee guida presenti nel bando si dilungavano principalmente sulle esigenze a livello architettonico e poco sugli obiettivi urbanistici, decisi in concertazione.

Una fase progettuale concertata fin dall’inizioLa giuria e il sindaco hanno scelto l’équipe Mangin Seura per la sistema-zione degli edifici a livello di strada e del giardino. In questa fase i com-mercianti hanno lottato per fare scartare tutti gli ambiziosi progetti che potessero influire negativamente sui loro interessi.

Progetto della

zona Les Halles

di Parigi.

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Lo sviluppo economico e sociale di Roma passa da un Piano di integrazio-ne con il litorale.

Sul Litorale Romano abbiamo dal 1996 la più grande Riserva Naturale Statale italiana, il cui Piano di Gestione e il relativo Regolamento, elementi fonda-mentali per l’attuazione dell’economia sostenibile sui territori, non sono an-cora stati definitivamente approvati dal Ministero dell’Ambiente dopo 23 anni dalla sua istituzione. Un ritardo grave che si nota, soprattutto, nelle condizioni del Tevere e del mare, come nel caso di Ostia, dove sopravvive una balneazio-ne fondata sulla privatizzazione delle spiagge e che ha impedito di affermare a Ostia un’economia del mare, simile a quella che da decenni esiste sull’A-driatico. Siamo in un Municipio e un territorio tra i più giovani di Roma, con un tasso d’istruzione medio alto e dove si colloca il più grande Aeroporto d’Italia, che dal 1960 ha contribuito ad incrementare la popolazione dai circa 30.000 abitanti fino agli attuali 300.000, di cui circa 40.000 nell’area di Isola Sacra del Comune di Fiumicino. Una struttura aeroportuale che nel 2018 ha gestito un transito di 49 milioni di passeggeri e che per funzionare dà lavoro ogni giorno a 45.000 addetti, di cui 36.000 abitano nel X Municipio. Ma le infrastrutture di collegamento dell’Aeroporto con il territorio sono rimaste, sostanzialmente, le stesse dal 1960, e si riducono al Ponte della Scafa, unico transito esistente tra il GRA e il mare.Altra potenzialità trascurata e non valorizzata riguarda la nautica da dipor-to, un settore che da oltre 40 anni aspetta la nascita del nuovo Porto com-merciale a Fiumicino e il completamento di quelli turistici, così da offrire un molo al turismo crocieristico del Mediterraneo, oggi in continua espansione, spostandolo da Civitavecchia a Roma, creando così con l’Aeroporto un unico e integrato polo di scambio, Da questo scenario emerge soprattutto una forte carenza di pianificazione, così come una capacità di individuare alcuni ambiti di intervento da privilegia-re per sostenere un processo di crescita economica e sociale.

Una nuova rete intermodaleAl primo posto diventa urgente un nuovo Piano di “mobilità pubblica sosteni-bile” a dimensione metropolitana che realizzi quella rete intermodale, special-mente lungo l’asse Nord-Sud, creando una connessione con le infrastrutture tradizionali. Per quanto riguarda il litorale e il suo legame con l’hinterland ver-

Mobilità e sviluppo:connettere litorale, logistica e città metropolitana

di FAUSTO

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Studio Cappiello

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so Roma si potrebbero adottare soluzioni originali e innovative sperimentate con successo in altre parti del mondo, come i sistemi People Mover su mono-rotaia, necessari, per superare agevolmente con un pilone ogni 30 metri e una trave di un metro, le difficoltà di un territorio compromesso dall’abusivismo e dall’elevato rischio idrogeologico (R3 e R4). Un progetto (vedi mappa) con un respiro almeno decennale, che potrebbe iniziare, collegando l’Aeroporto di Fiumicino con Infernetto (linea azzurra) di circa 10 Km; Ostia Lido, i porti tu-ristici, l’Aeroporto, la Fiera, fino a EUR Fermi (linea rossa) di circa 26 Km. Una soluzione che consentirebbe altresì di aprire tra i piloni una pista ciclabile (li-nea arancione) che in 25 Km permetterebbe di raggiungere dall’EUR il mare, in totale sicurezza. Il sistema di collegamento su monorotaia si completerebbe attraverso un’ulteriore linea (linea verde) che dal centro di Ostia raggiungereb-be Pomezia, attraversando, con un impatto minimale, a lato e lungo la Lito-ranea, il lungomare di Ostia e poi la macchia mediterranea di Castelporziano e Capocotta, giustamente tutelate come aree protette, e aprendo una finestra su uno dei più bei paesaggi mediterranei.Per rilanciare l’economia del litorale, contribuendo in maniera rilevate a ride-finire una visione futura di Roma come città metropolitana, e alla priorità di un potenziamento infrastrutturale di mobilità, andrebbero poi affiancati un “piano di sviluppo della risorsa mare” collegato anche alla nautica da diporto che valorizzi il Tevere, navigabile fino a Ripa Grande - Porta Portese; un Piano per realizzare nell’Area Industriale di Dragona, un centro di smaltimento dei rifiuti in una logica di “economia circolare” utilizzando nuove tecnologie.

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Appunti per l’avvio del Progetto Urbano di una delle zone centrali di Roma, attraverso la valorizzazione del patrimonio e una ri-funzionalizza-zione degli spazi.

Piazza Fiume costituisce un nodo urbano centrale del territorio del Munici-pio II di Roma, in cui confluiscono elementi storico-archeologici, culturali, funzionali, commerciali, che debbono essere organizzati e riqualificati in un “sistema”, per costruire uno spazio urbano di qualità.A Piazza Fiume e dintorni si è assistito, nel corso degli ultimi 10/15 anni, a un progressivo abbandono del territorio, dovuto anche alla sua mancata valorizzazione, a un aumento del degrado e a una percezione generalizzata di insicurezza.La storica Libreria Minerva, in virtù del proprio ruolo di centrale culturale del quartiere, ha promosso l’organizzazione di un think tank per studiare la riqualificazione della Piazza e delle vie adiacenti, al quale hanno subito aderito Rinascente, AMUSE, il Circolo Fratelli Rosselli e vari professionisti, per presentare una proposta di riqualificazione di piazza Fiume e degli spazi ad essa connessi: il tratto delle Mura Aureliane che da Porta Pinciana giunge a Porta Pia, le aree verdi alla base del percorso delle mura, i percorsi del tra-sporto pubblico e privato, gli spazi di parcheggio, ecc.Il Progetto proposto, d’intesa con il 2’ Municipio, assume come elemento di struttura il tratto delle Mura Aureliane con la connessione dei due spazi urbani di piazza Fiume e Porta Pia. Per esso si prevedono, in primo luogo, interventi di valorizzazione e integrazione, che consentano di riconoscerlo come ambito urbano di qualità e identità specifiche: fascia verde di passeg-giata ai piedi delle mura, recupero ad uso pedonale della testata delle Mura che si affaccia su piazza Fiume, riorganizzazione dei flussi di traffico, pub-blico e privato, sulle strade che su di essa convergono, riqualificazione degli spazi pedonali su cui si affacciano le attrezzature culturali e commerciali della piazza e di via Bergamo, via Alessandria e via Ancona.

Proposta di “progetto Urbano”Il lavoro di definizione fin qui svolto consente di individuare alcuni temi ed ambiti territoriali che saranno estesi e dettagliati nelle fasi successive con-tribuendo alla formazione dello “schema di assetto preliminare”.In questa prima fase, si è analizzato l’ambito più centrale costituito dagli

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di GENNARO

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spazi aperti, le Mura, la viabilità. In particolare, Piazza Fiume è stata oggetto nel recente passato di interventi che ne hannocompromesso il carattere unitario e l’identità come spazio urbano: la de-molizione di porta Salaria nel XIX secolo, la realizzazione del sottovia con la nuova funzione di asse di scorrimento urbano, l’apertura di via Sulpicio Mas-simo, ecc. Gli interventi degli anni sessanta del secolo scorso hanno forte-mente indebolito il valore delle mura come elemento che definisce la forma unitaria dell’intera città, anche nel tratto tra porta Pia e la piazza.Alcune componenti qualificano tale spazio: la Libreria Minerva, che può di-ventare un punto di riferimento delle attrezzature culturali e della formazio-ne gravitanti sull’area; la Rinascente, le sale cinematografiche, funzionanti o in attesa di riqualificazione, presenti su via Bergamo e su Corso 2 d’Italia, le molte attrezzature commerciali che possono assumere questo progetto come promotore di una riqualificazione, il Mercato di piazza Alessandria, il parcheggio presente sotto piazzale di Porta Pia da rifunzionalizzare ecc.Il Progetto assume il tracciato delle mura come elemento di struttura, inse-rendosi nel “Parco lineare integrato delle mura” definito dal PRG del 2008 per l’intera cinta muraria delle mura Aureliane e Leonine (in origine estesa per circa 19 km, ridotta a circa 13,5 km attualmente), con l’obiettivo di: ga-rantire la percorribilità dell’intera cinta, destinare i manufatti esistenti ad attività culturali e di servizio e garantire la riqualificazione paesaggistica ed architettonica dell’intero percorso.

I sei progettiI progetti contenuti nel PRG sono sei, localizzati nelle situazioni urbane in cui appaiono possibili e prioritarie azioni di ottimizzazione dei rapporti esistenti tra il manufatto delle mura e i particolari contesti attraversati: da Piazzale Flaminio a Castro Pretorio; da Castro Pretorio al Castro Laurenziano; dal Ca-stro Laurenziano a Porta Metronia; da Porta Metronia a Largo Chiarini; da Largo Chiarini al Tevere; da Porta Portese a Castel Sant’Angelo.La complessità del progetto richiede di fornire risposta a due obiettivi priori-tari: far acquisire alle mura tutti gli spazi aperti riqualificabili sui quali esse si affacciano, mettere in coerenza l’ambito delle mura con le aree e i manufatti disposti lungo il loro perimetro.In coerenza con tale Piano, il progetto del tratto tra Piazza Fiume e Porta Pia affronta il tema della riqualificazione e valorizzazione. Gli spazi in que-stione costituiscono punti di cesura dell’antica cinta: l’una, alterata dall’ab-battimento dell’antica Porta Salaria, deve essere ricomposta come spazio urbano; l’altra, realizzata con una sistemazione post unitaria, necessita di una revisione degli elementi costituenti (aree di sosta, viabilità locale, albe-rature, riqualificazione del verde, aree di stazionamento ed accessi al possi-bile parcheggio sotterraneo). L’arteria stradale che le collega, Corso d’Italia,

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viene mantenuta, in questa prima fase, con la sua funzione di asse primario di viabilità urbana, collettore dei flussi di traffico e distributore dei flussi stessi nella rete della viabilità locale. Per tale asse urbano si pone un tema generale di riassetto che dovrà essere affrontato con i tempi e la giusta sca-la. Lo stesso PRG programma il suo interramento in una profonda revisione della mobilità nelle aree interessate.

L’importanza delle muraNon v’è dubbio che una delle componenti strutturali che può consentire di riqualificare lo spazio Piazza Fiume-Porta Pia è costituita dal tratto delle mura aureliane. Pur non essendo pensabile ritornare al carattere e al valore storico precedente al 1960, deve essere comunque riproposta l’unitarietà del tratto, inquadrando il progetto nel sistema urbano di cui fa parte, attraverso interventi che mirano alla realizzazione dei seguenti elementi:

• fascia lineare di verde, per tutta la lunghezza del tratto di mura indicato (circa 300 m.), con una profondità di circa 16 metri, che assuma il ruolo di nuova “passeggiata” lungo il tratto murario e che possa essere re-staurato ed illuminato, d’intesa con la Soprintendenza Comunale e Sta-tale, con significativi interventi da parte della ACEA, che ha manifestato interesse ad intervenire nella riqualificazione dell’ambito;

• area verde e percorsi pedonali nello spazio attualmente destinato a parcheggio sulla piazza e lungo via Sulpicio Massimo, che consenta di valorizzare la testata delle Mura, il villino Ferrari, il Sepolcro di Cornelia e il monumento a Sulpicio Massimo;

• interventi per rendere fluido il traffico veicolare, pubblico e privato, sulle strade che

• convergono su Piazza Fiume, con particolare attenzione al flusso di mezzi pubblici che da via Piave affluiscono su via Nizza e Corso d’Italia;

• spazi pedonali su cui affacciano le attrezzature culturali e commerciali presenti sulla piazza (Libreria Minerva, Rinascente, ecc.);

• spazi pedonali su via Bergamo, via Alessandria e via Ancona sulle qua-li insistono attrezzature culturali e commerciali di notevole interesse, mantenendo una corsia di servizio alle abitazioni e servizi. Costituendo un tridente che da piazza Alessandria (con la riqualificazione del merca-to) traguarda piazza Fiume-Corso d’Italia-Piazzale di Porta Pia.

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A Roma un progetto per salvare l’intero patrimonio di parte del quartie-re San Giovanni rischia il degrado per mancanza d’informazione e coordi-namento tra gli organismi pubblici.

Roma è unica al mondo per quanto riguarda la stratificazione urbanistica e la quantità di patrimonio storico – artistico presente sopra (e sotto) il suo territorio. All’interno delle sue piazze, delle strade, degli edifici si è andata nei secoli costruendo la storia dell’età moderna: si tratta di un patrimonio dal valore artistico, storico e culturale inestimabile, con cui prima o poi do-vremo fare i conti.C’è chi, in realtà, ci ha già pensato. Francesco Pontoriero è responsabile dell’intero patrimonio immobiliare dell’azienda ospedaliera San Giovanni Addolorata che, nel suo piccolo (si fa per dire) conta in 5 Presidi Ospedalieri una superficie totale di 159.956,19 mq, di cui sottoposta a vincoli di legge m2 23.774,30. Un patrimonio che, in realtà, annovera al suo interno sia le strutture visibili che quelle ipogee ovvero “non visibili” perché collocate sot-to la superficie del terreno. “Tra questi - ci rivela Pontoriero – varie domus di proprietà di epoca imperiale, tra cui quella della Domus Annii una del-le famiglie patrizie più ricche e potenti in epoca romana, basti pensare che Domitia Lucilla, madre di Marco Aurelio, apparteneva a tale famiglia, e dal cosiddetto ospedale delle donne, risalente al XVII secolo, che risulta essere il primo riservato alla cura delle sole donne, mentre agli uomini veniva as-segnato l’adiacente l'ospedale de SS Salvatore, sempre nel complesso del San Giovanni”. Sono solo alcuni esempi di quello che è l’intero comprensorio dell’area, in cui si collocano chiese, palazzi storici, arredi, affreschi, statue e altri cimeli lasciati in eredità dalle varie epoche storiche e che giacciono nei sotterranei o subiscono l’usura del tempo senza avere la possibilità di essere mostrati e valorizzati. “È un vero peccato - torna a dire Francesco Ponto-riero - che tutto questo patrimonio non venga messo a 'valore' attraverso un’opera di riqualificazione dell’intera area ospedaliera, oltre che urbana, che potrebbe diventare, per la sua posizione strategica, centro di attrazione turistica e ricettiva, oltre che polo sanitario all’avanguardia”.Un valore, se vogliamo inestimabile, che lo staff dell’ufficio progettazione dell’ospedale è riuscito a quantificare. “È stato calcolato un valore patrimo-niale che si aggira intorno 112 milioni di euro” ci rivela Francesco Pontoriero: “e la cifra potrebbe salire se aggiungessimo anche il valore potenziale dei

Un progetto per riqualificare il patrimonio edilizio dell’Ospedale San Giovanni

di MIMOSA

MARTINI

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CIVILTÀ DI CANTIERE N. 02 2019N. 02 2019 CIVILTÀ DI CANTIERE 59 58

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ettibeni in esso contenuti. Abbiamo portato avanti e presentato uno studio che

dimostra come tale patrimonio edilizio, se recuperato e gestito, potrebbe creare sviluppo economico per l’azienda ospedaliera, per il Comune e per i cittadini”.

Un’altra occasione persa?Il progetto proposto dall’Ufficio progettazione, conservazione e valorizza-zione del patrimonio immobiliare-storico dell’Azienda Ospedaliera San Gio-vanni Addolorata, diretto dall’architetto Pontoriero, è quello di promuove-re un bando per l’affidamento in concessione (con le la procedura prevista dall’art. 62 del Codice) della “Gestione, valorizzazione e conservazione del patrimonio storico dell’Azienda Ospedaliera” la gestione , quindi a totale ca-rico dell’affidatario, a cui sarebbero attribuiti i ricavi frutto dell’affidamento. In cambio, il privato dovrebbe comunque assicurare la cura e la gestione del-le diverse strutture, in parte riservate alle funzioni sanitarie, altre adibite a centri culturali, altre ancora da riqualificare e rendere fruibili come strutture ricettive (alberghi, studentati o bed and breakfast) oltre a un canone annua-le da conferire all’Azienda Ospedaliera.L’idea si basa sul fatto che, allo stato attuale, l’Azienda, in quanto soggetto pubblico, non si riesce a manutenere e gestire tutto il patrimonio, che richie-de una cura continua e ingenti investimenti in termini economici e profes-sionali che la “mission aziendale” non prevede. Con il supporto dei privati, invece, si potrebbe realizzare una formula anche mista che riesca a creare occupazione e allo stesso tempo valorizzi gli edifici, gli arredi, e gli oggetti che altrimenti, in breve tempo, potrebbero deteriorarsi e perdere valore con il conseguente danno erariale. I soggetti privati, anche attraverso una ade-guata promozione, potrebbero allo stesso tempo restituire dignità all’area e offrire ai cittadini di Roma un quartiere rimodernato che restituisca efficien-za, bellezza e attrattività.Nello studio preventivo realizzato dal team dell’ufficio tecnico dell’area c’è già tutto: la mappa e la storia dei singoli edifici, i vincoli a cui sono sotto-posti, il valore stimato e il volere potenziale calcolato su dati precisi che si basano sul valore patrimoniale al metro quadro/per canone di concessione/locazione. Un tentativo di bando è stato proposto ed era partito bene, aven-do riscontrato l’interesse di diversi investitori disposti a giocare la partita tramite l’iscrizione alla piattaforma informatica di gara. Si è trattato però, di una storia non a lieto fine. “La gara purtroppo è andata deserta” – ci con-fessa con rammarico l’architetto. Nessuno è stato disponibile a formalizzare “con la specifica domanda” la partecipazione, mettere cioè capitale senza le garanzie, dei tempi di ottenimento dei nullaosta e dei permessi edilizi. Giustamente, gli investitori non vogliono impegnare cifre considerevoli se non hanno la certezza di riuscire a far partire e a chiudere i lavori entro un

COMPLESSO STORICO DELL’ANTICO OSPEDALE DI SAN GIOVANNI

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UOC PROGETTAZIONE, CONSERVAZIONE EVALORIZZAZIONE DEL PATRIMONIO IMMOBILIARE STORICOArch. Francesco Pontoriero

Dott.ssa Cinzia MartiniSig.ra Tiziana Perugini

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H –Corsia Nuova –Mazzoni (Giandomenico Fontana)

I- Casa Cappellani

L –Santa Maira delle Grazie con annesso l’Antico Ospizio di .Santo Antonio

M- Ospedale delle Donne . (G.B. De Rossi)

COMPLESSO STORICO DELL’ANTICO OSPEDALE DI SAN GIOVANNI

F - Antico Ospedale dell’Angelo–Governatorato(oggi Convento delle Suore della Misericordia)

G - Corsia Vecchia–Folchi-con annessa Chiesa di S.Andrea e Bartolomeo;

H – Corsia Nuova–Mazzoni (Giandomenico Fontana)

I - Casa Cappellani

L – Santa Maira delle Grazie con annesso l’Antico Ospizio di Santo Antonio

M - Ospedale delle Donne (G.B. DeRossi)

dato lasso di tempo. Per loro è troppo rischioso, fondamentale poter iniziare il prima possibile per rientrare dell‘investimento e quindi a mettere a frutto il patrimonio”.Una soluzione a portata di mano, quindi, che rischia però di rimanere car-ta straccia. Possibile che non esista una via d’uscita? “In realtà la modalità per uscirne ci sarebbe – afferma Pontoriero. Tutto dipende dall’Istituto della “Conferenza di Servizio” previsto dalla Legge 241 del 1990. La Conferenza decide modi e tempi e può fare da garante.Il riavvio della procedure oggi no può prescindere dall’applicazione del-le procedure previste dall’art 66 del Codice degli Appalti, che prevede “La consultazione preliminare del Mercato” al fine di stimolare le iniziative e l’interesse degli operatori all’investimento. In tal senso un aiuto è giunto dall’AGID (L’Agenzia per l'Italia Digitale è l’agenzia tecnica della Presidenza del Consiglio che ha il compito di garantire la realizzazione degli obiettivi dell’Agenda digitale italiana e contribuire alla diffusione dell'utilizzo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, favorendo l'innovazio-ne e la crescita economica) che ha ritenuto di promuovere tra le sue iniziati-ve, anche quella del San Giovanni. “Alla base di ogni iniziativa vi è la necessità credere nell’idea e provare a la-vorare tutti insieme, privati pubblico ed istituzioni, per realizzarla; altrimen-ti tutto rimarrà nebuloso e presto il patrimonio sarà dimenticato e il nostro sarà solo l’ennesimo buon progetto”.

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60 61 CIVILTÀ DI CANTIERE N. 02 2019N. 02 2019 CIVILTÀ DI CANTIERE

43 i progetti LEED certificati presenti sul territorio romano, 15 dei quali hanno raggiunto il livello GOLD.

Rendere sostenibile una città o un quartiere comporta una serie di iniziative e di investimenti, non solo in campo ambientale, che coinvolgono in modo preminente anche il tessuto sociale e urbano. Tutti gli interventi nel settore del “building”, attuati mediante il conseguimento di una certificazione di sostenibilità, valorizzano l’opera e gli sforzi compiuti nella direzione della riqualificazione. Sono 43 i progetti LEED certificati presenti sul territorio ro-mano (fonte: USGBC), dei quali ben 15 hanno raggiunto il livello GOLD.

Il sistema di certificazione LEED Il LEED (Leadership in Energy and Environmental Design) è di natura vo-lontaria e nasce in America ad opera di USGBC, associazione no profit nata nel 1993, allo scopo di promuovere un sistema di progettazione integrata in quanto costituisce uno strumento operativo utile per la progettazione, costruzione e gestione di edifici sostenibili ad alte prestazioni energetiche. Il sistema si basa sull’attribuzione di crediti (e relativi punteggi) per ciascu-no dei requisiti caratterizzanti la sostenibilità dell’edificio. Dalla somma dei crediti deriva il livello di certificazione ottenuto.

La professionalità al servizio della sostenibilitàQualunque sia il livello, è necessario avvalersi di professionalità e compe-tenze in grado di guidare i progettisti e le imprese coinvolte in un percorso virtuoso, che valorizzi gli investimenti, ottimizzi i processi e promuova la valutazione di sinergie, opportunità ed efficientamenti a livello dell’opera in progetto e del contesto infrastrutturale, ambientale, economico e sociale in cui si colloca. ICMQ, organismo di ispezione di terza parte indipendente, con i suoi LEED AP (Accredeted Professional), figure professionali esperte del Protocollo LEED, ha avuto una parte attiva nel Recupero Urbano di Val-le Aurelia a Roma, guidando l’impresa IRCOP S.p.A. nella costruzione di un nuovo centro polifunzionale situato a 500 m da Città del Vaticano, e nell’ot-tenimento della certificazione LEED Gold.

Il contestoIl committente dell’opera è la società CDS Holding. L’intervento è stato di

Roma, città d’oro... per la sostenibilità

di UGO PANNUTI

Responsabile

certificazioni

di sostenibilità,

ICMQ SpA

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circa 90.000 mq con un investimento di 60 MIL di euro. Il cuore del recupero urbano è la Fornace Veschi, una delle ultime attive a Roma, sottoposta al vincolo ai sensi del D. Lgs. 42/2004 (beni culturali). Il nuovo complesso con il suo ridisegno, compresa una pista ciclabile, porta ad una continuità am-bientale e paesaggistica di straordinaria qualità per i quartieri a nord della città, dando un accesso al Parco Urbano di Monte Ciocci e al Parco Urbano del Pineto.

L’impegno della squadra e i risultatiICMQ ha curato il monitoraggio dei crediti LEED relativi alla gestione soste-nibile del cantiere, alla gestione sostenibile dei rifiuti di costruzione e dei materiali impiegati nella costruzione, in modo da determinare per il centro polifunzionale, un forte impatto sul territorio di riferimento, non solo dal punto di vista edilizio-urbanistico, ma anche dal punto di vista ambientale, commerciale e della viabilità. Alcuni esempi testimoniano i risultati raggiun-ti, con vantaggi non solo dal punto di vista ambientale, ma anche da quello economico, grazie ad una rigorosa gestione sostenibile del progetto e del cantiere da parte del Team LEED ICMQ:

• circa il 96% dei rifiuti da costruzione sono stati riciclati o/e recuperati. Attraverso un’attenta organizzazione delle attività di lavorazione, rac-colta, stoccaggio dei materiali di scarto e attraverso la sensibilizzazione delle maestranze coinvolte, i rifiuti sono stati distolti dal tradizionale conferimento in discarica e/o agli inceneritori, consentendo alle risorse riciclabili di essere reimmesse nel processo produttivo.

La Fornace

Veschi a Roma

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L’intervista

• Il 49% di materiali da costruzione è proveniente da riciclo. Grazie alla metodica selezione e verifica da parte di ICMQ, si è permesso l’utilizzo di materiali con contenuto di riciclato, riducendo gli impatti derivanti dall’estrazione e dalla lavorazione di materiali vergini.

• Il 79% di materiali da costruzione di provenienza regionale. L’impiego di materiali estratti e lavorati a distanza limitata rispetto al cantiere ha consentito di sostenere l’uso di risorse locali e di ridurre gli impatti sull’ambiente derivanti dal trasporto.

La sostenibilità come valore aggiuntoInteragendo con l’intero processo edilizio, dalla progettazione fino alla co-struzione vera e propria, LEED richiede un approccio di progettazione forte-mente integrato al suo interno, pena il non raggiungimento degli obiettivi preposti. Solo con un ampio sforzo di progettazione integrata e di coordina-mento è possibile creare un edificio armonioso in tutte le aree sopra men-zionate.

I vantaggi competitivi per coloro che adottano gli standard LEED, siano essi professionisti o imprese, sono identificabili soprattutto nella grande qualità finale del manufatto; prima di tutto a riguardo dell’impatto ambientale del-la costruzione, nel notevole risparmio di costi di gestione che questi edifici permettono di ottenere se comparati con edifici tradizionali e nella certifica-zione prestigiosa da parte di un ente terzo.

Il Team LEED ICMQ è in grado di “pilotare” il progetto nel suo complesso, e ciascun specialista del Team di Progettazione, verso gli obiettivi più virtuosi e maggiormente efficaci per la valorizzazione del progetto stesso massimiz-zando i crediti/punteggi acquisibili.

L’impegno e la determinazione nell’ottenere il rating atteso trova la sua concretizzazione in un lavoro di squadra coordinato da ICMQ, tra il Commit-tente, i progettisti di tutte le specialità, l’ufficio acquisiti ed i vari fornitori - ed è affrontato da tutti i componenti, non tutti abituati alla “progettazio-ne integrata” ed ai requisiti propri di questa severa certificazione, con una serietà metodica e sistematica, che rendono ICMQ leader nel settore.

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PEREGO

Presidente

One Team,

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Una soluzione tecnologica a disposizione delle città

One Team sceglie di localizzare la prima tappa a Roma, come simbolo di una città tutta da valorizzare.

One Team, da sempre in prima fila per la digitalizzazione del costruito, sup-porta e accompagna le imprese nel passaggio al mondo della progettazione digitale, attraverso l’applicazione di un metodo testato nel tempo. Da tre anni a questa parte One Team introduce il metodo BIM in centinaia di realtà interessate ad evolversi e a stare al passo con i nuovi trend e le tecnolo-gie più attuali. In questo ambito, One Team, presenta la prima tappa del suo tour in programma il prossimo 25 settembre a Roma presso l’Università La Sapienza – Dipartimento di Architettura, in collaborazione con l’Ateneo e Civiltà di Cantiere. “One Team Tour” vuole essere un evento divulgativo sull’introduzione del BIM con l’obiettivo di analizzare e approfondire tut-te le fasi che compongono l’implementazione del modello in diverse realtà aziendali. Il programma prevede una parte introduttiva sul BIM durante la quale saranno presi in esame alcuni dati e riferimenti normativi; una sezione sarà dedicata alle competenze e alle certificazioni professionali; una sezione illustrerà alcune best practice legate al tema delle infrastrutture; una sezio-ne più pratica verrà dedicata agli approfondimenti sull’uso degli strumenti software ed infine ci sarà una tavola rotonda per confrontarsi. Non manche-ranno alcuni interventi da parte dell’Ateneo. L’evento è gratuito e si rivol-ge a tutte le committenze pubbliche e private, studi, progettisti e società. Abbiamo intervistato il presidente di One Team Riccardo Perego, che ci ha spiegato i vantaggi del BIM declinandolo su diverse realtà.

Perché avete scelto Roma come prima tappa del vostro tour?Roma è la Capitale, oggi ha perso un po’ di centralità, a causa di alcune “fal-le” nel processo di gestione e governance della città, ma rimane comunque un centro politico e istituzionale importantissimo. A Roma vogliamo dare un segnale positivo, un incoraggiamento. Esiste grande potenzialità in que-sta metropoli, bisogna solo riuscire a capire come iniziare a valorizzarla, sia dal punto di vista del patrimonio edilizio pubblico che privato.

Quale pensa sia il contributo che l’implementazione della tecnologia BIM possa dare alla gestione del patrimonio storico in una città come Roma?Roma, con il suo immenso patrimonio artistico e culturale, potrebbe trarre

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L’intervistaL’intervista

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ettigrandi benefici dall’applicazione del BIM. Tuttavia nei beni culturali que-

sto modello risulta essere ancora poco diffuso. I motivi sono molteplici: certamente mancano normative condivise e processi standardizzati, ma probabilmente il la causa principale risiede nella gestione tailor made dei beni culturali che impedisce appunto la standardizzazione dei processi stessi. Nonostante ciò l’applicazione del BIM ai beni culturali potrebbe ri-servare dei risvolti molto interessanti e dei vantaggi importanti. Tra que-sti certamente la possibilità di disporre di analisi tecniche approfondite, la programmazione puntuale, l’utilizzo del web come strumento di con-divisione e promozione e della realtà aumentata per il processo creativo, senza dimenticare la gestione accentrata e coordinata dei vari momenti progettuali.

Quali sono i vantaggi del BIM? Sicuramente chi decide di implementare il BIM sceglie la convenienza e l’efficienza. Il BIM ripaga l’investimento sostenuto, modificando i propri processi e aggiornando le proprie attrezzature molto rapidamente; per-mette di spendere meglio il tempo che si impiega a progettare una struttu-ra poiché l’attenzione posta nella fase iniziale di lavoro permette di ridurre gli errori, le possibili interferenze e le correzioni da fare quando si andrà in cantiere. Conoscere a fondo l’opera, permette di fare una manutenzione più efficiente e quindi risparmiare sull’intero ciclo di vita dell’opera stessa. La rapida diffusione del BIM a livello internazionale, soprattutto in paesi dove non è obbligatorio, ne testimonia i vantaggi. La crescita dal 2015 al 2019 è passata dal 25% delle attività di progettazione al 65%. In Italia sia-mo ancora al di sotto di queste cifre ma anche noi ci stiamo muovendo in questa direzione.

In cosa consiste il metodo One Team?Il metodo One Team è stato ideato per facilitare l’introduzione di questo strumento fondamentale di lavoro all’interno di aziende nostre clienti. Facciamo questa attività da più di tre anni e ormai abbiamo superato i 200 progetti di introduzione BIM in azienda, quindi parliamo sicuramente di un metodo ormai collaudato e sufficientemente standardizzato per quanto si tratti sempre di cucire un abito su misura su ogni singolo cliente. La ca-ratteristica fondamentale del metodo è quella di accelerare al massimo la fase di introduzione pratica e operativa del metodo su commesse concre-te che vengono affrontate insieme al cliente. Si fa un’analisi dei processi molto compatta che dura pochi giorni e che permette poi di passare subito all’introduzione degli strumenti software e ai classici corsi per rendere l’u-tente in grado di utilizzarli al meglio. Successivamente si passa alla fase operativa di lavoro sulla commessa durante la quale viene revisionato an-

che il metodo di implementazione del BIM che era stato ipotizzato all’i-nizio, quindi viene perfezionata l’analisi dei processi. Questo consente di compattare i tempi e di ridurre il numero di giornate/attività necessarie insieme al cliente arrivando fino alla sua completa autonomia in tempi molto più brevi di quanto si possa immaginare. In questo momento ab-biamo 25 progetti di introduzione BIM in corso che seguiamo con i diversi clienti cercando di mantenere sempre l’efficienza di queste attività a livelli ottimali e i risultati raggiunti fino ad ora lo possono dimostrare.

Come vede il BIM nel prossimo futuro?Le previsioni a livello internazionale di introduzione del BIM nei vari paesi, dicono che quando il BIM viene introdotto in un paese, quello è il momen-to in cui comincia la sua scalata ed il mercato connesso diventa 3-4 volte più grande nel giro di qualche anno. La diffusione che avrà il BIM in Italia nei prossimi anni sarà esponenziale. Purtroppo però, bisogna considerare che nel nostro paese la Pubblica Amministrazione rappresenta un fatto-re frenante. Al contrario, nei paesi anglosassoni ed in particolare in Gran Bretagna, la Pubblica Amministrazione ha fatto da traino con le sue gran-di commesse pubbliche spingendo così il settore inglese ingegneristico e delle costruzioni ad essere sempre più all’avanguardia nell’ambito BIM dal 2011 fino a oggi. La speranza è che in Italia, questo fenomeno si risolva nel più breve tempo possibile e che vi siano svolte a livello normativo e legislativo. Fortunata-mente la normativa è più avanti rispetto a quella di molti altri paesi euro-pei, quindi c’è tutta l’intenzione di spingere la Pubblica Amministrazione a introdurre delle gare BIM, trasformando questo vantaggio in un’occasione di crescita per il mercato. Ovviamente ci saranno sempre delle resistenze e delle situazioni di impasse, ma comunque il mercato sta crescendo in modo significativo e direttamente proporzionale è la crescita della con-sapevolezza da parte delle società private a proprietà pubblica, come ad esempio le multiutility che proprio negli ultimi mesi si stanno muovendo in questa direzione. Questo aiuta sicuramente ad analizzare quello che po-trà essere uno scenario futuro a breve-medio termine in cui la committen-za pubblica potrà dare un aiuto significativo a questo sviluppo.

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L’ANCE con il suo appuntamento annuale fa il punto sullo stato dell’arte delle infrastruttu-re e del patrimonio immobiliare del Mezzogiorno.

Il patrimonio immobiliare italiano vale 6.000 miliardi di euro, ma 2,5 milioni di edifici risultano in pessimo o mediocre stato di conservazione. Le aree a elevato rischio sismico sono infatti circa il 44% della superficie nazionale e interessano il 36% dei comuni e della popolazione, ovvero quasi 22 milioni di persone e oltre 5 milioni di edifici tra residenziali e non residenziali. Le aree a elevata criticità idrogeologica (rischio frana e/o alluvione) rappresentano circa il 10% della superficie italiana e riguardano l’89% dei comuni e poco meno del 10% della popolazione, poco meno di 6 milioni di persone che abitano e lavorano in oltre un milione e 200 mila edifici. Cartina di tornasole dello stato di degrado e degli elevati rischi a cui è soggetto il nostro pa-trimonio e i nostri figli è rappresentato dagli edifici scolastici. Nei territori a particolare rischio sismico (zona 1 e 2) vi sono oltre 17.000 edifici pari al 43% del totale delle scuole italiane.

Persone, edifici e territorio: mettere in sicurezza l’Italia

VII ConvegnoGiovani Ance Mezzogiorno

Di queste solo il 21% è progettato o adeguato alla normativa tecnica di costruzione antisismica. Il 43% non dispone di certificato di collaudo Il 59% non dispone della prevenzione incendi Il 21,4% non ha un piano di emergenza e il 42,5% non ha accorgimenti di riduzione dei consumi energetici.È quanto è emerso dal VII convegno organizzato dal gruppo Giovani imprenditori del Mezzo-giorno di ANCE, a Gaeta, dal titolo: Manutenzione e riqualificazione delle infrastrutture e del patrimonio immobiliare. L’evento è stata l’occasione per fare il punto sui temi della sosteni-bilità e della sicurezza delle infrastrutture e del patrimonio immobiliare. Un appuntamento a cui erano presenti, oltre alla rete ANCE, anche alcuni tra i principali soggetti legati al mondo delle Istituzioni, delle infrastrutture e della finanza per concordare le azioni da intraprendere nel prossimo futuro.Dal confronto tra i relatori è emerso il desiderio di un impegno forte da parte della politica e dei vertici delle amministrazioni e committenze pubbliche per spendere in modo attento le risorse a disposizione, in un’ottica di sinergia e pianificazione. Appello ripreso poi, nelle sue conclusioni, da Regina De Albertis, presidente dei Giovani Imprenditori di ANCE, che ha ribadito la necessità di un’azione condivisa da parte di tutta la filiera e di un ascolto da parte delle isti-tuzioni affinché si possa lavorare tutti insieme per un obiettivo comune: rendere il patrimonio edilizio del Mezzogiorno e dell’Italia tutta, più sicuro e in linea con gli standard degli altri Paesi.

LO STOCK ABITATIVO ITALIANOEdifici residenziali per anno di costruzione

LA CARTINA DI TORNASOLE DELL’EDILIZIA SCOLASTICAL’impatto delle criticità sul processo di appalto e di costruzione

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VII ConvegnoGiovani Ance Mezzogiorno

Il patrimonio edilizio italiano è costituito da strutture vecchie e a rischio, spesso costruite in modo anomalo e abusivo.

Lo stock abitativo italiano è costituito da 12,2 milioni di edifici che corrispondono a 31,2 milio-ni di abitazioni. Si tratta di un patrimonio che vale 6.000 miliardi di euro, ma che per quasi il 70% è stato costruito prima dell’emanazione delle norme antisismiche (1974) e sull’efficienza energetica (1976). Circa 2,5 milioni risultano in pessimo o mediocre stato di conservazione, con la Sicilia a presentare la situazione più critica, con oltre 800 mila edifici realizzati più di 40 anni fa. E complessivamente circa 9 case su 10 si collocano in una classe energetica scadente, con costi insostenibili per il sistema Paese. Inoltre, una parte non marginale di questo patri-monio abitativo è stato costruito al di fuori delle regole. Mi riferisco al fenomeno gravissimo dell’abusivismo, che toglie mercato alle imprese regolari e che operano nel pieno rispetto delle

norme urbanistiche per costruire male, spesso in aree e territori ad elevatissimo rischio sismi-co e idrogeologico, in economia e quindi più facilmente soggette a degrado e dove il rischio cresce in misura esponenziale.Necessariamente il rapporto tra edificato e territorio chiama in causa la questione nevralgica della sicurezza. Da un lato, Infatti, abbiamo un patrimonio vecchio e ad elevata dispersione energetica, costruito in tempi di scarsa consapevolezza e di insufficiente normativa rispet-to ai rischi sismici e in momenti storici di forte espansione per quanto riguardava i consumi energetici. Dall’altro abbiamo un territorio fragilissimo e fortemente esposto a rischi naturali. Ed è con questa fragilità che dobbiamo fare i conti e che ci deve orientare nelle scelte di piani-ficazione e di investimento. Le soluzioni proposte in questi anni alle famiglie e ai proprietari privati hanno puntato tutto sulla volontarietà, utilizzando gli incentivi fiscali come leva. Una soluzione che ha consentito di avviare e consolidare un processo di miglioramento, soprattut-to sul fronte del contenimento dei consumi energetici, ma che ben poco ha cambiato il nostro patrimonio sul piano della sicurezza. Una partita dove, al di là dell’aspetto economico, un ruolo importante dovrebbe giocarlo una nuova cultura del rischio, che tuttavia non potrà af-fermarsi in assenza di una consapevolezza da parte dello Stato, attraverso la scelta di puntare sulla prevenzione.

FABRIZIO DELL’UOMO, Presidente Giovani Imprenditori ANCE LAZIO

2 milioni e mezzo di edifici da mettere in sicurezza

L’IMPATTO DEVASTANTE DELL’ABUSIVISMONumero di abitazioni abusive costruite per ogni 100 abitazioni legali

L’ESPOSIZIONE AL RISCHIO SISMICO E IDROGEOLOGICO

Fonte: Istat

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VII ConvegnoGiovani Ance Mezzogiorno

ANTONINO FOTI, Coordinatore Comitato Mezzogiorno ANCE GIOVANI

Partire dalle infrastrutture per delineare un grande piano di messa in sicurezza che com-prenda, però anche la gestione e la manutenzione.

Sicurezza e sostenibilità: è dietro a queste due parole che si nascondono precisi concetti, che si gioca molto del futuro sociale ed economico del nostro Paese. La fragilità del nostro territorio si accompagna a livelli di rischio per la sicurezza di tutti noi, che da troppo tempo lo sottovalutia-mo. Nell’era della globalizzazione i livelli di competizione tra Paesi è massima e solo un sistema infrastrutturale adeguato può consentire all’Italia di vincere le sfide che ogni giorno, come noi imprenditori sappiamo bene, ci troviamo ad affrontare.E purtroppo ogni giorno riceviamo segnali di un’inadeguatezza che colpisce tutte le diverse ti-

La sfida della riqualificazione pologie di opere, dalle strade ai ponti, ai viadotti, alle reti ferroviarie, alle reti elettriche e idriche, alle scuole e agli ospedali. Così come scontiamo inadeguatezze straordinarie nella tenuta del nostro patrimonio immobiliare, per non parlare dello straordinario patrimonio storico e monu-mentale, il più grande e concentrato al mondo.La sfida che abbiamo di fronte è difficile e richiede uno sforzo e un impegno generale. Ma per vincerla è necessario avere la consapevolezza dell’importanza di un grande piano di messa in sicurezza, il che vuol dire riqualificazione, manutenzione ordinaria e straordinaria, rigenerazione.Dobbiamo, tuttavia avere chiare le criticità e i ritardi ancora inaccettabili che caratterizzano le nostre regioni e i nostri territori, sia sul fronte delle infrastrutture strategiche, come le reti stra-dali e ferroviarie, come per quanto riguarda i porti e gli aeroporti. Per non parlare della situazione degli acquedotti e della reti immateriali che continuano a relegarci al margine del Paese. Un Mezzogiorno particolarmente fragile ed esposto ai rischi di calamità naturali, fragile sul fronte sismico e idrogeologico. Dobbiamo partire dalla consapevolezza della mancata manutenzione del nostro patrimonio in-frastrutturale ed edilizio. Il crollo del Ponte Morandi è stato l’ultimo grande shock di un processo che dura ormai da anni, se non da decenni. È come la punta di un iceberg fatto da centinaia di viadotti ai quali le amministrazioni locali hanno dovuto progressivamente ridurre i limiti di por-tata per evitare il rischio di crollo. Così come non dobbiamo dimenticare la lunga scia di tragedie ferroviarie: ben 120 incidenti mortali negli ultimi 10 anni, in gran parte dovuti proprio a una cat-tiva manutenzione degli impianti e non rispetto delle regole di sicurezza. Ci vuole un grande piano di messa in sicurezza del nostro territorio mettendo al centro le infra-strutture. Il vero nodo resta la scarsa capacità di spesa delle amministrazioni pubbliche, delle committenze, su cui pesano non solo un quadro normativo, complesso e poco chiaro, che non offre quelle certezze di cui ci sarebbe bisogno, ma anche le indecisioni degli apparati ammini-strativi e una scarsa capacità della politica di mettere davanti a tutto l’interesse generale a cui adeguare il resto. Dei 140 miliardi di euro messi a disposizione a partire dal 2016 per lo sviluppo infrastrutturale a fine 2018 ne è stato speso solo il 4%. Occorre garantire l’effettivo utilizzo di tali risorse, altrimenti gli stanziamenti continueranno a rimanere semplici poste contabili da rimandare ogni anno agli anni successivi. Con questi tempi il vulnus della sicurezza resterà tale per molti, troppi anni. Ci vuole un impegno forte da parte della politica e dei vertici delle ammi-nistrazioni e committenze pubbliche affinché le risorse messe a disposizione vengano spese secondo la pianificazione approvata e nei tempi previsti mettendo al centro dei programmi po-liennali prossimi a venire proprio la manutenzione e la riqualificazione delle nostre reti e delle nostre infrastrutture. Questa è la sfida che il futuro ci chiede e che come imprenditori dobbiamo accettare e vincere.

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Ance Mezzogiorno

Spendere i soldi che ci sono

I fondi esistono, va solo trovato il modo migliore per spenderli senza intoppi e senza marce indietro da parte delle Istituzioni competenti.

Purtroppo sono tante, troppe le opere infrastrutturali rimaste bloccate nel sud Italia. Come si può notare dalla immagine sottostante (fonte ANAS), ad esempio nel Lazio abbiamo la statale 675 Civitavecchia-Orte, in Sardegna la strada statale 131 Carlo Felice, in Abruzzo la statale 80 del Gran Sasso, in Calabria la statale 106 di Jonica e l’A2 Salerno-Reggio Calabria.

Da una fonte ANCE emerge, purtroppo, che gli investimenti in opere pubbliche risultano diminuiti del 59% nel periodo che va dal 2005 al 2018. I dati di utilizzo delle risorse sono drammatici: ab-biamo speso solo il 4% dei 150 miliardi di euro stanziati per le infrastrutture; solo il 19% dei fondi europei 2014/2020, mentre sono già passati più 5 anni su 10 disponibili. È stato speso solo l’1,5% delle risorse di Fondo Sviluppo e Coesione destinate principalmente alla infrastrutturazione del territorio. L’anno scorso abbiamo registrato -4% di investimenti contro il +6 % registrato nel resto d’Europa. Negli ultimi 4 anni il gap tra le previsioni e spesa effettiva è stato di 12 miliardi.

Oltre alla certezza delle risorse serve una programmazione stabile nel tempo per cui, noi come associazione, chiediamo fondi certi e continui. Da questo punto di vista sono deleteri i progressivi ripensamenti sulle priorità da finanziare: la programmazione delle infrastrutture strategiche è sta-ta modificata 5 volte negli ultimi 8 anni. Purtroppo questo mette a rischio l’avanzamento di quello che già si sta facendo e in questo modo non riusciamo neanche a programmare la manutenzione.

La logica che sembra prevalere è quella di una programmazione anno per anno, o meglio giorno per giorno. Il numero eccessivo delle strutture, la sovrapposizione delle competenze e i tempi lunghi per l’operatività delle strutture stesse rischiano di non produrre alcun effetto positivo sul livello degli investimenti, ma di costituire, al contrario, un elemento di rallentamento.

GIOIA GORGERINO, Vice Presidente ANCE GIOVANI


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